Pulci, Morgante

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CANTO I
1.1.1 In principio era il Verbo appresso a Dio, 1.1.2 ed era Iddio il Verbo e 'l Verbo Lui; 1.1.3 questo era nel principio, al parer mio, 1.1.4 e nulla si può far sanza Costui. 1.1.5 Però, giusto Signor benigno e pio, 1.1.6 mandami solo un degli angel tui, 1.1.7 che m' accompagni e rechimi a memoria 1.1.8 una famosa antica e degna storia. 1.2.1 E tu Vergine, figlia e madre e sposa 1.2.2 di quel Signor che ti détte la chiave 1.2.3 del Cielo e dell' abisso e d' ogni cosa 1.2.4 quel dì che Gabriel tuo ti disse «Ave»; 1.2.5 perché tu se' de' tuo' servi pietosa, 1.2.6 con dolce rime e stil grato e soave 1.2.7 aiuta i versi miei benignamente 1.2.8 e 'nsino al fine allumina la mente. 1.3.1 Era nel tempo quando Filomena 1.3.2 con la sorella si lamenta e plora 1.3.3 ché si ricorda di sua antica pena 1.3.4 e pe' boschetti le ninfe innamora; 1.3.5 e Febo il carro temperato mena, 1.3.6 ché 'l suo Fetonte l' ammaestra ancora, 1.3.7 ed appariva appunto all' orizonte, 1.3.8 tal che Titon si graffiava la fronte; 1.4.1 quand' io varai la mia barchetta, prima, 1.4.2 per ubbidir chi sempre ubbidir debbe 1.4.3 la mente e faticarsi in prosa e in rima, 1.4.4 e del mio Carlo imperador m' increbbe; 1.4.5 ché so, quanti la penna ha posto in cima 1.4.6 che tutti la sua gloria prevarrebbe: 1.4.7 è stata questa istoria, a quel ch' i' veggio, 1.4.8 di Carlo, male intesa e scritta peggio. 1.5.1 Diceva Leonardo già Aretino, 1.5.2 che s' egli avessi avuto scrittor degno, 1.5.3 com' egli ebbe un Ormanno e 'l suo Turpino, 1.5.4 ch' avessi diligenzia avuto e ingegno, 1.5.5 sarebbe Carlo Magno un uom divino, 1.5.6 però ch' egli ebbe gran vittorie e regno, 1.5.7 e fece per la Chiesa e per la Fede 1.5.8 certo assai più che non si dice o crede. 1.6.1 Guardisi ancora a San Liberatore, 1.6.2 quella badia là presso a Menappello, 1.6.3 giù nell' Abruzzi, fatta per suo onore, 1.6.4 dove fu la battaglia e 'l gran flagello 1.6.5 d' un re pagan, che Carlo imperadore 1.6.6 uccise e tanto del suo popul fello, 1.6.7 e vedesi tante ossa, e tanti il sanno, 1.6.8 che tante in Giusaffà non ne verranno. 1.7.1 Ma il mondo cieco e ignorante non prezza 1.7.2 le sue virtù com' io vorrei vedere: 1.7.3 e tu, Fiorenzia, della sua grandezza 1.7.4 possiedi e sempre potrai possedere: 1.7.5 ogni costume ed ogni gentilezza 1.7.6 che si potessi acquistare o avere 1.7.7 col senno, col tesoro o colla lancia, 1.7.8 dal nobil sangue è venuto di Francia. 1.8.1 Dodici paladini aveva in corte 1.8.2 Carlo, e 'l più savio e famoso era Orlando; 1.8.3 Gan traditor lo condusse alla morte 1.8.4 in Roncisvalle, un trattato ordinando, 1.8.5 là dove il corno sonò tanto forte 1.8.6 «dopo la dolorosa rotta quando...»: 1.8.7 nella sua Comedìa Dante qui dice, 1.8.8 e mettelo con Carlo in Ciel felice. 1.9.1 Era per pasqua, quella di Natale; 1.9.2 Carlo la corte avea tutta in Parigi; 1.9.3 Orlando, com' io dico, il principale, 1.9.4 èvvi, il Danese, Astolfo ed Ansuigi; 1.9.5 fannosi feste e cose trïunfale, 1.9.6 e molto celebravan san Dionigi; 1.9.7 Angiolin di Baiona ed Ulivieri 1.9.8 v' era venuto, e 'l gentil Berlinghieri; 1.10.1 eravi Avolio ed Avino ed Ottone, 1.10.2 di Normandia Riccardo paladino, 1.10.3 e 'l savio Namo e 'l vecchio Salamone, 1.10.4 Gualtieri da Mulione e Baldovino, 1.10.5 ch' era figliuol del tristo Ganellone. 1.10.6 Troppo lieto era il figliuol di Pipino, 1.10.7 tanto che spesso d' allegrezza geme 1.10.8 veggendo tutti i paladini insieme. 1.11.1 Ma la Fortuna attenta sta nascosa 1.11.2 per guastar sempre ciascun nostro effetto. 1.11.3 Mentre che Carlo così si riposa, 1.11.4 Orlando governava in fatto e in detto 1.11.5 la corte e Carlo Magno ed ogni cosa; 1.11.6 Gan per invidia scoppia, il maladetto, 1.11.7 e cominciava un dì con Carlo a dire: 1.11.8 «Abbiàn noi sempre Orlando a ubbidire? 1.12.1 Io ho creduto mille volte dirti: 1.12.2 Orlando ha in sé troppa presunzïone; 1.12.3 noi siàn qui conti, re, duchi a servirti, 1.12.4 e Namo, Ottone, Uggieri e Salamone, 1.12.5 per onorarti ognun, per obbedirti; 1.12.6 che costui abbi ogni reputazione, 1.12.7 nol sofferrem, ma sian diliberati 1.12.8 da un fanciullo non esser governati. 1.13.1 Tu cominciasti insino in Aspramonte 1.13.2 a dargli a intender che fussi gagliardo, 1.13.3 e facessi gran cose a quella fonte; 1.13.4 ma se non fussi stato il buon Gherardo, 1.13.5 io so che la vittoria era d' Almonte; 1.13.6 ma egli ebbe sempre l' occhio allo stendardo, 1.13.7 che si voleva quel dì coronarlo: 1.13.8 questo è colui c' ha meritato Carlo. 1.14.1 Se ti ricorda, già, sendo in Guascogna, 1.14.2 quando e' vi venne la gente di Spagna, 1.14.3 il popol de' cristiani avea vergogna, 1.14.4 s' e' non mostrava la sua forza magna. 1.14.5 Il ver convien pur dir, quando e' bisogna: 1.14.6 sappi ch' ognuno, imperador, si lagna. 1.14.7 Quant' io per me, ripasserò que' monti 1.14.8 ch' io passai in qua con sessantaduo conti. 1.15.1 La tua grandezza dispensar si vuole 1.15.2 e far che ciascuno abbi la suo parte. 1.15.3 La corte tutta quanta se ne duole: 1.15.4 tu credi che costui sia forse Marte?». 1.15.5 Orlando un giorno udì queste parole, 1.15.6 che si sedeva soletto in disparte: 1.15.7 dispiacquegli di Gan quel che diceva, 1.15.8 ma molto più che Carlo gli credeva. 1.16.1 E volle colla spada uccider Gano, 1.16.2 ma Ulivieri in quel mezzo si mise 1.16.3 e Durlindana gli trasse di mano, 1.16.4 e così il me' che seppe gli divise. 1.16.5 Orlando si sdegnò con Carlo Mano, 1.16.6 e poco men che quivi non l' uccise; 1.16.7 e dipartissi di Parigi solo, 1.16.8 e scoppia e 'mpazza di sdegno e di duolo. 1.17.1 A Ermellina, moglie del Danese, 1.17.2 tolse Cortana e poi tolse Rondello, 1.17.3 e 'nverso Brava il suo camin poi prese. 1.17.4 Alda la bella, come vide quello, 1.17.5 per abbracciarlo le braccia distese. 1.17.6 Orlando, che ismarrito avea il cervello, 1.17.7 com' ella disse: «Ben venga il mio Orlando». 1.17.8 gli volle in sulla testa dar col brando. 1.18.1 Come colui che la furia consiglia, 1.18.2 e' gli pareva a Gan dar veramente. 1.18.3 Alda la bella si fe' maraviglia. 1.18.4 Orlando si ravvide prestamente 1.18.5 e la sua sposa pigliava la briglia; 1.18.6 e scese del caval subitamente, 1.18.7 ed ogni cosa diceva a costei, 1.18.8 e riposossi alcun giorno con lei. 1.19.1 Poi si partì portato dal furore, 1.19.2 e terminò passare in Pagania; 1.19.3 e mentre che cavalca, il traditore 1.19.4 di Gan sempre ricorda per la via; 1.19.5 e cavalcando d' uno in altro errore, 1.19.6 in un deserto truova una badia, 1.19.7 in luoghi scuri e paesi lontani, 1.19.8 ch' era a' confin tra' Cristiani e' Pagani. 1.20.1 L' abate si chiamava Chiaramonte: 1.20.2 era del sangue disceso d' Angrante. 1.20.3 Di sopra alla badia v' era un gran monte, 1.20.4 dove abitava alcun fiero gigante, 1.20.5 de' quali uno avea nome Passamonte, 1.20.6 l' altro Alabastro, e 'l terzo era Morgante: 1.20.7 con certe frombe gittavan da alto, 1.20.8 ed ogni dì facevon qualche assalto. 1.21.1 I monachetti non potieno uscire 1.21.2 del monistero o per legne o per acque. 1.21.3 Orlando picchia, e non volieno aprire, 1.21.4 fin ch' a l' abate alla fine pur piacque. 1.21.5 Entrato drento, cominciava a dire 1.21.6 come Colui che di Maria già nacque, 1.21.7 adora ed era cristian battezzato, 1.21.8 e come egli era alla badia arrivato. 1.22.1 Disse l' abate: «Il ben venuto sia. 1.22.2 Di quel ch' io ho volentier ti daremo, 1.22.3 poi che tu credi al Figliuol di Maria; 1.22.4 e la cagion, cavalier, ti diremo, 1.22.5 acciò che non la impùti villania, 1.22.6 perché all' entrar resistenzia facemo, 1.22.7 e non ti volle aprir quel monachetto: 1.22.8 così intervien, chi vive con sospetto. 1.23.1 Quand' io ci venni al principio abitare, 1.23.2 queste montagne, ben che sieno oscure 1.23.3 come tu vedi, pur si potea stare 1.23.4 sanza sospetto, ché l' eron sicure; 1.23.5 sol dalle fiere t' avevi a guardare: 1.23.6 fernoci spesso di strane paure. 1.23.7 Or ci bisogna, se vogliamo starci, 1.23.8 dalle bestie dimestiche guardarci. 1.24.1 Queste ci fan più tosto stare a segno. 1.24.2 Sonci appariti tre fieri giganti, 1.24.3 non so di qual paese o di qual regno, 1.24.4 ma molto son feroci tutti quanti. 1.24.5 La forza e 'l mal voler giunta allo 'ngegno 1.24.6 sai che può il tutto, e noi non siàn bastanti; 1.24.7 questi perturban sì l' orazion nostra, 1.24.8 ch' io non so più che far, s' altri nol mostra. 1.25.1 Gli antichi padri nostri nel deserto, 1.25.2 se le loro opre sante erano e giuste, 1.25.3 del ben servir da Dio n' avean buon merto, 1.25.4 né creder sol vivessin di locuste: 1.25.5 piovea dal ciel la manna, questo è certo; 1.25.6 ma qui convien che spesso assaggi e guste 1.25.7 sassi, che piovon di sopra quel monte, 1.25.8 che gettano Alabastro e Passamonte. 1.26.1 Il terzo, che è Morgante, assai più fiero, 1.26.2 isveglie e' pini, e' faggi, e' cerri e gli oppi, 1.26.3 e gettagli insin qui, questo è pur vero: 1.26.4 non posso far che d' ira non iscoppi». 1.26.5 Mentre che parlan così in cimitero, 1.26.6 un sasso par che Rondel quasi sgròppi, 1.26.7 che da' giganti giù venne da alto, 1.26.8 tanto che e' prese sotto il tetto un salto. 1.27.1 «Tìrati drento, cavalier, per Dio», 1.27.2 disse l' abate, «ché la manna casca». 1.27.3 Rispose Orlando: «Caro abate mio, 1.27.4 costui non vuol che 'l mio caval più pasca; 1.27.5 veggo che lo guarrebbe del restio; 1.27.6 quel sasso par che di buon braccio nasca». 1.27.7 Rispose il santo padre: «Io non t' inganno: 1.27.8 credo che 'l monte un giorno gitteranno». 1.28.1 Orlando governar fece Rondello 1.28.2 ed ordinar per sé da collezione; 1.28.3 poi disse: «Abate, io voglio andare a quello 1.28.4 che détte al mio caval con quel cantone». 1.28.5 Disse l' abate: «Come car fratello 1.28.6 consiglierotti sanza passïone: 1.28.7 io ti sconforto, baron, di tal gita, 1.28.8 ch' io so che tu vi lascerai la vita. 1.29.1 Quel Passamonte porta in man tre dardi; 1.29.2 chi frombe, chi baston, chi mazzafrusti: 1.29.3 sai che' giganti più di noi gagliardi 1.29.4 son, per ragion che sono anco più giusti; 1.29.5 e pur se vuoi andar, fa che ti guardi, 1.29.6 ché questi son villan molto e robusti». 1.29.7 Rispose Orlando: «Io lo vedrò per certo»; 1.29.8 ed avviossi a piè su pel deserto. 1.30.1 L' abate il crocïon gli fece in fronte: 1.30.2 «Va, che da Dio e me sia benedetto». 1.30.3 Orlando, poi che salito ebbe il monte, 1.30.4 si dirizzò, come l' abate detto 1.30.5 gli aveva, dove sta quel Passamonte; 1.30.6 il quale, Orlando veggendo soletto, 1.30.7 molto lo squadra di drieto e davante; 1.30.8 poi domandò se star volea per fante; 1.31.1 e prometteva di farlo godere. 1.31.2 Orlando disse: «Pazzo saracino, 1.31.3 io vengo a te, come è di Dio volere, 1.31.4 per darti morte e non per ragazzino. 1.31.5 A' monaci suoi fatto hai dispiacere: 1.31.6 non può più comportarti, can meschino». 1.31.7 Questo gigante armarsi corse a furia, 1.31.8 quando sentì ch' e' gli diceva ingiuria. 1.32.1 E ritornato ove aspettava Orlando, 1.32.2 il qual non s' era partito da bomba, 1.32.3 subito venne la corda girando 1.32.4 e lascia un sasso andar fuor della fromba, 1.32.5 che in sulla testa giugnea rotolando 1.32.6 al conte Orlando, e l' elmetto rimbomba: 1.32.7 e cadde per la pena tramortito, 1.32.8 ma più che morto par, tanto è stordito. 1.33.1 Passamonte pensò che fussi morto, 1.33.2 e disse: «Io voglio andarmi a disarmare; 1.33.3 questo poltron, per chi m' aveva scorto?». 1.33.4 Ma Cristo i suoi non suole abandonare, 1.33.5 massime Orlando, ch' Egli arebbe il torto. 1.33.6 Mentre il gigante l' arme va a spogliare, 1.33.7 Orlando in questo tempo si risente 1.33.8 e rivocava e la forza e la mente. 1.34.1 E gridò forte: «Gigante, ove vai? 1.34.2 Ben ti pensasti d' avermi ammazzato? 1.34.3 Volgiti addrieto, ché, se alie non hai, 1.34.4 non puoi da me fuggir, can rinnegato: 1.34.5 a tradimento ingiurïato m' hai». 1.34.6 Donde il gigante allor, maravigliato, 1.34.7 si volse addrieto e riteneva il passo; 1.34.8 poi si chinò per tôr di terra un sasso. 1.35.1 Orlando avea Cortana ignuda in mano; 1.35.2 trasse alla testa, e Cortana tagliava; 1.35.3 per mezzo il teschio partì del pagano, 1.35.4 e Passamonte morto rovinava; 1.35.5 e nel cadere il superbo e villano 1.35.6 divotamente Macon bestemmiava; 1.35.7 ma mentre che bestemmia il crudo e acerbo 1.35.8 Orlando ringraziava il Padre e 'l Verbo, 1.36.1 dicendo: «Quanta grazia oggi m' hai data! 1.36.2 Sempre ti sono, o Signor mio, tenuto; 1.36.3 per te conosco la vita salvata, 1.36.4 però che dal gigante ero abbattuto; 1.36.5 ogni cosa a ragion fai misurata; 1.36.6 non val nostro poter sanza il tuo aiuto. 1.36.7 Priegoti sopra me tenghi la mano, 1.36.8 tanto ch' ancor ritorni a Carlo Mano». 1.37.1 Poi ch' ebbe questo detto, se n' andòe 1.37.2 tanto che truova Alabastro più basso, 1.37.3 che si sforzava, quando e' lo trovòe, 1.37.4 di svèglier d' una ripa fuori un masso. 1.37.5 Orlando, come e' giunse a quel, gridòe: 1.37.6 «Che pensi tu, ghiotton, gittar quel sasso?». 1.37.7 Quando Alabastro questo grido intende, 1.37.8 subitamente la sua fromba prende, 1.38.1 e trasse d' una pietra molto grossa, 1.38.2 tanto ch' Orlando bisognò schermisse, 1.38.3 ché se l' avessi giunto la percossa, 1.38.4 non bisognava il medico venisse. 1.38.5 Orlando adoperò poi la sua possa; 1.38.6 nel pettignon tutta la spada misse, 1.38.7 e morto cadde questo badalone, 1.38.8 e non dimenticò però Macone. 1.39.1 Morgante aveva al suo modo un palagio 1.39.2 fatto di frasche e di schegge e di terra; 1.39.3 quivi, secondo lui, si posa ad agio, 1.39.4 quivi la notte si rinchiude e serra. 1.39.5 Orlando picchia, e daragli disagio, 1.39.6 per che 'l gigante dal sonno si sferra; 1.39.7 vennegli aprir come una cosa matta, 1.39.8 ch' un' aspra visïone aveva fatta. 1.40.1 E' gli parea ch' un feroce serpente 1.40.2 l' avea assalito, e chiamar Macometto; 1.40.3 ma Macometto non valea nïente, 1.40.4 onde e' chiamava Gesù benedetto, 1.40.5 e liberato l' avea finalmente. 1.40.6 Venne alla porta ed ebbe così detto: 1.40.7 «Chi bussa qua?», pur sempre borbottando. 1.40.8 «Tu 'l saprai tosto» gli rispose Orlando. 1.41.1 «Vengo per farti come a' tuo' fratelli; 1.41.2 son de' peccati tuoi la penitenzia, 1.41.3 da' monaci mandato cattivelli, 1.41.4 come stato è divina providenzia. 1.41.5 Pel mal ch' avete fatto a torto a quelli 1.41.6 è data in Ciel così questa sentenzia: 1.41.7 sappi che freddo già più ch' un pilastro 1.41.8 lasciato ho Passamonte e 'l tuo Alabastro». 1.42.1 Disse Morgante: «O gentil cavaliere, 1.42.2 per lo tuo Iddio non mi dir villania. 1.42.3 Di grazia, il nome tuo vorrei sapere; 1.42.4 se se' cristian, deh, dillo in cortesia». 1.42.5 Rispose Orlando: «Di cotal mestiere 1.42.6 contenterotti, per la fede mia: 1.42.7 adoro Cristo, ch' è Signor verace, 1.42.8 e puoi tu adorarlo, se ti piace». 1.43.1 Rispose il saracin con umil voce: 1.43.2 «Io ho fatta una strana visïone, 1.43.3 che m' assaliva un serpente feroce; 1.43.4 non mi valeva, per chiamar, Macone; 1.43.5 onde al tuo Iddio che fu confitto in croce 1.43.6 rivolsi presto la mia divozione; 1.43.7 e' mi soccorse, e fui libero e sano, 1.43.8 e son disposto al tutto esser cristiano». 1.44.1 Rispose Orlando: «Baron giusto e pio, 1.44.2 se questo buon voler terrai nel core, 1.44.3 l' anima tua arà quel vero Iddio 1.44.4 che ci può sol gradir d' etterno onore; 1.44.5 e s' tu vorrai, sarai compagno mio, 1.44.6 ed amerotti con perfetto amore. 1.44.7 Gl' idoli vostri son bugiardi e vani, 1.44.8 e 'l vero Iddio è lo Iddio de' cristiani. 1.45.1 Venne questo Signor sanza peccato 1.45.2 nella sua madre virgine pulzella. 1.45.3 Se conoscessi quel Signor beato, 1.45.4 sanza qual non risplende sole o stella, 1.45.5 aresti già Macon tuo rinnegato 1.45.6 e la sua fede iniqua, ingiusta e fella. 1.45.7 Battézzati al mio Iddio di buon talento». 1.45.8 Morgante gli rispose: «Io son contento», 1.46.1 e corse Orlando subito abbracciare. 1.46.2 Orlando gran carezze gli facea, 1.46.3 e disse: «Alla badia ti vo' menare». 1.46.4 Morgante «Andianvi presto», rispondea 1.46.5 «co' monaci la pace si vuol fare»; 1.46.6 della qual cosa Orlando in sé godea, 1.46.7 dicendo: «Fratel mio divoto e buono, 1.46.8 io vo' che chiegga all' abate perdono. 1.47.1 Da poi che Iddio ralluminato t' ha 1.47.2 ed accettato per la sua umiltade, 1.47.3 vuolsi tu usi anco tu umilità». 1.47.4 Disse Morgante: «Per la tua bontade, 1.47.5 poi che 'l tuo Iddio mio sempre omai sarà, 1.47.6 dimmi del nome tuo la veritade, 1.47.7 poi che di me dispor puoi al tuo comando»; 1.47.8 onde e' gli disse com' egli era Orlando. 1.48.1 Disse il gigante: «Gesù benedetto 1.48.2 per mille volte ringraziato sia! 1.48.3 Sentito t' ho nomar, baron perfetto, 1.48.4 per tutti i tempi della vita mia; 1.48.5 e com' io dissi, sempre mai suggetto 1.48.6 esser ti vo' per la tua gagliardia». 1.48.7 Insieme molte cose ragionaro 1.48.8 e 'nverso la badia poi s' invïaro, 1.49.1 e fêr la via da quei giganti morti: 1.49.2 Orlando con Morgante sì ragiona: 1.49.3 «Della lor morte vo' che ti conforti, 1.49.4 e poi che piace a Cristo, a me perdona. 1.49.5 A' monaci avean fatti mille torti, 1.49.6 e la nostra Scrittura aperto suona: 1.49.7 "il ben remunerato e 'l mal punito", 1.49.8 e mai non ha questo Signor fallito; 1.50.1 però ch' Egli ama la giustizia tanto, 1.50.2 che vuol che sempre il suo giudicio morda 1.50.3 ognun ch' abbi peccato tanto o quanto; 1.50.4 e così il ben ristorar si ricorda, 1.50.5 e non saria sanza giustizia santo. 1.50.6 Adunque al suo voler presto t' accorda. 1.50.7 ché debbe ognun voler quel che vuol Questo, 1.50.8 ed accordarsi volentieri e presto. 1.51.1 E sonsi i nostri dottori accordati, 1.51.2 pigliando tutti una conclusïone, 1.51.3 che que' che son nel Ciel glorificati, 1.51.4 s' avessin nel pensier compassïone 1.51.5 de' miseri parenti che dannati 1.51.6 son nello inferno in gran confusïone, 1.51.7 la lor felicità nulla sarebbe; 1.51.8 e vedi che qui ingiusto Iddio parrebbe. 1.52.1 Ma egli hanno posto in Iesù ferma spene, 1.52.2 e tanto pare a lor quanto a Lui pare; 1.52.3 afferman, ciò che E' fa, che facci bene, 1.52.4 e che E' non possi in nessun modo errare. 1.52.5 Se padre o madre è nell' etterne pene, 1.52.6 di questo non si posson conturbare, 1.52.7 ché quel che piace a Dio, sol piace a loro: 1.52.8 questo s' osserva nell' etterno coro». 1.53.1 «Al savio suol bastar poche parole», 1.53.2 disse Morgante. «Tu il potrai vedere, 1.53.3 de' miei fratelli, Orlando, se mi duole, 1.53.4 e s' io m' accorderò di Dio al volere 1.53.5 come tu di' che in Ciel servar si suole. 1.53.6 Morti co' morti; or pensian di godere. 1.53.7 Io vo' tagliar le mani a tutti quanti 1.53.8 e porterolle a que' monaci santi, 1.54.1 acciò ch' ognun sia più sicuro e certo 1.54.2 come e' son morti e non abbin paura 1.54.3 andar soletti per questo deserto; 1.54.4 e perché vegga la mia mente pura 1.54.5 a quel Signor che m' ha il suo regno aperto 1.54.6 e tratto fuor di tenebra sì oscura». 1.54.7 E poi tagliò le mani a' due frategli, 1.54.8 e làsciagli alle fiere ed agli uccegli. 1.55.1 Alla badia insieme se ne vanno, 1.55.2 ove l' abate assai dubbioso aspetta. 1.55.3 E' monaci, che 'l fatto ancor non sanno, 1.55.4 correvono all' abate tutti in fretta, 1.55.5 dicendo paürosi e pien d' affanno: 1.55.6 «Volete voi costui drento si metta?». 1.55.7 Quando l' abate vedeva il gigante, 1.55.8 si turbò tutto nel primo sembiante. 1.56.1 Orlando, che turbato così il vede, 1.56.2 gli disse presto: «Abate, datti pace: 1.56.3 questo è cristiano e in Cristo nostro crede, 1.56.4 e rinnegato ha il suo Macon fallace». 1.56.5 Morgante i moncherin mostrò per fede 1.56.6 come i giganti ciascun morto giace; 1.56.7 donde l' abate ringraziava Iddio, 1.56.8 dicendo: «Or m' hai contento, Signor mio». 1.57.1 E riguardava e squadrava Morgante, 1.57.2 la sua grandezza, ed una volta e due; 1.57.3 e poi gli disse: «O famoso gigante, 1.57.4 sappi ch' io non mi maraviglio piùe 1.57.5 che tu svegliessi e gittassi le piante, 1.57.6 quand' io riguardo or le fattezze tue. 1.57.7 Tu sarai or perfetto e vero amico 1.57.8 a Cristo, quanto tu gli eri inimico. 1.58.1 Un nostro apostol, Saül già chiamato, 1.58.2 perseguì molto la fede di Cristo; 1.58.3 un giorno poi, dallo spirto infiammato, 1.58.4 "Perché pur mi persegui?" disse Cristo; 1.58.5 e' si ravvide allor del suo peccato; 1.58.6 andò poi predicando sempre Cristo, 1.58.7 e fatto è or della fede una tromba, 1.58.8 la qual per tutto risuona e rimbomba. 1.59.1 Così farai tu ancor, Morgante mio; 1.59.2 e chi s' emenda, è scritto nel Vangelo 1.59.3 che maggior festa fa d' un solo, Iddio, 1.59.4 che di novantanove altri, su in Cielo. 1.59.5 Io ti conforto ch' ogni tuo desio 1.59.6 rivolga a quel Signor con giusto zelo, 1.59.7 ché tu sarai felice in sempiterno, 1.59.8 ch' eri perduto e dannato allo inferno». 1.60.1 E grande onore a Morgante faceva 1.60.2 l' abate, e molti dì si son posati. 1.60.3 Un giorno, come a Orlando piaceva, 1.60.4 a spasso in qua e in là si sono andati. 1.60.5 L' abate in una camera sua aveva 1.60.6 molte armadure e certi archi appiccati: 1.60.7 Morgante gliene piacque un che ne vede, 1.60.8 onde e' sel cinse, benché oprar nol crede. 1.61.1 Avea quel luogo d' acqua carestia. 1.61.2 Orlando disse: «Come buon fratello, 1.61.3 Morgante, vo' che di piacer ti sia 1.61.4 andar per l' acqua». Onde e' rispose a quello: 1.61.5 «Comanda ciò che vuoi, ché fatto fia»; 1.61.6 e posesi in ispalla un gran tinello 1.61.7 ed avviossi là verso una fonte, 1.61.8 dove solea ber sempre appiè del monte. 1.62.1 Giunto alla fonte, sente un gran fracasso 1.62.2 di subito venir per la foresta. 1.62.3 Una saetta cavò del turcasso, 1.62.4 posela all' arco ed alzava la testa. 1.62.5 Ecco apparire una gran gregge, al passo, 1.62.6 di porci, e vanno con molta tempesta, 1.62.7 ed arrivorno alla fontana appunto, 1.62.8 donde il gigante è da lor sopraggiunto. 1.63.1 Morgante alla ventura a un saetta: 1.63.2 appunto nell' orecchio lo 'ncartava; 1.63.3 dall' altro lato passò la verretta, 1.63.4 onde 'l cinghial giù morto gambettava. 1.63.5 Un altro, quasi per farne vendetta, 1.63.6 addosso al gran gigante irato andava; 1.63.7 e perché e' giunse troppo tosto al varco, 1.63.8 non fu Morgante a tempo a trar coll' arco. 1.64.1 Vedendosi venuto il porco addosso, 1.64.2 gli détte in sulla testa un gran punzone, 1.64.3 per modo che gl' infranse insino all' osso, 1.64.4 e morto allato a quell' altro lo pone. 1.64.5 Gli altri porci, veggendo quel percosso, 1.64.6 si misson tutti in fuga pel vallone. 1.64.7 Morgante si levò il tinello in collo, 1.64.8 ch' era pien d' acqua, e non si muove un crollo. 1.65.1 Dall' una spalla il tinello avea posto, 1.65.2 dall' altra i porci, e spacciava il terreno: 1.65.3 e torna alla badia, ch' è pur discosto, 1.65.4 ch' una gocciola d' acqua non va in seno. 1.65.5 Orlando, che 'l vedea tornar sì tosto 1.65.6 co' porci morti e con quel vaso pieno, 1.65.7 maravigliossi che sia tanto forte; 1.65.8 così l' abate; e spalancan le porte. 1.66.1 I monaci veggendo l' acqua fresca 1.66.2 si rallegrorno, ma più de' cinghiali, 1.66.3 ch' ogni animal si rallegra dell' esca, 1.66.4 e posono a dormire i brevïali. 1.66.5 Ognun s' affanna, e non par che gl' incresca, 1.66.6 acciò che questa carne non s' insali, 1.66.7 e che poi secca sapessi di vieto; 1.66.8 e le digiune si restorno addrieto. 1.67.1 E ferno a scoppia corpo per un tratto, 1.67.2 e scuffian che parien dell' acqua usciti, 1.67.3 tanto che 'l can se ne doleva e 'l gatto 1.67.4 che gli ossi rimanean troppo puliti. 1.67.5 L' abate, poi che molto onore ha fatto 1.67.6 a tutti, un dì, dopo questi conviti, 1.67.7 détte a Morgante un destrier molto bello, 1.67.8 che lungo tempo tenuto avea quello. 1.68.1 Morgante in su 'n un prato il caval mena 1.68.2 e vuol che corra e che facci ogni pruova, 1.68.3 e pensa che di ferro abbi la schiena, 1.68.4 o forse non credeva schiacciar l' uova. 1.68.5 Questo caval s' accoscia per la pena, 1.68.6 e scoppia e 'n sulla terra si ritruova. 1.68.7 Dicea Morgante: «Lieva su, rozzone», 1.68.8 e va pur punzecchiando collo sprone. 1.69.1 Ma finalmente convien ch' egli smonte; 1.69.2 e disse: «Io son pur leggier come penna, 1.69.3 ed è scoppiato; che ne di' tu, conte?». 1.69.4 Rispose Orlando: «Un albero d' antenna 1.69.5 mi par' più tosto, e la gaggia la fronte. 1.69.6 Lascialo andar, ché la fortuna accenna 1.69.7 che meco a piede ne venga, Morgante». 1.69.8 «Ed io così verrò» disse il gigante. 1.70.1 «Quando sarà mestier, tu mi vedrai 1.70.2 com' io mi proverrò nella battaglia». 1.70.3 Orlando disse: «Io credo tu farai 1.70.4 come buon cavalier, se Dio mi vaglia, 1.70.5 ed anco me dormir non mirerai. 1.70.6 Di questo tuo caval non te ne caglia: 1.70.7 vorrebbesi portarlo in qualche bosco, 1.70.8 ma il modo né la via non ci conosco». 1.71.1 Disse il gigante: «Io il porterò ben io, 1.71.2 da poi che portar me non ha voluto, 1.71.3 per render ben per mal, come fa Iddio; 1.71.4 ma vo' ch' a porlo addosso mi dia aiuto». 1.71.5 Orlando gli dicea: «Morgante mio, 1.71.6 s' al mio consiglio ti sarai attenuto, 1.71.7 questo caval tu non vel porteresti, 1.71.8 ché ti farà come tu a lui facesti. 1.72.1 Guarda che non facessi la vendetta, 1.72.2 come fece già Nesso, così morto: 1.72.3 non so se la sua istoria hai intesa o letta; 1.72.4 e' ti farà scoppiar, datti conforto». 1.72.5 Disse Morgante: «Aiuta ch' io mel metta 1.72.6 addosso, e poi vedrai s' io ve lo porto: 1.72.7 io porterò, Orlando mio gentile, 1.72.8 con le campane là quel campanile». 1.73.1 Disse l' abate: «Il campanil v' è bene, 1.73.2 ma le campane voi l' avete rotte». 1.73.3 Dicea Morgante: «E' ne porton le pene 1.73.4 color che morti son là in quelle grotte». 1.73.5 E levossi il cavallo in sulle schiene, 1.73.6 e disse: «Guarda s' io sento di gotte, 1.73.7 Orlando, nelle gambe, o s' io lo posso»; 1.73.8 e fe' due salti col cavallo addosso. 1.74.1 Era Morgante come una montagna: 1.74.2 se facea questo, non è maraviglia. 1.74.3 Ma pure Orlando con seco si lagna, 1.74.4 perché pure era omai di sua famiglia: 1.74.5 temenza avea non pigliassi magagna; 1.74.6 un' altra volta costui riconsiglia: 1.74.7 «Posalo, ancor, nol portare al deserto». 1.74.8 Disse il gigante: «Io il porterò per certo». 1.75.1 E portollo e gittollo in luogo strano 1.75.2 e torna alla badia subitamente. 1.75.3 Diceva Orlando: «Or che più dimoriano? 1.75.4 Morgante, qui non facciàn noi nïente». 1.75.5 E prese un giorno l' abate per mano 1.75.6 e disse a quel molto discretamente 1.75.7 che vuol partir dalla sua riverenzia, 1.75.8 e domandava e perdono e licenzia. 1.76.1 E degli onor ricevuti da questo, 1.76.2 qualche volta, potendo, arà buon merito; 1.76.3 e dice: «Io intendo ristorare, e presto, 1.76.4 i persi giorni del tempo preterito; 1.76.5 e son più dì che licenzia arei chiesto, 1.76.6 benigno padre, se non ch' io mi perito: 1.76.7 non so mostrarvi quel che drento sento, 1.76.8 tanto vi veggo del mio star contento. 1.77.1 Io me ne porto per sempre nel core 1.77.2 l' abate, la badia, questo deserto, 1.77.3 tanto v' ho posto in picciol tempo amore: 1.77.4 rendavi su nel Ciel per me buon merto 1.77.5 quel vero Iddio, quello etterno Signore, 1.77.6 che vi serba il suo regno al fine aperto. 1.77.7 Noi aspettiam vostra benedizione; 1.77.8 raccomandianci alle vostre orazione». 1.78.1 Quando l' abate il conte Orlando intese, 1.78.2 rintenerì nel cor per la dolcezza, 1.78.3 tanto fervor nel petto se gli accese; 1.78.4 e disse: «Cavalier, s' a tua prodezza 1.78.5 non sono stato benigno e cortese 1.78.6 come conviensi alla gran gentilezza, 1.78.7 ché so che ciò ch' i' ho fatto è stato poco, 1.78.8 incolpa l' ignoranzia nostra e il loco. 1.79.1 Noi ti potremo di messe onorare, 1.79.2 di prediche, di laude e paternostri, 1.79.3 più tosto che da cena o desinare 1.79.4 o d' altri convenevol che da chiostri. 1.79.5 Tu m' hai di te sì fatto innamorare 1.79.6 per mille alte eccellenzie che tu mostri, 1.79.7 ch' io me ne vengo, ove tu andrai, con teco, 1.79.8 e d' altra parte tu resti qui meco: 1.80.1 tanto ch' a questo par contraddizione; 1.80.2 ma so che tu se' savio e 'ntendi e gusti, 1.80.3 e intendi il mio parlar per discrezione. 1.80.4 De' benifìci tuoi pietosi e giusti 1.80.5 renda il Signore a te munerazione, 1.80.6 da cui mandato in queste selve fusti, 1.80.7 per le virtù del qual liberi siamo; 1.80.8 e grazia a Lui ed a te ne rendiamo. 1.81.1 Tu ci hai salvato l' anima e la vita: 1.81.2 tanta perturbazion già que' giganti 1.81.3 ci détton, che la strada era smarrita 1.81.4 di ritrovar Gesù cogli altri santi. 1.81.5 Però troppo ci duol la tuo partita, 1.81.6 e sconsolati restian tutti quanti; 1.81.7 né ritener possianti i mesi e gli anni, 1.81.8 ché tu non se' da vestir questi panni, 1.82.1 ma da portar la lancia e l' armadura; 1.82.2 e puossi meritar con essa come 1.82.3 con questa cappa, e leggi la Scrittura: 1.82.4 questo gigante al Ciel drizzò le some 1.82.5 per tua virtù. Va in pace a tua ventura, 1.82.6 chi tu ti sia, ch' io non ricerco il nome; 1.82.7 ma dirò sempre, s' io son domandato, 1.82.8 ch' un angiol qui da Dio fussi mandato. 1.83.1 Se c' è armadura o cosa che tu voglia, 1.83.2 vattene in zambra e pigliane tu stessi, 1.83.3 e cuopri a questo gigante la scoglia». 1.83.4 Rispose Orlando: «S' armadura avessi, 1.83.5 prima che noi uscissin della soglia, 1.83.6 che questo mio compagno difendessi, 1.83.7 questo accetto io, e saràmi piacere». 1.83.8 Disse l' abate: «Venite a vedere»; 1.84.1 e in certa cameretta entrati sono, 1.84.2 che d' armadure vecchie era copiosa. 1.84.3 Dicea l' abate: «Tutte ve le dono». 1.84.4 Morgante va rovistando ogni cosa, 1.84.5 ma solo un certo sbergo gli fu buono, 1.84.6 ch' avea tutta la maglia rugginosa: 1.84.7 maravigliossi che lo cuopra appunto, 1.84.8 ché mai più niun forse glien' era aggiunto. 1.85.1 Questo fu d' un gigante smisurato, 1.85.2 ch' a la badia fu morto per antico 1.85.3 dal gran Millon d' Angrante, che arrivato 1.85.4 v' era, se appunto questa storia dico; 1.85.5 ed era nelle mura istorïato 1.85.6 come e' fu morto questo gran nimico. 1.85.7 che fece alla badia già lunga guerra; 1.85.8 e Millon v' è, come e' l' abbatte in terra. 1.86.1 Veggendo questa istoria, il conte Orlando 1.86.2 fra suo cor disse: «O Iddio, che sai sol tutto, 1.86.3 come venne Millon qui capitando, 1.86.4 che ha questo gigante qua distrutto?». 1.86.5 E lesse certe letter lacrimando, 1.86.6 ché non poté tener più il viso asciutto, 1.86.7 com' io dirò nella seguente istoria. 1.86.8 Di mal vi guardi il Re dell' alta gloria.
CANTO II
2.1.1 O giusto, o santo, o etterno Monarca, 2.1.2 o sommo Giove per noi crucifisso, 2.1.3 che chiudesti la porta ove si varca 2.1.4 per ire al fondo dello scuro abisso; 2.1.5 tu ch' al principio movesti mie barca, 2.1.6 tu sia il nocchiere intento sempre e fisso 2.1.7 alla tua stella e la tua calamita, 2.1.8 ché questa storia sia per te finita. 2.2.1 L' abate, quando vide lacrimare 2.2.2 Orlando e diventar le ciglia rosse 2.2.3 e per pietà le luce imbambolare, 2.2.4 e' domandava perché questo fosse; 2.2.5 e poi che vide Orlando pur chetare, 2.2.6 ancor più oltre le parole mosse: 2.2.7 «Non so s' ammirazion forse t' ha vinto 2.2.8 di quel che in questa camera è dipinto. 2.3.1 Io fui della gran gesta naturale: 2.3.2 credo ch' io sia nipote o consobrino 2.3.3 di quel Rinaldo, uom tanto principale, 2.3.4 che fu nel mondo sì gran paladino, 2.3.5 benché 'l mio padre non fu madornale, 2.3.6 perché e' non piacque all' alto Iddio divino: 2.3.7 Ansuigi chiamossi in piano e in monte, 2.3.8 e 'l nome mio diritto è Chiaramonte. 2.4.1 Così ci fussi il figliuol di Mellone, 2.4.2 che fu fratel del mio padre perfetto! 2.4.3 Deh, dimmi il nome tuo, gentil barone, 2.4.4 se così piace a Gesù benedetto». 2.4.5 Orlando s' accendea d' affezïone, 2.4.6 bagnando tutto di lacrime il petto; 2.4.7 poi disse: «Abate, mio caro parente, 2.4.8 sappi ch' Orlando tuo t' è qui presente». 2.5.1 Per tenerezza corsono abbracciarsi; 2.5.2 ognun piangeva di soperchio amore, 2.5.3 ché non poteva a un tratto sfogarsi, 2.5.4 e per dolcezza trabocca nel core. 2.5.5 L' abate non potea tanto saziarsi 2.5.6 d' abbracciar questo, quanto è il suo fervore. 2.5.7 Diceva Orlando: «Qual grazia o ventura 2.5.8 fa ch' io vi truovi in questa parte scura? 2.6.1 Ditemi un poco, caro padre mio, 2.6.2 per che cagion voi vi facesti frate 2.6.3 e non prendesti la lancia come io 2.6.4 e tante gente che di noi son nate?». 2.6.5 «Perché e' fu volontà così di Dio», 2.6.6 rispose presto a Orlando l' abate 2.6.7 «che ci dimostra per diverse strade 2.6.8 dond' e' si vadi nella sua cittade; 2.7.1 chi colla spada, chi col pasturale, 2.7.2 poi la natura fa diversi ingegni; 2.7.3 e però son diverse queste scale: 2.7.4 basta che in porto salvo si pervegni, 2.7.5 e tanto il primo, quanto il sezzo, vale; 2.7.6 tutti siàn peregrin per molti regni, 2.7.7 a Roma tutti andar vogliamo, Orlando, 2.7.8 ma per molti sentier n' andian cercando. 2.8.1 Così sempre s' affanna il corpo e l' ombra, 2.8.2 per quel peccato dell' antico pome: 2.8.3 io sto col libro in man qui il giorno e l' ombra, 2.8.4 tu colla spada tua tra l' elsa e 'l pome 2.8.5 cavalchi, e spesso sudi al sole e all' ombra; 2.8.6 ma di tornare a bomba è il fin del pome. 2.8.7 Dico ch' ognun qui s' affatica e spera 2.8.8 di ritornarsi alla sua antica spera». 2.9.1 Morgante avea con loro insieme pianto 2.9.2 sentendo queste cose ragionare; 2.9.3 e pur cercava d' armadure, e intanto 2.9.4 un gran cappel d' acciaio usa trovare, 2.9.5 che rugginoso si dormia in un canto. 2.9.6 Orlando, quando gliel vide provare, 2.9.7 disse: «Morgante, tu pari un bel fungo; 2.9.8 ma il gambo a quel cappello è troppo lungo». 2.10.1 Una spadaccia ancor Morgante truova; 2.10.2 cinsela, e poi se n' andava soletto 2.10.3 là dove rotta una campana cova, 2.10.4 ch' era caduta e stava sotto un tetto, 2.10.5 e spiccane un battaglio a tutta pruova, 2.10.6 ed a Orlando il mostrava in effetto: 2.10.7 «Di questo che di' tu, signor d' Angrante?» 2.10.8 «Dico che è tal qual conviensi a Morgante». 2.11.1 Disse il gigante: «Con questo battaglio, 2.11.2 che vedi come è grave e lungo e grosso, 2.11.3 non credi tu ch' io schiacciassi un sonaglio? 2.11.4 Io vo' schiacciar il ferro e tritar l' osso: 2.11.5 parmi mill' anni or d' esser al berzaglio». 2.11.6 Orlando a Chiaramonte ha così mosso: 2.11.7 «Or vi vorrei pregar, mio santo abate, 2.11.8 che di trovar ventura c' insegniate. 2.12.1 Qualche battaglia, qualche torniamento 2.12.2 trovar vorremo, se piacessi a Dio». 2.12.3 Disse l' abate: «I' ne son ben contento, 2.12.4 e credo satisfare al tuo desio. 2.12.5 Sappi che qua verso Levante sento 2.12.6 che in una gran città, parente mio, 2.12.7 un re pagan vi fa drento dimoro, 2.12.8 il qual si fa chiamar re Caradoro. 2.13.1 Ed ha una sua figlia molto bella, 2.13.2 onesta, savia, nobile e gentile; 2.13.3 e non è uom che la muova di sella, 2.13.4 e ciascun cavalier reputa vile: 2.13.5 s' ella non fussi saracina quella, 2.13.6 non fu mai donna tanto signorile. 2.13.7 Dintorno alla città sopra a' confini 2.13.8 sono accampati molti saracini; 2.14.1 ed èvvi un re di molta gagliardia, 2.14.2 Manfredonio appellato dalla gente: 2.14.3 costui si muor per la dama giulìa, 2.14.4 e fa gran cose, come amor consente, 2.14.5 ed ha con seco tutta Pagania 2.14.6 per acquistar questa donna piacente: 2.14.7 dicon che v' è di paesi lontani 2.14.8 cento quaranta migliaia di pagani. 2.15.1 E quel re Carador n' ha forse ottanta 2.15.2 di gente saracina ardita e forte; 2.15.3 e Manfredonio ogni giorno si vanta 2.15.4 d' aver questa donzella o d' aver morte; 2.15.5 ed or trabocchi ed or bombarde pianta, 2.15.6 ogni dì corre insino in sulle porte». 2.15.7 Il conte Orlando, quando questo intese, 2.15.8 non domandar quanto desio l' accese. 2.16.1 E dopo molte cose ragionate, 2.16.2 di nuovo la licenza ridomanda, 2.16.3 dicendo nuovamente al santo abate 2.16.4 ch' alle sue orazïon si raccomanda, 2.16.5 ché vuol trovarsi fra le gente armate 2.16.6 in quel paese là dove e' lo manda; 2.16.7 che gli lasciassi andar colla sua pace. 2.16.8 Disse l' abate: «Sia come a voi piace: 2.17.1 contento son, se tanto v' è in piacere. 2.17.2 Voi avete apparata la magione: 2.17.3 sarò sempre fidato e buono ostiere: 2.17.4 ciò che c' è, è del figliuol di Mellone; 2.17.5 ma non bisogna tra noi profferere. 2.17.6 A tutti do la mia benedizione». 2.17.7 Così da Chiaramonte lacrimando 2.17.8 si dipartirno Morgante ed Orlando. 2.18.1 Per lo deserto vanno alla ventura: 2.18.2 l' uno era a piede e l' altro era a cavallo; 2.18.3 cavalcon per la selva e per pianura, 2.18.4 sanza trovare ricetto o intervallo. 2.18.5 Cominciava a venir la notte oscura. 2.18.6 Morgante parea lieto sanza fallo, 2.18.7 e con Orlando ridendo dicìa: 2.18.8 «E' par ch' io vegga appresso una osteria». 2.19.1 E 'n questo, ragionando, hanno veduto 2.19.2 un bel palagio in mezzo del deserto. 2.19.3 Orlando, poi ch' a questo fu venuto, 2.19.4 dismonta perché l' uscio vide aperto. 2.19.5 Quivi non è chi risponda al saluto. 2.19.6 Vannone in sala, per esser più certo: 2.19.7 le mense riccamente son parate 2.19.8 e tutte le vivande accomodate. 2.20.1 Le camere eran tutte ornate e belle, 2.20.2 istorïate con sottil lavoro, 2.20.3 e letti molto ricchi eran in quelle, 2.20.4 coperti tutti quanti a drappi d' oro; 2.20.5 e' palchi erano azurri, pien di stelle, 2.20.6 ornati sì che valìeno un tesoro; 2.20.7 le porte eran di bronzo e qual d' argento, 2.20.8 e molto vario e lieto è il pavimento. 2.21.1 Dicea Morgante: «Non è qui persona 2.21.2 a guardar questo sì ricco palagio? 2.21.3 Orlando, questa stanza mi par buona: 2.21.4 noi ci staremo un giorno con grande agio». 2.21.5 Orlando nella mente sua ragiona: 2.21.6 «O qualche saracin molto malvagio 2.21.7 vorrà che qualche trappola ci scocchi 2.21.8 per pigliarci al boccon come i ranocchi, 2.22.1 o veramente c' è sotto altro inganno: 2.22.2 questo non par che sia convenïente». 2.22.3 Disse Morgante: «Questo è poco danno»; 2.22.4 e cominciava a ragionar col dente, 2.22.5 dicendo: «All' oste rimarrà il malanno; 2.22.6 mangiàn pur molto ben per al presente; 2.22.7 quel che ci resta, faren poi fardello, 2.22.8 ch' io porterei, quand' io rubo, un castello». 2.23.1 Rispose Orlando: «Questa medicina 2.23.2 forse potrebbe il palagio purgare». 2.23.3 Hanno cercato insino alla cucina; 2.23.4 né cuoco, né vassallo usan trovare: 2.23.5 adunque ognuno alla mensa cammina; 2.23.6 comincian le mascella adoperare, 2.23.7 ch' un giorno avevon mangiato già in sogno, 2.23.8 tal che di vettovaglia avean bisogno. 2.24.1 Quivi vivande è di molte ragioni: 2.24.2 pavoni e starne e leprette e fagiani, 2.24.3 cervi e conigli e di grassi capponi, 2.24.4 e vino ed acqua, per bere e per mani. 2.24.5 Morgante sbadigliava a' gran bocconi, 2.24.6 e furno al bere infermi, al mangiar sani; 2.24.7 e poi che sono stati a lor diletto, 2.24.8 si riposorno intro 'n un ricco letto. 2.25.1 Come e' fu l' alba ciascun si levava, 2.25.2 e credonsene andar come ermellini, 2.25.3 né per far conto l' oste si chiamava, 2.25.4 ché lo volean pagar di bagattini. 2.25.5 Morgante in qua e in là per casa andava, 2.25.6 e non ritruova dell' uscio i confini. 2.25.7 Diceva Orlando: «Saremo noi mézzi 2.25.8 di vin, che l' uscio non si raccapezzi? 2.26.1 Questa è s' io non m' inganno, pur la sala, 2.26.2 ma le vivande e le mense sparite 2.26.3 veggo che son: quivi era pur la scala: 2.26.4 qui son gente stanotte comparite, 2.26.5 che, come noi, aranno fatto gala: 2.26.6 le cose ch' avanzorno, ove son ite?». 2.26.7 E 'n questo errore un gran pezzo soggiornano: 2.26.8 dovunque e' vanno, in sulla sala tornano. 2.27.1 Non riconoscono uscio né finestra. 2.27.2 Dicea Morgante: «Ove siàn noi entrati? 2.27.3 Noi smaltiremo, Orlando, la minestra, 2.27.4 ché noi ci siam rinchiusi e 'nviluppati 2.27.5 come fa il bruco su per la ginestra». 2.27.6 Rispose Orlando: «Anzi ci siàn murati». 2.27.7 Disse Morgante: «A volere il ver dirti, 2.27.8 questa mi pare una stanza da spirti. 2.28.1 Questo palagio, Orlando, fia incantato, 2.28.2 come far si soleva anticamente». 2.28.3 Orlando mille volte s' è segnato, 2.28.4 e non poteva a sé ritrar la mente, 2.28.5 fra sé dicendo: «Arémol noi sognato?». 2.28.6 Morgante dello scotto non si pente, 2.28.7 e disse: «Io so ch' al mangiare ero desto; 2.28.8 or non mi curo s' egli è sogno il resto. 2.29.1 Basta che le vivande non sognai; 2.29.2 e s' elle fussin ben di Satanasso, 2.29.3 arrèchimene pure innanzi assai». 2.29.4 Tre giorni in questo error s' andorno a spasso 2.29.5 sanza trovare ond' egli uscissin mai; 2.29.6 e 'l terzo giorno, scesi giù da basso, 2.29.7 in una loggia arrivon per ventura, 2.29.8 donde un suono esce d' una sepultura. 2.30.1 E dice: «Cavalieri, errati siete: 2.30.2 voi non potresti di qui mai partire 2.30.3 se meco prima non v' azzufferete. 2.30.4 Venite questa lapida a scoprire, 2.30.5 se non che qui in eterno vi starete». 2.30.6 Per che Morgante cominciò a dire: 2.30.7 «Non senti tu, Orlando, in quella tomba 2.30.8 quelle parole che colui rimbomba? 2.31.1 Io voglio andare a scoprir quello avello, 2.31.2 là dove e' par che quella voce s' oda; 2.31.3 ed èscane Cagnazzo e Farferello 2.31.4 o Libicocco col suo Malacoda». 2.31.5 E finalmente s' accostava a quello, 2.31.6 però che Orlando questa impresa loda, 2.31.7 e disse: «Scuopri, se vi fussi dentro 2.31.8 quanti ne piovvon mai dal ciel nel centro». 2.32.1 Allor Morgante la pietra su alza. 2.32.2 Ecco un dïavol più ch' un carbon nero, 2.32.3 che della tomba fuor subito balza 2.32.4 in un carcame di morto assai fiero, 2.32.5 ch' avea la carne secca, ignuda e scalza. 2.32.6 Diceva Orlando: «E' fia pur daddovero? 2.32.7 Questo è il dïavol, ch' io il conosco in faccia»; 2.32.8 e finalmente addosso se gli caccia. 2.33.1 Questo dïavol con lui s' abbracciòe: 2.33.2 ognuno scuote; e Morgante diceva: 2.33.3 «Aspetta, Orlando, ch' io t' aiuteròe». 2.33.4 Orlando aiuto da lui non voleva; 2.33.5 pure il dïavol tanto lo sforzòe, 2.33.6 ch' Orlando ginocchion quasi cadeva; 2.33.7 poi si rïebbe e con lui si rappicca: 2.33.8 allor Morgante più oltre si ficca. 2.34.1 E' gli parea mill' anni d' appiccare 2.34.2 la zuffa, e come Orlando così vide, 2.34.3 comincia il gran battaglio a scaricare, 2.34.4 e disse: «A questo modo si divide». 2.34.5 Ma quel demon lo facea disperare, 2.34.6 però che i denti digrignava e ride. 2.34.7 Morgante il prese alle gavigne istretto 2.34.8 e missel nella tomba a suo dispetto. 2.35.1 Come e' fu drento, gridò: «Non serrare, 2.35.2 ché se tu serri, mai non uscirai». 2.35.3 Disse Orlando: «In che modo abbiam a fare?». 2.35.4 E' gli rispose: «Tu lo sentirai. 2.35.5 Convienti quel gigante battezzare, 2.35.6 poi a tuo posta andar te ne potrai: 2.35.7 fallo cristiano, e come e' sarà fatto, 2.35.8 al tuo cammin ne va sicuro e ratto. 2.36.1 Se tu mi lasci questa tomba aperta, 2.36.2 non vi farò più noia o increscimento: 2.36.3 ciò ch' io ti dico, abbi per cosa certa». 2.36.4 Orlando disse: «Di ciò son contento, 2.36.5 benché tua villania questo non merta; 2.36.6 ma per partirmi di qui, ci consento». 2.36.7 Poi tolse l' acqua e battezzò il gigante, 2.36.8 ed uscì fuor con Rondello e Morgante. 2.37.1 E come e' fu fuor del palagio uscito, 2.37.2 sentì drento alle mura un gran romore; 2.37.3 onde e' si volse, e 'l palagio è sparito. 2.37.4 Allor conobbe più certo l' errore: 2.37.5 non si rivede né mura, né il sito. 2.37.6 Dicea Morgante: «E' mi darebbe il cuore 2.37.7 che noi potremo or nell' inferno andare, 2.37.8 e far tutti i dïavoli sbucare. 2.38.1 Se si potessi entrar di qualche loco, 2.38.2 ché nel mondo è certe bocche, si dice, 2.38.3 donde e' si va, che di fuor gettan fuoco, 2.38.4 e non so chi v' andò per Euridice, 2.38.5 io stimerei tutti i dïavol poco. 2.38.6 Noi ne trarremo l' anime infelice; 2.38.7 e taglierei la coda a quel Minosse, 2.38.8 se come questo ogni dïavol fosse; 2.39.1 e pelerò la barba a quel Caron, 2.39.2 e leverò della sedia Plutone; 2.39.3 un sorso mi vo' far di Flegeton, 2.39.4 e inghiottir quel Fregiàs con un boccone; 2.39.5 Tesifo, Aletto, Megera e Ericon 2.39.6 e Cerbero ammazzar con un punzone; 2.39.7 e Belzebù farò fuggir più via 2.39.8 ch' un dromedario non andre' in Soria. 2.40.1 Non si potrebbe trovar qualche buca? 2.40.2 Tu vi vedresti il più bello spulezzo; 2.40.3 pur che questo battaglio vi conduca, 2.40.4 e mettimi a' dïavoli poi in mezzo». 2.40.5 Rispose Orlando: «E' non vi si manuca, 2.40.6 Morgante mio; noi vi faremo lezzo, 2.40.7 e nell' entrar ci potremo anco cuocere: 2.40.8 dunque l' andata starebbe per nuocere. 2.41.1 Quando tu puoi, Morgante, ir per la piana, 2.41.2 non cercar mai né l' erta né la scesa, 2.41.3 o di cacciare il capo in buca o in tana: 2.41.4 andian pur per la via nostra distesa». 2.41.5 E così ragionando, una fontana 2.41.6 trovoron, dove due fan gran contesa: 2.41.7 eron corrier con lettere mandati, 2.41.8 e come micci si son bastonati. 2.42.1 Orlando, come e' giunse, gli domanda: 2.42.2 «Ditemi un poco, perché v' azzuffate? 2.42.3 Voi mi parete corrier: chi vi manda, 2.42.4 o che imbasciate o lettere portate? 2.42.5 Venite voi di Francia, o di qual banda? 2.42.6 Lasciate un poco star le bastonate: 2.42.7 ditemi ancor se voi siete cristiani, 2.42.8 se Dio vi salvi e' bastoni e le mani». 2.43.1 Rispose l' un di loro: «I' son cristiano, 2.43.2 e poco tempo è ch' io venni abitare 2.43.3 a un castello chiamato Monte Albano. 2.43.4 Rinaldo, il mio signor, mi fa cercare 2.43.5 d' un suo cugino; e 'l traditor di Gano 2.43.6 lo séguita, per far male arrivare: 2.43.7 manda costui, che tu vedi, cercando 2.43.8 di questo suo cugin, c' ha nome Orlando. 2.44.1 A questa fonte a caso ci trovamo, 2.44.2 e come egli è de' nostri pari usanza 2.44.3 di domandar l' un l' altro, domandamo: 2.44.4 "Che lettera o imbasciata hai d' importanza?", 2.44.5 e come stracchi un poco ci posamo. 2.44.6 Costui mi dice che Gan di Maganza 2.44.7 per far morire Orlando lo mandava, 2.44.8 e che per Pagania di lui cercava. 2.45.1 E perch' io presi la parte d' Orlando, 2.45.2 alzò la mazza sanza dir nïente: 2.45.3 così si venne la zuffa appiccando». 2.45.4 Orlando, quando le parole sente, 2.45.5 diceva: «O Dio, a te mi raccomando 2.45.6 da questo traditore e frodolente! 2.45.7 Io pur non truovo, ovunque i' mi dilegui, 2.45.8 luogo che 'l traditor non mi persegui». 2.46.1 Quando Morgante vede il suo signore 2.46.2 che si doleva e contro a Gano sbuffa, 2.46.3 tanto gli venne sdegno e pietà al core, 2.46.4 che per la gola il corrier tosto ciuffa, 2.46.5 cioè quel che mandava il traditore, 2.46.6 e nella fonte sott' acqua lo tuffa, 2.46.7 calpesta e pigia e per ira si sfoga, 2.46.8 tanto che tutto lo 'nfranse ed affoga. 2.47.1 Orlando disse a quell' altro corriere: 2.47.2 «Io son colui per chi tu se' mandato. 2.47.3 Di' a Rinaldo che in questo sentiere 2.47.4 come tu vedi il cugino hai trovato: 2.47.5 io son Orlando, e poi ch' egli è in piacere 2.47.6 di Carlo, vo pel mondo disperato». 2.47.7 Quando il corrier sentì ch' Orlando è questo, 2.47.8 maravigliossi e inginocchiossi presto. 2.48.1 «Dimmi a Carlo» diceva ancora Orlando 2.48.2 «che si consigli col suo Gano antico, 2.48.3 ed io pel mondo vo peregrinando 2.48.4 come s' io fussi qualche suo nimico; 2.48.5 digli dove trovato e come e quando 2.48.6 tu m' hai qui solo e povero e mendico; 2.48.7 e quel ch' io ho fatto, corrier, per costui, 2.48.8 credo che 'l sappi ognun, salvo che lui, 2.49.1 che non sa quel che benificio sia, 2.49.2 non si ricorda ch' io sia suo nipote, 2.49.3 o ch' i' in sua corte in Francia stessi o stia; 2.49.4 basta che Gan, ciò che vuol, con lui puote 2.49.5 tanto ch' io me ne vo in Pagania, 2.49.6 pur come voglion le volubil rote; 2.49.7 e di' ch' io ho sol con meco un gigante, 2.49.8 ch' è battezzato, appellato Morgante, 2.50.1 e 'l caval che tu vedi e questa spada; 2.50.2 altro non ho se non questa armadura; 2.50.3 e ch' io non so io stesso ove io mi vada, 2.50.4 o dove ancor mi guidi la ventura, 2.50.5 ma inverso Barberia tengo la strada; 2.50.6 andrò dove mi porta mia sciagura, 2.50.7 poi che e' consente, a cercar la mia morte; 2.50.8 e che mai più non tornerò in sua corte. 2.51.1 Dimmi a Rinaldo mio, figliuol d' Amone, 2.51.2 che la mia compagnia, che io lasciai, 2.51.3 gli raccomando con affezïone; 2.51.4 ch' io penso in Pagania morire omai. 2.51.5 Saluta Astolfo, Namo e Salamone 2.51.6 e Berlinghier, che sempre molto amai; 2.51.7 a Ulivier di' che la suo sorella 2.51.8 gli raccomando, e mia sposa, Alda bella. 2.52.1 Dimmi al Danese, caro imbasciatore, 2.52.2 che in Francia a questi tempi non m' aspetti; 2.52.3 e di' ch' io ho Cortana e 'l corridore, 2.52.4 acciò che forse di ciò ignun sospetti; 2.52.5 della mia sopravvesta il suo colore, 2.52.6 vedi come è, dipinta a Macometti; 2.52.7 che si ricordi del suo caro Orlando, 2.52.8 che va pel mondo sperso or tapinando. 2.53.1 Dimmi il tuo nome or se t' è in piacimento». 2.53.2 Onde e' rispose: «Questo è ben dovere, 2.53.3 o signor mio: chiamar mi fo Chimento. 2.53.4 Cristo ti muti di sì stran pensiere, 2.53.5 ché tua risposta mi dà gran tormento: 2.53.6 questo non è quel che 'l signor mio chiere. 2.53.7 Io voglio, Orlando, voi mi perdoniate, 2.53.8 e ch' alquante parole m' ascoltiate. 2.54.1 Quand' io da Montalban feci partita, 2.54.2 io fui a Parigi, dond' io vengo adesso: 2.54.3 la corte pare una cosa smarrita, 2.54.4 lo 'mperador non pareva più desso, 2.54.5 vedovo il regno e la gente stordita. 2.54.6 Gli orecchi debbon cornarvi qua spesso, 2.54.7 ch' ognun ragiona della vostra fama, 2.54.8 e 'l popol tutto a un grido vi chiama. 2.55.1 Il mio signor con gran disio v' aspetta; 2.55.2 Parigi e Francia, ogni cosa si duole. 2.55.3 Or vi vo' dire una mia novelletta, 2.55.4 ché spesso la ragion l' essemplo vuole. 2.55.5 Un tratto a spasso anco la formichetta 2.55.6 andò pel mondo, come far si suole, 2.55.7 e trovò infine un teschio di cavallo 2.55.8 e semplicetta cominciò a cercallo. 2.56.1 Quand' ella giunse ove 'l cervello stava, 2.56.2 questa gli parve una stanza sì bella, 2.56.3 che nel suo cor tutta si rallegrava 2.56.4 e dicea seco questa meschinella: 2.56.5 "Qualche signor per certo ci abitava". 2.56.6 Ma finalmente, cercando ogni cella, 2.56.7 non vi trovava da mangiar nïente, 2.56.8 e di sua impresa alla fine si pente, 2.57.1 e ritornossi nel suo bucolino. 2.57.2 Perdonimi, s' io fallo, chi m' ascolta, 2.57.3 e 'ntenda il mio vulgar col suo latino: 2.57.4 io vo' che a me crediate questa volta 2.57.5 e ritorniate al vostro car cugino, 2.57.6 se non ch' ogni speranza gli fia tolta: 2.57.7 disse che mai a lui non ritornassi, 2.57.8 se meco in Francia non vi rimenassi. 2.58.1 Il grande amor mi sforza a quel ch' i' dico: 2.58.2 riconoscete e gli amici e' parenti; 2.58.3 l' andar così pel mondo è pure ostìco». 2.58.4 Orlando, udendo i suoi ragionamenti, 2.58.5 disse: «Chimento, tu se' buono amico»; 2.58.6 e gittò fuor molti sospir dolenti; 2.58.7 e da costui alfin s' accomiatava 2.58.8 sanz' altro dir, ché piangendo n' andava. 2.59.1 Orlando, poi che partì da Chimento, 2.59.2 tutto quel giorno seco ha sospirato. 2.59.3 Così il messaggio ne va mal contento; 2.59.4 non sa come a Rinaldo sia tornato. 2.59.5 Morgante ne va a piè di buon talento, 2.59.6 con quel battaglio ch' è duro e granato: 2.59.7 e in su 'n un poggio le pagane schiere 2.59.8 di Manfredon comincion a vedere, 2.60.1 padiglioni e trabacche e pennoncelli; 2.60.2 e sentono stormenti oltra misura, 2.60.3 nacchere e corni e trombe e tamburelli; 2.60.4 e cavalier coperti d' armadura 2.60.5 vedean, cogli elmi rilucenti e belli. 2.60.6 Orlando guata inverso la pianura, 2.60.7 e vede tanti pagani attendati, 2.60.8 come l' abate gli avea numerati. 2.61.1 Di questo molto se ne rallegròe; 2.61.2 così Morgante; e poi che 'l poggio scese, 2.61.3 dinanzi a Manfredon s' appresentòe, 2.61.4 ch' era gentil, magnanimo e cortese; 2.61.5 e di Morgante si maravigliòe, 2.61.6 e 'l conte Orlando per la briglia prese, 2.61.7 e disse: «Benvenuto sia, barone. 2.61.8 Dismonta, e poi verrai nel padiglione». 2.62.1 Orlando lascia a Morgante Rondello 2.62.2 e va nel padiglion col re pagano; 2.62.3 e Manfredon così diceva a quello: 2.62.4 «Chi tu ti sia, saracino o cristiano, 2.62.5 ti tratterò come gentil fratello; 2.62.6 e perché 'l tuo venir non sia qui invano, 2.62.7 soldo darotti, se t' è in piacimento, 2.62.8 tanto che tu sarai, baron, contento». 2.63.1 Rispose alle parole grate Orlando: 2.63.2 «Preso m' avete col vostro parlare; 2.63.3 soldo nïente da voi non domando, 2.63.4 se non vedete l' arme adoperare». 2.63.5 E così molte cose ragionando, 2.63.6 disse il pagano: «Io vi vo' ragguagliare 2.63.7 di quel che forse per voi non sapete, 2.63.8 ché cavalier discreti mi parete. 2.64.1 Io vi dirò la mia disavventura, 2.64.2 s' alcun rimedio sapessi trovarmi: 2.64.3 io ardo tutto, per la mia sciagura, 2.64.4 d' una fanciulla, e non so più che farmi; 2.64.5 due volte abbiam provato l' armadura; 2.64.6 ogni volta ha potuto superarmi; 2.64.7 sì che da lei vituperato sono, 2.64.8 e messo ho la speranza in abbandono. 2.65.1 Egli è ben vero ch' i' ho qui tanta gente, 2.65.2 che mi darebbe il cuor di superarla; 2.65.3 ma non sarebbe onor certanamente, 2.65.4 ché colla lancia intendo d' acquistarla. 2.65.5 S' alcun di voi sarà tanto possente 2.65.6 ch' a corpo a corpo credessi atterrarla, 2.65.7 ricomperrollo ciò ch' i' ho nel mondo, 2.65.8 ché basta a me sol lei, poi son giocondo». 2.66.1 Orlando disse: «Noi ci proverremo: 2.66.2 ognun ci adoperrà tutta suo possa; 2.66.3 e credo pure alfin noi vinceremo, 2.66.4 se femmina sarà di carne e d' ossa». 2.66.5 Disse il pagano: «Ogni cosa diremo. 2.66.6 Prima che la fanciulla facci mossa, 2.66.7 manda in sul campo sempre un suo fratello 2.66.8 molto gagliardo e gentil damigello; 2.67.1 e per nome si chiama Lïonetto, 2.67.2 ed è figliuol del gran re Caradoro, 2.67.3 e non adora alcun più Macometto 2.67.4 che sia sì forte, per più mio martoro. 2.67.5 E la sorella ch' io v' ho prima detto, 2.67.6 per cui solo ardo, mi distruggo e moro, 2.67.7 gentile, onesta, anzi cruda e villana, 2.67.8 sappi che chiamata è Meredïana. 2.68.1 E veramente è come ella si chiama, 2.68.2 perché di mezzodì par proprio un sole. 2.68.3 Io innamorai di questa gentil dama 2.68.4 non per vista, per atti o per parole, 2.68.5 ma per le sue virtù ch' udi' per fama, 2.68.6 ovver che 'l mio destin pur così vuole; 2.68.7 e da quel giorno in qua ch' amor m' accese, 2.68.8 per lei son fatto e gentile e cortese. 2.69.1 Or vo' pregarvi famosi baroni, 2.69.2 che 'l nome mi diciate in cortesia». 2.69.3 Orlando disse con grati sermoni: 2.69.4 «Io vel dirò, perché in piacer vi sia, 2.69.5 benché far vi vorremo maggior doni; 2.69.6 pur negar questo sare' villania. 2.69.7 Più tempo ho fatto in Levante dimoro, 2.69.8 e son chiamato da ciascun Brunoro. 2.70.1 E questo mio compagno che è gigante, 2.70.2 veder potrete quanto è valoroso; 2.70.3 fassi chiamare il feroce Morgante, 2.70.4 ed è più che non mostra poderoso. 2.70.5 In Macometto crede e Trivigante». 2.70.6 Il re, sentendol, molto grazïoso 2.70.7 rispose: «Per mia fé, che voi sarete 2.70.8 da me trattati come voi vorrete». 2.71.1 E quanto può Manfredon gli onorava, 2.71.2 e nel suo padiglion sempre gli tenne, 2.71.3 e molte cose con lor ragionava. 2.71.4 Ma finalmente un dì per caso avvenne 2.71.5 che Lïonetto quel campo assaltava, 2.71.6 e 'nverso il padiglion, come e' suol, vienne, 2.71.7 e Manfredon chiamava con un corno 2.71.8 alla battaglia, per più beffe e scorno. 2.72.1 E cominciò per modo a muover guerra, 2.72.2 che molta gente faceva fuggire: 2.72.3 parea quando alle pecore si serra 2.72.4 il lupo, onde 'l pastor si fa sentire; 2.72.5 e qual ferisce e qual trabocca in terra, 2.72.6 e molti il dì ne faceva morire, 2.72.7 e chi fuggir non può, ne va prigione; 2.72.8 onde e' fuggivan tutti al padiglione. 2.73.1 Il conte Orlando udì che Lïonetto 2.73.2 aveva il campo in tal modo assalito, 2.73.3 ch' ognun fuggìa dinanzi al giovinetto. 2.73.4 Subito sopra Rondel fu salito, 2.73.5 e disse: «Vienne Morgante, i' t' aspetto: 2.73.6 di Lïonetto non hai tu sentito? 2.73.7 Tu vedrai or di Macon la possanza, 2.73.8 e del tuo Cristo, ove tu hai speranza». 2.74.1 Dicea Morgante: «Io non ho mai veduto 2.74.2 provare Orlando; io lo vedrò pur ora: 2.74.3 ringrazio Iddio, ch' io mi sarò abbattuto». 2.74.4 Orlando sprona il suo cavallo allora, 2.74.5 e sparì via com' uno stral pennuto; 2.74.6 per che Morgante s' avvïava ancora, 2.74.7 e col battaglio si viene assettando, 2.74.8 e guarda pur quel che faceva Orlando. 2.75.1 Orlando nella pressa si mettea, 2.75.2 e pur Morgante guarda dove e' vada, 2.75.3 e sempre drieto a Rondel gli tenea, 2.75.4 dove e' vedea che pigliava la strada. 2.75.5 E Lïonetto in quel tempo giugnea, 2.75.6 ch' aveva in man sanguinosa la spada. 2.75.7 Orlando il vide e la lancia abbassava; 2.75.8 ma Lïonetto un' altra ne pigliava. 2.76.1 Volse il cavallo, e 'nverso Orlando abbassa 2.76.2 e vannosi a ferir con gran furore, 2.76.3 e l' una e l' altra lancia si fracassa; 2.76.4 ma Lïonetto uscì del corridore, 2.76.5 e Rondel via, come il suo nome, passa. 2.76.6 Morgante guata drieto al suo signore, 2.76.7 e dice: «Orlando è pur baron perfetto; 2.76.8 e Cristo è vero, e falso Macometto». 2.77.1 Ma Lïonetto pur si rilevòe 2.77.2 e sopra il suo cavallo è rimontato, 2.77.3 e Macometto a gran boce chiamòe, 2.77.4 dicendo: «Traditor, ch' i' ho adorato 2.77.5 a torto sempre, io ti rinnegheròe, 2.77.6 po' ch' a tal punto tu m' hai abandonato; 2.77.7 l' anima mia più non ti raccomando, 2.77.8 ché non are' quel colpo fatto Orlando». 2.78.1 Poi si rivolse a Orlando, dicendo: 2.78.2 «Nota che e' fu del mio destriere il fallo». 2.78.3 Orlando gli rispose sorridendo: 2.78.4 «E' si vorre' co' buffetti ammazzallo». 2.78.5 Disse Morgante: «Così non la intendo: 2.78.6 or che tu se' rimontato a cavallo, 2.78.7 mi par che sia tuo debito, pagano, 2.78.8 di riprovarvi colle spade in mano». 2.79.1 Rispose Lïonetto: «A ogni modo 2.79.2 vo che col brando terminian la zuffa». 2.79.3 Disse Morgante: «Per Dio, ch' io la lodo, 2.79.4 ché tu vedrai che 'l caval non fe' truffa». 2.79.5 Or tu, Signor, a cui servir sol godo, 2.79.6 per cui la terra e l' aria si rabbuffa, 2.79.7 guardaci e salva e 'nsino al fine insegna, 2.79.8 tanto ch' io canti questa storia degna.
CANTO III
3.1.1 O Padre, o giusto, incomprensibil Dio, 3.1.2 illumina il mio cor perfettamente, 3.1.3 sì che e' si mondi del peccato rio; 3.1.4 e pur s' io sono stato negligente, 3.1.5 tu se' pur finalmente il Signor mio, 3.1.6 tu se' salute della umana gente; 3.1.7 tu se' colui che 'l mio legno movesti 3.1.8 e 'nsino al porto aiutarmi dicesti. 3.2.1 Orlando gli rispose: «Egli è dovere»; 3.2.2 e colle spade si son disfidati. 3.2.3 E Lïonetto, ch' avea gran potere, 3.2.4 molti pensieri aveva essaminati 3.2.5 per fare al conte Orlando dispiacere; 3.2.6 e perché tutti non venghin fallati, 3.2.7 alzava con due man la spada forte, 3.2.8 per dare al suo caval, se può, la morte. 3.3.1 Orlando vide il pagano adirato: 3.3.2 pensò volere il colpo riparare, 3.3.3 ma non poté, ché 'l brando è giù calato 3.3.4 in sulla groppa, e Rondel fe' cascare, 3.3.5 tanto ch' Orlando si trovò in sul prato, 3.3.6 e disse: «Iddio non si poté guardare 3.3.7 da' traditor; però chi può guardarsi? 3.3.8 Ma la vergogna qua non debbe usarsi». 3.4.1 Poi fra sé disse: «Ove se', Vegliantino?»; 3.4.2 ma non disse sì pian, che 'l suo nimico 3.4.3 non intendessi ben questo latino, 3.4.4 e si pensò di dirlo al padre antico. 3.4.5 Orlando s' accorgea del saracino, 3.4.6 e disse: «Se più oltre a costui dico, 3.4.7 in dubbio son, se mi conosce scorto: 3.4.8 il me' sarà ch' e' resti al campo morto». 3.5.1 La gente fu dintorno al conte Orlando 3.5.2 con lance e spade, con dardi e spuntoni, 3.5.3 e lui soletto s' aiuta col brando; 3.5.4 a quale il braccio tagliava e' faldoni, 3.5.5 a chi tagliava sbergo, a chi potando 3.5.6 venìa le mani, e cascono i monconi; 3.5.7 a chi cacciava di capo la mosca, 3.5.8 acciò ch' ognun la suo virtù conosca. 3.6.1 Morgante vide in sì fatto travaglio 3.6.2 il conte Orlando, e in là n' andava tosto, 3.6.3 e cominciò a sciorinare il battaglio 3.6.4 e fa veder più lucciole ch' agosto; 3.6.5 e' saracin di lui fanno un berzaglio 3.6.6 di dardi e lance, ma gettan discosto, 3.6.7 tanto che quando dove è il conte venne, 3.6.8 un istrice coperto par di penne. 3.7.1 Era a cavallo Orlando risalito, 3.7.2 e già di Lïonetto ricercava; 3.7.3 ma Lïonetto, come e' l' ha scolpito, 3.7.4 inverso la città si ritornava, 3.7.5 e per paura l' aveva fuggito. 3.7.6 Orlando forte Rondello spronava, 3.7.7 e tanto e tanto in su' fianchi lo punse, 3.7.8 che Lïonetto alla porta raggiunse. 3.8.1 «Volgiti indrieto; onde è tanta paura», 3.8.2 gridò «pagano?». E colui pur fuggiva, 3.8.3 perché e' temeva della suo sciagura. 3.8.4 Orlando colla spada l' assaliva, 3.8.5 e non poté fuggir drento alle mura 3.8.6 il giovinetto, ch' Orlando il feriva 3.8.7 irato con tal furia e con tempesta, 3.8.8 che gli spiccò dallo imbusto la testa. 3.9.1 Nel campo si tornò poi che l' ha morto; 3.9.2 trovò Morgante che nella pressa era: 3.9.3 ebbe di Lïonetto assai conforto, 3.9.4 e ritornârsi inverso la bandiera. 3.9.5 Il caso presto alla dama fu porto, 3.9.6 che luce più ch' ogni celeste spera: 3.9.7 graffiossi il volto e straccia i capei d' oro, 3.9.8 sì che fe' pianger tutto il concestoro. 3.10.1 E 'l vecchio padre dicea: «Figliuol mio, 3.10.2 chi mi t' ha morto?» e gran pianto facea. 3.10.3 «O Macometto, tu se' falso iddio; 3.10.4 non te ne 'ncresce di sua morte rea? 3.10.5 Che pensi tu? ch' onor più ti faccia io, 3.10.6 o ch' io t' adori nella tuo moschea?». 3.10.7 Meredïana in così fatto pianto 3.10.8 fece trovar tutte sue arme intanto. 3.11.1 Vennono arnesi perfetti e gambiere 3.11.2 subito innanzi a questa damigella; 3.11.3 di tutta botta lo sbergo e lamiere, 3.11.4 e la corazza provata era anch' ella, 3.11.5 elmetto e guanti e bracciali e gorgiere 3.11.6 (mai non si vide armadura sì bella), 3.11.7 e spada che già mai non fece fallo; 3.11.8 e così armata saltò in sul cavallo. 3.12.1 Gente non volle che l' accompagnasse: 3.12.2 uno scudiere a piè sol colla lancia. 3.12.3 E così par che in sul campo n' andasse, 3.12.4 se l' aütor della istoria non ciancia, 3.12.5 e come giunse, un bel corno sonasse 3.12.6 ch' avea d' avorio, come era la guancia. 3.12.7 Orlando disse a Manfredonio: «Io torno 3.12.8 alla battaglia, perch' io odo il corno». 3.13.1 Morgante presto assettava Rondello; 3.13.2 Orlando verso la dama ne gìa, 3.13.3 che vendicar voleva il suo fratello; 3.13.4 Morgante sempre alla staffa seguia. 3.13.5 Meridïana, come vide quello, 3.13.6 presto s' accorse che Brunoro sia. 3.13.7 Orlando giunse e diègli un bel saluto; 3.13.8 disse la dama: «Tu sia il mal venuto. 3.14.1 Se se' colui c' hai morto Lïonetto, 3.14.2 ch' era la gloria e l' onor di Levante, 3.14.3 per mille volte lo iddio Macometto 3.14.4 ti sconfonda, Apollino e Trivigante! 3.14.5 Sappi ch' a quel famoso giovinetto 3.14.6 non fu mai al mondo, o sarà, simigliante». 3.14.7 Orlando disse con parlare accorto: 3.14.8 «Io son colui che Lïonetto ho morto». 3.15.1 Disse la dama: «Non far più parole: 3.15.2 prendi del campo; io ne farò vendetta. 3.15.3 O Macometto crudel, non ti duole 3.15.4 che spento sia il valor della tuo setta? 3.15.5 Ché mai tal cavalier vedrà più il sole, 3.15.6 né rifarà così natura in fretta». 3.15.7 E rivoltò il destrier suo lacrimando; 3.15.8 così dall' altra parte fece Orlando. 3.16.1 Poi colle lance insieme si scontrorno: 3.16.2 il colpo della dama fu possente, 3.16.3 quando al principio l' aste s' appiccorno, 3.16.4 tanto ch' Orlando del colpo si sente. 3.16.5 Le lance al vento in più pezzi volorno, 3.16.6 e Rondel passa furïosamente 3.16.7 col suo signor, che tutto si scontorse 3.16.8 pel grave colpo che colei gli porse. 3.17.1 Orlando ferì lei di furia pieno: 3.17.2 giunse al cimier che 'n sull' elmetto avea, 3.17.3 e cadde col pennacchio in sul terreno: 3.17.4 l' elmo gli uscì, la treccia si vedea 3.17.5 che raggia come stelle per sereno, 3.17.6 anzi pareva di Venere iddea, 3.17.7 anzi di quella che è fatta un alloro, 3.17.8 anzi parea d' argento, anzi pur d' oro. 3.18.1 Orlando rise, e guardava Morgante, 3.18.2 e disse: «Andianne omai per la più piana. 3.18.3 Io credea pur qualche baron prestante 3.18.4 pugnassi qui per la dama sovrana: 3.18.5 per vagheggiar non venimo in Levante». 3.18.6 Ebbe vergogna assai Meridïana: 3.18.7 sanz' altro dir, colla suo chioma sciolta, 3.18.8 collo scudiere alla terra diè volta. 3.19.1 Manfredon disse, come e' vide Orlando: 3.19.2 «Dimmi, baron, come andò la battaglia?». 3.19.3 Orlando gli ripose sogghignando: 3.19.4 «Venne una donna coperta di maglia, 3.19.5 e perché l' elmo gli venni cavando, 3.19.6 su per le spalle la treccia sparpaglia. 3.19.7 Com' io conobbi che l' era la dama, 3.19.8 partito son per salvar la suo fama». 3.20.1 Lasciamo Orlando star col saracino, 3.20.2 e ritorniamo in Francia a Carlo Mano. 3.20.3 Carlo si stava pur molto tapino, 3.20.4 così il Danese, e lieto era sol Gano, 3.20.5 poi che non v' è più Orlando paladino; 3.20.6 ma sopra tutti il sir da Montalbano, 3.20.7 Astolfo, Avino, Avolio ed Ulivieri 3.20.8 piangevan questo, e così Berlinghieri. 3.21.1 Chimento un giorno, el messaggio, è tornato, 3.21.2 e inginocchiossi innanzi alla Corona, 3.21.3 dicendo: «Carlo, tu sia il ben trovato, 3.21.4 di cui tanto il gran nome e 'l pregio suona». 3.21.5 Rinaldo, che lo vide addolorato, 3.21.6 disse: «Novella non debbi aver buona»; 3.21.7 donde il messaggio disse lacrimando: 3.21.8 «Io ho trovato il tuo cugino Orlando». 3.22.1 E mentre che più oltre volea dire, 3.22.2 sì fatta tenerezza gli abbondava, 3.22.3 che e' non poté le parole finire, 3.22.4 quando i baroni intorno riguardava, 3.22.5 ch' Orlando ricordò nel suo partire, 3.22.6 e tramortito in terra si posava; 3.22.7 per che ciascuno allor giudica scorto 3.22.8 che 'l conte Orlando dovessi esser morto. 3.23.1 Dicea Rinaldo: «Caro cugin mio, 3.23.2 poi che tu se' di questa vita uscito, 3.23.3 sanza te, lasso, che farei più io?»; 3.23.4 ed Ulivier piangea tutto smarrito. 3.23.5 Carlo pregava umilemente Iddio 3.23.6 pel suo nipote, tutto sbigottito, 3.23.7 e maladia quel dì che di sua corte 3.23.8 e' si parti, ch' a Gan non diè la morte. 3.24.1 Piangeva il savio Namo di Baviera, 3.24.2 e Salamon ne facea gran lamento. 3.24.3 Bastò quel pianto per insino a sera, 3.24.4 ch' ognun pareva fuor del sentimento; 3.24.5 e Gan fingea con simulata cera. 3.24.6 Ma risentito alla fine Chimento 3.24.7 levossi e confortò costor, pregando 3.24.8 che non piangessin come morto Orlando, 3.25.1 dicendo: «Orlando sta di buona voglia»; 3.25.2 e tutti per sua parte salutòe. 3.25.3 «Io il trovai nel deserto di Girfoglia, 3.25.4 ch' a una fonte per caso arrivòe, 3.25.5 dove un altro corrier mi diè gran doglia 3.25.6 (ma nella fonte annegato restòe), 3.25.7 che lo mandava qui Gan traditore, 3.25.8 per far morire il roman sanatore». 3.26.1 Gridò Rinaldo: «Questo rinnegato 3.26.2 distrugge pure il sangue di Chiarmonte, 3.26.3 come tu vuoi, o Carlo mio impazzato». 3.26.4 Gan gli rispose con ardita fronte, 3.26.5 e disse: «Io son miglior in ogni lato 3.26.6 di te, Rinaldo, e del cugin tuo conte». 3.26.7 Rinaldo disse: «Per la gola menti, 3.26.8 ché mai non pensi se non tradimenti»; 3.27.1 e volle colla spada dare a Gano. 3.27.2 Gan si fuggì, ch' appunto il conosceva. 3.27.3 Bernardo da Pontier, suo capitano, 3.27.4 irato verso Rinaldo diceva: 3.27.5 «Rinaldo, tu se' uom troppo villano». 3.27.6 Allor Rinaldo addosso gli correva 3.27.7 e 'l capo dalle spalle gli spiccava 3.27.8 e tutti i Maganzesi minacciava. 3.28.1 I Maganzesi, veggendo il furore, 3.28.2 di subito la sala isgomberorno. 3.28.3 Carlo gridava: «Questo è troppo errore! 3.28.4 Rinaldo mette sozzopra ogni giorno 3.28.5 la corte nostra e fammi poco onore». 3.28.6 I paladini in questo mezzo entrorno, 3.28.7 e tutti quanti confortâr Rinaldo 3.28.8 ch' avessi pazïenza e stessi saldo. 3.29.1 Rinaldo dicea pur: «Questo fellone 3.29.2 non vo' che facci mai più tradimento. 3.29.3 O Carlo, Carlo, questo Ganellone 3.29.4 vedrai ch' un dì ti farà mal contento». 3.29.5 Carlo rispose: «Rinaldo d' Amone, 3.29.6 tempo è da operar sì fatto unguento: 3.29.7 a qualche fine ogni cosa comporto». 3.29.8 Disse Rinaldo: «Ch' Orlando sia morto: 3.30.1 a questo fine il comporti tu, Carlo, 3.30.2 e che distrugga te, la corte e 'l regno; 3.30.3 io voglio, il mio cugino, ire a trovarlo». 3.30.4 Ed Ulivier dicea: «Teco ne vegno». 3.30.5 Dodon pregò ch' e' dovessi menarlo, 3.30.6 dicendo: «Fammi di tal grazia degno», 3.30.7 Disse Rinaldo: «Tu credi ch' io andassi, 3.30.8 che 'l mio Dodon con meco non menassi?». 3.31.1 Chiamò Guicciardo, Alardo e Ricciardetto: 3.31.2 «Fate che Montalban sia ben guardato, 3.31.3 tanto ch' io truovi il cugin mio perfetto: 3.31.4 ognun sia presto là rappresentato, 3.31.5 ch' io ho de' traditor sempre sospetto, 3.31.6 e Gan fu traditor prima che nato; 3.31.7 non vi fidate se non di voi stesso, 3.31.8 e Malagigi getti l' arte spesso». 3.32.1 Rinaldo e 'l suo Dodone ed Ulivieri 3.32.2 da Carlo imperador s' accomiatorno; 3.32.3 e nel partirsi questi cavalieri 3.32.4 tre sopravveste verde s' acconciorno, 3.32.5 che in una lista rossa due cervieri 3.32.6 v' era, e con esse pel cammino entrorno: 3.32.7 era questa arme d' un gran saracino 3.32.8 disceso della schiatta di Mambrino. 3.33.1 Così vanno costoro alla ventura. 3.33.2 Usciron della Francia incontanente, 3.33.3 passoron della Spagna ogni pianura; 3.33.4 tra mezzodì ne vanno e tra ponente. 3.33.5 Lasciàngli andar, che Cristo sia lor cura, 3.33.6 e tratterem d' un saracin possente, 3.33.7 che inverso Barberia facea dimoro: 3.33.8 era gigante e chiamato Brunoro, 3.34.1 ovver cugin carnale, ovver fratello 3.34.2 del gran Morgante, ch' avea seco Orlando, 3.34.3 e Passamonte ed Alabastro, quello 3.34.4 ch' Orlando nel deserto uccise, quando 3.34.5 el santo abate riconobbe, e féllo 3.34.6 contento il parentado ritrovando. 3.34.7 Brunor, per far de' suo' fratei vendetta, 3.34.8 di Barberia s' è mosso con gran fretta 3.35.1 con forse trentamila ben armati 3.35.2 e tutti quanti usati a guerreggiare. 3.35.3 Alla badia ne vengon difilati 3.35.4 per far l' abate e' monaci sbucare; 3.35.5 e tanto sono a stracca cavalcati, 3.35.6 che cominciorno le mura a guardare; 3.35.7 e giunti alla badia, drento v' entraro, 3.35.8 ché contro a lor non vi fu alcun riparo, 3.36.1 e 'l domine messer lo nostro abate 3.36.2 la prima cosa missono in prigione. 3.36.3 Disse Brunoro: «Colle scorreggiate 3.36.4 uccider si vorrà questo ghiottone, 3.36.5 ma pur per ora in prigion lo cacciate; 3.36.6 riserberello a maggior punizione: 3.36.7 cagione è stato principale e mastro 3.36.8 che Passamonte è morto ed Alabastro». 3.37.1 Rinaldo in questo tempo alla badia 3.37.2 con Ulivieri e Dodone arrivava; 3.37.3 vide de' saracin la compagnia, 3.37.4 e del signor, chi fusse domandava. 3.37.5 Brunor rispose con gran cortesia: 3.37.6 «Io son desso io, e se ciò non vi grava, 3.37.7 ditemi ancor chi voi, cavalier, siete». 3.37.8 Disse Rinaldo: «Voi lo 'ntenderete. 3.38.1 Noi siàn là de' paesi del Soldano 3.38.2 pur cavalieri erranti e di ventura; 3.38.3 per la ragion come Ercol combattiàno. 3.38.4 Abbiamo avuto assai disavventura: 3.38.5 questo ci avvenne perché il torto avàno, 3.38.6 e la ragion pur ebbe suo misura; 3.38.7 nostri compagni, alcun n' è stato morto, 3.38.8 che, nol sappiendo, difendeano il torto». 3.39.1 Disse Brunoro: «Io mi fo maraviglia 3.39.2 che voi campassi, e per Dio mi vergogno 3.39.3 a dirvi quel che la mente bisbiglia: 3.39.4 voi siete armati in visïone o in sogno. 3.39.5 Se voi volete colla mia famiglia 3.39.6 mangiar, ché forse n' avete bisogno, 3.39.7 dismonterete, ed onor vi fie fatto, 3.39.8 e fate buono scotto per un tratto». 3.40.1 Disse Rinaldo: «Da mangiare e bere 3.40.2 accetto». Il re chiamava un saracino; 3.40.3 disse: «Costor son gente da godere; 3.40.4 e vanno combattendo il pane e 'l vino 3.40.5 e carne, quando e' ne possono avere; 3.40.6 non debbe bisognar dar loro uncino 3.40.7 o por la scala, ove aggiungon con mano; 3.40.8 dice che son cavalier del Soldano. 3.41.1 Se la ragione aspetta che costoro 3.41.2 l' aiutino, in prigion se n' andrà tosto, 3.41.3 s' avessi più avvocati, argento o oro, 3.41.4 o carte o testimon, che fichi agosto». 3.41.5 Dicea fra sé sorridendo Brunoro: 3.41.6 «A Ercol s' agguagliò quel ciuffalmosto, 3.41.7 o cavalier di gatta, o qualche araldo». 3.41.8 Ed ogni cosa intendeva Rinaldo. 3.42.1 «Truova cosa che faccin collezione, 3.42.2 se v' è reliquia, arcame o catrïosso 3.42.3 rimaso, o piedi o capi di cappone, 3.42.4 e dà pur broda e macco a l' uom ch' è grosso: 3.42.5 vedrai come egli scuffia, quel ghiottone, 3.42.6 che debbe come el can rodere ogn' osso. 3.42.7 Assèttagli a mangiare in qualche luogo, 3.42.8 e lascia i porci poi pescar nel truogo». 3.43.1 Rinaldo facea vista non udire 3.43.2 e non gustar quel che diceva quello: 3.43.3 non si voleva al pagano scoprire 3.43.4 per nessun modo, e fa del buffoncello. 3.43.5 Ecco di molta broda comparire 3.43.6 in un paiuol come si fa al porcello, 3.43.7 ed ossa dove i cani impazzerebbono, 3.43.8 e in Giusaffà non si ritroverrebbono. 3.44.1 Rinaldo cominciava a piluccare, 3.44.2 e trassesi di testa allor l' elmetto; 3.44.3 ma Ulivier non sel volle cavare, 3.44.4 così Dodon, ché stavon con sospetto; 3.44.5 per che Brunor, veggendogli imbeccare 3.44.6 per la visiera, guardava a diletto; 3.44.7 e comandava a un di sua famiglia 3.44.8 ch' a' lor destrier si traessi la briglia, 3.45.1 e fece dar lor biada e roba assai, 3.45.2 dicendo: «Questi pagheran lo scotto, 3.45.3 o l' arme lasceran con molti guai: 3.45.4 non mangeranno così a bertolotto». 3.45.5 Dicea Rinaldo: «Alla barba l' arai»; 3.45.6 e cominciò a mangiar com' un arlotto. 3.45.7 Ma quel sergente a chi fu comandato, 3.45.8 avea il caval di Dodon governato. 3.46.1 Poi governò dopo quel, Vegliantino, 3.46.2 ch' avea con seco menato il marchese; 3.46.3 poi se ne va a Baiardo il saracino; 3.46.4 e come il braccio alla greppia distese, 3.46.5 Baiardo lo ciuffòe com' un maschino 3.46.6 e 'n sulla spalla all' omero lo prese, 3.46.7 che lo schiacciò come e' fussi una canna, 3.46.8 tal che con bocca ne spicca una spanna. 3.47.1 Subito cadde quel famiglio in terra 3.47.2 e poi per grande spasimo morìo. 3.47.3 Disse Rinaldo: «Appiccata è la guerra: 3.47.4 lo scotto paghera' tu, mi credo io: 3.47.5 vedi che spesso il disegno altrui erra». 3.47.6 Quando Brunor questo caso sentìo, 3.47.7 disse: «Mai vidi il più fiero cavallo. 3.47.8 Io vo' che tu mel doni sanza fallo». 3.48.1 Rinaldo fece «Albanese, messere»; 3.48.2 disse: «Questo orzo mi par del verace». 3.48.3 Brunor diceva con un suo scudiere: 3.48.4 «Questo caval si vorrà, ché mi piace». 3.48.5 Rinaldo torna e riponsi a sedere, 3.48.6 e rimangiò com' un lupo rapace. 3.48.7 Un saracin, che ancor lui fame avea, 3.48.8 allato a lui a mangiar si ponea. 3.49.1 Rinaldo l' ebbe alla fine in dispetto, 3.49.2 però che diluviava a maraviglia 3.49.3 e cadegli la broda giù pel petto; 3.49.4 guardò più volte, e torceva le ciglia; 3.49.5 poi disse: «Saracin, per Macometto, 3.49.6 che tu se' porco o bestia che 'l somiglia! 3.49.7 Io ti prometto, s' tu non te ne vai, 3.49.8 farò tal giuoco che tu piagnerai». 3.50.1 Disse il pagan: «Tu debb' essere un matto, 3.50.2 poi che di casa mia mi vuoi cacciare». 3.50.3 Disse Rinaldo: «Tu vedrai bell' atto». 3.50.4 Il saracin non se ne vuole andare 3.50.5 e nel paiuol si tuffava all' imbratto. 3.50.6 Rinaldo non poté più comportare, 3.50.7 e 'l guanto si mettea nella man destra, 3.50.8 tal che gli fece smaltir la minestra; 3.51.1 ché gli appiccò in sul capo una sorba, 3.51.2 che come e' fussi una noce lo schiaccia: 3.51.3 non bisognò che con man vi si forba, 3.51.4 e morto nel paiuol quasi lo caccia, 3.51.5 tanto che tutta la broda s' intorba. 3.51.6 Dodon gridava al marchese: «Su, spaccia, 3.51.7 lieva su presto, la zuffa s' appicca»; 3.51.8 donde Ulivieri abandonò la micca. 3.52.1 Allora una brigata di que' cani 3.52.2 subito addosso corsono a Dodone, 3.52.3 e cominciossi a menarvi le mani. 3.52.4 Rinaldo vide appiccar la quistione 3.52.5 e in mezzo si scagliò di que' pagani 3.52.6 (così faceva Ulivier borgognone); 3.52.7 trasse dallato la spada sua bella, 3.52.8 ma presto brutta e sanguinosa félla. 3.53.1 Al primo che trovò la zucca taglia: 3.53.2 Dodone uccise un pagan molto ardito. 3.53.3 Brunor, veggendo avvïar la battaglia, 3.53.4 subito verso Rinaldo fu ito, 3.53.5 e disse: «Cavalier, se Iddio ti vaglia, 3.53.6 per che cagion se' tu stato assalito?»; 3.53.7 e gridò forte che ciascun s' arresti, 3.53.8 tanto che il caso a lui si manifesti. 3.54.1 Subito la battaglia s' arrestava. 3.54.2 Saper voleva ogni cosa Brunoro; 3.54.3 verso Rinaldo di nuovo parlava: 3.54.4 «Dimmi, baron, perché tu dài martoro 3.54.5 alla mia gente, che troppo mi grava?». 3.54.6 Disse Rinaldo: «Come san costoro, 3.54.7 non vo' mai noia quand' io sono a desco, 3.54.8 e sto, come 'l caval, sempre in cagnesco. 3.55.1 Venne a mangiar qua uno; io lo pregai 3.55.2 che se n' andassi, e non curò il mio dire: 3.55.3 mangiato non parea ch' avessi mai 3.55.4 ed ogni cosa faceva sparire. 3.55.5 Le frutte dopo al mangiar gli donai, 3.55.6 perché il convito s' avessi a fornire». 3.55.7 E mentre che e' dicea questo al pagano, 3.55.8 Frusberta sanguinosa tenea in mano. 3.56.1 Disse Brunor: «Poi che così mi conti, 3.56.2 di questo fatto se ne vuol far pace. 3.56.3 Non siate così tosto al ferir pronti. 3.56.4 Io t' ho fatto piacer: se non ti spiace, 3.56.5 i peccati commessi sieno sconti; 3.56.6 rimettete le spade, se vi piace». 3.56.7 Rimisson tutti allora il brando drento; 3.56.8 Brunor seguiva il suo ragionamento: 3.57.1 «Detto m' avete, s' io ho inteso bene, 3.57.2 che combattete sol per la ragione: 3.57.3 però d' un altro caso vi conviene 3.57.4 dirne con meco vostra oppinïone. 3.57.5 Dirovvi prima quel che s' appartiene, 3.57.6 e voi poi solverete la quistione; 3.57.7 se non, tu lascerai qui il tuo cavallo, 3.57.8 che ristorò dell' orzo il mio vassallo». 3.58.1 Disse Rinaldo: «Apparecchiato sono». 3.58.2 Brunoro allor gli raccontava il fatto: 3.58.3 «Questa badia s' è messa in abbandono 3.58.4 perché due miei frategli furno a un tratto 3.58.5 fatti morir sanza trovar perdono; 3.58.6 ond' io, sentendo sì tristo misfatto, 3.58.7 venuto sono a vendicargli, e preso 3.58.8 l' abate ho qui, da cui mi tengo offeso. 3.59.1 Se la ragion tu di' che suol' difendere, 3.59.2 tu doverresti aiutar me per certo, 3.59.3 ed a me par che tu mi voglia offendere: 3.59.4 onor t' ho fatto, aspettando buon merto». 3.59.5 Disse Rinaldo: «Falso è il tuo contendere; 3.59.6 io ti dirò quel ch' io ne 'ntendo, aperto: 3.59.7 con un sol bue io non son buon bifolco; 3.59.8 ma s' io n' ho due andrà diritto il solco. 3.60.1 Se due campane, l' una odi sonare 3.60.2 e l' altra no, chi può giudicar questo, 3.60.3 qual sia migliore? Io odo il tuo parlare; 3.60.4 vorrei da quello abate udire il resto». 3.60.5 Disse Brunoro: «E questo anco a me pare». 3.60.6 Venne l' abate appiccato al capresto, 3.60.7 e liberato fu della prigione 3.60.8 perché e' potessi dir la suo ragione. 3.61.1 Disse Brunoro: «Io ho detto a costui 3.61.2 l' oltraggio che da te ho ricevuto: 3.61.3 contato gli ho come diserto fui, 3.61.4 pe' tuoi consigli, da chi t' ha creduto. 3.61.5 Or tu le ragion tue puoi dire a lui, 3.61.6 che mi pare uom assai giusto e saputo». 3.61.7 Disse l' abate: «Or l' altra parte udite, 3.61.8 a voler ben giudicar nostra lite. 3.62.1 Io mi posavo in queste selve strane, 3.62.2 e' suoi frategli ogni dì mi facevano 3.62.3 a torto mille ingiurie assai villane, 3.62.4 e spesso i faggi e le pietre sveglievano; 3.62.5 hanno più volte rotte le campane, 3.62.6 e de' miei frati con esse uccidevano. 3.62.7 Convennemi alcun tempo comportarli, 3.62.8 ché forze non avea da contastarli. 3.63.1 Ma come piacque a quel Signor divino 3.63.2 ch' aiuta sempre ognun c' ha la ragione, 3.63.3 ci capitò un mio fratel cugino 3.63.4 il qual si chiama Orlando di Millone; 3.63.5 e come quel che è giusto paladino, 3.63.6 ebbe di me giusta compassïone, 3.63.7 e in su quel monte andò a trovar costoro 3.63.8 e con sua mano uccise due di loro; 3.64.1 e 'l terzo per suo amor si convertìe, 3.64.2 e con quel conte Orlando se n' andòe 3.64.3 verso Levante; e da me si partìe, 3.64.4 tanto che sempre ne sospireròe». 3.64.5 Quando Rinaldo le parole udìe, 3.64.6 molto d' Orlando si maravigliòe, 3.64.7 e non sapea rassettar nella mente 3.64.8 come l' abate fussi suo parente. 3.65.1 E cominciò così al pagano a dire: 3.65.2 «Or ti parrà che il solco va diritto, 3.65.3 or due campane si possono udire. 3.65.4 Tu mi parlavi simulato e fitto; 3.65.5 però, s' a questo non sai contraddire, 3.65.6 la mia sentenzia è data già in iscritto: 3.65.7 se vero è quel che l' abate m' ha porto, 3.65.8 egli ha ragione e tu, pagano, hai il torto. 3.66.1 E intendo di provar quel ch' io ti dico 3.66.2 a corpo a corpo, a piede o a cavallo, 3.66.3 perch' io son troppo alla ragione amico». 3.66.4 Disse il pagano: «E' si vorria impiccallo 3.66.5 con teco. Or guârti come mio nimico. 3.66.6 Tu debbi essere un ghiotto sanza fallo». 3.66.7 Disse Rinaldo: «Com' io sarò ghiotto, 3.66.8 tu mel saprai dir meglio al primo botto». 3.67.1 Disse Brunoro: «Noi faremo un patto: 3.67.2 che s' io ti vinco io vo' questo destriere; 3.67.3 ch' al primo so ti darò scaccomatto 3.67.4 con la pedona in mezzo lo scacchiere». 3.67.5 Disse Rinaldo: «Come vuoi sia fatto: 3.67.6 se tu m' abbatti, questo è ben dovere; 3.67.7 ed anco a scacchi ti potria dir reo, 3.67.8 ch' io fo i tua par ballar come 'l paleo. 3.68.1 Ma voglio un altro patto, se ti piace: 3.68.2 che s' io ti vincerò nella battaglia, 3.68.3 l' abate liber sia lasciato in pace 3.68.4 dalla tua gente sanz' altra puntaglia. 3.68.5 Così, se 'l mio pensier fussi fallace, 3.68.6 questo caval ch' io ho, coperto a maglia, 3.68.7 vo' che sia tuo; ma s' tu m' abbatterai, 3.68.8 a ogni modo che dich' io l' arai». 3.69.1 Poi che l' accordo così si fermava, 3.69.2 ognun quanto volea del campo tolse: 3.69.3 come Brunoro il suo destrier girava, 3.69.4 così Rinaldo Baiardo rivolse. 3.69.5 Il saracin la sua lancia abbassava, 3.69.6 sopra lo scudo di Rinaldo colse, 3.69.7 passollo tutto e pel colpo si spezza. 3.69.8 Rinaldo ferì lui con gran fierezza 3.70.1 e passagli lo scudo e l' armadura, 3.70.2 per mezzo al petto la lancia passava, 3.70.3 due braccia o più d' una buona misura 3.70.4 dall' altra parte sanguinosa andava; 3.70.5 e cadde rovesciato alla verzura, 3.70.6 l' anima nello inferno s' avvïava. 3.70.7 Gli altri pagani, veggendol morire, 3.70.8 Ulivier presto corsono assalire. 3.71.1 Rinaldo non avea rotta la lancia, 3.71.2 e 'l primo ch' egli scontra de' pagani, 3.71.3 gli passò la corazza e poi la pancia; 3.71.4 poi con Frusberta sgranchiava le mani. 3.71.5 Ed Ulivier, che è pur di que' di Francia, 3.71.6 que' saracini affetta come pani, 3.71.7 e sopra Vegliantino era salito, 3.71.8 e del diciotto teneva ogn' invito. 3.72.1 Allor Dodone all' abate correa, 3.72.2 il quale era legato molto stretto; 3.72.3 tagliò il capresto e le mani sciogliea. 3.72.4 L' abate presto si misse in assetto: 3.72.5 uno stangon dalla porta togliea, 3.72.6 ch' a un pagan levò il capo di netto; 3.72.7 poi nella calca in modo arrandellollo, 3.72.8 ch' a più di sei levò il capo dal collo. 3.73.1 I frati, ognun la cappa si cavava: 3.73.2 chi piglia sassi e chi stanga e chi mazza; 3.73.3 ognuno addosso a costor si cacciava, 3.73.4 molti uccidean di quella turba pazza. 3.73.5 Rinaldo tanti quel di n' affettava, 3.73.6 che in ogni luogo pel sangue si guazza: 3.73.7 a chi balzava il capo, a chi il cervello, 3.73.8 come si fa delle bestie al macello. 3.74.1 Ed Ulivier ch' aveva Durlindana, 3.74.2 tu de' pensar quel che facea di loro: 3.74.3 e' fece in terra di sangue una chiana. 3.74.4 Dodon pareva più bravo ch' un toro. 3.74.5 Missesi in fuga la gente pagana, 3.74.6 ché non potean più regger al martoro. 3.74.7 L' abate all' uscio per più loro angoscia 3.74.8 s' era arrecato, e nell' uscir fuor, croscia. 3.75.1 Subito la badia isgomberorno: 3.75.2 molti ne fecion saltar le finestre; 3.75.3 fino al deserto gli perseguitorno, 3.75.4 poi gli lasciorno alle fiere silvestre. 3.75.5 E' monaci la porta riserrorno, 3.75.6 e rassettârsi all' antiche minestre. 3.75.7 Poi, riposato, all' abate n' andava 3.75.8 Rinaldo presto e così gli parlava: 3.76.1 «Voi dite, abate, che siete cugino, 3.76.2 se bene ho inteso tal ragionamento, 3.76.3 d' Orlando nostro, degno paladino; 3.76.4 però di questo mi fate contento: 3.76.5 donde disceso siete, e in qual confino, 3.76.6 e che cagion vi condusse al convento?». 3.76.7 Disse l' abate: «Se saper t' è caro 3.76.8 quel che tu di', tu sarai tosto chiaro. 3.77.1 Io fui figliuol d' un figliuol di Bernardo, 3.77.2 che si chiamò dalla gente Ansuigi, 3.77.3 fratel d' Amone (e fu tanto gagliardo 3.77.4 ch' ancor la fama risuona in Parigi), 3.77.5 d' Ottone e Buovo, s' i' non son bugiardo. 3.77.6 E la cagion ch' io vesto or panni bigi, 3.77.7 fu dal Ciel prima giusta spirazione, 3.77.8 poi per conforto di papa Lïone». 3.78.1 Rinaldo, udendo contar la novella, 3.78.2 con molta festa lo corse abbracciare, 3.78.3 e ringraziava del cielo ogni stella; 3.78.4 e disse: «Abate, io non vi vo' celare, 3.78.5 poi che scacciata abbiam la gente fella, 3.78.6 il nome mio, ch' io nollo potre' fare, 3.78.7 tanta dolcezza supera la mente: 3.78.8 son come Orlando anch' io vostro parente. 3.79.1 Io son Rinaldo, e fui figliuol d' Amone; 3.79.2 e come a lui, a me cugino ancora 3.79.3 siete»; e piangeva per affezïone; 3.79.4 per che l' abate lo strigneva allora, 3.79.5 e mai non ebbe tal consolazione. 3.79.6 «O giusto Iddio, ch' ogni cristiano adora, 3.79.7 dopo tante altre grazie e lunga etate, 3.79.8 veggo Rinaldo mio», dicea l' abate, 3.80.1 «ed ho veduto il mio famoso Orlando, 3.80.2 benché del suo partir sia sconsolato; 3.80.3 nunc dimitte servum tuum, quando 3.80.4 omai ti piace, Signor mio beato». 3.80.5 Rinaldo allor soggiunse lacrimando: 3.80.6 «E questo è Ulivier, che è suo cognato; 3.80.7 questo è Dodone, il figliuol del Danese». 3.80.8 L' abate abbraccia e Dodone e 'l marchese. 3.81.1 I monaci facevon molta festa, 3.81.2 perché partito è il popol saracino 3.81.3 e che per grazia Iddio lor manifesta 3.81.4 che Rinaldo è dell' abate cugino. 3.81.5 Ma perch' io sento la terza richiesta 3.81.6 di ringraziar Chi ci scorge il cammino, 3.81.7 farò sempre al cantar quel ch' è dovuto. 3.81.8 Cristo vi scampi e sia sempre in aiuto.
CANTO IV
4.1.1 Gloria in excelsis Deo e in terra pace: 4.1.2 Padre e Figliuolo ed Ispirito santo, 4.1.3 benedicimus te, Signor verace, 4.1.4 laudamus te, Signor, con umil canto, 4.1.5 poi che per tua benignità ti piace 4.1.6 l' abate nostro qui consolar tanto, 4.1.7 e le mie rime accompagnar per tutto, 4.1.8 tanto che il fior produca alfin buon frutto. 4.2.1 Era nel tempo ch' ognun s' innamora 4.2.2 e ch' a scherzar comincian le farfalle; 4.2.3 e 'l sol, ch' avea passata l' ultima ora, 4.2.4 verso Murrocco chinava le spalle; 4.2.5 la luna appena corneggiava ancora, 4.2.6 de' monti l' ombra copriva ogni valle, 4.2.7 quando Rinaldo all' abate ritocca 4.2.8 che 'l nome suo non tenessi più in bocca. 4.3.1 Rispose: «Chiaramonte è il nome mio» 4.3.2 benignamente a Rinaldo l' abate. 4.3.3 Dopo alcun giorno, acceso dal desio, 4.3.4 disse Rinaldo: «Io vo' che voi ci diate 4.3.5 omai licenzia col nome di Dio: 4.3.6 io ho a Parigi mie gente lasciate, 4.3.7 perch' io non credo che 'l dì mai veggiamo 4.3.8 di ritrovar colui che noi cerchiamo». 4.4.1 L' abate, ch' era prudente e saputo, 4.4.2 disse: «Rinaldo, benché duol mi fia, 4.4.3 ché mai qui mi saresti rincresciuto, 4.4.4 credo che questo buon concetto sia. 4.4.5 Io son contento, poi ch' io t' ho veduto: 4.4.6 so che questa sarà la parte mia, 4.4.7 di rivedervi più, ch' egli è ragione; 4.4.8 però vi do la mia benedizione. 4.5.1 Se di vedere Orlando è il tuo pensiero, 4.5.2 vattene in pace, caro mio fratello; 4.5.3 Dio t' accompagni per ogni sentiero, 4.5.4 o come fece Tobia, Rafaello». 4.5.5 Disse Rinaldo: «Così priego e spero. 4.5.6 Rivedrenci nel Ciel su presso a Quello 4.5.7 che de' suoi servi arà giusta merzede, 4.5.8 che combatton qua giù per la suo fede». 4.6.1 Rinaldo si partì da Chiaramonte, 4.6.2 ed Ulivieri e Dodon, sospirando. 4.6.3 Va cavalcando per piano e per monte 4.6.4 per la gran voglia di vedere Orlando: 4.6.5 «Quando sarà quel dì, famoso conte», 4.6.6 dicea fra sé «ch' io ti rivegga? quando? 4.6.7 Non mi dorrà per certo poi la morte, 4.6.8 s' io ti ritruovo e riconduco in corte». 4.7.1 Era dinanzi Rinaldo a cavallo, 4.7.2 ed Ulivier lo seguiva e Dodone, 4.7.3 per uno oscuro bosco, sanza fallo, 4.7.4 dove si scuopre un feroce dragone 4.7.5 coperto di stran cuoio verde e giallo, 4.7.6 che combatteva con un gran lïone. 4.7.7 Rinaldo al lume della luna il vede, 4.7.8 ma che quel fussi drago ancor non crede. 4.8.1 Ed Ulivier più volte aveva detto, 4.8.2 sì come avvien chi cavalca di notte: 4.8.3 «Io veggo un fuoco appiè di quel poggetto: 4.8.4 gente debbe abitar per queste grotte». 4.8.5 Egli era quel serpente maladetto 4.8.6 che getta fiamme per bocca ta' dotte, 4.8.7 ch' una fornace pareva in calore 4.8.8 e tutto il bosco copria di splendore. 4.9.1 E il lïon par che con lui s' accapigli 4.9.2 e colle branche e co' denti lo roda, 4.9.3 ed or pel collo or nel petto lo pigli; 4.9.4 e 'l drago avvolta gli aveva la coda 4.9.5 e presol colla bocca e cogli artigli 4.9.6 per modo tal che da lui non si snoda; 4.9.7 e non pareva al lïone anco giuoco, 4.9.8 quando per bocca e' vomitava fuoco. 4.10.1 Baiardo cominciò forte annitrire, 4.10.2 come e' conobbe il serpente da presso; 4.10.3 Vegliantin d' Ulivier volea fuggire, 4.10.4 quel di Dodon si volge addrieto spesso, 4.10.5 ché 'l fiato del dragon si fa sentire. 4.10.6 Ma pur Rinaldo innanzi si fu messo, 4.10.7 e increbbegli di quel lïon, che perde 4.10.8 a poco a poco e rimaneva al verde; 4.11.1 e terminò di dargli alfin soccorso, 4.11.2 e che non fussi dal serpente morto. 4.11.3 Baiardo sprona e tempera col morso, 4.11.4 tanto che presso a quel drago l' ha porto, 4.11.5 che si studiava co' graffi e col morso 4.11.6 tal che condotto ha il lïone a mal porto; 4.11.7 ma invocò prima l' aiuto di sopra, 4.11.8 che cominciassi sì terribil opra. 4.12.1 Ed adorando sentiva una boce 4.12.2 che gli dicea: «Non temer, baron dotto, 4.12.3 del gran serpente rigido e feroce: 4.12.4 tosto sarà per tua mano al disotto». 4.12.5 Disse Rinaldo: «O Signor mio, che in croce 4.12.6 moristi, io ti ringrazio di tal motto»; 4.12.7 e trasse con Frusberta a quel dragone, 4.12.8 e mancò poco e' non détte al lïone. 4.13.1 Parve il lïon di ciò fusse indovino, 4.13.2 e quanto può dal serpente si spicca, 4.13.3 veggendosi in aiuto il paladino. 4.13.4 Frusberta addosso al dragon non s' appicca, 4.13.5 perché il dosso era più che d' acciaio fino; 4.13.6 trasse di punta, e 'l brando non si ficca, 4.13.7 che solea pur forar corazze e maglie, 4.13.8 sì dure aveva il serpente le scaglie. 4.14.1 Disse Rinaldo: «E' fia di Satanasso 4.14.2 il cuoio che 'l serpente porta addosso, 4.14.3 poi che di punta col brando nol passo 4.14.4 e che col taglio levar non ne posso»; 4.14.5 e lascia pur la spada andare in basso, 4.14.6 credendo a questo tagliare alfin l' osso. 4.14.7 Frusberta balza e faceva faville; 4.14.8 così de' colpi gli diè forse mille. 4.15.1 E quel lïon lo teneva pur fermo, 4.15.2 quasi dicessi: «S' io lo tengo saldo, 4.15.3 non arà sempre a ogni colpo schermo». 4.15.4 Ma poi che molto ha bussato Rinaldo 4.15.5 e conoscea che questo crudel vermo 4.15.6 l' offendea troppo col fiato e col caldo, 4.15.7 se gli accostava e prese un tratto il collo, 4.15.8 e spiccò il capo che parve d' un pollo. 4.16.1 Fuggito s' era Ulivieri e Dodone, 4.16.2 che i lor destrier non poteron tenere. 4.16.3 Come e' fu morto quel fiero dragone, 4.16.4 balzato il capo e caduto a giacere, 4.16.5 verso Rinaldo ne venne il lïone 4.16.6 e cominciava a leccare il destriere: 4.16.7 parea che render gli volessi grazia; 4.16.8 di far festa a Rinaldo non si sazia; 4.17.1 ed avviossi con esso alla briglia. 4.17.2 Rinaldo disse: «Virgin grazïosa, 4.17.3 poi che mostrata m' hai tal maraviglia, 4.17.4 ancor ti priego, Reina pietosa, 4.17.5 che mi dimostri onde la via si piglia, 4.17.6 per questa selva così paürosa, 4.17.7 di ritrovare Ulivieri e Dodone, 4.17.8 o tu mi fa fare scorta al lïone». 4.18.1 Parve che questo il lïone intendessi 4.18.2 e cominciava innanzi a caminare, 4.18.3 come se «Drieto mi verrai» dicessi. 4.18.4 Rinaldo si lasciava a lui guidare, 4.18.5 ché i boschi v' eran sì folti e sì spessi 4.18.6 che fatica era il sentiero osservare; 4.18.7 ma quel lïone appunto sa i sentieri, 4.18.8 e ritrovò Dodone ed Ulivieri. 4.19.1 Era Ulivier tutto malinconoso, 4.19.2 e del cavallo in terra dismontato; 4.19.3 così Dodone, e piangea doloroso, 4.19.4 e 'ndrieto inverso Rinaldo è tornato 4.19.5 per dar soccorso al paladin famoso; 4.19.6 ed Ulivieri aveva ragionato: 4.19.7 «Penso che morto Rinaldo vedremo 4.19.8 da quel serpente, e tardi giugneremo». 4.20.1 E non sapean ritrovare il cammino; 4.20.2 erano entrati in certe strette valli. 4.20.3 Ecco Rinaldo e 'l lïon già vicino: 4.20.4 maravigliossi, e cominciò a guardalli; 4.20.5 vide Ulivier non avea Vegliantino; 4.20.6 disse: «Costoro ove aranno i cavalli? 4.20.7 A qualche fiera si sono abbattuti, 4.20.8 dove egli aranno e' lor destrier perduti». 4.21.1 Ulivier quando Rinaldo vedeva, 4.21.2 non si può dir se pareva contento, 4.21.3 e disse: «Veramente io mi credeva 4.21.4 ch' omai tu fussi della vita spento»; 4.21.5 e poi ch' allato il lïone scorgeva 4.21.6 al lume della luna, ebbe spavento. 4.21.7 Disse Rinaldo: «Ulivier, non temere 4.21.8 che quel lïon ti facci dispiacere. 4.22.1 Sappi che morto è quel dragon crudele, 4.22.2 e liberato ho questo mio compagno, 4.22.3 che meco or vien come amico fedele, 4.22.4 ed aren fatto di lui buon guadagno: 4.22.5 prima che forse la luna si cele, 4.22.6 tratti ci arà questo lïon grifagno 4.22.7 del bosco e guideracci a buon cammino. 4.22.8 Ma dimmi, hai tu perduto Vegliantino?». 4.23.1 Ulivier si scusò con gran vergogna: 4.23.2 «Come tu fusti alle man col dragone, 4.23.3 i destrier ci hanno grattata la rogna 4.23.4 tra mille sterpi e per ogni burrone; 4.23.5 ognun voleva far quel che bisogna 4.23.6 per aiutarti, come era ragione, 4.23.7 ma ritener non gli potemo mai, 4.23.8 tanto che forse di noi ti dorrai. 4.24.1 Noi gli lasciamo presso a una fonte, 4.24.2 perché pur quivi si fermorno a bere: 4.24.3 quivi legati appiè gli abbiàn del monte, 4.24.4 ed or di te venavamo a sapere, 4.24.5 se rotta avevi al serpente la fronte 4.24.6 o da lui morto restavi a giacere». 4.24.7 Disse Rinaldo: «Pe' cavalli andiamo, 4.24.8 e tra noi scusa, Ulivier, non facciamo». 4.25.1 Ritrovorno ciascuno il corridore. 4.25.2 Dicea Rinaldo: «Or da toccar col dente 4.25.3 non credo che si truovi insin che fore 4.25.4 usciam del bosco o troviamo altra gente. 4.25.5 Così stessi tu, Carlo imperadore, 4.25.6 che vuoi ch' io vada pel mondo dolente! 4.25.7 Così stessi tu, Gan, com' io sto ora! 4.25.8 Ma forse peggio star ti farò ancora». 4.26.1 E così cavalcando con sospetto, 4.26.2 Rinaldo si dolea del suo destino; 4.26.3 e quel lïone innanzi va soletto, 4.26.4 sempre mostrando a costoro il cammino; 4.26.5 e poi ch' egli hanno salito un poggetto, 4.26.6 ebbon veduto un lume assai vicino; 4.26.7 ché in una grotta abitava un gigante, 4.26.8 ed un gran fuoco s' avea fatto avante. 4.27.1 Una capanna di frasche avea fatto, 4.27.2 ed appiccato a una sua caviglia 4.27.3 un cervio e della pelle l' avea tratto. 4.27.4 Sente i cavagli al pestare e la briglia: 4.27.5 subito prese la caviglia il matto, 4.27.6 come colui che poco si consiglia: 4.27.7 a Ulivieri, furioso più ch' orso, 4.27.8 addosso presto la bestia fu corso. 4.28.1 Ulivier vide quella mazza grossa 4.28.2 e del gigante la mente superba; 4.28.3 volle fuggirlo: intanto una percossa 4.28.4 giunse nel petto sì forte e sì acerba, 4.28.5 che, bench' avessi il baron molta possa, 4.28.6 di Vegliantin si trovava in sull' erba. 4.28.7 Rinaldo, quando Ulivier vide in terra, 4.28.8 non domandar quanto dolor l' afferra; 4.29.1 e disse: «Ribaldon, ghiotton da forche, 4.29.2 che mille volte so l' hai meritate! 4.29.3 Prima che sotto la luna si corche, 4.29.4 io ti meriterò di tal derrate». 4.29.5 Questo bestion con sue parole porche 4.29.6 disse: «A te non darò se non gotate; 4.29.7 che se' tu tratto del cervio all' odore? 4.29.8 Tu debbi essere un ghiotto o furatore». 4.30.1 Rinaldo, ch' avea poca pazïenza, 4.30.2 détte in sul viso al gigante col guanto, 4.30.3 e fu quel pugno di tanta potenza 4.30.4 che tutto quanto il mostaccio gli ha infranto, 4.30.5 dicendo: «Iddio non ci are' sofferenza». 4.30.6 Pure il gigante, rïavuto alquanto, 4.30.7 arrandellò la caviglia a Rinaldo, 4.30.8 ché d' altro che di sol gli vuol dar caldo. 4.31.1 Rinaldo il colpo schifò molto destro 4.31.2 e fe' Baiardo saltar come un gatto: 4.31.3 combatter co' giganti, era maestro; 4.31.4 sapeva appunto ogni lor colpo ed atto. 4.31.5 Parve il randello uscissi d' un balestro. 4.31.6 Rinaldo menò il pugno un altro tratto, 4.31.7 e fu sì grande questo mostaccione 4.31.8 che morto cadde il gigante boccone. 4.32.1 E poco men che non fe' come e' suole 4.32.2 il drago quando uccide il leofante 4.32.3 che non s' avvede, tanto è sciocco e fole, 4.32.4 che nel cader quello animal pesante 4.32.5 l' uccide, ché gli è sotto, onde e' si duole: 4.32.6 così Rinaldo a questo fu ignorante, 4.32.7 ché, quando e' cadde, il gigante gagliardo 4.32.8 ischiacciò quasi Rinaldo e Baiardo. 4.33.1 E con fatica gli uscì poi di sotto, 4.33.2 e bisognò che Dodon l' aiutassi. 4.33.3 Disse Rinaldo: «I' non pensai di botto 4.33.4 così il gigante in terra rovinassi; 4.33.5 ond' io n' ho quasi pagato lo scotto. 4.33.6 E' disse ch' a l' odor d' un cervio trassi: 4.33.7 alla sua capannetta andiamo un poco, 4.33.8 dove si vede colassù quel fuoco». 4.34.1 Allor tutti smontaron dell' arcione, 4.34.2 alla capanna furono avvïati; 4.34.3 vidono il cervio; diceva Dodone: 4.34.4 «Forse che mal non saren capitati». 4.34.5 Fece d' un certo ramo uno schidone. 4.34.6 Rinaldo intanto tre pani ha trovati 4.34.7 e pien di strana cervogia un barlotto, 4.34.8 e disse: «Il cervio mi sa di biscotto». 4.35.1 Erano i pan come un fondo di tino, 4.35.2 tanto ch' a dirlo pur, mi raccapriccio. 4.35.3 Disse Rinaldo: «Se ci è il pane e il vino, 4.35.4 ch' aspettian noi, Dodon? Qua sa d' arsiccio». 4.35.5 Dicea Dodone: «Aspetta un tal pochino, 4.35.6 tanto che lievi la crosta su il riccio». 4.35.7 Disse Rinaldo: «Più non l' arrostiàno, 4.35.8 ché 'l cervio molto cotto è poco sano». 4.36.1 Disse Dodone: «I' t' ho inteso, Rinaldo: 4.36.2 il gorgozzul ti debbe pizzicare: 4.36.3 se non è cotto, e' basta che sie caldo»; 4.36.4 e cominciorno del cervio a spiccare. 4.36.5 Rinaldo sel mangiava intero e saldo, 4.36.6 se non che la vergogna il fa restare; 4.36.7 e de' tre pan fece paura a uno, 4.36.8 ché col barlotto non beve a digiuno. 4.37.1 Poi che fu l' alba in levante apparita, 4.37.2 si dipartiron da quella capanna. 4.37.3 Dicea Dodon: «Questa fu buona gita, 4.37.4 poi che da ciel sopravvenne la manna 4.37.5 e quel gigante ha perduta la vita. 4.37.6 Vedi che pure ingannato è chi inganna: 4.37.7 quel bacalare, Ulivier, ti percosse 4.37.8 a tradimento; or si sta per le fosse». 4.38.1 Disceson di quel monte alla pianura 4.38.2 e il lor lïone innanzi pure andava. 4.38.3 Dicea Rinaldo: «Questa è gran ventura!» 4.38.4 ed Ulivier con lui se n' accordava; 4.38.5 tanto ch' usciron d' una valle oscura 4.38.6 ove poi nel dimestico s' entrava; 4.38.7 cominciono a veder casali e ville, 4.38.8 e sopra a' campanil gridar le squille. 4.39.1 E poco tennon più oltre il cammino, 4.39.2 che cominciorno a trovar de' pastori 4.39.3 presso a un fiume ch' era lor vicino, 4.39.4 e poi sentiron gran grida e romori: 4.39.5 Baiardo aombra, e così Vegliantino; 4.39.6 ed ecco uscir d' una valletta fuori 4.39.7 una gran turba che s' era fuggita, 4.39.8 ed a veder parea gente smarrita. 4.40.1 Rinaldo allora a Dio si raccomanda; 4.40.2 e intanto appresso s' accosta un pagano. 4.40.3 Allor Dodon di subito domanda: 4.40.4 «Che caso è questo, in questo luogo, strano, 4.40.5 che par che tanto romor qua si spanda? 4.40.6 Per cortesia, non voglia esser villano». 4.40.7 Rispose il saracin presto a Dodone: 4.40.8 «Io tel dirò; non è sanza cagione. 4.41.1 Del mio dir so che ti verrà pietade: 4.41.2 per una figlia nobile e serena 4.41.3 quasi è disabitata una cittade, 4.41.4 perch' una vipra crudel ci avvelena. 4.41.5 Il re Corbante, per la suo bontade, 4.41.6 la sua figliuola detta Forisena 4.41.7 a divorar vuol dare a questa fiera: 4.41.8 la sorte tocca a lei, vuol che lei pèra. 4.42.1 E di noi altri ha già mangiati assai: 4.42.2 ogni dì ne vuol due, sera e mattina». 4.42.3 «Dimmi», rispose Rinaldo «s' tu sai, 4.42.4 questa città come ella ci è vicina?». 4.42.5 Rispose il saracin: «Tu la vedrai 4.42.6 tosto, la terra misera e meschina; 4.42.7 ma guarda che tal gita non sia amara: 4.42.8 ella è qui presso e chiamasi Carrara. 4.43.1 Io ve n' avviso per compassïone 4.43.2 ch' io ho di voi, per Macometto iddio, 4.43.3 che voi non vi lasciate le persone, 4.43.4 poi che d' andarvi mostrate desio. 4.43.5 La città troverrete in perdizione 4.43.6 e molto mal contento il signor mio 4.43.7 per questa cruda fera e maladetta 4.43.8 che debbe divorar la giovinetta. 4.44.1 Come egli è dì, se ne viene alle porte; 4.44.2 se da mangiar non gli è portato tosto, 4.44.3 col tristo fiato ci conduce a morte: 4.44.4 convien ch' un uom gli pognàn là discosto. 4.44.5 Questa fanciulla gli è tocca la sorte, 4.44.6 e 'l padre suo di mandarla ha disposto; 4.44.7 il popol grida, e quella fiera rugge, 4.44.8 tanto ch' ognun per paura si fugge. 4.45.1 Credo che sia sol pe' nostri peccati, 4.45.2 perché Corbante uccise un suo fratello 4.45.3 che fu tra noi de' cavalier nomati 4.45.4 il più savio, il più giusto, forte e bello; 4.45.5 noi consentimo a tutti questi agguati; 4.45.6 però che il regno apparteneasi a quello, 4.45.7 la vipera è venuta a purgar certo 4.45.8 questo peccato e rendeci tal merto. 4.46.1 Ed è tra noi chi abbia oppinïone 4.46.2 che lo spirito suo drento vi sia, 4.46.3 in questa fiera, di questo garzone». 4.46.4 Disse Rinaldo: «Di tua cortesia 4.46.5 io ti ringrazio. Aiutivi Macone 4.46.6 da questa fiera, s' ella è tanto ria. 4.46.7 Ma dimmi, saracin, questa donzella, 4.46.8 come ella è giovinetta e s' ella è bella». 4.47.1 Disse il pagan: «Non domandar di questo, 4.47.2 ché non si vide mai cosa sì degna: 4.47.3 un atto dolce, angelico e modesto; 4.47.4 di virtù porta e di biltà la insegna; 4.47.5 ne' quindici anni entrata; e va' pel resto. 4.47.6 E 'l popol pur di camparla s' ingegna. 4.47.7 Se tu credessi quella bestia uccidere, 4.47.8 tu puoi far conto il reame dividere». 4.48.1 Disse Rinaldo: «Io non cerco reame: 4.48.2 io n' ho lasciati sette in mio paese. 4.48.3 Io mi diletto un poco delle dame: 4.48.4 se così bella è la figlia cortese, 4.48.5 a quella fiera taglierò le squame». 4.48.6 E poi si volse al famoso marchese, 4.48.7 e disse: «Andianne, ché la dama è nostra, 4.48.8 alla città che 'l saracin ci mostra». 4.49.1 Come e' furno in Carrara i paladini, 4.49.2 ognun volgeva a guardàgli le ciglia: 4.49.3 preson conforto tutti i saracini, 4.49.4 e del lïon ne prendean maraviglia. 4.49.5 Rinaldo giunse al palagio a' confini, 4.49.6 e salutò Corbante e poi la figlia. 4.49.7 Corbante disse: «Tu sia il ben venuto, 4.49.8 se per la fiera a dar mi vieni aiuto». 4.50.1 Allor Rinaldo rispose: «O Corbante, 4.50.2 il nome mio è il guerrier del lïone, 4.50.3 e credo in Apollino e in Trivigante; 4.50.4 e non vorrei, pel nostro iddio Macone, 4.50.5 avere a capitar certo in Levante, 4.50.6 poi ch' io senti' della tua passïone». 4.50.7 Quel disse forte, e quest' altro bisbiglia: 4.50.8 «Anzi, poi ch' io senti' della tua figlia». 4.51.1 Ulivier gli occhi alla donzella gira 4.51.2 mentre Rinaldo in questo modo parla; 4.51.3 subito pose al berzaglio la mira 4.51.4 e cominciò cogli occhi a saettarla, 4.51.5 e tuttavolta con seco sospira: 4.51.6 «Questa non è» dicea «carne da darla 4.51.7 a divorare alla fera crudele, 4.51.8 ma a qualche amante gentile e fedele». 4.52.1 Corbante aveva intanto così detto: 4.52.2 «Sia chi tu vuoi, o famoso guerriere, 4.52.3 basta sol che tu credi in Macometto. 4.52.4 Se tu credessi, gentil cavaliere, 4.52.5 uccider questa fiera, io ti prometto 4.52.6 di darti mezzo il reame e l' avere; 4.52.7 e se tu il vuoi ancor tutto, i' son contento, 4.52.8 pur che mi tragga fuor d' esto tormento. 4.53.1 Come tu vedi, la terra è condotta, 4.53.2 d' un bel giardino, spilonca o deserto. 4.53.3 La mia figliuola, s' appressa già l' otta 4.53.4 che morir dée sanza peccato o merto». 4.53.5 Ma Ulivier nella mente borbotta: 4.53.6 «Non mangerà sì bianco pan per certo 4.53.7 questo animal, ch' egli è pasto d' amanti, 4.53.8 se noi dovessim morir tutti quanti». 4.54.1 «Dimmi pur tosto qual sia il tuo pensiero», 4.54.2 diceva il re «ch' ella è presso alle mura, 4.54.3 ch' io sento il fiato incomportabil, fiero, 4.54.4 e voi il dovete sentir per ventura». 4.54.5 Disse Rinaldo: «Io non vo' regno o impero: 4.54.6 per gentilezza caccio e per natura; 4.54.7 e per amor della tua figlia bella 4.54.8 la vipera uccidren crudele e fella». 4.55.1 Ulivieri era un gentil damigello, 4.55.2 e tuttavia la fanciulla vagheggia. 4.55.3 Rinaldo l' occhio teneva al pennello; 4.55.4 con Ulivieri in francioso motteggia; 4.55.5 disse: «Il falcone ha cavato il cappello; 4.55.6 non so se starna ha veduta o acceggia; 4.55.7 ma parmi questo chiaro assai vedere, 4.55.8 che noi sarem due impronti a un tagliere». 4.56.1 Ulivier nulla rispose a Rinaldo; 4.56.2 abbassò gli occhi, che tenea sì fissi. 4.56.3 Corbante un bando mandò molto caldo, 4.56.4 che nessun più della terra partissi, 4.56.5 tanto che 'l popol comincia a star saldo. 4.56.6 Rinaldo volle così si seguissi; 4.56.7 e fece fare un guanto, s' io non erro, 4.56.8 coperto tutto di punte di ferro: 4.57.1 e prese poi da Corbante licenzia, 4.57.2 che gli fe' compagnia fino alla porta 4.57.3 con molta gente e con gran reverenzia; 4.57.4 poi gli diceva: «Io non son buona scorta. 4.57.5 Io ti ricordo tu abbi avvertenzia 4.57.6 alla tua vita», (e così lo conforta) 4.57.7 «e in ogni modo te salvar mi piace; 4.57.8 poi sia che vuol della fiera rapace». 4.58.1 Queste parole furon grate tanto, 4.58.2 che se l' affisse Rinaldo nel core; 4.58.3 e disse: «Il capo arrecarti mi vanto 4.58.4 in ogni modo, cortese signore: 4.58.5 la tua benedizion mi dà col guanto; 4.58.6 conforta il popol tuo per nostro amore». 4.58.7 Corbante il benedì pietosamente 4.58.8 priega Iddio per lui divotamente. 4.59.1 Ed Ulivieri ancor fece orazione, 4.59.2 raccomandossi al Salvator divino. 4.59.3 Dinanzi andava il feroce lïone: 4.59.4 verso la fiera teneva il cammino; 4.59.5 drieto seguiva Rinaldo e Dodone. 4.59.6 Era a vedere il popol saracino, 4.59.7 chi in sulle mura e chi presso alle porte, 4.59.8 desiderando all' animal la morte. 4.60.1 E la fanciulla nobile e serena 4.60.2 era salita in sur una bertesca. 4.60.3 Disse Rinaldo: «Vedi Forisena, 4.60.4 o Ulivier, che di te par gl' incresca: 4.60.5 amore è quel ch' a vederti lei mena». 4.60.6 Ulivier disse: «La danza rinfresca! 4.60.7 Tu hai disposto di darmi oggi noia: 4.60.8 attendiam pur che questa fiera muoia». 4.61.1 Dicea Rinaldo: «Sarai tu sì crudo 4.61.2 che tu non guardi questa damigella? 4.61.3 Tu non saresti d' accettar per drudo. 4.61.4 Che crederres' tu far, se la donzella 4.61.5 avessi in braccio per tua targia o scudo? 4.61.6 Atterreresti tu la fiera, o quella?». 4.61.7 Disse Ulivier: «Tu se' pur per le ciance, 4.61.8 e qua sa d' altro già che melarance». 4.62.1 E come e' disse questo, il lïon mostra 4.62.2 il serpente che fuoco vomitava. 4.62.3 Disse Ulivier: «Questa è la dama nostra, 4.62.4 e di vederla, Rinaldo, mi grava». 4.62.5 Disse Rinaldo: «O Ulivier, qui giostra 4.62.6 Venere e Marte»; e di nuovo cianciava. 4.62.7 La vipera crudel tosto si rizza 4.62.8 e fuoco e tòsco per bocca gli schizza. 4.63.1 Parea che l' aria e la terra s' accenda. 4.63.2 Rinaldo aveva spugna con aceto, 4.63.3 e tutti, perché il fiato non gli offenda. 4.63.4 E disse: «O animal poco discreto, 4.63.5 che pensi tu che noi siàn tua merenda, 4.63.6 poi che tu vieni in qua contra divieto?». 4.63.7 E detto questo, del cavallo scese, 4.63.8 e così fece Dodone e 'l marchese. 4.64.1 Non fu prima smontato di Baiardo, 4.64.2 ch' a Dodon giunse l' animal addosso: 4.64.3 déttegli un morso sì fiero e gagliardo, 4.64.4 che l' arme gli schiacciò, la carne e l' osso. 4.64.5 Dodon gridava: «Omè lasso, ch' i' ardo! 4.64.6 Aiutami, Ulivier, ché più non posso!»; 4.64.7 e cadde tramortito e stramazzato 4.64.8 subito in terra pel morso e pel fiato. 4.65.1 Ulivier tardi aiutarlo si mosse, 4.65.2 e a Dodon non poté dar soccorso. 4.65.3 Adunque il primo ch' assaggia si cosse; 4.65.4 ed anco ci è per un compagno un morso, 4.65.5 perché il serpente un tratto il capo scosse, 4.65.6 e poi pigliava Ulivier com' un torso, 4.65.7 e per ventura alla gamba s' appicca 4.65.8 e i denti tutti nell' arme gli ficca. 4.66.1 E' si sentì l' arnese sgretolare, 4.66.2 che non isgretolò mai osso cane; 4.66.3 e poi pel braccio lo volle ciuffare. 4.66.4 Ma Ulivieri adopera le mane, 4.66.5 ch' avea quel guanto Rinaldo fe' fare, 4.66.6 e non è tempo a questo a dar del pane 4.66.7 o dir che san Donnin gli alleghi i denti, 4.66.8 che converrà pur che facci altrimenti. 4.67.1 Missegli il guanto e la man nella strozza, 4.67.2 però che molto lo sgrida Rinaldo, 4.67.3 tanto che tutto il serpente lo 'ngozza, 4.67.4 e strinse; ed Ulivier lo tenne saldo, 4.67.5 e colla spada la testa gli mozza. 4.67.6 Ma nel morir, pel fetor e pel caldo 4.67.7 Ulivier cadde tramortito in terra: 4.67.8 ma il capo del serpente non si sferra, 4.68.1 ché nel finir la bocca in modo strinse, 4.68.2 ch' Ulivier trar non ne poté la mano. 4.68.3 Rinaldo tutto nel viso si tinse, 4.68.4 e sferrar lo credette a mano a mano; 4.68.5 ma non potea, tanto il dolor lo vinse 4.68.6 del tristo caso d' Ulivieri e strano. 4.68.7 Pur tante volte la spada v' accocca, 4.68.8 che gliel cavò con fatica di bocca. 4.69.1 Ma quel lïon ch' egli avevan menato, 4.69.2 si stette sempre di mezzo a vedere, 4.69.3 perché, se fussi d' alcun domandato 4.69.4 di questo fatto, il voleva sapere. 4.69.5 Era Dodon già di terra levato, 4.69.6 ma Ulivier pur si stava a giacere. 4.69.7 I saracin corrien fuor della porta, 4.69.8 faccendo festa che la fiera è morta. 4.70.1 Venne Corbante con molta brigata 4.70.2 a veder come questo fatto era ito; 4.70.3 vede la bestia in terra rovesciata; 4.70.4 vede Dodon sanguinoso ferito; 4.70.5 vede Ulivier colla mano affocata, 4.70.6 che morto gli parea, non tramortito; 4.70.7 vede la terra, per la fiera, arsiccia, 4.70.8 della qual cosa assai si raccapriccia; 4.71.1 vede la testa del fiero dragone, 4.71.2 che gli parve a veder mirabil cosa; 4.71.3 vede Rinaldo turbato e Dodone, 4.71.4 perch' Ulivieri in terra si riposa. 4.71.5 Ebbe di questo gran compassïone; 4.71.6 vedevagli la gamba sanguinosa, 4.71.7 e non sapea con che parole o gesti 4.71.8 si condolessi o ringraziassi questi. 4.72.1 Abbracciò infin Rinaldo lacrimando, 4.72.2 e poi Dodon, dicendo: «Baron degni, 4.72.3 come potrò mai ristorarvi, o quando? 4.72.4 Da Macon credo che tal grazia vegni, 4.72.5 che in queste parte vi venne mandando. 4.72.6 Ecco, la vita e tutti i nostri regni 4.72.7 e la corona con lo scettro nostro, 4.72.8 disposto sono ogni cosa sia vostro. 4.73.1 Ma sempre piangerò se questo è morto, 4.73.2 che par sì degno e gentil cavalieri». 4.73.3 Disse Rinaldo: «Re, datti conforto, 4.73.4 ché pianger di costui non fa mestieri. 4.73.5 Il tuo parlare assai ci mostra scorto 4.73.6 che tu sia grato e giusti i tuo pensieri. 4.73.7 La tua corona e 'l regno l' accettiamo, 4.73.8 e come nostro a te lo ridoniamo». 4.74.1 Non aveva Rinaldo appena detto, 4.74.2 ch' Ulivier cominciossi a risentire; 4.74.3 e risentito, e 'l re veggendo appetto, 4.74.4 e tanta gente, cominciò a stupire 4.74.5 come chi nuove cose per oggetto 4.74.6 vede in un punto e non sa che si dire; 4.74.7 ma a poco a poco rivocò la vita, 4.74.8 ed ogni ammirazion fu disparita. 4.75.1 E 'l popolo era orrore e maraviglia 4.75.2 veggendo quel c' han fatto i paladini. 4.75.3 Era venuta per veder, la figlia 4.75.4 del re Corbante con que' saracini, 4.75.5 che 'l sol quando è più lucente simiglia, 4.75.6 e tutti gli atti suoi paion divini; 4.75.7 ed Ulivier questa donzella guarda, 4.75.8 che non s' accorge ancor che 'l suo cor arda. 4.76.1 Il re Corbante al popol comandava 4.76.2 ch' a la città portato sia il serpente; 4.76.3 e poi Rinaldo per la man pigliava 4.76.4 e torna alla città colla suo gente; 4.76.5 e come e' giunse alla terra, ordinava 4.76.6 di lasciar parte d' un tanto accidente 4.76.7 al secol nuovo; e quella fiera morta 4.76.8 col capo fe' appiccar sopra la porta; 4.77.1 e lettere scolpite in marmo, d' oro, 4.77.2 «Nel tal tempo» dicea «qui capitorno 4.77.3 tre paladini» (e scrisse i nomi loro, 4.77.4 perché in secreto gliel manifestorno) 4.77.5 «che liberaro il popol da martoro 4.77.6 per questa fiera a cui morte donorno», 4.77.7 ch' era apparita là mirabilmente 4.77.8 e divorava tutta la suo gente; 4.78.1 e come il giorno alla fanciulla bella 4.78.2 toccava di dover morir per sorte, 4.78.3 che i tre baron vi capitorno in sella, 4.78.4 che liberata l' avean dalla morte. 4.78.5 Per lunghi tempi si potea vedella, 4.78.6 la storia, e l' animal, sopra le porte, 4.78.7 che così morto faceva paura 4.78.8 a chi voleva entrar dentro alle mura. 4.79.1 E nel palagio Rinaldo menòe 4.79.2 e grande onor gli fece e lietamente; 4.79.3 e medici trovava e comandòe 4.79.4 che medicassin diligentemente 4.79.5 Ulivieri e Dodon, ché bisognòe, 4.79.6 ch' ognun più giorni del suo mal si sente. 4.79.7 E Forisena intanto, come astuta, 4.79.8 dell' amor d' Ulivier s' era avveduta. 4.80.1 E perché Amor mal volentier perdona 4.80.2 che e' non sia alfin sempre amato chi ama, 4.80.3 e non saria sua legge giusta o buona 4.80.4 di non trovar merzé chi pur la chiama, 4.80.5 né giusto sire il buon servo abandona; 4.80.6 poi che s' accorse questa gentil dama 4.80.7 come per lei si moriva il marchese, 4.80.8 subito tutta del suo amor s' accese; 4.81.1 e cominciò cogli occhi a rimandare 4.81.2 indrieto a Ulivier gli ardenti dardi 4.81.3 ch' Amor sovente gli facea gittare 4.81.4 acciò che solo un foco due cori ardi. 4.81.5 Venne a vederlo un giorno medicare 4.81.6 e salutòl con amorosi sguardi, 4.81.7 ché le parole fur ghiacciate e molle, 4.81.8 ma gli occhi pronti assai, come Amor volle. 4.82.1 Quando Ulivier sentì che Forisena 4.82.2 lo salutò così timidamente, 4.82.3 fu la sua prima incomportabil pena 4.82.4 fuggita, ch' altra doglia al suo cor sente, 4.82.5 l' alma di dubbio e di speranza piena; 4.82.6 ma confirmato assai pur nella mente 4.82.7 d' essere amato dalla damigella, 4.82.8 perché chi ama assai, poco favella. 4.83.1 Videgli ancor, poi che più a lui s' accosta, 4.83.2 il viso tutto diventar vermiglio, 4.83.3 e brieve e rotta e fredda la proposta 4.83.4 nel condolersi del crudele artiglio 4.83.5 dell' animal che per lei car gli costa, 4.83.6 e vergognosa rabbassare il ciglio: 4.83.7 questo gli détte massima speranza, 4.83.8 ché così degli amanti è sempre usanza. 4.84.1 Ella avea detto: «Il mio crudo destino, 4.84.2 i fati e 'l Cielo e la spietata sorte, 4.84.3 o qual si fussi altro voler divino, 4.84.4 m' avean condotta a sì misera morte. 4.84.5 Tu venisti in Levante, paladino, 4.84.6 mandato certo della etterna corte, 4.84.7 a liberarmi, e per te sono in vita: 4.84.8 dunque io mi dolgo della tua ferita». 4.85.1 Queste parole avean passato il core 4.85.2 a Ulivieri, e pien sì di dolcezza, 4.85.3 che mille volte ne ringrazia Amore, 4.85.4 perché conobbe la gran gentilezza. 4.85.5 Are' voluto innanzi al suo signore 4.85.6 morir, ché poco la vita più prezza, 4.85.7 e poco men che non disse nïente; 4.85.8 pur gli rispose vergognosamente: 4.86.1 «Io non fe' cosa mai sotto la luna, 4.86.2 che d' aver fatto io ne sia più contento: 4.86.3 s' io t' ho campata da sì rea fortuna, 4.86.4 tanta dolcezza nel mio cor ne sento, 4.86.5 che mai più simil ne senti' alcuna. 4.86.6 So che t' incresce d' ogni mio tormento: 4.86.7 altro duol ci è, che chiama altro conforto. 4.86.8 Così m' avessi quella fiera morto!». 4.87.1 Intese bene allor quelle parole 4.87.2 la gentil dama e drento al cor le scrisse, 4.87.3 sì presto insegna Amor nelle suo scole; 4.87.4 e fra se stessa sospirando disse: 4.87.5 «E di questo anco altro tuo duol mi duole: 4.87.6 forse non era il me' che tu morisse. 4.87.7 Non sarò ingrata a sì fedele amante, 4.87.8 ch' io non son di dïaspro o d' adamante». 4.88.1 Partissi Forisena sospirando, 4.88.2 ed Ulivier rimase tutto afflitto, 4.88.3 della ferita sua più non curando, 4.88.4 ché da più crudo artiglio era trafitto. 4.88.5 Guardò Rinaldo, e quasi lacrimando 4.88.6 non poté a lui tener l' occhio diritto, 4.88.7 e disse: «Vero è pur che l' uom non possa 4.88.8 celar per certo l' amore e la tossa. 4.89.1 Come tu vedi, caro fratel mio, 4.89.2 amor pur preso alfin m' ha co' suo' artigli; 4.89.3 non posso più celar questo desio, 4.89.4 non so che farmi o che partito pigli. 4.89.5 Così sia maladetto il giorno ch' io 4.89.6 vidi costei. Che fo? Che mi consigli?». 4.89.7 Disse Rinaldo: «Se mi crederrai, 4.89.8 di questo loco ti dipartirai. 4.90.1 Lascia la dama, marchese Ulivieri: 4.90.2 non fu di vagheggiar nostra intenzione, 4.90.3 ma di trovare il signor del quartieri»; 4.90.4 e 'l simigliante diceva Dodone: 4.90.5 «Tanto si cerchi per tutti i sentieri, 4.90.6 che noi troviamo il figliuol di Millone». 4.90.7 Ulivier consentia contra sua voglia, 4.90.8 ché lasciar Forisena avea gran doglia. 4.91.1 E poi che fu dopo alcun dì guarito, 4.91.2 così Dodone, insieme s' accordaro 4.91.3 lasciar Corbante per miglior partito, 4.91.4 e che si facci de' lor nomi chiaro, 4.91.5 sì che e' possi saper chi l' ha servito; 4.91.6 ed oltre a questo ancor diliberaro 4.91.7 tentar se il re volessi battezzarsi 4.91.8 col popol suo e tutti cristian farsi. 4.92.1 Avea Corbante fatti torniamenti 4.92.2 e giostre e balli e feste alla moresca 4.92.3 per onorar costor colle sue genti; 4.92.4 ed ogni dì nuove cose rinfresca, 4.92.5 perché partir da lui possin contenti. 4.92.6 Ma Ulivier, pur par che 'l suo amor cresca. 4.92.7 Finalmente Rinaldo un dì chiamava 4.92.8 il re Corbante e in tal modo parlava: 4.93.1 «Serenissimo re», fu il suo latino 4.93.2 «perché da te ci tegnamo onorati», 4.93.3 (questo gli disse in parlar saracino) 4.93.4 «sempre di te ci sarem ricordati. 4.93.5 E poi ch' egli è così voler divino 4.93.6 che i nomi nostri ti sien palesati, 4.93.7 io son Rinaldo, e fui figliuol d' Amone, 4.93.8 bench' io m' appelli il guerrier del lïone; 4.94.1 e questo è Ulivier, ch' ha tanta fama, 4.94.2 e cognato è del nostro conte Orlando; 4.94.3 costui Dodon, figliuol d' Uggier, si chiama, 4.94.4 che venne Macometto già adorando. 4.94.5 Or, per seguir più oltre nostra trama, 4.94.6 così pel mondo ci andian tapinando 4.94.7 perché di corte Orlando s' è partito, 4.94.8 né ritrovar possiam dove e' sia gito. 4.95.1 Detto ci fu che qua verso Levante 4.95.2 era venuto, da un nostro abate, 4.95.3 e ch' egli aveva con seco un gigante: 4.95.4 cercando andian drieto alle sue pedate. 4.95.5 Or ti dirò più oltre, o re Corbante: 4.95.6 perché pur Macometto qua adorate, 4.95.7 siete perduti, e il vero Iddio è il nostro, 4.95.8 che del vostro peccar gran segno ha mostro. 4.96.1 Non apparì questo animal crudele 4.96.2 sanza permissïon del nostro Iddio 4.96.3 a divorare il popolo infedele. 4.96.4 Ma perch' Egli è pietoso e giusto e pio, 4.96.5 t' ha liberato da sì amaro fele 4.96.6 perché tu lasci Macon falso e rio. 4.96.7 Fa che conosca questo benificio, 4.96.8 sanza aspettar da lui maggior giudicio; 4.97.1 lascia Apollino e gli altri vani iddei, 4.97.2 e torna al nostro padre benedetto, 4.97.3 e Belfagorre e mille farisei; 4.97.4 battezza il popol tuo che è maladetto. 4.97.5 Di ciò molte ragion t' assegnerei, 4.97.6 ma tu se' savio e intendi con effetto: 4.97.7 so che conosci ben che quel dragone 4.97.8 non apparì qua a te sanza cagione. 4.98.1 Ogni cosa ti avvien pe' tuo' peccati. 4.98.2 Tu se' il pastor che gli altri déi guardare, 4.98.3 e molto più di te sono scusati. 4.98.4 Non t' ha voluto Cristo abbandonare: 4.98.5 vedi ch' a tempo qua fumo mandati, 4.98.6 ché la tua figlia ha voluta salvare. 4.98.7 Dunque ritorna alla sua santa fede 4.98.8 di quello Iddio ch' ebbe di te merzede». 4.99.1 Parve che Iddio ispirassi il pagano, 4.99.2 e rispose piangendo, e così disse: 4.99.3 «Dunque tu se' il signor di Montalbano, 4.99.4 al qual simil già mai nel mondo visse! 4.99.5 E questo è Ulivier, ch' udito abbiàno 4.99.6 nomar già tanto! Il vostro Iddio permisse 4.99.7 che voi venissi certo, e non Macone»; 4.99.8 ed abbracciògli, e così ancor Dodone. 4.100.1 E pianse i suo' peccati amaramente, 4.100.2 e disse: «Io veggo in quanto lungo errore 4.100.3 istato son con tutta la mia gente; 4.100.4 e così il nostro etterno Salvatore 4.100.5 per molte vie allumina la mente 4.100.6 e desta in qualche modo il peccatore; 4.100.7 e spesso d' un gran mal nasce un gran bene, 4.100.8 ch' ogni giudicio pel peccato viene». 4.101.1 Corbante fece venir Forisena 4.101.2 e disse ancora a lei chi son costoro 4.101.3 che l' avean liberata d' ogni pena; 4.101.4 e poi mandò per tutto il concestoro, 4.101.5 tanto che presto la sala fu piena, 4.101.6 parata tutta di be' drappi ad oro; 4.101.7 poi salì in sedia e fe' tale orazione, 4.101.8 che tutto il popol volse a sua intenzione. 4.102.1 E fece battezzar piccoli e grandi; 4.102.2 per tutto il regno suo fu ordinato 4.102.3 ch' ognun seguissi i suo' precetti e bandi. 4.102.4 E poi ch' ognun così fu battezzato, 4.102.5 la fama par che per tutto si spandi 4.102.6 de' tre baron che vi son capitato; 4.102.7 ma i nomi lor, quanto Rinaldo volle, 4.102.8 celò Corbante a tutto il popol folle. 4.103.1 E riposârsi alquanto a lor diporto, 4.103.2 e tutta la città facea gran festa, 4.103.3 tanto del vero Iddio preson conforto, 4.103.4 della sua grazia e della suo potèsta; 4.103.5 come nell' altro dir vi sarà porto, 4.103.6 dove la storia sarà manifesta. 4.103.7 E priego il Re della gloria infinita 4.103.8 che vi dia pace e gaudio e requie e vita.
CANTO V
5.1.1 Pura colomba piena d' umiltade, 5.1.2 in cui discese il nostro immenso Iddio 5.1.3 a prender carne con umanitade, 5.1.4 giusto, santo, verace, etterno e pio, 5.1.5 donami grazia, per la tuo bontade, 5.1.6 ch' io possi seguitar il cantar mio, 5.1.7 pel tuo Iosef e Giovacchino ed Anna 5.1.8 e per Colui che nacque alla capanna. 5.2.1 Rinaldo e 'l suo Dodone e 'l gran marchese 5.2.2 gran festa fanno co' nuovi cristiani, 5.2.3 e battezzato è già tutto il paese 5.2.4 del re Corbante e' suo' primi pagani; 5.2.5 ed Ulivier per la dama cortese 5.2.6 ogni dì fa mille pensieri strani, 5.2.7 ed ora in torniamenti ed ora in giostra 5.2.8 per piacere a costei gran forza mostra. 5.3.1 E benché assai lo pregassi Rinaldo, 5.3.2 non si sapeva accomiatare ancora, 5.3.3 ché la donzella lo teneva saldo, 5.3.4 come àncora la nave tien per prora. 5.3.5 Quanto è più offeso, il foco è poi più caldo: 5.3.6 così più sempre Ulivier s' innamora 5.3.7 quanto Rinaldo il partir più sollecita, 5.3.8 ed ogni scusa gli pareva lecita. 5.4.1 Quando fingea non esser ben guarito, 5.4.2 quando fingea qualche altra malattia 5.4.3 (e dicea il ver, ch' egli è nel cor ferito), 5.4.4 quando pregava, quando promettia: 5.4.5 «Doman ci partirem, preso ho partito». 5.4.6 Lasciàn costor, nel nome di Maria, 5.4.7 ed Ulivier così morire amando, 5.4.8 e ritorniamo ove io lasciai Orlando. 5.5.1 Meridïana, la dama gentile, 5.5.2 manda a saper se volea la battaglia 5.5.3 a corpo a corpo, con almo virile. 5.5.4 Orlando dice: «Io non vesto di maglia 5.5.5 per contastare una femmina vile 5.5.6 ch' i' prezzo men ch' un bisante o medaglia»; 5.5.7 sì che per questo e pel suo Lïonetto 5.5.8 troppo si duol costei di Macometto, 5.6.1 dicendo: «Almen facessimi morire, 5.6.2 poiché sprezzata son da quel villano, 5.6.3 che mai più ebbe cavaliere ardire 5.6.4 combatter meco colla lancia in mano». 5.6.5 Ma in questo tempo si facea sentire 5.6.6 la fama del signor di Montalbano, 5.6.7 come Corbante avea seco un barone 5.6.8 che si chiamava il guerrier del lïone; 5.7.1 e ch' egli era uom ch' avea molto potere, 5.7.2 e come morto ha il serpente feroce. 5.7.3 Meredïana a un suo messaggiere 5.7.4 impose e disse ch' andassi veloce 5.7.5 al re Corbante e faccigli assapere 5.7.6 come per tutto è vulgata la boce 5.7.7 di questo cavalier che è tanto forte, 5.7.8 il qual con seco teneva in sua corte; 5.8.1 e come Manfredonio alla suo terra 5.8.2 ha posto il campo con crudele assedio 5.8.3 e tuttavia con suo gente la serra, 5.8.4 e non ha ignun, per tenerla più a tedio, 5.8.5 ch' a corpo a corpo con lei voglia guerra: 5.8.6 che gli dovessi mandar per rimedio 5.8.7 questo guerrier ch' avea tanta possanza, 5.8.8 pel parentado antico ed amistanza; 5.9.1 però che già per tutto l' Orïente 5.9.2 la fama di costui molto sonava. 5.9.3 Il messaggier n' andò subitamente: 5.9.4 al re Corbante si rappresentava, 5.9.5 e spose la 'mbasciata saviamente. 5.9.6 Per che Corbante a Rinaldo parlava, 5.9.7 come il re Carador quel messo manda 5.9.8 e la sua figlia a lui si raccomanda. 5.10.1 «Se tu credessi da questo martoro 5.10.2 liberar la donzella, io ti conforto» 5.10.3 dicea Corbante «andare a Caradoro; 5.10.4 però ch' io so che Manfredonio ha il torto, 5.10.5 ed ha menato tutto il concestoro. 5.10.6 Forse, se fia da te punito e morto, 5.10.7 re Caradoro si battezzeràe 5.10.8 come ho fatto io e Cristo adoreràe». 5.11.1 Rinaldo dall' abate prima intese 5.11.2 che in quel paese avea mandato Orlando. 5.11.3 Rispose: «A Manfredon» molto cortese 5.11.4 «la testa leverò con questo brando, 5.11.5 o re Corbante, ch' a sì giuste imprese 5.11.6 sarò sempre disposto a tuo comando». 5.11.7 Dicea Corbante: «Caradoro è antico 5.11.8 parente nostro e discreto all' amico». 5.12.1 Disse Rinaldo: «Or rispondi al valletto 5.12.2 che per amor di te ne son contento; 5.12.3 ed ho speranza, e così gli prometto, 5.12.4 di salvar la sua gente fuori e drento; 5.12.5 e Manfredonio il campo a suo dispetto 5.12.6 leverà presto, e le bandiere al vento». 5.12.7 Corbante il ringraziò benignamente 5.12.8 delle parole che sì grate sente; 5.13.1 e poi si volse al messo saracino: 5.13.2 «Dirai che volentier la impresa piglia, 5.13.3 a Caradoro, questo paladino; 5.13.4 e del suo ardir si farà maraviglia 5.13.5 sia chi si vuol del popol d' Apollino, 5.13.6 ch' a nessun questo volgerà la briglia; 5.13.7 se fussi Orlando, quel c' ha tanta fama, 5.13.8 nol temerebbe: così di' alla dama. 5.14.1 Vedi il lïon che tuttavia l' aspetta; 5.14.2 non è baron di cui nel mondo dótti. 5.14.3 Vedi que' due che son là di sua setta: 5.14.4 questi fanno assai fatti e pochi motti». 5.14.5 Il messaggier si dipartiva in fretta 5.14.6 (Corbante disse che e' voli e non trotti), 5.14.7 tanto che presto tornò a Caradoro 5.14.8 e referì come e' vengon costoro, 5.15.1 e che parea quel guerrier del lïone 5.15.2 un uom molto famoso in vista e forte, 5.15.3 e d' Ulivier diceva e di Dodone: 5.15.4 «Non è baron, Caradoro, in tua corte 5.15.5 da metterlo con questi al paragone. 5.15.6 Corbante dice che tu ti conforte, 5.15.7 perché colui che si chiama il guerriere 5.15.8 non temerebbe Orlando in sul destriere». 5.16.1 Rinaldo da Corbante accommiatossi, 5.16.2 e molte offerte fece al re pagano, 5.16.3 che sempre sare' suo, dovunque e' fossi; 5.16.4 né anco il re Corbante fu villano 5.16.5 alla risposta; e così si son mossi 5.16.6 e benedetti e baciati la mano; 5.16.7 ed Ulivieri avea potuto appena 5.16.8 «Addio», piangendo, dire a Forisena. 5.17.1 La qual veggendo partire Ulivieri, 5.17.2 avea più volte con seco disposto 5.17.3 di seguitarlo e fatti stran pensieri; 5.17.4 né poté più il suo amor tener nascosto; 5.17.5 e la condusse quel bendato arcieri, 5.17.6 per veder quanto Ulivier può discosto, 5.17.7 a un balcone, e l' arco poi disserra, 5.17.8 tanto che questa si gittava a terra. 5.18.1 El padre suo, che la novella sente, 5.18.2 corse a vederla e giunse ch' era morta. 5.18.3 Alla sua vita non fu sì dolente; 5.18.4 e intese ben quel che 'l suo caso importa, 5.18.5 e come Amore è quel che lo consente; 5.18.6 e se non fusse alcun che lo conforta, 5.18.7 e chi la man e chi il braccio gli piglia, 5.18.8 uccider si volea sopra la figlia; 5.19.1 e dicea: «Lasso, quanto fui contento 5.19.2 quel dì che morta l' aspra fera vidi, 5.19.3 ed or tanto dolor nel mio cor sento! 5.19.4 E così vuogli, Amor, così mi guidi: 5.19.5 ogni dolcezza volta m' hai in tormento. 5.19.6 O mondo, tu non vuoi che in te mi fidi! 5.19.7 Lasciato m' hai, o misera Fortuna, 5.19.8 afflitto vecchio e sanza speme alcuna». 5.20.1 Fece il sepulcro a modo de' cristiani 5.20.2 e missevi la bella Forisena, 5.20.3 e lettere intagliò colle suo mani: 5.20.4 come fu liberata d' ogni pena 5.20.5 da tre baron di paesi lontani, 5.20.6 e come a morte il suo distin la mena 5.20.7 pur finalmente come piacque Amore, 5.20.8 nel dipartirsi il suo caro amadore. 5.21.1 Non si può tôr quel che 'l Ciel pur distina, 5.21.2 e 'l mondo col suo dolce ha sempre amaro. 5.21.3 Questa fanciulla così peregrina, 5.21.4 il troppo amare alfin gli costa caro. 5.21.5 Ed Ulivier pe' boschetti cammina, 5.21.6 e non sa quel che gli sare' discaro, 5.21.7 e chiama Forisena notte e giorno; 5.21.8 e 'n questo modo più dì cavalcorno. 5.22.1 Un giorno in un crocicchio d' un burrone 5.22.2 hanno trovato un vecchio molto strano, 5.22.3 tutto smarrito, pien d' afflizïone: 5.22.4 non parea bestia e non pareva umano. 5.22.5 Rinaldo gli venìa compassïone: 5.22.6 «Chi fia costui?» fra sé diceva piano; 5.22.7 vedea la barba arruffata e canuta: 5.22.8 raccapricciossi, e dappresso il saluta. 5.23.1 E' gli rispose faccendo gran pianto, 5.23.2 per modo ch' a Rinaldo ne 'ncrescea: 5.23.3 «Per la bontà dello Spirito santo, 5.23.4 abbi pietà della mia vita rea: 5.23.5 uscir di questo bosco non mi vanto 5.23.6 se non m' aiuti»; (e del tristo facea) 5.23.7 «lasciami un poco in sul cavallo andare, 5.23.8 per quello Iddio che ti può ristorare». 5.24.1 Rinaldo disse: «Molto volentieri, 5.24.2 ché tu mi par', vecchierel, mezzo morto»; 5.24.3 e subito si getta del destrieri 5.24.4 perché e' vi monti e pigliassi conforto. 5.24.5 Intanto vien Dodone ed Ulivieri; 5.24.6 Rinaldo dice questo fatto scorto. 5.24.7 Disse Dodon: «Tu se' molto cortese»; 5.24.8 e del caval, per aiutarlo, scese. 5.25.1 Rinaldo tien Baiardo per la briglia 5.25.2 e Dodon piglia questo vecchio antico. 5.25.3 Baiardo allor mostrò gran maraviglia 5.25.4 e 'l vecchio schifa come suo nimico. 5.25.5 Rinaldo strette le redine piglia 5.25.6 e Dodon pure aiuta come amico. 5.25.7 Baiardo allor più le redine scuote 5.25.8 ed or col capo or co' calci percuote. 5.26.1 Ma poi che pur si lasciò cavalcare, 5.26.2 quel vecchierel come e' fussi una foglia 5.26.3 teneal a briglia e faceval tremare, 5.26.4 poi correr lo facea contra suo voglia. 5.26.5 Disse Rinaldo a Dodon: «Che ti pare? 5.26.6 Io dubito che mal non ce ne coglia. 5.26.7 Il vecchio corre e non mi pare or lasso, 5.26.8 che non parea da dovere ir di passo. 5.27.1 Dismonta, o Ulivier, di Vegliantino». 5.27.2 Ulivieri scendeva da cavallo; 5.27.3 Rinaldo drieto pigliava il cammino 5.27.4 a questo vecchio e comincia a sgridallo: 5.27.5 «Aspetta! Tu ti fuggi, can meschino, 5.27.6 sì che tu credi in tal modo ruballo». 5.27.7 Ma nulla par che con quel vecchio avanzi, 5.27.8 che sempre più gli spariva dinanzi; 5.28.1 e Vegliantin sudava per l' affanno 5.28.2 e va pel bosco che pare uno strale. 5.28.3 Disse Rinaldo: «Vedrai bello inganno, 5.28.4 ché questo vecchio par che metta l' ale; 5.28.5 io fui pur matto ed aròmene il danno»; 5.28.6 e chiama e grida, ma poco gli vale: 5.28.7 colui correva come un leopardo, 5.28.8 anzi più forte, s' egli avea Baiardo. 5.29.1 Ma po' ch' egli ebbe a suo modo beffato 5.29.2 Rinaldo, alfin se gli para davante 5.29.3 e in su 'n un passo del bosco ha aspettato. 5.29.4 Vegliantin tanto mostrava le piante 5.29.5 che lo giugneva, e Rinaldo è infocato. 5.29.6 Disse Malgigi: «Che farai, brigante?». 5.29.7 Quando Rinaldo sentiva dir questo, 5.29.8 lo riconobbe alla favella presto; 5.30.1 e disse: «Tu fai pur l' usanza antica: 5.30.2 tu m' hai fatto pensar di strane cose 5.30.3 e dato a Vegliantin molta fatica». 5.30.4 Allor Malgigi in tal modo rispose: 5.30.5 «Tu non sai ancora, innanzi ch' io tel dica, 5.30.6 di questo testo, Rinaldo, le chiose». 5.30.7 Dodone in questo e 'l marchese giugnevano 5.30.8 e Malagigi lor riconoscevano. 5.31.1 Gran festa fecion tutti a Malagigi 5.31.2 d' averlo in luogo trovato sì strano. 5.31.3 Disse Malgigi: «Io parti' da Parigi 5.31.4 e feci l' arte un giorno a Montalbano. 5.31.5 Volli saper tutti i vostri vestigi: 5.31.6 vidi savate in paese lontano 5.31.7 e che portato avate assai periglio 5.31.8 e bisognava ed aiuto e consiglio. 5.32.1 Per questa selva ove condotti siete 5.32.2 non troverresti da mangiar né bere 5.32.3 e sanza me campati non sarete. 5.32.4 Di questa barba vi conviene avere, 5.32.5 che vi torrà e la fame e la sete; 5.32.6 vuolsene in bocca alle volte tenere»; 5.32.7 e détte loro un' erba e disse: «Questa 5.32.8 usate insino al fin della foresta». 5.33.1 Mangiaron tutti quanti volentieri 5.33.2 dell' erba che Malgigi aveva detto 5.33.3 e missonne poi in bocca anco a' destrieri, 5.33.4 ch' era ciascun dalla sete costretto. 5.33.5 Disse Malgigi: «Per questi sentieri 5.33.6 serbatene, vi dico, per rispetto; 5.33.7 e' destrier sempre troverran dell' erba, 5.33.8 ma questa per la sete si riserba. 5.34.1 Non vi bisogna d' altro dubitare. 5.34.2 Con Manfredonio è il roman sanatore, 5.34.3 Orlando, e presto il potrete trovare». 5.34.4 E dette molte cose, un corridore 5.34.5 subito fece per arte formare, 5.34.6 tanto ch' ognun gli veniva terrore; 5.34.7 ché, mentre ragionare altro voliéno, 5.34.8 apparì quivi bianco un palafreno. 5.35.1 Disse Malgigi: «Caro mio fratello, 5.35.2 to'ti Baiardo tuo, ch' io son fornito». 5.35.3 Rinaldo guarda quel caval sì bello, 5.35.4 e dicea: «Questo fatto come è ito?». 5.35.5 Malgigi presto montò sopra quello 5.35.6 e fu da lor come strale sparito; 5.35.7 a tutti prima toccava la mano, 5.35.8 e ritornò in tre giorni a Montalbano. 5.36.1 Dumila miglia, al nostro modo, o piùe, 5.36.2 era da Montalban, si truova scritto, 5.36.3 dal luogo dove accomiatato fue. 5.36.4 Rinaldo el suo fratel lasciava afflitto, 5.36.5 e molte volte ha chiamato Gesùe 5.36.6 che lo conduca per sentier diritto. 5.36.7 E già sei giorni cavalcato avia 5.36.8 drieto al lïon che mostra lor la via. 5.37.1 Il sesto dì questo baron gagliardo 5.37.2 in uno oscuro bosco è capitato. 5.37.3 Sente in un punto fermarsi Baiardo, 5.37.4 vede il lïon che 'l pelo avea arricciato 5.37.5 e che faceva molto fero sguardo, 5.37.6 e Vegliantin parea tutto aombrato, 5.37.7 e 'l caval di Dodon volea fuggire, 5.37.8 e raspa e soffia e comincia annitrire. 5.38.1 Disse Rinaldo: «O Iddio, che sarà questo? 5.38.2 Questi cavalli han veduta qualche ombra». 5.38.3 Intanto un gran romor si sente presto, 5.38.4 che le lor mente di paura ingombra: 5.38.5 ecco apparire un uom molto foresto; 5.38.6 correndo, el bosco attraversava e sgombra; 5.38.7 e fece a tutti una vecchia paura, 5.38.8 ché mai si vide più sozza figura. 5.39.1 Egli avea il capo che parea d' un orso, 5.39.2 piloso e fiero; e' denti come zanne, 5.39.3 da spiccar netto d' ogni pietra un morso; 5.39.4 la lingua tutta scagliosa e le canne; 5.39.5 un occhio avea nel petto a mezzo il torso, 5.39.6 ch' era di fuoco e largo ben duo spanne; 5.39.7 la barba tutta arricciata e' capegli; 5.39.8 gli orecchi parean d' asino a vedegli; 5.40.1 le braccia lunghe, setolute e strane, 5.40.2 e 'l petto e 'l corpo piloso era tutto; 5.40.3 avea gli unghion ne' piedi e nelle mane, 5.40.4 ché non portava i zoccol per l' asciutto, 5.40.5 ma ignudo e scalzo abbaia com' un cane: 5.40.6 mai non si vide un mostro così brutto; 5.40.7 e in man portava un gran baston di sorbo 5.40.8 tutto arsicciato, nero come un corbo. 5.41.1 Questo una buca sotterra avea fatto 5.41.2 e sopra quella forato un gran masso; 5.41.3 quivi si stava e nascondeva, il matto; 5.41.4 verso la strada avea forato il sasso 5.41.5 e per un bucolin traea di piatto 5.41.6 e molta gente saettava al passo: 5.41.7 facea degli uomin micidial governo, 5.41.8 e chiamato era il mostro da l' inferno. 5.42.1 Rinaldo, quando apparir lo vedia, 5.42.2 diceva a Ulivieri: «Hai tu veduto 5.42.3 costui, che certo la versiera fia?» 5.42.4 Disse Ulivieri: «Iddio ci sia in aiuto! 5.42.5 Credo più tosto sia la Befanìa, 5.42.6 o Belzebù che ci sarà venuto». 5.42.7 Guardava il petto e la terribil faccia 5.42.8 e 'l baston lungo più di dieci braccia. 5.43.1 Questo animal venìa gridando forte 5.43.2 e come l' orso adirato co' cani; 5.43.3 ispezza i rami e' pruni e le ritorte 5.43.4 con quel baston, co' piedi e colle mani. 5.43.5 Disse Dodon: «Sare' questa la Morte, 5.43.6 che ci assalissi in questi boschi strani? 5.43.7 Se tu ragguardi, Rinaldo, i vestigi, 5.43.8 de' compagnon mi par di Malagigi». 5.44.1 Disse Rinaldo: «Non temer, Dodone: 5.44.2 se fussi ben la Morte o 'l Trentamila, 5.44.3 lascial venire a me questo ghiottone, 5.44.4 ch' a peggior tela ho stracciate le fila». 5.44.5 Intanto quella bestia alza il bastone 5.44.6 e inverso di Rinaldo si difila. 5.44.7 Rinaldo punse Baiardo in su' fianchi 5.44.8 acciò che 'l suo disegno a colui manchi. 5.45.1 Dallato si scagliò come un cervietto; 5.45.2 giunse la mazza e détte il colpo in fallo. 5.45.3 Rinaldo intanto si misse in assetto: 5.45.4 corsegli addosso presto col cavallo, 5.45.5 déttegli un urto e colselo nel petto 5.45.6 per modo che sozzopra fe' cascallo; 5.45.7 e nel cader questo animale strano 5.45.8 forte abbaiava come un cane alano. 5.46.1 Dodon, che vide quel diavol cadere, 5.46.2 diceva a Ulivier: «Corriàgli addosso 5.46.3 acciò che non si lievi da giacere». 5.46.4 Disse Rinaldo: «Ignun non si sia mosso! 5.46.5 Tìrati addrieto e statevi a vedere, 5.46.6 ch' io non sono uso mai d' esser riscosso». 5.46.7 In questo l' uom salvatico si rizza 5.46.8 col sorbo, pien di furore e di stizza; 5.47.1 e scaricava un colpo in sulla testa 5.47.2 per modo tal, che se giugnea Rinaldo, 5.47.3 e' gli bastava solamente questa 5.47.4 e non sentia mai più freddo né caldo. 5.47.5 Rinaldo non aspetta la richiesta, 5.47.6 ché come argento vivo stava saldo: 5.47.7 or qua or là facea saltar Baiardo, 5.47.8 avendo sempre al protino riguardo. 5.48.1 Pareva un lïoncin quand' egli scherza, 5.48.2 che salta in qua e in là destro e leggieri; 5.48.3 alcuna volta menava la ferza, 5.48.4 poi risaltava che pare un levrieri. 5.48.5 Era già l' ora passata di terza, 5.48.6 e pur Dodon dicea con Ulivieri: 5.48.7 «Io temo sol Rinaldo non si stracchi, 5.48.8 tanto ch' un tratto quel baston l' ammacchi». 5.49.1 Colui non par che si curi un pistacchio 5.49.2 perché Frusberta gli levi del pelo, 5.49.3 e pure attende a scaricare il bacchio, 5.49.4 e la spada del prenze torna al cielo. 5.49.5 Misericordia! di questo batacchio 5.49.6 aiuta, Iddio, chi crede nel Vangelo! 5.49.7 Quel baston pare un albero di nave, 5.49.8 arsiccio, duro e nocchieruto e grave. 5.50.1 Avean già combattuto insino a nona 5.50.2 Rinaldo e quel dïavolo incantato. 5.50.3 Rinaldo gli ha frappata la persona 5.50.4 e molto sangue in terra avea gittato 5.50.5 e tuttavia con Frusberta lo suona. 5.50.6 Un tratto quel baston è giù calato; 5.50.7 Rinaldo per disgrazia gli era sotto 5.50.8 e non poteva fuggir questo botto. 5.51.1 Attraversò la spada per coprire 5.51.2 il capo, ché del colpo ebbe riprezzo; 5.51.3 giunse il bastone: or qui volle alcun dire 5.51.4 già che Rinaldo gliel tagliò sol mezzo, 5.51.5 ma poi si ruppe il resto nel colpire; 5.51.6 chi dice che di netto il mandò al rezzo; 5.51.7 donde e' s' è fatta gran disputazione, 5.51.8 come quel fatto andassi del bastone; 5.52.1 ma questo a giudicar, vuol buon gramatico, 5.52.2 s' egli tagliò tutta o mezza la mazza. 5.52.3 Quel maladetto e ruvido e salvatico 5.52.4 ed aspro più che 'l sorbo che e' diguazza, 5.52.5 arrandellò quel tronco come pratico: 5.52.6 détte a Rinaldo una percossa pazza, 5.52.7 tanto che cadde, e dipoi si fuggìa: 5.52.8 ma Ulivier lo segue tuttavia. 5.53.1 Trasse la spada, che par che riluca 5.53.2 più che non fece mai raggio di stella, 5.53.3 acciò che 'l cuoio con essa gli sdruca. 5.53.4 Questa fera bestial, crudele e fella, 5.53.5 si fuggì come il tasso nella buca. 5.53.6 Ulivier si rimase in su la sella 5.53.7 e ritornossi dove era caduto 5.53.8 Rinaldo, che già s' era rïavuto. 5.54.1 Disse Rinaldo: «Vedes' tu mai tordo 5.54.2 ch' avessi come ebb' io della ramata? 5.54.3 Costui pensò di guarirmi del sordo, 5.54.4 se fussi rïuscito la pensata». 5.54.5 Disse Dodon: «Quand' io me ne ricordo, 5.54.6 io triemo ancor di quella randellata. 5.54.7 Che hai tu fatto di lui, Ulivieri? 5.54.8 Tu gli corresti drieto col destrieri». 5.55.1 Disse Ulivieri: «Egli è nato di granchi: 5.55.2 egli entrò in una buca sotto un masso 5.55.3 mentre ch' io gli ero colla spada a' fianchi, 5.55.4 o e' si tornò in inferno a Satanasso». 5.55.5 Intanto colui par ch' un arco branchi 5.55.6 ed uno stral cavò d' un suo turcasso, 5.55.7 avvelenato, e fessi al bucolino 5.55.8 e trasse e détte in piè a Vegliantino: 5.56.1 e se non fussi che giunse al calcagno 5.56.2 quanto poté più basso, all' unghia morta, 5.56.3 non bisognava medico né bagno. 5.56.4 Disse Rinaldo: «In pace te lo porta: 5.56.5 co' pazzi sempre fu poco guadagno. 5.56.6 Il mio lïon non ci fa buona scorta». 5.56.7 Poi, non veggendo ond' egli avessi tratto, 5.56.8 ognun restava come stupefatto. 5.57.1 Disse Rinaldo: «A quel sasso mi mena, 5.57.2 Ulivier, dove tu il vedesti entrare. 5.57.3 Veggiam se questa bestia da catena 5.57.4 si potessi alla trappola pigliare; 5.57.5 ch' io so ch' io gli darò le frutte a cena, 5.57.6 s' io lo dovessi col fuoco sbucare». 5.57.7 Salì sopra Baiardo e insieme andorno: 5.57.8 e come al munimento funno intorno, 5.58.1 colui ch' è drento assetta lo scoppietto 5.58.2 e stava al bucolin quivi alla posta: 5.58.3 trasse uno strale a Rinaldo nel petto, 5.58.4 che si pensò di passargli ogni costa; 5.58.5 ma la corazza a ogni cosa ha retto. 5.58.6 Rinaldo allor dalla buca si scosta, 5.58.7 e disse: «Costì ancor non se' sicuro 5.58.8 se 'l sasso più che pòrfir fussi duro. 5.59.1 Poi che tu m' hai saettato, ribaldo, 5.59.2 e randellato, che mai più non fue 5.59.3 gittato in terra in tal modo Rinaldo. 5.59.4 io ti gastigherò, pel mio Gesùe». 5.59.5 E così tutto di tempesta caldo 5.59.6 con ambo man Frusberta alzava sùe; 5.59.7 rizzossi in sulle staffe e 'l brando striscia, 5.59.8 che lo facea fischiar come una biscia, 5.60.1 tanto che l' aria e la terra rimbomba: 5.60.2 e' si sentiva a un suon fioco e 'nterrotto, 5.60.3 come quando esce il sasso della fromba: 5.60.4 are' quel colpo ogni adamante rotto; 5.60.5 giunse in sul masso sopra della tomba 5.60.6 e féssel tutto come un cacio cotto; 5.60.7 partì il cervello e 'l capo e 'nsino al piede 5.60.8 al crudel mostro; e sciocco è chi nol crede. 5.61.1 Le schegge di quel sasso a mille a mille 5.61.2 balzorno in qua e in là come è usanza, 5.61.3 e tutta l' aria s' empié di faville. 5.61.4 Disse Dodone: «O Iddio, tanta possanza 5.61.5 non ebbe Ettorre o quel famoso Achille, 5.61.6 quanto ha costui ch' ogni lor forza avanza». 5.61.7 La spada un braccio sotterra ficcossi 5.61.8 e Baiardo pel colpo inginocchiossi. 5.62.1 A gran fatica poté poi ritrarre 5.62.2 Rinaldo, tanto fitta era, la spada, 5.62.3 e disse: «Tu credevi che le sbarre 5.62.4 non ti tenessin, mascalzon di strada? 5.62.5 Chi si diletta di truffe e di giarre 5.62.6 così convien che finalmente vada. 5.62.7 De' tuo' peccati penitenzia hai fatta: 5.62.8 così fo sempre a ogni bestia matta». 5.63.1 Dodon guardava nella buca e vede 5.63.2 tutto fesso per lato quel ghiottone 5.63.3 dal capo insin giù per le gambe al piede 5.63.4 e stupì tutto per ammirazione, 5.63.5 dicendo: «Iddio, de' tuoi servi hai merzede! 5.63.6 Questo stato non è sanza cagione: 5.63.7 a qualche fine tal segno hai dimostro 5.63.8 acciò che a molti essemplo sia quel mostro». 5.64.1 Poi colla punta della spada scrisse: 5.64.2 «Nel tal tempo il signor di Montalbano 5.64.3 ci arrivò a caso», ed ogni cosa disse, 5.64.4 come in quel sasso stava un uomo strano 5.64.5 e come tutto Rinaldo il partisse; 5.64.6 ed èvvi ancora, scritto di sua mano, 5.64.7 le letter, colla punta della spada, 5.64.8 e puossi ancor veder sopra la strada; 5.65.1 e chiamasi la selva da l' inferno: 5.65.2 chi vuole andare al monte Sinaì, 5.65.3 vi passa, quando e' va che sia di verno, 5.65.4 per non passare il fiume Balaì; 5.65.5 e leggesi, quel diavol dello inferno, 5.65.6 come Rinaldo quivi lo partì; 5.65.7 e vedesi ancor l' ossa drento al fesso 5.65.8 e séntevisi urlar la notte spesso. 5.66.1 Poi si partirno e il lïon, come suole, 5.66.2 sempre la strada mostrava a costoro. 5.66.3 Era di notte: Rinaldo non vuole 5.66.4 che per le selve si facci dimoro, 5.66.5 tal ch' Ulivieri e Dodon se ne duole, 5.66.6 ché cavalcare a stracca è lor martoro. 5.66.7 Tutta la notte con sospetto andorno, 5.66.8 insin che in orïente vidon giorno. 5.67.1 Come e' fu fuor dell' occeàno Apollo, 5.67.2 si ritrovoron sopra a un poggetto; 5.67.3 questo passorno e poi più là un collo 5.67.4 d' un altro monte ch' era al dirimpetto; 5.67.5 e poi ch' a questo dato ebbon il crollo, 5.67.6 vidono un pian con un certo fiumetto, 5.67.7 trabacche e padiglioni e loggiamenti 5.67.8 e cavalieri armati e varie genti. 5.68.1 Quivi era Manfredonio innamorato, 5.68.2 che lo facea morir Meredïana, 5.68.3 con tutto quanto il populo attendato. 5.68.4 E la fanciulla al suo parer villana, 5.68.5 al re Corbante avea significato 5.68.6 ch' assediata è dalla gente pagana 5.68.7 e come Manfredon si sforza e 'ngegna 5.68.8 tôrgli d' onor la sua famosa insegna; 5.69.1 ed aspettava il guerrier del lïone 5.69.2 che dovessi venirla a liberare; 5.69.3 e stava giorno e notte in orazione 5.69.4 e molti sacrifici facea fare, 5.69.5 pregando umilemente il lor Macone 5.69.6 che sua virginità debba servare; 5.69.7 com' io seguiterò nell' altro canto 5.69.8 colla virtù dello Spirito santo.
CANTO VI
6.1.1 O Padre nostro che ne' cieli stai, 6.1.2 non circunscritto, ma per più amore 6.1.3 ch' a' primi effetti di lassù tu hai, 6.1.4 laudato sia il tuo nome e 'l tuo valore; 6.1.5 e di tua grazia mi concederai 6.1.6 tanto ch' io possi finir sanza errore 6.1.7 la nostra istoria; e però, Padre degno, 6.1.8 aiuta tu questo affannato ingegno. 6.2.1 Era il sol, dico, al balcon d' orïente 6.2.2 e l' Aürora si facea vermiglia 6.2.3 e da Titon suo antico un poco assente; 6.2.4 di Giove più non si vedea la figlia, 6.2.5 quella amorosa stella refulgente 6.2.6 che spesso troppo gli amanti scompiglia; 6.2.7 quando Rinaldo giù calava il monte, 6.2.8 dove era Orlando suo, famoso conte. 6.3.1 Come egli ebbe veduta la cittade, 6.3.2 disse a Dodone: «Or puoi veder la terra 6.3.3 dove è la dama c' ha tanta biltade. 6.3.4 Vedi che 'l re Corbante già non erra, 6.3.5 ch' io veggo di pagan gran quantitade: 6.3.6 quivi è quel Manfredon che gli fa guerra». 6.3.7 Mentre che dice questo, ed Ulivieri 6.3.8 conobbe Orlando sopra il suo destrieri. 6.4.1 Vide ch' a spasso con Morgante andava 6.4.2 e che faceva le genti ordinare 6.4.3 per la battaglia che s' apparecchiava 6.4.4 e già faceva stormenti sonare. 6.4.5 Ma del gigante ammirazion pigliava 6.4.6 e cominciollo a Rinaldo a mostrare: 6.4.7 «Quello è Morgante, e 'l conte Orlando è quello 6.4.8 ch' è presso a lui: non vedi tu Rondello?». 6.5.1 Rinaldo, quando vide il suo cugino, 6.5.2 per gran dolcezza il cor si sentì aprire 6.5.3 e disse: «Poi ch' io veggo il paladino, 6.5.4 contento sono ogni volta morire. 6.5.5 Or oltre! seguiren nostro cammino: 6.5.6 a Carador promesso abbiam di gire; 6.5.7 tosto sarem con Orlando alle mani 6.5.8 e con questi altri saracini o cani». 6.6.1 Come entrati fur poi drento alle mura, 6.6.2 domandoron del re subitamente, 6.6.3 dicendo: «Cavalier siàn di ventura, 6.6.4 dal re Corbante mandati al presente». 6.6.5 I terrazzan fuggivan per paura 6.6.6 di quel lïon, sanza dir lor nïente. 6.6.7 Rinaldo tanto innanzi cavalcòe 6.6.8 che in sulla piazza del re capitòe. 6.7.1 E come e' furon veduti costoro, 6.7.2 subito fu portata la novella 6.7.3 drento al palazzo al gran re Caradoro. 6.7.4 Rinaldo intanto smontava di sella, 6.7.5 Ulivieri e Dodon non fe' dimoro. 6.7.6 Ognun dintorno di questo favella: 6.7.7 «Questo debbe esser» dicean «quel barone 6.7.8 ch' è appellato il guerrier del lïone». 6.8.1 Meredïana ch' era alla finestra, 6.8.2 fece chiamar sue damigelle presto, 6.8.3 ché d' ogni gentile atto era maestra; 6.8.4 fecesi incontra col viso modesto, 6.8.5 con accoglienza sì leggiadra e destra, 6.8.6 che nessun più non arebbe richiesto 6.8.7 tra le ninfe di Palla o di Dïana, 6.8.8 che si facessi allora Merediana. 6.9.1 Rinaldo, quando vide la donzella, 6.9.2 tentato fu di farla alla franciosa; 6.9.3 a Ulivieri in sua lingua favella: 6.9.4 «Quant' io, non vidi mai più degna cosa!». 6.9.5 Disse Ulivieri: «E' non è in cielo stella 6.9.6 ch' appetto a lei non fussi tenebrosa». 6.9.7 Rinaldo presto rispose: «Io t' ho inteso, 6.9.8 che 'l vecchio foco è spento e 'l nuovo acceso. 6.10.1 Non chiamerai più forse, come prima, 6.10.2 la notte sempre e 'l giorno Forisena, 6.10.3 ch' a ogni passo ne cantavi in rima: 6.10.4 non sente al capo duol chi ha maggior pena. 6.10.5 Veggo che del tuo amor l' hai posta in cima 6.10.6 e se' legato già d' altra catena». 6.10.7 Ulivier disse: «S' io vivessi sempre, 6.10.8 convien sol Forisena il mio cor tempre». 6.11.1 Eron saliti già tutta la scala 6.11.2 e grande onor da quella ricevuto 6.11.3 che insino a mezzo gli scaglion giù cala, 6.11.4 e rendutogli un grato e bel saluto. 6.11.5 Intanto Caradoro in su la sala 6.11.6 con tutti i suoi baroni era venuto. 6.11.7 Rinaldo e gli altri baciaron la mano 6.11.8 come è usanza a ogni re pagano. 6.12.1 Fece ordinar di subito vivande 6.12.2 e' lor destrier fornir di strame e biada. 6.12.3 Per la città la lor fama si spande 6.12.4 e per vedégli assai par che vi vada. 6.12.5 Venne la cena, e fuvvi altro che ghiande. 6.12.6 Ulivier pure alla donzella bada. 6.12.7 Poi che cenato fu, re Caradoro 6.12.8 in questo modo a dir cominciò loro: 6.13.1 «Io vi dirò, famosi cavalieri, 6.13.2 quel che il mio cor da voi disia e brama. 6.13.3 Per tutti i nostri paesi e sentieri 6.13.4 dell' Orïente risuona la fama 6.13.5 di vostra forza e de' vostri destrieri, 6.13.6 e questa è la cagion che qua vi chiama. 6.13.7 Come vedete, ogni campagna è piena 6.13.8 di gente qua per darci affanno e pena; 6.14.1 ed ècci un re famoso, antico e degno, 6.14.2 che innamorato s' è d' esta mie figlia 6.14.3 e vuol per forza lei con tutto il regno 6.14.4 e molti ha morti della mia famiglia; 6.14.5 ogni dì truova qualche stran disegno 6.14.6 per oppressarci e 'l mio campo scompiglia; 6.14.7 e per ventura un cavaliere errante 6.14.8 v' è capitato con un gran gigante: 6.15.1 con un battaglio in man d' una campana, 6.15.2 sia che armadura vuol, che ne fa polvere; 6.15.3 e molti già di mia gente pagana 6.15.4 ha sfracellati e dato lor che asciolvere; 6.15.5 ovunque e' giugne, la percossa è strana: 6.15.6 non c' è papasso che ne voglia assolvere; 6.15.7 io il vidi un giorno a un dar col battaglio, 6.15.8 e 'l capo gli schiacciò con un sonaglio. 6.16.1 Se con quel cavalier vi desse il core 6.16.2 a corpo a corpo, ché così combatte, 6.16.3 e col gigante d' acquistare onore, 6.16.4 le genti mie non sarebbon disfatte. 6.16.5 Ed io vi giuro pel mio Iddio e Signore, 6.16.6 s' alcun di voi di questi ignuno abbatte, 6.16.7 ciò che saprete domandare, arete, 6.16.8 se ben la figlia mia mi chiederete». 6.17.1 Era presente a quel Meredïana, 6.17.2 ed una ricca cotta aveva indosso 6.17.3 d' un drappo ricco all' usanza pagana 6.17.4 fiorito tutto quanto bianco e rosso, 6.17.5 come era il viso di latte e di grana 6.17.6 ch' arebbe un cor di marmo ad amar mosso; 6.17.7 nel petto un ricco smalto e gemme ed oro, 6.17.8 con un rubin che valeva un tesoro, 6.18.1 ed un carbonchio ricco ancora in testa 6.18.2 che d' ogni scura notte facea giorno; 6.18.3 avea la faccia angelica e modesta 6.18.4 che riluceva come il sol dintorno. 6.18.5 Ulivier, quanto guardava più questa, 6.18.6 tanto l' accende più il suo viso adorno, 6.18.7 e fra suo cor dicea: «Se tu farai 6.18.8 quel che dicesti, re, tu vincerai». 6.19.1 Rinaldo vide Ulivier preso al vischio 6.19.2 un' altra volta e già tutto impaniato, 6.19.3 e dicea: «Questo ne vien tosto al fischio». 6.19.4 Conobbe il viso già tutto mutato, 6.19.5 vedeva gli occhi far del bavalischio; 6.19.6 disse in francioso un motto loro usato: 6.19.7 «A ogni casa appiccheremo il maio, 6.19.8 ché come l' asin fai del pentolaio. 6.20.1 Ma non vagheggi a questa volta come 6.20.2 solevi in corte far del re Corbante; 6.20.3 ché, se ti piace il bel viso e le chiome, 6.20.4 piace la spada a costei del suo amante: 6.20.5 queste son dame in altro modo dome. 6.20.6 Non c' è più bello amar che nel Levante!». 6.20.7 Ulivier sospirò nel suo cor forte, 6.20.8 quasi dicessi: «Sol non amai in corte»; 6.21.1 e ricordossi allor di Forisena 6.21.2 che del suo cor tenea le chiavi ancora; 6.21.3 ma non sapeva, omè, della suo pena: 6.21.4 «Prima consenta il Ciel» dicea «ch' i' mora, 6.21.5 che sciolta sia dal cor quella catena 6.21.6 che sciôr non puossi insin all' ultima ora; 6.21.7 e se fra' morti poi vorran gli dèi 6.21.8 che amar si possi, amerò sempre lei. 6.22.1 Non si diparte amor sì leggiermente, 6.22.2 che per conformità nasce di stella. 6.22.3 Dovunque andremo in Levante o in Ponente, 6.22.4 amerò sempre Forisena bella, 6.22.5 però che 'l primo amor troppo è possente; 6.22.6 non son del petto fuor quelle quadrella, 6.22.7 ch' io non credo che morte ancor trar possa 6.22.8 prima che cener sia la carne e l' ossa». 6.23.1 Lasciam costoro insieme un poco a mensa. 6.23.2 Aveva alcuna spia re Manfredonio, 6.23.3 come colui che' suoi pensier dispensa 6.23.4 d' aver di ciò che si fa testimonio; 6.23.5 e poi, chi ama, giorno e notte pensa 6.23.6 come e' si tragga l' amoroso conio: 6.23.7 non si può dir quel ch' un amante faccia 6.23.8 per ritrovar della dama ogni traccia. 6.24.1 Detto gli fu come e' son capitati 6.24.2 tre cavalier famosi a Caradoro 6.24.3 e paion molto arditi e bene armati, 6.24.4 ma non sapeva alcun de' nomi loro, 6.24.5 se non che tutti assai s' eron vantati 6.24.6 alla sua gente dar molto martoro 6.24.7 e ch' egli avevon sotto corridori 6.24.8 che mai si vide i più belli e maggiori. 6.25.1 Orlando pose orecchio alle parole: 6.25.2 «Sarebbe questo Rinaldo d' Amone?» 6.25.3 ma poi diceva: «Rinaldo non suole, 6.25.4 come color dicean, menar lïone». 6.25.5 Poi disse: «Imbasciador mandar si vuole, 6.25.6 per uscir fuori d' ogni suspizione, 6.25.7 a Caradoro e dirgli, così parmi, 6.25.8 ch' io vo' con questi cavalier provarmi». 6.26.1 A Manfredonio piacque il suo parlare 6.26.2 e subito mandorno imbasceria. 6.26.3 Erano ancor coloro a ragionare; 6.26.4 Caradoro a Rinaldo si volgìa, 6.26.5 dicendo: «Pro' baron, che vuoi tu fare?». 6.26.6 Rinaldo sfavillava tuttavia: 6.26.7 pargli mill' anni d' esser con Orlando, 6.26.8 e disse: «Io sono in punto al tuo comando». 6.27.1 Ed Ulivier soggiugneva di costa: 6.27.2 «Del diciannove ognun terrà lo 'nvito; 6.27.3 e così fate per noi la risposta»: 6.27.4 (ah, Ulivieri, amor ti fa sì ardito!) 6.27.5 «dite che al campo ne venga a suo posta». 6.27.6 Lo imbasciador tornò, ch' aveva udito, 6.27.7 e disse a Manfredonio: «E' son contenti 6.27.8 e prezzon poco te colle tuo genti: 6.28.1 e' mi pareva, a guardàgli nel volto, 6.28.2 che tra lor fussi del combatter gaggio, 6.28.3 ch' ognun pel primo volessi esser tolto, 6.28.4 tanto fier si mostravan nel visaggio». 6.28.5 Rispose Orlando: «E' non passerà molto 6.28.6 che parleranno d' un altro linguaggio». 6.28.7 Disse Morgante: «Io vo' con un fuscello 6.28.8 di tutti a tre costor fare un fardello; 6.29.1 e vòmegli alla cintola appiccare: 6.29.2 lascia pur ch' egli assaggino il metallo 6.29.3 e ch' io cominci un poco a battagliare. 6.29.4 Che penson di venir, costoro, al ballo? 6.29.5 Or oltre, io vo' col battaglio sonare 6.29.6 perché e' non faccin gli scambietti in fallo». 6.29.7 Ma in questo tempo Rinaldo era armato 6.29.8 e dal re Caradoro accomiatato; 6.30.1 ed avea fatte cose in sulla piazza, 6.30.2 che 'l popol n' avea avuta maraviglia: 6.30.3 di terra collo scudo e la corazza 6.30.4 saltato in sella e pigliata la briglia. 6.30.5 Carador disse: «Questa è buona razza»; 6.30.6 e molto lieta si fece la figlia, 6.30.7 ch' era venuta per diletto fore, 6.30.8 a vedergli montare a corridore; 6.31.1 ed avea prima aiutato Ulivieri 6.31.2 armar, che molto di questo gli giova, 6.31.3 e saltato di netto è in sul destrieri 6.31.4 e fatto innanzi alla dama ogni pruova 6.31.5 che far potessi nessun cavalieri; 6.31.6 e Dodone anco nel montar non cova: 6.31.7 ognun di terra a caval si gittòe, 6.31.8 e tutto il popol se ne rallegròe. 6.32.1 Aveva fatti tre salti Baiardo, 6.32.2 ch' ognun fu misurato cento braccia, 6.32.3 tanto fiero era, animoso e gagliardo; 6.32.4 ed Ulivier, perché alla dama piaccia, 6.32.5 di Vegliantin faceva un lïopardo; 6.32.6 Dodon al suo gli spron ne' fianchi caccia; 6.32.7 e finalmente dal re Caradoro 6.32.8 a lanci e salti si partîr costoro. 6.33.1 Poi che furono usciti della porta, 6.33.2 fino alle sbarre del campo n' andorno. 6.33.3 Rinaldo tanta allegrezza lo porta 6.33.4 che cominciò a sonar per festa un corno. 6.33.5 Fu la novella a Manfredon rapporta; 6.33.6 Orlando presto e Morgante n' andorno 6.33.7 dove aspettavan questi tre baroni 6.33.8 e salutorno in saracin sermoni. 6.34.1 Non ricognobbe Orlando il suo cugino, 6.34.2 perché Baiardo è tutto covertato, 6.34.3 e lui parlava al modo saracino; 6.34.4 vide il lïone e molto ha biasimato: 6.34.5 «Non è costume di buon paladino 6.34.6 aver questo animal seco menato: 6.34.7 non doverresti a gnun modo menarlo; 6.34.8 per carità degli uomini ti parlo». 6.35.1 Disse Rinaldo: «Buon predicatore 6.35.2 saresti, poi c' hai tanta carità. 6.35.3 Non ti bisogna aver questo timore: 6.35.4 nel tuo parlar si dimostra viltà. 6.35.5 Se tu sapessi, baron di valore, 6.35.6 per quel ch' io il meno ed ogni sua bontà, 6.35.7 non parleresti in cotesto sermone: 6.35.8 sappi che ignun non offende il lïone, 6.36.1 se non chi a torto quistion meco piglia, 6.36.2 ovver chi fussi traditor perfetto». 6.36.3 Il conte Orlando ha seco maraviglia; 6.36.4 poi gli rispose: «Vegnamo all' effetto: 6.36.5 se vuoi combatter sanz' altra famiglia 6.36.6 a corpo a corpo, mettiti in assetto; 6.36.7 ché in altro modo combatter non voglio. 6.36.8 Farò di te come degli altri soglio». 6.37.1 Disse Dodon: «Tu sarai forse errato». 6.37.2 Il gigante gli fece la risposta: 6.37.3 «Tu non conosci il mio signor pregiato, 6.37.4 però facesti sì strana proposta. 6.37.5 Io non son come tu, barone, armato, 6.37.6 e proverrommi con teco a tua posta». 6.37.7 Dodone allora pazienzia non ebbe, 6.37.8 e pure stato il miglior suo sarebbe. 6.38.1 La lancia abbassa con molta superba 6.38.2 e percosse Morgante in su la spalla: 6.38.3 e' si pensò traboccarlo in su l' erba. 6.38.4 Morgante non lo stima una farfalla 6.38.5 ed appiccògli una nespola acerba, 6.38.6 tanto che tutto pel colpo traballa; 6.38.7 e come e' vide balenar Dodone, 6.38.8 se gli accostava e trassel dell' arcione. 6.39.1 Al padiglion ne lo porta il gigante; 6.39.2 a Manfredonio Dodon presentava. 6.39.3 Manfredon rise, veggendo Morgante, 6.39.4 e per Macon d' impiccarlo giurava. 6.39.5 Morgante indrieto volgeva le piante, 6.39.6 torna a Orlando ch' al campo aspettava. 6.39.7 Rinaldo irato a Orlando dicìa: 6.39.8 «Io ti farò, cavalier, villania. 6.40.1 Aspettami, se vuoi, tanto ch' io vada 6.40.2 a qualche cosa a legar quel lïone; 6.40.3 poi proverremo e la lancia e la spada 6.40.4 per quel c' ha fatto il gigante ghiottone». 6.40.5 Rispose Orlando: «Fa come t' aggrada: 6.40.6 o lancia o spada, a cavallo o pedone». 6.40.7 Rinaldo smonta e la bestia legava, 6.40.8 poi verso Orlando in tal modo parlava: 6.41.1 «Non potrai nulla del lïon più dire. 6.41.2 Oltre, provianci colle lance in mano: 6.41.3 vedren se, come mostri, hai tanto ardire, 6.41.4 ché 'l can che morde non abbaia invano». 6.41.5 Volse il destrier per tornarlo a ferire. 6.41.6 Orlando al suo Rondel gira la mano, 6.41.7 del campo prese e con molta tempesta 6.41.8 si volse indrieto colla lancia in resta. 6.42.1 Non domandar quel che facea Baiardo, 6.42.2 con quanta furia spacciava il cammino; 6.42.3 e Rondello anco non pareva tardo, 6.42.4 anzi pareva quel dì Vegliantino. 6.42.5 Rinaldo aveva al bisogno riguardo 6.42.6 dove e' ponessi la lancia al cugino; 6.42.7 ma conosceva ch' egli è tanto forte, 6.42.8 che pericol non v' è di dargli morte. 6.43.1 A mezzo il petto la lancia appiccòe; 6.43.2 Orlando ferì lui similemente 6.43.3 e l' una e l' altra lancia in aria andòe; 6.43.4 non si conosce vantaggio nïente; 6.43.5 e l' uno e l' altro destrier s' accosciòe 6.43.6 e cadde in terra pel colpo possente; 6.43.7 tanto che fuor della sella saltorno 6.43.8 i due baroni e le spade impugnorno. 6.44.1 E comincioron sì fiera battaglia, 6.44.2 che far comparazion non si può a quella; 6.44.3 perché Frusberta e Cortana anco taglia, 6.44.4 e 'l suo signor, che con essa impennella, 6.44.5 disaminava e la piastra e la maglia. 6.44.6 Rinaldo sempre all' elmetto martella, 6.44.7 perché e' sapeva ch' egli è d' acciaio fino, 6.44.8 che fu d' Almonte nobil saracino. 6.45.1 Pur nondimen si voleva aiutare, 6.45.2 però che Orlando vedea riscaldato 6.45.3 e conosceva quel che sapea fare 6.45.4 il suo cugin quand' egli era adirato. 6.45.5 Ma Cristo volle un miracol mostrare 6.45.6 acciò che ignun di lor non abbi errato 6.45.7 e perché de' suoi amici si ricorda: 6.45.8 il fer lïone ispezzava la corda, 6.46.1 venne a Rinaldo; ed Orlando dicìa: 6.46.2 «Per Dio, baron, di te mi maraviglio: 6.46.3 questa mi par da chiamar villania. 6.46.4 Ma questa volta non hai buon consiglio, 6.46.5 ché a te e lui caverò la pazzia». 6.46.6 Rinaldo indrieto volgea presto il ciglio: 6.46.7 vide il lïone e funne mal contento, 6.46.8 e cominciò questo ragionamento: 6.47.1 «Aspetta, cavalier, tanto ch' io possi 6.47.2 questo lïon rimenar alla terra. 6.47.3 La mia intenzion non fu, quand' io mi mossi, 6.47.4 di venir qui col lïone a far guerra». 6.47.5 Rispose Orlando: «Qual cagion si fossi 6.47.6 non so, ma infine è l' errato chi erra: 6.47.7 s' io ti volessi guastare il lïone, 6.47.8 guarda battaglio che ha quel compagnone». 6.48.1 Disse Rinaldo: «Noi farem ritorno, 6.48.2 tu al tuo re ed io nella cittade; 6.48.3 e domattina come scocca il giorno, 6.48.4 ritornerò, per la mia lealtade, 6.48.5 e chiamerotti, com' io fe', col corno, 6.48.6 e proverremo chi arà più bontade: 6.48.7 questo di grazia, baron, ti domando»; 6.48.8 tanto che fu contento il conte Orlando. 6.49.1 E torna con Morgante al padiglione, 6.49.2 e per la via si doleva con quello 6.49.3 e dice: «Maladetto sia il lïone! 6.49.4 S' avessi Vegliantin come ho Rondello, 6.49.5 partito non saria questo barone; 6.49.6 o segnato l' arei del mio suggello, 6.49.7 s' avessi la mia spada Durlindana»; 6.49.8 e duolsi assai ch' egli aveva Cortana. 6.50.1 Ulivieri e 'l signor di Montalbano 6.50.2 si ritornoron verso la cittate. 6.50.3 Or ritorniamo al traditor di Gano, 6.50.4 ch' avea per molte parte spie mandate. 6.50.5 Ed ecco un messaggiero a mano a mano 6.50.6 a Carador con letter suggellate; 6.50.7 e per ventura al marchese s' accosta, 6.50.8 dicendo: «In cortesia, fammi risposta. 6.51.1 Come si chiama la terra e 'l paese 6.51.2 e 'l suo signor, se Dio ti dia conforto? 6.51.3 Io ho paura indarno avere spese 6.51.4 le mie giornate e di scambiare il porto». 6.51.5 A lui rispose il famoso marchese: 6.51.6 «Alla domanda tua non vo' far torto: 6.51.7 non so il paese come sie chiamato, 6.51.8 ma 'l suo signor ti sarà ricordato. 6.52.1 Sappi che 'l re si chiama Caradoro 6.52.2 e la figliuola sua Meredïana: 6.52.3 per lei tal guerra ci fanno coloro 6.52.4 che tu vedi alloggiati alla fiumana». 6.52.5 Disse la spia: «Macon ti dia ristoro 6.52.6 e guardi sempre d' ogni morte strana»; 6.52.7 e finalmente al palazzo n' andòe 6.52.8 a Caradoro e da parte il chiamòe. 6.53.1 Disse: «Macon ti dia gioconda vita. 6.53.2 Io son messaggio di Gan di Maganza, 6.53.3 e quand' io feci da lui dipartita 6.53.4 questo brieve mi diè, ch' è d' importanza: 6.53.5 vedi la 'mpronta sua qui stabilita, 6.53.6 perché tu abbi del fatto certanza». 6.53.7 Carador riconobbe quel suggello 6.53.8 del conte Gan, traditor crudo e fello. 6.54.1 La lettera apre e 'l suo tenore intese. 6.54.2 La lettera dicea: «Caro signore, 6.54.3 sappi, re Carador, quel ch' è palese: 6.54.4 che venuto è Rinaldo traditore 6.54.5 nella tua terra e nel tuo bel paese 6.54.6 (io te n' avviso, ch' io ti porto amore), 6.54.7 e seco ha Ulivier che è uom di razza, 6.54.8 col suo compagno Dodon della mazza. 6.55.1 E nel campo è di Manfredonio Orlando 6.55.2 e l' un dell' altro ben debbe sapere; 6.55.3 e so che tutti a due vanno cercando, 6.55.4 o Carador, di farti dispiacere: 6.55.5 vengonvi insieme alla mazza guidando; 6.55.6 quando fia tempo vel faran vedere. 6.55.7 Non piace al nostro re qua tradimento, 6.55.8 però ch' io ti scrivessi fu contento. 6.56.1 Ed ha con seco menato un gigante 6.56.2 che se s' accosta un giorno alle tue mura, 6.56.3 e' le farebbe tremar tutte quante. 6.56.4 Abbi del regno e di tua gente cura; 6.56.5 e' son cristiani e tu se' affricante; 6.56.6 guarda che danno non abbi e paura, 6.56.7 ché so ch' alfin n' arai da molte bande. 6.56.8 Or tu se' savio e intendi, e 'l mondo è grande». 6.57.1 Era quel re pien d' alta gentilezza 6.57.2 e ben conobbe ciò che Gan dicea: 6.57.3 fece pigliarlo con molta prestezza. 6.57.4 In questo tempo Rinaldo giugnea, 6.57.5 ed ogni cosa con lui raccapezza 6.57.6 ed in suo man la lettera ponea 6.57.7 e d' Ulivier, ch' è nella sua presenzia, 6.57.8 per dimostrare ogni magnificenzia. 6.58.1 Quando Rinaldo intese quel ch' è scritto, 6.58.2 ringrazia il suo Gesù con sommo effetto; 6.58.3 a Ulivier si volse tutto afflitto; 6.58.4 disse: «Tu vedi quel che Gano ha detto». 6.58.5 La damigella tenea l' occhio dritto: 6.58.6 quando sentì che 'l suo amante perfetto 6.58.7 era Ulivier che tanta fama avia, 6.58.8 non domandar quanto gaudio sentia. 6.59.1 E poi mandò nel campo un messaggiere 6.59.2 al conte Orlando e in questo modo scrisse: 6.59.3 «Poi ch' abbiam fatto triegua, cavaliere, 6.59.4 acciò che grande inganno non seguisse 6.59.5 contento sia di venirmi a vedere 6.59.6 alla città sicuramente», disse: 6.59.7 «cose udirai che ne sarai poi lieto; 6.59.8 ma sopra tutto sia presto e secreto». 6.60.1 Il messaggiero Orlando ritrovava, 6.60.2 che si chiamava nel campo Brunoro; 6.60.3 segretamente la lettera dava. 6.60.4 Orlando lesse e sanza più dimoro 6.60.5 a Manfredon la lettera mostrava. 6.60.6 Manfredon disse: «Forse Caradoro 6.60.7 potrebbe qualche inganno fabricare 6.60.8 e quel baron tel vorrà rivelare. 6.61.1 Mentre ch' è triegua, va sicuramente. 6.61.2 Chi sa chi sia quel guerrier del lïone? 6.61.3 Pel mondo attorno va di strane gente. 6.61.4 Io ti conforto d' andarvi, barone». 6.61.5 Morgante a ogni cosa era presente, 6.61.6 e disse: «Forse ch' egli ha del fellone: 6.61.7 egli ebbe voglia insino oggi di dirti 6.61.8 qualche trattato e 'l suo segreto aprirti. 6.62.1 Io vo' con teco alla terra venire, 6.62.2 che non ci fussi qualche inganno doppio, 6.62.3 e in ogni modo con teco morire; 6.62.4 e insin del campo udirete lo scoppio, 6.62.5 se col battaglio s' avessi a colpire: 6.62.6 perché, se bene ogni cosa raccoppio, 6.62.7 di chieder triegua e tornarsi oggi drento, 6.62.8 segno mi par di qualche tradimento». 6.63.1 Alla città n' andorno finalmente. 6.63.2 Rinaldo immaginò la lor venuta: 6.63.3 fecesi incontro al suo cugin possente, 6.63.4 e giunto appresso in francioso saluta. 6.63.5 Orlando rispondea cortesemente 6.63.6 quel che gli parve risposta dovuta; 6.63.7 e pur parlava come saracino, 6.63.8 ché non conosce il suo caro cugino. 6.64.1 Dicea Rinaldo: «A Caradoro andremo, 6.64.2 se non ti fussi, cavalier, disagio». 6.64.3 Orlando disse: «A tuo modo faremo, 6.64.4 ché di piacerti mi sarà sempre agio». 6.64.5 Disse Morgante: «Andate, noi verremo»; 6.64.6 e finalmente n' andorno al palagio. 6.64.7 Rinaldo a Carador gli rappresenta, 6.64.8 perché e' voleva ch' ogni cosa senta. 6.65.1 Re Caradoro, quando Orlando vede, 6.65.2 tosto della sua sedia s' è levato; 6.65.3 Orlando gli volea baciare il piede, 6.65.4 ma Carador l' ha per la man pigliato; 6.65.5 disse: «Macone abbi di te merzede. 6.65.6 Il tuo venir m' è troppo, baron, grato, 6.65.7 per veder quel che non ha pari al mondo, 6.65.8 come se' tu, Brunor, baron giocondo». 6.66.1 Meredïana, quando fu in presenzia 6.66.2 d' Orlando, sospirò, la damigella. 6.66.3 Orlando prese di questo temenzia; 6.66.4 verso la dama in tal modo favella: 6.66.5 «Are'ti io fatto oltraggio o vïolenzia, 6.66.6 che tu sospiri sì? Dimmel, donzella»; 6.66.7 e ricordossi ben di Lïonetto, 6.66.8 tanto ch' egli ebbe al principio sospetto. 6.67.1 Disse la dama: «Tu m' innamorasti 6.67.2 quel dì che insieme provamo la lancia 6.67.3 e con quel colpo l' elmo mi cavasti, 6.67.4 tanto ch' ancor n' arrossisco la guancia, 6.67.5 e questa treccia tutta scompigliasti, 6.67.6 come se fussi un paladin di Francia; 6.67.7 poi mi dicesti: "Tórnati alla terra, 6.67.8 ché con le dame non venni a far guerra". 6.68.1 Questo mi parve un atto sì gentile, 6.68.2 che bastere' che fussi stato Orlando. 6.68.3 Tu disprezzasti una femmina vile; 6.68.4 per questo venni così sospirando». 6.68.5 Orlando è corbacchion di campanile 6.68.6 e non si venne per questo mutando; 6.68.7 e disse a Carador: «Séguita avante 6.68.8 quel che vuoi dir dopo mie lode tante». 6.69.1 Carador disse: «Tu lo intenderai 6.69.2 da questo cavalier che t' ha menato»; 6.69.3 e disse al prenze: «Tu comincerai 6.69.4 a dir perché per lui fussi mandato». 6.69.5 Ma tu, Signor, che i sempiterni rai 6.69.6 governi e reggi el bel cielo stellato, 6.69.7 grazia mi dona che nel dir seguente 6.69.8 segua la storia ch' io lascio al presente.
CANTO VII
7.1.1 Osanna, o Re del sempiterno regno, 7.1.2 che mai non abandoni i servi tuoi 7.1.3 e perdonasti a quel che gustò il legno 7.1.4 che gli vietasti già, per gli error suoi; 7.1.5 aiuta me, sovvien tanto il mio ingegno 7.1.6 che basti al nostro dir, come tu puoi, 7.1.7 sì ch' io ritorni alla mia storia bella 7.1.8 cogli occhi volti a te come a mia stella. 7.2.1 Rinaldo il conte Orlando rimirava; 7.2.2 Orlando non sapea di tale effetto 7.2.3 ed Ulivieri spesso sogghignava: 7.2.4 non gli cognosce, ch' avevon l' elmetto. 7.2.5 Allor Rinaldo a parlar cominciava: 7.2.6 «A questi dì trovamo in un boschetto 7.2.7 tre cavalier cristian feroci e forti 7.2.8 e tutti a tre gli abbiam lasciati morti. 7.3.1 Per certo oltraggio che ci vollon fare 7.3.2 a corpo a corpo insieme ci sfidamo 7.3.3 e cominciamo le spade a menare; 7.3.4 finalmente di forza gli avanzamo. 7.3.5 Credo che' lupi gli possin trovare, 7.3.6 ché nel boschetto morti gli lasciamo. 7.3.7 Ma cavalier parean da spada e lancia, 7.3.8 ch' eron venuti del regno di Francia». 7.4.1 Orlando, quando udì queste parole, 7.4.2 rispose presto: «Ben avete fatto: 7.4.3 tutti son rubator; non me ne duole; 7.4.4 io n' ho già castigati più d' un tratto: 7.4.5 così sempre a' nimici far si vuole. 7.4.6 Ma dimmi, cavaliere, a ogni patto, 7.4.7 i nomi lor, per veder s' io conosco 7.4.8 di questi alcun, ch' uccidesti in quel bosco». 7.5.1 Disse Rinaldo: «Egli ha nome Ulivieri 7.5.2 l' un di costor, che dice era marchese; 7.5.3 l' altro da Montalban quel buon guerrieri 7.5.4 ch' aveva fama per ogni paese; 7.5.5 credo che 'l terzo anco era cavalieri, 7.5.6 Dodon chiamato, figliuol del Danese». 7.5.7 Orlando udendol si maravigliava, 7.5.8 ma del lïon con seco dubitava. 7.6.1 Seguì più oltre il suo ragionamento 7.6.2 Rinaldo: «Io intendo mostrarvi i cavagli» 7.6.3 Orlando disse: «Io ne son ben contento, 7.6.4 ché' nomi lor non posso ritrovàgli». 7.6.5 Vanno a vedere. Orlando ebbe spavento 7.6.6 subito come comincia a guardàgli, 7.6.7 perché e' conobbe presto Vegliantino; 7.6.8 e disse: «Il ver pur dice il saracino». 7.7.1 Alla sua vita mai fu più doglioso 7.7.2 e poco men che in terra non cadea. 7.7.3 Ulivier, che 'l vedea sì doloroso, 7.7.4 drento all' elmetto con seco ridea. 7.7.5 Tornano in sala. Il paladin famoso 7.7.6 vendetta farne fra sé disponea, 7.7.7 e disse: «S' altro tu non vuoi parlarmi, 7.7.8 a Manfredonio al campo vo' tornarmi». 7.8.1 Disse Rinaldo: «Alquanto v' aspettate»; 7.8.2 e menò in una camera il barone; 7.8.3 e poi che l' arme sue s' ebbe cavate, 7.8.4 la sopravvesta e l' altre guernigione, 7.8.5 mostrava le divise sue sbarrate; 7.8.6 trassesi l' elmo, e così il borgognone. 7.8.7 Orlando, quando Rinaldo suo vede, 7.8.8 per gran letizia tramortir si crede. 7.9.1 Abbraccia mille volte il suo cugino; 7.9.2 Ulivieri abbracciava il suo cognato; 7.9.3 diceva Orlando: «O giusto Iddio divino, 7.9.4 che grazia è questa, ch' io t' ho qui trovato!». 7.9.5 Poi domandò dell' altro paladino: 7.9.6 «Dodon dove è, che tu m' hai nominato?». 7.9.7 Disse Rinaldo: «Sappi che Dodone 7.9.8 è quel che venne preso al padiglione». 7.10.1 Morgante vide costoro abbracciare, 7.10.2 e disse al conte: «Per tua gentilezza, 7.10.3 chi son costor non mi voler celare, 7.10.4 che tu gli abbracci con tal tenerezza». 7.10.5 E poi che udì Rinaldo ricordare 7.10.6 ed Ulivieri, avea grande allegrezza 7.10.7 e 'nginocchiossi e per la man poi prese 7.10.8 Rinaldo presto e 'l famoso marchese; 7.11.1 e pianse allor Morgante di buon core. 7.11.2 Re Caradoro in zambra era venuto. 7.11.3 Dicea Rinaldo: «Cugin di valore, 7.11.4 per mio consiglio, s' a te par dovuto, 7.11.5 non tornerai nel campo: io ho timore 7.11.6 che Manfredon non t' abbi conosciuto, 7.11.7 o come a Carador Gan gli abbi scritto. 7.11.8 Ma Dodon nostro ove riman sì afflitto?». 7.12.1 Disse Morgante: «Lascia a me il pensiero: 7.12.2 io lo condussi al padiglion di peso, 7.12.3 così l' arrecherò qui come un cero». 7.12.4 Orlando disse: «Morgante, io t' ho inteso, 7.12.5 e del tuo aiuto ci fa qui mestiero». 7.12.6 Morgante più non istette sospeso; 7.12.7 disse: «A me tocca appiccar tal sonaglio; 7.12.8 ma ogni cosa farò col battaglio». 7.13.1 A Manfredonio andò caütamente; 7.13.2 e per ventura giugneva il gigante 7.13.3 che Dodone era a Manfredon presente, 7.13.4 che lo voleva impiccar far davante 7.13.5 al padiglion; Dodone umilemente 7.13.6 si raccomanda; in questo ecco Morgante. 7.13.7 E disse a Manfredon: «Che vuoi tu fare?». 7.13.8 Manfredon disse: «Costui fo impiccare». 7.14.1 «Non lo impiccar»: disse Morgante presto 7.14.2 «dice Brunoro ch' io il meni alla terra, 7.14.3 e de' saper per quel che faccia questo: 7.14.4 tu sai ch' egli è fidato e che e' non erra». 7.14.5 Rispose Manfredon: «Venga il capresto; 7.14.6 io vo' impiccarlo come s' usa in guerra: 7.14.7 sia che si vuole o seguane alfin doglia, 7.14.8 ch' io mi trarrò, Morgante, questa voglia». 7.15.1 Dicea Morgante: «Il tuo peggio farai, 7.15.2 ché si potrebbe disdegnar Brunoro; 7.15.3 e se tu perdi lui, tu perderai 7.15.4 me e 'l tuo stato col tuo concestoro. 7.15.5 Io il menerò, se tu mi crederrai. 7.15.6 Credo che accordo tratti Caradoro 7.15.7 e forse ti darà la sua figliuola, 7.15.8 ch' io n' ho sentito anco io qualche parola». 7.16.1 Manfredon disse: «Per lo iddio Macone 7.16.2 è già due dì ch' io giurai d' impiccarlo, 7.16.3 come tu vedi, innanzi al padiglione: 7.16.4 non è Macone iddio da spergiurarlo». 7.16.5 Allor chiamava il suo Cristo Dodone 7.16.6 che non dovessi così abbandonarlo. 7.16.7 Morgante, udendo far questa risposta, 7.16.8 a Manfredon più dappresso s' accosta, 7.17.1 e 'l padiglione squadrava dintorno: 7.17.2 vide ch' egli era un padiglion da sogni; 7.17.3 prima pensò d' appiccargli un susorno 7.17.4 al capo e dir ch' a suo modo zampogni; 7.17.5 poi disse: «Questo sare' poco scorno 7.17.6 e credo ch' altro unguento qui bisogni»; 7.17.7 e finalmente il padiglion ciuffava 7.17.8 di sopra e tutte le corde spezzava. 7.18.1 Détte una scossa sì forte e villana, 7.18.2 ch' arebbe fatto cadere un castello; 7.18.3 o s' egli avessi scossa Pietrapana, 7.18.4 arebbe fatto come e' fece a quello. 7.18.5 Così in un tratto il padiglion giù spiana 7.18.6 e d' ogni cosa ne fece un fardello 7.18.7 e Manfredonio e Dodon vi ravvolse 7.18.8 e fuggì via e 'l suo battaglio tolse. 7.19.1 E in su la spalla el fardel si gittava, 7.19.2 dall' altra man col battaglio s' arrosta 7.19.3 e 'l capo a questo e quell' altro spiccava 7.19.4 di que' pagan che volevon far sosta; 7.19.5 talvolta basso alle gambe menava, 7.19.6 tanto che ignuno a costui non s' accosta; 7.19.7 e teste e gambe e braccia in aria balzano; 7.19.8 la furia è grande e le grida rinnalzano. 7.20.1 Subito il campo è tutto in iscompiglio 7.20.2 e corron tutti come gente pazza. 7.20.3 Morgante fece il battaglio vermiglio 7.20.4 di sangue e intorno con esso si spazza 7.20.5 ed a chi spezza la spalla, a chi il ciglio; 7.20.6 e Manfredon quanto può si diguazza 7.20.7 e grida e scuote e chiamava soccorso; 7.20.8 Dodon più volte l' ha graffiato e morso. 7.21.1 Morgante il passo quanto può studiava 7.21.2 ed a dispetto di tutti i pagani 7.21.3 passato ha il fiume e 'l fardel ne portava, 7.21.4 tanto menato ha il battaglio e le mani. 7.21.5 Ma finalmente Dodone affogava; 7.21.6 onde e' gridò: «Se scacciati hai que' cani, 7.21.7 posami in terra, ch' io son mezzo morto, 7.21.8 per Dio, Morgante, e donami conforto». 7.22.1 Morgante in terra posava il fardello, 7.22.2 ché non aveva più dintorno gente, 7.22.3 e confortava Dodon cattivello: 7.22.4 ma poi di Manfredon poneva mente, 7.22.5 ch' era ravvolto come il fegatello; 7.22.6 vide che morto parea veramente, 7.22.7 e disse: «Te non porterò alla terra: 7.22.8 poi che se' morto, finita è la guerra». 7.23.1 Disse Dodon: «Deh, gettalo nel fiume». 7.23.2 Morgante vel gittò sanza più dire. 7.23.3 Ma presto ritornâr gli spirti e il lume, 7.23.4 però che l' acqua lo fe' risentire, 7.23.5 come egli è sua natura e suo costume, 7.23.6 e Manfredon comincia a rinvenire; 7.23.7 e corse là di pagani una tresca, 7.23.8 tanto che infine costui si ripesca. 7.24.1 Morgante con Dodon suo se n' andava, 7.24.2 e rimenollo a Rinaldo ed Orlando 7.24.3 e la novella a costor raccontava 7.24.4 come il pagan venne al fiume gittando, 7.24.5 e che sia morto con seco pensava, 7.24.6 e come il padiglion venne spianando. 7.24.7 Non domandar che risa fuor si caccia: 7.24.8 e Dodon mille volte Orlando abbraccia; 7.25.1 e intese tutto ciò ch' era seguito 7.25.2 e come Gan gli seguitava ancora. 7.25.3 Re Manfredon, che s' era risentito, 7.25.4 con gran sospiri in sul campo dimora, 7.25.5 maravigliato del gigante ardito; 7.25.6 e come uscito dell' acqua era fora, 7.25.7 e d' ogni cosa che gli era incontrato, 7.25.8 gli pareva a lui stesso aver sognato. 7.26.1 In questo giunse un messaggier di Gano 7.26.2 che l' avvisava come Caradoro, 7.26.3 e come e' v' è il signor di Montalbano 7.26.4 ed Ulivieri e Dodon con costoro, 7.26.5 e nel suo campo il sanator romano; 7.26.6 e che cercavan sol del suo martoro; 7.26.7 e come il tradimento doppio andava 7.26.8 per pigliar due colombi a una fava. 7.27.1 «Ah» disse Manfredonio «or la cagione 7.27.2 so perché Orlando è ito alla cittade; 7.27.3 e quel prigion doveva esser Dodone. 7.27.4 Or si conosce la lor falsitade, 7.27.5 or son tradito, or son giunto al boccone! 7.27.6 E vassi pure a Roma per più strade: 7.27.7 ma traditor non credevo che il conte 7.27.8 fussi né ignun del sangue di Chiarmonte. 7.28.1 Ora aremo acquistata qua la dama 7.28.2 e Caradoro vinto con assedio! 7.28.3 Questi son paladin di tanta fama, 7.28.4 ch' io non conosco al mio stato rimedio. 7.28.5 Questo gigante ha condotta la trama, 7.28.6 perché più in dubbio mi teneva e tedio 7.28.7 che fussin tutti baroni affricanti, 7.28.8 ché tra' cristian non suole esser giganti». 7.29.1 Ebbe re Manfredon tanta paura 7.29.2 che si pensò la notte di fare alto; 7.29.3 poi disse: «Noi siàn sì sotto alle mura 7.29.4 che non si può spiccar qui netto il salto: 7.29.5 e ci bisogna provar l' armadura 7.29.6 ed aspettar de' nimici l' assalto. 7.29.7 Non sarà giorno, che Rinaldo e 'l conte 7.29.8 ed Ulivieri scenderanno il monte 7.30.1 e tutto il campo mio sarà in travaglio 7.30.2 e ne verrà Dodon per far vendetta 7.30.3 e quel dïavol con quel suo battaglio 7.30.4 alla mia gente darà grande stretta. 7.30.5 Pur ci convien stare fermi al berzaglio, 7.30.6 e Macon priego che le man ci metta». 7.30.7 E mentre che e' dicea queste parole, 7.30.8 tutti i baron per suo consiglio vuole; 7.31.1 ed accordârsi che si stessi saldo. 7.31.2 Tutta la notte stetton con sospetto. 7.31.3 Morgante, ch' era di potenzia caldo, 7.31.4 la sera al conte Orlando aveva detto: 7.31.5 «Poi ch' egli è morto Manfredon ribaldo, 7.31.6 non sarà prima dì ch' io vi prometto 7.31.7 ch' io voglio andar col mio battaglio solo 7.31.8 tra que' pagani in mezzo dello stuolo 7.32.1 ed arder le trabacche e' padiglioni. 7.32.2 Con la granata gli voglio scacciare! 7.32.3 Vedrete che bel fummo da' balconi, 7.32.4 e tutto il campo a furia spulezzare. 7.32.5 Io gli farò fuggir come ghiottoni: 7.32.6 le pecchie soglion pel fuoco sbucare. 7.32.7 Io porterò el battaglio e 'l fuoco meco; 7.32.8 vedrete poi che mazzate di cieco. 7.33.1 Mancato è il capo, male sta la coda; 7.33.2 adunque male star dée tutto il dosso. 7.33.3 Per gli occhi a tutti schizzerà la broda; 7.33.4 io schiaccerò la carne e' nervi e l' osso, 7.33.5 quand' io darò qualche bacchiata soda. 7.33.6 So ch' al principio n' arò molti addosso, 7.33.7 ma tutti poi gli vedrete fuggire». 7.33.8 Orlando per le risa è in sul morire; 7.34.1 e disse: «Va, ch' io ne son ben contento». 7.34.2 E poi si volse ove Caradoro era 7.34.3 e sì dicea: «Questo ragionamento 7.34.4 so che saranno parole da sera 7.34.5 che come fummo ne le porta il vento 7.34.6 o distruggonsi al sol qual neve o cera. 7.34.7 A me par, Caradoro, da vedere 7.34.8 quel che fa il campo e le pagane schiere. 7.35.1 Se per se stessi si dipartiranno, 7.35.2 lasciàgli andar, che mi par più sicuro, 7.35.3 però che sempre è nel combatter danno 7.35.4 e solo Iddio sa il tutto del futuro. 7.35.5 Vedren pur che partito piglieranno 7.35.6 e starenci doman qui drento al muro. 7.35.7 Non si partendo il dì, poi gli assaltiamo, 7.35.8 ché in ogni modo te salvar vogliamo. 7.36.1 Poi ci darai la tua benedizione 7.36.2 e cercheremo ancor meglio il Levante». 7.36.3 E così disse Rinaldo e Dodone 7.36.4 ed Ulivier; ma non v' era Morgante. 7.36.5 Vannosi a letto con questa intenzione, 7.36.6 ch' avevon tutti cenato davante; 7.36.7 e Caradoro avea massimo onore 7.36.8 a tutti fatto e con allegro core. 7.37.1 Morgante avea mangiato quel che vuole, 7.37.2 un gran castron che gli fu dato arrosto; 7.37.3 andossi prima a letto che non suole, 7.37.4 ché come e' disse fare era disposto. 7.37.5 Né prima in orïente apparì il sole 7.37.6 l' altra mattina, che e' si lieva tosto; 7.37.7 prese il battaglio e certo fuoco in mano 7.37.8 ed avvïossi nel campo pagano. 7.38.1 E' saracin trovò ch' erano armati; 7.38.2 ma pure il fuoco in un lato appiccòe 7.38.3 dove erano i destrier sotto i frascati, 7.38.4 tanto che molti di quegli abbruciòe. 7.38.5 Ma furon presto scoperti gli agguati, 7.38.6 e in mezzo a più di mille si trovòe 7.38.7 e tutto il campo a furia sollevossi: 7.38.8 ognuno addosso al gigante cacciossi. 7.39.1 E' gli feciono intorno un rigoletto, 7.39.2 che lo faranno cantare in tedesco: 7.39.3 al ponte di Parisse era in effetto 7.39.4 in mezzo a' saracini, e stava fresco! 7.39.5 Chi getta lance e chi sassi nel petto; 7.39.6 pure al battaglio stavano in cagnesco. 7.39.7 Ma tanta gente alla fine v' è corso, 7.39.8 che gli bisogna a Morgante soccorso. 7.40.1 E tuttavia più la turba s' affolta. 7.40.2 Era sì grande e sì grosso il gigante, 7.40.3 ch' ognun che getta facea sempre còlta. 7.40.4 Pur molti morti n' aveva davante, 7.40.5 ché chi toccava il battaglio una volta, 7.40.6 lo sfracellava dal capo alle piante; 7.40.7 e spesso tondo il battaglio girava 7.40.8 e cento capi per l' aria balzava, 7.41.1 tanto che 'l cerchio facea rallargare; 7.41.2 alcuna volta menava frugoni, 7.41.3 che si sentien le corazze sfondare, 7.41.4 e pesta loro i fegati e' polmoni; 7.41.5 quando si sente arnesi sgretolare, 7.41.6 e d' ogni gamba farne due tronconi. 7.41.7 E grida e mugghia il gigante feroce, 7.41.8 tanto ch' assai ne stordisce la voce. 7.42.1 E' pareva, ogni volta che mugghiava, 7.42.2 quando Cristo «Quem quaeritis» diceva, 7.42.3 ch' ognuno a quella voce stramazzava. 7.42.4 E tanti morti dintorno n' aveva, 7.42.5 ch' ognun discosto alla fine lanciava, 7.42.6 e chi con dardi e chi archi traeva; 7.42.7 tal che Morgante di molte uova succia 7.42.8 per le ferite e come orso si cruccia. 7.43.1 Egli era come a dare in un pagliaio; 7.43.2 e già tutto forato come un vaglio, 7.43.3 e' si volgeva come un arcolaio 7.43.4 a' saracin che faceano a sonaglio; 7.43.5 e mai non uccideva men d' un paio 7.43.6 quando e' menava più lento il battaglio; 7.43.7 e più di cinque mila n' avea morti, 7.43.8 ma ricevuto da lor mille torti. 7.44.1 Avea nel dosso migliaia di zampilli 7.44.2 che gettan sangue già per le punture 7.44.3 ch' erano state d' altro che d' assilli. 7.44.4 Chi dà percosse di mazze e di scure, 7.44.5 chi il petto par, chi le gambe gli spilli, 7.44.6 chi dà sassate che parevon dure: 7.44.7 era un diluvio la gente ch' è intorno 7.44.8 per ammazzare il gigante quel giorno. 7.45.1 E già pel campo il romore è sì forte, 7.45.2 ch' alla città ne fu tosto sentore; 7.45.3 le guardie ch' eran lasciate alle porte 7.45.4 cominciorno a gridar con gran furore 7.45.5 come Morgante era presso alla morte. 7.45.6 Diceva Orlando: «Vedrai bello errore, 7.45.7 che Manfredonio sarà iscampato, 7.45.8 e questo matto ha 'l suo campo assaltato. 7.46.1 Tanto andato sarà la capra zoppa 7.46.2 che si sarà ne' lupi riscontrata. 7.46.3 Questa sua furia alcuna volta è troppa; 7.46.4 e fece pure inver pazza pensata 7.46.5 d' ardere un campo come un po' di stoppa 7.46.6 e come a' topi far con la granata; 7.46.7 ma 'l topo sarà egli in questo caso, 7.46.8 al cacio nella trappola rimaso». 7.47.1 Subito fece i suo' compagni armare 7.47.2 e Caradoro le sue gente tutte, 7.47.3 perché Morgante si possi aiutare 7.47.4 da' saracin che gli davon le frutte: 7.47.5 così avvien chi pel fango vuol trottare 7.47.6 e può di passo andar per le vie asciutte. 7.47.7 E fece a Vegliantin la sella porre 7.47.8 Orlando, ché 'l destrier suo vuol pur tôrre; 7.48.1 a Ulivier si fe' dar Durlindana, 7.48.2 ed a lui détte Cortana e Rondello; 7.48.3 e la bella e gentil Meredïana 7.48.4 Ulivieri arma, ch' è 'l suo damigello. 7.48.5 Corsono al campo alla turba pagana 7.48.6 sì presto ognun, che pareva un uccello. 7.48.7 Morgante vide il soccorso venire 7.48.8 e col battaglio riprese più ardire; 7.49.1 e cominciava a sgridar que' pagani 7.49.2 e far balzar giù molti della sella 7.49.3 e capi e braccia in tronco e spalle e mani: 7.49.4 tocca e ritocca e risuona e martella; 7.49.5 e' saracini uccide come cani; 7.49.6 un mezzo braccio v' alzâr le cervella; 7.49.7 e sopra i corpi morti si cacciava 7.49.8 addosso a' vivi e la rosta menava 7.50.1 ed ogni volta levava la mosca, 7.50.2 ma ne portava con essa la gota; 7.50.3 o dove e' par che bruttura conosca, 7.50.4 sempre col pezzo ne lieva la nuota. 7.50.5 L' aria pareva sanguinosa e fosca, 7.50.6 sì spesso par che 'l gigante percuota; 7.50.7 balzano i pezzi di piastra e di maglia, 7.50.8 come le schegge dintorno a chi taglia; 7.51.1 e spesso avvenne ch' un capo spiccòe 7.51.2 e poi quel capo a un altro percosse 7.51.3 sì forte che la testa gli spezzòe 7.51.4 e morto cadde che più non si mosse. 7.51.5 Oh quanti il giorno all' inferno mandòe! 7.51.6 Quanti morti rimason per le fosse! 7.51.7 E Manfredonio già s' è messo in punto 7.51.8 con molta gente e 'n quella parte è giunto. 7.52.1 Dall' altra parte Orlando è comparito 7.52.2 e 'l sir di Montalban, tanto gagliardo 7.52.3 che accetta prima ch' uom facci lo 'nvito, 7.52.4 e fece un salto pigliare a Baiardo 7.52.5 in mezzo dove il gigante è ferito: 7.52.6 sopra gli uomin saltò sanza riguardo 7.52.7 e ritrovossi al rigoletto in mezzo 7.52.8 de' saracin ch' omai faranno lezzo. 7.53.1 Quando Morgante vedeva quel salto, 7.53.2 parve che 'l cuore in aria si levasse, 7.53.3 ché più di dieci braccia andò in aria alto 7.53.4 Baiardo prima che 'n terra calasse. 7.53.5 Or qui comincia il terribil assalto. 7.53.6 Rinaldo presto Frusberta sua trasse, 7.53.7 quella che fésse il mostro da l' inferno, 7.53.8 per far de' saracin crudo governo. 7.54.1 Punte, rovesci, tondi, stramazzoni, 7.54.2 mandiritti, traverse con fendenti, 7.54.3 certi tramazzi, certi sergozzoni, 7.54.4 in dieci colpi n' uccise ben venti; 7.54.5 e chi partiva insin sotto agli arcioni, 7.54.6 chi 'nsino al petto, e 'l manco insino a' denti, 7.54.7 e le budella balzavan per terra: 7.54.8 mai non si vide tanto crudel guerra. 7.55.1 Orlando nostro sprona Vegliantino: 7.55.2 giunse d' un urto tra quel popol fello, 7.55.3 che più di cento caccia a capo chino; 7.55.4 poi cominciava a toccare a martello: 7.55.5 non tocca il polso sopra il manichino; 7.55.6 facea de' saracin come un macello; 7.55.7 ed avea detto: «Non temer, Morgante: 7.55.8 Cesare è teco, ove è il signor d' Angrante». 7.56.1 Queste parole avean sì sbigottiti 7.56.2 i saracin, ch' assai del popol fugge, 7.56.3 e buon per que' che son prima fuggiti, 7.56.4 tanto i nostri baron già ciascun rugge: 7.56.5 e' ne facean gelatine e mortiti; 7.56.6 a poco a poco la turba si strugge; 7.56.7 ed Ulivieri e Dodon giunti sono 7.56.8 con romor grande che pareva un tuono; 7.57.1 e Manfredonio in sul campo scontrava; 7.57.2 la lancia abbassa, ché lo conoscea. 7.57.3 Re Manfredonio il cavallo spronava 7.57.4 ed Ulivieri allo scudo giugnea 7.57.5 e 'nfino alla corazza lo passava, 7.57.6 tanto che tutto d' arcion lo movea; 7.57.7 e sì gran colpo fu quel che gli diede, 7.57.8 ch' Ulivier nostro si trovava a piede. 7.58.1 Ed ogni cosa la donzella vide, 7.58.2 ch' era venuta con suo gente al campo, 7.58.3 e fra se stessa di tal colpo ride. 7.58.4 Ulivier come un lïon mena vampo 7.58.5 e per dolore il cor se gli divide, 7.58.6 dicendo: «Appunto al bisogno qui inciampo: 7.58.7 caduto son dirimpetto alla dama, 7.58.8 donde ho perduto il suo amore e la fama». 7.59.1 Guarda s' a tempo la trappola scocca! 7.59.2 Non si potea racconsolar per nulla. 7.59.3 Sempre Fortuna alle gran cose imbrocca, 7.59.4 e 'nsin sopra la soglia ci trastulla. 7.59.5 Non domandar se questo il cor gli tocca. 7.59.6 Per gentilezza allor quella fanciulla 7.59.7 se gli accostava e diceva: «Ulivieri, 7.59.8 rimonta, vuoi tu aiuto? in sul destrieri». 7.60.1 Or questo fu ben del doppio lo scorno, 7.60.2 e parve fuoco la faccia vermiglia: 7.60.3 are' voluto morire in quel giorno. 7.60.4 Meredïana pigliava la briglia, 7.60.5 dicendo: «Monta, cavaliere adorno». 7.60.6 Or questo è quel ch' ogni cosa scompiglia, 7.60.7 e per dolor dubitò sanza fallo 7.60.8 non poter risalir sopra il cavallo. 7.61.1 Morgante aveva ogni cosa veduto, 7.61.2 come Ulivier dal gran re Manfredonio 7.61.3 del colpo della lancia era caduto, 7.61.4 e la donzella vi fu testimonio; 7.61.5 e disse: «Io proverrò, come è dovuto, 7.61.6 s' io gli potessi appiccar questo conio: 7.61.7 io intendo d' Ulivier far la vendetta»; 7.61.8 e 'nverso Manfredon presto si getta. 7.62.1 Meredïana, che 'l vide venire, 7.62.2 gridava: «Indrieto ritorna, Morgante», 7.62.3 e Manfredonio correva assalire 7.62.4 per far vendetta del suo caro amante. 7.62.5 Morgante pur lo veniva a ferire, 7.62.6 e come e' giunse, gridava il gigante: 7.62.7 «Tu se' qui, re di naibi o di scacchi! 7.62.8 Col mio battaglio convien ch' io t' ammacchi». 7.63.1 Disse la dama: «La battaglia è mia; 7.63.2 e se ci fussi al presente qui Orlando, 7.63.3 non mi faresti sì gran villania: 7.63.4 tìrati addrieto, io ti darò col brando. 7.63.5 Venuto è qua colla sua compagnia, 7.63.6 la fama e 'l regno di tôrmi cercando». 7.63.7 Morgante indrieto alla fine pur torna 7.63.8 per ubbidir questa fanciulla adorna. 7.64.1 Trovò Dodone in luogo molto stretto, 7.64.2 ch' era venuto tra cattive mane; 7.64.3 pur s' aiutava questo giovinetto 7.64.4 e cominciava a dar mazzate strane, 7.64.5 a questo e quello spezzando l' elmetto, 7.64.6 tanto che gli elmi faceva campane 7.64.7 quando egli assaggion di quel suo picciuolo; 7.64.8 ma dà di sopra come allo orïuolo. 7.65.1 E rimaneva il segno ove e' percuote: 7.65.2 quanti ne tocca il battaglio feroce, 7.65.3 non si ponea più le mani alle gote, 7.65.4 ché ne facea com' e' fusse una noce; 7.65.5 alcuna volta facea certe ruote, 7.65.6 ch' a più di sette domava la boce; 7.65.7 com' un nòcciol di pesca ogn' elmo stiaccia 7.65.8 e fa balzar giù capi e spalle e braccia. 7.66.1 E rimisse Dodon sopra il destrieri, 7.66.2 Dodon gridava al popol sorïano: 7.66.3 «Io ne farò vendetta e d' oggi e di ieri, 7.66.4 quando impiccar mi volea quel villano». 7.66.5 In questo tempo il famoso Ulivieri 7.66.6 era pel campo colla spada in mano, 7.66.7 e dove Manfredon combatte, arriva, 7.66.8 colla donzella florida e giuliva. 7.67.1 Una ora o più combattuto insieme hanno, 7.67.2 e non si vede de' colpi vantaggio. 7.67.3 Ulivier tutto arrossì, come fanno 7.67.4 gli amanti presso alla dama, il visaggio; 7.67.5 e disse: «Dama, non ti dar più affanno: 7.67.6 lascia pur me vendicare il mio oltraggio. 7.67.7 Io vorrei esser morto veramente 7.67.8 quand' io cascai, che tu v' eri presente. 7.68.1 Alla mia vita non caddi ancor mai, 7.68.2 ma ogni cosa vuol cominciamento». 7.68.3 Disse la dama: «Tu ricascherai, 7.68.4 se tu combatti, cento volte e cento; 7.68.5 e sempre avvenir questo troverrai 7.68.6 a cavalier che sia di valimento: 7.68.7 usanza è in guerra cascar del destriere; 7.68.8 ma chi si fugge non suol mai cadere. 7.69.1 Io vo' con Manfredon tu mi consenti 7.69.2 che la battaglia mia sia in ogni modo, 7.69.3 per vendicar non una ingiuria o venti, 7.69.4 ma mille e mille e che paghi ogni frodo». 7.69.5 Disse Ulivier: «Se così ti contenti, 7.69.6 che poss' io dir, se non ch' io affermo e lodo?». 7.69.7 Re Manfredon che le parole intese, 7.69.8 in questo modo parlava al marchese: 7.70.1 «Per Dio ti priego, baron d' alta fama, 7.70.2 tu lasci me come amante fedele 7.70.3 perdere insieme e la vita e la dama, 7.70.4 ché così vuol la Fortuna crudele. 7.70.5 Cercato ho quel che cercar suol chi ama: 7.70.6 trovato ho tòsco per zucchero e mèle; 7.70.7 e poi che la mia morte ognun la vuole, 7.70.8 per le sue man morir non me ne duole. 7.71.1 So ch' io non tornerò più nel mio regno, 7.71.2 so che mai più non rivedrò Soria; 7.71.3 so ch' ogni fato m' avea prima a sdegno, 7.71.4 so che fia morta la mia compagnia; 7.71.5 so ch' io non ero di tal donna degno, 7.71.6 so ch' aver non si può ciò ch' uom desia; 7.71.7 so che per forza di volerla ho il torto, 7.71.8 so che sempre ove io sia l' amerò morto». 7.72.1 Non poté far Meredïana allora 7.72.2 che del suo amante pur non gl' increscessi, 7.72.3 e disse: «Così va chi s' innamora! 7.72.4 Se mille volte uccider lo potessi, 7.72.5 per le mie man non piaccia a Dio ch' e' mora, 7.72.6 quantunque a morte si danni egli stessi»; 7.72.7 e pianse, sì di Manfredon gli dolse, 7.72.8 ché essere ingrata a tanto amor non volse. 7.73.1 E ricordossi ben che combattendo 7.73.2 l' aveva molte volte riguardata. 7.73.3 Dicea fra sé: «Perché d' ira m' accendo 7.73.4 contro a costui? Perché son sì spietata? 7.73.5 Ciò che fatto ha, com' io pur veggo e intendo, 7.73.6 è per avermi lungo tempo amata. 7.73.7 Non fu lodata mai d' esser crudele 7.73.8 alcuna donna al suo amante fedele; 7.74.1 questo non vuol per certo il nostro Iddio». 7.74.2 Non sa più che si far Meredïana, 7.74.3 e disse: «Manfredon, se 'l tuo desio 7.74.4 è di morir, non voglio esser villana. 7.74.5 Se tu facessi pel consiglio mio, 7.74.6 per salvar te con tuo gente pagana, 7.74.7 tu soneresti a raccolta col corno 7.74.8 e in Orïente faresti ritorno. 7.75.1 Poi che non piace al tuo fero distino 7.75.2 ch' io sia pur tua come tu brami e vogli, 7.75.3 perché pugnar pur contra al tuo Apollino? 7.75.4 Io veggo il legno tuo fra mille scogli: 7.75.5 tórnati col tuo popol saracino 7.75.6 e 'l nodo del tuo amor per forza sciogli». 7.75.7 A questo Manfredon rispose forte: 7.75.8 «Non lo sciorrà per forza altro che morte». 7.76.1 Allor seguì la donzella più avante: 7.76.2 «O Manfredon, di te m' incresce assai»; 7.76.3 e diègli un prezïoso e bel diamante: 7.76.4 «Per lo mio amor», dicea, «questo terrai 7.76.5 per ricordanza del tuo amor costante, 7.76.6 e pel consiglio mio ti partirai. 7.76.7 E se tu scampi e salvi le tuo squadre, 7.76.8 d' accordo ancor mi ti darà il mio padre. 7.77.1 Ogni cosa si placa con dolcezza; 7.77.2 e chi per forza vuol tirar pur l' arco, 7.77.3 benché sia sorïan, sai che si spezza: 7.77.4 ogni cosa conduce il tempo al varco. 7.77.5 E priego te per la tua gentilezza 7.77.6 che tu comporti ogni amoroso incarco 7.77.7 e sia contento di qui far partita 7.77.8 e in ogni modo conservar la vita. 7.78.1 La dipartenza, perché e' non ci avanza 7.78.2 tempo, ch' io veggo morir la tua gente, 7.78.3 tra noi sia fatta, e questo sia abbastanza, 7.78.4 poi che più oltre il Ciel non ci consente. 7.78.5 E quel gioiel terrai per ricordanza, 7.78.6 ch' io t' ho donato, sempre in Orïente; 7.78.7 e se Fortuna e 'l Ciel t' ha pure a sdegno, 7.78.8 aspetta tempo e miglior fato e segno». 7.79.1 Questa ultima parola al cor s' affisse 7.79.2 a Manfredonio, udendo la donzella, 7.79.3 che mai più fermo in dïaspro si scrisse. 7.79.4 Volea parlare, e manca la favella; 7.79.5 ma finalmente pur piangendo disse: 7.79.6 «"Aspetta tempo e miglior fato e stella, 7.79.7 poi ch' al Ciel piace, e tórnati in Soria": 7.79.8 quanto son vinto da tal cortesia! 7.80.1 Quando sarà quel dì quando fia questo? 7.80.2 Or quel che non si può voler non deggio. 7.80.3 Io tornerò per non t' esser molesto; 7.80.4 ricòrdati di me, ch' altro non chieggio; 7.80.5 col popol mio, con quel che c' è di resto, 7.80.6 ché molti morti pel campo ne veggio, 7.80.7 ritornerò sanza speranza alcuna 7.80.8 nel regno mio, se così vuol Fortuna. 7.81.1 E per tuo amor terrò questo gioiello: 7.81.2 questo sempre sarà presso al mio core. 7.81.3 S' io ho peccato, lasso meschinello, 7.81.4 contra al tuo padre e contra al mio signore, 7.81.5 incolpane colui ch' è stato quello 7.81.6 che m' ha condotto dove e' vuole, Amore; 7.81.7 e in ogni modo a te chieggio perdono, 7.81.8 e viver per tuo amor contento sono». 7.82.1 E poi si volse al marchese Ulivieri 7.82.2 e chiese a lui perdon del cadimento; 7.82.3 Ulivier gli perdona volentieri, 7.82.4 ché del suo dipartir troppo è contento, 7.82.5 perché eran due gran ghiotti a un taglieri, 7.82.6 ed era stato alle parole attento 7.82.7 che dette avea Meredïana a quello, 7.82.8 e confermato e postovi il suggello. 7.83.1 E poi ch' egli ebbe lagrimato alquanto, 7.83.2 re Manfredonio alfin s' accomiatava; 7.83.3 e la donzella, con sospiri e pianto 7.83.4 «Addio» dicendo, la man gli toccava; 7.83.5 e déi pensar se si cavorno il guanto. 7.83.6 Ulivier presto Orlando ritrovava, 7.83.7 e dicea ciò ch' egli avea fermo e saldo; 7.83.8 e molto piacque a Orlando e Rinaldo. 7.84.1 Venne per caso quivi Caradoro 7.84.2 e 'ntese come l' accordo era fatto. 7.84.3 Morgante, insieme veggendo costoro, 7.84.4 inverso lor col battaglio era tratto 7.84.5 e quel che fussi saper vuol da loro; 7.84.6 ma col battaglio non dava di piatto. 7.84.7 Orlando disse: «Non far più, Morgante». 7.84.8 Allor più forte combatté il gigante. 7.85.1 «Re Manfredonio e la sua compagnia 7.85.2 contento è di lasciar Meredïana» 7.85.3 diceva Orlando «e tornarsi in Soria». 7.85.4 Morgante allora il battaglio giù spiana, 7.85.5 e disse: «Orlando, questa era tra via», 7.85.6 e détte a uno una picchiata strana, 7.85.7 un altro ammacca che parve di cera: 7.85.8 ed anco questo ne' patti non era. 7.86.1 Orlando disse: «Il battaglio giù posa: 7.86.2 assai morti n' abbiàn per questo giorno». 7.86.3 Re Manfredon sua gente dolorosa 7.86.4 per tutto il campo raguna col corno. 7.86.5 E così la battaglia sanguinosa 7.86.6 a questo modo quel dì terminorno, 7.86.7 come nell' altro dir seguirò poi. 7.86.8 Cristo vi guardi e sia sempre con voi.
CANTO VIII
8.1.1 Virgine santa, madre di Gesùe, 8.1.2 madre di tutti i miseri mortali, 8.1.3 per cui salvata nostra prole fue; 8.1.4 perché tu ci ami tanto e tanto vali, 8.1.5 donami grazia e tanto di virtùe 8.1.6 ch' io mi ritorni a' baron nostri, i quali 8.1.7 nella città tornar volevan drento, 8.1.8 e Manfredon ne va poco contento; 8.2.1 anzi chiamava morte a ogni passo, 8.2.2 dicendo: «Omè, quanto pensai felice 8.2.3 esser per te, Meredïana; ahi lasso, 8.2.4 ch' io t' ho lasciata, or misero e infelice!». 8.2.5 Arebbe fatto lagrimare un sasso 8.2.6 per le parole che talvolta dice; 8.2.7 e tuttavia la gente rassettava 8.2.8 e 'nverso il suo camin tristo n' andava. 8.3.1 Or chi avessi il gran pianto veduto 8.3.2 che nel suo dipartir fa la sua gente, 8.3.3 certo che assai gliene saria incresciuto: 8.3.4 chi morto il padre lascia e chi il parente, 8.3.5 e così morto l' ha riconosciuto, 8.3.6 onde e' piangea di lui miseramente; 8.3.7 chi il suo fratello e chi l' amico abbraccia, 8.3.8 chi si percuote il petto e chi la faccia. 8.4.1 Eravi alcun che cavava l' elmetto 8.4.2 al suo figliuolo, al suo cognato o padre, 8.4.3 poi lo baciava con pietoso affetto, 8.4.4 e dicea: «Lasso, fra le nostre squadre 8.4.5 non tornerai in Soria più, poveretto. 8.4.6 Che diren noi alla tua afflitta madre, 8.4.7 e chi sarà più quel che la conforti? 8.4.8 Tu ti riman cogli altri al campo morti». 8.5.1 Altri dicea pel cammin cavalcando: 8.5.2 «Non si dovea tanta gente pagana 8.5.3 menar però così qua tapinando: 8.5.4 certo non era la dama sovrana 8.5.5 di tanto prezzo quanto or vien costando. 8.5.6 Ora hai tu, Manfredonio, Merediana! 8.5.7 Or se ne va la tua gente sbandita, 8.5.8 e mancò poco a lasciar qua la vita. 8.6.1 Teco menasti tutta Pagania, 8.6.2 come tu andassi per Elena a Troia: 8.6.3 or hai tu sazia la tua voglia ria! 8.6.4 e se' cagion che tanta gente muoia». 8.6.5 E così Manfredon ne va in Soria 8.6.6 afflito, sconsolato, in pianto e in noia: 8.6.7 così chi segue ogni sfrenata voglia 8.6.8 lasciando la ragion, sente alfin doglia. 8.7.1 Orlando con Rinaldo ed Ulivieri 8.7.2 si ritornorno, e Dodone e Morgante, 8.7.3 con Caradoro e tutti i cavalieri, 8.7.4 con le bandiere al vento trïunfante. 8.7.5 Gran festa è fatta a' cristian battaglieri 8.7.6 da tutto quanto il popolo affricante; 8.7.7 suonansi corni e trombette e tamburi, 8.7.8 fannosi fuochi e balli sopra i muri. 8.8.1 Essendo molti giorni riposati, 8.8.2 la damigella un dì chiama il marchese; 8.8.3 in una cameretta sono andati; 8.8.4 e poi che tutta nel viso s' accese, 8.8.5 i suoi sospir tutti ha manifestati: 8.8.6 priega ch' a lei sia cavalier cortese 8.8.7 e che 'l suo amor negar non debbi a quella 8.8.8 che nel suo cor sentia mille quadrella. 8.9.1 Ulivier dice: «Io nol farò per certo, 8.9.2 perché se' saracina, io son cristiano: 8.9.3 dal nostro Iddio so ch' io sarei diserto; 8.9.4 prima m' uccidi qui colla tuo mano». 8.9.5 Ella rispose: «S' tu mi mostri aperto 8.9.6 che 'l nostro Macometto iddio sia vano, 8.9.7 io mi battezzerò per lo tuo amore 8.9.8 perché tu sia poi sempre il mio signore». 8.10.1 Ulivier disse della Trinitate, 8.10.2 come era una sustanzia e tre persone, 8.10.3 di lor potenzia e di lor deïtate; 8.10.4 e poi gli fece una comparazione: 8.10.5 «Se d' esser uno e tre pur dubitate, 8.10.6 si mostra per essemplo e per ragione 8.10.7 ch' una candela accesa mille accende 8.10.8 e 'l lume suo pure all' usato rende». 8.11.1 De' miracoli disse fatti al mondo, 8.11.2 e come Lazzar già risucitassi, 8.11.3 come E' fu crucifisso, e nel profondo 8.11.4 del limbo a trar molte anime n' andassi. 8.11.5 Disse la dama: «Più non ti rispondo»; 8.11.6 e fu contenta che la battezzassi. 8.11.7 E dopo a questo vennono alla cresima, 8.11.8 tanto che infine e' ruppon la quaresima. 8.12.1 Più e più volte questa danza mena 8.12.2 Ulivier nostro pur celatamente: 8.12.3 non si ricorda più di Forisena, 8.12.4 che la soleva aver sempre alla mente; 8.12.5 e la fanciulla leggiadra e serena 8.12.6 ingravidata è di lui finalmente; 8.12.7 e nacquene un figliuol, dice la storia, 8.12.8 che détte a Carlo Man poi gran vittoria. 8.13.1 Uscendo un dì d' una zambra la dama, 8.13.2 Rinaldo s' accorgea di questo fatto 8.13.3 ed Ulivier segretamente chiama: 8.13.4 «Che fai tu?», disse. «Tu mi pari un matto». 8.13.5 Ulivier gli contò tutta la trama, 8.13.6 com' ella è battezzata e con che patto. 8.13.7 Rinaldo disse: «Se cristiana è certa, 8.13.8 fa che la cosa almen vadi coperta». 8.14.1 Or lasciamo Ulivier fornir la danza 8.14.2 e riposarsi alquanto, e gli altri ancora, 8.14.3 e ritorniamo al signor di Maganza, 8.14.4 Gan da Pontier, che non si posa un' ora. 8.14.5 Avuto avea del suo messo certanza 8.14.6 come impiccato fu sanza dimora 8.14.7 da Caradoro; onde n' ha gran tormento 8.14.8 e pensa pur qualche altro tradimento. 8.15.1 E perché egli era maestro perfetto, 8.15.2 si ricordò d' un gran re saracino, 8.15.3 lo quale Erminïon per nome è detto, 8.15.4 nimico di Rinaldo paladino; 8.15.5 perché Rinaldo gli fe' già dispetto 8.15.6 quando détte la morte al re Mambrino, 8.15.7 perch' egli avea per moglie la sorella, 8.15.8 detta dama Clemenzia, savia e bella. 8.16.1 Avea più tempo questa donna eletta, 8.16.2 come fanno le moglie col marito, 8.16.3 pregato che far debba la vendetta; 8.16.4 Erminïon non l' avea consentito, 8.16.5 come colui che luogo e tempo aspetta, 8.16.6 sì come savio, a pigliar tal partito. 8.16.7 Gan da Pontieri avea per alfabeto 8.16.8 ogni trattato palese e segreto, 8.17.1 e dove e' possa seminar discordia, 8.17.2 nol ritenea pietà né conscïenzia, 8.17.3 ché lo facea sanza misericordia. 8.17.4 Sapea il pensier della dama Clemenzia; 8.17.5 e scrisse un brieve, e dopo lunga essordia 8.17.6 gli ricordò l' oltraggio e vïolenzia 8.17.7 del buon Rinaldo, e che non debba starsi, 8.17.8 però ch' egli era il tempo a vendicarsi: 8.18.1 «A te Erminïon di gran potere, 8.18.2 il conte Gan mille salute manda, 8.18.3 sempre parato a ogni tuo piacere, 8.18.4 ed umilmente a te si raccomanda. 8.18.5 Credo tu debbi ogni cosa sapere: 8.18.6 dove Rinaldo si truovi e 'n qual banda, 8.18.7 e come egli è sbandeggiato di corte, 8.18.8 e détte al re Mambrin pur già la morte. 8.19.1 Pel mondo va come un ladron di strada; 8.19.2 Orlando è seco, e Dodon, per ventura, 8.19.3 ed Ulivier con lui credo ancor vada: 8.19.4 non ti bisogna aver di lor paura. 8.19.5 Lascia il tuo regno ed ogni tua contrada, 8.19.6 a Montalban te ne vieni alle mura: 8.19.7 Alardo e Ricciardetto v' è a guardarlo, 8.19.8 e non potre' più in odio avergli Carlo. 8.20.1 Se tu vien presto col tuo assembramento. 8.20.2 in poco tempo so che 'l piglierai: 8.20.3 gente non v' è, né vettovaglia drento; 8.20.4 e 'n questo modo ti vendicherai, 8.20.5 però che fe' pur troppo tradimento, 8.20.6 ucciderlo nel modo che tu sai. 8.20.7 Io te lo scrivo per antico amore, 8.20.8 e so che vuole il nostro imperadore. 8.21.1 E' si vorrebbe dinanzi levare 8.21.2 tutti que' della casa di Chiarmonte, 8.21.3 ma con suo onor non l' ha potuto fare; 8.21.4 ora ha sbandito Rinaldo col conte 8.21.5 per fargli sol, se può, mal capitare; 8.21.6 e se tu vien colle tuo gente a fronte, 8.21.7 Carlo sarà giustificato in tutto 8.21.8 che per tua man sia Montalban distrutto». 8.22.1 La lettera suggella e manda il messo, 8.22.2 che non debba posar notte né giorno; 8.22.3 e se farà il suo debito, ha promesso 8.22.4 cento talenti Gan nel suo ritorno. 8.22.5 Il messaggier vuol far quel ch' è interesso: 8.22.6 subito tolse la taschetta e 'l corno, 8.22.7 e dopo lungo e spiacevol cammino 8.22.8 si rappresenta al gran re saracino. 8.23.1 Erminïon a questo pose orecchio 8.23.2 e tutte le ragion gli son capace, 8.23.3 benché conosca Gan traditor vecchio; 8.23.4 dama Clemenzia, questo assai gli piace. 8.23.5 E finalmente feciono apparrecchio 8.23.6 di gente franca saracina audace: 8.23.7 ben centomila sotto un gonfalone 8.23.8 in poco tempo accozza Erminïone. 8.24.1 E poi che tutti furono assembrati, 8.24.2 con trentamila giunse un amirante, 8.24.3 e d' archi sorïani erano armati, 8.24.4 e per nome si chiama Lïonfante; 8.24.5 avea per arme due lïon dorati 8.24.6 nel campo azurro e ciascun par rampante; 8.24.7 era venuto sanza aver richiesta, 8.24.8 e molto Erminïon ne fece festa; 8.25.1 ed arrecossi in buono agurio e segno 8.25.2 la sua venuta e quella gente franca. 8.25.3 L' arme d' Erminïon famoso e degno, 8.25.4 nel campo rosso era un' aquila bianca, 8.25.5 salvo ch' aveva un altro contrassegno, 8.25.6 una rosetta sopra l' alia manca. 8.25.7 E Fieramonte, suo fratello adorno, 8.25.8 appella Erminïone e Salincorno; 8.26.1 e disse a Salincorno: «Tu verrai 8.26.2 in Francia bella; e tu, mio Fieramonte, 8.26.3 la mia corona in testa serberai, 8.26.4 tanto mi fido alle virtù tue pronte; 8.26.5 né mai del regno ti dipartirai 8.26.6 fin che passare in qua mi vedrai il monte: 8.26.7 a te confido tutto il mio reame, 8.26.8 e la giustizia fa ch' osservi ed ame». 8.27.1 Dama Clemenzia d' allegrezza ha pieno 8.27.2 il core, e fece al messaggier di Gano 8.27.3 nel suo partir donare un palafreno; 8.27.4 cento bisanti poi gli pose in mano 8.27.5 e d' un bel drappo splendido e sereno 8.27.6 gli détte un ricco e gentil caffettano, 8.27.7 e disse: «Questo per mio amor ne porta. 8.27.8 Saluta Gan mille volte e conforta». 8.28.1 Erminïon gli fe' donare ancora 8.28.2 molte cose leggiadre alla moresca; 8.28.3 e 'l messaggier partì sanza dimora 8.28.4 con la risposta e non par che gl' incresca. 8.28.5 La qual risposta Ganellon rincora 8.28.6 come il nòcciolo arà tosto la pèsca, 8.28.7 e come centotrentamila avea 8.28.8 di cavalieri e come e' si movea. 8.29.1 In pochi dì ritornò il messaggieri 8.29.2 ed al suo Ganellon si rappresenta; 8.29.3 Gan la risposta lesse volentieri, 8.29.4 quando sentì di centomila e trenta. 8.29.5 Disse il messaggio: «O signor da Pontieri, 8.29.6 di quel che m' hai promesso or mi contenta. 8.29.7 Erminïon non vuol di lui mi lagni»; 8.29.8 e mostrò i don c' ha ricevuti magni. 8.30.1 Gan gli donò quel che promesso avea, 8.30.2 e tutto pien d' allegrezza era quello; 8.30.3 a Montalbano a Guicciardo scrivea 8.30.4 che ne veniva Orlando e 'l suo fratello 8.30.5 e presto sarà in Francia; e ciò facea 8.30.6 per certa astuzia, il maladetto e fello: 8.30.7 perché e' tenessin la terra e le mura 8.30.8 più sprovvedute e stien sanza paura. 8.31.1 Intanto Erminïon si mette in punto: 8.31.2 apparecchiò navil, gran quantitate; 8.31.3 e come e' vide il vento per lui giunto, 8.31.4 subito furon le vele gonfiate, 8.31.5 e giorno e notte non si posa punto. 8.31.6 Le navi a salvamento son giostrate, 8.31.7 e in pochi dì questa brigata magna 8.31.8 si ritrovava ne' porti di Spagna. 8.32.1 Fu la novella subito a Marsilio 8.32.2 come in Ispagna è venuta gran gente; 8.32.3 maravigliossi di questo navilio 8.32.4 e cominciava a temer fortemente; 8.32.5 ebbe consiglio e tutto il suo concilio, 8.32.6 e manda imbasceria subitamente 8.32.7 che lo debba avvisare Erminïone 8.32.8 della venuta sua che sia cagione. 8.33.1 Erminïon rispose come saggio 8.33.2 che inverso Francia con sua gente andava 8.33.3 per vendicarsi d' un antico oltraggio 8.33.4 e come il passo sol gli domandava, 8.33.5 ch' a' suoi paesi non faria dannaggio. 8.33.6 Marsilio della impresa il confortava. 8.33.7 E presto fu avvisato Carlo Mano 8.33.8 come e' passava gran popol pagano. 8.34.1 Carlo sentendo sì fatta novella, 8.34.2 non ebbe alla sua vita un tal dolore; 8.34.3 Turpino e Namo e Salamone appella 8.34.4 e raccontava del fatto il tinore, 8.34.5 dicendo: «Orlando non sarà qui in sella, 8.34.6 non c' è Rinaldo, onde e' mi triema il core, 8.34.7 né Ulivieri, il nostro paladino. 8.34.8 Che faren noi, o Namo, o mio Turpino? 8.35.1 Or si conosce il mio nipote caro, 8.35.2 or si conosce Rinaldo e 'l marchese». 8.35.3 Turpino e gli altri insieme s' accordaro 8.35.4 che si dovessi stare a le difese, 8.35.5 e 'n questo modo Carlo confortaro. 8.35.6 Namo per tutti le parole prese, 8.35.7 dicendo: «Le città difenderemo, 8.35.8 e intanto aiuto al papa chiederemo». 8.36.1 Per tutta Francia fecion provedere 8.36.2 le città, le fortezze e le castelle, 8.36.3 ed ordinorno mandar messaggiere 8.36.4 al papa a dir le cattive novelle. 8.36.5 Intanto Erminïon con sue bandiere 8.36.6 presso a Parigi son sopra le selle 8.36.7 e fan tremare el monte e la pianura, 8.36.8 e tutto il regno sta con gran paura; 8.37.1 e pel paese trascorrendo vanno, 8.37.2 rubando, ardendo e pigliando prigioni, 8.37.3 e mettono ogni cosa a saccomanno: 8.37.4 dove e' s' abbatton questi mascalzoni, 8.37.5 in ogni parte facevon gran danno. 8.37.6 Erminïon fra tutti i suo' baroni 8.37.7 elesse Lïonfante, che ponessi 8.37.8 a Montalbano il campo e intorno stessi: 8.38.1 e lui si stette con suo gente al piano 8.38.2 appresso a poche leghe di Parigi; 8.38.3 e manda imbasciadore a Carlo Mano 8.38.4 a dir che gli movea questi litigi 8.38.5 per vendicar Mambrin degno pagano 8.38.6 e Montalban disfare e San Dionigi; 8.38.7 e Mattafolle fu suo imbasciadore, 8.38.8 un re pagan che non gli triema il core. 8.39.1 Giugnendo a Carlo Man quel Mattafolle, 8.39.2 fe' come matto e folle veramente: 8.39.3 ché quand' e' gli ebbe detto quel che volle, 8.39.4 e' cominciò a minacciarlo aspramente. 8.39.5 Carlo pur rispondea timido e molle: 8.39.6 Astolfo a questo non fu pazïente: 8.39.7 trasse la spada fuor con gran tempesta 8.39.8 per dare a Mattafolle in su la testa. 8.40.1 Ma non poté perché e' lo prese Namo, 8.40.2 e disse: «L' onestà questo non vuole, 8.40.3 che a 'mbasciador oltraggio noi facciamo. 8.40.4 Lascialo far, ché fa come far suole, 8.40.5 sì che al suo re non ne faccia richiamo». 8.40.6 Mattafolle tagliava le parole, 8.40.7 e disse: «Astolfo, in sul campo ti voglio, 8.40.8 e forse abbasserò questo tuo orgoglio»; 8.41.1 e dipartissi da Carlo adirato, 8.41.2 benché il Dusnamo si scusassi assai. 8.41.3 Al grande Erminïon si fu tornato, 8.41.4 e disse: «La 'mbasciata tua contai, 8.41.5 e molto fui d' Astolfo ingiurïato; 8.41.6 ond' io ti priego, s' a te piacqui mai, 8.41.7 che domattina sia contento io m' armi, 8.41.8 e vo' con tutti i paladin provarmi». 8.42.1 Rispose Erminïon: «Tu non sa' bene 8.42.2 ancor chi sieno i paladin di Francia, 8.42.3 e per questa cagion sì spesso avviene 8.42.4 che molti n' hanno forata la pancia. 8.42.5 Sappi che Carlo Man questi non tiene, 8.42.6 se non fussino ognun provata lancia. 8.42.7 Tu ti potrai provar, se n' hai pur voglia; 8.42.8 ma guarda ben che mal non te ne coglia. 8.43.1 E se non v' è Rinaldo ed Ulivieri, 8.43.2 e se non v' è Orlando tanto forte, 8.43.3 e' v' è quel valoroso e franco Uggieri, 8.43.4 ch' a tanti saracin dato ha la morte, 8.43.5 e quel famoso e degno Berlinghieri, 8.43.6 Ottone, e tanti altri baroni in corte. 8.43.7 Per mio consiglio al campo ti starai; 8.43.8 pur, se ti piace, a tuo modo farai». 8.44.1 Astolfo in quella notte cavalcòe 8.44.2 inverso Montalban tutto soletto: 8.44.3 perché e' non v' è Rinaldo, dubitòe 8.44.4 d' Alardo, di Guicciardo e Ricciardetto. 8.44.5 Ma giunto ove era il campo, riscontròe 8.44.6 certi pagani e fu preso in effetto 8.44.7 e fu menato preso all' amirante, 8.44.8 ch' era chiamato il fiero Lïonfante. 8.45.1 Lïonfante comincia a domandare 8.45.2 di Carlo, di sua gente e sua possanza; 8.45.3 e la cagion che vengon per guastare 8.45.4 Montalban, come tosto avea speranza, 8.45.5 dice che voglion Mambrin vendicare 8.45.6 perché Rinaldo fe' troppa fallanza 8.45.7 a tradimento uccider quel signore, 8.45.8 e mancò troppo, al suo parer, d' onore; 8.46.1 e che per questo saria tanta guerra, 8.46.2 per vendicar questo peccato antico. 8.46.3 A lui rispose il signor d' Inghilterra: 8.46.4 «Ascolta, Lïonfante, quel ch' io dico: 8.46.5 pel mio Gesù, che chi dice ciò erra, 8.46.6 perché e' l' uccise come suo nimico, 8.46.7 a corpo a corpo e sanza tradimento 8.46.8 e non vi fu difetto o mancamento». 8.47.1 E raccontò la cosa in tal maniera 8.47.2 che Lïonfante restò pazïente, 8.47.3 e disse: «Poi ch' io so la storia vera, 8.47.4 per mia fé, ora ch' io ne son dolente 8.47.5 aver condotta qua la mia bandiera: 8.47.6 esser vorrei in Soria con questa gente, 8.47.7 ché, poi ch' a tradimento e' non fu morto, 8.47.8 Erminïon, per Macometto, ha il torto. 8.48.1 Io conobbi Rinaldo già in Ispagna, 8.48.2 e per mia fé, mi parve un uom gentile, 8.48.3 da non dovere aver questa magagna 8.48.4 di far con tradimento opera vile; 8.48.5 anzi pareva una persona magna 8.48.6 e franco e forte e giusto e signorile; 8.48.7 e 'ncrescemi di lui che non ci sia; 8.48.8 ma per me tanto oltraggiato non fia: 8.49.1 e s' io potessi, Montalban, pigliarlo, 8.49.2 io nol farò, pel giusto iddio Apollino; 8.49.3 e in qualche modo si vorria avvisarlo. 8.49.4 che ritornassi in qua col suo cugino. 8.49.5 Ma dimmi, prigionier col quale io parlo, 8.49.6 se tu se' cavalier o paladino». 8.49.7 Astolfo il nome suo gli disse allora, 8.49.8 il perché Lïonfante assai l' onora, 8.50.1 e fece accompagnarlo alla cittate. 8.50.2 Era quel Lïonfante un uom discreto; 8.50.3 mandò con lui molte sue gente armate 8.50.4 fino alle mura e poi tornano indrieto. 8.50.5 Astolfo truova le porte serrate: 8.50.6 furono aperte, e molto ognun fu lieto; 8.50.7 e Ricciardetto, quando ha questo inteso, 8.50.8 parve dal cor gli levasse ogni peso. 8.51.1 E domandò se sapeva nïente 8.51.2 del suo fratello, e disse come Gano 8.51.3 gli aveva scritto molto chiaramente 8.51.4 Rinaldo saria tosto a Montalbano. 8.51.5 Astolfo indovinò subitamente 8.51.6 la sua malizia e scrisse a Carlo Mano 8.51.7 che certo il traditor di Gano è quello 8.51.8 ch' avea condotto là quel popol fello. 8.52.1 Gano in que' dì parea maninconoso 8.52.2 più che alcun altro di sì fatto assedio, 8.52.3 e spesso il viso facea lacrimoso, 8.52.4 dicendo: «Carlo, io non veggo rimedio 8.52.5 a Montalbano, ond' io ne sto doglioso: 8.52.6 credo che poco vi staranno a tedio»; 8.52.7 e poi la notte nel campo avvisava 8.52.8 Erminïon, ciò che Carlo ordinava. 8.53.1 Carlo un dì per ventura vide indosso 8.53.2 a quel corrier ch' egli aveva mandato 8.53.3 al re pagano, un certo vestir rosso 8.53.4 di cammuccà, ch' e' gli aveva donato, 8.53.5 e fra se stesso diceva: «Io non posso 8.53.6 pensar donde costui l' abbi arrecato»; 8.53.7 e domandonne alcuna volta Gano 8.53.8 ond' egli avessi quel vestire strano. 8.54.1 Gan gli avea detto: «A questi dì il mandai 8.54.2 nel tal paese, per saper d' Orlando 8.54.3 novelle; e perché poco ne spiai, 8.54.4 non te lo dissi: el messaggier, tornando, 8.54.5 per quel ch' io intesi, ché nel domandai, 8.54.6 un dì in un bosco un pagano scontrando, 8.54.7 credo che disse lo fece morire 8.54.8 e trassegli di dosso quel vestire. 8.55.1 Vera cosa è ch' io scrissi a questi giorni 8.55.2 a Ricciardetto per dargli conforto: 8.55.3 "Rinaldo e gli altri paladini adorni 8.55.4 sappi che in Francia saranno di corto": 8.55.5 questo è perché e' non credon mai che torni 8.55.6 ed hanno dubitato che sia morto». 8.55.7 Carlo ogni cosa nella mente avea, 8.55.8 e 'l messaggier d' Astolfo allor giugnea. 8.56.1 E non credette a quel ch' Astolfo scrisse, 8.56.2 perché il parlar di Gan si riscontrava; 8.56.3 e risposegli indrieto, e così disse, 8.56.4 quand' egli scrisse questo, se sognava 8.56.5 a dir che Erminïon per Gan venisse. 8.56.6 Così Fortuna Carlo traportava; 8.56.7 o forse ch' era permesso dal Cielo 8.56.8 ciò che Gan dice gli paia il Vangelo. 8.57.1 Or ritorniamo a Mattafolle un poco: 8.57.2 egli era contro Astolfo inanimato 8.57.3 per quel che fe', che non gli parve giuoco. 8.57.4 La mattina seguente si fu armato, 8.57.5 però che l' ira riscaldava el foco. 8.57.6 Così soletto si fu inviato, 8.57.7 e venne presso al muro di Parigi 8.57.8 dove è la chiesa detta San Dionigi; 8.58.1 ed un suo corno cominciò a sonare, 8.58.2 chiamando Astolfo che debba venire, 8.58.3 se vuol con esso in sul campo giostrare. 8.58.4 Carlo comincia col Dusnamo a dire, 8.58.5 e Salamon, quel che par lor di fare, 8.58.6 se Mattafolle si debba ubbidire; 8.58.7 e finalmente per partito prese 8.58.8 ch' a lui si mandi il possente Danese. 8.59.1 E 'l Danese s' armò con gran furore, 8.59.2 e 'l suo caval d' acciaio era guernito. 8.59.3 Chiese licenzia, e dallo imperadore 8.59.4 subitamente e dagli altri è partito. 8.59.5 Vide dove è Mattafolle il signore, 8.59.6 che rifaceva col corno lo 'nvito: 8.59.7 maravigliossi che 'l vide soletto 8.59.8 e non pareva ch' avessi sospetto. 8.60.1 Giugnendo a Mattafolle, il franco Uggieri 8.60.2 lo salutò con un gentil saluto; 8.60.3 poi gli diceva: «O nobil cavalieri, 8.60.4 per combatter con noi se' qua venuto? 8.60.5 Io sono stato per tutti i sentieri 8.60.6 de' saracini e mai non fu' abbattuto. 8.60.7 Che pensi tu con ispada o con lancia 8.60.8 esser venuto acquistar fama in Francia? 8.61.1 Io son de' paladini il più codardo, 8.61.2 e non ti stimo, pagano, un bisante. 8.61.3 Se tu se' pur, come credi, gagliardo, 8.61.4 prendi del campo, barone affricante». 8.61.5 Rispose il saracin: «Per certo io guardo 8.61.6 se tu se' quel cavaliere arrogante 8.61.7 che mi volesti far villania in corte, 8.61.8 per darti in ogni modo oggi la morte». 8.62.1 Disse il Danese: «Troppa pazïenza 8.62.2 ebbe con teco il nostro imperadore, 8.62.3 che ti dovea punir di tua fallenza, 8.62.4 se stato tu non fussi imbasciadore. 8.62.5 Colui che fare ti volea violenza, 8.62.6 Astolfo è, d' Inghilterra alto signore. 8.62.7 Io son chiamato per nome Danese». 8.62.8 Il saracino allor del campo prese. 8.63.1 Poi che fu dilungato il saracino 8.63.2 più d' una arcata, volse il suo cavallo; 8.63.3 dall' altra parte il franco paladino 8.63.4 tosto tornava indrieto a contastallo; 8.63.5 furno scontrati a mezzo del cammino 8.63.6 e nessun pose la sua lancia in fallo; 8.63.7 ma del Danese la lancia spezzossi 8.63.8 sopra lo scudo e quel pagan piegossi. 8.64.1 Il saracin ferì con maggior forza 8.64.2 sopra lo scudo il possente barone; 8.64.3 passollo tutto, e trovava la scorza 8.64.4 della corazza, e pàssala, e 'l giubbone; 8.64.5 Uggier piegossi ora a poggia ora a orza 8.64.6 e finalmente cadde dell' arcione. 8.64.7 Re Mattafolle, quando in terra il vide, 8.64.8 maravigliossi e di ciò forte ride; 8.65.1 e disse: «Or non vo' più che tu ti vanti 8.65.2 che mai più non cadessi del destriere; 8.65.3 e di' che ci hai provati tutti quanti: 8.65.4 provato non m' avevi, cavaliere. 8.65.5 Vedi che Cristo e tutti i vostri santi 8.65.6 non t' han potuto aiutar di cadere. 8.65.7 Renditi a me, come tu déi, prigione». 8.65.8 Disse il Danese: «Questo è ben ragione». 8.66.1 La spada per la punta il paladino 8.66.2 détte al pagan che l' aveva abbattuto. 8.66.3 Menollo in San Dionigi il saracino, 8.66.4 e disse: «Qui t' aspetta, ch' è dovuto». 8.66.5 Poi cominciava: «O figliuol di Pipino, 8.66.6 sappi ch' Uggier della sella è caduto 8.66.7 e per prigion l' ho messo in San Dionigi. 8.66.8 Mandami un altro baron di Parigi». 8.67.1 Quando udì Carlo risonare il corno, 8.67.2 non fu mai più dolente alla sua vita, 8.67.3 e ragguardava per la sala intorno, 8.67.4 dove era la sua gente sbigottita. 8.67.5 Dusnamo e gli altri tutti consigliorno 8.67.6 che, poi che 'l saracin così gl' invita, 8.67.7 un altro cavalier mandar bisogna, 8.67.8 se non che gli saria troppa vergogna; 8.68.1 ed accordârsi che v' andassi Namo. 8.68.2 Namo v' andò, sì come gli fu imposto. 8.68.3 Giugnendo a Mattafolle così gramo, 8.68.4 lo salutò e dissegli discosto: 8.68.5 «Prendi del campo; alla giostra vegnamo, 8.68.6 ché dir parole assai non son disposto». 8.68.7 Il saracin, che la sua voglia intende, 8.68.8 subitamente allor del campo prende. 8.69.1 Namo si volse tutto furïoso: 8.69.2 e' si credette inghiottir Mattafolle; 8.69.3 giunse allo scudo un colpo poderoso: 8.69.4 l' asta si ruppe, ché passar nol volle; 8.69.5 e 'l saracin, ch' è forte ed animoso, 8.69.6 nulla non par che dell' arcion si crolle; 8.69.7 e prese il savio duca a mezzo il petto, 8.69.8 e della sella lo cavò di netto. 8.70.1 Namo si vide superato e vinto, 8.70.2 e così disse: «Io ti comincio a credere, 8.70.3 poi che tu m' hai fuor dell' arcion sospinto, 8.70.4 ch' ogn' altro saracin tu debba eccedere»; 8.70.5 e 'l brando presto da lato ebbe scinto, 8.70.6 e disse: «A te prigion mi vo' concedere». 8.70.7 Disse il pagano: «Or, se non t' è fatica, 8.70.8 il nome tuo, baron, vo' che mi dica». 8.71.1 Namo rispose: «Questo poco importa. 8.71.2 Sappi ch' io sono il duca di Baviera». 8.71.3 Disse il pagan: «Per Macon, ti conforta, 8.71.4 ch' onorato sarai fra la mia schiera». 8.71.5 Di San Dionigi il condusse alla porta, 8.71.6 dove il Danese nostro prigione era; 8.71.7 e ritornossi al campo e 'l corno suona, 8.71.8 Carlo sprezzando e sua santa corona. 8.72.1 Era Carlo a vederlo cosa oscura, 8.72.2 e tutti i suo' baron similemente; 8.72.3 ognuno avea già in Parigi paura. 8.72.4 Berlinghier nostro, quando il corno sente, 8.72.5 tosto apportar si facea l' armadura, 8.72.6 e montò sopra il suo destrier possente. 8.72.7 Nella sedia fatal rimase Carlo, 8.72.8 e' suoi baron dintorno a confortarlo. 8.73.1 La lancia di Ciresse aveva in mano, 8.73.2 la spada allato, e cintosi un trafiere; 8.73.3 brocca il cavallo e giugneva al pagano 8.73.4 a lanci e salti che pare un levriere, 8.73.5 e disse: «Se' tu quel baron villano, 8.73.6 che così sprezzi il famoso imperiere? 8.73.7 Se tu sapessi chi sotto è in queste armi, 8.73.8 tosto perdon verresti a domandarmi. 8.74.1 Se tu scampi da me, tu sarai il primo, 8.74.2 tanti n' ho morti già con questa spada: 8.74.3 non domandar s' ogni peluzzo cimo 8.74.4 con essa in aria, in modo par che rada». 8.74.5 Disse il pagan: «Per Macon, poco stimo 8.74.6 chi troppo sta la notte alla rugiada! 8.74.7 Manda pel prete e fa trovare i moccoli, 8.74.8 ché tu mi pari una bertuccia in zoccoli». 8.75.1 Berlinghier si crucciò come un dïavolo, 8.75.2 e disse al saracin: «Matto uom bestiale, 8.75.3 che se' tu uso a mangiar crusca e cavolo? 8.75.4 Co' pazzi sopra il carro trïonfale! 8.75.5 Non potre' farlo Macone o 'l suo avolo 8.75.6 o Apollin, ch' io non ti facci male». 8.75.7 Disse il pagan, poi che molto ebbe riso: 8.75.8 «Deh, dimmi un poco, hai tu sotto altro viso?». 8.76.1 Rispose Berlinghier: «Non più parole: 8.76.2 e' ti parrà ch' io sia come un gigante. 8.76.3 El molto rider segno esser non suole 8.76.4 però di cavalier saggio o prestante. 8.76.5 Non so quel che tu di', rugiada o sole, 8.76.6 e zoccoli non ho sotto le piante; 8.76.7 ma nella punta del mio brando forte 8.76.8 so ch' io vi porto, baron, la tua morte». 8.77.1 «Sares' tu mai Rinaldo, o quel marchese 8.77.2 c' ha tanta fama al mondo, o 'l conte Orlando», 8.77.3 disse il pagano, «o puoi più che 'l Danese, 8.77.4 che nella punta la morte hai del brando? 8.77.5 Deh, fammi il nome tuo, se vuoi, palese». 8.77.6 Berlinghier gli rispose minacciando: 8.77.7 «Non son Rinaldo, Orlando o Ulivieri, 8.77.8 ma il franco e forte e gentil Berlinghieri». 8.78.1 Il saracin, sentendo nominarlo, 8.78.2 rispose: «Sia nel nome di Macone! 8.78.3 Dunque tu se' de' paladin di Carlo: 8.78.4 so che non tien sì fatto compagnone 8.78.5 in corte, se non usa di provarlo. 8.78.6 Io t' ho squadrato dal capo al tallone 8.78.7 per veder quanto discosto gittarti 8.78.8 voglio in sul campo e in su l' erba posarti. 8.79.1 Prendi del campo, ch' io scoppio di ridere 8.79.2 pensando, cavalier, quel che tu hai detto, 8.79.3 che tu mi creda, così al primo, uccidere: 8.79.4 non potre' farlo tu, né Macometto! 8.79.5 Se tu non soldi gente da dividere, 8.79.6 ovver se tu non voli, io ti prometto 8.79.7 in San Dionigi, cavalier di Francia, 8.79.8 portarti in sulla punta della lancia». 8.80.1 Rispose Berlinghier: «Degli altri matti 8.80.2 ho gastigati a' miei dì mille volte; 8.80.3 e te gastigherò. Vegnamo a' fatti, 8.80.4 ché le parole tue paiono stolte». 8.80.5 Disse il pagano: «Io vo' far questi patti: 8.80.6 che tu mi lasci sol due dita sciolte 8.80.7 e mettami in un sacco il resto tutto; 8.80.8 e mosterrotti ch' io ti stimo un putto». 8.81.1 «Prendi del campo», disse Berlinghieri: 8.81.2 «forse che tu ti troverrai in un sacco»; 8.81.3 e subito rivolse il suo destrieri, 8.81.4 dicendo: «Mattafolle, tu m' hai stracco: 8.81.5 tu se' come tu hai nome, e volentieri 8.81.6 non gittian qui le perle in bocca al ciacco». 8.81.7 E 'l saracin del campo prese e tolse, 8.81.8 poi con la lancia a Berlinghier si volse. 8.82.1 Berlinghier ne venìa come un colombo 8.82.2 e 'l saracin ne vien come un falcone; 8.82.3 da ogni parte si sentiva il rombo 8.82.4 de' lor destrier, ch' ognun pare un rondone; 8.82.5 poi lasciaron cader le lance a piombo, 8.82.6 ognuno in resta la sua tosto pone. 8.82.7 Ma quella del cristian, ch' è di Ciresse, 8.82.8 tosto si ruppe e pel colpo non resse. 8.83.1 Il saracin ferì sopra lo scudo 8.83.2 Berlinghier nostro, e come fussi cera 8.83.3 subito il passa, e 'l ferro acuto e 'gnudo 8.83.4 passò la corazzina e la panziera: 8.83.5 fino alla carne andò quel colpo crudo; 8.83.6 e perché soda e verde la lancia era, 8.83.7 per la percossa che fu molto acerba, 8.83.8 Berlinghier franco si trovò in su l' erba. 8.84.1 E 'n su la punta più di dieci braccia 8.84.2 lo portò in aria e poi lo lasciò andare, 8.84.3 e disse: «Sempre avvien che chi minaccia 8.84.4 ne suol la pace a casa poi portare». 8.84.5 Berlinghier mano alla sua spada caccia 8.84.6 e volle la battaglia rappiccare; 8.84.7 subito del terren ritto si getta 8.84.8 per far di Mattafolle aspra vendetta. 8.85.1 «Ah», disse il saracin, «tu falli troppo: 8.85.2 usanza è sempre di gentil baroni 8.85.3 che que' che son caduti al primo intoppo 8.85.4 porghino il brando e diensi per prigioni. 8.85.5 Or ch' io t' ho vinto, fracassato e zoppo, 8.85.6 a quel che vuol la giustizia t' opponi 8.85.7 ed hai cavato fuor lo spadaccino: 8.85.8 questa usanza non è di paladino! 8.86.1 Io t' avevo sentito ricordare 8.86.2 fra tutti gli altri un cavalier virile 8.86.3 che non sapessi in nessun modo errare, 8.86.4 onesto, saggio, pulito e gentile; 8.86.5 or fatto m' hai di te maravigliare: 8.86.6 questo mi pare un atto stato vile». 8.86.7 Rispose a Mattafolle Berlinghiere: 8.86.8 «Io ti darò col brando e col trafiere». 8.87.1 Mattafolle non ebbe pazïenza, 8.87.2 e disse: «Poi che tu se' in tanto errore, 8.87.3 io ti gastigherò di tua fallenza»; 8.87.4 e punse sopra a' fianchi il corridore; 8.87.5 déttegli un colpo di tanta potenza 8.87.6 sopra l' elmetto, dice l' aüttore, 8.87.7 che Berlinghieri in terra inginocchiossi 8.87.8 e non sapeva in qual mondo si fossi. 8.88.1 «Renditi tu prigion?» diceva allora 8.88.2 il saracino. «Oì» tosto rispose 8.88.3 il paladin sanza far più dimora, 8.88.4 e 'l brando per la punta in man gli pose. 8.88.5 Ed ècci un aüttor che dice ancora, 8.88.6 e così truovo nelle antiche chiose, 8.88.7 che ginocchion lo fe' star quel che volle 8.88.8 con le ginocchia ignude Mattafolle; 8.89.1 e disse: «Questo sia pel tuo peccato, 8.89.2 che tu volevi far le fusa tòrte». 8.89.3 E poi che gli ebbe il suo brando pigliato, 8.89.4 non per la punta, ché v' era la morte, 8.89.5 anzi dal pome come e' gli fu dato, 8.89.6 lo misse drento a quelle sante porte 8.89.7 di San Dionigi; e Namo, che vedea 8.89.8 il suo figliuol prigion, seco piangea. 8.90.1 Era d' ogni eccellenzia e di costume 8.90.2 Berlinghier sopra tutti un uom dabbene, 8.90.3 di gentilezza una fonte, anzi un fiume, 8.90.4 a luogo e tempo, come si conviene, 8.90.5 tanto che scritto n' è in più d' un volume. 8.90.6 Or se lo stil della ragion non tiene, 8.90.7 è che conobbe ch' ogni gentilezza 8.90.8 perduta è sempre a chi quella non prezza; 8.91.1 e reputava Mattafolle un matto, 8.91.2 come il nome sonava veramente, 8.91.3 da non servàgli né ragion né patto: 8.91.4 così lo scusa ognun ch' è sapïente. 8.91.5 Poi, se gli fussi rïuscito il tratto, 8.91.6 era salvato Carlo e la sua gente, 8.91.7 e lecito ogni cosa è per la fede: 8.91.8 adunque chi lo 'ncolpa il ver non vede. 8.92.1 Carlo sentì ritoccare il cornetto, 8.92.2 e disse: «Questo mi par tristo segno: 8.92.3 caduto è Berlinghier tanto perfetto; 8.92.4 non so chi abbi a' suo' colpi ritegno. 8.92.5 Venuto è questo pagan maladetto 8.92.6 per distrugger mia gente e tutto il regno». 8.92.7 Avin s' armò, sentendo che 'l fratello 8.92.8 era abbattuto, per vendicar quello. 8.93.1 Avin si ritrovò sopra la terra. 8.93.2 Venne in sul campo il valoroso Ottone, 8.93.3 il famoso signor là d' Inghilterra, 8.93.4 e finalmente si trovò prigione: 8.93.5 tutti gli abbatte il saracin da guerra. 8.93.6 Venne Turpino, Gualtier da Mulione, 8.93.7 Salamon di Bretagna e 'l buon Avolio: 8.93.8 tutti prigion n' andâr, cheti com' olio. 8.94.1 Di Normandia il possente Riccardo 8.94.2 venne in sul campo e con gran sua vergogna 8.94.3 al primo colpo rimase codardo. 8.94.4 Tosto s' armava Angiolin di Guascogna: 8.94.5 volle provar com' e' fussi gagliardo, 8.94.6 e ritrovossi come gli altri in gogna. 8.94.7 Carlo rimase sconsolato tutto, 8.94.8 veggendo il popol suo così distrutto. 8.95.1 Restava appunto il traditor di Gano: 8.95.2 Carlo non volle ch' egli uscissi fore. 8.95.3 Tornossi Mattafolle a Montalbano, 8.95.4 presso alla terra ove era il suo signore 8.95.5 e presentò i prigioni al re pagano. 8.95.6 Erminïon fe' lor massimo onore 8.95.7 e nel suo padiglion gli ha ricevuti. 8.95.8 Cristo del ciel vi conservi ed aiuti.
CANTO IX
9.1.1 O felice alma d' ogni grazia piena, 9.1.2 fida colonna e speme grazïosa, 9.1.3 Vergine sacra, umìle e nazarena, 9.1.4 perché tu se' d' Iddio nel cielo sposa, 9.1.5 colla tua mano insin al fin mi mena, 9.1.6 che di mia fantasia truovi ogni chiosa, 9.1.7 per la tua sol benignità, ch' è molta, 9.1.8 acciò che 'l mio cantar piaccia a chi ascolta. 9.2.1 Febo avea già nell' occeàno il volto 9.2.2 e bagnava fra l' onde i suoi crin d' auro, 9.2.3 e dal nostro emispero aveva tolto 9.2.4 ogni splendor, lasciando il suo bel lauro 9.2.5 dal qual fu già miseramente sciolto; 9.2.6 era nel tempo che più scalda il Tauro, 9.2.7 quando il Danese e gli altri al padiglione 9.2.8 si ritrovâr del grande Erminïone. 9.3.1 Erminïon fe' far pel campo festa: 9.3.2 parvegli questo buon cominciamento. 9.3.3 E Mattafolle avea drieto gran gesta 9.3.4 di gente armata a suo contentamento, 9.3.5 e 'ndosso aveva una sua sopravvesta 9.3.6 dov' era un Macometto in puro argento; 9.3.7 pel campo a spasso con gran festa andava; 9.3.8 di sua prodezza ognun molto parlava. 9.4.1 E' si doleva Mattafolle solo 9.4.2 ch' Astolfo un tratto non venga a cadere; 9.4.3 e minacciava in mezzo del suo stuolo, 9.4.4 e porta una fenice per cimiere. 9.4.5 Astolfo ne sare' venuto a volo, 9.4.6 per cadere una volta a suo piacere; 9.4.7 ma Ricciardetto, che sapea l' omore, 9.4.8 non vuol per nulla ch' egli sbuchi fore. 9.5.1 Carlo mugghiando, per la mastra sala, 9.5.2 com' un lïon famelico arrabbiato, 9.5.3 ne va con Ganellon che batte ogni ala 9.5.4 per gran letizia; e spesso ha simulato, 9.5.5 dicendo: «Ah lasso, la tua fama cala! 9.5.6 Or fussi qui Rinaldo almen tornato! 9.5.7 Ché se ci fussi il conte ed Ulivieri, 9.5.8 io sarei fuor di mille stran pensieri». 9.6.1 E dicea forse il traditore il vero, 9.6.2 ché se vi fussi stato pur Rinaldo, 9.6.3 al qual non può mostrar bianco per nero, 9.6.4 morto l' arebbe come vil ribaldo. 9.6.5 Carlo diceva: «Io veggio il nostro impero 9.6.6 ch' omai perduto ha il suo natural caldo, 9.6.7 poi che non c' è colui ch' era il suo cuore, 9.6.8 cioè Orlando; ond' io n' ho gran dolore». 9.7.1 Lasciam costor chi in festa e chi in affanno 9.7.2 e ritorniamo a' nostri battezzati 9.7.3 che col re Carador dimora fanno, 9.7.4 e de' paesi ch' egli hanno lasciati 9.7.5 e delle guerre mosse lor non sanno. 9.7.6 Eron più tempo lietamente stati 9.7.7 col re pagano, e pur volean partire, 9.7.8 e cominciorno un giorno così a dire: 9.8.1 «Assai con teco abbiam fatto dimoro, 9.8.2 ed onorati da tua corte assai: 9.8.3 la tua benedizion, re Caradoro, 9.8.4 dunque ci dona, e 'n pace rimarrai. 9.8.5 Del tempo che perduto abbiam, ristoro 9.8.6 sarà buon fare, e me' tardi che mai: 9.8.7 qualche paese ancor cercar vogliamo, 9.8.8 prima che in Francia a Carlo ritorniamo». 9.9.1 Carador consentì la lor partita 9.9.2 e ringraziògli con giusti sermoni, 9.9.3 dicendo: «Il regno mio sempre e la vita 9.9.4 in tutto è vostro, degni alti baroni». 9.9.5 Poi fe' venir la donzella pulita 9.9.6 e fece lor leggiadri e ricchi doni. 9.9.7 Ma la fanciulla chiamò poi da canto 9.9.8 Ulivier nostro, faccendo gran pianto, 9.10.1 dicendo: «Lassa, io non ho meritato 9.10.2 che m' abbandoni, mio gentile amante! 9.10.3 Dove lasci il cor mio sì sconsolato? 9.10.4 Tu mi dicevi sempre esser costante; 9.10.5 or tu ti parti ed io non so in qual lato 9.10.6 da me ti fugga, in Ponente o in Levante; 9.10.7 e quel che sopra tutto m' è gran duolo, 9.10.8 è del tuo sventurato e mio figliuolo. 9.11.1 Vedi che sola e gravida rimango, 9.11.2 sanza sperar più te riveder mai; 9.11.3 però del mio dolor con teco piango. 9.11.4 Ma questa grazia mi concederai, 9.11.5 che, poi che pur di duol la mente affrango, 9.11.6 con teco insieme me ne menerai; 9.11.7 e in ogni parte ove tu andrai cercando, 9.11.8 ne vo' con teco venir tapinando». 9.12.1 Ulivier confortava la donzella, 9.12.2 e dice: «Dama, e' non passerà molto, 9.12.3 com' io son ricondotto in Francia bella, 9.12.4 ch' a te ritornerò con lieto volto; 9.12.5 però non ti chiamar sì tapinella, 9.12.6 ch' io son legato e mai non sarò sciolto, 9.12.7 e 'l figliuol nostro, quando sarà nato, 9.12.8 per lo mio amor ti sia raccomandato». 9.13.1 Con gran sospir lasciò Meredïana 9.13.2 Ulivier certo in questa dipartenzia, 9.13.3 con isperanza, al mio parer, pur vana. 9.13.4 Re Carador con gran magnificenzia, 9.13.5 con molta gente dintorno pagana, 9.13.6 poi che più far non poté resistenzia, 9.13.7 gli accompagnò con tutta sua famiglia 9.13.8 fuor della terra più di dieci miglia. 9.14.1 Pur finalmente toccò lor la mano 9.14.2 e quanto può di nuovo a lor s' è offerto. 9.14.3 Via se ne vanno per paese strano; 9.14.4 e come e' furno entrati in un deserto, 9.14.5 subitamente quel lïon silvano 9.14.6 da lor fu disparito, e questo è certo, 9.14.7 e volse a tutti in un punto le spalle 9.14.8 e fuggì via per una scura valle. 9.15.1 Disse Rinaldo: «Caro cugin mio, 9.15.2 vedi il lïon come è da noi sparito! 9.15.3 Questo miracol ci dimostra Iddio: 9.15.4 non è sanza cagion così fuggito; 9.15.5 ma quel Signor ch' è in ciel, verace e pio, 9.15.6 a qualche fine buon l' ha consentito». 9.15.7 Rispose Orlando: «Se 'l tuo dir ben noto, 9.15.8 molto se' fatto, al mio parer, divoto. 9.16.1 Lascialo andar con la buona ventura, 9.16.2 ché 'l suo partir più che 'l venir m' è caro, 9.16.3 ché molte volte m' ha fatto paura». 9.16.4 Così molte giornate cavalcaro, 9.16.5 tanto ch' al fin d' una lunga pianura 9.16.6 un giorno in Danismarche capitaro: 9.16.7 questo paese Erminïon tenìa, 9.16.8 ch' a Montalbano è con sua compagnia. 9.17.1 Poi ch' egli ebbon salito sopra un monte, 9.17.2 si riscontrorno in saracini armati; 9.17.3 e poi che furno più presso da fronte, 9.17.4 furon da questi baroni avvisati 9.17.5 che 'l lor signor si chiama Fieramonte, 9.17.6 e quattromila avea seco menati, 9.17.7 uomini tutti maestri da guerra, 9.17.8 ch' a vicitare andava una sua terra. 9.18.1 Questo è colui che Erminïon lasciòe, 9.18.2 quando e' parti, per guardia del suo regno. 9.18.3 Fieramonte Baiardo riguardòe: 9.18.4 subito su vi faceva disegno; 9.18.5 verso Rinaldo in tal modo parlòe: 9.18.6 «Deh, dimmi, cavalier famoso e degno, 9.18.7 onde aves' tu questo caval gagliardo?»; 9.18.8 e finalmente gli chiedea Baiardo. 9.19.1 Dicea Rinaldo: «Assai me l' hanno chiesto, 9.19.2 ma a nessun mai non lo volli donare». 9.19.3 Disse il pagan: «Se tu non vuoi far questo, 9.19.4 deh, lasciamelo un poco cavalcare». 9.19.5 Rinaldo intese la malizia presto, 9.19.6 e disse: «Un bello essemplo ti vo' dare, 9.19.7 saracin, prima ch' io ti dia il cavallo»; 9.19.8 e raccontò della volpe e del gallo: 9.20.1 «Andandosi la volpe un giorno a spasso 9.20.2 tutta affamata sanza trovar nulla, 9.20.3 un gallo vide, in su 'n un alber, grasso, 9.20.4 e cominciò a parer buona fanciulla, 9.20.5 e pregar quel che si faccia più basso, 9.20.6 ché molto del suo canto si trastulla. 9.20.7 Il gallo sempliciotto in basso scende: 9.20.8 allor la volpe altra malizia prende; 9.21.1 e dice: "E' par che tu sia così fioco; 9.21.2 i' vo' insegnarti cantar meglio assai: 9.21.3 questo è che tu chiudessi gli occhi un poco; 9.21.4 vedrai che buona voce tu farai". 9.21.5 Al gallo parve che fussi un bel giuoco. 9.21.6 "Gran mercé", disse "che insegnato m' hai"; 9.21.7 e chiuse gli occhi e cominciò a cantare 9.21.8 perché la volpe lo stessi ascoltare. 9.22.1 Cantando questo semplice animale 9.22.2 con gli occhi chiusi come i matti fanno, 9.22.3 la volpe, come falsa e micidiale, 9.22.4 tosto lo prese sotto questo inganno, 9.22.5 e dové poi mangiarsel sanza sale. 9.22.6 Così interviene a que' che poco sanno; 9.22.7 così faresti tu, chi ti credessi: 9.22.8 ben sarei sciocco se 'l caval ti dessi. 9.23.1 Se vuoi giostrarlo, i' sono al tuo comando: 9.23.2 se tu m' abbatti per la tua virtù 9.23.3 su questo prato con lancia o con brando, 9.23.4 sia tuo il caval, non se ne parli più». 9.23.5 Fieramonte rispose rimbrottando, 9.23.6 e disse: «Poltonier, che parli tu? 9.23.7 Come hai tu tanto ardir, matto villano? 9.23.8 Quel che tu di' nol direbbe il Soldano! 9.24.1 Se tu sapessi ben con chi tu parli, 9.24.2 non parleresti così pazzamente; 9.24.3 quantunque io soglio, i pazzi, gastigarli. 9.24.4 Il mio fratello Erminïon possente 9.24.5 farebbe a tutta Francia e sette Carli 9.24.6 guerra, come or vi fa con la suo gente; 9.24.7 ch' a Montalbano ha posto già l' assedio, 9.24.8 tanto che Carlo non ha alcun rimedio; 9.25.1 e tante schiere e giganti ha menati 9.25.2 per la vendetta far di quel Mambrino 9.25.3 ch' uccise il fior de' traditor nomati, 9.25.4 Rinaldo, che pel mondo or va meschino: 9.25.5 e sbattezzar vuol tutti i battezzati». 9.25.6 Disse Rinaldo: «Bestial saracino, 9.25.7 sia chi tu vuoi, che per la gola menti: 9.25.8 ché mai Rinaldo non fe' tradimenti. 9.26.1 Per forza o per amor del campo piglia: 9.26.2 io vo' pigliar per Rinaldo la zuffa, 9.26.3 ch' io so ch' egli è di sì nobil famiglia 9.26.4 che mai non fece tradimento o truffa». 9.26.5 E detto questo, girava la briglia. 9.26.6 Veggendo il saracin com' egli sbuffa, 9.26.7 disse: «Sarebbe il diavolo costui? 9.26.8 Mai più smentito in tal modo non fui». 9.27.1 Volse il cavallo e tutto acceso d' ira 9.27.2 prese del campo e poi si fu voltato. 9.27.3 Rinaldo a l' elmo gli pose la mira 9.27.4 e 'l ferro della lancia v' ha appiccato. 9.27.5 tanto che Fieramonte ne sospira, 9.27.6 perché dalla collottola è passato, 9.27.7 sì che per gli occhi gli passò la fronte; 9.27.8 e morto cadde in terra Fieramonte. 9.28.1 I saracin che questo hanno veduto, 9.28.2 comincioron pel colpo a sbigottire; 9.28.3 e come avvien chi il signore ha perduto, 9.28.4 pel prato cominciâr tutti a fuggire. 9.28.5 Aveva un certo baron molto astuto 9.28.6 Fieramonte, e veggendo quel morire, 9.28.7 venne a Rinaldo e ginocchion si getta, 9.28.8 e disse: «Fatta hai, baron, mia vendetta. 9.29.1 Se vuoi ch' io parli arditamente il vero, 9.29.2 io ti dirò di questo traditore 9.29.3 il qual tu hai morto, gentil cavaliero. 9.29.4 Sappi che 'l suo fratel ch' è qua signore, 9.29.5 lo lasciò qui a governo del suo impero 9.29.6 e mosso ha guerra a Carlo imperadore, 9.29.7 e come e' disse, a Montalban si truova 9.29.8 per pigliar quello, e faranne ogni pruova. 9.30.1 Poi che costui si vide qua il messere, 9.30.2 ha fatte cose contra ogni giustizia, 9.30.3 rubato il terrazzano e 'l forestiere, 9.30.4 mostrato in molti modi sua nequizia, 9.30.5 a nessun fatto ragione o dovere; 9.30.6 e per più chiar mostrar la sua tristizia, 9.30.7 s' alcun pur ne volessi dubitare, 9.30.8 le nostre donne cominciò a sforzare; 9.31.1 e perché alcuno non avea pazienzia, 9.31.2 e' lo faceva morir di segreto, 9.31.3 tanto ch' assai per questa vïolenzia 9.31.4 per la paura si stavan di cheto. 9.31.5 Trovato ha il suo peccato penitenzia 9.31.6 e tutto il popol nostro ne fia lieto. 9.31.7 Volle sforzare anco una mia sorella, 9.31.8 e non potendo, imprigionata ha quella. 9.32.1 Se tu se' cavalier ch' abbi potèsta, 9.32.2 come mi parve veder poco avanti, 9.32.3 togli il cavallo e la sua sopravvesta; 9.32.4 noi ti faren compagnia tutti quanti 9.32.5 e tutta la città ti farà festa; 9.32.6 noi siàn tutti baron de' più prestanti: 9.32.7 sanza colpo di spada o altra guerra, 9.32.8 a salvamento ti darem la terra. 9.33.1 Noi v' abbiam degli amici e de' parenti: 9.33.2 tu ti potrai fermare in su la piazza, 9.33.3 e mosterrem far giostre e torniamenti, 9.33.4 e intanto faren metter la corazza 9.33.5 a' più fidati, che ne fìen contenti; 9.33.6 tu terrai a bada quella gente pazza, 9.33.7 e tutti saran presi così in zurro. 9.33.8 Ed ora il nome mio saprai: Faburro». 9.34.1 Allor Rinaldo rispondeva a quello: 9.34.2 «Prima ch' io t' abbi, Faburro, risposto, 9.34.3 o mentre i miei compagni a questo appello, 9.34.4 parmi tu fermi questa gente tosto: 9.34.5 vedi che vanno via come un uccello; 9.34.6 un mezzo miglio già ci son discosto, 9.34.7 e sanza lor non si può far nïente». 9.34.8 Disse Faburro: «Tu di' saviamente»; 9.35.1 e cominciò a spronare un suo giannetto. 9.35.2 Rinaldo Orlando chiamava e Dodone 9.35.3 ed Ulivieri e contava ogni effetto. 9.35.4 Orlando orecchio alle parole pone 9.35.5 e 'ntese ciò che quel pagano ha detto, 9.35.6 e disse: «Forse Iddio sanza cagione 9.35.7 non ci ha mandati in questa parte strana, 9.35.8 ma per ben sol della fede cristiana». 9.36.1 Ma si dolea che non v' era con loro 9.36.2 Morgante, il quale ha lasciato Ulivieri 9.36.3 con la figliuola del re Caradoro, 9.36.4 ch' era rimaso con lei volentieri 9.36.5 per aspettar che tornassin costoro; 9.36.6 ed anco parve al marchese mestieri, 9.36.7 perché il figliuol di lui, quando nascessi, 9.36.8 re Caradoro uccider nol facessi. 9.37.1 Meredïana avea chiesto il gigante 9.37.2 a Ulivier per un segno d' amore, 9.37.3 per ricordarsi del suo caro amante 9.37.4 poi che montato fu in sul corridore; 9.37.5 ed Ulivieri avea detto a Morgante: 9.37.6 «Ben puoi restar dove resta il mio core. 9.37.7 Ritornerotti a veder con Orlando, 9.37.8 e 'l mio figliuolo e lei ti raccomando». 9.38.1 Di questo Orlando si doleva a morte, 9.38.2 dicendo: «Se Morgante mio ci fosse, 9.38.3 egli è tanto feroce e tanto forte, 9.38.4 che fare' rovinar con poche scosse 9.38.5 il mondo, non che le mura o le porte; 9.38.6 a molti so faria le gote rosse; 9.38.7 so che saremo in sì fatto travaglio, 9.38.8 che molto sarebbe util quel battaglio». 9.39.1 Faburro in questo mezzo è ritornato 9.39.2 ed ordinato ciò che bisognava. 9.39.3 Rinaldo a Fieramonte avea cavato 9.39.4 la sopravvesta e l' armi che portava 9.39.5 e sopra il suo cavallo era montato, 9.39.6 tanto che tutto il pagan rassembrava: 9.39.7 e 'nverso la città sono invïati, 9.39.8 come Faburro gli avea ammaestrati. 9.40.1 Grande onor fanno tutti i terrazzani 9.40.2 a quel che credon Fieramonte sia. 9.40.3 Rinaldo in sulla piazza a' suoi pagani 9.40.4 facea far giostra e festa tuttavia. 9.40.5 Faburro intanto menava le mani: 9.40.6 truova gli amici e' parenti, e dicìa 9.40.7 come egli è morto il lor crudo tiranno 9.40.8 e come ben le cose passeranno, 9.41.1 che liberi sanz' altro impedimento 9.41.2 tosto saranno, e fe' subito armare 9.41.3 gran quantità, ch' ognuno era contento 9.41.4 di voler la sua patria liberare. 9.41.5 Mentre che in piazza si fa torniamento 9.41.6 e 'l popol tutto stava a baloccare, 9.41.7 giunse in un tratto con gran gente armata 9.41.8 Faburro e tosto la piazza ha pigliata. 9.42.1 E' saracin che con Rinaldo sono, 9.42.2 comincian tutti a 'nsanguinar le spade: 9.42.3 chi morto resta e chi chiede perdono; 9.42.4 e cominciorno a correr la cittade 9.42.5 con gran tumulto e gran furore e tuono. 9.42.6 Già son di gente calcate le strade; 9.42.7 e non sapendo ignun questo trattato, 9.42.8 dicevan: «Fieramonte fia impazzato». 9.43.1 Rinaldo corse al palazzo reale 9.43.2 dove era la reina e' suoi figliuoli; 9.43.3 e come e' giunse in capo delle scale, 9.43.4 disse la donna: «Perché i nostri stuoli 9.43.5 son sì turbati, e perché tanto male? 9.43.6 Così far, Fieramonte mio, non suoli. 9.43.7 Che caso è questo e chi muove tal guerra 9.43.8 che sottosopra così va la terra?». 9.44.1 Rinaldo di Frusberta gli menòe 9.44.2 un colpo tal, che gli spiccò la testa; 9.44.3 prese i figliuoli e tutti gli ammazzòe. 9.44.4 I saracin dicièn: «Che cosa è questa?». 9.44.5 E finalmente la terra pigliòe, 9.44.6 con quella gente che drento vi resta. 9.44.7 Poi trasse di Faburro la sorella 9.44.8 della prigione, afflitta e meschinella. 9.45.1 E poi che furno alcun dì dimorati 9.45.2 e con Faburro ognun si fu scoperto 9.45.3 ed hanno i nomi lor manifestati 9.45.4 e 'l popol vide ogni segreto aperto, 9.45.5 furon tutti d' accordo battezzati, 9.45.6 rendendo a Gesù Cristo grazia e merto, 9.45.7 che liberati gli ha da quel crudele 9.45.8 e fatto a sé questo popol fedele. 9.46.1 Poi con Faburro, che sapeva il fatto, 9.46.2 si ragionò dell' oste ch' è a Parigi, 9.46.3 e come Gano avea aspettato il tratto 9.46.4 e mosso guerra e discordia e litigi 9.46.5 per dare a Carlo Magno scaccomatto, 9.46.6 e che soccorrer si vuol San Dionigi. 9.46.7 Faburro s' accordò che vi si vadi 9.46.8 subitamente e che più non si badi. 9.47.1 Orlando disse: «E' mi dispiace solo 9.47.2 che noi lasciamo il possente gigante 9.47.3 a Caradoro, ond' io n' ho molto duolo». 9.47.4 Disse Dodon: «Se tu vuoi, sir d' Angrante, 9.47.5 andrò per lui come un falcone a volo: 9.47.6 in pochi giorni sarà qui Morgante». 9.47.7 A tutti piacque che per lui s' andassi 9.47.8 e per far presto Baiardo menassi. 9.48.1 Così fu fatto e missesi in camino; 9.48.2 e tanto va questo baron gagliardo, 9.48.3 ch' a Carador, famoso saracino, 9.48.4 giunse un dì in su la piazza con Baiardo. 9.48.5 Ricognosciuto è presto il paladino. 9.48.6 Diceva Carador: «Se ben riguardo, 9.48.7 questo è Dodon che ci torna a vedere, 9.48.8 e quel par di Rinaldo il buon destriere». 9.49.1 Meredïana che 'l cognobbe presto, 9.49.2 giù per la scala correva abbracciallo, 9.49.3 dicendo: «Dodon mio, che gaudio è questo! 9.49.4 Io ti conobbi subito al cavallo. 9.49.5 Ch' è d' Ulivier? Deh, fammel manifesto, 9.49.6 ché di saperlo ho voglia sanza fallo». 9.49.7 Disse Dodone: «Ulivier tuo ti manda 9.49.8 molte salute e a te si raccomanda». 9.50.1 Or chi vedessi la dama amorosa, 9.50.2 subito come di Dodon s' accorse, 9.50.3 farsi nel volto come fresca rosa 9.50.4 e come presto abbracciarlo poi corse 9.50.5 e domandò dove Ulivier si posa, 9.50.6 non istarebbe del suo core in forse. 9.50.7 «Ch' è di Rinaldo», dicea, «baron franco? 9.50.8 Tu debbi, Dodon nostro, essere stanco. 9.51.1 Ch' è di quel paladin ch' ogn' altro avanza, 9.51.2 Orlando nostro famoso e possente? 9.51.3 Ché di saper di tutti ho disïanza». 9.51.4 Intanto Caradoro era presente, 9.51.5 e salutò Dodone come è usanza, 9.51.6 poi domandava di tutta la gente. 9.51.7 Dodon rispose: «In paesi lontani 9.51.8 gli lasciai, in Danismarche, salvi e sani. 9.52.1 E la cagion che a te son qui venuto 9.52.2 è che mi manda Rinaldo d' Amone 9.52.3 e 'l conte Orlando, e che bisogna aiuto 9.52.4 al nostro Carlo Man, ché Erminïone 9.52.5 a Montalban più giorni ha combattuto 9.52.6 ed assediato col suo gonfalone: 9.52.7 convien ch' io meni tue genti e Morgante». 9.52.8 In questo tempo comparì il gigante 9.53.1 e corse presto Dodone abbracciare 9.53.2 e mille volte domandò d' Orlando. 9.53.3 Dodon gli dice come e' vuole andare 9.53.4 in Francia e come e' lo manda pregando 9.53.5 che in Danismarche lo vadi a trovare: 9.53.6 e tutti insieme vennonsi accordando 9.53.7 che si raguni il lor popol pagano 9.53.8 per dar soccorso presto a Montalbano. 9.54.1 In pochi dì fur fatte molte squadre 9.54.2 per dover tutti inverso Francia gire. 9.54.3 Meredïana dice: «O caro padre, 9.54.4 non mi volere una grazia disdire: 9.54.5 io vo' provar le mie virtù leggiadre 9.54.6 in Francia, ben s' i' dovessi morire; 9.54.7 s' io debbo aver da te mai alcun piacere, 9.54.8 fa ch' io sia capitan di nostre schiere». 9.55.1 Re Caradoro avea tanto disio 9.55.2 di ristorar del benificio antico 9.55.3 Rinaldo e gli altri, che rispose: «Anch' io 9.55.4 m' accordo al tuo parer; però ti dico 9.55.5 che tu vi vadi col nome di Dio, 9.55.6 perché Rinaldo è stato buono amico; 9.55.7 quando fu tempo ci détte il suo aiuto: 9.55.8 di ristorarlo al bisogno è dovuto. 9.56.1 Orlando ed Ulivier, se come amici 9.56.2 ci hanno trattati, sa tutto il mio regno, 9.56.3 ne' casi avversi, miseri e 'nfelici: 9.56.4 adunque il priego di Dodone è degno; 9.56.5 e ricordar si vuol de' benifìci, 9.56.6 ch' essere ingrato Iddio l' ha troppo a sdegno». 9.56.7 Meredïana fu troppo contenta, 9.56.8 che in dubbio stava alla risposta attenta. 9.57.1 E poi si volse a Morgante, e dicìa: 9.57.2 «E tu con meco, gigante, verrai». 9.57.3 Dicea Morgante: «Da tua compagnia 9.57.4 non dubitar ch' io mi diparta mai: 9.57.5 così ti giuro e do la fede mia». 9.57.6 Disse la dama: «Io ne son lieta assai. 9.57.7 Parmi mill' anni rivedere il conte 9.57.8 e l' ardito Rinaldo di Chiarmonte». 9.58.1 Questo dicea con la lingua la dama, 9.58.2 ma «Ulivier» diceva col suo core. 9.58.3 Morgante, che sapea tutta la trama, 9.58.4 rispose: «Dove lasci il tuo amadore, 9.58.5 che so che giorno e notte ancor ti chiama? 9.58.6 Hai tu sì tosto lasciato il suo amore?». 9.58.7 Disse la dama: «Ulivieri è qui meco, 9.58.8 però nol dissi, ed io son sempre seco». 9.59.1 In poco tempo furono ordinati 9.59.2 quarantamila e fatte dieci schiere, 9.59.3 e dal re Caradoro licenziati 9.59.4 e date tutte al vento le bandiere; 9.59.5 ed eron bene in punto e bene armati 9.59.6 come conviensi a ciascun cavaliere: 9.59.7 cavalli e scimitarre alla turchesca, 9.59.8 e scudi e targhe ed archi alla moresca. 9.60.1 Meredïana aveva un palafreno 9.60.2 quartato che pareva una montagna; 9.60.3 e ciò che questo mangiava, orzo o fieno, 9.60.4 con acqua fresca prima gli si bagna; 9.60.5 e non era caval, ma nondimeno 9.60.6 e' non se gli poteva appor magagna, 9.60.7 se non che il capo aveva di serpente; 9.60.8 e molto destro e forte era e corrente. 9.61.1 Questo in un bosco già facea dimoro 9.61.2 e nacque d' un serpente e d' una alfana; 9.61.3 mugghiava forte che pareva un toro: 9.61.4 mai non si vide bestia così strana. 9.61.5 Un che lo prese il détte a Caradoro, 9.61.6 e Caradoro il diè a Meredïana: 9.61.7 nelle battaglie sempre lo menava 9.61.8 e molta fama con esso acquistava. 9.62.1 Tanto cavalca questa franca gente, 9.62.2 che in Danismarche alla fine arrivorno. 9.62.3 Quando Rinaldo la novella sente, 9.62.4 una mattina in sull' alba del giorno 9.62.5 chiamava Orlando e 'l marchese possente; 9.62.6 e presto quel che fussi s' avvisorno, 9.62.7 perché di lungi si vede il gigante 9.62.8 che col battaglio veniva davante. 9.63.1 Diceva Orlando: «Ecco Morgante nostro, 9.63.2 ed ha con seco gran gente pagana; 9.63.3 e Caradoro grande amor ci ha mostro, 9.63.4 che la nostra amistà non sia lontana». 9.63.5 Disse Ulivier: «S' egli è Morgante vostro, 9.63.6 dove è la bella mia Meredïana? 9.63.7 Io il bramo tanto, ch' io la veggo e sento, 9.63.8 e par ch' io sia di questo error contento». 9.64.1 E poi che furon più presso, vedea 9.64.2 Ulivier questa, che il passo studiava; 9.64.3 la qual conobbe al caval ch' ella avea, 9.64.4 ovver ch' Amor così l' ammaestrava. 9.64.5 Meredïana, quando lui scorgea, 9.64.6 come stella nel viso fiammeggiava 9.64.7 e del caval saltò subitamente, 9.64.8 ed Ulivier facea similemente; 9.65.1 ed abbracciolla con gran gentilezza; 9.65.2 prima baciolla al suo modo francese. 9.65.3 La gentil dama per gran tenerezza 9.65.4 nol poté salutar, tanto s' accese! 9.65.5 Ed Ulivier sentia tanta dolcezza, 9.65.6 che le parole sue non sono intese; 9.65.7 e pur voleva dir: «Ben venga quella 9.65.8 che sola agli occhi miei fia sempre stella». 9.66.1 Gran festa fu tra' pagani e' cristiani 9.66.2 e molto Carador fu commendato 9.66.3 che si ricorda in paesi lontani 9.66.4 de' benefìci del tempo passato. 9.66.5 Dicea Faburro: «O cavalier sovrani, 9.66.6 sempre ho sentito un proverbio provato, 9.66.7 e tengol nella mente vivo e verde: 9.66.8 che del servire alfin mai non si perde». 9.67.1 Nella città più giorni si posaro, 9.67.2 e 'ntanto e' nuovi cristian sono in punto: 9.67.3 quattromila in un oste s' assembraro. 9.67.4 Dicea Faburro: «Or che Morgante è giunto, 9.67.5 è da partirsi; e molto mi fia caro, 9.67.6 Orlando, se tu m' ami o stimi punto, 9.67.7 ch' io sia di questa gente conduttore; 9.67.8 e mosterrotti in Francia il mio valore». 9.68.1 Orlando disse: «E' non è cosa ignuna 9.68.2 ch' io ti negassi, Faburro possente». 9.68.3 Allor Faburro sua gente rauna; 9.68.4 e poi ch' egli ebbe assettata la gente. 9.68.5 volle portar per insegna una luna 9.68.6 sur una sopravvesta riccamente 9.68.7 di seta bianca lavorata e d' oro, 9.68.8 sì che due corna pareva d' un toro. 9.69.1 Or lasceremo il popol saracino, 9.69.2 il qual di Danismarche già s' è mosso, 9.69.3 e ritorniamo al figliuol di Pipino, 9.69.4 che piange e dice fra sé: «Più non posso. 9.69.5 Non c' è Rinaldo, non c' è il suo cugino, 9.69.6 e tutto il mondo qua mi viene addosso. 9.69.7 Non gli conobbi mentre erano in corte; 9.69.8 or me n' avveggo e dolgomene a morte». 9.70.1 Gan traditor lo riguardava fiso 9.70.2 e con parole fitte il confortava 9.70.3 e simulava uno sforzato riso: 9.70.4 «O Carlo, troppo di questo mi grava: 9.70.5 perché pur bagni di lacrime il viso?». 9.70.6 E trentamila de' suoi ragunava, 9.70.7 e disse: «Io voglio andare», il traditore, 9.70.8 «a Montalban con questi, imperadore». 9.71.1 E tutti a Carlo gli menava avante; 9.71.2 e fece suo capitano il Magagna, 9.71.3 dicendo: «Io voglio assalir l' amirante 9.71.4 con questa compagnia, che è tanto magna; 9.71.5 e so che noi piglieren Lïonfante: 9.71.6 io lo farò dar, Carlo, nella ragna»; 9.71.7 e seppe tanto acconciar ben l' orpello, 9.71.8 che Carlo si togliea per oro quello. 9.72.1 A Montalban n' andò con questo inganno 9.72.2 e si pensò pigliarlo a salvamento; 9.72.3 e tutti all' amirante se ne vanno, 9.72.4 e disse: «Io ti darò per tradimento 9.72.5 la terra e' tuoi nimici che vi stanno, 9.72.6 e metterotti questa notte drento». 9.72.7 Ma Lïonfante era uom troppo dabbene 9.72.8 e fece quel che a' suoi par si conviene; 9.73.1 e disse: «Io ti vo' dire una novella. 9.73.2 La volpe un tratto molto era assetata: 9.73.3 entrò per bere in una secchia quella, 9.73.4 tanto che giù nel pozzo se n' è andata. 9.73.5 Il lupo passa, e questa meschinella 9.73.6 domanda come sia così cascata. 9.73.7 Dice la volpe: "Di ciò non t' incresca: 9.73.8 chi vuol de' grossi nel fondo giù pesca. 9.74.1 Io piglio lasche di libbra, compare; 9.74.2 se tu ci fussi, tu ci goderesti; 9.74.3 io me ne vo' per un tratto saziare". 9.74.4 Rispose il lupo: "Tu non chiameresti 9.74.5 a queste cose il compagno, comare? 9.74.6 E forse che mai più non lo facesti?". 9.74.7 Disse la volpe maliziosa e vecchia: 9.74.8 "Or oltre, vienne, enterrai nella secchia". 9.75.1 Il lupo non istette a pensar piùe 9.75.2 e tutto nella secchia si rassetta 9.75.3 e vassene con essa tosto giùe; 9.75.4 truova la volpe che ne vien su in fretta, 9.75.5 e dice il sempliciotto: "Ove vai tue? 9.75.6 Non vogliàn noi pescar? Comare, aspetta". 9.75.7 Disse la volpe: "Il mondo è fatto a scale: 9.75.8 vedi, compar, chi scende e chi su sale". 9.76.1 Il lupo drento al pozzo rimaneva. 9.76.2 La volpe poi nel can détte di cozzo 9.76.3 e disse il suo nimico morto aveva; 9.76.4 onde e' rispose, benché e' sia nel pozzo, 9.76.5 che 'l traditor però non gli piaceva; 9.76.6 e presela e ciuffolla appunto al gozzo, 9.76.7 uccisela e punì la sua malizia: 9.76.8 e così ebbe luogo la giustizia. 9.77.1 Se tradimenti hai fatti alla tua vita 9.77.2 già mille volte, a questa datti pace: 9.77.3 tu non farai di qui già mai partita 9.77.4 per nessun modo, traditor verace, 9.77.5 ch' ogni tua colpa vecchia fia punita, 9.77.6 ché 'l traditor per nulla non mi piace, 9.77.7 e piglierotti al gozzo col capresto»; 9.77.8 e preselo e legar lo fece presto. 9.78.1 E poi mandò di subito un messaggio 9.78.2 a dire ' Astolfo, ch' era in Monte Albano, 9.78.3 che, perch' egli era di nobil legnaggio, 9.78.4 benché e' sia saracino e lui cristiano, 9.78.5 a tradimento non vuol fargli oltraggio, 9.78.6 o in altro modo; e ch' avea preso Gano, 9.78.7 e impiccherallo, pur che lo consenti; 9.78.8 e disse tutto de' suoi tradimenti. 9.79.1 Il messaggiero ' Astolfo se n' andòe 9.79.2 e disse come ha detto il suo signore 9.79.3 e tutto il tradimento gli contòe. 9.79.4 Astolfo fece a quel messaggio onore, 9.79.5 e poi Guicciardo e gli altri a sé chiamòe 9.79.6 e referì di questo traditore 9.79.7 e chiese a tutti consiglio e parere, 9.79.8 quel che si faccia di Gan da Pontiere; 9.80.1 e che per se medesmo gli parrebbe 9.80.2 che si risponda che lo 'mpicchi presto. 9.80.3 Poi s' accordorno che util non sarebbe, 9.80.4 ché il tempo avverso non pativa questo, 9.80.5 ché la sua gente si ribellerebbe, 9.80.6 quantunque Gan meritassi il capresto; 9.80.7 e ringraziorno il famoso pagano 9.80.8 e chiesongli di grazia vivo Gano. 9.81.1 Astolfo détte al messo un palafreno, 9.81.2 e disse: «Questo tien per amor mio». 9.81.3 Il messaggier ritorna in un baleno 9.81.4 e raccontò d' Astolfo il suo disio. 9.81.5 Lïonfante, uom di gentilezza pieno, 9.81.6 rispose: «Come Astolfo vuol, voglio io»; 9.81.7 e contro a suo voler Gan liberava. 9.81.8 Gano a Parigi subito arrancava; 9.82.1 e disse a Carlo, il traditor fellone, 9.82.2 ch' aveva fatta certa sua pensata, 9.82.3 come ingannar potessi Erminïone; 9.82.4 ma poi era la trappola scoccata, 9.82.5 e come preso fu nel padiglione: 9.82.6 così la sua tristizia ha covertata, 9.82.7 dicendo: «Un tradimento facea doppio, 9.82.8 che insin di qua ne sentivi lo scoppio». 9.83.1 Carlo il credette, ben che il ver dicea 9.83.2 che 'l tradimento doppio era ordinato. 9.83.3 Astolfo in questo tempo gli scrivea 9.83.4 come questo fellon l' avea ingannato. 9.83.5 Carlo all' usato a Ganellon credea, 9.83.6 ché così era ne' Ciel distinato, 9.83.7 e conferiva con lui come prima 9.83.8 ogni segreto, e così facea stima. 9.84.1 Erminïon colla suo gente bella 9.84.2 sempre più inverso Montalbano è ito. 9.84.3 Era per Pasqua; giunse la novella 9.84.4 d' un messaggier che è tutto sbigottito, 9.84.5 tanto che, giunto, a gran pena favella; 9.84.6 poi disse, tutto per duolo smarrito: 9.84.7 «Erminïon, male novelle hai certo: 9.84.8 sappi tu se' col tuo popol diserto; 9.85.1 e 'l tuo fratello è morto, Fieramonte, 9.85.2 che, combattendo un dì con un cristiano, 9.85.3 gli passò l' elmo e ruppegli la fronte; 9.85.4 e dice ch' è il signor di Montalbano, 9.85.5 ed ha con seco quel famoso conte 9.85.6 Orlando, che tremar fa il monte e 'l piano; 9.85.7 la città presa ed abbruciata è tutta, 9.85.8 e la tua gente scacciata e distrutta. 9.86.1 Faburro è quel che il tradimento fe': 9.86.2 tutti i suoi amici ha fatti far cristiani 9.86.3 e tutto il regno in preda a costor diè; 9.86.4 gran quantità son morti di pagani 9.86.5 sanza trovare o rimedio o merzé: 9.86.6 io gli ho veduti tagliar come cani, 9.86.7 e la tua donna in molti affanni e duoli 9.86.8 uccider crudelmente, e' tuo' figliuoli. 9.87.1 E sòtti a dir che ti vengono addosso 9.87.2 con ben quarantamila cavalieri, 9.87.3 ed era il campo, quand' io parti', mosso. 9.87.4 Faburro è capitan di que' guerrieri, 9.87.5 che di sua gente ha fatto capo grosso 9.87.6 e vien con lor per mostrare i sentieri». 9.87.7 Quando il pagan sentì quel ch' egli ha detto 9.87.8 bestemiò forte lo iddio Macometto, 9.88.1 e disse: «Traditor crudele e rio, 9.88.2 mai più t' adorerò, così ti giuro: 9.88.3 io vo' che Satanasso sia il mio iddio, 9.88.4 o se v' è altro diavol più oscuro. 9.88.5 Che t' ho io fatto? Dove è il fratel mio, 9.88.6 ch' io lasciai pur nel suo regno sicuro? 9.88.7 Dove è la donna mia ch' io ti lasciai, 9.88.8 e' miei figliuol ch' io ti raccomandai? 9.89.1 Che farò io se in qua ritorna Orlando, 9.89.2 e se torna Rinaldo, il mio nimico? 9.89.3 Or verrò le mie ingiurie vendicando 9.89.4 contra costui del mio Mambrino antico». 9.89.5 Quivi era Salincorno, e lacrimando 9.89.6 dicea: «Fratello, ascolta quel ch' io dico. 9.89.7 Dove è la fama e tua virtù fuggita? 9.89.8 Hai tu perduto il tuo campo o la vita? 9.90.1 E' si conosce nell' avversitade 9.90.2 il savio sempre, e nel tempo felice 9.90.3 non si può ben veder chi ha in sé bontade: 9.90.4 questo sai tu ch' ognun che intende, dice. 9.90.5 Se Fieramonte è morto e la cittade 9.90.6 distrutta, così misera e 'nfelice, 9.90.7 tu hai qui tanta gente di tua setta, 9.90.8 che d' ogni cosa si farà vendetta». 9.91.1 Erminïon per ira fe' venire 9.91.2 tutti i baron legati, e poi scrivea 9.91.3 a Carlo Magno e manda così a dire 9.91.4 che gli farà morir di morte rea 9.91.5 con gran vergogna e con istran martìre, 9.91.6 se non gli dà Parigi, conchiudea, 9.91.7 e 'l suo tesoro e tutto il suo paese, 9.91.8 e che 'l primo impiccar farà il Danese, 9.92.1 anzi squartar, perché e' fu già pagano 9.92.2 e rinnegato avea lo iddio Macone. 9.92.3 Il messo giunse presto a Carlo Mano 9.92.4 e la imbasciata fe' d' Erminïone. 9.92.5 Carlo, come uom già disperato e insano, 9.92.6 nulla rispose alla sua orazione; 9.92.7 e 'l messaggiero indrieto tornò ratto, 9.92.8 dicendo Carlo gli pareva un matto. 9.93.1 Carlo, poi che 'l messaggio fu partito, 9.93.2 a un balcon si stava addolorato, 9.93.3 né sa più che si far, tutto smarrito. 9.93.4 Ma 'l suo Gesù non l' arà abbandonato: 9.93.5 ch' Orlando in questo tempo è comparito, 9.93.6 com' io dirò nell' altro mio trattato, 9.93.7 col suo fratello e col pagano stuolo. 9.93.8 Cristo sia sempre il nostro aiuto solo.
CANTO X
10.1.1 Te Deum laudamus, sommo Padre, 10.1.2 te confessiam Signor giusto e verace, 10.1.3 laudata sia la tua benigna madre; 10.1.4 donami grazia, Signor, se ti piace, 10.1.5 ch' io conduca a Parigi le mie squadre 10.1.6 e tragga Carlo fuor di contumace, 10.1.7 e ch' io ritorni ov' io lasciai il mio canto, 10.1.8 colla virtù dello Spirito santo. 10.2.1 Era già presso a Parigi a tre miglia 10.2.2 Faburro, ch' era innanzi all' altra gente. 10.2.3 Mentre che Carlo voltava le ciglia, 10.2.4 vide le schiere e gli stormenti sente: 10.2.5 non sa che fussin della sua famiglia 10.2.6 e più che prima fu fatto dolente; 10.2.7 pur, così afflitto, alla sua gente è corso 10.2.8 e chiama Gan che debba dar soccorso. 10.3.1 Gano appellò il suo capitan Magagna, 10.3.2 e disse: «Presto alla porta n' andate, 10.3.3 ché nuova gente vien per la campagna: 10.3.4 quivi la vostra prodezza mostrate, 10.3.5 ché starsi drento poco si guadagna». 10.3.6 Furno in Parigi molte gente armate: 10.3.7 ognun del caso nuovo si sconforta, 10.3.8 e tutti si ridussono alla porta. 10.4.1 Faburro è giunto, valoroso, ardito, 10.4.2 che cavalcava un possente cavallo; 10.4.3 la lancia abbassa, un cristiano ha ferito 10.4.4 e morto in terra faceva cascallo. 10.4.5 Gan di Maganza incontro gli fu ito, 10.4.6 e disse: «Aspetta, traditor vassallo». 10.4.7 La lancia abbassa e lo scudo percosse, 10.4.8 ma dell' arcion Faburro non si mosse. 10.5.1 Al conte Gano un colpo della spada 10.5.2 détte, che presto trovò la pianura. 10.5.3 Molti cader ne fece in sulla strada, 10.5.4 tanto ch' assai ne fuggon per paura. 10.5.5 Gan si rilieva e non istette a bada, 10.5.6 e riprovar volea la sua ventura, 10.5.7 e fece quel che potea, il fraudolente; 10.5.8 ma in questo tempo giunse l' altra gente. 10.6.1 Per Parigi era levato il romore 10.6.2 e Carlo era montato in sul destriere. 10.6.3 Giunto alla porta con molto dolore, 10.6.4 subito riconobbe le bandiere 10.6.5 del suo nipote Orlando, e 'l corridore, 10.6.6 ch' avea scoperto il segno del quartiere; 10.6.7 e già Faburro incontro gli è venuto 10.6.8 e dismontato e fatto il suo dovuto, 10.7.1 e detto: «Carlo, ch' io bramato ho tanto 10.7.2 di vedere una volta, or son contento. 10.7.3 Non dubitar, pon fine al lungo pianto: 10.7.4 qua è Orlando, che già presso il sento». 10.7.5 Carlo si trasse per dolcezza il guanto, 10.7.6 e disse: «Lieva, baron d' ardimento»; 10.7.7 ed a Faburro toccava la mano. 10.7.8 In questo giunse il sir di Montalbano. 10.8.1 e saltò di Baiardo e inginocchiossi. 10.8.2 Ecco Ulivier che facea similmente. 10.8.3 Non sapea Carlo in qual mondo si fossi, 10.8.4 tanta allegrezza nel suo petto sente. 10.8.5 Non si son questi pria di terra mossi, 10.8.6 che 'l suo nipote giugneva presente, 10.8.7 e saltò armato fuor di Vegliantino 10.8.8 e 'nginocchiossi al figliuol di Pipino. 10.9.1 Carlo gli abbraccia con amor perfetto 10.9.2 e benedice mille volte o piùe. 10.9.3 Meredïana giugneva in effetto, 10.9.4 e dismontata, poi che in terra fue, 10.9.5 s' inginocchiò dinanzi al suo cospetto. 10.9.6 Disse Ulivier: «Questa crede in Gesùe, 10.9.7 e sua prodezza non ha pari al mondo; 10.9.8 viene a veder te, imperador giocondo; 10.10.1 ed è figliuola d' un gran re pagano, 10.10.2 e molta gente ha qui del suo paese; 10.10.3 e vengono aiutar te, Carlo Mano». 10.10.4 Subito Carlo le braccia distese 10.10.5 e prese la donzella per la mano 10.10.6 e ringraziolla di sì fatte imprese; 10.10.7 e grande onore alla gente pagana 10.10.8 facea far Carlo, di Meredïana. 10.11.1 Disse Ulivieri alla gentil donzella: 10.11.2 «Che ti par, dama, dello imperadore?». 10.11.3 Disse la donna grazïosa e bella: 10.11.4 «Degno di gloria e di pregio e d' onore; 10.11.5 e certo chi di sue laude favella, 10.11.6 al mio parer non può pigliare errore; 10.11.7 non minuisce già la sua presenzia 10.11.8 la fama e 'l grido e la magnificenzia». 10.12.1 Carlo la fece cavalcar davante, 10.12.2 e poi appresso il duca borgognone. 10.12.3 Ecco apparir col battaglio Morgante. 10.12.4 Carlo guardava questo compagnone, 10.12.5 e disse: «Mai non vidi un tal gigante!»: 10.12.6 ebbe di sua grandezza ammirazione. 10.12.7 Morgante ginocchion lo superava, 10.12.8 e così Carlo la man gli toccava. 10.13.1 Verso il palazzo Carlo s' invïòe, 10.13.2 più che mai fussi in sua vita contento. 10.13.3 Gan, come Orlando vide, si pensòe 10.13.4 che questo fussi il suo disfacimento; 10.13.5 e come disperato, a sé chiamòe 10.13.6 Magagna e fece un altro tradimento, 10.13.7 dicendo: «Poi che questa gente pazza 10.13.8 entrata è drento, soccorriàn la piazza. 10.14.1 Gridian che Carlo tradimento ha fatto 10.14.2 e ch' egli ha dato Parigi a' pagani 10.14.3 e come alcun di lor v' è contraffatto 10.14.4 che pare Orlando e gli altri capitani»; 10.14.5 e tutto il popol sollevò in un tratto: 10.14.6 corse alla piazza con armate mani, 10.14.7 e 'l popol parigin dava favore 10.14.8 a Gan, chiamando Carlo traditore. 10.15.1 Non si conosce ancor per molti Orlando 10.15.2 o gli altri, perché l' elmo avieno in testa. 10.15.3 I Maganzesi la piazza pigliando, 10.15.4 fu la novella a Carlo manifesta 10.15.5 che tutto il popol si veniva armando: 10.15.6 parvegli segno di cattiva festa. 10.15.7 Rinaldo presto correva alle sbarre 10.15.8 co' saracin, ch' avean le scimitarre. 10.16.1 Furno in un tratto le sbarre tagliate; 10.16.2 e in ogni parte ove Gan fe' serraglio, 10.16.3 Meredïana è tra sue gente armate 10.16.4 e fe' gran cose in sì fatto travaglio. 10.16.5 Orlando corse con l' altre brigate; 10.16.6 giunse Morgante e diguazza il battaglio; 10.16.7 ed Ulivieri innanzi alla sua dama 10.16.8 dava gran colpi per acquistar fama. 10.17.1 Rinaldo in mezzo di que' Maganzesi 10.17.2 quanto poteva Frusberta operava, 10.17.3 tagliando a chi i bracciali, a chi gli arnesi, 10.17.4 e molti in terra morti ne cacciava; 10.17.5 molti ne fur feriti e molti presi. 10.17.6 Ecco il Magagna che quivi arrivava: 10.17.7 Rinaldo al capo un gran colpo gli mena 10.17.8 e féssel come tinca per ischiena. 10.18.1 Ma poi che fu conosciuto Rinaldo 10.18.2 e gli altri, ognun per paura fuggìa, 10.18.3 ché lo vedieno infurïato e caldo. 10.18.4 Tosto la piazza sgomberar facìa, 10.18.5 dicendo: «Ove è quel traditor ribaldo 10.18.6 Gan da Pontier?». Ma fugge tuttavia: 10.18.7 non sì fidò di star drento alle mura, 10.18.8 perch' egli avea di Rinaldo paura. 10.19.1 Così fu presto cessato il furore. 10.19.2 E conosciuti i nostri buon guerrieri, 10.19.3 ognun gli abbraccia con molto fervore; 10.19.4 tutto il popol gli vide volentieri; 10.19.5 ognun si scusa co' lo 'mperadore; 10.19.6 nessun si vede di que' da Pontieri; 10.19.7 e con gran festa e piacere e sollazzo, 10.19.8 tutti n' andorno a smontare al palazzo. 10.20.1 Era venuta intanto Alda la bella 10.20.2 per rivedere Orlando, il suo marito. 10.20.3 Rinaldo una corona ricca e bella 10.20.4 donava a questa, ov' era stabilito 10.20.5 un bel rubin che valea due castella: 10.20.6 Alda la bella col viso pulito 10.20.7 gran festa fe' del marito e di quello 10.20.8 e d' Ulivieri, il suo caro fratello. 10.21.1 Poi che furono alquanto riposati, 10.21.2 queste parole Rinaldo dicìa: 10.21.3 «O Carlo, io non ci veggo, bench' io guati, 10.21.4 Uggieri o Namo o l' altra baronia. 10.21.5 Che n' hai tu fatto? Ha' gli tu sotterrati? 10.21.6 O son prigioni andati in Pagania?». 10.21.7 Carlo a Rinaldo subito ha risposto: 10.21.8 «Tutti son vivi, e qui gli vedrai tosto»; 10.22.1 e raccontò come andava la guerra 10.22.2 e ciò ch' è stato dopo il suo partire: 10.22.3 come il re Erminïon Montalban serra 10.22.4 e i suo' baron minaccia far morire, 10.22.5 e come Astolfo è drento nella terra, 10.22.6 e Ricciardetto suo, c' ha tanto ardire. 10.22.7 Parve a Rinaldo e gli altri il caso strano 10.22.8 de' paladini e sì di Monte Albano. 10.23.1 Diceva Orlando: «Presto i paladini 10.23.2 si bisogna, Rinaldo, riscattare. 10.23.3 Io vo' che 'l campo là de' saracini 10.23.4 domani a spasso andiamo a vicitare, 10.23.5 ch' a trenta miglia son presso a' confini». 10.23.6 Meredïana cominciò a parlare: 10.23.7 «Io vo' venir, se la domanda è degna, 10.23.8 e 'l mio Morgante vo' che meco vegna». 10.24.1 Così Faburro e così il buon marchese. 10.24.2 «Vedremo un poco come il campo sta», 10.24.3 diceva Orlando; e 'l partito si prese. 10.24.4 Ognun presto apportar l' arme si fa. 10.24.5 Così coperti di piastra e d' arnese 10.24.6 usciron tutti fuor della città 10.24.7 una mattina al cominciare il giorno 10.24.8 e 'nverso Montalban la via pigliorno. 10.25.1 Eran qualche otto leghe cavalcati, 10.25.2 quando a lor si scoperse il padiglione 10.25.3 d' Erminïon, dove stavan legati 10.25.4 Berlinghier nostro e Namo e Salamone 10.25.5 e 'l buon Danese e gli altri sventurati; 10.25.6 e se non fusse che il re Erminïone 10.25.7 sentito avea come Orlando venìa, 10.25.8 tutti impiccare e squartar gli facìa; 10.26.1 ma dubitò di quel che gli bisogna, 10.26.2 dicendo: «Se morir facciàn costoro, 10.26.3 e' ne potre' seguir danno e vergogna; 10.26.4 ch' Orlando vendicar vorrà poi loro 10.26.5 e metter ci potrebbe in qualche gogna, 10.26.6 che ci darebbe qualche stran martoro. 10.26.7 Se vivi son, qualche bel tratto fare 10.26.8 si può con essi, e' prigioni scambiare». 10.27.1 Vide tante trabacche e padiglioni, 10.27.2 destrier coperti d' arme rilucenti, 10.27.3 e sentia trombe sonare e busoni, 10.27.4 e far pel campo variati strumenti 10.27.5 per Montalban, gatti, grilli e falconi, 10.27.6 da combattervi su poi quelle genti; 10.27.7 e disse: «Erminïon, per Dio, sollecita 10.27.8 pigliar la terra, e parmi cosa lecita». 10.28.1 Meredïana disse al conte Orlando: 10.28.2 «Se ti fussi in piacer, caro signore, 10.28.3 una grazia mi fa ch' io ti domando. 10.28.4 Io vo' pel mezzo entrar, col corridore, 10.28.5 del campo tutto e venirlo assaltando 10.28.6 e trapassarlo via con gran furore 10.28.7 e fare un colpo degno alla mia vita»: 10.28.8 così pregò questa dama gradita: 10.29.1 «Ma vo' che presso Morgante a me vegna, 10.29.2 se bisognassi pur qualche soccorso. 10.29.3 E forse arrecherotti qualche insegna, 10.29.4 anzi per certo, bench' io te lo 'nforso». 10.29.5 Rispose Orlando: «La preghiera è degna, 10.29.6 d' avere il campo in tal modo trascorso. 10.29.7 Non dubitar, sicuramente andrai; 10.29.8 e tu, Morgante, l' accompagnerai». 10.30.1 Meredïana allor prese una lancia, 10.30.2 brocca il caval c' ha serpentina testa, 10.30.3 e grida: «Viva Carlo e viva Francia!». 10.30.4 Quando fu tempo, misse l' aste in resta; 10.30.5 truova un pagano e per mezzo la pancia 10.30.6 gli misse il ferro con molta tempesta; 10.30.7 poi trasse fuori una fulgente spada 10.30.8 e fe' per mezzo del campo la strada. 10.31.1 E come morto fu questo pagano, 10.31.2 fu la novella a Salincorno detta 10.31.3 ch' egli è venuto un cavalier villano 10.31.4 e molti in terra col suo brando getta. 10.31.5 Salincorno s' armava a mano a mano, 10.31.6 però che far ne voleva vendetta; 10.31.7 verso Meredïana il camin prese 10.31.8 questo giovin gentil, saggio e cortese; 10.32.1 e molta gente che fuggiva, scaccia: 10.32.2 «Tornate addrieto: per un sol fuggite? 10.32.3 Arebbe costui d' Ercol mai le braccia?». 10.32.4 Fugli risposto in parole spedite: 10.32.5 «Egli è il dïavol che tua gente spaccia; 10.32.6 se nol credete, a vederlo venite: 10.32.7 egli ha cacciato in terra ognun che truova, 10.32.8 e parci cosa inusitata e nuova». 10.33.1 Rispose Salincorno: «Io vo' vedere 10.33.2 chi è costui c' ha in sé tanta arroganza, 10.33.3 che sia passato tra le nostre schiere. 10.33.4 Orlando non aria tanta possanza». 10.33.5 Meredïana rivolse il destriere, 10.33.6 come di Salincorno ebbe certanza. 10.33.7 Salincorno la lancia abbassa in quella 10.33.8 e ferì nello scudo la donzella. 10.34.1 La lancia in aria n' andò in mille pezzi. 10.34.2 Disse la dama: «Ah, cavalier codardo, 10.34.3 a questo modo la tua fama sprezzi? 10.34.4 Questa usanza non è già d' uom gagliardo, 10.34.5 ch' a ferir con la lancia alcun t' avvezzi 10.34.6 che sia col brando; e tu non v' hai riguardo. 10.34.7 Volgiti a me, poi che tu m' hai percossa: 10.34.8 vedrai che dell' arcion non mi son mossa». 10.35.1 Ebbe vergogna Salincorno allora 10.35.2 e ritornava indrieto a fare scusa, 10.35.3 dicendo: «Io non avea veduto ancora 10.35.4 se tu t' avevi lancia o soda o busa». 10.35.5 Meredïana a quel sanza dimora 10.35.6 rispose: «In Danismarche così s' usa? 10.35.7 Così fanno i baron d' Erminïone? 10.35.8 Tu debbi esser per certo un gran poltrone. 10.36.1 Ma non si fa così di Carlo in corte, 10.36.2 dove fiorisce ogni gentil costume. 10.36.3 Vedren se tu sarai cavalier forte 10.36.4 e s' altra volta poi vedrai me' lume. 10.36.5 Prendi la spada; io ti disfido a morte 10.36.6 e farotti assaggiar d' un altro agrume». 10.36.7 Salincorno la spada trasse fore, 10.36.8 per racquistar, se poteva, il suo onore. 10.37.1 Poi che più colpi insieme si donorno, 10.37.2 né l' un con l' altro guadagna nïente, 10.37.3 un tratto volle ferir Salincorno 10.37.4 la gentil donna e détte al suo corrente; 10.37.5 e molto biasimato fu dintorno, 10.37.6 ché gli spiccava il capo del serpente, 10.37.7 e ritrovossi in sull' erba la dama: 10.37.8 or questo è quel che gli tolse ogni fama. 10.38.1 Morgante volle il battaglio menare, 10.38.2 per ischiacciar la testa a quel pagano. 10.38.3 Meredïana gridava: «Non fare! 10.38.4 Vendetta ne farò con la mia mano». 10.38.5 Salincorno s' aveva a disperare 10.38.6 e duolsi molto di quel caso strano. 10.38.7 I saracin ferno a Morgante cerchio, 10.38.8 tanto ch' alfin saranno di soperchio; 10.39.1 e misson lui con la donzella in mezzo 10.39.2 e cominciorno una fera battaglia; 10.39.3 ma a molti dava il battaglio riprezzo, 10.39.4 a molti trita la falda e la maglia. 10.39.5 Dicea Rinaldo: «Or non istiàn più al rezzo, 10.39.6 ché non è tempo, se Gesù mi vaglia: 10.39.7 io veggo a piede là Meredïana 10.39.8 in mezzo a tutta la turba pagana». 10.40.1 Orlando sprona subito il destrieri 10.40.2 e 'nverso il campo girava la briglia 10.40.3 e simigliante faceva Ulivieri: 10.40.4 così tutto quell' oste si scompiglia. 10.40.5 Erminïon sentì che que' guerrieri 10.40.6 eran venuti e fanno maraviglia, 10.40.7 e disse: «Traditor di Macometto, 10.40.8 e' fia Rinaldo, per più mio dispetto, 10.41.1 e 'l conte Orlando, che tornati sono: 10.41.2 altri non so ch' avessin tanto ardire 10.41.3 di metter qua la vita in abbandono». 10.41.4 Subito incontro gran gente fece ire, 10.41.5 e disse: «Io credo ancor che sarà buono 10.41.6 ch' io m' armi tosto». e l' arme fe' venire 10.41.7 e 'l suo caval di fine acciaio coperto, 10.41.8 ché vincere o morir dispose certo. 10.42.1 Orlando in mezzo alla sua gente entrava 10.42.2 ed una lancia ch' egli aveva abbassa 10.42.3 e 'l primo ch' a lo scudo riscontrava, 10.42.4 lo scudo e l' arme e 'l petto gli trapassa; 10.42.5 poi trasse Durlindana e martellava; 10.42.6 quant' arme truova, tante ne fracassa; 10.42.7 fece un macel di gente in poca d' otta: 10.42.8 Rinaldo n' avea già morti una frotta: 10.43.1 ed Ulivier facea quel che far suole, 10.43.2 ma tuttavia tenea gli occhi a colei 10.43.3 ch' era sua scorta come agli orbi il sole, 10.43.4 colpi menando dispietati e rei, 10.43.5 perché siccorrer la sua donna vuole: 10.43.6 ovunque e' guata facea l' agnusdei 10.43.7 rivolto sempre alla sua dama bella 10.43.8 e quanto può sempre s' appressa a quella 10.44.1 e non poteva ancor romper la calca, 10.44.2 che tuttavolta si facea più stretta; 10.44.3 pur sempre innanzi a suo poter cavalca 10.44.4 e 'n qua e 'n là come un leon si getta 10.44.5 e molti con la spada ne difalca 10.44.6 della turba bestiale e maladetta, 10.44.7 e tristo a quel ch' aspettava Altachiara, 10.44.8 che gli facea costar la vita cara. 10.45.1 Morgante in mezzo stava dello stuolo 10.45.2 e col battaglio facea gran fracasso. 10.45.3 Meredïana sentiva gran duolo, 10.45.4 ché 'l corpo feminile già era lasso, 10.45.5 né fuggir può se non si lieva a volo, 10.45.6 perché e' non v' era onde fuggirsi il passo. 10.45.7 Ma pur Morgante spesso la conforta 10.45.8 e molta gente avea dintorno morta; 10.46.1 ed era tutto da' dardi forato 10.46.2 e lance e spiedi e saette e spuntoni, 10.46.3 e tutto quanto il corpo insanguinato, 10.46.4 che le ferite parevan cannoni 10.46.5 che gettan sempre fuori da ogni lato; 10.46.6 avea nel capo cento verrettoni: 10.46.7 ma tanti intorno avea fatti morire, 10.46.8 che già del cerchio non poteva uscire. 10.47.1 L' un sopra l' altro morto era caduto, 10.47.2 e gli uomini e' cavalli attraversati, 10.47.3 tal che miracol sarebbe tenuto 10.47.4 quanto furon po' i morti annumerati. 10.47.5 Avea cinque ore o più già combattuto: 10.47.6 or pensi ognun quanti e' n' abbi schiacciati, 10.47.7 che non potea più aggiugner colle mani, 10.47.8 tanto discosto gli erano i pagani. 10.48.1 Meredïana assai s' era difesa 10.48.2 ed or da' dardi attendeva a schermirsi; 10.48.3 avea la faccia come un fuoco accesa, 10.48.4 né potea più con lo scudo coprirsi, 10.48.5 tanto era stanca, perché troppo pesa, 10.48.6 e non poteva del cerchio fuggirsi; 10.48.7 e così afflitta e sventurata a piede, 10.48.8 morir vuol prima che chiamar merzede. 10.49.1 E pure ancora in Morgante si fida, 10.49.2 e dicea spesso: «Il mio fallar ti costa, 10.49.3 ch' io temo questa gente non t' uccida». 10.49.4 Ecco Rinaldo ch' al cerchio s' accosta; 10.49.5 e come e' giunse metteva alte grida, 10.49.6 tanto che molto la gente si scosta: 10.49.7 «Oltre, gente bestial sanza vergogna, 10.49.8 poi ch' a due a piè tanto popol bisogna! 10.50.1 Fatevi addrieto!»; e Frusberta menava: 10.50.2 «Tutti sarete, saracin, qui morti». 10.50.3 Meredïana, quando l' ascoltava, 10.50.4 subito par che tutta si conforti. 10.50.5 Allor Rinaldo i colpi raddoppiava 10.50.6 e vendicava di lei mille torti; 10.50.7 e poi in un tratto, come un leopardo, 10.50.8 in mezzo il cerchio fe' saltar Baiardo, 10.51.1 e fe' saltar Meredïana in groppa, 10.51.2 che si gittò di terra come un gatto, 10.51.3 né mica parve affaticata o zoppa; 10.51.4 e fuor del cerchio risaltò in un tratto: 10.51.5 così con essa pel campo gualoppa. 10.51.6 Ognun che 'l vide ne fu stupefatto: 10.51.7 «Questo è Rinaldo, o 'l gran signor d' Angrante», 10.51.8 dicevan tutti, e lasciorno il gigante; 10.52.1 e molti a' padiglion si ritornorno, 10.52.2 veggendo cose far sopra natura. 10.52.3 In questo tempo giunse Salincorno; 10.52.4 Meredïana il vide per ventura. 10.52.5 Rinaldo nostro, cavaliere adorno, 10.52.6 che non tenea Frusberta alla cintura, 10.52.7 gli trasse d' un fendente in su l' elmetto, 10.52.8 che gli cacciò Frusberta insino al petto; 10.53.1 e Salincorno cadde in sul terreno 10.53.2 e vendicata fu la damigella. 10.53.3 Rinaldo prese il suo caval pel freno 10.53.4 e fe' montar Meredïana in sella, 10.53.5 che vi saltò su in manco d' un baleno. 10.53.6 Ed Ulivier, che vide la donzella, 10.53.7 disse: «Io venivo ben per darti aiuto, 10.53.8 ma le schiere passar non ho potuto». 10.54.1 Avea Faburro, Ulivieri ed Orlando 10.54.2 morti quel dì migliaia già di pagani 10.54.3 e tuttavia ne venien consumando. 10.54.4 E' saracini ancor menan le mani; 10.54.5 ma tanto e tanto i paladini il brando 10.54.6 insanguinato avevan di que' cani, 10.54.7 che per paura assai n' eran fuggiti 10.54.8 a' padiglioni, e gran parte feriti. 10.55.1 Erminïon dicea pur: «Chi vi caccia?», 10.55.2 ché gli vedeva fuggir d' ogni parte; 10.55.3 e' rispondieno a quel che gli minaccia: 10.55.4 «Fuggiàn dinanzi alla furia di Marte; 10.55.5 e' non c' è uom con sì sicura faccia, 10.55.6 che si confidi di sua forza o arte: 10.55.7 qua son venuti nuovi Ettorri al campo, 10.55.8 né contro a' colpi lor si truova scampo. 10.56.1 Noi vedemo Rinaldo, o fu il cugino, 10.56.2 in mezzo un cerchio saltar col cavallo; 10.56.3 quivi era tutto il popol saracino, 10.56.4 e non potemo tanto contastallo, 10.56.5 che pose in groppa un altro paladino 10.56.6 ch' era assediato e saltò fuor del ballo, 10.56.7 ed a dispetto nostro il portò via: 10.56.8 mai vedemo uom di tanta gagliardia. 10.57.1 E Salincorno ha morto, il tuo fratello». 10.57.2 Erminïone allor si dolfe forte, 10.57.3 e così disse: «Poi che morto è quello, 10.57.4 ch' era il più fier pagan di nostra corte, 10.57.5 a tradimento quel Rinaldo fello 10.57.6 o 'l suo cugin gli arà data la morte». 10.57.7 Fugli risposto: «E' non fu a tradimento. 10.57.8 ché chi l' uccise n' uccidrebbe cento». 10.58.1 Allora Erminïon: «Sia maladetta 10.58.2 tua deïtà, Macon!» più volte disse; 10.58.3 e giurò far del suo fratel vendetta, 10.58.4 se mille volte come lui morisse. 10.58.5 Dove è Rinaldo a gran furia si getta, 10.58.6 ed una lancia ch' avea, in resta misse; 10.58.7 e come egli ha Rinaldo conosciuto, 10.58.8 lo salutò con uno stran saluto: 10.59.1 «Dio ti sconfonda», disse Erminïone 10.59.2 «se tu se' il prenze sir di Montalbano, 10.59.3 colui che porta sbarrato il lïone; 10.59.4 ch' ancor lui sbarrerò con la mia mano». 10.59.5 Rinaldo, udendo sì fatto sermone, 10.59.6 a lui rispose: «Cavalier villano, 10.59.7 che di' tu, re di farfalle o di pecchie? 10.59.8 Io t' ho a punir di mille ingiurie vecchie». 10.60.1 Rispose Erminïon: «Del tempo antico 10.60.2 a vendicar m' ho io de' miei parenti: 10.60.3 tu uccidesti come rio nimico 10.60.4 il re Mambrin con mille tradimenti». 10.60.5 Disse Rinaldo: «Ascolta quel ch' io dico: 10.60.6 per la tua gola, Erminïon, ne menti, 10.60.7 ch' a tradimento vien tu qua, pagano, 10.60.8 perch' io non c' ero, assediar Montalbano. 10.61.1 Ma tanto attraversato ho il piano e 'l monte, 10.61.2 ch' io t' ho trovato e non ti puoi fuggire; 10.61.3 e 'l tuo fratello uccisi, Fieramonte, 10.61.4 e détti al popol tuo giusto martìre; 10.61.5 a Salincorno ho spezzata la fronte: 10.61.6 or farò te col mio brando morire». 10.61.7 Quando il pagan sentì rimproverarsi 10.61.8 tant' alte ingiurie, cominciò a picchiarsi 10.62.1 e in sull' arcion percuotersi l' elmetto 10.62.2 e bestemiar Macon divotamente 10.62.3 e battersi col guanto tutto il petto: 10.62.4 are' voluto morir certamente. 10.62.5 E poi rispose: «D' ogni tuo dispetto 10.62.6 che fatto m' hai, ne sarai ancor dolente»; 10.62.7 e misse come uom disperato un grido: 10.62.8 «Prendi del campo tosto, ch' io ti sfido». 10.63.1 E poi soggiunse: «Facciàn questo patto, 10.63.2 dacché tu m' hai cotanto offeso a torto: 10.63.3 che Montalban mi doni, s' io t' abbatto; 10.63.4 e se tu vinci me, datti conforto, 10.63.5 ché' tuoi prigion ti renderò di fatto, 10.63.6 che nessun n' ho danneggiato né morto; 10.63.7 e che s' intenda per un mese triegua, 10.63.8 e poi ciascun quel che gli piace segua». 10.64.1 Rinaldo disse: «A ciò contento sono». 10.64.2 E poi voltava in un tratto Baiardo, 10.64.3 e dice: «Se mai fusti ardito e buono, 10.64.4 a questa volta fa che sia gagliardo». 10.64.5 Poi si rivolse che pareva un tuono; 10.64.6 né anco Erminïon parve codardo; 10.64.7 e quando insieme s' ebbono a colpire, 10.64.8 parve la terra si volessi aprire. 10.65.1 Erminïon con la lancia percosse 10.65.2 sopra lo scudo il franco paladino: 10.65.3 l' aste si ruppe e d' arcion non lo mosse. 10.65.4 Ma il pro' Rinaldo giunse al saracino 10.65.5 d' un colpo tal, che, benché forte fosse, 10.65.6 si ritrovò in sull' erba a capo chino; 10.65.7 e disse: «O Dio che reggi sole e luna, 10.65.8 può far ch' io sia caduto la fortuna? 10.66.1 Egli è pur ver quel che si dice al mondo, 10.66.2 che questo è il fior de' cavalier nomati!». 10.66.3 Rizzossi, e disse: «Paladin giocondo, 10.66.4 or son puniti tutti i miei peccati, 10.66.5 e come dianzi più non ti rispondo 10.66.6 d' avere i miei congiunti vendicati. 10.66.7 Io ho perduto ogni cosa in un punto; 10.66.8 d' ogni mia gloria e fama il fine è giunto. 10.67.1 Or sarà vendicato il mio parente, 10.67.2 or sarà vendicato Fieramonte 10.67.3 e Salincorno e tutta l' altra gente! 10.67.4 Però chi fa vendetta con sue onte, 10.67.5 al mio parere è matto veramente 10.67.6 e spesso avvien che si batte la fronte. 10.67.7 Or pel consiglio di dama Clemenzia 10.67.8 del suo peccato ho fatto penitenzia; 10.68.1 ché chi governa, per consiglio, il regno, 10.68.2 di femina, non può durar per certo, 10.68.3 ché' lor pensier non van diritti al segno: 10.68.4 qual maraviglia s' io ne son diserto? 10.68.5 Or si conosce il mio bestial disegno: 10.68.6 ogni cosa ci mostra il fine aperto; 10.68.7 così convien che spesso poi si rida 10.68.8 di quel che troppo a Fortuna si fida. 10.69.1 Quel ch' io promissi, baron, vo' servarti, 10.69.2 come pur giusto re ch' io sono ancora, 10.69.3 e tutti i tuoi prigion vo' consegnarti: 10.69.4 andianne al padiglion sanza dimora. 10.69.5 E la promessa tua vo' ricordarti». 10.69.6 Disse Rinaldo: «Per lo Iddio ch' adora 10.69.7 re Carlo Magno e tutto il cristianesimo, 10.69.8 ciò che tu vuoi chiederai tu medesimo». 10.70.1 Inverso il padiglion preson la volta. 10.70.2 Erminïon, ch' era uom molto dabbene, 10.70.3 fece pel campo sonare a raccolta, 10.70.4 poi che Fortuna nel fondo lo tiene. 10.70.5 La gente sua parea smarrita e stolta, 10.70.6 come ne' casi sùbiti interviene. 10.70.7 Rende i prigion ch' avea legati e presi, 10.70.8 co' lor cavalli e tutti i loro arnesi. 10.71.1 Chi vedessi la festa e l' allegrezza 10.71.2 che fanno i nostri possenti baroni, 10.71.3 sare' costretto per sua gentilezza 10.71.4 di lacrimar con pietosi sermoni. 10.71.5 Diceva Uggier: «Rinaldo, tua prodezza 10.71.6 ci ha tratti fuor di molti strani unghioni: 10.71.7 a questa volta aremo tutti quanti 10.71.8 la vita data per quattro bisanti. 10.72.1 Noi abbiàn sentito sì fatto romore 10.72.2 oggi pel campo, ch' io pensai che 'l mondo 10.72.3 fussi caduto e giunto all' ultime ore 10.72.4 e lo stato di Carlo fussi al fondo. 10.72.5 Ognuno avea della morte timore, 10.72.6 ché 'l saracin crudele e rubicondo 10.72.7 d' impiccar tutti ci avea minacciati 10.72.8 e della vita savam disperati». 10.73.1 Namo diceva: «Il nostro buon Gesùe 10.73.2 vi mandò qua per nostro aiuto solo 10.73.3 e siàn salvati per la tua virtùe 10.73.4 e liberati da gran pena e duolo». 10.73.5 Diceva Orlando: «Non ne parliàn piùe. 10.73.6 Lasciam pur tosto de' pagan lo stuolo: 10.73.7 Carlo non sa quel che seguìto abbiamo; 10.73.8 però verso Parigi ce n' andiamo». 10.74.1 Erminïon rimase assai scontento, 10.74.2 e' paladini a Carlo ritornaro: 10.74.3 Carlo gli abbraccia cento volte e cento 10.74.4 e fu cessato ogni suo duolo amaro; 10.74.5 fecesi festa per la città drento; 10.74.6 ma questo a Ganellon fu solo amaro, 10.74.7 che per paura fuor s' era fuggito 10.74.8 e dubitava non esser punito. 10.75.1 Poi ch' alcun giorno insieme riposârsi, 10.75.2 dicea Rinaldo un giorno a Carlo Mano 10.75.3 ch' avea pur voglia da lui accomiatarsi 10.75.4 e ritornare insino a Montalbano 10.75.5 e qualche dì con la sua sposa starsi. 10.75.6 Carlo contento gli toccò la mano. 10.75.7 E menò solo un servo molto adatto 10.75.8 del conte Orlando, detto Ruïnatto, 10.76.1 ch' era scudier compagno di Terigi; 10.76.2 e mentre che cavalca, s' è abbattuto, 10.76.3 forse sei leghe discosto a Parigi, 10.76.4 dove giaceva un bel vecchio canuto 10.76.5 (questo era, trasformato, Malagigi, 10.76.6 tal che Rinaldo non l' ha conosciuto), 10.76.7 sur una riva appoggiato alla grotta, 10.76.8 e d' acqua piena aveva una barlotta. 10.77.1 Rinaldo il salutò cortesemente; 10.77.2 e' gli rispose: «Ben venuto siete. 10.77.3 Se voi volessi ber, baron possente, 10.77.4 d' una certa cervogia assaggerete, 10.77.5 che doverrà piacervi veramente». 10.77.6 Disse Rinaldo: «Io affogo di sete, 10.77.7 e di bere acqua di fossato o fiume 10.77.8 quando cavalco non è mio costume». 10.78.1 Quando Rinaldo ha beuto a suo modo, 10.78.2 a Ruïnatto il barletto porgeva, 10.78.3 dicendo: «Peregrin, di te mi lodo»; 10.78.4 e Ruïnatto come lui beeva; 10.78.5 e non sa ben di Malagigi il frodo: 10.78.6 Malagigi il barletto ritoglieva; 10.78.7 Rinaldo poco e Ruïnatto andava, 10.78.8 ch' ognuno scese e di sonno cascava. 10.79.1 Addormentati posonsi a giacere: 10.79.2 Malagigi gli segue come saggio 10.79.3 e non poteva le risa tenere, 10.79.4 veggendo quel c' ha fatto il beveraggio. 10.79.5 Tolse la spada a Rinaldo e 'l destriere 10.79.6 e prese inverso Parigi il vïaggio; 10.79.7 misse Frusberta, la spada sovrana, 10.79.8 nella guaina ov' era Durlindana; 10.80.1 così Baiardo ov' era Vegliantino; 10.80.2 e ritornò a Rinaldo che dormia, 10.80.3 e déttegli la spada del cugino; 10.80.4 così il cavallo; e poi disparì via; 10.80.5 e misse sotto al capo al paladino 10.80.6 una certa erba, che si risentia: 10.80.7 e risentito, seco poco bada, 10.80.8 che del caval s' accorse e della spada; 10.81.1 e volsesi a quel servo Ruïnatto, 10.81.2 e disse: «Tu debbi essere un ghiottone 10.81.3 Dove è Baiardo mio? Che n' hai tu fatto? 10.81.4 Questo è il caval del figliuol di Millone». 10.81.5 Rispose lo scudiere stupefatto: 10.81.6 «Io ho dormito qua come un poltrone, 10.81.7 ché 'l sonno come te mi vinse dianzi, 10.81.8 e non sono ito più indrieto o più innanzi». 10.82.1 Disse Rinaldo, ravveduto un poco: 10.82.2 «Questo arà fatto far per certo Orlando: 10.82.3 e vuol pigliar di me sempremai giuoco, 10.82.4 e fatto m' ha scambiar Baiardo e 'l brando». 10.82.5 Tutto s' accese di rabbia e di fuoco, 10.82.6 e fra sé disse: «E' ti verrà costando». 10.82.7 A Montalban pien di sdegno n' andava, 10.82.8 e Ruïnatto indrieto rimandava; 10.83.1 e scrisse al conte Orlando: «Tu m' hai tolto 10.83.2 a tradimento, pel camin, dormendo, 10.83.3 la spada e 'l mio cavallo, e come stolto 10.83.4 sempre mi tratti e poi ne vien' ridendo; 10.83.5 e perché più d' una volta m' hai còlto, 10.83.6 di sofferirlo a questa non intendo: 10.83.7 mandami indrieto e la spada e 'l cavallo, 10.83.8 se non che caro ti farò costallo». 10.84.1 Orlando per ventura avea trovato 10.84.2 il destriere e la spada di Rinaldo, 10.84.3 ed era forte con seco adirato 10.84.4 e tutto quanto inanimato e caldo, 10.84.5 dicendo: «Come un putto son gabbato, 10.84.6 e parmi un atto stato di ribaldo, 10.84.7 e più che 'l fatto il modo mi dispiace»; 10.84.8 e non potea fra sé darsene pace. 10.85.1 Intanto Ruïnatto gli portòe 10.85.2 la lettera che 'l suo cugino scrisse. 10.85.3 Orlando molto si maravigliòe 10.85.4 e 'nverso Ruïnatto così disse, 10.85.5 se sapea nulla come il fatto andòe 10.85.6 e quel che per camino intervenisse; 10.85.7 e Ruïnatto rispondeva presto: 10.85.8 «Io ti dirò quel ch' io ne so di questo». 10.86.1 E raccontò come e' trovò quel vecchio 10.86.2 e come poi si posono a dormire. 10.86.3 Orlando pone al suo parlar l' orecchio; 10.86.4 di maraviglia credette stupire. 10.86.5 Ma poi diceva: «Un pulcin fra 'l capecchio 10.86.6 par che mi stimi Rinaldo, al suo dire»; 10.86.7 e così indrieto a Rinaldo scrivea 10.86.8 che del suo minacciar beffe facea; 10.87.1 e che quando e' partì dal re Carlone, 10.87.2 esser dovea per certo un poco in vino, 10.87.3 però scambiò la sua spada e 'l roncione; 10.87.4 e che sia ver, ché dormì pel camino. 10.87.5 Poi gli diceva per conclusïone: 10.87.6 «Perché tu se', Rinaldo, mio cugino, 10.87.7 voler con teco quistion non m' aggrada: 10.87.8 però ti mando il cavallo e la spada. 10.88.1 Ma se 'l mio indrieto non rimanderai, 10.88.2 io ti dimosterrò che me ne duole; 10.88.3 e se quistion di nuovo cercherai, 10.88.4 tu sai che io so far fatti e tu parole; 10.88.5 e poco meco alfin guadagnerai, 10.88.6 ché sai che gnun non temo sotto il sole. 10.88.7 Or tu se' savio e so che tu m' intendi; 10.88.8 e 'l mio cavallo e la spada mi rendi». 10.89.1 Tornato Ruïnatto a Montalbano 10.89.2 con la risposta del suo car signore, 10.89.3 subito il brando suo gli pose in mano 10.89.4 e consegnò Baiardo, il corridore. 10.89.5 Rinaldo sbuffa come un leo silvano 10.89.6 per quel che scrisse il roman sanatore, 10.89.7 e rimandava indrieto un suo valletto 10.89.8 a dir così, chiamato Tesoretto: 10.90.1 che non volea la spada rimandare 10.90.2 né Vegliantin, se non gli promettea 10.90.3 con lui doversi in sul campo provare; 10.90.4 che di minacce sa che non temea 10.90.5 e che nel pian lo voleva affrontare 10.90.6 di Montalban con l' armi, conchiudea. 10.90.7 Tesoretto n' andò presto a Orlando 10.90.8 e la 'mbasciata venne raccontando. 10.91.1 Orlando, ch' era e discreto e gentile, 10.91.2 ma molto fier quand' egli era adirato, 10.91.3 tanto che tutto 'l mondo avea poi vile, 10.91.4 a Carlo tutto il fatto ha raccontato, 10.91.5 e come e' fece la risposta umìle, 10.91.6 credendo aver Rinaldo umilïato; 10.91.7 ma poi ch' egli è per questo insuperbito, 10.91.8 d' andarlo a ritrovar preso ha partito; 10.92.1 e che non ricusò battaglia mai, 10.92.2 che non intende aver questa vergogna. 10.92.3 Carlo diceva: «A tuo modo farai: 10.92.4 se così sta, combatter ti bisogna». 10.92.5 Orlando disse a Tesoretto: «Andrai 10.92.6 al prenze, e di' ch' io non so se si sogna; 10.92.7 ma se davver m' invita alla battaglia, 10.92.8 doman lo troverrò, se Dio mi vaglia; 10.93.1 e che m' aspetti, come e' dice, al piano, 10.93.2 dal campo un poco de' pagan discosto». 10.93.3 Tesoretto ritorna a Montalbano 10.93.4 e disse quel che Orlando avea risposto. 10.93.5 Armossi col nipote Carlo Mano, 10.93.6 poi che lo vide al combatter disposto, 10.93.7 però che Carlo molto Orlando amava; 10.93.8 così nel suo segreto il prenze odiava. 10.94.1 Are' voluto Carlo onestamente 10.94.2 un dì Rinaldo dinanzi levarsi, 10.94.3 e conosceva Orlando sì possente, 10.94.4 che dice: «In questo modo potre' farsi». 10.94.5 Rinaldo era inquïeto e 'mpazïente, 10.94.6 né Carlo volse di lui mai fidarsi, 10.94.7 rispetto avendo alle sue pazze furie 10.94.8 poi gli avea fatte a' suo' dì mille ingiurie 10.95.1 e tratto la corona già di testa. 10.95.2 E' si perdona per certo ogni offesa, 10.95.3 ma sempre pur nella memoria resta 10.95.4 e così l' uno all' altro contrappesa. 10.95.5 Carlo pensossi di farne la festa, 10.95.6 veggendo Orlando e la sua furia accesa. 10.95.7 Orlando tolse Rondello e Cortana, 10.95.8 ché non ha Vegliantin né Durlindana. 10.96.1 Meredïana e Morgante v' andorno 10.96.2 con Carlo e con Orlando per vedere. 10.96.3 E' paladini assai lo sconfortorno 10.96.4 che non si lasci il signor del quartiere 10.96.5 combatter col cugin suo tanto adorno; 10.96.6 ma contrappor non puossi allo imperiere; 10.96.7 e molto Carlo Man fu biasimato, 10.96.8 quantunque s' è con lor giustificato. 10.97.1 Tutta la corte s' avvïava drieto, 10.97.2 per veder questi due baron provare. 10.97.3 Morgante avea, come savio e discreto, 10.97.4 isconfortato molto il loro andare. 10.97.5 Gano il sapeva e molto n' era lieto, 10.97.6 dicendo: «Orlando so che l' ha ammazzare 10.97.7 quel traditor di Rinaldo d' Amone, 10.97.8 il qual d' ogni mal mio sempre è cagione». 10.98.1 Altri dicìen pur de' baron di corte: 10.98.2 «Carlo mi par che perda il sentimento: 10.98.3 se muor Rinaldo e 'l conte sia più forte, 10.98.4 non una volta il piagnerà, ma cento; 10.98.5 se 'l prenze dessi a Orlando la morte, 10.98.6 Carlo a' suoi dì non sarà più contento. 10.98.7 Vennon pur ier di paesi lontani 10.98.8 per salvar noi dall' oste de' pagani 10.99.1 e tutto il popol rallegrato s' era; 10.99.2 ora è in un punto perturbato e mesto. 10.99.3 Erminïon colla sua gente fera 10.99.4 non s' è partito e car gli sarà questo». 10.99.5 Così si parla in diversa maniera; 10.99.6 tanto è che 'l caso a ciascuno è molesto; 10.99.7 e sopra tutto la gente pagana 10.99.8 si condoleva con Meredïana 10.100.1 e dicìen tutti a lei: «Magna regina, 10.100.2 deh, non lasciate seguir tanto errore; 10.100.3 adoperate la vostra dottrina 10.100.4 col conte Orlando e con lo 'mperadore: 10.100.5 benché noi siàn di legge saracina, 10.100.6 e' ce ne 'ncresce, anzi ci scoppia il core». 10.100.7 Meredïana con parole accorte 10.100.8 Carlo ed Orlando sconfortava forte. 10.101.1 Orlando non ascolta ignun che parli, 10.101.2 e dice: «Io intendo una volta vedere 10.101.3 s' io son Orlando e vo' il suo error mostrarli 10.101.4 di ritenermi la spada e 'l destriere: 10.101.5 non ch' io volessi però morte darli, 10.101.6 ma farlo discredente rimanere». 10.101.7 E tanto finalmente cavalcorno, 10.101.8 ch' a Montalban furno il secondo giorno. 10.102.1 Rinaldo stava più che in orazione 10.102.2 d' appiccar con Orlando la battaglia. 10.102.3 Vedi che razza d' uomo o condizione! 10.102.4 Vedi se sbergo era di fine maglia! 10.102.5 E dice: «S' io lo truovo in su l' arcione, 10.102.6 noi proverrem come ogni spada taglia». 10.102.7 Ma poi che vide Orlando già in sul piano, 10.102.8 subito armato uscì di Montalbano, 10.103.1 e tolse Durlindana e Vegliantino, 10.103.2 seco dicendo: «Se m' abbatte Orlando, 10.103.3 arà el cavallo e 'l brando a suo dimìno». 10.103.4 Erminïon, che veniva spiando 10.103.5 ch' egli è venuto il figliuol di Pipino 10.103.6 e la cagione, un messo vien mandando; 10.103.7 e dice a Carlo Man, se gli è in piacere, 10.103.8 che vuol venir la battaglia a vedere. 10.104.1 Carlo rispose a lui cortesemente 10.104.2 ch' a suo piacer venissi Erminïone. 10.104.3 Venne e con seco menò poca gente, 10.104.4 per gentilezza e per sua discrezione. 10.104.5 Carlo lo vide molto lietamente 10.104.6 e sempre a man sinistra si gli pone; 10.104.7 quantunque il re pagan ciò non volia, 10.104.8 ma Carlo gliel domanda in cortesia. 10.105.1 Rinaldo venne e seco ha Ricciardetto 10.105.2 in compagnia e 'l signor d' Inghilterra, 10.105.3 che molto gli ha questa impresa disdetto, 10.105.4 che con Orlando non debbi far guerra: 10.105.5 abbraccia Orlando quanto può più stretto 10.105.6 ed Ulivieri e Morgante poi afferra; 10.105.7 Meredïana quanto puote onora, 10.105.8 perché veduti non gli aveva ancora; 10.106.1 e poi diceva: «O nostro Carlo Magno, 10.106.2 come hai tu consentito a tanto errore? 10.106.3 Tu non ci acquisti, al mio parer, guadagno 10.106.4 e non sai quanto tu perdi d' onore: 10.106.5 se tu perdessi un sì fatto compagno 10.106.6 quanto è Rinaldo, saria il tuo peggiore; 10.106.7 se tu perdessi il tuo caro nipote, 10.106.8 di dolor poi graffieresti le gote. 10.107.1 Che cosa è questa? Un sì piccolo sdegno, 10.107.2 per due parole, ancor non si perdona? 10.107.3 O Carlo, imperador famoso e degno, 10.107.4 questa non è giusta impresa né buona; 10.107.5 per Dio, della ragion trapassi il segno». 10.107.6 Carlo diceva fra sé: «La corona 10.107.7 non mi torrà di testa più Rinaldo»; 10.107.8 e stava nel proposito suo saldo. 10.108.1 Orlando intanto a Rinaldo s' accosta, 10.108.2 e dice: «Se' tu, cugino, ostinato 10.108.3 combatter meco? Se vuogli, a tua posta 10.108.4 piglia del campo e ciascun sia sfidato». 10.108.5 Rinaldo non gli fece altra risposta 10.108.6 se non che presto il cavallo ha voltato. 10.108.7 Carlo diceva: «Io ne son mal contento»: 10.108.8 dicea di fuor, ma nol diceva drento. 10.109.1 Mai non si vide falcon peregrino 10.109.2 voltarsi così destro, o altro uccello, 10.109.3 come Rinaldo fece Vegliantino 10.109.4 o come il conte Orlando fe' Rondello: 10.109.5 maravigliossi il gran re saracino 10.109.6 dell' atto fiero e valoroso e bello: 10.109.7 Rinaldo volse a Vegliantino il freno, 10.109.8 e così il conte, in manco d' un baleno. 10.110.1 Un mezzo miglio s' eron dilungati, 10.110.2 e ritornavan con tanta fierezza, 10.110.3 che' saracin dicìen tutti ammirati: 10.110.4 «Fólgore certo va con men prestezza. 10.110.5 Se questi son pel mondo ricordati, 10.110.6 è ben ragione, e se Carlo gli apprezza». 10.110.7 Erminïon tenea ferme le ciglia, 10.110.8 ché gli parea veder gran maraviglia. 10.111.1 Ma quello Iddio che regge il mondo e' cieli, 10.111.2 mostrò ch' Egli è di giustizia la fonte 10.111.3 e quanto Egli ama i suoi servi fedeli. 10.111.4 Mentre che Vegliantin va inverso il conte, 10.111.5 par che in un tratto se gli arricci i peli, 10.111.6 e volse indrieto a Rinaldo la fronte 10.111.7 come se 'l suo signor riconoscessi 10.111.8 e d' andar contra a lui si ritemessi. 10.112.1 Gridò Rinaldo: «Che diavolo è questo? 10.112.2 Vòltati indrieto! Che fai tu, rozzone?». 10.112.3 Orlando gittò via la lancia presto. 10.112.4 In questo apparve alla riva un lïone; 10.112.5 il qual poi ch' ognun vide manifesto, 10.112.6 ebbe di questo fatto ammirazione: 10.112.7 il fer lïone a Orlando n' andòe 10.112.8 ed una zampa in alto su levòe, 10.113.1 nella quale era una lettera scritta, 10.113.2 che Malagigi a Orlando mandava. 10.113.3 Orlando la pigliò colla man dritta, 10.113.4 e come l' ebbe letta, sogghignava. 10.113.5 Rinaldo con la mente irata e afflitta 10.113.6 di Vegliantin di subito smontava; 10.113.7 vide il lïon, che gli pareva strano, 10.113.8 e come Orlando il brieve aveva in mano. 10.114.1 Maravigliato inverso lui venìa: 10.114.2 Orlando a dir gli cominciò discosto 10.114.3 come Malgigi ingannati gli avia 10.114.4 e tutto il fatto gli contava tosto; 10.114.5 e poco men che per la lor follia 10.114.6 non avea l' un di lor pagato il costo. 10.114.7 Quando Rinaldo la lettera intende, 10.114.8 tosto il cavallo e 'l brando al conte rende, 10.115.1 e ringraziò l' etterno e giusto Iddio 10.115.2 che avea questo miracol lor mostrato; 10.115.3 e disse: «Or mi perdona, cugin mio, 10.115.4 e Carlo e gli altri, ch' io ho troppo errato. 10.115.5 Ma Gesù Cristo nostro, umile e pio, 10.115.6 veggo ch' al fin m' ha pur ralluminato!». 10.115.7 E riguardando ove il lïone era ito, 10.115.8 non lo riveggon, ch' egli era sparito. 10.116.1 Carlo e' baroni avien tutto veduto, 10.116.2 e, come Malagigi scrive loro, 10.116.3 ch' e' fu quel vecchio ch' e' trovò canuto, 10.116.4 ch' avea scambiati i cavalli a costoro; 10.116.5 e ringraziava Iddio, c' ha proveduto 10.116.6 che' due baron non si dessin martoro. 10.116.7 Erminïon, che vedea tutto aperto, 10.116.8 parvegli questo un gran miracol certo; 10.117.1 e cominciò a dolersi di Macone, 10.117.2 dicendo: «Tu se' falso veramente, 10.117.3 e quel che ci ha mandato quel lïone 10.117.4 è il vero Iddio e 'l Padre onnipotente: 10.117.5 s' i' ti fe' sacrificio o orazïone 10.117.6 alla mia vita mai, ne son dolente 10.117.7 e in ogni modo Cristo vo' adorare»; 10.117.8 e cominciò con Carlo a lacrimare: 10.118.1 «O Carlo avventurato, o Carlo nostro, 10.118.2 ogni grazia per certo a voi procede, 10.118.3 per quel ch' io veggo omai, da Gesù vostro; 10.118.4 veggo ch' egli ha de' buon servi merzede, 10.118.5 e 'l gran miracol ch' egli ha qui dimostro, 10.118.6 e che Macone è falso e chi gli crede. 10.118.7 Da ora innanzi, degno Carlo Mano, 10.118.8 io mi vo' battezzar colla tua mano». 10.119.1 Carlo abbracciò con molta affezïone 10.119.2 il re, che tutto parea già cambiato 10.119.3 nel volto e pien di molta contrizione; 10.119.4 e disse: «O Cristo, sia sempre laudato! 10.119.5 Se vuoi ch' io ti battezzi, Erminïone, 10.119.6 andianne al fiume che ci è qui dallato»; 10.119.7 e così finalmente andorno al fiume 10.119.8 e battezzòl secondo il lor costume. 10.120.1 Così fu battezzato il re pagano; 10.120.2 e battezzossi il famoso amirante 10.120.3 ch' era stato all' assedio a Montalbano, 10.120.4 com' io già dissi, detto Lïonfante; 10.120.5 e s' alcun pur non si vuol far cristiano 10.120.6 de' saracin, si ritornò in Levante. 10.120.7 Carlo a Parigi con gran festa torna, 10.120.8 dove co' suoi baron lieto soggiorna. 10.121.1 Ma il traditor di Gan, ch' era fuggito 10.121.2 fuor di Parigi e stava di nascoso, 10.121.3 poi ch' egli intese come il fatto era ito, 10.121.4 drento al suo cor fu molto doloroso; 10.121.5 e pensa come Carlo abbi tradito, 10.121.6 e giorno e notte non truova riposo: 10.121.7 sente che in corte si facea gran festa, 10.121.8 la qual cosa più ch' altro gli è molesta. 10.122.1 Pensa e ripensa e va sottilizzando 10.122.2 dove e' potessi più metter la coda 10.122.3 o dove e' veng' a la rete cacciando. 10.122.4 D' ira e di rabbia par seco si roda: 10.122.5 pur finalmente si viene accordando 10.122.6 con seco stesso e 'n su questo s' assoda: 10.122.7 di tentar Caradoro, se potessi, 10.122.8 tanto che qualche scandol si facessi. 10.123.1 E scrisse il traditor queste parole: 10.123.2 «O Carador, di te m' incresce assai, 10.123.3 che la tua figlia, bella più che 'l sole, 10.123.4 in Francia meretrice mandata hai, 10.123.5 e gravida è già fatta; onde e' mi duole 10.123.6 che tua stirpe real disprezzi omai. 10.123.7 Come hai tu consigliato mandar quella 10.123.8 tra gente strana, sì giovine e bella? 10.124.1 Per tutta Francia d' altro non si dice 10.124.2 che femmina tua figlia è diventata 10.124.3 d' Ulivieri, anzi più che meretrice. 10.124.4 Dove è tua fama già tanto vulgata? 10.124.5 Dove il tuo pregio e 'l tuo nome felice, 10.124.6 che la tua schiatta hai sì vituperata? 10.124.7 Ciò ch' io ti dico è il ver, della tua figlia: 10.124.8 se tu se' savio, or te stesso consiglia». 10.125.1 La lettera poi détte a un messaggio, 10.125.2 che a Carador ne va sanza dimoro 10.125.3 e 'n poco tempo spacciava il vïaggio 10.125.4 e rappresenta il brieve a Caradoro. 10.125.5 Il qual sentì di sua figlia l' oltraggio, 10.125.6 e mai non ebbe sì grave martoro; 10.125.7 e la sua donna ne fu molto grama, 10.125.8 però ch' al tutto ingannata si chiama; 10.126.1 e la figliuola sventurata piagne, 10.126.2 dicendo: «Lassa, perché ti mandai, 10.126.3 poi che scoperte son queste magagne? 10.126.4 Mentre tu eri qui, ne dubitai, 10.126.5 perché già tese mi parvon le ragne 10.126.6 e' tradimenti; ma pur non pensai 10.126.7 che tanto ingrata fussi quella gente. 10.126.8 Ma chi tosto erra, a bell' agio si pente. 10.127.1 O Caradoro mio, quanta fatica, 10.127.2 quanti disagi e quanti lunghi affanni 10.127.3 sofferti abbiàn, tu 'l sai sanza ch' io il dica, 10.127.4 per allevar costei da' suoi primi anni! 10.127.5 Poi la dài in preda alla gente nimica, 10.127.6 piena di frode e di doli e d' inganni. 10.127.7 Non rivedrai mai più tua figlia bella; 10.127.8 e se pur torna, svergognata è quella». 10.128.1 Queste parole assai passano il core 10.128.2 al tristo padre, e non sapea che farsi 10.128.3 di racquistar la sua figlia e l' onore, 10.128.4 perché tutti i rimedi erano scarsi. 10.128.5 Pur, dopo molti sospiri e dolore, 10.128.6 con la sua donna in tal modo accordârsi: 10.128.7 che si mandassi Vegurto il gigante 10.128.8 a condolersi delle ingiurie tante; 10.129.1 e che dovessi rimandar la figlia; 10.129.2 e s' egli è imperador giusto e dabbene, 10.129.3 del tristo caso assai si maraviglia, 10.129.4 poich' Ulivier per femina la tiene, 10.129.5 di che per tutta Francia si bisbiglia; 10.129.6 e che il gigante per sua parte viene, 10.129.7 ché subito gli dia Meredïana; 10.129.8 e rimandassi sua gente pagana; 10.130.1 e che se mai potrà farne vendetta, 10.130.2 che la farà per ogni modo ancora, 10.130.3 ma, come savio, luogo e tempo aspetta. 10.130.4 Il fer gigante non fece dimora: 10.130.5 subitamente una sua alfana assetta, 10.130.6 e presto uscì de' pagan regni fora; 10.130.7 tolse la fromba ed altri suoi vestigi 10.130.8 e 'n poco tempo a Carlo fu a Parigi. 10.131.1 Tutto il popol correva per vedere 10.131.2 questo gigante ch' era smisurato: 10.131.3 Morgante non pareva un suo scudiere. 10.131.4 A Carlo nella sala ne fu andato 10.131.5 e con parole assai arrogante e fiere 10.131.6 in modo molto stran l' ha salutato: 10.131.7 «Macon t' abbatta come traditore 10.131.8 e disleale e 'ngiusto imperadore. 10.132.1 Il mio signor mi manda a te, Carlone, 10.132.2 ché subito mi dia la sua figliuola 10.132.3 e tutto quanto il popol di Macone 10.132.4 che ti mandò, sanza farne parola; 10.132.5 ed Ulivier, quel ribaldo ghiottone, 10.132.6 con le mie mani impicchi per la gola: 10.132.7 così farò come e' m' ha comandato 10.132.8 e punirollo d' ogni suo peccato. 10.133.1 A Caradoro è stato scritto, o Carlo, 10.133.2 o Carlo, o Carlo», e crollava la testa, 10.133.3 «della tua corte, che non puoi negarlo, 10.133.4 della sua figlia cosa disonesta. 10.133.5 Non doverresti in tal modo trattarlo. 10.133.6 Quel ch' io ti dico è cosa manifesta: 10.133.7 Ulivier tuo la tien per concubina, 10.133.8 così famosa e nobil saracina. 10.134.1 Questo non è quel ch' egli are' creduto; 10.134.2 questa non è gentilezza di Franza; 10.134.3 questo non è l' onor c' ha' ricevuto; 10.134.4 questa non è d' imperadore usanza; 10.134.5 questa non è giustizia né dovuto; 10.134.6 questo non è buon segno d' amistanza; 10.134.7 questa non è più la figliuola nostra, 10.134.8 poi ch' ella è fatta concubina vostra; 10.135.1 questo non è quel che promisse il conte 10.135.2 quando e' partì con gli altri del suo regno». 10.135.3 Così dicendo scoteva la fronte; 10.135.4 ben parea pien di furore e di sdegno. 10.135.5 Carlo, sentendo ricordar tante onte, 10.135.6 rispose: «Imbasciador famoso e degno, 10.135.7 per quello Iddio ch' ogni cristiano adora, 10.135.8 di ciò che di' nulla ne 'ntendo ancora. 10.136.1 Tu m' hai fatto pensar per tutto il mondo, 10.136.2 e cosa che tu dica ancor non truovo. 10.136.3 Però questo al principio ti rispondo, 10.136.4 come colui che certo ne son nuovo: 10.136.5 il tuo signor famoso, alto e giocondo, 10.136.6 per vero amico e molto caro appruovo; 10.136.7 alla sua figlia ho fatto giusto onore, 10.136.8 per mia corona, come imperadore. 10.137.1 Né Ulivieri ha fatto mancamento, 10.137.2 per quel ch' io sappi, o palese o coperto; 10.137.3 ché, se ciò fussi, io sarei mal contento, 10.137.4 e non sarebbe giusto o degno merto». 10.137.5 Quando Ulivier vedea tanto ardimento, 10.137.6 gridava: «O imperador, troppo hai sofferto. 10.137.7 Che dice questo traditor ribaldo?». 10.137.8 Così diceva il Danese e Rinaldo. 10.138.1 Meredïana, ch' era alla presenzia, 10.138.2 non poté far non si turbassi in volto 10.138.3 quando sentì trattar di sua fallenzia, 10.138.4 ché tal segreto stimava sepolto: 10.138.5 «Perdonimi», dicea, «la reverenzia 10.138.6 del padre mio, e' parla come stolto: 10.138.7 ché sempre in questa corte sono stata 10.138.8 da Ulivier più che d' altri onorata; 10.139.1 ed or, che Carador facci richiamo 10.139.2 di questo, troppo in ver mi maraviglio». 10.139.3 Disse Ulivier: «Che tanto comportiamo?». 10.139.4 Subito détte ' Altachiara di piglio, 10.139.5 ma tosto gliela prese il savio Namo, 10.139.6 dicendo a quel: «Tu non hai buon consiglio: 10.139.7 questo gigante è di natura acerbo 10.139.8 e però parla arrogante e superbo. 10.140.1 Non si vuole agguagliar la lor natura 10.140.2 con la nostra, Ulivier, nella fierezza, 10.140.3 però che non risponde tal misura, 10.140.4 come non corrisponde la grandezza. 10.140.5 Lo 'mbasciador dée dir sanza paura 10.140.6 e vuolsi sempre usargli gentilezza». 10.140.7 Ma manco pazïenzia ebbe Vegurto 10.140.8 e volle a Ulivier presto dar d' urto. 10.141.1 Come un dragon se gli scagliava addosso 10.141.2 e trassegli d' un colpo d' una accetta 10.141.3 credendogli ammaccar la carne e l' osso; 10.141.4 ma Ulivier dall' un lato si getta. 10.141.5 Carlo fu presto della sedia mosso. 10.141.6 Ma 'l gran Morgante gli dava una stretta, 10.141.7 e corselo abbracciar subitamente, 10.141.8 benché Vegurto assai fussi possente. 10.142.1 Vegurto prese lui sotto le braccia. 10.142.2 Or chi vedessi questi due giganti 10.142.3 provarsi quivi insieme a faccia a faccia, 10.142.4 maravigliato saria ne' sembianti. 10.142.5 Ma pur Morgante in terra alfin lo caccia, 10.142.6 tanto che rider facìa tutti quanti; 10.142.7 ché, quando e' l' ebbe in sullo smalto a porre, 10.142.8 parve che 'n terra cadessi una torre; 10.143.1 e nel cader percoteva al Danese, 10.143.2 tal che il Danese sotto gli cascava. 10.143.3 Orlando molto ne rise e 'l marchese; 10.143.4 ma Namo presto Carlo consigliava 10.143.5 che si levasson così fatte offese. 10.143.6 Così Vegurto ritto si levava, 10.143.7 e come ritto fu, gridava forte 10.143.8 e tutti i paladin disfida a morte. 10.144.1 Disse Ulivier: «Sares' tu Briareo 10.144.2 con Giupiter, o Fïalte famoso, 10.144.3 o quel superbo antico Campaneo? 10.144.4 Da ora innanzi, gigante orgoglioso, 10.144.5 io ti disfido, se tu fussi Anteo. 10.144.6 Lo imperador possente e glorïoso 10.144.7 mi dia licenzia, e vo' teco provarmi; 10.144.8 e fammi il peggio poi, che tu puoi farmi». 10.145.1 Ah, Ulivieri! amor ti scalda il petto, 10.145.2 che sempre fa valoroso chi ama: 10.145.3 tu non aresti di Marte sospetto, 10.145.4 pur che vi fussi a vederti la dama. 10.145.5 Disse Vegurto: «Per dio Macometto, 10.145.6 questo più ch' altro la mia voglia brama». 10.145.7 Ulivier prestamente corse armarsi, 10.145.8 ché col gigante voleva provarsi. 10.146.1 Morgante non poté più sofferire 10.146.2 e disse a Carlo: «Imperadore, io scoppio, 10.146.3 s' io non lo fo con le mie man morire. 10.146.4 Lascia ch' i' suoni col battaglio a doppio: 10.146.5 al primo colpo il farò sbalordire, 10.146.6 che ti parrà ch' egli abbi beuto oppio». 10.146.7 Carlo risponde, ma non era inteso, 10.146.8 tanto ognuno era di furore acceso. 10.147.1 Non potea star Morgante più in guinzaglio 10.147.2 non aspettò di Carlo la risposta, 10.147.3 ma cominciava a calar giù il battaglio; 10.147.4 e 'l fer Vegurto a Morgante s' accosta. 10.147.5 Or chi vedessi giucar qui a sonaglio, 10.147.6 non riterrebbe le risa a sua pòsta: 10.147.7 l' un col battaglio e l' altro con la scure 10.147.8 s' appiccon pèsche che non son mature. 10.148.1 Non era tempo adoperar la fromba: 10.148.2 e' si sentiva alcuna volta un picchio, 10.148.3 quando Morgante il battaglio giù piomba, 10.148.4 che quel Vegurto si faceva un nicchio 10.148.5 e tutta quanta la sala rimbomba; 10.148.6 ma coll' accetta ogni volta uno spicchio 10.148.7 del dosso lieva al possente Morgante, 10.148.8 però che molto è feroce il gigante. 10.149.1 Ulivieri era ritornato in sala 10.149.2 armato e con Vegurto vuol provarsi; 10.149.3 ma quando e' vide Morgante che cala 10.149.4 il gran battaglio e 'nsieme bastonarsi, 10.149.5 si ritenea volentieri in su l' ala, 10.149.6 però che tempo non è d' accostarsi. 10.149.7 Vegurto grida e Morgante gridava, 10.149.8 tanto ch' ognun per la voce tremava. 10.150.1 E' non si vide mai lïoni irati 10.150.2 mugghiar sì forte o far sì grande assalto, 10.150.3 né due serpenti insieme riscaldati. 10.150.4 Sempre l' accetta o 'l battaglio è su alto; 10.150.5 alcuna volta invano eran cascati 10.150.6 i colpi e fatta una buca allo smalto. 10.150.7 Due ore o più bastonati si sono, 10.150.8 ma del battaglio raddoppiava il suono. 10.151.1 Benché Vegurto assai più alto fosse 10.151.2 che 'l gran Morgante, e' non era più forte. 10.151.3 E già tutte le carne avevon rosse; 10.151.4 ed a vedergli era tutta la corte. 10.151.5 Morgante un tratto a Vegurto percosse, 10.151.6 diliberato di dargli la morte. 10.151.7 e 'l gran battaglio in sul capo appiccòe, 10.151.8 tal che Vegurto morto rovinòe. 10.152.1 E parve nel cader quel torrïone, 10.152.2 ch' un albero cadessi di gran nave: 10.152.3 fece tremar la terra, il compagnone, 10.152.4 non che la sala, tanto andò giù grave; 10.152.5 dovunque e' giunse, lo smalto e 'l mattone 10.152.6 fracassò tutto e ruppe una gran trave, 10.152.7 tanto che 'l palco sotto rovinava 10.152.8 e molta gente addosso gli cascava. 10.153.1 Così morì il superbo imbasciadore 10.153.2 e non tornò con la risposta addrieto. 10.153.3 Meredïana pur n' avea dolore, 10.153.4 ma Ulivier di ciò troppo era lieto. 10.153.5 Molto dispiacque a Carlo imperadore, 10.153.6 benché nel petto il tenessi segreto, 10.153.7 perché pur era imbasciador mandato, 10.153.8 e pargli a Caradoro essere ingrato. 10.154.1 Caradoro aspettò più tempo invano 10.154.2 che ne dovessi la figlia venire. 10.154.3 Lasciam costoro e ritorniamo a Gano, 10.154.4 che non vide il disegno rïuscire; 10.154.5 e manda così a dire a Carlo Mano, 10.154.6 come nell' altro canto vo' seguire; 10.154.7 ché so ch' io v' ho tenuto troppo a tedio. 10.154.8 Cristo sia vostra salute e rimedio.
CANTO XI
11.1.1 O santo pellican che col tuo sangue 11.1.2 campasti noi dalla fera crudele, 11.1.3 dal suo velen come pestifero angue, 11.1.4 e poi gustasti l' aceto col fele, 11.1.5 tanto che la tua madre afflitta langue; 11.1.6 manda in mio aiuto l' arcangiol Michele, 11.1.7 sì ch' io riporti di vittoria insegna 11.1.8 e seguir possa questa storia degna. 11.2.1 Gano scriveva a Carlo in questo modo: 11.2.2 «O Carlo imperador, che t' ho io fatto? 11.2.3 S' io non commissi inganno mai né frodo, 11.2.4 perché consenti tu ch' io stia di piatto? 11.2.5 S' io t' ho servito sempre, assai ne godo: 11.2.6 tu mostri essere ingrato a questo tratto, 11.2.7 e sanza udir le mia ragion, consenti 11.2.8 che' miei nimici sien di me contenti. 11.3.1 Quel dì ch' io presi in Parigi la piazza, 11.3.2 che sapevo io chi drento era venuto? 11.3.3 o, se pur v' era gente d' altra razza, 11.3.4 che ti paressi Orlando sconosciuto? 11.3.5 Per riparare a quella furia pazza 11.3.6 corsi alla piazza e parvemi dovuto. 11.3.7 Che sapevo io se tu t' eri ingannato 11.3.8 o che nella città fussi trattato? 11.4.1 Rinaldo non istette mai a udire 11.4.2 le mie ragioni, ma furiando forte 11.4.3 mi minacciava di farmi morire: 11.4.4 io mi fuggi' temendo della morte. 11.4.5 Tu ti stai in festa ed io con gran martìre; 11.4.6 e tanto tempo è pur ch' io fui in tua corte, 11.4.7 de' tuoi baroni e del tuo gran consilio: 11.4.8 or m' hai scacciato e mandato in essilio». 11.5.1 Carlo lesse la lettera piangendo, 11.5.2 però che molto Ganellone amava; 11.5.3 ed ogni cosa per fermo tenendo 11.5.4 che gli scriveva, indrieto rimandava, 11.5.5 dicendo: «Il tuo partir, Gan, non commendo 11.5.6 e la distanzia tua troppo mi grava. 11.5.7 Torna a tuo posta e come caro amico, 11.5.8 come stato mi se' pel tempo antico». 11.6.1 Gan ritornò come scriveva Carlo. 11.6.2 Carlo lo vide molto volentieri 11.6.3 e corse, come e' lo vide, abbracciarlo: 11.6.4 «Ben sia tornato il mio Gan da Pontieri». 11.6.5 Gan come Giuda in fronte usa baciarlo. 11.6.6 Dicea Rinaldo al marchese Ulivieri: 11.6.7 «Vedi che Carlo consente ch' e' torni, 11.6.8 e ritornianci pur ne' primi giorni. 11.7.1 Io vo' che 'l capo Carlo Man mi tagli, 11.7.2 se non è quel ch' a Caradoro ha scritto 11.7.3 e che lo 'mbasciador fece mandàgli: 11.7.4 non so come guardar lo può diritto. 11.7.5 Ma metter lo potria in tanti travagli, 11.7.6 che qualche volta piangerà poi afflitto». 11.7.7 Così pareva al marchese ed Orlando; 11.7.8 tutta la corte ne vien mormorando. 11.8.1 Ma come avvien che sempre la Fortuna 11.8.2 si diletta veder diverse cose 11.8.3 e sempre volge come fa la luna, 11.8.4 mentre che Carlo par così si pòse 11.8.5 sanza più dubitar di cosa alcuna, 11.8.6 ma sanza spine godersi le rose, 11.8.7 ed ogni dì fa giostre e torniamenti 11.8.8 e tutti i suoi baron vede contenti, 11.9.1 un giorno a scacchi Ulivier borgognone 11.9.2 in una loggia con Rinaldo giuoca: 11.9.3 vennono insieme, giucando, a quistione, 11.9.4 e tanto ognun di parole rinfuoca, 11.9.5 ch' Ulivier disse a Rinaldo d' Amone: 11.9.6 «Tu hai talvolta men cervel ch' un' oca 11.9.7 e col gridar difendi sempre il torto. 11.9.8 Non so se m' hai per tuo ragazzo scorto». 11.10.1 Rinaldo rispondea: «Tu credi forse, 11.10.2 perché presente è qui Meredïana, 11.10.3 ch' io ti riguardi?». E tanto ognun transcorse 11.10.4 d' una parola in un' altra villana, 11.10.5 che Ulivieri il pugno innanzi porse. 11.10.6 La damigella gli prese la mana; 11.10.7 Rinaldo si rizzò subitamente, 11.10.8 ma Ulivieri non aspettò niente: 11.11.1 subito corse per la sua armadura; 11.11.2 torna a Rinaldo e trasse fuori il brando; 11.11.3 Rinaldo non l' aveva alla cintura; 11.11.4 ma in questo mezzo si cacciava Orlando; 11.11.5 Meredïana triema di paura; 11.11.6 Carlo Rinaldo venìa minacciando: 11.11.7 «Ogni dì metti la corte a romore, 11.11.8 e 'l torto hai sempre e fa'mi poco onore». 11.12.1 Rinaldo, ch' era tutto infurïato, 11.12.2 rispose a Carlo Magno: «Tu ne menti, 11.12.3 ché 'l torto ha egli ed hammi minacciato». 11.12.4 Carlo gridava a tutte le sue genti: 11.12.5 «Fate che presto costui sia pigliato, 11.12.6 se non che tutti farò mal contenti». 11.12.7 Dicea Rinaldo: «Ignun non mi s' accosti, 11.12.8 ché gli parrà che le mosche gli arrosti!». 11.13.1 Orlando vide il cugino a mal porto, 11.13.2 e così disse: «Piglia tuo partito; 11.13.3 vattene a Montalban per mio conforto, 11.13.4 ch' io veggo Carlo troppo insuperbito 11.13.5 sanza voler saper chi s' abbi il torto». 11.13.6 Rinaldo s' è prestamente fuggito; 11.13.7 tolse Baiardo ed obbediva Orlando 11.13.8 e 'nverso Montalban va cavalcando. 11.14.1 Carlo si dolfe con Orlando molto 11.14.2 perché l' avea così fatto fuggire, 11.14.3 dicendo: «Il traditor, dove m' ha còlto, 11.14.4 che per la gola ogni dì m' ha a smentire? 11.14.5 Io l' ho a trattare un giorno come stolto». 11.14.6 Subito fece il consiglio venire 11.14.7 e disse in brieve e soluta orazione 11.14.8 quel che far debba del figliuol d' Amone. 11.15.1 Diceva Orlando: «A mio modo farai: 11.15.2 làsciagli un poco uscir questa arroganza 11.15.3 ed altra volta ginocchion l' arai 11.15.4 e faren che ti chiegga perdonanza». 11.15.5 Carlo rispose: «Ciò non farò mai, 11.15.6 che di smentirmi più pigli baldanza: 11.15.7 io vo' perseguitarlo insino a morte, 11.15.8 né mai più intendo tenerlo in mia corte». 11.16.1 Namo alla fine détte il suo consiglio, 11.16.2 che si dovessi di corte sbandire 11.16.3 acciò che non seguisse altro periglio, 11.16.4 ché qualche mal ne potrebbe seguire; 11.16.5 e dicea: «Tutto il populo è in bisbiglio 11.16.6 ch' altra gente pagana dée venire 11.16.7 e forse potria farne novitade, 11.16.8 ché molto amato è pur nella cittade». 11.17.1 Astolfo non volea che si sbandisse, 11.17.2 ma che gli fussi in tutto perdonato; 11.17.3 ma Ulivieri incontro ' Astolfo disse, 11.17.4 tanto che molto di ciò fu sdegnato; 11.17.5 e Carlo comandò che si seguisse 11.17.6 il bando come Namo ha consigliato. 11.17.7 Gano avea detto solo una parola: 11.17.8 «Se t' ha smentito, impiccal per la gola». 11.18.1 Poi che più Astolfo non vide rimedio 11.18.2 e che Rinaldo è sbandito da Carlo, 11.18.3 si dipartì sanza più stare a tedio: 11.18.4 a Montalban se n' andava avvisarlo 11.18.5 che consigliato s' era porgli assedio 11.18.6 ed accordati poi di sbandeggiarlo, 11.18.7 e ciò ch' aveva detto a Carlo Mano 11.18.8 per suo consiglio il traditor di Gano. 11.19.1 Rinaldo mille volte giurò a Dio 11.19.2 che ne farà vendetta qualche volta 11.19.3 di questo fraudolente, iniquo e rio, 11.19.4 se prima non gli fia la vita tolta; 11.19.5 e poi diceva: «Caro cugin mio, 11.19.6 so che tu m' ami, e pertanto m' ascolta: 11.19.7 io vo' che tutto il paese rubiamo 11.19.8 e che di mascalzon vita tegnamo; 11.20.1 e se san Pier trovassimo a camino, 11.20.2 che sia spogliato e messo a fil di spada; 11.20.3 e Ricciardetto ancor sia malandrino». 11.20.4 Rispose Astolfo: «Perché stiamo a bada? 11.20.5 Io spoglierò Otton per un quattrino. 11.20.6 Doman si vuol che s' assalti la strada: 11.20.7 non si rispiarmi parente o compagno 11.20.8 e poi si parta il bottino e 'l guadagno: 11.21.1 se vi passassi con sua compagnia 11.21.2 sant' Orsola con l' agnol Gabrïello 11.21.3 ch' annunzïò la Virgine Maria, 11.21.4 che sia spogliato e toltogli il mantello!». 11.21.5 Dicea Rinaldo: «Per la fede mia, 11.21.6 che Dio ti ci ha mandato, car fratello: 11.21.7 troppo mi piaci, e savio or ti conosco. 11.21.8 Parmi mill' anni che non siàn nel bosco». 11.22.1 Quivi era Malagigi e confermava 11.22.2 che si dovessi far com' egli ha detto. 11.22.3 Rinaldo gente strana ragunava; 11.22.4 se sa sbandito ignun, gli dà ricetto; 11.22.5 gente che ognun le forche meritava, 11.22.6 a Montalban rimetteva in assetto, 11.22.7 donava panni e facea buone spese; 11.22.8 tanto ch' assai ne ragunò in un mese. 11.23.1 Tutto il paese teneva in paura; 11.23.2 ogni dì si sentia qualche spavento: 11.23.3 «Il tal fu morto in una selva scura 11.23.4 e tolto venti bisanti; al tal cento 11.23.5 insin presso a Parigi in sulle mura». 11.23.6 Non domandar se Gano era contento, 11.23.7 acciò che Carlo più s' inanimassi, 11.23.8 tanto che a campo a Montalbano andassi. 11.24.1 E perché più s' accendessi Rinaldo, 11.24.2 diceva a Carlo un dì: «La corte nostra 11.24.3 par tutta in ozio per questo ribaldo 11.24.4 che co' ladroni alle strade si mostra. 11.24.5 Io sono in questo proposito saldo, 11.24.6 che si vorrebbe ordinare una giostra 11.24.7 per sollazzar la corte e 'l popol prima, 11.24.8 e non mostrar far di Rinaldo stima». 11.25.1 Carlo gli piacque quel che Gan dicea 11.25.2 e fe' per tutto Parigi bandire 11.25.3 come il tal dì la giostra si facea, 11.25.4 che chi volessi potessi venire. 11.25.5 Tutta la corte piacer ne prendea. 11.25.6 Gan, per potere ogni cosa fornire 11.25.7 e per parere a ciò di miglior voglia, 11.25.8 in punto misse Grifon d' Altafoglia. 11.26.1 Questo era della schiatta di Maganza. 11.26.2 Orlando s' era di corte partito. 11.26.3 Gan gli diceva: «O Grifon di possanza, 11.26.4 poi che non c' è Rinaldo, ch' è sbandito, 11.26.5 con tutti gli altri accettar déi la danza, 11.26.6 ch' Orlando non si sa dove sia ito». 11.26.7 Grifon rispose al suo degno signore: 11.26.8 «Io farò sì ch' i' vi farò onore». 11.27.1 Venne la giostra e 'l tempo diputato; 11.27.2 ed ordinò lo 'mperador, per segno 11.27.3 d' onore a quel che l' arà meritato, 11.27.4 un bel carbonchio molto ricco e degno 11.27.5 che in un bel gambo d' oro era legato. 11.27.6 Fuvvi gran gente di tutto il suo regno, 11.27.7 e molta baronia viene alla giostra: 11.27.8 Grifone il primo in sul campo si mostra. 11.28.1 Rinaldo un giorno un suo falcon pascendo, 11.28.2 ecco venire il fratel Malagigi, 11.28.3 e come e' giunse diceva ridendo: 11.28.4 «Non sai tu come e' si giostra a Parigi? 11.28.5 Che tu vi vadi in ogni modo intendo, 11.28.6 isconosciuto, con istran vestigi, 11.28.7 ed una barba d' erba porterai, 11.28.8 che conosciuto da nessun sarai». 11.29.1 Tutto s' accese Rinaldo nel core 11.29.2 e missesi di subito in assetto 11.29.3 di sopravveste, d' arme e corridore, 11.29.4 e disse: «Io intendo menar Ricciardetto 11.29.5 e d' Inghilterra il famoso signore. 11.29.6 Alardo rimarrà qui per rispetto». 11.29.7 Missonsi in punto tutti, e l' altro giorno 11.29.8 isconosciuti a Parigi n' andorno. 11.30.1 E solean questi sempre per antico 11.30.2 dismontare alla casa di Gualtieri, 11.30.3 ovver di don Simon, lor caro amico: 11.30.4 a questa volta trovorno altro ostieri 11.30.5 fuor di Parigi, ch' era assai mendico: 11.30.6 quivi smontorno e missono i destrieri, 11.30.7 per fuggire ogni tradimento reo; 11.30.8 e l' oste appellato è Bartolomeo. 11.31.1 E poi Rinaldo Ricciardetto manda 11.31.2 in piazza per veder quel che faciéno. 11.31.3 Ricciardo aveva a traverso una banda 11.31.4 alla sua sopravvesta e al palafreno, 11.31.5 e in certa parte una gentil grillanda 11.31.6 di fior che quasi il petto gli copriéno; 11.31.7 di bianco drappo era la sopravvesta, 11.31.8 a nessun mai più non veduta questa; 11.32.1 una grillanda aveva alla testiera 11.32.2 ed una in su la groppa del cavallo, 11.32.3 di varii fior come è di primavera; 11.32.4 la coverta è di color tutto giallo. 11.32.5 Vide la giostra che cominciata era, 11.32.6 né poté far non entrassi nel ballo; 11.32.7 e 'l primo ch' egli scontra in terra ha spinto, 11.32.8 e poi il secondo e 'l terzo e 'l quarto e 'l quinto. 11.33.1 Poi si partì e tornava al fratello 11.33.2 e disse ciò che al campo aveva fatto. 11.33.3 Rinaldo, ch' era armato come quello, 11.33.4 e 'l duca Astolfo n' andaron di tratto; 11.33.5 e tutto il popol si ferma a vedello, 11.33.6 perché parea nell' armi molto adatto. 11.33.7 Ulivieri era già venuto al campo 11.33.8 e con la lancia menava gran vampo. 11.34.1 Rinaldo, come giunse, al suo Baiardo 11.34.2 una fiancata détte cogli sproni; 11.34.3 vennegli incontra il marchese gagliardo; 11.34.4 non si conoscon questi due baroni; 11.34.5 due colpi grandi, sanza alcun riguardo, 11.34.6 a mezzo il corso déttonsi i campioni: 11.34.7 le lance in aria pel colpo ne vanno, 11.34.8 ma l' uno all' altro facea poco danno, 11.35.1 salvo che ginocchion vanno i destrieri 11.35.2 e nel cader l' elmetto si dilaccia 11.35.3 al valoroso marchese Ulivieri, 11.35.4 tanto che tutta scoperse la faccia. 11.35.5 Videl Rinaldo e fece assai pensieri 11.35.6 di dargli morte e fuggir via poi in caccia; 11.35.7 pur si ritenne per miglior partito. 11.35.8 Ulivier si rizzò tutto smarrito. 11.36.1 Allor Rinaldo un' altra lancia prese 11.36.2 e rivoltossi col cavallo a tondo; 11.36.3 vide venire un certo Maganzese 11.36.4 che si chiamava per nome Frasmondo: 11.36.5 sopra lo scudo la lancia giù scese, 11.36.6 gittalo in terra, e poi gittò il secondo, 11.36.7 cioè Grifon, ch' avea molta possanza, 11.36.8 ch' era mandato da Gan di Maganza. 11.37.1 Quivi combatte il signor d' Inghilterra, 11.37.2 ed or questo or quell' altro manda al piano: 11.37.3 molti n' aveva cacciati per terra. 11.37.4 Rinaldo guarda se conosce Gano: 11.37.5 videlo un tratto e Baiardo disserra, 11.37.6 e come e' giunse al traditor villano, 11.37.7 per fargli il giuoco, se poteva, netto, 11.37.8 gli pose alla visiera dell' elmetto. 11.38.1 Gan si scontorse tutto in su l' arcione, 11.38.2 la lancia si spezzò subitamente 11.38.3 e 'l suo forte destrier Mattafellone 11.38.4 s' accosciò in terra, se Turpin non mente. 11.38.5 E come e' fu caduto Ganellone, 11.38.6 subito intorno gli fu molta gente 11.38.7 de' Maganzesi e corsono aiutallo 11.38.8 e rilevato fu su col cavallo. 11.39.1 Quanti ne scontra Rinaldo quel giorno, 11.39.2 tanti per terra par che ne trabocchi. 11.39.3 Alda la bella al cavaliere adorno 11.39.4 sempre teneva quel dì fiso gli occhi; 11.39.5 e quanti cavalier con lui giostrorno, 11.39.6 parvon le lance gambi di finocchi; 11.39.7 tanto che molto piacque a Gallerana, 11.39.8 ch' era con Alda e con Meredïana. 11.40.1 Fatta la giostra, fu dato l' onore 11.40.2 al buon Rinaldo, che lo meritava. 11.40.3 Alda la bella al baron di valore 11.40.4 un ricco dïamante poi donava, 11.40.5 dicendo: «Questo porta per mio amore»; 11.40.6 e Gallerana un rubin suo gli dava, 11.40.7 tanto lor parve un cavalier possente. 11.40.8 Rinaldo gli accettò cortesemente. 11.41.1 Tornossi all' oste di fuor della terra 11.41.2 Rinaldo con Astolfo e col fratello. 11.41.3 Gan, perché avuta vergogna avea in guerra, 11.41.4 vituperato, drento al suo cor fello 11.41.5 pensò di far con sua gente tal serra 11.41.6 al paladin, ch' egli uccidessi quello, 11.41.7 acciò che tanti cavalier prestanti 11.41.8 d' aver vinti quel giorno non si vanti. 11.42.1 Subito fuor di Parigi son corsi, 11.42.2 e giunti all' oste, Rinaldo trovaro, 11.42.3 e cominciorno co' graffi e co' morsi 11.42.4 a volerlo atterrar sanza riparo: 11.42.5 così con esso a battaglia appiccorsi, 11.42.6 tanto ch' Astolfo per forza pigliaro; 11.42.7 e con fatica Rinaldo è fuggito 11.42.8 con Ricciardetto, che l' avie seguito. 11.43.1 Gan fece ' Astolfo l' elmetto cavare 11.43.2 con intenzion di dargli poi la morte, 11.43.3 ma saper prima ben d' ogni suo affare 11.43.4 e del compagno suo, ch' è tanto forte. 11.43.5 Come il conobbe, cominciò a parlare: 11.43.6 «Tu se' quel traditor che nostra corte 11.43.7 vituperasti sempre e Carlo Mano, 11.43.8 e malandrin se' fatto a Montalbano! 11.44.1 I tuoi peccati t' hanno pur condotto 11.44.2 dove tu merti, se tu guardi bene 11.44.3 alla tua vita, e pagherai lo scotto 11.44.4 di quel che hai fatto, con affanni e pene». 11.44.5 Astolfo per dolor non facea motto. 11.44.6 Gan di Maganza a Parigi ne viene, 11.44.7 e giunto a Carlo, tutto in volto lieto, 11.44.8 gli détte Astolfo in sua man di segreto. 11.45.1 Questo facea perché non abbi aiuto, 11.45.2 né per la via scoperto l' ha a persona, 11.45.3 acciò che non sia tolto o conosciuto; 11.45.4 e dice: «O Carlo Mano, alta corona, 11.45.5 fàllo impiccar, ché tu farai il dovuto: 11.45.6 alla sua vita mai fe' cosa buona; 11.45.7 se tu ragguardi nel tempo passato, 11.45.8 per mille vie le forche ha meritato». 11.46.1 Carlo lo fece mettere in prigione 11.46.2 per ordinar di farne aspra giustizia. 11.46.3 Mentre che questo ordinava Carlone 11.46.4 e Gan tutto era acceso di letizia, 11.46.5 Rinaldo, ch' era pieno di passione, 11.46.6 sentia d' Astolfo al cor molta tristizia 11.46.7 e pensa pur come e' possa aiutarlo, 11.46.8 ché dicea: «Carlo Man farà impiccarlo». 11.47.1 Orlando appunto a Montalban giugnea, 11.47.2 quale era stato per molti paesi 11.47.3 e rivedere il suo cugin volea; 11.47.4 e Ricciardetto e lui truova sospesi. 11.47.5 Rinaldo poi d' Astolfo gli dicea: 11.47.6 or questo par ch' al conte molto pesi, 11.47.7 che in Agrismonte stato era di Buovo 11.47.8 e non sapea di questo caso nuovo; 11.48.1 ed accordossi con Rinaldo insieme, 11.48.2 che non gli fia la vita perdonata; 11.48.3 e Malagigi ha perduta ogni speme, 11.48.4 però che Carlo un' ostia consecrata 11.48.5 gli ha messo addosso, ché dell' arte teme 11.48.6 di Malagigi; e la prigion guardata 11.48.7 in modo avea, che non si può aiutare, 11.48.8 né con ingegni o spirti liberare. 11.49.1 Diceva Orlando: «Io per me son disposto 11.49.2 insieme con Astolfo ire a morire». 11.49.3 Disse Rinaldo: «Ed io. Facciàn pur tosto, 11.49.4 però che non è tempo da dormire». 11.49.5 Come il sol fu nell' occeàn nascosto, 11.49.6 subito l' arme si fecion guernire, 11.49.7 e Ricciardetto con seco menorno, 11.49.8 e cavalcâr la notte insino al giorno. 11.50.1 La mattina per tempo capitati 11.50.2 furon fuor delle porte di Parigi, 11.50.3 e non si sono a gnun manifestati, 11.50.4 ma stettonsi nascosi in San Dionigi; 11.50.5 e certi vïandanti son passati: 11.50.6 Orlando drieto mandò lor Terigi 11.50.7 a domandar se novelle sapiéno 11.50.8 di corte e quel che i paladin faciéno. 11.51.1 Fugli risposto: «Nïente sappiàno, 11.51.2 se non ch' egli è certo mormoramento 11.51.3 ch' un de' baroni impicca Carlo Mano 11.51.4 questa mattina per suo mancamento: 11.51.5 le forche qua su la strada veggiàno. 11.51.6 Altre novelle non sentimo drento». 11.51.7 Terigi presto ritornava al conte 11.51.8 e di Parigi le novelle ha conte. 11.52.1 Disse Rinaldo: «E' fa pur daddovero. 11.52.2 Ben debbe godere or quel traditore!». 11.52.3 Diceva Orlando: «E' fallerà il pensiero, 11.52.4 se tu mi segui, cugin, di buon core». 11.52.5 Disse Rinaldo: «Morir teco spero, 11.52.6 e 'l primo uccider Carlo imperadore, 11.52.7 prima ch' Astolfo, come Gano agogna, 11.52.8 vegga morir con tanta sua vergogna. 11.53.1 Io trarrò a Gano il cuor prima del petto 11.53.2 ch' i' sofferi veder mai tanto duolo. 11.53.3 Così la fede, Orlando, ti prometto: 11.53.4 io verrò teco in mezzo dello stuolo, 11.53.5 così sbandito, sanza alcun sospetto, 11.53.6 s' io vi dovessi morto restar solo». 11.53.7 E così insieme congiurati sono 11.53.8 di mettersi alla morte in abbandono. 11.54.1 E stanno alla veletta per vedere 11.54.2 qualunque uscissi fuor della cittade; 11.54.3 così Terigi, ch' era lo scudiere, 11.54.4 aveva gli occhi per tutte le strade; 11.54.5 ognuno in punto teneva il destriere, 11.54.6 ognun guardava come il brando rade. 11.54.7 Diceva Orlando a Terigi: «Sarrai 11.54.8 sul campanile, e cenno ci farai. 11.55.1 Ma fa che bene in ogni parte guardi, 11.55.2 acciò che error per nulla non pigliassi; 11.55.3 se tu vedessi apparire stendardi 11.55.4 o che alle forche nessun s' accostassi, 11.55.5 subito il di'; ché noi non fussin tardi, 11.55.6 che 'l manigoldo intanto lo 'mpiccassi. 11.55.7 Ma, a mio parer, sanza dimostrazione 11.55.8 s' ingegnerà mandarlo Ganellone». 11.56.1 Gan la mattina per tempo è levato 11.56.2 e ciò che fa di bisogno ordinava; 11.56.3 insino al manigoldo ha ritrovato; 11.56.4 non domandar come e' sollecitava. 11.56.5 I paladini, ognun molto ha pregato; 11.56.6 ma Carlo chi lo priega minacciava, 11.56.7 perch' ostinato era farlo morire; 11.56.8 tanto che pochi volean contraddire. 11.57.1 Avea molto pregato l' amirante 11.57.2 che con Erminïon si fe' cristiano: 11.57.3 questo era quel famoso Lïonfante 11.57.4 che prese Astolfo presso a Montalbano; 11.57.5 Meredïana pregava e Morgante; 11.57.6 ma tutto il lor pregare era alfin vano. 11.57.7 Gan da Pontieri in sulla sala è giunto, 11.57.8 dicendo a Carlo: «Ogni cosa è già in punto». 11.58.1 E taglia a chi pregava le parole, 11.58.2 dicendo: «O imperador, sanza giustizia 11.58.3 ogni città le barbe scuopre al sole; 11.58.4 per non punire i tristi e lor malizia, 11.58.5 vedi che Troia e Roma se ne duole, 11.58.6 e sanz' essa ogni regno precipizia: 11.58.7 la tua sentenzia debbe avere effetto, 11.58.8 e non mutar quel ch' una volta hai detto». 11.59.1 Carlo rispose: «Gan, sia tua tal cura: 11.59.2 fa che la giustizia abbi suo dovere: 11.59.3 quel che bisogna, a tutto ben procura». 11.59.4 Gan gli rispose: «E' fia fatto, imperiere; 11.59.5 di questo sta colla mente sicura. 11.59.6 S' Astolfo prima volessi vedere 11.59.7 ch' io il meni via, il trarrò di prigione 11.59.8 per isfogarti a tua consolazione». 11.60.1 Rispose Carlo: «Fatelo venire». 11.60.2 Astolfo innanzi a Carlo fu menato. 11.60.3 Carlo comincia iratamente a dire, 11.60.4 poi ch' a' suoi piè se gli fu inginocchiato: 11.60.5 «Come ha' tu avuto, Astolfo, tanto ardire 11.60.6 con quel ribaldo tristo scelerato 11.60.7 venire a corte e già circa a tre mesi 11.60.8 mettere in preda tutti i miei paesi? 11.61.1 Perch' io avevo Rinaldo sbandito, 11.61.2 quand' io pensai tu mi fussi fedele, 11.61.3 a Montalban con lui ti se' fuggito 11.61.4 e fatto un uom micidiale e crudele. 11.61.5 Del tuo peccato è tempo sia punito, 11.61.6 e dopo il dolce poi si gusta il fiele. 11.61.7 Della tua morte e di tue opre ladre 11.61.8 non me ne incresce, ma sol del tuo padre». 11.62.1 Otton fuor di Parigi doloroso 11.62.2 s' era fuggito, per non veder solo, 11.62.3 afflitto vecchio misero angoscioso, 11.62.4 morir sì tristamente il suo figliuolo. 11.62.5 Astolfo allor col viso lacrimoso 11.62.6 rispose con sospiri e con gran duolo, 11.62.7 e disse umilemente: «O imperadore, 11.62.8 io mi t' accuso e chiamo peccatore. 11.63.1 Io non posso negar che la Corona 11.63.2 non abbi offesa assai col mio cugino; 11.63.3 ma se per te mai cosa giusta o buona 11.63.4 ho fatto mentre io fui tuo paladino 11.63.5 per lunghi tempi, Carlo, or mi perdona 11.63.6 per quel Gesù che perdonò a Lungino, 11.63.7 pel padre mio, tuo servo e caro amico, 11.63.8 se mai piaciuto t' è pel tempo antico, 11.64.1 pel tuo caro nipote e degno conte, 11.64.2 per quel ch' io feci già teco in Ispagna, 11.64.3 s' io meritai mai nulla in Aspramonte, 11.64.4 per la corona tua famosa e magna. 11.64.5 E pur se morir debbo con tante onte, 11.64.6 quel traditor, ch' è pien d' ogni magagna 11.64.7 più ch' altro Giuda o che Sinon di Troia, 11.64.8 per le sue man non consentir ch' i' muoia». 11.65.1 Carlo diceva: «Questo a che t' importa?». 11.65.2 Gan da Pontier gli volse dar col guanto, 11.65.3 ma 'l duca Namo di ciò lo sconforta. 11.65.4 Astolfo fu da' Maganzesi intanto 11.65.5 preso e menato inverso della porta, 11.65.6 e tutto il popol ne facea gran pianto. 11.65.7 Uggier più volte fu tentato sciôrre 11.65.8 Astolfo e a Ganellon la vita tôrre; 11.66.1 ma poi di contrapporsi a Carlo teme 11.66.2 e non pensò che rïuscissi netto: 11.66.3 i Maganzesi son ristretti insieme, 11.66.4 perché de' paladini avean sospetto, 11.66.5 e d' ogni parte molta gente preme. 11.66.6 Quel traditor di Gan per più dispetto 11.66.7 come un ladrone Astolfo svergognava, 11.66.8 e 'l manigoldo pur sollecitava. 11.67.1 Avea pregato Namo e Salamone 11.67.2 lo imperador, che dovessi lasciarlo; 11.67.3 Avolio, Avino, Gualtier da Mulione 11.67.4 e Berlinghier si sforza di camparlo, 11.67.5 dicendo: «Abbi pietà del vecchio Ottone, 11.67.6 che tanto tempo t' ha servito, Carlo». 11.67.7 Tutta la corte per Astolfo priega, 11.67.8 ma Carlo a tutti questa grazia niega. 11.68.1 E finalmente a Gan fu consegnato 11.68.2 ché facci che far dée di sua persona. 11.68.3 Gan sopra un carro l' aveva legato 11.68.4 e 'n testa gli avea messa una corona 11.68.5 per traditore e 'l giubbon di broccato; 11.68.6 e gran romor per Parigi risuona; 11.68.7 ed un capresto d' oro gli avvolgea: 11.68.8 or questo è quel ch' ' Astolfo assai dolea. 11.69.1 Fe' per Parigi la cerca maggiore, 11.69.2 le trombe innanzi e stendardi e bandiere, 11.69.3 minacciando e chiamandol rubatore. 11.69.4 Ma nondimen del signor del quartiere 11.69.5 e di Rinaldo temea il traditore 11.69.6 e tuttavolta gliel parea vedere. 11.69.7 Terigi presto del fatto s' accorse: 11.69.8 al conte tosto ed a Rinaldo corse. 11.70.1 Orlando sopra Vegliantin s' assetta; 11.70.2 Rinaldo sta, come suole il falcone 11.70.3 uscito del cappello, alla veletta. 11.70.4 Ma per aver più salvo Ganellone, 11.70.5 che si scostassi di Parigi aspetta, 11.70.6 tanto che fussi giunto allo scaglione, 11.70.7 dicendo: «Quanto più si scosta Gano, 11.70.8 tanto più salvo poi l' aremo in mano. 11.71.1 Lasciàgli pure alle forche venire, 11.71.2 ché se noi gli assaltassin così tosto, 11.71.3 nella città potrebbon rifuggire: 11.71.4 io vo' che 'l traditor tarpian discosto. 11.71.5 Astolfo in modo alcun non dée morire: 11.71.6 noi giugneren più a tempo che l' arrosto. 11.71.7 Forse verrà a veder lo imperadore, 11.71.8 e vo' colle mie man cavargli il cuore. 11.72.1 I Maganzesi so che sgomberranno, 11.72.2 come vedranno scoperto il quartieri 11.72.3 o 'l lïone sbarrato mireranno». 11.72.4 Così si furno accordati i guerrieri 11.72.5 e come i can cogli orecchi alti stanno 11.72.6 per assaltare o lepretta o cervieri. 11.72.7 Gan traditor con molto oltraggio e pena 11.72.8 Astolfo inverso le forche ne mena. 11.73.1 Non potre' dire il signor d' Inghilterra 11.73.2 come schernito sia da quella gente: 11.73.3 per non vederla gli occhi spesso serra, 11.73.4 e come agnello ne venìa paziente, 11.73.5 già tanto tempo in corte stato e in guerra 11.73.6 sì degno paladin tanto eccellente, 11.73.7 morti a' suoi dì con le sue proprie mani, 11.73.8 per salvar Carlo, migliaia di pagani. 11.74.1 O Carlo imperador, quanto se' ingrato! 11.74.2 Non sai tu quanto è in odio a Dio tal pecca? 11.74.3 Non hai tu letto che per tal peccato 11.74.4 la fonte di pietà su in Ciel si secca? 11.74.5 E con superbia insieme mescolato, 11.74.6 caduto è d' Aquilon nella Giudecca 11.74.7 con tutti i suoi saguaci già Lucifero, 11.74.8 tanto è questo peccato in sé pestifero. 11.75.1 Tu hai sentito pure che Scipione, 11.75.2 sendo di senno vecchio e giovan d' anni, 11.75.3 ' Anibal tolse ogni reputazione, 11.75.4 di che tanta acquistata avea già a Canni; 11.75.5 furno i Romani ingrati alla ragione, 11.75.6 onde seguiron poi sì lunghi affanni. 11.75.7 Questo peccato par che 'l mondo adugge, 11.75.8 e finalmente ogni regno distrugge; 11.76.1 questo peccato scaccia la giustizia, 11.76.2 sanza la qual non può durare il mondo; 11.76.3 questo peccato è pien d' ogni malizia, 11.76.4 questo peccato a gnun non è secondo; 11.76.5 Gerusalem per questo precipizia; 11.76.6 questo peccato ha messo Giuda al fondo; 11.76.7 questo peccato tanto grida in Cielo, 11.76.8 che ci perturba ogni sua grazia e zelo. 11.77.1 Quel c' ha fatto per te già il paladino 11.77.2 credo tu 'l sappi, ma saper nol vuoi, 11.77.3 mentre che fu tra 'l popol saracino; 11.77.4 so che fra gli altri assai lodar quel suòi. 11.77.5 Non ti ricordi, figliuol di Pipino, 11.77.6 de' benifìci; e pentér non val poi. 11.77.7 E pur se fatta ha cosa che sia atroce, 11.77.8 del tuo Gesù ricòrdati già in croce, 11.78.1 che perdonava al popol che l' offende, 11.78.2 raccomandàlo al Padre umilemente. 11.78.3 Astolfo in colpa ginocchion si rende 11.78.4 e chiede a te perdon pietosamente; 11.78.5 e pur se 'l giusto priego non t' accende, 11.78.6 di grazia ti domanda finalmente 11.78.7 che per le man di Gan non vuol morire, 11.78.8 e tu nol vuoi di questo anco essaudire. 11.79.1 E non sai ben che se quel guida a morte 11.79.2 Astolfo, così guida te, Carlone, 11.79.3 e' tuoi baroni e tutta la tua corte? 11.79.4 Fa che tu creda sempre a Ganellone: 11.79.5 ben ti conducerà fuor delle porte, 11.79.6 quando fia tempo, ancor questo fellone. 11.79.7 E pel consiglio suo ti fai crudele 11.79.8 e 'ngrato contro al servo tuo fedele? 11.80.1 Astolfo poi che si vide condotto 11.80.2 presso alle forche e gnun per sé non vede, 11.80.3 un pianto cominciò molto dirotto 11.80.4 quando in sul primo scaglion pose il piede 11.80.5 e' Maganzesi il sospignean di sotto; 11.80.6 e disse: «O Dio, è spenta ogni merzede? 11.80.7 Non è pietà nel mondo più né in Cielo, 11.80.8 pe' tuoi fedel che credon nel Vangelo? 11.81.1 S' io ho tre mesi assaltata la strada 11.81.2 per disperato e pien di giusto sdegno, 11.81.3 consenti tu ch' a le forche ne vada? 11.81.4 Io ho tanto assaltato il pagan regno 11.81.5 e tanti per te morti colla spada, 11.81.6 che di misericordia ero pur degno. 11.81.7 Come un ladron m' impicca Carlo Mano, 11.81.8 e per più ingiuria il manigoldo è Gano, 11.82.1 quel che t' ha fatti mille tradimenti 11.82.2 e mille e mille e mille alla sua vita, 11.82.3 e tanti ha già de' tuoi cristiani spenti! 11.82.4 Ove è la tua pietà, s' ella è infinita? 11.82.5 A questo modo ch' io muoia or consenti? 11.82.6 Per la tua deïtà, ch' è in Ciel gradita, 11.82.7 per la tua santa e glorïosa Madre, 11.82.8 abbi pietà del mio misero padre; 11.83.1 se per me stesso non l' ho meritato, 11.83.2 per le sue opre degne e giuste e sante. 11.83.3 Ma tu sai pur se pel tempo passato 11.83.4 combattuto ho nel Ponente e Levante; 11.83.5 tal ch' io pensavo d' avere acquistato 11.83.6 altra corona o carro trïunfante, 11.83.7 altri stendardi di più gloria e fama: 11.83.8 or col capresto Gan ladron mi chiama». 11.84.1 Avino era venuto per vedere 11.84.2 quel che veder non vorrebbe per certo; 11.84.3 ma 'l grande amor lo sforza e più tenere 11.84.4 non poté il pianto, tanto avea sofferto. 11.84.5 Guardava Astolfo contro a suo volere 11.84.6 le forche in alto, e 'l camin gli pare erto, 11.84.7 e quanto può di non salir s' attiene, 11.84.8 ché di morir non s' accordava bene. 11.85.1 I Maganzesi gli sputan nel viso, 11.85.2 come facìeno a Cristo i farisei. 11.85.3 Diceva alcun con iscorno e con riso: 11.85.4 «Or fìen puniti i tuoi peccati rei. 11.85.5 Ricòrdati di me su in Paradiso!». 11.85.6 Altri dicea, come ferno i Giudei, 11.85.7 mentre ch' ognun quanto può lo percuote: 11.85.8 «Dimmi, s' tu sai, chi ti batte le gote! 11.86.1 Tu 'l doverresti saper, paladino, 11.86.2 tu doverresti conoscer la mano, 11.86.3 se se' profeta, astrolago o indovino. 11.86.4 Che guati tu? del sanator romano? 11.86.5 o che ti scampi il figliuol di Pipino? 11.86.6 Ch' aspetti tu? il signor di Montalbano? 11.86.7 E' verrà a te quando a' Giudei Messia; 11.86.8 ed anco Cristo chiamò in croce Elia». 11.87.1 Era a vedere Astolfo cosa oscura; 11.87.2 e 'l manigoldo tirava il capresto, 11.87.3 dicendo: «Vien su con buona ventura»; 11.87.4 e 'l traditor di Gan dicea: «Fa presto». 11.87.5 Astolfo avea della morte paura, 11.87.6 perch' ha diciotto in volta e vanne il resto; 11.87.7 e tuttavia di soccorso pur guarda, 11.87.8 e quanto più potea di salir tarda. 11.88.1 Con le ginocchia alla scala s' appicca 11.88.2 e 'l manigoldo gli dava una scossa; 11.88.3 chi qualche dardo alle gambe gli ficca, 11.88.4 ma sosteneva in pace ogni percossa: 11.88.5 malvolentier dagli scaglion si spicca 11.88.6 e cigolar si sentian prima l' ossa: 11.88.7 pur per la forza di sopra e di sotto 11.88.8 sopra il terzo scaglion l' avean condotto. 11.89.1 Diceva Gano: «Alla barba l' arai; 11.89.2 tira pur su, ribaldo traditore, 11.89.3 che più le strade non assalterai». 11.89.4 Or questo è quel ch' ' Astolfo passa il cuore, 11.89.5 e dicea: «Traditor non fu' già mai; 11.89.6 ma tu se' traditore e rubatore, 11.89.7 e quel che tu fai a me, meriti tue: 11.89.8 ma contro al mio distin non posso piùe. 11.90.1 Io non posso pensar come il terreno 11.90.2 non s' apre e non iscura sole e luna, 11.90.3 poi ch' a te, traditor d' inganni pieno, 11.90.4 m' ha dato così in preda la fortuna. 11.90.5 O crocifisso giusto Nazareno, 11.90.6 non è nel Ciel per me difesa alcuna? 11.90.7 Questa è pur cosa dispietata e cruda, 11.90.8 da poi che traditor mi chiama Giuda. 11.91.1 Dove è la tua giustizia, Signor mio? 11.91.2 Non è per me persona che risponda? 11.91.3 Che questo traditor malvagio e rio 11.91.4 m' uccida e con parole mi confonda, 11.91.5 nol sofferir, benigno etterno Iddio!». 11.91.6 E tanto sdegno nel suo core abbonda, 11.91.7 che con quel poco vigor che gli resta 11.91.8 si percotea nella scala la testa. 11.92.1 Ma il manigoldo tuttavia punzecchia 11.92.2 ed or col piede or col pugno lo picchia 11.92.3 quando nel volto e quando nell' orecchia; 11.92.4 e pure Astolfo meschin si rannicchia 11.92.5 e tuttavolta co' pie' s' apparecchia 11.92.6 di rappiccarsi a scaglione o cavicchia: 11.92.7 ma con le grida la gente l' assorda 11.92.8 e 'l manigoldo scoteva la corda, 11.93.1 alcuna volta la gola gli serra: 11.93.2 non domandar s' egli era un nuovo Giobbe. 11.93.3 Un tratto gli occhi abbassava alla terra, 11.93.4 ed Avin suo fra la gente conobbe: 11.93.5 or questo è quel dolor che 'l cor gli afferra; 11.93.6 fece le spalle pel gran duol più gobbe; 11.93.7 raccomandògli sopra ogn' altra cosa 11.93.8 il vecchio padre e la sua cara sposa. 11.94.1 Talvolta gli occhi volgeva a Parigi, 11.94.2 quando guardava inverso Montalbano: 11.94.3 non sa che 'l suo soccorso è in San Dionigi. 11.94.4 Diceva allor, per dileggiarlo, Gano: 11.94.5 «Che guardi tu? se ne vien Malagigi? 11.94.6 E' fia qui tosto, egli è poco lontano 11.94.7 (perché con meco, Astolfo, così adiriti?), 11.94.8 che liberar ti farà da' suoi spiriti». 11.95.1 E nondimeno un' ostia, com' io dissi, 11.95.2 gli avea cucito di sua mano addosso 11.95.3 nella prigion, ché caso non venissi 11.95.4 che Malagigi l' avessi riscosso, 11.95.5 acciò che in ogni modo quel morissi. 11.95.6 Diceva Astolfo: «Omè! che più non posso 11.95.7 risponder, traditor, quel che tu meriti 11.95.8 de' tuoi peccati pe' tempi preteriti!». 11.96.1 Gan lo schernia di nuovo con parole 11.96.2 e pure al manigoldo raccennava 11.96.3 e 'l manigoldo tira come suole. 11.96.4 Astolfo a poco a poco s' avvïava, 11.96.5 però che solo un tratto morir vuole, 11.96.6 e così finalmente s' accordava. 11.96.7 E' Maganzesi pur gridan dintorno 11.96.8 e sbuffan beffe con ischerno e scorno. 11.97.1 Orlando in questo Astolfo in alto vide, 11.97.2 e disse: «Tempo non è da star saldo: 11.97.3 non senti tu quel tumulto e le gride?»; 11.97.4 e 'l simigliante diceva Rinaldo: 11.97.5 «Io veggo il manigoldo che l' uccide 11.97.6 e già il capresto gli acconcia, il ribaldo: 11.97.7 non aspettian che gli facci più ingiuria». 11.97.8 Così di San Dionigi escono a furia. 11.98.1 Rinaldo punse in su' fianchi Baiardo, 11.98.2 che non si vide mai saltar cervietto 11.98.3 ch' a petto a questo non paressi tardo; 11.98.4 così faceva Orlando e Ricciardetto; 11.98.5 non è lïon sì presto o lïopardo; 11.98.6 Terigi drieto seguiva, il valletto. 11.98.7 Rinaldo scuopre il lïone sbarrato, 11.98.8 Orlando il segno ha del quartier mostrato. 11.99.1 Astolfo pure ancora stava attento 11.99.2 come chi spera insino a morte aiuto: 11.99.3 vide costor che venien come un vento, 11.99.4 non come strale o come uccel pennuto: 11.99.5 furno in un tratto i lupi tra l' armento, 11.99.6 che quasi ignun non se n' era avveduto; 11.99.7 ma poi ch' Orlando e Rinaldo conosce, 11.99.8 fu posto fine a tutte le sue angosce. 11.100.1 E' parén proprio un nugol di polvere; 11.100.2 giunse in un tratto la folgore e 'l tuono. 11.100.3 Il manigoldo si facea già assolvere 11.100.4 al duca Astolfo e chiedeva perdono, 11.100.5 ché gli volea poi dar l' ultimo asciolvere; 11.100.6 e messo avea la vita in abbandono 11.100.7 e domandava di grazia in che modo 11.100.8 far gli dovessi, che corressi, il nodo. 11.101.1 Guarda fortuna in quanta estremitate 11.101.2 condotto avea col capresto alla gola 11.101.3 il paladin di tanta dignitate, 11.101.4 che non facea di morir più parola! 11.101.5 Avea mille vittorie già acquistate, 11.101.6 e domandava ora una cosa sola: 11.101.7 che 'l manigoldo acconciassi il capresto 11.101.8 per modo che corressi il nodo presto. 11.102.1 Giunto che fu tra' Maganzesi Orlando, 11.102.2 «Ah, popol traditor!», gridava forte; 11.102.3 e misse mano a Durlindana, il brando. 11.102.4 Rinaldo grida: «Alla morte, alla morte!», 11.102.5 e poi si venne alle forche accostando; 11.102.6 trasse Frusberta e legami e ritorte 11.102.7 tagliò in un colpo, e le forche e la scala 11.102.8 ed ogni cosa in un tratto giù cala. 11.103.1 Mai non si vide un colpo come quello, 11.103.2 tanto fu l' ira, la rabbia e 'l furore. 11.103.3 Astolfo cadde leggier come uccello, 11.103.4 tanto in un tratto riprese vigore. 11.103.5 Il manigoldo si spezza il cervello; 11.103.6 Gan da Pontier fuggiva, il traditore; 11.103.7 Avin, che 'l vide, drieto a lui cavalca; 11.103.8 ma non potieno uscir fuor della calca. 11.104.1 Orlando è in mezzo di que' di Maganza 11.104.2 e mena colpi di drieto e davante 11.104.3 con Durlindana e faceva l' usanza: 11.104.4 quanti ne giugne, al Ciel volgon le piante. 11.104.5 E Ricciardetto, c' ha molta possanza, 11.104.6 molti n' uccide col brando pesante. 11.104.7 Come un leon famelico ognun rugge: 11.104.8 Gan da Pontier verso Parigi fugge. 11.105.1 E' si vedea in un tratto sbaragliare 11.105.2 i Maganzesi e fuggir per paura 11.105.3 chi qua, chi là, per che possa scampare. 11.105.4 Trasse Rinaldo un colpo per ventura; 11.105.5 un Maganzese morto fe' cascare, 11.105.6 e tolsegli il cavallo e l' armadura 11.105.7 e rassettava Astolfo d' Inghilterra; 11.105.8 e corron tutti poi verso la terra. 11.106.1 E' Maganzesi innanzi si cacciavano 11.106.2 come il lupo suol far le pecorelle, 11.106.3 e questo e quello e quell' altro tagliavano 11.106.4 e braccia in terra balzano e cervelle; 11.106.5 fino alle mura i colpi raddoppiavano, 11.106.6 cacciando i brandi giù per le mascelle; 11.106.7 altri avén féssi insin sopra gli arcioni, 11.106.8 chi insino al petto e chi insino a' talloni. 11.107.1 Astolfo, poi ch' a caval fu montato, 11.107.2 tra' Maganzesi a gran furor si getta, 11.107.3 gridando: «Popol crudo e rinnegato, 11.107.4 gente bestiale, iniqua e maladetta, 11.107.5 io ti gastigherò del tuo peccato!»; 11.107.6 e con la spada facea gran vendetta 11.107.7 e molta avea di quella turba morta, 11.107.8 prima ch' entrati sien drento alla porta. 11.108.1 Ricciardetto era a Ganellone a' fianchi 11.108.2 e col caval lo seguia a tutta briglia: 11.108.3 dunque convien che 'l traditore arranchi, 11.108.4 perché da lui non levava le ciglia. 11.108.5 Giunti in Parigi i baron degni e franchi, 11.108.6 subito tutto il popol si scompiglia; 11.108.7 e come e' fu saputo tal novella, 11.108.8 subito i paladin montorno in sella. 11.109.1 Carlo, sentendo come il fatto era ito, 11.109.2 e che in Parigi era Rinaldo e 'l conte 11.109.3 e come Astolfo è di sua man fuggito, 11.109.4 con ambo man si percosse la fronte: 11.109.5 esser gli parve a sì tristo partito, 11.109.6 che si fuggì per non veder sue onte, 11.109.7 e la corona si trasse di testa 11.109.8 e 'ndosso si stracciò la real vesta. 11.110.1 Era Rinaldo già in piazza venuto 11.110.2 col conte Orlando, e sollevato tutto 11.110.3 il popol, che d' Astolfo gli è incresciuto 11.110.4 e disïava Carlo sia distrutto, 11.110.5 da poi ch' a Gano avea sempre creduto 11.110.6 e seguitato n' era amaro frutto. 11.110.7 Preso la piazza, al palagio corrieno, 11.110.8 là dove Carlo Man pigliar credieno. 11.111.1 Dicea Rinaldo: «Ignun non mi dia impaccio! 11.111.2 Io intendo a Carlo far quel ch' è dovere. 11.111.3 Come vedete ch' io le man gli caccio 11.111.4 addosso, ognun da parte stia a vedere. 11.111.5 La prima cosa, il vo' pigliar pel braccio 11.111.6 e levarlo di sedia da sedere, 11.111.7 poi la corona di testa cavargli 11.111.8 e tutto il capo e la barba pelargli, 11.112.1 e mettergli una mitera a bendoni 11.112.2 e 'n sul carro d' Astolfo farlo andare 11.112.3 per tutta la città come i ladroni, 11.112.4 e farlo tanto a Gano scorreggiare, 11.112.5 che sia segnato dal capo a' talloni; 11.112.6 e l' uno e l' altro poi fare squartare, 11.112.7 ribaldo vecchio, rimbambito e pazzo!». 11.112.8 Così con gran furor corse al palazzo. 11.113.1 Carlo la sala aveva sgomberata, 11.113.2 perché e' conosce Rinaldo assai bene. 11.113.3 Vide Rinaldo la sedia votata; 11.113.4 subito fuor del palazzo ne viene 11.113.5 e per Parigi fece la cercata, 11.113.6 e minacciava che chi Carlo tiene 11.113.7 nascoso o sa dove e' si sia fuggito, 11.113.8 gliel manifesti: se non, fia punito. 11.114.1 Carlo a casa d' Orlando per paura 11.114.2 s' era fuggito, inteso la novella 11.114.3 come Rinaldo drento era alle mura; 11.114.4 e nascoso l' avea Alda la bella, 11.114.5 che 'l dì venuta v' era per ventura; 11.114.6 e triema tuttavia questa donzella: 11.114.7 che non vi corra il popol a furore 11.114.8 e che sia morto il vecchio imperadore. 11.115.1 Gan si fuggiva innanzi a Ricciardetto; 11.115.2 ma poi che più fuggir non può il fellone 11.115.3 e già Rinaldo si vedeva appetto, 11.115.4 al conte Orlando si détte prigione. 11.115.5 E 'l conte Orlando rispose: «Io t' accetto 11.115.6 per far di te quel che vorrà ragione». 11.115.7 Diceva Gano: «Io mi ti raccomando 11.115.8 che tu mi salvi almen la vita, Orlando». 11.116.1 Come e' fu preso il traditor ribaldo, 11.116.2 ognun gridava: «Fagli quel che merta!». 11.116.3 Non si potea rattemperar Rinaldo, 11.116.4 che lo voleva straziar con Frusberta, 11.116.5 e come il veltro non istava saldo 11.116.6 quando la lepre ha veduta scoperta. 11.116.7 Diceva Orlando: «Aspetta d' aver Carlo, 11.116.8 ch' io vo' in sul carro con esso mandarlo». 11.117.1 Per tutta la città tutto quel giorno 11.117.2 cercato fu di Carlo; e finalmente, 11.117.3 non si trovando, al palagio n' andorno; 11.117.4 e 'l conte Orlando è in suo luogotenente. 11.117.5 Alda la bella col suo viso adorno 11.117.6 la notte se n' andò celatamente, 11.117.7 ed ogni cosa diceva al suo sposo, 11.117.8 com' ella avea lo 'mperador nascoso. 11.118.1 Orlando disse: «Fa che tu lo tenga 11.118.2 celato tanto che passi il furore, 11.118.3 e fa che in modo nessun non avvenga 11.118.4 che nulla manchi al nostro imperadore, 11.118.5 acciò che ignun disagio non sostenga, 11.118.6 ch' egli è pur vecchio, e mio padre e signore»; 11.118.7 così diceva e fa che sia segreto. 11.118.8 Vedi s' Orlando nostro era discreto! 11.119.1 E' gl' increscea di Carlo quanto puote, 11.119.2 e di Rinaldo dubitava forte, 11.119.3 e per pietà ne bagnava le gote, 11.119.4 che non gli dessi alla fine la morte, 11.119.5 perch' era vecchio, e lui pur suo nipote, 11.119.6 e sa che guasta sarebbe la corte. 11.119.7 Così furno alcun giorno dimorati, 11.119.8 e' Maganzesi morti e chi scacciati. 11.120.1 Rinaldo pure Orlando ritoccava 11.120.2 che si dovessi con ogni supplicio 11.120.3 uccider Gan, ché così meritava, 11.120.4 e che dovessi a lui dar questo uficio. 11.120.5 Astolfo d' altra parte il domandava 11.120.6 di grazia, in luogo di gran benificio, 11.120.7 ché di sue ingiurie far volea vendetta. 11.120.8 Orlando rispondea che Carlo aspetta 11.121.1 e che farebbe sì crudel giustizia 11.121.2 di lor, ch' ognun ne sarebbe contento. 11.121.3 Gan nel suo core avea molta tristizia 11.121.4 e dubitava di molto tormento, 11.121.5 come colui ch' è pien d' assai malizia. 11.121.6 Orlando, ch' era savio a compimento 11.121.7 e di Rinaldo conoscea l' omore, 11.121.8 lasciava pur raffreddarlo nel core. 11.122.1 Dopo alcun giorno, quando tempo fue, 11.122.2 gli cominciò, così parlando, a dire: 11.122.3 «Di Carlo, omai, dimmi, che credi tue? 11.122.4 Per disperato dovette morire; 11.122.5 ucciso si sarà colle man sue; 11.122.6 fuor di Parigi non si vide uscire. 11.122.7 E quel che più mi dà perturbazione, 11.122.8 è che stanotte il vidi in visïone. 11.123.1 E' mi pareva a vederlo nel volto 11.123.2 che fussi tutto afflitto e doloroso, 11.123.3 di quel color ch' è l' uom quando è sepolto, 11.123.4 la barba e 'l petto tutto sanguinoso 11.123.5 e tutto il capo arruffato e ravvolto; 11.123.6 e con un atto molto disdegnoso 11.123.7 mi guardassi nel viso a mano a mano 11.123.8 un crucifisso ch' egli aveva in mano, 11.124.1 dond' io n' ho tutto questo giorno pianto; 11.124.2 che, come desto fu', disparì via; 11.124.3 ed io temendo mi levai, e 'ntanto 11.124.4 feci priego alla Vergine Maria, 11.124.5 al Padre, al Figlio, allo Spirito santo, 11.124.6 che 'nterpetrar dovessi quel che sia; 11.124.7 e parmi aver nella mente compreso 11.124.8 che Carlo è morto e Cristo abbiamo offeso. 11.125.1 Non si dovea però volerlo morto, 11.125.2 però che pur tenuta ha la corona 11.125.3 già tanto tempo, e pur si vede scorto 11.125.4 quanto Iddio amassi la sua stirpe buona, 11.125.5 ché dal Ciel lo stendardo gli fu pòrto, 11.125.6 che non fu dato al mondo mai a persona. 11.125.7 Temo ch' offeso non abbiam Gesùe, 11.125.8 pe' suoi gran merti e per le sue virtùe. 11.126.1 E credo che sarebbe utile ancora 11.126.2 che si mettessi per Parigi un bando, 11.126.3 che chi sapessi ove Carlo dimora, 11.126.4 o vivo o morto, lo venga insegnando; 11.126.5 e come giusto imperador s' onora, 11.126.6 che si venissi il sepulcro ordinando; 11.126.7 però che 'l Ciel, se ha conceputo sdegno 11.126.8 della sua morte, mosterrà gran segno». 11.127.1 Quando Rinaldo le parole intende, 11.127.2 subitamente nel volto cambiossi, 11.127.3 e di tal caso sé molto riprende, 11.127.4 dicendo: «Io non pensai che così fossi». 11.127.5 E nel suo cor tanta pietà s' accende, 11.127.6 che gli occhi già son lacrimosi e rossi; 11.127.7 e disse: «Orlando, quel che detto m' hai 11.127.8 mi pesa troppo, e dolgomene assai: 11.128.1 ma non credetti già che tanto male 11.128.2 di questo caso seguitar dovessi; 11.128.3 ma dopo il fatto il pentér poi non vale. 11.128.4 A me par verisimil s' uccidessi, 11.128.5 perché pur sendo di stirpe reale, 11.128.6 arà voluto uccidersi lui stessi 11.128.7 più tosto ch' altri vi ponessi mano, 11.128.8 come d' Anibal sai che letto abbiàno. 11.129.1 Mandisi il bando, al mio parere, e tosto, 11.129.2 ché lo riveli sanza alcun sospetto 11.129.3 chi l' ha tenuto o tenessi nascosto; 11.129.4 però che di dolor mi s' apre il petto 11.129.5 e d' onorarlo, per Dio, son disposto, 11.129.6 siccome imperador magno e perfetto; 11.129.7 e sempre piagnerò questo peccato, 11.129.8 e vo' al Sepulcro andar, come è trovato. 11.130.1 E dico ch' a voler bene onorallo 11.130.2 e' si raguni tutto il concestoro, 11.130.3 e che si facci subito scultallo, 11.130.4 non di marmo o di bronzo, anzi sia d' oro, 11.130.5 con la corona sopra un gran cavallo, 11.130.6 come ferno i Roman d' alcun di loro, 11.130.7 e lettere scolpite etterne e salde 11.130.8 della sua gloria e fama e pregio e lalde, 11.131.1 e come il Ciel già mandassi il vessillo, 11.131.2 ch' è stato in terra assai più avventurato 11.131.3 che quel ch' a Roma riportò Cammillo 11.131.4 allor che 'l Campidoglio era occupato». 11.131.5 Orlando, come savio, alquanto udillo; 11.131.6 poi prestamente il bando ebbe ordinato. 11.131.7 E come e' fu per tutto andato il bando, 11.131.8 Alda la bella ne venne a Orlando, 11.132.1 e disse come Carlo in casa avea 11.132.2 e come per dolor non parea vivo. 11.132.3 Tutta la corte gran festa facea, 11.132.4 perché credean di vita fussi privo; 11.132.5 Rinaldo molto lieto si vedea, 11.132.6 accusando sé misero e cattivo; 11.132.7 e fu menato a corte a grande onore 11.132.8 e posto in sedia Carlo imperadore. 11.133.1 Astolfo chiese a Carlo perdonanza, 11.133.2 e Carlo perdonanza chiese a lui 11.133.3 ed accusava il conte di Maganza, 11.133.4 dicendo: «Consigliato da quel fui». 11.133.5 Quivi alcun giorno si fece l' usanza: 11.133.6 ognun si scolpa de' peccati sui, 11.133.7 come nel dir seguente dirò in versi. 11.133.8 Guardivi il Ciel da tutti i casi avversi.
CANTO XII
12.1.1 O fonte di pietà, fonte di grazia, 12.1.2 madre de' peccator, nostra avvocata, 12.1.3 di cui la mente mia mai non si sazia 12.1.4 di dir quanto tu sia nel Ciel beata, 12.1.5 tu redemisti nostra contumazia 12.1.6 dal dì che 'n terra fusti annunzïata; 12.1.7 non mi lasciare, o Virgine di gloria, 12.1.8 tanto ch' i' possi ordinar questa storia. 12.2.1 Troppo sarebbe lungo a dire in rima 12.2.2 di tanta gente appunto le parole, 12.2.3 e d' ogni cosa far non si dé' stima. 12.2.4 Rinaldo il traditor Gan morto vuole, 12.2.5 Carlo di grazia l' avea chiesto prima, 12.2.6 della qual cosa il popol se ne duole: 12.2.7 pur lo lasciâr con questa condizione, 12.2.8 che mai più in corte non istia il fellone. 12.3.1 Rinaldo mal contento si ritorna 12.3.2 a Montalban con Ricciardetto insieme. 12.3.3 Ma 'l traditor di Gan, che non soggiorna 12.3.4 e sempre inganni della mente preme, 12.3.5 cominciò presto a ritrar fuor le corna: 12.3.6 perché Rinaldo non v' era, non teme; 12.3.7 e Carlo l' ha salvato dalla morte 12.3.8 ed or cacciare nol sapea di corte. 12.4.1 E cominciò di nuovo a far pensiero 12.4.2 che Carlo gli credessi al modo antico, 12.4.3 per distruggere alfin tutto il suo impero; 12.4.4 e Carlo ritornato è già suo amico 12.4.5 e ciò ch' è bianco gli pareva nero. 12.4.6 Diceva Gano: «Intendi com' io dico. 12.4.7 Se viver non vuoi sempre con vergogna, 12.4.8 Rinaldo al tutto spegner ti bisogna». 12.5.1 Carlo diceva: «Alla fine io la lodo, 12.5.2 perché tu vedi ben quel che m' ha fatto; 12.5.3 ma non ci veggo ancor la via né 'l modo 12.5.4 e molte cose con meco combatto». 12.5.5 Diceva il traditor pien d' ogni frodo: 12.5.6 «Io credo satisfarti a questo tratto. 12.5.7 Come scacciato da te, me n' andròe 12.5.8 a Montalbano e secreto staròe; 12.6.1 e manderotti lettere poi scritte, 12.6.2 che parrà che sien fatte nella Mecche; 12.6.3 dirò che le mie gente sieno afflitte 12.6.4 e che punite omai sien tante pecche 12.6.5 e molte altre parole a te diritte: 12.6.6 ch' io vo' tornare a dir salamalecche, 12.6.7 peccavi Domine, miserere mei, 12.6.8 delle mie colpe e de' processi miei. 12.7.1 Tu mosterrai le lettere palese: 12.7.2 Rinaldo crederrà ch' io sia lontano 12.7.3 e ch' io non torni più in questo paese. 12.7.4 Un dì ch' egli esca fuor di Montalbano, 12.7.5 subito insieme saremo alle prese 12.7.6 e so ch' io l' uccidrò con la mia mano; 12.7.7 e come morto fia, sai che 'l tuo regno 12.7.8 sicuro è poi, e tu, imperator degno». 12.8.1 A Carlo piacque alfin questo consiglio 12.8.2 e fece vista Gan da sé scacciare. 12.8.3 Gan détte presto a' suoi arnesi di piglio: 12.8.4 prima fingeva sé raccomandare; 12.8.5 Carlo mostrava con turbato ciglio 12.8.6 che 'n corte più non lo vuol raccettare 12.8.7 e che cercando sua ventura vada 12.8.8 e ritrovassi subito la strada. 12.9.1 Partissi il traditor celatamente 12.9.2 e presso a Montalban fece un agguato, 12.9.3 e scrisse a Carlo come la sua gente 12.9.4 e lui in Pagania era arrivato, 12.9.5 e mostrava pregare umilemente 12.9.6 che perdonar gli debba ogni peccato; 12.9.7 e Carlo avea le lettere mandate 12.9.8 a Montalbano e molto palesate. 12.10.1 Rinaldo s' era un giorno dipartito 12.10.2 per passar tempo con un suo falcone, 12.10.3 e Ruïnatto con lui era gito 12.10.4 verso Agrismonte a lor consolazione; 12.10.5 e Ricciardetto un dì ne giva al lito 12.10.6 del fiume ove nascoso è Ganellone 12.10.7 in una valle ove è certo boschetto 12.10.8 presso a quel fiume appiè d' un bel poggetto. 12.11.1 E mentre in qua e 'n là s' andava a spasso, 12.11.2 Gan si pensò che Rinaldo quel sia: 12.11.3 uscì del bosco con molto fracasso 12.11.4 ed assaltollo con sua compagnia, 12.11.5 tanto che preso rimaneva al passo. 12.11.6 La notte inverso Parigi ne gìa 12.11.7 e détte Ricciardetto preso a Carlo, 12.11.8 ed ordinorno presto d' impiccarlo. 12.12.1 Orlando, poi che questo fatto ha inteso, 12.12.2 molto pregato avea lo 'mperadore 12.12.3 che non guardassi d' aver costui preso 12.12.4 e non gli facci oltraggio o disonore. 12.12.5 Carlo rispose, di grande ira acceso: 12.12.6 «Io vo' impiccarlo come traditore, 12.12.7 perché d' Astolfo impedì la giustizia, 12.12.8 con esso insieme, per la sua nequizia». 12.13.1 Diceva Orlando: «E' non è ancora spento 12.13.2 il fuoco, Carlo, ch' arder potre' ancora. 12.13.3 Se tu l' uccidi io non sarò contento; 12.13.4 Rinaldo ne verrà sanza dimora. 12.13.5 Vedi che Gan già fatto ha tradimento, 12.13.6 e sanza lui non puoi vivere un' ora». 12.13.7 Carlo dicea: «Traditor non fu mai, 12.13.8 e ciò c' ha fatto è perché m' ama assai. 12.14.1 E tu te l' hai recato in sulle corna, 12.14.2 tu e Rinaldo, perch' egli è fedele 12.14.3 e dì né notte già mai non soggiorna 12.14.4 di spegner chi contro a me fu crudele». 12.14.5 Partissi Orlando, e, stato un poco, torna, 12.14.6 e disse: «Io giuro alle sante Vangele 12.14.7 che se tu uccidi, Carlo, il mio cugino, 12.14.8 io ti farò della vita tapino»; 12.15.1 e trasse fuor la spada Durlindana 12.15.2 e colla punta una croce fe' in terra 12.15.3 e 'n su la croce poneva la mana 12.15.4 e dipartissi ed uscì della terra. 12.15.5 Ma la regina savia Gallerana 12.15.6 pregava insieme col sir d' Inghilterra 12.15.7 e 'l duca Namo, Ulivieri e 'l Danese, 12.15.8 ch' almen la morte gl' indugiassi un mese. 12.16.1 Carlo le forche in sul fiume di Sena 12.16.2 fece ordinare e ciò che fa mestiero. 12.16.3 Gan traditor grande allegrezza mena, 12.16.4 perché e' pensò rïuscissi il pensiero. 12.16.5 Tutta la corte di sdegno era piena. 12.16.6 Rinaldo e Ruïnatto, il suo scudiero, 12.16.7 intanto a Montalbano era tornato, 12.16.8 e Ricciardetto suo non v' ha trovato; 12.17.1 e scrisse ' Astolfo come il caso stava, 12.17.2 che l' avvisassi e stessi proveduto, 12.17.3 però che molta gente ragunava 12.17.4 per dare a Ricciardetto presto aiuto. 12.17.5 Astolfo d' ogni cosa lo 'nformava, 12.17.6 e come Carlo gli avea conceduto 12.17.7 un mese tempo a mandarlo alla morte; 12.17.8 ma duolsi sol ch' Orlando non è in corte. 12.18.1 Or questo è quel ch' a Rinaldo dolea, 12.18.2 che si fussi partito il conte Orlando 12.18.3 ché sanza lui di camparlo temea: 12.18.4 pur la sua gente veniva assettando. 12.18.5 E Gallerana, che gliene 'ncrescea, 12.18.6 ogni dì Carlo veniva pregando 12.18.7 che Ricciardetto libero lasciassi 12.18.8 acciò che Orlando in corte ritornassi, 12.19.1 e non tentassi tanto la fortuna 12.19.2 e non credessi tanto al conte Gano; 12.19.3 e se mai grazia far gli debba alcuna, 12.19.4 che Ricciardetto gli dessi in sua mano; 12.19.5 ma non poteva ancor per cosa ignuna 12.19.6 rimuover dalla 'mpresa Carlo Mano. 12.19.7 Rinaldo pur quel che seguissi aspetta, 12.19.8 e tuttavia la sua brigata assetta. 12.20.1 Era già presso il giorno diputato, 12.20.2 e Smeriglione e Vivian di Maganza 12.20.3 come Carlo avea detto hanno ordinato; 12.20.4 e Ganellone avea tanta arroganza, 12.20.5 ch' ognun che priega è da lui minacciato: 12.20.6 lo 'mperador gli avea dato baldanza, 12.20.7 tanto che Namo per nulla non v' era 12.20.8 e per isdegno n' era ito in Baviera; 12.21.1 e Berlinghieri ed Ottone ed Avino 12.21.2 s' eron partiti, Avolio e Salamone, 12.21.3 e 'l figliuol del Danese, Baldovino, 12.21.4 veggendo a Gano tanta presunzione. 12.21.5 Erminïon, che fu già saracino, 12.21.6 era con Carlo, pieno d' afflizione, 12.21.7 e l' amico d' Astolfo, Lïonfante, 12.21.8 famoso e degno e gentile amirante; 12.22.1 èvvi Morgante con la damigella 12.22.2 Meredïana e col suo concestoro. 12.22.3 Ognun di Ricciardetto assai favella, 12.22.4 che Carlo a torto gli dava martoro. 12.22.5 Gan da Pontier sua baronia appella 12.22.6 quando fu tempo e comandava loro 12.22.7 che Ricciardetto subito legassino 12.22.8 e 'n sul fiume di Sena lo 'mpiccassino. 12.23.1 Rinaldo era venuto, come scrisse 12.23.2 Astolfo, e con suo gente stava attento 12.23.3 aspettar che 'l fratel di fuor venisse. 12.23.4 Vide in un tratto gli stendardi al vento 12.23.5 prima che fuor Ricciardetto apparisse, 12.23.6 e Smeriglion, che si facea contento 12.23.7 e molto a quel mestier pareva destro, 12.23.8 e 'l buon Vivian, ch' era l' altro maestro. 12.24.1 Non aspettò che come Astolfo venga 12.24.2 fino alle forche, ma tosto si mosse 12.24.3 acciò ch' alcuno scherno non sostenga, 12.24.4 che nella fronte sputato gli fosse: 12.24.5 verso la porta par che 'l camin tenga; 12.24.6 tra' Maganzesi in un tratto percosse, 12.24.7 e Ricciardetto suo fu sciolto presto, 12.24.8 che come Astolfo al collo avea il capresto. 12.25.1 Or qua or là si scaglia con Baiardo 12.25.2 e fece cose quel dì con Frusberta, 12.25.3 che chi il dicessi fia detto bugiardo. 12.25.4 Ma come e' fu la novella scoperta, 12.25.5 ognun fuggiva. In questo tempo Alardo 12.25.6 Ismeriglion con la zucca coperta 12.25.7 trovava e con un colpo che diè a quello, 12.25.8 gli partì il capo e féssegli il cervello. 12.26.1 E poi si volse con molta tempesta 12.26.2 verso Vivian da Pontier ch' era appresso 12.26.3 e con la spada gli diè in su la testa: 12.26.4 l' elmo e la cuffia insino al mento ha fesso. 12.26.5 Rinaldo a Gan terminò far la festa 12.26.6 e finalmente s' appicca con esso 12.26.7 e 'n su 'n un braccio un colpo l' ha ferito, 12.26.8 che cadde in terra pel duol tramortito 12.27.1 e fu portato come morto via. 12.27.2 E Ricciardetto sopra un destrier monta 12.27.3 che Smeriglione abbandonato avia 12.27.4 e con la spada tra costor s' affronta: 12.27.5 e' colpi e le gran cose ch' e' facìa, 12.27.6 per non tediar chi legge non si conta. 12.27.7 Carlo era corso già insino alla porta: 12.27.8 vide Rinaldo e molta gente morta, 12.28.1 e disse fra suo core: «Io ho mal fatto: 12.28.2 ecco di nuovo il popol sollevato»; 12.28.3 e fuor della città si fuggì ratto. 12.28.4 Rinaldo drento in Parigi era entrato, 12.28.5 e grida: «Popolazzo vile e matto, 12.28.6 come hai tu tanto oltraggio comportato? 12.28.7 A sacco, a fuoco, alla morte, a furore!», 12.28.8 e misse tutto Parigi a romore 12.29.1 e cominciò in un certo borgo il fuoco 12.29.2 appiccare e rubar botteghe e case, 12.29.3 tanto ch' a' parigin non parea giuoco; 12.29.4 non si facea qui le misure rase. 12.29.5 Così il furor cresceva a poco a poco, 12.29.6 tanto che pochi drento vi rimase, 12.29.7 sentendo «Al fuoco!» gridare e «Alla morte!» 12.29.8 e per paura uscien fuor delle porte. 12.30.1 Non vi rimase un Maganzese solo 12.30.2 che non fuggissi per la via più piana, 12.30.3 e molto pianto si sentiva e duolo. 12.30.4 Ma la reina presto Gallerana 12.30.5 si misse in mezzo di tutto lo stuolo 12.30.6 e come savia, benigna ed umana, 12.30.7 pregò Rinaldo che fussi contento 12.30.8 che 'l fuoco almen dovessi essere spento. 12.31.1 Rinaldo aveva sentito ogni cosa 12.31.2 ciò che per Ricciardetto fatto aveva 12.31.3 l' alta reina degna e glorïosa: 12.31.4 subito un bando per tutto metteva 12.31.5 che, poi che piace alla donna famosa, 12.31.6 ognun si posi; e 'l fuoco si spegneva. 12.31.7 Prese la terra quel giorno a suo agio, 12.31.8 e Gallerana lo menò al palagio. 12.32.1 E fu quel dì Rinaldo incoronato, 12.32.2 ché contraddir non lo poté persona, 12.32.3 e nella sedia di Carlo è posato 12.32.4 e messogli poi in testa la corona 12.32.5 e d' una vesta reale addobbato; 12.32.6 e di sua forza ognun quivi ragiona, 12.32.7 perché egli aveva quel dì fatte cose 12.32.8 ch' a tutto il popol fur maravigliose. 12.33.1 Gano in Maganza si fece ritorno, 12.33.2 benché portato vi fu come morto 12.33.3 dalle sue gente che l' accompagnorno. 12.33.4 A Gallerana non fu fatto torto; 12.33.5 ognun come a reina gli è d' intorno: 12.33.6 così Rinaldo comandava scorto 12.33.7 che fatto fussi alla reina onore, 12.33.8 come se Carlo fussi imperadore. 12.34.1 Vero è ch' un altro che ne scrive, dice 12.34.2 che subito ne venne Malagigi 12.34.3 e menava con seco Beatrice, 12.34.4 che di Rinaldo madre era, a Parigi, 12.34.5 perché esser volea lei la 'mperadrice; 12.34.6 ma 'l prenze si ricorda de' servigi 12.34.7 e vuol che Gallerana sia in effetto, 12.34.8 perché molto aiutato ha Ricciardetto. 12.35.1 Tornò a Parigi Namo e Salamone 12.35.2 e Berlinghier famoso e Baldovino, 12.35.3 ch' era figliuol del sir dello Scaglione; 12.35.4 tornò Gualtieri a corte, tornò Avino, 12.35.5 tornò cogli altri insieme il franco Ottone 12.35.6 e tutto quanto il popol parigino; 12.35.7 e' Maganzesi ognun nettò la soglia, 12.35.8 che non ve ne rimase seme o foglia. 12.36.1 Fecionsi fuochi assai per la cittate, 12.36.2 fecionsi giostre e balli e feste e giuochi; 12.36.3 furon tutte le dame ritrovate 12.36.4 e gli amador, che non ve n' era pochi; 12.36.5 tanti strambotti, romanzi e ballate, 12.36.6 che tutti i canterin son fatti rochi; 12.36.7 sentiensi tamburelli e zufoletti, 12.36.8 lïuti ed arpe e cetre ed organetti. 12.37.1 Era Rinaldo molto reputato 12.37.2 e più che fussi mai contento e lieto; 12.37.3 se non ch' Orlando suo non v' ha trovato, 12.37.4 dond' egli avea gran duol nel suo segreto. 12.37.5 Orlando con Terigi è cavalcato 12.37.6 più e più giorni già contra divieto 12.37.7 e 'nverso Pagania n' andava forte, 12.37.8 con intenzion mai più tornare in corte. 12.38.1 E tuttavolta piangea Ricciardetto, 12.38.2 dicendo: «Io so che Carlo l' arà morto; 12.38.3 ond' io n' ho tanto dolor nel mio petto, 12.38.4 ch' io non ispero più trovar conforto; 12.38.5 e 'l traditor di Gan per mio dispetto 12.38.6 fia stato il primo a così fatto torto». 12.38.7 E 'l simigliante Terigi dicea, 12.38.8 ché Ricciardetto troppo gli dolea. 12.39.1 Avea già cavalcato più d' un mese 12.39.2 e finalmente in Persia si trovava, 12.39.3 e come e' fu condotto in quel paese, 12.39.4 sentì che gran battaglie s' ordinava; 12.39.5 e poi ch' un giorno una montagna scese, 12.39.6 una città famosa ivi mirava, 12.39.7 là dove era assediato l' amostante 12.39.8 dal gran Soldano e da un fer gigante. 12.40.1 Aveva una figliuola molto bella, 12.40.2 che luce più che stella mattutina, 12.40.3 l' amostante, chiamata Chiarïella, 12.40.4 tanta leggiadra, accorta e peregrina, 12.40.5 che per amor di lei montato è in sella 12.40.6 il Soldan con sua gente saracina, 12.40.7 per acquistar, se può, sì bella cosa; 12.40.8 e 'l gran gigante non trovava posa; 12.41.1 ch' era detto per nome Marcovaldo, 12.41.2 venuto delle parti di Murrocco, 12.41.3 di gran prodezza e di giudicio saldo, 12.41.4 ma per amor di lei pareva sciocco, 12.41.5 come chi sente l' amoroso caldo, 12.41.6 che solea dare a tutti scaccorocco; 12.41.7 ma tanto il foco lavorava drento, 12.41.8 che per costei perduto ha il sentimento. 12.42.1 Cavalcava una alfana smisurata 12.42.2 di pel morello, e stella aveva in fronte; 12.42.3 sol un difetto avea, ch' era sboccata, 12.42.4 e pel furor gli par piano ogni monte: 12.42.5 arebbe corso tutta una giornata, 12.42.6 tant' eran le sue membra forte e pronte. 12.42.7 Giunse Terigi e 'l figliuol di Mellone 12.42.8 dov' era del gigante il padiglione, 12.43.1 ch' era tutto di cuoio di serpente, 12.43.2 con certi Macometti messi ad oro, 12.43.3 con gran carbonchi, se Turpin non mente, 12.43.4 zaffir, balasci, e valeva un tesoro. 12.43.5 Orlando al padiglion poneva mente 12.43.6 dove il gigante faceva dimoro, 12.43.7 e stava tanto fiso a mirar questo, 12.43.8 che Marcovaldo s' adirava; e presto, 12.44.1 perché e' giucava a scacchi a suo sollazzo 12.44.2 sì com' egli è de' gran signor costume, 12.44.3 volsesi, e disse con un suo ragazzo: 12.44.4 «Chi è quel poltonier che tiene il lume? 12.44.5 Cacciatel via, e' debbe esser un pazzo. 12.44.6 Donde è venuto questo strano agrume?». 12.44.7 Fu preso a Vegliantin tosto la briglia, 12.44.8 ch' Orlando al padiglion tenea le ciglia. 12.45.1 Terigi, quando vide il saracino 12.45.2 ch' avea preso la briglia al conte Orlando, 12.45.3 come fedele e servo al paladino, 12.45.4 subito trasse alla testa col brando 12.45.5 e quel pagan gittava a capo chino, 12.45.6 che le cervella fuor vennon balzando. 12.45.7 «Ah», disse Orlando «come bene hai fatto 12.45.8 a gastigar, Terigi, questo matto!». 12.46.1 Marcovaldo colui vide cadere: 12.46.2 maravigliossi, ché non parve appena 12.46.3 che Terigi il toccassi: «Ah, poltoniere!», 12.46.4 gridava forte «matto da catena!». 12.46.5 E poi si volse a un altro scudiere: 12.46.6 «Piglia quel» disse «e drento qua lo mena, 12.46.7 ch' io non intendo sofferir tal torto, 12.46.8 ch' egli abbi in mia presenzia colui morto». 12.47.1 Allora Orlando prese Durlindana, 12.47.2 ché tempo non gli par di stare a bada, 12.47.3 ed accostossi alla turba pagana. 12.47.4 Terigi s' arrostava con la spada; 12.47.5 quanti ne giugne, in terra morti spiana, 12.47.6 tal che non v' è più ignun che innanzi vada. 12.47.7 Orlando a chi non era al fuggir destro, 12.47.8 facea col brando il segno del maestro. 12.48.1 Maravigliossi tanto il fer gigante 12.48.2 di quel che vide in un momento fare 12.48.3 al conte Orlando a' suoi occhi davante, 12.48.4 che cominciò così seco a parlare: 12.48.5 «E' basterebbe al gran signor d' Angrante, 12.48.6 che in tutto il mondo si fa ricordare, 12.48.7 quel c' ha fatto costui qui col suo brando»; 12.48.8 della qual cosa molto rise Orlando. 12.49.1 «Fate venir» gridò «tosto mie armi, 12.49.2 ch' io ho di questo fatto maraviglia. 12.49.3 Io vo' con questo cavalier provarmi, 12.49.4 che tutta quanta mia gente scompiglia; 12.49.5 veggiàn se ardito sarà d' affrontarmi». 12.49.6 E la sua alfana pigliò per la briglia, 12.49.7 prese una lancia e 'nverso Orlando corse; 12.49.8 ma 'l buon Terigi del fatto s' accorse. 12.50.1 A un pagan di man tolse una lancia, 12.50.2 e disse: «Piglia, piglia tosto, conte! 12.50.3 Le gentilezze son rimase in Francia. 12.50.4 Ecco il gigante che ti viene a fronte, 12.50.5 né per vergogna arrossita ha la guancia 12.50.6 di venirti a trovar, che pare un monte, 12.50.7 tu con la spada e lui con l' aste in resta: 12.50.8 vedi che gente, anzi canaglia è questa!». 12.51.1 Rispose Orlando: «Sia quel ch' esser vuole, 12.51.2 che in ogni modo non lo stimo un fico. 12.51.3 Vero ch' egli è sì grande, che mi duole 12.51.4 ch' appena gli porrò l' aste al bellico. 12.51.5 Ma il brando taglia pur come e' si suole: 12.51.6 con esso il tratterò come nimico». 12.51.7 Terigi stava a diletto a vederlo, 12.51.8 e Vegliantin ne va come uno smerlo. 12.52.1 E poi in un tratto la lancia abbassava 12.52.2 e va inverso il pagan di buona voglia 12.52.3 e 'n sullo scudo basso lo trovava: 12.52.4 questo passò come fussi una foglia, 12.52.5 e la corazza e lo sbergo passava, 12.52.6 tanto che Marcovaldo ebbe gran doglia; 12.52.7 e ruppe la sua lancia a mezzo il petto 12.52.8 al conte, bestemiando Macometto. 12.53.1 L' alfana che pel colpo ebbe paura 12.53.2 perché e' gli parve di molta possanza, 12.53.3 era di bocca, com' io dissi, dura: 12.53.4 subito fece col morso l' usanza 12.53.5 e cominciò a sgomberar la pianura. 12.53.6 Ma 'l conte Orlando seguiva la danza: 12.53.7 egli e Terigi i cavalli spronorno 12.53.8 e drieto a Marcovaldo s' avviorno. 12.54.1 Poi che tutto ebbe attraversato il piano, 12.54.2 giunse l' alfana appiè della montagna; 12.54.3 quivi alfin pur la ritenne il pagano, 12.54.4 però che tutta di sudor si bagna. 12.54.5 Orlando grida: «Saracin villano, 12.54.6 ben t' ho seguito per ogni campagna. 12.54.7 Questo è quel dì che ti convien morire: 12.54.8 volgiti indrieto, tu non puoi fuggire». 12.55.1 Sentendo il saracin così chiamarsi, 12.55.2 volsesi indrieto e trasse il brando fore, 12.55.3 e disse: «Al mondo ignun non può vantarsi 12.55.4 ch' io lo fuggissi per viltà di core. 12.55.5 Ma sappi che' rimedi son sì scarsi 12.55.6 di questa alfana a frenare il furore 12.55.7 quand' ella piglia con la bocca il morso, 12.55.8 ch' insin dove tu vedi son transcorso. 12.56.1 Ma tu se' qua condotto dov' io voglio, 12.56.2 e 'l tuo compagno ch' uccise il mio servo. 12.56.3 S' io son quel Marcovaldo ch' esser soglio, 12.56.4 non lascerò a tagliarti osso né nervo. 12.56.5 A più di sette abbassato ho l' orgoglio, 12.56.6 e sempre col nimico questo osservo: 12.56.7 ch' io non mi curo por la lancia in fallo, 12.56.8 ma con la spada mi serbo ammazzallo». 12.57.1 Rispose Orlando: «Tu il di' per vergogna, 12.57.2 ché tu rompesti un gambo di finocchio 12.57.3 a gran fatica, e scusa or ti bisogna; 12.57.4 ed io, ch' allato a te paio un ranocchio, 12.57.5 so che col ferro ti grattai la rogna 12.57.6 e corse il sangue più giù che 'l ginocchio. 12.57.7 Così t' avessi veduto la dama 12.57.8 che Chiarïella per nome si chiama!». 12.58.1 Disse il pagano: «Or donde hai tu saputo 12.58.2 chi tenga del mio cor le chiavi e 'l freno? 12.58.3 Sappi che molte volte m' ha veduto 12.58.4 gittar più cavalier morti al terreno 12.58.5 e mai però di me non gli è incresciuto; 12.58.6 ma pur per compiacergli, nondimeno, 12.58.7 s' io gli credessi dar sollazzo e festa, 12.58.8 di te, poltron, gli manderei la testa». 12.59.1 Rispose Orlando: «E' fia più bel presente 12.59.2 la tua, gigante, ch' è maggiore assai. 12.59.3 Oltre, veggiam come sarai valente 12.59.4 e quel ch' a Chiarïella manderai»; 12.59.5 e Durlindana alzò subitamente, 12.59.6 dicendo: «Or Macometto chiamerai», 12.59.7 e diègli un colpo in su la destra spalla, 12.59.8 che 'l fer gigante in qua e 'n là traballa; 12.60.1 e fece lo spallaccio sfavillare, 12.60.2 ma pure al taglio della spada resse. 12.60.3 E 'l saracin si volle vendicare 12.60.4 e par ch' un gran fendente al conte desse. 12.60.5 Orlando con lo scudo vuol parare, 12.60.6 ma la pesante spada e dura il fésse 12.60.7 e due parte ne fe', se 'l dir non erra, 12.60.8 e l' una delle due balzava in terra. 12.61.1 Orlando per grand' ira l' altra getta 12.61.2 e battélla al gigante nel mostaccio; 12.61.3 poi Durlindana in pugno si rassetta 12.61.4 e trasse un colpo al saracino al braccio, 12.61.5 che, benché l' arme assai fussi perfetta, 12.61.6 parve che fussi di cera o di ghiaccio 12.61.7 e 'l braccio gli tagliò presso alla mano, 12.61.8 tal che un gran mugghio metteva il pagano 12.62.1 e la spada e la man vide cadere 12.62.2 e cadde pel dolor giù dell' alfana, 12.62.3 e disse: «Io mi t' arrendo, ch' è dovere, 12.62.4 ch' io veggo ogni speranza in Macon vana. 12.62.5 Per grazia, non per merto, cavaliere, 12.62.6 dimmi se se' della legge cristiana, 12.62.7 poi che tu m' hai così condotto a morte; 12.62.8 ch' io non trovai pagan mai tanto forte». 12.63.1 Disse Orlando: «Da poi che tu mel chiedi 12.63.2 per grazia, io userò mia cortesia. 12.63.3 Io sono Orlando, e questo che tu vedi 12.63.4 è il mio scudier, ch' è meco in compagnia. 12.63.5 Tu se' morto e dannato, s' tu non credi 12.63.6 presto a Colui che nacque di Maria: 12.63.7 battézzati a Gesù, credi al Vangelo, 12.63.8 acciò che l' alma tua ne vadi in cielo. 12.64.1 Macometto t' aspetta nello 'nferno 12.64.2 con gli altri matti che van drieto a lui, 12.64.3 dove tu arderai nel foco etterno 12.64.4 giù negli abbissi dolorosi e bui». 12.64.5 Disse il pagan: «Laudato in sempiterno 12.64.6 sia Gesù Cristo e tutti i santi sui! 12.64.7 Io voglio in ogni modo battezzarmi 12.64.8 e per tua mano, Orlando, cristian farmi. 12.65.1 E ringrazio il tuo Dio, poi ch' io son morto 12.65.2 per man del più famoso uom che sia al mondo: 12.65.3 s' io mi dolessi, io arei certo il torto. 12.65.4 Battezzami per Dio, baron giocondo, 12.65.5 ch' io sento già nel cuor tanto conforto, 12.65.6 ch' esser mi par d' ogni peccato mondo». 12.65.7 Orlando al fiume subito correa, 12.65.8 trassesi l' elmo e d' acqua poi l' empiea, 12.66.1 e battezzò costui divotamente. 12.66.2 E come morto fu, sentiva un canto, 12.66.3 ed angeli apparîr visibilmente, 12.66.4 che l' anima portâr nel regno santo. 12.66.5 E d' aver morto costui fu dolente 12.66.6 e con Terigi faceva gran pianto, 12.66.7 e feciono una fossa addrento e scura 12.66.8 e déttono a quel corpo sepultura. 12.67.1 Ma una grazia prima che morisse 12.67.2 al conte chiese quel gigante ancora: 12.67.3 che se per caso già mai avvenisse 12.67.4 che parlassi a colei che lo innamora, 12.67.5 che gli dicessi come il fatto gisse 12.67.6 e come sempre insino all' ultim' ora 12.67.7 di Chiarïella e del suo amor costante 12.67.8 si ricordò come fedele amante, 12.68.1 e che per merto di sì degno effetto 12.68.2 dovessi qualche volta venir quella 12.68.3 dove il suo corpo giaceria soletto, 12.68.4 e chiamassi e dicessi: «Chiarïella 12.68.5 ti piange, Marcovaldo poveretto, 12.68.6 qual ti parve nel mondo troppo bella»; 12.68.7 ch' avea speranza, se costei il chiamassi, 12.68.8 che l' anima nel corpo ritornassi; 12.69.1 o come fece appiè del gelso moro 12.69.2 Pirramo quando Tisbe lo chiamòe, 12.69.3 ch' era già presso all' ultimo martoro, 12.69.4 così fare egli. Orlando il confortòe, 12.69.5 dicendo: «Io lo farò, se pria non moro, 12.69.6 ché alla città son certo ch' i' n' andròe». 12.69.7 E così fece a luogo e tempo Orlando, 12.69.8 per venir sempre la sua fé servando. 12.70.1 Terigi aveva veduto andar via 12.70.2 l' anima in ciel con molti angeli santi, 12.70.3 sempre cantando dolce melodia: 12.70.4 tutto smarrito par ne' suo' sembianti. 12.70.5 Quando e' sentì dir: «Salve, ave, Maria», 12.70.6 con armonia celeste e dolci canti, 12.70.7 disse a Orlando: «Io ho invidia a costui, 12.70.8 che come lui da te morto non fui. 12.71.1 Da ora innanzi tra' pagani andiamo, 12.71.2 ch' io non istimo più di stare in vita, 12.71.3 pur che per la tua fé, Cristo, moiamo, 12.71.4 poi che quell' alma vidi alla partita». 12.71.5 Diceva Orlando: «Al campo ritorniamo: 12.71.6 questa novella non vi fia sentita; 12.71.7 non ci dée riconoscer quella gente, 12.71.8 né di costui non sapranno nïente». 12.72.1 Così pel mezzo del campo passaro, 12.72.2 che conosciuti non fur da persona, 12.72.3 e 'nverso la città poi se n' andaro 12.72.4 dov' era l' amostante e sua corona 12.72.5 e del palazzo real domandaro; 12.72.6 poi inverso quello ognun di loro sprona, 12.72.7 tanto che sono al palazzo arrivati 12.72.8 e innanzi all' amostante appresentati. 12.73.1 A un balcon l' amostante si posa. 12.73.2 Chiarïella, veggendo il conte Orlando, 12.73.3 ch' era più fresca che incarnata rosa, 12.73.4 molto lo squadra e venìa rimirando; 12.73.5 e dice al padre: «S' tu guardi ogni cosa, 12.73.6 quando costor si vennono accostando, 12.73.7 come stava costui sopra l' arcione, 12.73.8 tutti i suoi segni son d' un gran barone. 12.74.1 Così fussi egli Orlando, quel cristiano 12.74.2 c' ha tanta fama, come e' par qui desso: 12.74.3 ché non saria pien di stendardi il piano, 12.74.4 non ci starebbe il campo così appresso, 12.74.5 ché non ci arebbe assediati il Soldano». 12.74.6 Orlando udiva e ridea fra se stesso. 12.74.7 L' amostante parlò cortesemente: 12.74.8 «Ben sia venuto, cavalier possente; 12.75.1 Macon sia sempre la vostra difesa. 12.75.2 Se voi cercate da me soldo avere, 12.75.3 ché vedete il mio caso quanto pesa, 12.75.4 io vel darò e più che volentiere. 12.75.5 Costor venuti son qua per mia offesa: 12.75.6 èvvi il Soldan con tutte sue bandiere 12.75.7 venuto qua del corno egizïano 12.75.8 e cuopre con sue gente il monte e 'l piano 12.76.1 e raccozzato ha qua tutto il Levante 12.76.2 e vuol per forza pur questa mia figlia; 12.76.3 e per ventura ci venne un gigante 12.76.4 che dà terrore a tutta mia famiglia: 12.76.5 sopra una alfana ognun si caccia avante, 12.76.6 molto sboccata, e corre a sciolta briglia; 12.76.7 e già delle mie gente ha strutte molte; 12.76.8 or va guastando tutte le ricolte». 12.77.1 Orlando disse: «Il gigante c' hai detto, 12.77.2 non temer più che in sull' alfana vada; 12.77.3 non ti farà più danno, ti prometto, 12.77.4 non tornerà in suo regno o in sua contrada: 12.77.5 appiè della montagna al dirimpetto 12.77.6 oggi l' uccisi con questa mia spada; 12.77.7 io te lo dico, re, per tuo conforto, 12.77.8 che quel gigante giace in terra morto». 12.78.1 Non potea l' amostante creder questo 12.78.2 e domandava pur per più certezza: 12.78.3 «Di' ch' uccidesti il gigante molesto?». 12.78.4 Poi l' abbracciò per la molta allegrezza, 12.78.5 dicendo: «Poco mi curo del resto». 12.78.6 La damigella con gran tenerezza 12.78.7 corse abbracciare Orlando incontanente, 12.78.8 ch' a dire il vero non gli spiacque niente, 12.79.1 e men saria dispiaciuto a Rinaldo. 12.79.2 «Dove se' tu, signor di Montalbano?» 12.79.3 diceva Orlando: «Tu staresti saldo, 12.79.4 s' ancor più oltre stendessi la mano». 12.79.5 «Dunque tu di' c' hai morto Marcovaldo», 12.79.6 disse la dama, «cavalier sovrano? 12.79.7 Sia benedetto chi t' ingeneròe!», 12.79.8 e mille volte Macon ringraziòe. 12.80.1 Avea già Chiarïella posto amore 12.80.2 al conte Orlando, tanto gli è piaciuto, 12.80.3 e già Cupido la saetta al core. 12.80.4 Or ritorniamo al Soldan, c' ha saputo 12.80.5 che Marcovaldo è della vita fore, 12.80.6 e gran dolor n' avea, come è dovuto, 12.80.7 e 'l viso tutto di lacrime bagna 12.80.8 quando e' guardava inverso la montagna. 12.81.1 Ma chi l' uccise saper non potea: 12.81.2 detto gli fu ch' egli era un viandante, 12.81.3 e questo verisimil non parea, 12.81.4 sappiendo quanto era fiero il gigante. 12.81.5 E per ventura seco al campo avea 12.81.6 un savio, antico e sottil nigromante, 12.81.7 e disse: «Fa ch' io sappi per tua arte 12.81.8 chi è colui ch' uccise il nostro Marte». 12.82.1 Il nigromante allor, per ubbidire, 12.82.2 ch' era maestro di somma dottrina, 12.82.3 subito fece per arte apparire 12.82.4 quel che bisogna con sua disciplina: 12.82.5 trovò come un cristiano il fe' morire, 12.82.6 che si facea di legge saracina, 12.82.7 e come egli era col grande amostante: 12.82.8 così trovò chi avea morto il gigante. 12.83.1 Quando il Soldano il nigromante udìo, 12.83.2 dolor sì grande non sentì già mai, 12.83.3 e disse: «O Macometto, o pazzo iddio, 12.83.4 a tuo diletto consumata m' hai». 12.83.5 E scrisse all' amostante il caso rio, 12.83.6 dicendo: «Re di Persia, tu non sai 12.83.7 che quel c' ha morto il gigante pagano 12.83.8 è quel ch' è teco; e sappi ch' è cristiano 12.84.1 e qualche tradimento farti aspetta. 12.84.2 Da ora innanzi, se questo ti piace, 12.84.3 io vo' di Marcovaldo far vendetta 12.84.4 e far con teco a tuo modo la pace». 12.84.5 La lettera suggella e manda in fretta. 12.84.6 All' amostante il caso assai dispiace, 12.84.7 quando sentì come cristiano è quello, 12.84.8 chiamandol traditor, ribaldo e fello, 12.85.1 e la risposta faceva al Soldano 12.85.2 che vuol far pace e triegua a ogni modo, 12.85.3 purché punito sia questo cristiano: 12.85.4 così la pace si metteva in sodo. 12.85.5 Poi prese Orlando un giorno per la mano 12.85.6 e disse: «Cavalier, sappi ch' i' godo 12.85.7 ch' io ho col gran Soldan la pace fatta, 12.85.8 e partirassi questa gente matta». 12.86.1 Orlando non pensava tradimento: 12.86.2 disse che molto se ne rallegrava 12.86.3 e di tal pace troppo era contento, 12.86.4 dicendo: «Del tuo caso mi pesava; 12.86.5 or tutto alleggerito il cor mi sento». 12.86.6 Poi l' amostante pel Soldan mandava, 12.86.7 e lui vi venne e montò presto in sella, 12.86.8 per vedere anco la fanciulla bella. 12.87.1 Segretamente il trattato ordinaro: 12.87.2 di pigliare il cristian preson partito 12.87.3 quando fia a letto e non arà riparo; 12.87.4 e così fu tra loro stabilito. 12.87.5 Venne la notte, a letto se n' andaro. 12.87.6 Orlando alla sua camera n' è gito, 12.87.7 e disarmossi e crede esser sicuro: 12.87.8 ma non sapeva del suo mal futuro. 12.88.1 Quando più fiso la notte dormia, 12.88.2 una brigata s' armâr di pagani 12.88.3 ed un di questi la camera apria; 12.88.4 corsongli addosso come lupi o cani. 12.88.5 Orlando a tempo non si risentia, 12.88.6 che finalmente gli legâr le mani 12.88.7 e fu menato subito in prigione 12.88.8 sanza ascoltarlo o dirgli la cagione. 12.89.1 E dopo lui Terigi fu menato 12.89.2 e messi poi nel fondo d' una torre. 12.89.3 Orlando era di questo smemorato: 12.89.4 per quel che fussi non si sapea apporre 12.89.5 che l' amostante l' avessi ingannato; 12.89.6 ma disse: «E' mi vorrà la vita tôrre»; 12.89.7 come nell' altro cantar vi fia detto. 12.89.8 L' angiol di Dio vi tenga pel ciuffetto.
CANTO XIII
13.1.1 Virgine sacra, d' ogni bontà piena, 13.1.2 madre di Quel per cui si canta osanna, 13.1.3 Virgine pura, Virgine serena, 13.1.4 dammi la tua cotidïana manna; 13.1.5 con la tua mano insin al fin mi mena 13.1.6 di questa storia, ché 'l tempo c' inganna 13.1.7 e la vita e la morte e 'l mondo cieco, 13.1.8 sì ch' io faccia ascoltar ciascun con meco. 13.2.1 La damigella con dolce parole, 13.2.2 con motti ben cogitati e soavi, 13.2.3 diceva al padre: «Così far si vuole 13.2.4 e punir sempre i frodolenti e pravi: 13.2.5 però di questo caso non mi duole. 13.2.6 E vo' che lasci a me tener le chiavi 13.2.7 e governargli e serrare ed aprire, 13.2.8 acciò che non ci possa ignun tradire». 13.3.1 Di questo l' amostante s' allegròe, 13.3.2 che quello uficio pigliassi la dama, 13.3.3 e le chiavi a costei raccomandòe. 13.3.4 Or questo è quel che la donzella brama: 13.3.5 subito al conte Orlando se n' andòe 13.3.6 alla prigione ed umilmente il chiama, 13.3.7 dicendo: «Cavalier, di te mi pesa, 13.3.8 e ciò che vuoi farò per tua difesa». 13.4.1 Orlando quanto può costei ringrazia, 13.4.2 e disse: «Dimmi, sai tu la cagione 13.4.3 perché il tuo padre in tal modo mi strazia 13.4.4 e messo m' ha sì subito in prigione? 13.4.5 Di questo fa, per Dio, mia voglia sazia, 13.4.6 tra'mi di dubbio e di confusïone; 13.4.7 e s' tu non mi puoi trar di questa torre, 13.4.8 non mi lasciare almen la vita tôrre». 13.5.1 Rispose Chiarïella al paladino: 13.5.2 «La cagion che 'l mio padre t' ha qui preso, 13.5.3 è che 'l Soldano da un certo indovino 13.5.4 come tu sia cristian par ch' abbi inteso, 13.5.5 benché tu mostri d' esser saracino; 13.5.6 e perché del gigante tiensi offeso, 13.5.7 ha fatto pace col Soldano, e saldo 13.5.8 di vendicarsi del suo Marcovaldo. 13.6.1 Ogni cristian che uccide un affricante 13.6.2 secondo nostre legge morir debbe; 13.6.3 tu uccidesti adunque quel gigante; 13.6.4 la vita al nostro modo te n' andrebbe. 13.6.5 Ma perch' io t' ho già eletto per mio amante, 13.6.6 tolsi le chiavi, ché di te m' increbbe; 13.6.7 e di morir non dubitare omai, 13.6.8 ché tu se' salvo, e libero sarai. 13.7.1 Io ho tanto sentito ricordare 13.7.2 quel cavalier ch' Orlando è nominato, 13.7.3 che sue virtù m' han fatta innamorare 13.7.4 e per suo amor non sarai abbandonato. 13.7.5 Del nome tuo, di me ti puoi fidare; 13.7.6 dimmel, baron, ch' assai mi sarà grato». 13.7.7 Orlando rispondea: «Gentil madama, 13.7.8 io son colui ch' Orlando il mondo chiama. 13.8.1 Guarda dove condotto m' ha fortuna, 13.8.2 ch' appena il crederrai ch' io sia quel desso. 13.8.3 Io mi parti', né di mia gente alcuna 13.8.4 volli, se non qui il mio scudiero, appresso. 13.8.5 Ho cavalcato al sole ed alla luna; 13.8.6 ora il tuo padre a forza m' ha qui messo; 13.8.7 ma se pensato avessi il tradimento, 13.8.8 per lo mio Iddio, non mi mettea qui drento. 13.9.1 A te mi raccomando, poi ch' io sono 13.9.2 dove tu vedi; e fa che 'l mio destriere 13.9.3 sia governato; e poi sempre ti dono 13.9.4 l' anima e 'l cuore e ciò ch' è in mio potere. 13.9.5 E vo' che 'ntenda ancor quel ch' io ragiono: 13.9.6 se tu potessi questo mio scudiere 13.9.7 in qualche modo di qui liberarlo, 13.9.8 manderei per soccorso in Francia a Carlo». 13.10.1 Non poté sofferir che più parlassi 13.10.2 la damigella, udendo ch' era Orlando: 13.10.3 parve che 'l cor nel petto si schiantassi 13.10.4 per gran dolcezza, e disse lacrimando: 13.10.5 «Io credo che Macon qua ti mandassi 13.10.6 per mio amor sol, ma non so come o quando, 13.10.7 ché sempre disïato ho di vederti: 13.10.8 ma in altro modo qui vorrei tenerti. 13.11.1 S' io dovessi il mio padre far morire 13.11.2 con le mie proprie man, tu non morrai: 13.11.3 Amor comanda, ed io voglio ubbidire, 13.11.4 che tu sia salvo, e salvo te n' andrai; 13.11.5 quando fia tempo ti saprò aprire, 13.11.6 e 'l tuo caval contento ne sarai; 13.11.7 e lo scudiere fia franco a ogni modo, 13.11.8 e che tu il mandi in Francia affermo e lodo». 13.12.1 Poi ch' ebbe Chiarïella così detto, 13.12.2 lasciava Orlando e vanne al padre tosto, 13.12.3 e dice: «Quel sergente, poveretto, 13.12.4 si morrà certo, ché mi par disposto 13.12.5 di non voler mangiar: come folletto 13.12.6 gittato ha via ciò ch' io gli ho innanzi posto; 13.12.7 e colpa inver non ci ha da gnuna banda, 13.12.8 ch' ubbidir dée quel che 'l signor comanda». 13.13.1 Rispose l' amostante: «Mandal via: 13.13.2 se si morisse, e' ci sare' vergogna; 13.13.3 fa che quell' altro ben guardato sia; 13.13.4 di questo non aremo altro che rogna». 13.13.5 Disse la dama: «Per la fede mia, 13.13.6 ch' io non so se farnetica o se sogna: 13.13.7 quand' io domando, e' guata come un matto 13.13.8 e non risponde, anco sta stupefatto». 13.14.1 E poi tornava alla prigion ridendo 13.14.2 e disse come il fatto era fornito. 13.14.3 Diceva Orlando con Terigi: «Io intendo 13.14.4 che presto insino a Carlo ne sia gito 13.14.5 e che tu meni Vegliantin commendo, 13.14.6 e dica il caso, com' io son tradito 13.14.7 dall' amostante e truovomi in prigione, 13.14.8 e quel che stato ne sia la cagione. 13.15.1 Così a Rinaldo mio dirai ancora, 13.15.2 a Ulivieri e tutta nostra corte, 13.15.3 che mi soccorran prima che qua mora, 13.15.4 ché tutti so poi piangerien tal morte». 13.15.5 Terigi si partì sanza dimora; 13.15.6 sella il cavallo ed uscì delle porte 13.15.7 e tanto cavalcò per monte e piano 13.15.8 che giunse ove non era Carlo Mano, 13.16.1 perché e' pensava a Parigi trovarlo, 13.16.2 ma col suo Ganellone era a Pontieri. 13.16.3 Sentì come Rinaldo è fatto Carlo; 13.16.4 a lui n' andava e così a Ulivieri. 13.16.5 Rinaldo, come e' giugneva, a guardarlo 13.16.6 subito pien fu di tristi pensieri, 13.16.7 perché e' piangeva sì miseramente 13.16.8 che in modo alcuno non potea dir niente. 13.17.1 Gridò Rinaldo: «Che è del mio cugino? 13.17.2 Tu debbi certo aver mala novella». 13.17.3 Allor Terigi quanto può, meschino, 13.17.4 a gran fatica in tal modo favella: 13.17.5 «L' amostante di Persia saracino 13.17.6 l' ha incarcerato e guardal Chiarïella, 13.17.7 una sua figlia nobile e gradita, 13.17.8 quale ha promesso campargli la vita. 13.18.1 Questo è perché egli uccise Marcovaldo; 13.18.2 onde il Soldano aveva un negromante, 13.18.3 e che cristian quel fusse intese saldo 13.18.4 che l' avea morto, e fe' con l' amostante 13.18.5 la pace e' patti, il traditor ribaldo, 13.18.6 che fussi preso il buon signor d' Angrante. 13.18.7 La notte tutti a due fumo legati 13.18.8 e in un fondo di torre incarcerati. 13.19.1 Orlando s' accomanda a Carlo Magno, 13.19.2 a te, Rinaldo, ovver santa Corona, 13.19.3 al suo cognato, all' amico, al compagno, 13.19.4 prima che così perda la persona. 13.19.5 Vedi che di sudor tutto mi bagno: 13.19.6 volato son, non come fa chi sprona, 13.19.7 tanto ch' i' son come tu vedi giunto. 13.19.8 Or tu se' savio e 'ntendi il caso appunto». 13.20.1 Alla sua vita tanto afflitto e gramo 13.20.2 non fu Rinaldo quanto a questa volta; 13.20.3 e disse sospirando: «Di' tu, Namo, 13.20.4 ch' io ho già per dolor la mente stolta». 13.20.5 Quel savio vecchio disse: «Noi intendiamo, 13.20.6 s' io ho questa imbasciata ben raccolta, 13.20.7 ch' aiutar ci bisogna Orlando presto: 13.20.8 or ti dirò com' io farei di questo. 13.21.1 Ogn' altro aiuto che lo imperadore 13.21.2 ed Ulivieri, alfin sarebbe vano, 13.21.3 perché qui è la forza e 'l grande amore. 13.21.4 Direi che si mandassi a Carlo Mano 13.21.5 e che ritorni, all' usato, signore 13.21.6 per la salute del popol cristiano; 13.21.7 e ciò che tu vorrai, contento fia; 13.21.8 e voi n' andiate presto in Pagania. 13.22.1 Astolfo sia gonfaloniere eletto, 13.22.2 ché so che Carlo fia contento a quello, 13.22.3 per quel c' ha fatto a lui e a Ricciardetto. 13.22.4 Gan sia sbandito all' usato e ribello». 13.22.5 Rinaldo, appena aveva Namo detto, 13.22.6 che disse: «Così posto sia il suggello». 13.22.7 Così da' paladin fu posto in sodo; 13.22.8 e scrisse un brieve a Carlo in questo modo: 13.23.1 «Perché se' vecchio, io t' ho pur reverenzia, 13.23.2 e 'ncrescemi tu sia sì rimbambito, 13.23.3 ch' a Gan pur creda e la sua frodolenzia, 13.23.4 che mille volte o più t' ha già tradito 13.23.5 sanza trovar l' error suo penitenzia, 13.23.6 e per suo amor di corte m' hai sbandito, 13.23.7 Astolfo e Ricciardetto a mille torti 13.23.8 volesti uccider pe' suoi ma' conforti. 13.24.1 Degno saresti d' ogni contumace; 13.24.2 ma perché mio signor fusti già tanto, 13.24.3 io ti perdono, io fo con teco pace 13.24.4 e 'l tuo pristino imperio giusto e santo 13.24.5 ti rendo e la corona, se ti piace, 13.24.6 e' tuoi baroni e 'l tuo reale ammanto, 13.24.7 la sedia tua, l' antico e degno scetro, 13.24.8 sanza più ricercar del tempo addietro. 13.25.1 Sappi ch' Orlando è preso in Pagania: 13.25.2 vieni a Parigi tuo liberamente; 13.25.3 ed Ulivieri ed io di compagnia 13.25.4 soccorrer lo vogliàn subitamente. 13.25.5 Astolfo tuo gonfalonier qui fia. 13.25.6 Quel traditor non vo' qua per nïente. 13.25.7 Gallerana reina è riservata 13.25.8 come fu sempre e da tutti onorata». 13.26.1 La lettera suggella e manda il messo. 13.26.2 Subito a Carlo Man si rappresenta. 13.26.3 Carlo fu lieto e in ordine s' è messo. 13.26.4 Gan nel suo petto par che assai duol senta. 13.26.5 Tornò a Parigi e 'ncontro venne a esso 13.26.6 tutta la corte, assai di ciò contenta, 13.26.7 e tutti l' abbracciavan lacrimando 13.26.8 e gran lamento si facea d' Orlando. 13.27.1 Quivi piangeva il marchese Ulivieri, 13.27.2 né riveder credea più il suo cognato; 13.27.3 piangeva Astolfo e 'l valoroso Uggieri 13.27.4 e Salamon pareva smemorato; 13.27.5 piangeva Baldovino e Berlinghieri; 13.27.6 ma il savio Namo ognuno ha confortato. 13.27.7 Rinaldo con solenne e degno onore 13.27.8 ripose in sedia il magno imperadore. 13.28.1 Poi misse al suo cavallo il fornimento 13.28.2 ed Ulivier con lui volle partire; 13.28.3 Terigi s' assettava in un momento 13.28.4 e Ricciardetto disse: «Io vo' venire». 13.28.5 Rinaldo, poi che vuol, ne fu contento. 13.28.6 Ognun pur si voleva profferire, 13.28.7 ma 'l prenze non volle altri per compagno: 13.28.8 così si dipartîr da Carlo Magno. 13.29.1 E fecion sopravveste divisate; 13.29.2 e cavalcando per la Spagna, un giorno 13.29.3 il re Marsilio e certe sue brigate 13.29.4 in un bel piano a cavallo scontrorno 13.29.5 e con parole saracine ornate, 13.29.6 come fur presso a lui, lo salutorno. 13.29.7 Disse Marsilio al prenze: «Il tuo cavallo 13.29.8 troppo mi piace, s' a me vuoi donallo. 13.30.1 Questo mattino mi venne in visione 13.30.2 ch' io guadagnavo sì nobil destriere. 13.30.3 Se me lo doni, per lo iddio Macone, 13.30.4 tu mi trarrai fuor d' uno stran pensiere, 13.30.5 cioè di non aver meco quistione: 13.30.6 però fa gentilezza, cavaliere; 13.30.7 ché pur, s' altro rimedio a ciò non veggio, 13.30.8 combatterollo e tu n' andrai col peggio». 13.31.1 Disse Rinaldo: «E' fu già temporale 13.31.2 che si fossi il destrier di chi il sognava: 13.31.3 chi possedeva quella cosa tale, 13.31.4 qual fosse, per quel sogno gliel lasciava; 13.31.5 onde un borghese, non ti dico quale, 13.31.6 un paio di buoi, dormendo, imaginava 13.31.7 d' un suo vicin, che gli teneva cari, 13.31.8 e volevagli pur sanza danari; 13.32.1 anzi voleva pagarlo di sogni. 13.32.2 Colui dicea: "Del mio gli comperai 13.32.3 e così credo ch' a te far bisogni, 13.32.4 se non ch' alfin sanz' essi te n' andrai". 13.32.5 Mentre che par che in tal modo rampogni, 13.32.6 si ragunò dintorno gente assai, 13.32.7 e non sappiendo solver la quistione, 13.32.8 n' andoron di concordia a Salamone. 13.33.1 E Salamone, perch' era sapiente, 13.33.2 con questi due se n' andò sopra un ponte 13.33.3 e fevvi i buoi passar subitamente; 13.33.4 e, poi si volse con allegra fronte 13.33.5 a quel che gli sognò, disse: "Pon mente: 13.33.6 vedi tutte le lor fattezze pronte 13.33.7 laggiù nell' acqua?" (e l' ombra si vedea 13.33.8 di que' buoi che colui sognati avea). 13.34.1 Disse colui: "E' paion proprio i buoi 13.34.2 ch' io vidi". E Salamon rispose, il saggio: 13.34.3 "Tu che sognasti, tò' gli, ché son tuoi; 13.34.4 colui che gli pagò dé' aver vantaggio: 13.34.5 non bisogna sognargli, ché son suoi. 13.34.6 Così sta la bilancia di paraggio". 13.34.7 Così dich' io a te, nota, pagano, 13.34.8 che 'l mio cavallo arai sognato invano. 13.35.1 Se volessi altro dir, del campo piglia; 13.35.2 questo destrier si sia di chi il guadagna». 13.35.3 Il re Marsilio si fe' maraviglia; 13.35.4 disse: «Questo è da bosco e da campagna; 13.35.5 non ho nessun qui tra la mia famiglia 13.35.6 ch' avessi tanto ardir, né in tutta Spagna, 13.35.7 quanto ha costui; e mostra esser uom forte». 13.35.8 Poi gli rispose: «Oltre, io ti sfido a morte». 13.36.1 Rinaldo non istette a parlar troppo: 13.36.2 le redine girò del palafreno, 13.36.3 poi ritornava per dargli d' intoppo: 13.36.4 facea tremare il ciel, non che il terreno, 13.36.5 perché Baiardo non pareva zoppo. 13.36.6 Diceva alcun, di maraviglia pieno: 13.36.7 «Sarebbe questo del cristian concilio, 13.36.8 che così fiero va a trovar Marsilio?». 13.37.1 Quando Marsilio vide il cavaliere, 13.37.2 fra sé diceva: «Aiutami, Macone!», 13.37.3 ché poco val qui contro al suo potere 13.37.4 allegar Trismegisto o vuoi Platone. 13.37.5 La lancia abbassa e pugneva il destriere; 13.37.6 a mezzo il petto di Rinaldo pone, 13.37.7 e benché il colpo fussi ostico e crudo, 13.37.8 ruppesi in pezzi l' aste nello scudo. 13.38.1 Rinaldo alla visiera pose a quello 13.38.2 e fece fuor balzar tante faville 13.38.3 che mai non ne fe' tante Mongibello: 13.38.4 are' quel colpo gittati giù mille; 13.38.5 l' elmo rimbomba e 'ntronava il cervello; 13.38.6 e sanza fare al testo altre postille, 13.38.7 Marsilio rovinò giù dell' arcione; 13.38.8 e fu pur sogno il suo, non visïone. 13.39.1 E disse: «Dimmi, per la tua leanza, 13.39.2 chi tu se', cavalier, per cortesia, 13.39.3 ché mai più vidi a uom tanta possanza». 13.39.4 Disse Rinaldo: «Per la testa mia, 13.39.5 io tel dirò, perch' io non ho dottanza: 13.39.6 non guarderò s' i' sono in Pagania; 13.39.7 sarà quel ch' esser può. Franco pagano, 13.39.8 sappi che 'l signor son da Monte Albano»; 13.40.1 ed alzò la visiera dello elmetto 13.40.2 per dimostrar che non avea paura. 13.40.3 Disse il pagano allor: «Per Macometto, 13.40.4 ogni suo sforzo in te mostrò Natura». 13.40.5 Dicea Rinaldo: «E questo è Ricciardetto; 13.40.6 andian cercando la nostra ventura; 13.40.7 questo è Terigi, d' Orlando scudieri, 13.40.8 e questo è il nostro famoso Ulivieri». 13.41.1 Marsilio guarda questi compagnoni; 13.41.2 disse: «Voi siete così travisati! 13.41.3 Voi mi paresti quattro ragazzoni; 13.41.4 non vi conobbi, in modo siete armati. 13.41.5 Ben posson sicuri ir questi campioni; 13.41.6 e' ci sarà degli altri arreticati 13.41.7 che rimarranno a questa rete, stimo. 13.41.8 Dimmi s' i' son, Rinaldo, stato il primo». 13.42.1 Disse Rinaldo: «Il primo, per mia fé, 13.42.2 da poi che tu domandi, io ti rispondo; 13.42.3 e stato è buon principio un tanto re, 13.42.4 ma qualcun altro ancor sarà il secondo. 13.42.5 Or se tu vuoi il caval ch' io non ti die', 13.42.6 perché tanto il tuo nome suona al mondo, 13.42.7 io tel darò, magnanima Corona»; 13.42.8 e poi soggiunse: «E l' arme e la persona». 13.43.1 Marsilio era uom generoso e discreto; 13.43.2 molto gentil rispose, come saggio: 13.43.3 «Io non son ragazzin d' andarti drieto. 13.43.4 S' io lo togliessi io farei troppo oltraggio, 13.43.5 però che 'l tuo valor non m' è segreto, 13.43.6 ch' io n' ho veduto a questa volta il saggio; 13.43.7 e 'l sogno è ver, ch' acquistato ho il destriere, 13.43.8 poi che mel dài; ma non sognai cadere. 13.44.1 E vo', Rinaldo, una grazia mi faccia: 13.44.2 che meco venga a starti a Siragozza 13.44.3 co' tuo' compagni; e ciò non ti dispiaccia, 13.44.4 benché a te nostra terra parrà sozza, 13.44.5 né creder ch' a Parigi si confaccia, 13.44.6 dove ogni gentilezza si raccozza; 13.44.7 pur qualche giorno ti darò diletto 13.44.8 quant' io potrò, per lo dio Macometto». 13.45.1 Rinaldo disse: «Tanta cortesia 13.45.2 per nessun modo, re, confonder voglio. 13.45.3 Ma s' io t' ho fatto al campo villania, 13.45.4 di questo quanto posso or me ne doglio 13.45.5 e dicone mia colpa o mia pazzia, 13.45.6 ché così far per certo mai non soglio: 13.45.7 non ti conobbi allor, pel mio Gesùe». 13.45.8 Disse il pagan: «Di ciò non parlar piùe; 13.46.1 non ti bisogna di ciò scusa prendere: 13.46.2 usanza è dimostrar la sua prodezza 13.46.3 e sempre non si può di pari offendere. 13.46.4 Bench' io cadessi per la tua fierezza, 13.46.5 io ne volevo in ogni modo scendere». 13.46.6 Rinaldo rise di tal gentilezza, 13.46.7 e disse: «La risposta tua significa 13.46.8 quanto la tua Corona è in sé magnifica». 13.47.1 Rimontò a caval Marsilio allora: 13.47.2 così Rinaldo, perché e' n' era sceso 13.47.3 come colui che' suoi maggiori onora. 13.47.4 Marsilio per la man poi l' ebbe preso, 13.47.5 ed Ulivier volea pigliare ancora, 13.47.6 ma Ulivier s' è scusato e difeso; 13.47.7 e poi che i convenevoli fatti hanno, 13.47.8 inverso Siragozza se ne vanno. 13.48.1 E dismontati al palazzo reale, 13.48.2 Marsilio sempre tenne per la mana 13.48.3 Rinaldo per le scale e per le sale. 13.48.4 La sua figliuola, detta Lucïana, 13.48.5 ch' ogn' altra di bellezza assai prevale, 13.48.6 fecesi incontra benigna ed umana 13.48.7 e salutò Marsilio e' suoi compagni 13.48.8 con atti onesti e grazïosi e magni. 13.49.1 Né prima questa Rinaldo vedea, 13.49.2 che si sentì da uno stral nel core 13.49.3 esser ferito, e con seco dicea: 13.49.4 «Ben m' hai condotto dove vuoi, Amore, 13.49.5 a Siragozza a veder questa iddea, 13.49.6 che più che 'l sol m' abbaglia di splendore»; 13.49.7 e rispondeva al suo gentil saluto 13.49.8 quel che gli parve che fussi dovuto. 13.50.1 Quivi alcun giorni dimorâr contenti. 13.50.2 Non domandar se Cupido gualoppa 13.50.3 di qua, di là con suoi nuovi argomenti; 13.50.4 e la fanciulla serviva di coppa 13.50.5 Rinaldo sempre e' begli occhi lucenti 13.50.6 alcuna volta con esso rintoppa: 13.50.7 or questo è quel che come zolfo o esca 13.50.8 il foco par che rinnalzi ed accresca. 13.51.1 Mentre che sono in tal consolazione, 13.51.2 un messaggiero al re Marsilio venne 13.51.3 e gèttasegli in terra ginocchione 13.51.4 e dice come un gran caso intervenne: 13.51.5 che morte ha cinquecento o più persone 13.51.6 un gran caval co' denti e colle penne, 13.51.7 ch' era sfrenato e fu già di Gisberto, 13.51.8 e pareva un demòn là in un deserto. 13.52.1 «Noi savàn cinquecento cavalieri», 13.52.2 diceva il messo, «e giunti alla montagna 13.52.3 fumo assaliti da questo destrieri: 13.52.4 non si potea fuggir per la campagna; 13.52.5 missesi in mezzo fra' tuoi cavalieri. 13.52.6 Non fu mai lupo arrabbiato né cagna 13.52.7 che così morda e divori ed attosche; 13.52.8 né anco i calci suoi paion di mosche. 13.53.1 Io il vidi, o re Marsilio, rizzar dianzi 13.53.2 ed accostarsi a un pagano appetto 13.53.3 e poi menar delle zampe dinanzi: 13.53.4 che pensi tu, che gli dessi un buffetto 13.53.5 da far cadergli di capo due schianzi? 13.53.6 E' gli schiacciò le cervella e l' elmetto 13.53.7 e balzò il capo più di dieci braccia. 13.53.8 Pensa co' pie' di drieto s' egli schiaccia! 13.54.1 Se dà in quel muro una coppia di calci, 13.54.2 e' farà rovinar questo palagio. 13.54.3 Io feci presto mazzo de' miei salci, 13.54.4 ché lo star quivi mi parve disagio, 13.54.5 però che contro a lui poco arme valci, 13.54.6 tanto superbo par, bravo e malvagio: 13.54.7 sanza pietà mi pareva Brïusse. 13.54.8 Io mi fuggi', ch' attorno andavon busse. 13.55.1 Né credo che vi sia campato un solo; 13.55.2 e 'l tuo nipote vidi morire io, 13.55.3 afflitto, poveretto, con gran duolo». 13.55.4 Quando Marsilio queste cose udìo, 13.55.5 che così tristamente tanto stuolo 13.55.6 vi fussi morto: «O Macon nostro iddio», 13.55.7 dicea piangendo, «come lo consenti, 13.55.8 che così sien distrutte le tue genti? 13.56.1 Questi eran pur, Macon, de' tuo' pagani, 13.56.2 che così morti son, come tu vuoi. 13.56.3 Sares' tu mai d' accordo co' cristiani? 13.56.4 Ma se tu se', che arai tu fatto, poi 13.56.5 che tutti saren morti come cani? 13.56.6 Arai fatti morir gli amici tuoi; 13.56.7 sarai tenuto alfin pur tu crudele, 13.56.8 poi che fia spento il popol tuo fedele». 13.57.1 Rinaldo vide Lucïana bella 13.57.2 dolersi con parole inzuccherate; 13.57.3 verso Marsilio in tal modo favella: 13.57.4 «Manda con meco delle tue brigate 13.57.5 un che m' insegni questa bestia fella. 13.57.6 Non ti doler delle cose passate: 13.57.7 que' che son morti, Iddio gli facci sani. 13.57.8 Vedrai ch' io l' uccidrò con le mie mani. 13.58.1 Tra pazzi e pazzi e bestie e bestia fia, 13.58.2 ché c' è ben di due gambe bestie ancora: 13.58.3 forse a qualcuna uscirà la pazzia». 13.58.4 Il re Marsilio consentì allora, 13.58.5 quantunque far gli parea villania, 13.58.6 ché di Rinaldo suo già s' innamora; 13.58.7 e déttegli alla fine un suo valletto, 13.58.8 ed Ulivier volle ire e Ricciardetto. 13.59.1 Volevalo Marsilio accompagnare. 13.59.2 Rinaldo disse: «Io non voglio altro meco»; 13.59.3 se non che ancor Terigi volle andare, 13.59.4 ché sa ch' egli è suo debito esser seco. 13.59.5 Vedevasi Rinaldo sfavillare 13.59.6 come volea colui ch' è pinto cieco. 13.59.7 Dicea Marsilio: «Io priego il nostro Iddio 13.59.8 che t' accompagni, car Rinaldo mio». 13.60.1 Rinaldo se ne va verso il deserto 13.60.2 e 'l messaggier mostrò dove e' credea 13.60.3 che sia il caval, benché nol sappi certo. 13.60.4 Rinaldo allor di Baiardo scendea. 13.60.5 In questo il gran destrier si fu scoperto, 13.60.6 che già pel bosco sentiti gli avea. 13.60.7 Ma quel pagan, come vide il cavallo, 13.60.8 sopra un gran cerro terminò aspettallo; 13.61.1 ed anco s' arrecò su bene in vetta. 13.61.2 Disse Ulivier: «Per Dio, tu mi par pratico: 13.61.3 a questo modo ogni animal s' aspetta». 13.61.4 Disse il pagano: «Egli è pazzo e lunatico 13.61.5 e so quel che sa far colla zampetta. 13.61.6 Questo è colpo di savio e di grammatico: 13.61.7 saprò me' dire come il fatto è ito 13.61.8 al mio signor: però son qui salito». 13.62.1 Ricciardetto, veggendo il saracino 13.62.2 che come il ghiro s' era inalberato, 13.62.3 diceva: «Esser vorrebbe un orsacchino, 13.62.4 che insin costì t' avessi ritrovato». 13.62.5 Disse il pagan: «Va pure a tuo cammino. 13.62.6 Il giuoco netto piace in ogni lato: 13.62.7 io temo il danno e 'l pentérsi da sezzo; 13.62.8 della vergogna, io mi vi sono avvezzo». 13.63.1 Come Baiardo il caval bravo vede, 13.63.2 non l' arebbon tenuto cento corde: 13.63.3 a guisa di battaglia lo richiede, 13.63.4 corsegli addosso e tempestava e morde, 13.63.5 e l' uno e l' altro si levava in piede: 13.63.6 parean le voglie lor del pari ingorde; 13.63.7 chi anitrisce, chi soffia e chi sbuffa; 13.63.8 e per due ore o più durò la zuffa. 13.64.1 Rinaldo un poco si stette a vedere, 13.64.2 ma poi, veggendo che 'l giuoco pur basta 13.64.3 e che co' morsi quel bravo destriere 13.64.4 e colle zampe Baiardo suo guasta, 13.64.5 dispose fare un colpo a suo piacere, 13.64.6 e mentre che Baiardo pur contasta, 13.64.7 détte a quell' altro un pugno tra gli orecchi 13.64.8 col guanto, tal che non ne vuol parecchi; 13.65.1 e cadde come e' fussi tramortito. 13.65.2 Baiardo si scostò, ch' ebbe paura. 13.65.3 Gran pezzo stette il cavallo stordito, 13.65.4 poi si riebbe e tutto s' assicura. 13.65.5 Rinaldo verso lui presto fu gito, 13.65.6 prese la bocca alla mascella dura, 13.65.7 missegli un morso ch' aveva recato, 13.65.8 e quel cavallo umìle è diventato. 13.66.1 Maravigliossi Terigi e 'l marchese. 13.66.2 Rinaldo sopra Baiardo montava, 13.66.3 né per la briglia il caval bravo prese, 13.66.4 ché come un pecorin drieto gli andava. 13.66.5 E 'l saracin del cerro allora scese, 13.66.6 ch' a gran fatica ancor s' assicurava, 13.66.7 tenendo sempre in cagnesco le ciglia, 13.66.8 e di Rinaldo avea gran maraviglia. 13.67.1 Per Siragozza fuggiva la gente, 13.67.2 come Rinaldo fu drento alla porta; 13.67.3 ma quel caval se n' andava umilmente. 13.67.4 Fu la novella a Marsilio rapporta: 13.67.5 venne a vedere, e la dama piacente 13.67.6 di questo palafren già si conforta 13.67.7 e domandò con parole leggiadre 13.67.8 che gliel donassin Rinaldo e 'l suo padre. 13.68.1 Rinaldo che gli avea donato il core, 13.68.2 ben poteva il caval donare a quella. 13.68.3 Trovossi un fornimento al corridore; 13.68.4 Rinaldo addosso gli pose la sella, 13.68.5 e lasciossi trattar dal suo signore 13.68.6 come si mugne una vil pecorella; 13.68.7 poi vi montava, e preso in man la briglia, 13.68.8 gli fe' far cose che fu maraviglia. 13.69.1 Un giorno ancora insieme dimoraro, 13.69.2 ch' Amor pur lo tenea legato stretto, 13.69.3 poi da Marsilïon s' accomiataro. 13.69.4 Marsilio consentirgli fu costretto, 13.69.5 quando sentì d' Orlando il caso amaro, 13.69.6 e ciò ch' aveva gli offerse in effetto. 13.69.7 La damigella sospirò alquanto 13.69.8 dinanzi al padre, ma poi fe' gran pianto; 13.70.1 ed ogni giorno con seco piangea, 13.70.2 ch' era già tutta di Rinaldo accesa. 13.70.3 Ventimila baron gli profferea, 13.70.4 dovunque egli volessi, a sua difesa; 13.70.5 e ringraziata Rinaldo l' avea 13.70.6 e nel partir molto il suo cor palesa: 13.70.7 «Quando fia tempo», disse, «per lor mando, 13.70.8 e sempre, dama, a te mi raccomando». 13.71.1 Passoron tutta la Spagna costoro, 13.71.2 ed arrivorno un giorno in un gran bosco; 13.71.3 gente trovorno ch' avean gran martoro. 13.71.4 Dicea Rinaldo: «Nessun ci conosco». 13.71.5 A sé chiamava un vecchio barbassoro, 13.71.6 ch' era tutto turbato in viso e fosco, 13.71.7 e disse: «In cortesia, di' la cagione 13.71.8 che voi parete pieni d' afflizione». 13.72.1 Rispose il barbassor: «Tu lo saprai 13.72.2 perché si fanno qui questi lamenti. 13.72.3 Noi siàn d' una città che tu vedrai 13.72.4 tosto, che miglia non c' è lungi venti: 13.72.5 Arma si chiama, come intenderai; 13.72.6 tutti siamo scacciati e mal contenti, 13.72.7 sanza sperar che nulla ci conforti, 13.72.8 se non che insieme piangiam mille torti. 13.73.1 Nostro signor si chiama il re Vergante, 13.73.2 più crudel uom che forse al mondo sia: 13.73.3 non crede in Cristo e meno in Trivicante. 13.73.4 Questo ribaldo per sua tirannia 13.73.5 le nostre figlie ha tolte tutte quante 13.73.6 per isforzarle e noi cacciati via, 13.73.7 ed ogni dì fa dare aspro martìre 13.73.8 a quelle che non voglion consentire». 13.74.1 Rinaldo gli dispiacque tal matera. 13.74.2 Partissi e seguitò la sua giornata, 13.74.3 e lascia il barbassor che si dispera 13.74.4 con l' altra gente così sconsolata. 13.74.5 Alla città s' appressa in su la sera; 13.74.6 verso la porta la briglia ha girata, 13.74.7 e disse: «Andiamo a veder questo fatto: 13.74.8 forse che far si potrebbe un bel tratto». 13.75.1 Giunti alla terra, a un oste n' andorno, 13.75.2 che tutto pien si mostrava d' affanno. 13.75.3 Della cagion del fatto domandorno: 13.75.4 costui contò del lor signor lo 'nganno, 13.75.5 tanto che tutti si maravigliorno, 13.75.6 come sofferto sia questo tiranno. 13.75.7 Venne la cena e furono onorati, 13.75.8 e' lor cavalli e lor ben governati. 13.76.1 Parve a Rinaldo l' oste un uom dabbene 13.76.2 e 'ncrebbegli sentendo una sua figlia 13.76.3 il re Vergante ha tolta a forza e tiene; 13.76.4 e diceva: «Oste, sare' maraviglia 13.76.5 s' io dessi al re Vergante tante pene, 13.76.6 ch' al popol tutto asciugassi le ciglia?». 13.76.7 E cominciava l' oste a confortare, 13.76.8 com' io dirò nel seguente cantare.
CANTO XIV
14.1.1 Padre del cielo e Re dell' universo, 14.1.2 sanza il qual non si muove in aria foglia, 14.1.3 non mi lasciar perduto ire a traverso 14.1.4 mentre ch' ancora è pronta la mia voglia; 14.1.5 poi che tu m' hai, cantando, a verso a verso, 14.1.6 condotto in sino a mezzo della soglia, 14.1.7 con la tua man mi guida a salvamento 14.1.8 insino al porto con tranquillo vento. 14.2.1 L' oste rispose: «Chi la mia vendetta 14.2.2 facessi, adorerei sempre per santo». 14.2.3 Disse Rinaldo: «Domattina aspetta, 14.2.4 e tutti a riposar ci andiamo intanto. 14.2.5 Come fia giorno i destrier nostri assetta: 14.2.6 vedrò s' io dico il vero o s' io mi vanto». 14.2.7 Così Rinaldo se n' andava a letto; 14.2.8 e fece, e rïuscigli, un bel concetto. 14.3.1 La mattina per tempo fu levato. 14.3.2 L' oste i cavalli apparecchiati aveva, 14.3.3 e da costor non volle esser pagato, 14.3.4 ma di sua povertà lor proffereva: 14.3.5 guata Rinaldo ed Ulivieri armato 14.3.6 e molta ammirazion seco prendeva, 14.3.7 ché gli pareva ognun fiero e gagliardo, 14.3.8 e Vegliantin vagheggiava e Baiardo. 14.4.1 Rinaldo se n' andò verso il palazzo; 14.4.2 al re montava il baron valoroso; 14.4.3 era a vederlo tutto il popolazzo. 14.4.4 Quivi sentiva un pianto doloroso 14.4.5 delle donzelle. Il re superbo e pazzo 14.4.6 vide costoro e tutto disdegnoso: 14.4.7 «Chi siete voi», domandava Ulivieri 14.4.8 «così presuntüosi cavalieri?». 14.5.1 Rinaldo gli rispose: «La risposta 14.5.2 farò io per costui che tu domandi». 14.5.3 E poi che presso alla sedia s' accosta, 14.5.4 disse: «Per certo di te fama spandi; 14.5.5 non so come il Ciel facci tanta sosta, 14.5.6 ch' a Belzebù giù in bocca non ti mandi: 14.5.7 della tua tirannia, can traditore, 14.5.8 dieci leghe lontan mi venne odore». 14.6.1 Era la sala piena di pagani; 14.6.2 non gli rispose alcun, ch' avieno sdegno, 14.6.3 e divorato l' arien come cani, 14.6.4 quel signor tristo d' ogni morte degno. 14.6.5 Rinaldo seguitò: «Con le mie mani 14.6.6 per gastigarti sol, Vergante, vegno: 14.6.7 ciriffo sono e per divino effetto 14.6.8 mi manda in questa parte Macometto. 14.7.1 Adultero, sfacciato, reo, ribaldo, 14.7.2 crudo tiranno, iniquo e scelerato, 14.7.3 nato di tristo e di superchio caldo, 14.7.4 non può più il Ciel patir tanto peccato 14.7.5 nel qual tu se' pure ostinato e saldo, 14.7.6 lussurïoso, porco, svergognato, 14.7.7 poltron, gaglioffo, poltoniere e vile, 14.7.8 degno di star col ciacco nel porcile! 14.8.1 Dunque tu porti in testa la corona? 14.8.2 Va mettiti una mitera, ghiottone, 14.8.3 nimico d' ogni legge giusta e buona, 14.8.4 in odio a Dio, al mondo, alle persone. 14.8.5 Ben verrà la saetta, quando e' tuona, 14.8.6 perché e' non paghi il sabbato Macone, 14.8.7 e 'l fuoco etterno rigido e penace, 14.8.8 lupo affamato, perfido, rapace. 14.9.1 Non pensi tu che in Ciel sia più giustizia, 14.9.2 malfusso, ladro, strupatore e mecco, 14.9.3 fornicatore, uom pien d' ogni malizia, 14.9.4 ruffian, briccone e sacrilego e becco? 14.9.5 Non potrebbe scusar la tua tristizia 14.9.6 d' una parola sol la voce d' Ecco: 14.9.7 tener le nobil donne saracine 14.9.8 virgini e 'ntatte per tue concubine! 14.10.1 E batterle ogni dì sì aspramente, 14.10.2 ch' io non so a chi pietà non ne venissi, 14.10.3 s' alcuna pur di lor non ti consente, 14.10.4 e come il centro non s' apre e gli abbissi!». 14.10.5 Vergante uscito parea della mente; 14.10.6 ognun tenea a Rinaldo gli occhi fissi, 14.10.7 e dicean molti: «Costui vien da cielo, 14.10.8 ché ciò che dice, ogni cosa è il Vangelo». 14.11.1 Non sapea che si dir Vergante, e tanto 14.11.2 multiplicò la furia e la tempesta, 14.11.3 che Rinaldo lo prese dall' un canto 14.11.4 e la corona gli strapò di testa 14.11.5 e tutto gli stracciò il reale ammanto; 14.11.6 ognuno stava a veder questa festa; 14.11.7 poi lo portò tra quella gente pazza 14.11.8 e d' un balcon lo gittò in su la piazza. 14.12.1 Tutti color che l' avevon veduto 14.12.2 a gran furore sgomberan la sala, 14.12.3 dicendo: «Da Macon questo è venuto!». 14.12.4 Beato a chi poté trovar la scala! 14.12.5 Rinaldo, come savio uom ed astuto 14.12.6 che le parole e l' opere sue insala, 14.12.7 subito andò dove le damigelle 14.12.8 avea sentite batter, meschinelle; 14.13.1 e vide ch' eran dispogliate ancora 14.13.2 e tutto il dosso vergheggiato aviéno. 14.13.3 Partissi e del palagio usciva fora 14.13.4 e vide il popol d' allegrezza pieno 14.13.5 e come volentier ciascun l' onora, 14.13.6 che tutti reverenzia gli faciéno; 14.13.7 ed accostossi ove era alcun barone; 14.13.8 poi cominciò questa degna orazione: 14.14.1 «Quel vero Iddio che fece prima Adamo, 14.14.2 poi pel peccato suo volle morire, 14.14.3 perché allo 'nferno dannati savamo 14.14.4 (e non si può con ragion contraddire), 14.14.5 benché alcun saracin mi fe' richiamo 14.14.6 del vostro re, qui m' ha fatto venire 14.14.7 per liberar non sol le figlie vostre, 14.14.8 ma perché a gire a lui la via vi mostre. 14.15.1 La qual voi avete per certo smarrita 14.15.2 per lunghi tempi; e Macon falso e rio 14.15.3 conoscerete dopo la partita. 14.15.4 Ma 'l mio Gesù, benigno e giusto Iddio, 14.15.5 per la sua carità ch' è infinita, 14.15.6 perch' egli è grazïoso e santo e pio, 14.15.7 alluminarvi manda e darvi segno 14.15.8 ch' alfin v' aspetta nel suo etterno regno. 14.16.1 Non ha voluto comportar l' oltraggio 14.16.2 che vi faceva il signor vostro a torto: 14.16.3 questo esser debbe a ogni savio un saggio 14.16.4 di sua potenzia, poi ch' io l' ho qui morto 14.16.5 nella presenzia del suo baronaggio: 14.16.6 da Lui sol venne l' aiuto e 'l conforto, 14.16.7 Lui mi diè forza che così facessi 14.16.8 e fe' che ignun non si contrapponessi; 14.17.1 Lui vi spirò, potete intender certo, 14.17.2 ch' alla giustizia dar dovessi loco, 14.17.3 però che troppo l' aveva sofferto; 14.17.4 ed or, per trarvi dello etterno foco, 14.17.5 vuol ch' io vi mostri il vostro errore aperto, 14.17.6 nel qual cresciuti siete a poco a poco. 14.17.7 Però tornate tutti al cristianesimo, 14.17.8 ché non si può in Cielo ir sanza battesimo». 14.18.1 Finite le parole, il popol tutto 14.18.2 cominciava a gridare a una boce: 14.18.3 «Sia benedetto chi il tiranno ha strutto, 14.18.4 ch' è stato a' suoi suggetti tanto atroce! 14.18.5 E poi che dé' seguirne un maggior frutto, 14.18.6 adorian tutti Quel che morì in croce. 14.18.7 Dicci il tuo nome sol, tutti preghiamo, 14.18.8 e poi per le tue man ci battezziamo: 14.19.1 ché poi che morto hai il traditor ribaldo, 14.19.2 vogliam, per sempiterna tua memoria, 14.19.3 un simulacro farti d' oro saldo 14.19.4 dove sia disegnata questa istoria». 14.19.5 Rispose il prenze a tutti: «Io son Rinaldo 14.19.6 da Montalban, che v' ho data vittoria; 14.19.7 ed or v' arreco l' ulivo e la pace 14.19.8 dal mio Gesù, che d' adorar vi piace». 14.20.1 Allora il popol cominciò a gridare: 14.20.2 «Viva Rinaldo, e viva il tuo Gesùe! 14.20.3 Ognun qui t' ha sentito ricordare 14.20.4 già mille volte per le virtù tue». 14.20.5 E così cominciava a battezzare 14.20.6 Rinaldo alcun baron con le man sue; 14.20.7 ognuno a' pie' suoi ginocchion si getta 14.20.8 e 'l primo voleva esser per la fretta. 14.21.1 In pochi dì fur tutti battezzati. 14.21.2 L' albergator che ritenne costoro, 14.21.3 quanto poteva più gli ha ringraziati. 14.21.4 Questa novella sentì il barbassoro 14.21.5 e gli altri, che Rinaldo avea trovati: 14.21.6 alla città venien sanza dimoro; 14.21.7 e 'l barbassoro avea nome Balante, 14.21.8 e molto gaudio avea del re Vergante. 14.22.1 Or chi vedessi quelle damigelle 14.22.2 venirsi a battezzar divotamente 14.22.3 e quanto allegre parevano e belle, 14.22.4 di lor s' innamorrebbe certamente: 14.22.5 elle parien del ciel le prime stelle; 14.22.6 le madre e' padri, ognun n' era gaudente. 14.22.7 Gran festa si facea per la cittade 14.22.8 e le castella e l' altre sue contrade. 14.23.1 Il barbassoro della gran foresta 14.23.2 diceva al prenze: «Quanto ti so grado 14.23.3 ch' a quel ribaldo rompesti la testa! 14.23.4 Sappi ch' i' son di nobil parentado: 14.23.5 ogni cosa sia tuo ch' è in mia potèsta». 14.23.6 Dicea Rinaldo: «Intender mi fia a grado 14.23.7 questa città quanti uomini farebbe 14.23.8 da portare arme qual si converrebbe». 14.24.1 Rispose il barbassoro: «Questa terra 14.24.2 ha sotto sé cinqu' altre gran cittate: 14.24.3 centomila pagan faran da guerra, 14.24.4 sanza molte castella e le villate; 14.24.5 io so che la mia lingua in ciò non erra, 14.24.6 ma tu potrai veder le schiere armate». 14.24.7 Rinaldo, udendo ciò che quel dicea, 14.24.8 a Gesù Cristo grazia ne rendea. 14.25.1 E stettesi alcun giorno a riposare 14.25.2 Rinaldo e' suoi compagni allegramente. 14.25.3 Il popol lo voleva incoronare, 14.25.4 ma Rinaldo non volle per nïente, 14.25.5 dicendo: «In libertà vi vo' lasciare, 14.25.6 e 'l signor vostro è Cristo onnipotente». 14.25.7 Poi, quando un tratto vide tempo ed agio, 14.25.8 il popol ragunò tutto al palagio; 14.26.1 e ragunato, fece parlamento, 14.26.2 e disse: «Or che di voi fidar mi posso, 14.26.3 io vo' che voi intendiate a compimento 14.26.4 per che cagion di Parigi son mosso 14.26.5 e perch' io vivo nel cuor mal contento 14.26.6 d' un peso che mi grava insino all' osso: 14.26.7 l' amostante di Persia ha imprigionato 14.26.8 il mio cugin ch' Orlando è nominato. 14.27.1 Vorrei che mi facessi compagnia, 14.27.2 tanto ch' Orlando mio si rïavessi». 14.27.3 Poi che finita fu la diceria, 14.27.4 fu commesso a Balante che dicessi 14.27.5 e che per parte della baronia 14.27.6 ciò che chiedea Rinaldo gli offeressi. 14.27.7 Allor Balante ritto si levòe 14.27.8 e come savio a parlar cominciòe: 14.28.1 «Rinaldo poi che liberati ci hai 14.28.2 da Macon, da Vergante e dallo 'nferno, 14.28.3 non pensi tu che noi siàn tutti omai 14.28.4 sempre tuoi servi e schiavi in sempiterno? 14.28.5 Ciò che domandi, a tuo piacere arai, 14.28.6 ed ora e sempre, vivendo in etterno. 14.28.7 Faccisi tosto come vuoi la 'mpresa, 14.28.8 ché di tal caso a tutti assai ne pesa». 14.29.1 Rinaldo ringraziava tutti quanti; 14.29.2 e poi per tutti i paesi n' andava 14.29.3 subitamente messaggieri e fanti 14.29.4 e molta gente tosto s' ordinava. 14.29.5 Vennono a corte a Rinaldo davanti: 14.29.6 in men d' un mese vi si raccozzava 14.29.7 novantamila cavalieri armati 14.29.8 e tutti in guerra ben disciplinati. 14.30.1 E poi vi venne due giganti fieri 14.30.2 con diecimila armati in sull' arcione, 14.30.3 in punto ben di ciò che fa mestieri, 14.30.4 che rinnegato avien tutti Macone; 14.30.5 e servivon Rinaldo volentieri 14.30.6 l' uno e l' altro gigante o torrïone; 14.30.7 de' quali aveva l' un nome Corante 14.30.8 e l' altro s' appellava Lïorgante. 14.31.1 Costui che molto amò già il suo signore, 14.31.2 poi che vide Rinaldo che l' ha morto, 14.31.3 non poté far non si turbassi in core, 14.31.4 e disse con Balante: «E' mori a torto; 14.31.5 e perché io fui suo amico e servidore, 14.31.6 malvolentier questo oltraggio comporto, 14.31.7 né posso far ch' i' non ne pigli sdegno. 14.31.8 Per la mia nuova fé, con voi non vegno». 14.32.1 Disse Rinaldo: «E' sarà forse il vero 14.32.2 che meco non verrai, come tu hai detto, 14.32.3 e morto resterai, gigante fero, 14.32.4 ché tu non credi in Cristo o in Macometto». 14.32.5 Era il gigante superbo e leggiero, 14.32.6 e disse: «S' io ti piglio pel ciuffetto 14.32.7 io ti farò sentir ch' io son gigante 14.32.8 e forse vendicato fia Vergante». 14.33.1 La poca pazïenzia s' accozzòe 14.33.2 di Rinaldo e 'l gigante appunto bene: 14.33.3 Rinaldo la sua spada fuor tiròe 14.33.4 ed una punta crivellando viene, 14.33.5 tanto che in mezzo il petto gliel cacciòe 14.33.6 e rïuscì di drieto per le rene; 14.33.7 né poté Lïorgante alzar la mazza, 14.33.8 ché come un pollo morto giù stramazza, 14.34.1 e parve che cadessi una gran torre. 14.34.2 La gente corse a sì fatto romore 14.34.3 e domandava ognun che quivi corre: 14.34.4 «Che vuol dir questo?», e 'nteso poi il tinore, 14.34.5 dicevan tutti: «E' non vi si può apporre, 14.34.6 poi che Vergante amava, il traditore, 14.34.7 e dicea che fu a torto il dì ammazzato». 14.34.8 Così Rinaldo assai fu commendato. 14.35.1 Poi col consiglio del savio Balante 14.35.2 Rinaldo a Siragozza un messo manda 14.35.3 a Lucïana famosa e prestante, 14.35.4 e quanto più potea si raccomanda 14.35.5 che venga presto con sue gente avante 14.35.6 e di tal cosa romor non ispanda; 14.35.7 che si ricordi quel ch' ella ha promesso. 14.35.8 E in pochi giorni compariva il messo. 14.36.1 E Lucïana il vide volentieri, 14.36.2 e disse al padre quel che scrive il prenze. 14.36.3 Disse Marsilio: «Che' tuoi cavalieri 14.36.4 tu metta in punto e tutte tue potenze; 14.36.5 ch' io arò sempre in tutti i miei pensieri 14.36.6 Rinaldo nostro e sue magnificenze: 14.36.7 troppo mi piacquon l' opre sue leggiadre». 14.36.8 E così in punto si misson le squadre. 14.37.1 Diceva Lucïana: «Io voglio ancora 14.37.2 che mi conceda che con essi vada; 14.37.3 e se per me il tuo sangue non si onora, 14.37.4 non mi lasciar mai più portare spada; 14.37.5 ma questa è quella volta che rinflora». 14.37.6 Disse Marsilio: «Fa come t' aggrada, 14.37.7 pur che e' si faccia piacere a Rinaldo, 14.37.8 ché di servirlo son più di te caldo». 14.38.1 Diceva la fanciulla a Balugante: 14.38.2 «O Balugante, io vo' che meco vegna 14.38.3 con questa gente ch' io meno in Levante, 14.38.4 acciò che sia quest' opera più degna». 14.38.5 Egli rispose: «Pel mio Trevicante, 14.38.6 volentier ne verrò sotto tua insegna». 14.38.7 Così furno ordinati prestamente 14.38.8 ventimila a caval di buona gente. 14.39.1 Così la dama da Marsilïone 14.39.2 si dipartì co' cavalieri armati, 14.39.3 e per insegna nel suo gonfalone 14.39.4 eron due cuori insieme incatenati; 14.39.5 e portò seco un ricco padiglione, 14.39.6 del qual saranno assai maravigliati, 14.39.7 ché non si vide mai simile a quello, 14.39.8 tanto era lavorato ricco e bello. 14.40.1 E 'n pochi giorni volava la fama 14.40.2 al prenze, come e' vien la damigella: 14.40.3 subitamente molti baron chiama 14.40.4 e fece i principal montare in sella 14.40.5 e così incontro n' andorno alla dama. 14.40.6 Rinaldo, come appariva la stella, 14.40.7 dicea: «Rinato è Cristo veramente, 14.40.8 ché apparita è la stella in orïente». 14.41.1 Giunse la donna e 'n terra è dismontata: 14.41.2 della qual cosa Rinaldo si duole, 14.41.3 ché la sua gentilezza è superata; 14.41.4 dismonta presto e con destre parole 14.41.5 si scusa e parte la fanciulla guata, 14.41.6 come sta fissa l' aquila nel sole; 14.41.7 e dé' pensar che la dama il saluta 14.41.8 e ch' e' rispose: «Tu sia ben venuta». 14.42.1 Rimontati a caval, tutti n' andorno 14.42.2 nella città con festa e con onore; 14.42.3 e poi ch' al gran palagio dismontorno, 14.42.4 disse la dama: «O mio caro signore, 14.42.5 io t' ho arrecato un padiglione adorno, 14.42.6 il qual sempre terrai per lo mio amore: 14.42.7 con le sue mani l' ha fatto Luciana 14.42.8 contesto d' oro e seta sorïana». 14.43.1 E fecelo spiegare in sua presenzia. 14.43.2 Quando Rinaldo il padiglion vedea, 14.43.3 maravigliossi di tanta eccellenzia, 14.43.4 e disse: «Certo, io non so quale iddea 14.43.5 avessi fatto tal magnificenzia, 14.43.6 se fussi Palla»; e grazia gli rendea, 14.43.7 dicendo: «Per tuo amor tal padiglione 14.43.8 sempre terrò, ché così vuol ragione». 14.44.1 Egli era in questo modo divisato 14.44.2 (in su la sala magna fu disteso): 14.44.3 in quattro parte, ov' era figurato 14.44.4 quattro alimenti; e 'l primo parea acceso, 14.44.5 ch' era per modo ad arte lavorato 14.44.6 che si sare' per vero fuoco inteso, 14.44.7 pien di faville e raggi fiammeggianti, 14.44.8 ch' ognuno abbaglia che gli sta davanti. 14.45.1 Quivi eran certi carbonchi e rubini 14.45.2 che campeggiavan ben con quel colore, 14.45.3 certi balasci e granati sì fini 14.45.4 che in ogni parte rendeva splendore; 14.45.5 quivi eran cherubini e serafini, 14.45.6 come è nel foco dello etterno amore; 14.45.7 quivi è la salamandra ancor nel foco, 14.45.8 che si godea contenta in festa e 'n gioco. 14.46.1 Nella seconda parte è l' aire puro, 14.46.2 azurro tutto, e 'l ciel con ogni stella, 14.46.3 la luna e 'l sole e Venere e Mercuro, 14.46.4 e Giove appresso e Vulcan che martella, 14.46.5 Saturno e Marte in aspetto più duro, 14.46.6 dodici segni ed ogni cosa bella, 14.46.7 che tutto non è tempo a raccontare. 14.46.8 Poi gli uccèi sotto si vedean volare. 14.47.1 L' aquila in alto con sue rote andava, 14.47.2 guardando fiso il sol com' ella è avvezza, 14.47.3 tanto che 'l sol le penne gli abbraciava 14.47.4 e rovinava in mar giù dell' altezza; 14.47.5 quivi di nuove penne s' adornava 14.47.6 e riprendeva poi sua giovinezza. 14.47.7 E la nuova fenice, come suole, 14.47.8 portava il nido alla casa del sole; 14.48.1 ed avea tolto incenso e mirra prima 14.48.2 e cassia e nardo e balsamo ed amomo, 14.48.3 ed arsa e poi rinata in su la cima. 14.48.4 Quivi è il falcon salvatico e quel domo, 14.48.5 e l' un par che' colombi molto opprima, 14.48.6 e l' altro fa con l' aghiron giù il tomo. 14.48.7 Quivi è l' astor col fagiano, e 'l terzuolo 14.48.8 che drieto alla pernice studia il volo. 14.49.1 Quivi era lo sparvier, quivi la gazza, 14.49.2 che par che si volessi inalberare, 14.49.3 e mentre che fuggìa forte schiamazza; 14.49.4 quivi è l' allodoletta a volteggiare, 14.49.5 e drieto il suo nimico che l' ammazza; 14.49.6 e lo smeriglio si vede squillare 14.49.7 di cielo in terra, e la rondine ha innanzi, 14.49.8 e par che l' uno all' altro poco avanzi. 14.50.1 Quivi si vede i gru volare a schiera 14.50.2 e quel che va dinanzi par che gridi; 14.50.3 e l' oche han fatto alla fila bandiera, 14.50.4 e come questi, par che l' una guidi. 14.50.5 Quivi è la tortoletta a primavera, 14.50.6 e par che 'n verdi rami non s' annidi, 14.50.7 più non s' allegri e più non s' accompagni 14.50.8 e sol nell' acqua torbida si bagni. 14.51.1 Quivi si cava il pellican del petto 14.51.2 il sangue e rende la vita a' suoi figli; 14.51.3 èvvi l' ostardo e la starna, in sospetto 14.51.4 ch' ogni uccel che la vede non la pigli; 14.51.5 e 'l nibbio si vagheggia a suo diletto 14.51.6 a ogni mosca chiudendo gli artigli; 14.51.7 e gira l' avoltoio e l' abuzzago, 14.51.8 e 'l gheppio molto del vento par vago. 14.52.1 Ed anco il milïon si va aggirando, 14.52.2 e la ghiandaia va faccendo festa, 14.52.3 e la gazza marina vien gridando 14.52.4 e scende in basso con molta tempesta; 14.52.5 e la cutretta la coda menando 14.52.6 si vede, e rizza la pupa la cresta; 14.52.7 quivi si pasce di sogni il moscardo 14.52.8 perché e' non è come il fratel gagliardo. 14.53.1 Il picchio v' era, e va volando a scosse; 14.53.2 che 'l comperò tre lire, è poco, un besso, 14.53.3 perché e' pensò ch' un pappagallo fosse: 14.53.4 mandollo a Corsignan, poi non fu desso, 14.53.5 tanto che Siena ha ancor le gote rosse. 14.53.6 Quivi è il rigogoletto, e 'l fico appresso; 14.53.7 e 'l pappagallo, quel che è daddovero, 14.53.8 ed èvvi il verde e 'l rosso e 'l bianco e 'l nero. 14.54.1 Gli stornelletti in frotta se ne vanno 14.54.2 e tutti quanti in becco hanno l' uliva; 14.54.3 le mulacchie un tumulto in aria fanno; 14.54.4 la passer v' è, maliziosa e cattiva, 14.54.5 e par sol si diletti di far danno; 14.54.6 e 'l corbo, come già dell' arca usciva; 14.54.7 èvvi il fatappio ed èvvi la cornacchia 14.54.8 che garre drieto agli altri uccelli e gracchia. 14.55.1 Quivi superbo si mostra il pagone 14.55.2 e grida come gli occhi in terra abbassa; 14.55.3 garzetto e l' anitrella e 'l grande ocione; 14.55.4 quivi la quaglia, che pareva lassa, 14.55.5 volando d' una in altra regïone; 14.55.6 quivi è l' oca marina che 'l mar passa; 14.55.7 l' anitra bianca e 'l maragon calarsi 14.55.8 parea, che in giù volassin per tuffarsi. 14.56.1 L' acceggia la cicogna e 'l pagolino, 14.56.2 la gallinella con variate piume, 14.56.3 l' uccel santamaria v' era e 'l piombino; 14.56.4 e 'l bianco cigno, che dorme in sul fiume, 14.56.5 parea che fussi alla morte vicino, 14.56.6 però cantassi come è suo costume; 14.56.7 quivi col gozzo e col gran becco aguzzo 14.56.8 si vedea l' anitroccolo e lo struzzo; 14.57.1 baràttole, germani e farciglioni, 14.57.2 altri uccèi d' acqua, i' non saprei dir tanti; 14.57.3 certi ugelletti che si dice alcioni, 14.57.4 che fanno al mar sentir lor nidi e canti; 14.57.5 altri uccellacci chiamati griccioni: 14.57.6 lungo sarebbe a contar tutti quanti, 14.57.7 che stan per fiumi e per paduli e laghi, 14.57.8 perché de' pesci e dell' acqua son vaghi; 14.58.1 e 'l marin tordo e 'l bottaccio e 'l sassello, 14.58.2 la merla nera e la merla acquaiuola, 14.58.3 poi la tordela e 'l frusone e 'l fanello, 14.58.4 e il lusignuol c' ha sì dolce la gola; 14.58.5 e 'l zigolo e 'l bravieri e 'l montanello, 14.58.6 avelia e capitorza e sepaiuola, 14.58.7 pincione e niteragno e pettirosso, 14.58.8 e 'l raperugiol, che mai intender posso. 14.59.1 Quivi era la calandra e 'l calderino 14.59.2 e 'l monaco, che è tutto rosso e nero, 14.59.3 e 'l calenzuol dorato e il lucherino 14.59.4 e l' ortolano e 'l beccafico vero; 14.59.5 insino al re delle siepe piccino, 14.59.6 la cingallegra, il luì, il capinero, 14.59.7 e pispol, codirosso e codilungo, 14.59.8 ed un uccel che suol beccare il fungo. 14.60.1 Rondoni e balestrucci eran per l' aria; 14.60.2 poi in altra parte si vedea soletta 14.60.3 la passer penserosa e solitaria, 14.60.4 che sol con seco starsi si diletta, 14.60.5 a tutte l' altre nature contraria. 14.60.6 Èvvi il cuculio con sua malizietta, 14.60.7 che mette l' uova sue drento alla buca 14.60.8 della sua balia che è detta curuca. 14.61.1 E 'l pipistrello faceva stran volo; 14.61.2 e degli uccèi notturni sbandeggiati, 14.61.3 l' allocco, il barbagianni e l' assïuolo, 14.61.4 civetta e gufo e gli altri sventurati, 14.61.5 non ne mancava al padiglione un solo 14.61.6 di que' che fur nell' arca numerati. 14.61.7 Ultimamente v' è il cameleone, 14.61.8 bench' alcun dice vi fussi il grifone. 14.62.1 Vedeasi in mezzo rilucente e bella 14.62.2 nella sua sedia Giunon coronata, 14.62.3 e Deiopeia e l' altre intorno a quella, 14.62.4 e molto dalle ninfe era onorata. 14.62.5 Eol parea che tentassi procella 14.62.6 e che picchiassi la porta serrata, 14.62.7 e Noto ed Aquilon già fuori usciéno, 14.62.8 ed Orïon d' ogni tempesta pieno. 14.63.1 Poi si vedeva Dedalo, che 'l figlio 14.63.2 avea smarrito e batteasi la fronte, 14.63.3 ché non credette al suo savio consiglio; 14.63.4 vedesi il curro abandonar Fetonte 14.63.5 e 'l fero scorpio mostrargli l' artiglio, 14.63.6 e come e' par che in basso giù dismonte, 14.63.7 e la terra apre per l' ardor la bocca 14.63.8 e Giove il fulminava della ròcca. 14.64.1 La terza parte è figurata al mare: 14.64.2 quivi si vede scoprir la balena 14.64.3 e far talvolta navili affondare; 14.64.4 e dolcemente cantar la serena, 14.64.5 e' navicanti ha fatti addormentare; 14.64.6 il dalfin v' è che mostrava la schiena, 14.64.7 e par ch' a' marinai con questo insegni 14.64.8 che si provegghin di salvar lor legni. 14.65.1 Il marin vecchio fuor dell' acqua uscìa 14.65.2 e 'l pesce rondin si vedea volare, 14.65.3 ma il pesce tordo così non facìa; 14.65.4 vedeasi il cancro l' ostrica ingannare, 14.65.5 e come il fuscelletto in bocca avia, 14.65.6 e poi che quella vedeva allargare, 14.65.7 e' lo metteva nel fesso del guscio 14.65.8 e poi v' entrava a mangiarla per l' uscio; 14.66.1 raggiata e rombo, occhiata e pescecane, 14.66.2 la triglia, il ragno e 'l corvallo e 'l salmone, 14.66.3 lo scòrpin colle punte aspre e villane, 14.66.4 ligusta e soglia, orata e storïone, 14.66.5 e 'l polpo colle membra così strane, 14.66.6 e 'l muggin colla trota e col carpione, 14.66.7 gambero e nicchio e calcinello e seppia 14.66.8 e sgombero e morena e scarza e cheppia. 14.67.1 E' tonni si vedien pigliare a schiere, 14.67.2 e cornioletti e lamprede e sardelle 14.67.3 ed altri pesci di tante maniere 14.67.4 che dir non puossi con cento favelle, 14.67.5 per fiumi e laghi e diverse peschiere, 14.67.6 però che son più i pesci che le stelle; 14.67.7 anguille e lucci e tinche e pesci persi 14.67.8 pensa che quivi potevon vedersi, 14.68.1 e che vi fussi boncio, e barbio, e lasca. 14.68.2 Alefe finalmente v' era scorto, 14.68.3 e come sol dell' acqua quel si pasca 14.68.4 e tratto fuor di quella parea morto. 14.68.5 Vedevasi la manna che giù casca 14.68.6 e 'l pesce per pigliarla stare accorto; 14.68.7 e come il pescator molto s' affanni 14.68.8 con rete ed esca e con mille altri inganni. 14.69.1 Poi si vedea Nettunno col tridente 14.69.2 guardar con atti ammirativi e schifi, 14.69.3 quando prima Argo nel suo regno sente, 14.69.4 che lo voleva a Colchi guidar Tifi; 14.69.5 Scilla abbaiar si sentia crudelmente, 14.69.6 e' mostri suoi digrignavano i grifi; 14.69.7 vedeasi Teti e vedevasi Ulisse, 14.69.8 come più là che' segni d' Ercol gisse; 14.70.1 Cimoto e Trìton placar la tempesta; 14.70.2 Glaüco poi si vedeva ondeggiare; 14.70.3 Èssaco afflitto con molta molesta 14.70.4 cercando Esperia ancor sotto acqua andare; 14.70.5 talvolta Galatea fuor trar la testa 14.70.6 che fe' già Polifemo innamorare; 14.70.7 notavan per lo mar con ambo mane 14.70.8 converse in ninfe le nave troiane. 14.71.1 Poi si vedeva nave in quantitate 14.71.2 gir sopra l' acqua e molti legni strani: 14.71.3 balenier, grippi e galeazze armate 14.71.4 e brigantin, carovelle a marrani, 14.71.5 lïuti, saettie, gonde spalmate; 14.71.6 e sopra fuste menarsi le mani; 14.71.7 battelli e paliscarmi e schifi e barche, 14.71.8 d' uomini e merce e varie cose carche. 14.72.1 L' ultima parte toccava alla terra: 14.72.2 quivi si vede tutte l' erbe e piante, 14.72.3 e come il globo si ristrigne e serra, 14.72.4 e le città famose tutte quante, 14.72.5 e gli animali, e come ciascuno erra 14.72.6 chi qua, chi là per Ponente e Levante, 14.72.7 per Mezzogiorno e chi per Tramontana, 14.72.8 ogni fera dimestica e silvana. 14.73.1 Il lïofante parea molto grande, 14.73.2 calloso e nero e dinanzi d' un pezzo, 14.73.3 e come quegli orecchi larghi spande 14.73.4 e stende il grifo lungo, ch' egli ha a vezzo 14.73.5 pigliar con esso tutte le vivande, 14.73.6 e nol potea toccar se non un ghezzo; 14.73.7 fuor della bocca gli uscivan due zanne 14.73.8 ch' eron d' avorio e lunghe ben sei spanne. 14.74.1 Èvvi il leone, e 'l dippo gli va drieto; 14.74.2 èvvi il caval famoso sanza freno, 14.74.3 e l' asinello, e 'l bue sì mansüeto, 14.74.4 e 'l mul che tutto par di vizi pieno. 14.74.5 Vedevasi il castor molto discreto, 14.74.6 che de' suoi danni eletto aveva il meno, 14.74.7 e strappasi le membra genitale, 14.74.8 veggendo il cacciator, per manco male. 14.75.1 Il leopardo pareva sdegnato, 14.75.2 perché e' non prese in tre salti la preda; 14.75.3 e 'l lïocorno è in grembo addormentato 14.75.4 d' una fanciulla e par ch' egli conceda 14.75.5 esser da questa tocco e pettinato; 14.75.6 ma non si fidi all' acqua e non gli creda 14.75.7 se non vi mette il corno prima drento, 14.75.8 e se quel suda sta a vedere attento. 14.76.1 Tutto bizzarro e pien di furia l' orso, 14.76.2 e 'l lupo fuor del bosco svergognato, 14.76.3 gridato dalla gente e da' can morso, 14.76.4 e 'l porco che nel fango è imbrodolato; 14.76.5 quiv' era il cavrïuol che molto ha corso 14.76.6 e poi s' è posto a ber tutto affannato, 14.76.7 e 'l cervio, che 'l pastor che canta aspetta, 14.76.8 insin che l' altro intanto lo saetta, 14.77.1 e 'l bufol che ne va preso pel naso, 14.77.2 e la capretta e l' umil pecorella 14.77.3 ch' avea le poppe munte e 'l dosso raso; 14.77.4 la lepre paürosa e meschinella 14.77.5 par che si fugga, temendo ogni caso; 14.77.6 quivi era il dromedario e la cammella, 14.77.7 che collo scrigno, mansüeta e doma, 14.77.8 lasciava ginocchion porsi la soma. 14.78.1 La volpe maliziosa era a vedere, 14.78.2 e 'l can pareva fedele e leale; 14.78.3 èvvi il coniglio e scherza a suo piacere; 14.78.4 molto sentacchio pareva il cinghiale; 14.78.5 poi si vedeva la damma e 'l cerviere, 14.78.6 che drieto al monte scorgea l' animale; 14.78.7 quivi era il tasso porco e 'l tasso cane, 14.78.8 che si dormien per le lor buche o tane; 14.79.1 e lo spinoso e l' istrice pennuto, 14.79.2 e sopra il bucolin del topo, il gatto 14.79.3 con molta pazïenza, come astuto, 14.79.4 tanto che netto rïuscissi il tratto: 14.79.5 bevero e 'l ghir sonnolente e perduto; 14.79.6 e puzzola e faina e lo scoiatto; 14.79.7 èvvi la lontra e va cercando il pesce, 14.79.8 ed or sott' acqua ed or sopra rïesce; 14.80.1 gattomammon, bertuccia e babbuïno, 14.80.2 mufo, camoscio, moscado e zibetto, 14.80.3 la donnoletta e 'l pulito ermellino 14.80.4 che parea tutto bianco e puro e netto; 14.80.5 la martora si sta col zibellino; 14.80.6 eravi il vaio e stavasi soletto, 14.80.7 e molto bello e candido il lattizio, 14.80.8 ed altre fiere poi piene di vizio: 14.81.1 la lonza maculata e la pantera, 14.81.2 e 'l drago ch' avea morto il lïofante, 14.81.3 e nel cadergli addosso quella fera 14.81.4 aveva ucciso lui, come ignorante 14.81.5 che del futuro accorto già non s' era; 14.81.6 èvvi il serpente, superbo, arrogante, 14.81.7 che fiammeggiava fuoco per la bocca 14.81.8 e col suo fiato attosca ciò che tocca. 14.82.1 E 'l coccodrillo avea l' uom prima morto, 14.82.2 poi lo piangeva, pien d' inganni e froda; 14.82.3 e 'l tir, ch' avea lo 'ncantatore scorto, 14.82.4 acciò che le parole sue non oda, 14.82.5 aveva l' uno orecchio in terra porto 14.82.6 e l' altro s' ha turato con la coda. 14.82.7 Poi si vedea col fero sguardo e fischio 14.82.8 uccider chi il guardava il bavalischio; 14.83.1 con sette capi l' idra e la cerastra, 14.83.2 la vipera scoppiar nel partorire; 14.83.3 la serpe si vedea prudente e mastra 14.83.4 tra sasso e sasso della scoglia uscire; 14.83.5 l' aspido sordo, freddo più che lastra, 14.83.6 che con la coda voleva ferire; 14.83.7 la biscia, la cicigna e poi il ramarro, 14.83.8 e molt' altri serpenti ch' io non narro. 14.84.1 Ienna vediesi della sepultura 14.84.2 cavare i morti rigida e feroce, 14.84.3 la qual si dice, chi v' ha posto cura, 14.84.4 ch' ella sa contraffar l' umana voce; 14.84.5 la cientro colla faccia orrida e scura, 14.84.6 e iacul, tanto nel corso veloce, 14.84.7 e la farea crudel che per Libia erra: 14.84.8 l' ultima cosa è la talpa sotterra. 14.85.1 Poi si vedeva andar pel mondo errando 14.85.2 Ceres dolente, misera e meschina 14.85.3 e in ogni parte venìa domandando 14.85.4 s' alcun veduto avessi Proserpìna, 14.85.5 dicendo: «Io l' ho perduta, e non so quando». 14.85.6 E la fanciulla bella e peregrina 14.85.7 vedevasi di rose e vïolette 14.85.8 contesser vaghe e gentil grillandette; 14.86.1 poi si vedea Pluton che la rapia. 14.86.2 E così stava il padiglione adorno; 14.86.3 e' carbonchi e le gemme ch' egli avia 14.86.4 facean d' oscura notte parer giorno, 14.86.5 tal che sì bel mai più vide Soria: 14.86.6 trecento passi o più girava intorno; 14.86.7 le corde aveva e gli altri fornimenti 14.86.8 di seta e d' oro e più che 'l sol lucenti. 14.87.1 Non si potea saziar di mirar fiso 14.87.2 Rinaldo il padiglion; poi disse: «Certo 14.87.3 questo fe' Lucïana in paradiso, 14.87.4 non fu già Filomena in un deserto: 14.87.5 né mai sarà il mio cor da lei diviso. 14.87.6 E so che per me stesso ciò non merto; 14.87.7 ma minor dono e di manco eccellenzia 14.87.8 non si convien già a tua magnificenzia. 14.88.1 Questo sempre terrò per lo tuo amore; 14.88.2 questo terrò sopra ogni cosa degno; 14.88.3 questo terrò con singulare onore; 14.88.4 questo terrò di tue virtù per segno; 14.88.5 questo terrò ch' albergherà il mio core; 14.88.6 questo terrò, perché del tuo sia il pegno; 14.88.7 questo terrò vivendo in sempiterno; 14.88.8 questo terrò poi in cielo o nello inferno». 14.89.1 Disse la dama: «Ascolta quel ch' io dico: 14.89.2 io ti vorrei poter donare il sole, 14.89.3 e non sare' bastante a tanto amico; 14.89.4 il tuo cor generoso, come suole, 14.89.5 si mostra pur magnalmo al modo antico. 14.89.6 Ma intender, chi l' ha fatto, il ver si vuole: 14.89.7 s' io dissi Lucïana, io presi errore; 14.89.8 con le sue proprie man l' ha fatto Amore». 14.90.1 Or qual sare' quel cor qui d' adamante, 14.90.2 di pòrfiro o dïaspro o altra petra, 14.90.3 che non s' aprissi e mutassi sembiante? 14.90.4 E' traboccò giù l' arco e la faretra 14.90.5 e le saette d' Amor tutte quante. 14.90.6 Volea pur dir (ma la voce s' arretra) 14.90.7 Rinaldo qualche cosa alla donzella; 14.90.8 ma non poté, ché perdé la favella. 14.91.1 Ben s' accorse colei, ch' era pur saggia, 14.91.2 che per soperchio amor non rispondessi, 14.91.3 e disse: «Sarei io tanto selvaggia 14.91.4 ch' a così degno amante non piacessi, 14.91.5 purché mai tempo e luogo e modo accaggia? 14.91.6 E qual sare' colei che nol facessi, 14.91.7 salvando sempre e l' onore e la fama? 14.91.8 E 'ngrato è quel che non ama chi l' ama». 14.92.1 Rinaldo ringraziò pur finalmente 14.92.2 delle parole grate ch' avea dette 14.92.3 ultimamente la donna piacente, 14.92.4 bench' egli avessi al cor mille saette. 14.92.5 Fu commendato da tutta la gente 14.92.6 il padiglione, e 'n camera si mette. 14.92.7 E cominciossi a trattar molte cose, 14.92.8 che fìen nell' altro dir, maravigliose.
CANTO XV
15.1.1 Benigna Maestà, Vita superna 15.1.2 ch' allumi questo e quell' altro emispero, 15.1.3 principio d' ogni cosa santa etterna, 15.1.4 donami grazia che nel giusto impero 15.1.5 a' tuoi pie' santi l' anima discerna 15.1.6 tanto ch' io riconosca il falso e 'l vero, 15.1.7 e 'nsino al fine il mio debole ingegno 15.1.8 ti priego aiuti, se 'l mio priego è degno. 15.2.1 Fecion consiglio Rinaldo e Balante 15.2.2 che si movessi la gente cristiana 15.2.3 e che s' andassi a trovar l' amostante; 15.2.4 e così confermava Lucïana. 15.2.5 Fu la novella in Persia in poco stante 15.2.6 che ne veniva gran turba pagana, 15.2.7 e l' amostante ancor non sapea scorto 15.2.8 che gente fussi e che Vergante è morto. 15.3.1 Partîrsi dunque centoventimila 15.3.2 di gente valorosa e fiera e magna, 15.3.3 per quel che l' aütor nostro compila, 15.3.4 con que' che Lucïana avea di Spagna; 15.3.5 né creder ch' egli andassino alla fila: 15.3.6 coprieno i monti, il piano e la campagna, 15.3.7 tanto che sono in Persia capitati 15.3.8 e presso alla città tutti accampati. 15.4.1 Rinaldo, che dì e notte non soggiorna 15.4.2 per rïavere il suo cugin perfetto, 15.4.3 poi ch' attendata fu la gente adorna, 15.4.4 all' amostante mandò Ricciardetto, 15.4.5 dicendo: «A lui va presto e qui ritorna 15.4.6 con la risposta, e conchiudi in effetto 15.4.7 ch' a corpo a corpo, oppur campal battaglia, 15.4.8 subito fuor ne venghi alla schermaglia». 15.5.1 E Ricciardetto andò come e' gl' impose 15.5.2 e fece all' amostante la 'mbasciata. 15.5.3 Il qual molto superbo a lui rispose 15.5.4 che non sa chi si sia questa brigata, 15.5.5 e molta maraviglia ha di tal cose; 15.5.6 che la Corona sua, sempre onorata, 15.5.7 combatter non è usa mai in Levante 15.5.8 con qualche vile arcaito o amirante: 15.6.1 che truovi uom simigliante a sua Corona 15.6.2 e poi verrà di fuor, comunche e' vuole, 15.6.3 a corpo a corpo provar sua persona; 15.6.4 ma di campal battaglia assai si duole 15.6.5 sanza giusta cagion lecita o buona; 15.6.6 e poi soggiunse ancor queste parole: 15.6.7 «Se tu non fussi messaggier mandato, 15.6.8 con le mie man so ch' io t' arei impiccato. 15.7.1 Non lascio per amor, ma per vergogna. 15.7.2 A quel che t' ha mandato fa risposta: 15.7.3 domandal s' egli è desto oppur se sogna, 15.7.4 ché molto pazza fu la sua proposta. 15.7.5 Né d' aspettar qui altro ti bisogna: 15.7.6 questo ti basti e vattene a tua posta». 15.7.7 Ma Ricciardetto non fu pazïente, 15.7.8 e così disse disdegnosamente: 15.8.1 «Se conoscessi ben chi a te mi manda, 15.8.2 nol chiameresti arcaito per certo 15.8.3 e pazza non terresti sua domanda; 15.8.4 ma si conosce il tuo vil core aperto. 15.8.5 Sappi che, s' tu se' re da questa banda, 15.8.6 quand' io t' avessi pur molto sofferto, 15.8.7 o amostante vil, superbo e sciocco, 15.8.8 il mio signore acquistato ha il Murrocco, 15.9.1 e di Carrara e d' Arma è coronato 15.9.2 e molti altri reami tiene al mondo; 15.9.3 e non sarebbe Marte biasimato 15.9.4 combatter con tal uom sì rubicondo». 15.9.5 L' amostante, veggendol furïato, 15.9.6 rispose: «In altro modo ti rispondo: 15.9.7 ritorna al tuo signor che ti mandòe 15.9.8 e di' ch' un gran baron gli manderòe». 15.10.1 Ricciardetto tornò nel campo tosto 15.10.2 e disse come il fatto era seguìto 15.10.3 e quel che l' amostante gli ha risposto. 15.10.4 Lasciàn costor posarsi un poco al lito, 15.10.5 ché 'l messo ha fatto quel che gli fu imposto; 15.10.6 torniamo all' amostante sbigottito 15.10.7 che non sapea che farsi e sta sospeso 15.10.8 e di tal caso avea nel cor gran peso. 15.11.1 Veggendol così afflitto, Chiarïella 15.11.2 diceva: «Io ci conosco un buon rimedio. 15.11.3 Tu sai che 'l miglior uom che monti in sella 15.11.4 si dice ch' è Orlando; ond' io più a tedio 15.11.5 non ti terrò», dicea la damigella, 15.11.6 «poi che tu se' condotto a questo assedio: 15.11.7 sappi che quel che tu tieni in prigione, 15.11.8 il conte Orlando è, figliuol di Mellone; 15.12.1 e credo che farà sol per mio amore 15.12.2 ciò ch' io vorrò, ché così m' ha promesso 15.12.3 più e più volte, ch' io gli ho fatto onore 15.12.4 sempre dal dì che in carcere fu messo». 15.12.5 Subito crebbe all' amostante il core, 15.12.6 e disse: «Può Macon far che sia desso? 15.12.7 Troppo mi piace tu l' abbi onorato, 15.12.8 ché 'l Ciel per nostro ben l' ha riservato. 15.13.1 Ma vo' che mi prometta ritornarsi, 15.13.2 finita la battaglia, poi in prigione, 15.13.3 ché 'l gran Soldan potre' meco adirarsi, 15.13.4 ché sai ch' io il presi a sua contemplazione; 15.13.5 e qualche modo poi potre' trovarsi 15.13.6 per questo mezzo alla sua salvazione». 15.13.7 E Chiarïella a Orlando n' andò presto 15.13.8 e d' ogni cosa gli chiosava il testo. 15.14.1 «Se tu volessi per mio amore, Orlando, 15.14.2 combatter con costui che vuol battaglia, 15.14.3 questo servigio io lo verrò scultando 15.14.4 nel cor per sempre, se Macon mi vaglia: 15.14.5 io te ne priego, io mi ti raccomando. 15.14.6 Un destrier ti darò coperto a maglia». 15.14.7 Rispose Orlando: «Sia quel che ti piace: 15.14.8 meglio è morir che stare in contumace». 15.15.1 «Ah», disse Chiarïella, «è questo quello 15.15.2 ch' io t' ho promesso mille volte e mille? 15.15.3 Tu m' hai passato il cor con un coltello. 15.15.4 Io verrò, dico, queste porte, aprille, 15.15.5 come a te fia in piacer, signor mio bello; 15.15.6 ma sol per ricoprir molte faville, 15.15.7 Carlo aspettavo che di qua passassi, 15.15.8 acciò che più sicuro il fatto andassi. 15.16.1 Non ti curar prometter ritornarti 15.16.2 nella prigion, poi che 'l mio padre vuole, 15.16.3 ch' io verrò, per Macone, a liberarti, 15.16.4 prima che molti dì s' asconda il sole. 15.16.5 Io vo' il destrieri e l' armi apparecchiarti». 15.16.6 Così furon finite le parole 15.16.7 e di prigione Orlando liberato 15.16.8 e innanzi all' amostante appresentato. 15.17.1 L' amostante l' abbraccia umilemente 15.17.2 e quanto può del suo fallir si scusa 15.17.3 e se gli ha fatto oltraggio, che si pente, 15.17.4 e 'l gran Soldan di ciò ne 'ncolpa e accusa; 15.17.5 e che per far la pace il fe' vilmente, 15.17.6 come per suo miglior talvolta s' usa, 15.17.7 e lecito operare era ogni ingegno 15.17.8 e tradimento per salvar sé e 'l regno. 15.18.1 Orlando, come savio, fu contento. 15.18.2 e disse: «Per amor della tua figlia 15.18.3 farò sol quel che ti fia in piacimento, 15.18.4 ché così Chiarïella mi consiglia; 15.18.5 ché so che sanza lei morivo a stento, 15.18.6 e ch' io sia vivo mi par maraviglia». 15.18.7 Armossi tutto innanzi al re pagano 15.18.8 e Chiarïella l' armò di sua mano. 15.19.1 Come fu armato, saltò in sul destrieri, 15.19.2 e Chiarïella gli fe' compagnia, 15.19.3 armata, con trecento cavalieri; 15.19.4 così dall' amostante si partia, 15.19.5 verso dell' oste pigliava il sentieri. 15.19.6 Come Rinaldo apparir lo vedia, 15.19.7 che stava attento, armato, al padiglione, 15.19.8 subitamente montava in arcione. 15.20.1 E Luciana anche lui aveva armato 15.20.2 e datogli il destrier che gli donòe 15.20.3 a Siragozza, e poi l' ha accompagnato 15.20.4 e molti cavalier seco menòe 15.20.5 (adunque il giuoco è molto pareggiato); 15.20.6 e così inverso Orlando se n' andòe 15.20.7 Rinaldo e salutò cortesemente 15.20.8 e la risposta fu similemente. 15.21.1 Ma l' uno e l' altro quanto può s' ingegna 15.21.2 non essere alla voce conosciuto, 15.21.3 acciò ch' al suo disegno ognun pervegna. 15.21.4 Dicea Rinaldo dopo il suo saluto: 15.21.5 «Io credo, cavalier, ch' al campo vegna 15.21.6 per far con l' arme in man quel ch' è dovuto: 15.21.7 piglia del campo, ognun mostri sua forza». 15.21.8 E volson l' uno a poggia e l' altro a orza. 15.22.1 Orlando volse con tanta destrezza, 15.22.2 nel dipartirsi, al suo caval la briglia, 15.22.3 che non si vide mai tal gentilezza; 15.22.4 e Lucïana affisava le ciglia: 15.22.5 parvegli un atto di molta prodezza; 15.22.6 ma Chiarïella con seco bisbiglia: 15.22.7 «Questo è pur quel che 'l mondo grida certo 15.22.8 nell' arme tanto valoroso e sperto». 15.23.1 Rivoltava il destrier Rinaldo prima; 15.23.2 comincia al modo usato a furïare. 15.23.3 Orlando che sia vòlto anco si stima; 15.23.4 subito indrieto lo venne a trovare. 15.23.5 Ma non potre' qui dir prosa né rima 15.23.6 qual sia il valor ch' ognun usa mostrare: 15.23.7 s' Anibal parea l' un, l' altro è Marcello; 15.23.8 se l' un volava, e l' altro era un uccello. 15.24.1 E' si vedea sol polvere e faville; 15.24.2 non credo ch' a veder fussi più degno, 15.24.3 alla città famosa, Ettorre e Achille: 15.24.4 ognun di grande ardir mostrava segno. 15.24.5 Ma che bisogna far tante postille, 15.24.6 o dar per fede a chi nol crede il pegno? 15.24.7 Non son costor de' paladin di Francia 15.24.8 e' miglior cavalier che portin lancia? 15.25.1 Le lance si spezzorno parimente 15.25.2 sopra gli scudi, e' destrier via passorno 15.25.3 come fólgore va molto fervente; 15.25.4 poi con le spade a ferirsi tornorno: 15.25.5 or quivi s' accostò tutta la gente, 15.25.6 quivi la zuffa insieme rappiccorno. 15.25.7 Era venuto a vedere il gigante 15.25.8 con Lucïana, chiamato Corante, 15.26.1 e stava in piè come un pilastro saldo, 15.26.2 a veder di costor la gran tempesta. 15.26.3 E Lucïana avea messa a Rinaldo 15.26.4 indosso una leggiadra sopravvesta; 15.26.5 Orlando, ch' era insuperbito e caldo, 15.26.6 con Durlindana avea stampata questa; 15.26.7 e Lucïana si doleva a morte, 15.26.8 dicendo: «Mai non vidi uom tanto forte». 15.27.1 Egli eran l' uno e l' altro sì infiammati, 15.27.2 Rinaldo e 'l conte Orlando, che l' un l' altro 15.27.3 non iscorgea, tanto erano infiammati! 15.27.4 Né si vedea vantaggio a l' uno o l' altro; 15.27.5 ferivansi co' brandi sì infiammati, 15.27.6 che nel colpirsi dicea l' uno all' altro: 15.27.7 «Aiùtati da questo, can malfusso!», 15.27.8 e detto questo, si sentiva il busso. 15.28.1 Rinaldo détte un colpo al conte Orlando 15.28.2 sopra il cimier, che gli fece sentire 15.28.3 Frusberta, che ne venne giù fischiando: 15.28.4 non ebbe alla sua vita un tal martìre 15.28.5 e 'nsino in su la groppa vien piegando, 15.28.6 e disse: «O Dio, non mi lasciar morire! 15.28.7 Aiutami tu, Virgin benedetta!»; 15.28.8 e 'l me' che può nell' armi si rassetta. 15.29.1 E trasse con tanta ira Durlindana 15.29.2 al prenze, che lo giunse in su l' elmetto, 15.29.3 il qual sonò che parve una campana 15.29.4 e con fatica alla percossa ha retto; 15.29.5 ed ogni cosa vide Lucïana, 15.29.6 tanto ch' ell' ebbe del colpo sospetto, 15.29.7 ché 'nsino al collo del destrier piegossi 15.29.8 Rinaldo, tal ch' a gran pena rizzossi. 15.30.1 Non arebbe però voluti tre, 15.30.2 ch' uscito sare' fuor del seminato; 15.30.3 pur si rïebbe e ritornava in sé. 15.30.4 Il brando a' crini il cavallo ha trovato, 15.30.5 sì che due parte del collo gli fe' 15.30.6 e 'nsieme con Rinaldo è rovinato. 15.30.7 Gridò Rinaldo al conte: «Traditore! 15.30.8 Tu l' uccidesti per viltà di core». 15.31.1 Rispose «Traditore», Orlando, «o vile 15.31.2 non fu' mai reputato alla mia vita, 15.31.3 ma sempre, in verità, baron gentile. 15.31.4 Or se mi venne la mazza fallita, 15.31.5 e me ne 'ncresce e però parlo umìle. 15.31.6 Ma innanzi che da me facci partita, 15.31.7 io ti farò disdir quel che tu hai detto»; 15.31.8 e poi saltò del suo caval di netto. 15.32.1 E cominciorno più aspra battaglia 15.32.2 che si vedessi mai tra due baroni: 15.32.3 lo scudo in pezzi l' uno all' altro taglia; 15.32.4 non cavalier parieno, anzi dragoni; 15.32.5 e benché e' regga la piastra e la maglia, 15.32.6 pe' colpi spesso cadean ginocchioni, 15.32.7 e l' uno e l' altro soffiava e sbuffava 15.32.8 come un leone o altra fera brava. 15.33.1 Dànnosi punte, dànnosi fendenti, 15.33.2 dànnosi stramazzon, dànno rovesci, 15.33.3 fannosi batter drento all' elmo i denti, 15.33.4 frugano in modo da sbucare i pesci, 15.33.5 alcuna volta, co' brandi taglienti; 15.33.6 acciò che meglio il disegno rïesci, 15.33.7 raddoppia il colpo l' uno a l' altro e piomba, 15.33.8 e l' aria e 'l cielo e la terra rimbomba. 15.34.1 Rinaldo un tratto Frusberta disserra 15.34.2 per dare al conte Orlando in su la testa: 15.34.3 Orlando si scostò, donde il brando erra 15.34.4 e cadde in basso con tanta tempesta, 15.34.5 che si ficcò più d' un braccio sotterra: 15.34.6 pensa se fatto gli arebbe la festa 15.34.7 e se fu grande il furore e la rabbia, 15.34.8 ch' appena par che la spada rïabbia! 15.35.1 Orlando allor se gli scagliava addosso, 15.35.2 e grida: «Or potre' io, come tu vedi, 15.35.3 tagliarti con la spada insino all' osso, 15.35.4 poi che tu hai confitto il brando a' piedi; 15.35.5 ma basta che tu intenda sol ch' io posso, 15.35.6 ch' io non son traditor come tu credi». 15.35.7 Disse Rinaldo: «Ogni ragione hai tue 15.35.8 e che sia traditor mai dirò piùe». 15.36.1 Era già sera e 'l sol verso la Spagna 15.36.2 nell' occeàn tuffava i suoi crin d' oro; 15.36.3 e Chiarïella grazïosa e magna 15.36.4 benignamente parlava a costoro: 15.36.5 «Perché e' si fa già bruna ogni campagna, 15.36.6 ponete fine a sì fatto martoro; 15.36.7 e per mio amor così vo' che si segua: 15.36.8 che venti dì facciate insieme triegua». 15.37.1 E l' uno e l' altro rimase contento. 15.37.2 Diceva Chiarïella: «Al mio parere, 15.37.3 non vidi mai più a due tanto ardimento, 15.37.4 né mai più penso a' miei giorni vedere: 15.37.5 io triemo tutta, quando io mi rammento 15.37.6 de' colpi fatti e del vostro potere; 15.37.7 e perché tanta virtù si conservi, 15.37.8 ho chiesto triegua e vo' ch' ognun l' osservi». 15.38.1 Rinaldo si tornò col suo Balante 15.38.2 al padiglione e la sua Lucïana 15.38.3 gli trasse l' arme, ch' avea messe avante. 15.38.4 Orlando torna alla città pagana 15.38.5 e Chiarïella disse all' amostante 15.38.6 che gli pareva oltre ogni cosa umana 15.38.7 quel ch' avea fatto in sua presenzia Orlando, 15.38.8 dicendo: «Quanto so tel raccomando». 15.39.1 Orlando volle in prigion ritornarsi 15.39.2 e rende Durlindana e l' armadura 15.39.3 e sta con Chiarïella a ragionarsi. 15.39.4 Or ritorniamo al campo alla pianura. 15.39.5 Corante l' altro giorno fece armarsi, 15.39.6 dicendo: «Io intendo provar mia ventura»; 15.39.7 ed accostossi alle mura alla terra 15.39.8 e mandò a dir che cercava di guerra. 15.40.1 Aveva cinquecento scelti quello, 15.40.2 de' miglior ch' egli avessi nel suo campo; 15.40.3 era montato in su 'n un suo morello 15.40.4 nato d' alfana e menava gran vampo 15.40.5 chiamando l' amostante tristo e fello, 15.40.6 dicendo: «Contra me non arai scampo, 15.40.7 né triegua o pace o patti, né concordia, 15.40.8 ch' uom non se' degno di misericordia». 15.41.1 Erano usciti già certi pagani 15.41.2 della città col gigante alla mischia, 15.41.3 ma tutti gli straziava come cani: 15.41.4 a qual le spalle, a chi il capo cincischia, 15.41.5 colpi menando sì aspri e villani, 15.41.6 che per paura nessun più s' arrischia 15.41.7 a dieci braccia accostarsi alla mazza; 15.41.8 e bisognava, con sì fatta razza. 15.42.1 Chiarïella sentì che 'l saracino 15.42.2 a molti il capo ha schiacciato come uova 15.42.3 e fa fuggire il suo popol meschino: 15.42.4 subito Orlando alla prigion ritruova, 15.42.5 e dice: «A questa volta, paladino, 15.42.6 aiutami, poi ch' altro non mi giova: 15.42.7 sappi ch' egli è comparito un gigante, 15.42.8 ch' ammazza ognun che se gli para avante. 15.43.1 A te ricorro come mio refugio, 15.43.2 che non mi lasci in questi casi stremi: 15.43.3 e' debbe avere un poco il cervel bugio, 15.43.4 ch' ognun minaccia e 'l Ciel non par che temi. 15.43.5 E' ti convien soccorrer sanza indugio, 15.43.6 ché tutto il nostro popol par che triemi 15.43.7 e per paura ognun tornato è drento, 15.43.8 ché del bastone hanno avuto spavento. 15.44.1 E' n' ha già bastonati centinaia 15.44.2 e trita lor le carni, i nervi e l' ossa». 15.44.3 Rispose Orlando: «Sempre ove a te paia 15.44.4 la mia persona, Chiarïella, è mossa; 15.44.5 e so che se m' aspetta a la callaia, 15.44.6 vedrai che la tua gente fia riscossa». 15.44.7 Fecesi l' arme trovare e 'l cavallo 15.44.8 e Chiarïella sua sol vuole armallo; 15.45.1 e fece armare alquanti cavalieri; 15.45.2 Orlando disse volea poca gente, 15.45.3 che lasci col gigante a lui i pensieri. 15.45.4 Armossi Chiarïella incontanente 15.45.5 e con Orlando montava a destrieri, 15.45.6 anzi su vi saltò molto attamente; 15.45.7 e 'l suo fratel, ch' era ardito e gagliardo, 15.45.8 n' andò con lei, che avea nome Copardo. 15.46.1 Era il gigante alla porta aspettare; 15.46.2 vide costoro e innanzi si facea. 15.46.3 Ma Chiarïella che 'l vide accostare 15.46.4 «Io vo' con esso provarmi», dicea, 15.46.5 «se questa grazia, Orlando, mi vuoi fare». 15.46.6 Orlando, ch' è contento rispondea. 15.46.7 Allor la dama va inverso il pagano, 15.46.8 che se n' avvide e prese un' aste in mano. 15.47.1 Abbassa la sua lancia Chiarïella 15.47.2 e poi nel petto al gigante la spezza; 15.47.3 ma non si mosse punto della sella 15.47.4 per sua gran forza e per la sua grandezza; 15.47.5 e giunse nello scudo la donzella 15.47.6 con l' aste dura e con molta fierezza 15.47.7 e fecela cader fuor dell' arcione, 15.47.8 che molto spiacque al figliuol di Millone. 15.48.1 Corante la volea pigliar pel braccio 15.48.2 e come il lupo portarnela via. 15.48.3 Diceva Orlando: «Non gli dare impaccio: 15.48.4 se tu la tocchi, per la fede mia, 15.48.5 per mezzo il petto la spada ti caccio! 15.48.6 Oltre, gaglioffo pien di codardia! 15.48.7 Della tua gran viltà, per Dio, m' incresce, 15.48.8 ed è ben ver ch' ogni trista erba cresce. 15.49.1 Non ti vergogni tu, donna sì degna 15.49.2 volerne via portar, can peccatore, 15.49.3 che in tutte quelle parte ove il sol regna 15.49.4 non è donzella degna di più onore? 15.49.5 Né vo' che 'l suo cader tuo pregio tegna, 15.49.6 ché fu difetto del suo corridore». 15.49.7 Disse il gigante: «Per Macon, ch' io sono 15.49.8 contento e per prigione a te la dono». 15.50.1 Orlando disse: «Tu mi pari or saggio, 15.50.2 ché quel che non puoi vender, vuoi don farne. 15.50.3 Se tu vedessi costei nel visaggio, 15.50.4 diresti: "Cibo non è da beccarne 15.50.5 un uom sì rozzo, rustico e selvaggio"; 15.50.6 ch' io so che' denti tuoi non son da starne». 15.50.7 Allor Copardo addosso a quel si getta 15.50.8 per far della sorella sua vendetta 15.51.1 e l' uno e l' altro una lancia pigliava 15.51.2 e di concordia insieme si sfidaro; 15.51.3 ma alfin Copardo in terra si trovava 15.51.4 e restò prigionier sanza riparo; 15.51.5 per che Corante a Orlando parlava: 15.51.6 «Che costui sia prigion, tu intendi chiaro». 15.51.7 Così, per non opporsi alla ragione, 15.51.8 Copardo n' andò preso al padiglione. 15.52.1 Disse il gigante: «Ed anco la donzella 15.52.2 è mio prigion, ma non la vo' contendere, 15.52.3 però ch' io la gittai pur della sella; 15.52.4 e s' io volessi, io te la farei rendere, 15.52.5 che tu dicesti ch' io ti donai quella 15.52.6 per questo, ch' io non la potevo vendere». 15.52.7 Orlando disse: «Sia come si vuole; 15.52.8 con l' arme arai costei, non con parole». 15.53.1 Disse il gigante: «Disfidato sia, 15.53.2 da poi che tu m' hai tolto la mia preda, 15.53.3 poi mi minacci e dimmi villania 15.53.4 e credi per viltà te la conceda: 15.53.5 io t' ho donato per mia cortesia 15.53.6 questa donzella, e par che non lo creda». 15.53.7 Orlando al suo caval la briglia volse 15.53.8 ed una arcata o più del campo tolse, 15.54.1 poi ritornava per dargli la mancia 15.54.2 e 'l saracin con la lancia s' abbassa, 15.54.3 ma 'l conte Orlando gli pose alla pancia 15.54.4 e 'l petto e 'l cuore e le reni gli passa: 15.54.5 due braccia o più rïusciva la lancia 15.54.6 e parve allor rovinassi una massa, 15.54.7 perché Corante abbandonava il freno 15.54.8 e détte un vecchio colpo in sul terreno. 15.55.1 Rinaldo al padiglione aveva detto, 15.55.2 quando Copardo prigion fu menato, 15.55.3 che andassi tra le squadre a suo diletto, 15.55.4 ché gl' increscea di tenerlo legato; 15.55.5 e giurato gli avea per Macometto, 15.55.6 se dal gigante non è liberato, 15.55.7 rappresentarsi a ogni suo volere; 15.55.8 e va pel campo veggendo le schiere. 15.56.1 In questo tempo la novella viene 15.56.2 come Corante caduto era morto 15.56.3 e che passato è il ferro per le schiene. 15.56.4 Ebbe di questo Rinaldo sconforto 15.56.5 e volle, chi l' uccise, intender bene, 15.56.6 giurando vendicar sì fatto torto 15.56.7 e minacciava e' facea gran tagliata, 15.56.8 comunche e' fusse la triegua spirata. 15.57.1 Copardo già pel campo aveva inteso 15.57.2 come questo era d' Orlando cugino; 15.57.3 però veggendo Rinaldo sì acceso, 15.57.4 rispose: «A me perdona, paladino: 15.57.5 per quel ch' i' ho da tua gente compreso, 15.57.6 la pace si farà con poco vino; 15.57.7 io t' ho a dir cose che ti piaceranno 15.57.8 e fia silenzio posto a tanto affanno. 15.58.1 Sappi che quel c' ha combattuto teco 15.58.2 è 'l conte Orlando, che preso dimora, 15.58.3 ed a tua posta il menerò qui meco, 15.58.4 per quello Iddio che la mia gente adora». 15.58.5 Rinaldo, il dì che combatté con seco, 15.58.6 di sua gran forza era ammirato ancora 15.58.7 e cominciossi tosto a ricordare 15.58.8 ch' altri ch' Orlando nol poteva fare. 15.59.1 «E se non fusse la sorella mia», 15.59.2 dicea Copardo, «che s' è innamorata 15.59.3 della sua fama e di sua gagliardia, 15.59.4 sarebbe or la sua vita annichilata, 15.59.5 perché il mio padre non lo conoscìa. 15.59.6 Ma poi che vide la terra assediata, 15.59.7 gli détte Chiarïella per rimedio 15.59.8 di liberarlo per levar l' assedio. 15.60.1 Ma per paura lo tien del Soldano 15.60.2 e non gli dà di partirsi licenzia. 15.60.3 Ma or tu se' qui con armata mano: 15.60.4 io ti darò la città in tua potenzia, 15.60.5 tanto m' incresce di tal caso strano 15.60.6 d' un uom sì degno e di tanta eccellenzia; 15.60.7 la mia sorella tanto amor gli porta, 15.60.8 ch' a tradimento darenti una porta». 15.61.1 Rinaldo, ch' avea già legato il core 15.61.2 per gran dolcezza, abbracciava Copardo, 15.61.3 e disse: «Io sento già tanto fervore 15.61.4 del mio cugin, che tutto nel petto ardo. 15.61.5 So che tu parli con perfetto amore, 15.61.6 se bene alle parole tue riguardo, 15.61.7 e Chiarïella, per la fede mia, 15.61.8 si loderà della sua cortesia. 15.62.1 A mio parer, ritorna alla cittate 15.62.2 e di' con Chiarïella questo fatto. 15.62.3 Quando fia tempo poi me n' avvisate, 15.62.4 ch' io so che rïuscir ci debbe il tratto; 15.62.5 ch' io mi confido nella tua bontate 15.62.6 sanza far teco altra convegna o patto». 15.62.7 E déttegli il cavallo e l' arme sue 15.62.8 e presto al padre suo dinanzi fue. 15.63.1 L' amostante dicea: «Chi t' ha mandato?» 15.63.2 Copardo disse: «Da me son fuggito». 15.63.3 Rispose l' amostante: «Tu hai fallato». 15.63.4 Poi disse: «Forse è pur miglior partito; 15.63.5 che non t' avessi un giorno là impiccato!». 15.63.6 Copardo a Chiarïella sua n' è ito 15.63.7 ed ogni cosa ragionorno insieme 15.63.8 e la fanciulla d' allegrezza geme. 15.64.1 Erasi Orlando tornato in prigione 15.64.2 quel dì che al campo avea morto Corante. 15.64.3 La damigella fe' conclusïone 15.64.4 di tradir la sua patria e l' amostante 15.64.5 e rinnegar con questo anco Macone: 15.64.6 or vedi questo amor quanto è costante! 15.64.7 Lasciò Copardo e vassene a Orlando, 15.64.8 che si vivea all' usato sospirando, 15.65.1 e disse: «Che diresti tu, barone, 15.65.2 se fussi il tuo Rinaldo qua venuto 15.65.3 per liberarti e trarti di prigione 15.65.4 e se tu avessi con lui combattuto 15.65.5 e mortogli già sotto il suo roncione, 15.65.6 acciò che non ti possi dare aiuto? 15.65.7 Non sarebbe ragion tu confessassi 15.65.8 essere ingrato, a chi ne domandassi? 15.66.1 Or oltre, io ti vo' dir presto ogni cosa 15.66.2 e darti una novella che fia buona, 15.66.3 ch' io veggo la tua vita assai dogliosa: 15.66.4 sappi che 'l tuo Rinaldo c' è in persona 15.66.5 per trarti di prigion sì tenebrosa, 15.66.6 come colui che 'l grande amore sprona: 15.66.7 per questo all' amostante ha mosso guerra 15.66.8 e per tuo amor si combatte la terra. 15.67.1 Copardo è ritornato e detto questo. 15.67.2 E perch' io t' ho donato il mio amor tutto, 15.67.3 l' anima e 'l cuore e s' altro c' è di resto, 15.67.4 m' accordo che 'l mio padre sia distrutto 15.67.5 e dare al tuo cugin la città presto, 15.67.6 acciò che del mio amor tu vegga il frutto, 15.67.7 ch' io non ti pasca più di foglie e fiori 15.67.8 e che tu esca omai di carcer fuori». 15.68.1 Orlando quando intese Chiarïella, 15.68.2 rispose: «Io credo tu fussi mandata 15.68.3 il primo dì dal Cielo una angiolella, 15.68.4 ch' a la prigion mi ti fusti mostrata 15.68.5 e se' sempre poi stata la mia stella, 15.68.6 e la mia calamita a te voltata. 15.68.7 Qual merito, qual fato vuol ch' io sia 15.68.8 in grazia tanto a Chiarïella mia? 15.69.1 Io ti dono le chiavi in sempiterno 15.69.2 della mia vita e tien' tu il core e l' alma: 15.69.3 io vo' che 'l nostro amor si facci etterno. 15.69.4 Tu se' colei che l' ulivo e la palma 15.69.5 m' arrechi e che mi cavi dello inferno 15.69.6 e la tempesta mia converti in calma». 15.69.7 E non poté più oltre Orlando dire, 15.69.8 tanta dolcezza gli parea sentire. 15.70.1 Chiarïella a Copardo ritornava 15.70.2 ed ordinò che la notte seguente 15.70.3 Rinaldo venga ed Orlando cavava 15.70.4 di fuor della prigion segretamente; 15.70.5 ed a Rinaldo un messaggio mandava 15.70.6 e scrisse che venissi arditamente, 15.70.7 e soggiugnea queste parole appresso: 15.70.8 «Giunta la letter, sia impiccato il messo». 15.71.1 Rinaldo, ch' a questa opera era attento, 15.71.2 aveva in punto già le genti armate; 15.71.3 la lettera ubbidiva a compimento: 15.71.4 al messo sue vivande ebbe ordinate 15.71.5 e fecegli de' calci dare al vento; 15.71.6 poi se n' andò alla porta alla cittate; 15.71.7 quivi trovava insieme armati in sella 15.71.8 Copardo con Orlando e Chiarïella. 15.72.1 Preso la porta, levorno il romore: 15.72.2 «A sacco, a sacco! Alla morte, alla morte! 15.72.3 E muoia l' amostante traditore, 15.72.4 e' suoi seguaci e tutta la sua corte!». 15.72.5 Il popol si destò tutto a furore: 15.72.6 vide i nimici già drento alle porte 15.72.7 e chi fuggiva e chi per arme è corso, 15.72.8 chi si nasconde e chi chiama soccorso. 15.73.1 L' amostante si desta spaventato 15.73.2 e sente tanta gente e tante grida; 15.73.3 subito alcun de' servi ha domandato: 15.73.4 «Che vuol dir questo, che 'l popolo strida?»; 15.73.5 e 'l me' che può si lieva e fussi armato 15.73.6 e corre come cieco sanza guida 15.73.7 e non sapea lui stessi ove e' si vada, 15.73.8 ch' avea smarrita la mente e la strada. 15.74.1 Pur s' avvïava ove e' sentia gran zuffa 15.74.2 e riscontrossi appunto in Ulivieri, 15.74.3 ch' era nel mezzo di questa baruffa, 15.74.4 e della spada gli détte al cimieri, 15.74.5 tanto che 'l colpo ne lieva la muffa 15.74.6 ma non poté piegarlo in sul destrieri. 15.74.7 Ulivier lo conobbe incontanente 15.74.8 e trasse della spada un gran fendente. 15.75.1 Aveva un cappelletto di cuoio cotto 15.75.2 l' amostante la notte in testa messo; 15.75.3 ma Ulivier lo passava di sotto 15.75.4 e 'l capo e 'l collo al saracino ha fesso 15.75.5 e fecelo d' arcion giù dare il botto. 15.75.6 La gente si fuggì, che gli era appresso, 15.75.7 piena di doglia e terrore e sconforto, 15.75.8 sì come avvien quando il signore è morto. 15.76.1 Rinaldo avea veduto cader quello: 15.76.2 «Benedetto ti sia», gridò, «la mano, 15.76.3 ch' a quel canaccio partisti il cervello! 15.76.4 Tu se' pur de' baron di Carlo Mano». 15.76.5 Or qui comincia avvïarsi il macello. 15.76.6 Era venuto un gigante pagano, 15.76.7 che si chiamava il feroce Grandono, 15.76.8 e gettasi tra questi in abbandono. 15.77.1 Ulivier riscontrò, quel maladetto, 15.77.2 e trasselo per forza da cavallo, 15.77.3 però ch' al colpo suo non ebbe retto; 15.77.4 poi si gittava in mezzo a questo ballo, 15.77.5 e perché il popol molto è insieme stretto, 15.77.6 colpo non mena che giugnessi in fallo 15.77.7 e spesso dava anche a' suoi di gran botte, 15.77.8 ché d' error pieno è il furore e la notte. 15.78.1 E mentre che 'l gigante pur combatte, 15.78.2 vi sopraggiunse a caso Lucïana; 15.78.3 ma quel Grandon, come a costei s' abbatte, 15.78.4 gli détte una percossa assai villana, 15.78.5 però che le picchiate sue son matte, 15.78.6 e finalmente in terra giù la spiana; 15.78.7 e non sentia mai più né gel né caldo, 15.78.8 se non che corse a quel furor Rinaldo 15.79.1 e ripose a caval questa e 'l marchese 15.79.2 e domandò chi l' aveva abbattuto. 15.79.3 Disse Ulivieri: «In terra mi distese 15.79.4 un gran gigante, e poi non l' ho veduto». 15.79.5 Mentre che sono in sì fatte contese, 15.79.6 Orlando a Ricciardetto s' è abbattuto 15.79.7 e perché e' nol conobbe nella stretta, 15.79.8 lui e 'l caval d' un colpo in terra getta. 15.80.1 E poi trovò Terigi suo scudiere 15.80.2 e sopra l' elmo gli appiccava il brando 15.80.3 per modo ch' e' rovina del destriere, 15.80.4 benché l' elmetto non venga spezzando. 15.80.5 Quando Terigi si vide cadere, 15.80.6 dicea fra sé: «Dove se' tu, Orlando? 15.80.7 Ché s' tu ci fussi io non sarei cascato, 15.80.8 e pur cadendo, io sarei vendicato». 15.81.1 Orlando il riconobbe alle parole: 15.81.2 dismontò presto e chiesegli perdono, 15.81.3 dicendo: «Del tuo caso assai mi duole, 15.81.4 ma che tu monti in sella sarà buono: 15.81.5 così sempre la notte avvenir suole». 15.81.6 Diceva Orlando: «Or gli altri dove sono? 15.81.7 Aresti tu veduto Ricciardetto 15.81.8 o Ulivier? ch' io ho di lor sospetto». 15.82.1 Disse Terigi: «Ulivier vidi dianzi, 15.82.2 che cacciava una turba di pagani; 15.82.3 ma Ricciardetto è in terra qui dinanzi, 15.82.4 e stato sarai tu con le tue mani. 15.82.5 Credo che poco di vita gli avanzi: 15.82.6 morto l' aranno questi cani alani». 15.82.7 Orlando guarda e Ricciardetto vede, 15.82.8 che si difende con la spada a piede, 15.83.1 e grida: «Ah, Ricciardetto, hai tu paura? 15.83.2 Orlando è teco, tu non puoi perire, 15.83.3 ché sai ch' io ho fatata la ventura. 15.83.4 Quel che t' ha fatto della sella uscire, 15.83.5 è stato un gran tuo amico, o tua sciagura». 15.83.6 Quando Ricciardo sentì così dire, 15.83.7 disse: «Per certo io mi maravigliai, 15.83.8 ché con un colpo io e 'l caval cascai; 15.84.1 e dissi fra me stesso: "Ècci pagano, 15.84.2 il qual dovessi aver tanto valore?"». 15.84.3 Allora Orlando strigne il brando in mano 15.84.4 e gettasi là in mezzo del furore, 15.84.5 e grida: «Ah, traditor popol villano, 15.84.6 con un soletto acquistar credi onore? 15.84.7 Addrieto, saracin, canaglia, porci, 15.84.8 che Ricciardetto mio credete tôrci». 15.85.1 E Ricciardetto in sul caval rimonta 15.85.2 e di Rinaldo cercan per la terra, 15.85.3 tanto ch' Orlando e Rinaldo s' affronta 15.85.4 e cominciorno a rinforzar la guerra. 15.85.5 E Chiarïella i suoi peccati sconta, 15.85.6 ché spesse volte si truova a gran serra, 15.85.7 e con fatica ha salvata la vita, 15.85.8 ché da Copardo e gli altri era smarrita. 15.86.1 Combatteron costor tutta la notte; 15.86.2 ma i terrazzani alfin domandon patti, 15.86.3 ch' avén le membra faticate e rotte 15.86.4 e dubitavan non esser disfatti; 15.86.5 era tra lor delle persone dotte; 15.86.6 poson giù l' arme con questi contratti: 15.86.7 che la città sia lor liberamente, 15.86.8 salvando tutta la roba e la gente. 15.87.1 Era apparito in orïente il giorno, 15.87.2 e Chiarïella a Rinaldo ne viene, 15.87.3 e sì diceva: «Cavaliere adorno, 15.87.4 le cose veggo omai che vanno bene». 15.87.5 E tutti insieme al gran palazzo andorno: 15.87.6 Rinaldo per la man Copardo tiene 15.87.7 e molte cose con esso favella; 15.87.8 Orlando sempre allato ha Chiarïella. 15.88.1 Vennevi il popol tutto la mattina 15.88.2 a vicitar costor come signori. 15.88.3 Rinaldo parla con molta dottrina: 15.88.4 «O Chiarïella, quanto m' innamori! 15.88.5 Di questa terra vo' che sia reina 15.88.6 pe' benifìci e' servigi e gli onori, 15.88.7 per non parer per nessun modo ingrato, 15.88.8 e 'l tuo Copardo re sia coronato». 15.89.1 E fe' dell' amostante ritrovare 15.89.2 il corpo e poi gli détte sepultura 15.89.3 e tutta la città fece ordinare. 15.89.4 Orlando d' ogni cosa gli diè cura 15.89.5 e sta con Chiarïella a motteggiare; 15.89.6 quando cavalca insin fuor delle mura 15.89.7 ed ogni dì se ne vanno a sollazzo: 15.89.8 Rinaldo governava nel palazzo. 15.90.1 Or ci convien lasciar costoro un poco. 15.90.2 Il Soldan si tornava a Bambillona, 15.90.3 fatto la pace e messo Orlando in loco 15.90.4 che pensò che lasciassi la persona; 15.90.5 sentì come era acceso un altro fuoco 15.90.6 e come egli era morta la Corona 15.90.7 dell' amostante e preso la sua terra 15.90.8 e cominciava a dubitar di guerra. 15.91.1 Indrieto verso Persia ritornava 15.91.2 col campo tutto per miglior partito 15.91.3 e presso a poche leghe s' accampava 15.91.4 e 'ntese meglio il caso come era ito. 15.91.5 Un suo messaggio alla città mandava 15.91.6 e duolsi l' amostante sia perito, 15.91.7 ma che comunche la cosa si sia, 15.91.8 che s' appartiene a lui la signoria. 15.92.1 E se Rinaldo la terra non lascia, 15.92.2 che s' apparecchi di difender quella, 15.92.3 se non, che gli darà di molta ambascia; 15.92.4 e troppo biasimava Chiarïella, 15.92.5 che come meretrice, anzi bagascia 15.92.6 d' Orlando, il tradimento avea fatto ella; 15.92.7 ed era un barbassor molto stimato 15.92.8 colui che imbasciadore avea mandato. 15.93.1 Giunse al palazzo, ove ciascun dimora, 15.93.2 il barbassoro e spose la 'mbasciata: 15.93.3 «Quel Macometto che per noi s' adora 15.93.4 distrugga questa gente battezzata; 15.93.5 e 'l mio signor, ch' è nel campo di fuora, 15.93.6 e la sua figlia, c' ha l' arme incantata, 15.93.7 famosa e forte, che si chiama Antea, 15.93.8 salvi e mantenga»; in tal modo dicea: 15.94.1 «e guardi e salvi ciascun saracino 15.94.2 e spezialmente que' del gran Soldano; 15.94.3 e viva Trevicante ed Apollino 15.94.4 e sia distrutto ogni fedel cristiano 15.94.5 e sopra tutti Orlando paladino 15.94.6 e 'l superbo signor di Montalbano, 15.94.7 Astolfo col Danese ed Ulivieri 15.94.8 e Carlo e Francia e tutti i cavalieri». 15.95.1 Rinaldo non poté più tanto orgoglio 15.95.2 sofferir del pagan bestiale e matto, 15.95.3 che par che gli abbi trovati tra 'l loglio; 15.95.4 disse a Orlando: «Io vo' fare un bel tratto, 15.95.5 ch' io so punire i pazzi, quand' io voglio: 15.95.6 vedren come a saltar costui fia adatto 15.95.7 o com' egli abbi la persona destra». 15.95.8 E 'n piazza lo gittò d' una finestra. 15.96.1 La novella al Soldan n' andò di volo; 15.96.2 donde il Soldan si duol molto aspramente 15.96.3 e minacciava apparecchiar lo stuolo 15.96.4 e la città assediar con la sua gente. 15.96.5 Veggendol la sua figlia in tanto duolo, 15.96.6 diceva: «La ragion ti reco a mente, 15.96.7 che non dovea però il tuo barbassoro 15.96.8 parlar come si dice in concestoro. 15.97.1 Per quel ch' io intendo, e' disse cose strane. 15.97.2 Se vuoi che la 'mbasciata da tua parte 15.97.3 udita sia dalle gente cristiane, 15.97.4 non ti bisogna altro messaggio o carte: 15.97.5 lascia andar me, che con parole umane 15.97.6 dirò con miglior modo e miglior arte 15.97.7 e so ch' io tornerò con la risposta». 15.97.8 Donde il Soldan rispose: «Va a tua posta». 15.98.1 Questa fanciulla udito avea per fama 15.98.2 Rinaldo nominar molto in Soria, 15.98.3 e perché le virtù molto quella ama, 15.98.4 s' innamorò della sua gagliardia. 15.98.5 Or s' alcun vuol saper come si chiama, 15.98.6 quantunque il barbassor detto l' avia, 15.98.7 replicherén ch' ell' avea nome Antea, 15.98.8 e tutte sue bellezze eran di dea. 15.99.1 E' parevon di Danne i suoi crin d' oro; 15.99.2 ella pareva Venere nel volto; 15.99.3 gli occhi stelle eran dell' etterno coro; 15.99.4 del naso avea a Giunon l' essemplo tolto; 15.99.5 la bocca e' denti d' un celeste avoro, 15.99.6 e 'l mento tondo e fesso e ben raccolto, 15.99.7 la bianca gola e l' una e l' altra spalla 15.99.8 si crederria che tolto avessi a Palla; 15.100.1 e svelte e destre e spedite le braccia 15.100.2 aveva e lunga e candida la mana, 15.100.3 da potere sbarrar ben l' arco a caccia, 15.100.4 tanto che in questo somiglia Dïana. 15.100.5 Dunque ogni cosa par che si confaccia; 15.100.6 dunque non era, questa, donna umana. 15.100.7 Nel petto larga è quanto vuol misura; 15.100.8 Proserpina parea nella cintura, 15.101.1 e Deiopeia pareva ne' fianchi, 15.101.2 da portare il turcasso e le quadrelle; 15.101.3 mostrava solo i pie' piccoli e bianchi; 15.101.4 pensa che l' altre parte anch' eran belle, 15.101.5 tanto che nulla cosa a costei manchi. 15.101.6 A questo modo fatte son le stelle; 15.101.7 e vadinsi le ninfe a ripor tutte, 15.101.8 ché certo allato a questa sarien brutte. 15.102.1 Avea certi atti dolci e certi risi, 15.102.2 certi soavi e leggiadri costumi, 15.102.3 da fare spalancar sei paradisi 15.102.4 e correr su pe' monti all' erta i fiumi. 15.102.5 da fare innamorar cento Narcisi, 15.102.6 non che Gioseppe per lei si consumi; 15.102.7 parea ne' passi e l' abito Rachele; 15.102.8 le sue parole eran zucchero e mèle. 15.103.1 Era tutta cortese, era gentile, 15.103.2 onesta, savia, pura e vergognosa; 15.103.3 nelle promesse sue sempre virile; 15.103.4 alcuna volta un poco disdegnosa, 15.103.5 con un atto magnalmo e signorile, 15.103.6 ch' era di sangue e di cor generosa: 15.103.7 eron tante virtù raccolte in lei, 15.103.8 che più non è nel mondo o fra gli dèi. 15.104.1 Sapeva tutte l' arti liberali; 15.104.2 portava spesso il falcon pellegrino, 15.104.3 feriva a caccia lïoni e cinghiali; 15.104.4 quando cavalca un pulito ronzino, 15.104.5 e correr nol facea ma mettere ali, 15.104.6 da ogni man lo volgeva latino 15.104.7 e nel voltar, chi vedeva da parte, 15.104.8 are' giurato poi che fussi Marte. 15.105.1 Questo cavallo al Soldan fu mandato, 15.105.2 che gliel mandò l' arcaito mansore 15.105.3 di Barberia, e in Arabia era nato, 15.105.4 né mai si vide il più bel corridore, 15.105.5 e 'l padre a questa l' aveva donato, 15.105.6 però che molto l' aveva nel core; 15.105.7 tra fàlago e sdonnino era il mantello, 15.105.8 né vedrà mai Soria simile a quello. 15.106.1 Egli avea tutte le fattezze pronte 15.106.2 di buon caval, come udirete appresso, 15.106.3 perché nato non sia di Chiaramonte: 15.106.4 piccola testa e in bocca molto fesso, 15.106.5 un occhio vivo, una rosetta in fronte, 15.106.6 larghe le nari e 'l labbro arriccia spesso, 15.106.7 corto l' orecchio e lungo e forte il collo, 15.106.8 leggier sì, ch' a la man non dava un crollo. 15.107.1 Ma una cosa nol faceva brutto, 15.107.2 ch' egli era largo tre palmi nel petto, 15.107.3 corto di schiena e ben quartato tutto, 15.107.4 grosse le gambe e d' ogni cosa netto, 15.107.5 corte le giunte e 'l piè largo, alto, asciutto 15.107.6 e molto lieto e grato nello aspetto; 15.107.7 serra la coda ed anitrisce e raspa; 15.107.8 sempre le zampe palleggiava e innaspa. 15.108.1 Il primo dì ch' Antea volle provallo, 15.108.2 fe' cose in Bambillona in su la piazza 15.108.3 che fur troppo mirabil sanza fallo. 15.108.4 Quand' ella vide così buona razza 15.108.5 e le virtù del possente cavallo, 15.108.6 vennegli voglia portar la corazza 15.108.7 e da quel tempo cominciò armarsi 15.108.8 e in giostre e 'n torniamenti a sprimentarsi. 15.109.1 Poi cominciò in battaglia andare armata, 15.109.2 come Cammilla o la Pentessilea, 15.109.3 e la sua armadura era incantata, 15.109.4 che nessun ferro tagliar ne potea; 15.109.5 era in Domasco suta lavorata, 15.109.6 fornita d' oro e più che 'l sol lucea, 15.109.7 e quanti cavalier giostran con quella, 15.109.8 tanti gittati avea fuor della sella. 15.110.1 Eran venuti di tutto Levante, 15.110.2 di Persia, di Fenicia e dello Egitto, 15.110.3 ed alcun cavalier famoso errante: 15.110.4 ognuno aveva abbattuto e sconfitto; 15.110.5 nessun baron più gli veniva avante, 15.110.6 che con la lancia non lo facci al gitto; 15.110.7 e 'nsino al ciel la fama risonava 15.110.8 e Bambillona e 'l Soldan l' adorava. 15.111.1 E maraviglia non è che l' adori, 15.111.2 ch' ogni suo effetto pareva divino, 15.111.3 al tutto dello uman costume fuori; 15.111.4 massime là quel popol saracino, 15.111.5 ch' era già avvezzo a mille antichi errori, 15.111.6 come si legge di Belo e di Nino: 15.111.7 donde e' credevon certo che costei 15.111.8 fussi nata del seme degli dèi. 15.112.1 E' si potre' mille altre cose ancora 15.112.2 delle virtù di questa donna dire; 15.112.3 ma perché e' fugge il tempo e così l' ora, 15.112.4 la nostra storia ci convien seguire; 15.112.5 e se talvolta un bel canto innamora, 15.112.6 pure alfin piace nuove cose udire: 15.112.7 così diren nel bel cantar seguente, 15.112.8 acciò che a tutti consoli la mente.
CANTO XVI
16.1.1 O glorïosa figlia di Davitte 16.1.2 ch' ogni emisperio allumi e 'l ciel fai bello, 16.1.3 per cui salvate fur tante alme afflitte 16.1.4 quel dì che ti disse «Ave» Gabrïello, 16.1.5 insino a qui son nostre storie pitte 16.1.6 col tuo color, tua arte e tuo pennello; 16.1.7 con la tua grazia abbiàn passato il mezzo: 16.1.8 non lasciar la mia mente al buio e al rezzo. 16.2.1 Pareva ' Antea mill' anni di vedere 16.2.2 Rinaldo ed Ulivieri e 'l conte Orlando 16.2.3 e Ricciardetto sì buon cavaliere, 16.2.4 e tuttavolta si viene assettando; 16.2.5 della sua gente ordinava tre schiere 16.2.6 forniti d' arme e di lancia e di brando, 16.2.7 e dal Soldan facea la dipartita 16.2.8 e finalmente in Persia ne fu ita. 16.3.1 Né rima giunse in su la piazza questa, 16.3.2 ch' una lancia pigliò con gran fierezza, 16.3.3 mosse il cavallo e poi la pose in resta, 16.3.4 ruppela in terra con gran gentilezza; 16.3.5 e mentre che 'l caval furia e tempesta 16.3.6 volselo in aria con tanta destrezza 16.3.7 che non lo volse mai sì destro Ettorre; 16.3.8 e 'l popolo a furor là a veder corre. 16.4.1 Rinaldo che vedea dalla finestra, 16.4.2 maravigliossi troppo di quell' atto, 16.4.3 e disse: «Donna mai vidi sì destra, 16.4.4 né cosa più mirabil ch' ella ha fatto: 16.4.5 questa è pur d' ogni cosa la maestra». 16.4.6 Orlando ne pareva stupefatto; 16.4.7 e vanno tutti incontro alla donzella 16.4.8 ed èvvi Lucïana e Chiarïella. 16.5.1 E giunti appresso alla gentil pagana, 16.5.2 ognun la salutò con grande onore; 16.5.3 ella rispose in lingua sorïana 16.5.4 cose che tutti infiammava nel core; 16.5.5 e in mezzo a Chiarïella e Lucïana 16.5.6 menata fu nel palazzo maggiore 16.5.7 e in una ricca sedia a seder posta; 16.5.8 poi fece in questo modo la proposta: 16.6.1 «Quel primo Iddio che fece cielo e terra 16.6.2 e la natura e stelle e sole e luna 16.6.3 ed a sua posta l' abbisso apre e serra 16.6.4 e fa, quando e' vuol, l' aria chiara e bruna 16.6.5 e che, pietoso e giusto, mai non erra, 16.6.6 benché ciascun pur gridi alla Fortuna, 16.6.7 salvi e mantenga il mio padre Soldano 16.6.8 e 'l buon Rinaldo e 'l sanator romano 16.7.1 ed Ulivier, Ricciardetto e Terigi 16.7.2 e s' alcun c' è della vostra brigata 16.7.3 e Carlo imperadore e San Dionigi. 16.7.4 La cagion che 'l Soldan m' ha qui mandata 16.7.5 non è per ricercar guerra o litigi, 16.7.6 ma credo indoviniate la 'mbasciata: 16.7.7 altro non vuol che quel che vuol ragione 16.7.8 e conservar la sua giuridizione. 16.8.1 Questa città con l' altre tutte quante 16.8.2 del corno qua di Persia e di Soria 16.8.3 e di tutto el paese di Levante 16.8.4 son sottoposte a nostra monarchia; 16.8.5 però, poi ch' egli è morto l' amostante, 16.8.6 ritorna al padre mio la signoria: 16.8.7 questo si dice, questo chiar si mostra, 16.8.8 che in ogni modo questa terra è nostra. 16.9.1 Né crede che voi siate in questo errore 16.9.2 di non sapere a cui ricade il regno; 16.9.3 ma ogni cosa il roman sanatore 16.9.4 ha fatto per vendetta e per isdegno, 16.9.5 il quale ha tanta forza in nobil core 16.9.6 che fa della ragion passare il segno; 16.9.7 e così fe' il Soldan (nota, Rinaldo!) 16.9.8 per isdegno anco lui di Marcovaldo. 16.10.1 Se voi volete lasciar la cittade 16.10.2 sanza quistion, contento è il padre mio, 16.10.3 e ritornar nelle vostre contrade. 16.10.4 Se questo non farete, sia con Dio! 16.10.5 Noi proverren se taglian nostre spade: 16.10.6 e così da sua parte vi dico io 16.10.7 e vengo a protestarvi nuova guerra 16.10.8 se non ci date libera la terra. 16.11.1 Poche parole a chi m' intende basti». 16.11.2 E poi soggiunse: «O misero Copardo! 16.11.3 O Chiarïella mia, quanto fallasti! 16.11.4 O giudicio del Ciel, tu vien' sì tardo! 16.11.5 Ma licito ti sia, poi che cavasti 16.11.6 (se ben col mio giudicio retto guardo) 16.11.7 di luoghi tenebrosi, oscuri e bui 16.11.8 sì gentil cavalier quanto è costui». 16.12.1 E volsesi a Orlando con un riso, 16.12.2 con un atto benigno e con parole 16.12.3 che si vedeva aperto il paradiso, 16.12.4 che si fermò a udir la luna e 'l sole. 16.12.5 Ma Chiarïella diventò nel viso 16.12.6 del color delle mammole vïole; 16.12.7 così Copardo; e gli occhi giù abbassorno, 16.12.8 ché del peccato lor si ricordorno. 16.13.1 Seguì più oltre Antea: «Ciò ch' io v' ho detto 16.13.2 è quel che 'l padre mio da voi sol brama: 16.13.3 or vi dirò quel ch' io serbo nel petto. 16.13.4 È questo il cavalier c' ha tanta fama, 16.13.5 la qual già non asconde il suo conspetto? 16.13.6 Se' tu colui che tutto il mondo chiama 16.13.7 il miglior paladin che abbassi lancia, 16.13.8 onore e gloria e di Carlo e di Francia? 16.14.1 Se' tu Rinaldo mio famoso e bello? 16.14.2 Se' tu colui che ti stai in su quel monte? 16.14.3 Se' tu d' Orlando suo cugin fratello? 16.14.4 Se' tu quel della gesta di Chiarmonte? 16.14.5 Se' tu colui ch' uccise Chiarïello? 16.14.6 Se' tu quel ch' ammazzasti Brunamonte? 16.14.7 Se' tu il nimico di Gan di Maganza? 16.14.8 Se' tu colui ch' ogn' altro al mondo avanza?». 16.15.1 «Rinaldo sono, o gentil damigella, 16.15.2 come tu conti, e di quel parentado». 16.15.3 Disse la dama: «Di te si favella 16.15.4 per tutto l' universo e ciò m' è a grado; 16.15.5 salvo ch' alcun te mancatore appella 16.15.6 di gentilezza; ch' udito hai di rado 16.15.7 a imbasciador già mai far villania, 16.15.8 comunche e' parli o qualunque e' si sia. 16.16.1 Tu uccidesti il nostro imbasciadore: 16.16.2 io non vo' giudicar chi s' abbi il torto, 16.16.3 se non che mi dispiace per tuo onore 16.16.4 e per onor di me, poi ch' egli è morto, 16.16.5 sendo mandato da sì gran signore. 16.16.6 Di far di lui vendetta mi conforto, 16.16.7 né sanza giostra indrieto vo' tornarmi: 16.16.8 così ti sfido, e prenderai tue armi. 16.17.1 Se tu m' abbatti per tuo valimento, 16.17.2 ogni cosa sia tuo che tu hai acquistato, 16.17.3 e so che 'l padre mio sarà contento; 16.17.4 ma s' io t' arò del tuo caval gittato, 16.17.5 io vo' che' tuoi stendardi spieghi al vento 16.17.6 e con tua gente in Francia sia tornato 16.17.7 e che tu lasci in pace i nostri regni 16.17.8 e contro al padre mio mai più non vegni». 16.18.1 Rinaldo disse alla donna famosa: 16.18.2 «Perch' io non paia né muto né sordo, 16.18.3 ciò che tu hai detto, nel petto ogni cosa 16.18.4 drento scolpito ho ch' io me ne ricordo; 16.18.5 ma tu facesti alla fine tal chiosa 16.18.6 che fa che d' ogni cosa siàn d' accordo: 16.18.7 non c' è più giusta cosa che la spada 16.18.8 assolver nostra lite, e così vada. 16.19.1 Ma una grazia prima ti domando 16.19.2 che con la spada al campo ci troviamo; 16.19.3 così ti priega il mio cugino Orlando: 16.19.4 che insieme questo giorno dimoriamo, 16.19.5 ch' io sento il cor ferito e non so quando 16.19.6 io fussi da te preso o con che amo; 16.19.7 e 'l terzo dì sopra il mio buon destriere 16.19.8 verrò in sul campo armato a tuo piacere». 16.20.1 Rispose alle parole presto Antea: 16.20.2 «Ciò ch' a te piace, a me convien che piaccia»; 16.20.3 e mentre che così gli rispondea, 16.20.4 s' accese tutta quanta nella faccia, 16.20.5 però ch' un foco sol due cori ardea. 16.20.6 Come anima gentil presto s' allaccia! 16.20.7 Così ferito è l' uno e l' altro amante 16.20.8 da quello stral che passa ogni adamante. 16.21.1 E cominciorno insieme a riguardarsi 16.21.2 ognun più che l' usato intento e fiso; 16.21.3 Rinaldo non potea di lei saziarsi, 16.21.4 né crede ch' altro ben sia in paradiso; 16.21.5 e la fanciulla cominciò a pensarsi 16.21.6 che così bel già mai fussi Narciso; 16.21.7 dovunque e' va gli tenea drieto gli occhi 16.21.8 e par che fiamme Amor nel suo cor fiocchi. 16.22.1 Ed ordinossi un convito sì magno, 16.22.2 che simil forse non fu ancor veduto. 16.22.3 Disse Rinaldo al suo caro compagno: 16.22.4 «O Ulivier, qui bisogna il tuo aiuto. 16.22.5 Vàdiane Persia e ciò ch' io ci guadagno, 16.22.6 fa che tu abbi a tutto proveduto; 16.22.7 e vo' che di tua man serva costei 16.22.8 per lo mio amor, come io per te farei. 16.23.1 E s' io ti fe' mai gentilezza alcuna 16.23.2 di Forisena e di Meredïana, 16.23.3 fa che qui cosa non manchi nessuna 16.23.4 da onorar questa gentil pagana». 16.23.5 Disse Ulivier: «Così va la fortuna: 16.23.6 cércati d' altro amante, Lucïana! 16.23.7 Da me sarai d' ogni cosa servito». 16.23.8 Ed ordinò di subito il convito. 16.24.1 Furno al convito le vivande tutte 16.24.2 che si potevon dare in quel paese, 16.24.3 con prezïosi vin, confetti e frutte; 16.24.4 furonvi tutte le dame cortese 16.24.5 della città, né creder le più brutte; 16.24.6 e sempre di sua man servì il marchese, 16.24.7 massime Antea con molta riverenzia, 16.24.8 di coppa, di coltello e di credenzia. 16.25.1 Fatto il convito, vennon molti suoni, 16.25.2 acciò che meno il giorno lor rincresca: 16.25.3 trombe e trombette e nacchere e busoni, 16.25.4 cembolo, staffa e cemmamelle in tresca, 16.25.5 corni, tambur, cornamuse e sveglioni 16.25.6 e molt' altri stormenti alla moresca, 16.25.7 lïuti ed arpe e chitarre e salteri, 16.25.8 buffoni e giuochi e infiniti piaceri. 16.26.1 Così passorno il giorno con gran festa. 16.26.2 Ma poi che 'l sole in Granata s' accosta, 16.26.3 la gentil donna con voce modesta 16.26.4 disse ch' al tutto tornare è disposta, 16.26.5 benché tal dipartenza gli è molesta, 16.26.6 al gran Soldan ch' aspetta la risposta; 16.26.7 e 'l terzo dì, come promesso avea, 16.26.8 essere armata in sul campo dicea. 16.27.1 Così la festa ristette col ballo 16.27.2 e dipartissi la donna famosa. 16.27.3 Rinaldo compagnia gli fe' a cavallo 16.27.4 insino appresso ove il Soldan si posa 16.27.5 e morir si credette sanza fallo 16.27.6 quando e' lasciò questa dama vezzosa 16.27.7 e con fatica le lacrime tenne 16.27.8 insin che pure a casa se ne venne. 16.28.1 Il Soldan domandò quel ch' avea fatto 16.28.2 la gentil figlia in Persia co' cristiani; 16.28.3 ella gli disse la convegna e 'l patto, 16.28.4 che 'l terzo dì debbe essere alle mani 16.28.5 e che sperava dare scaccomatto 16.28.6 al buon Rinaldo con l' arme in su' piani 16.28.7 e racquistar tutte le terre sue; 16.28.8 donde il Soldan molto contento fue 16.29.1 però che molto in costei si fidava. 16.29.2 Or ci convien tornare a dar conforto 16.29.3 a Rinaldo ch' al letto se n' andava 16.29.4 e non pareva già vivo né morto, 16.29.5 ma con sospiri Antea sua richiamava, 16.29.6 dicendo: «Lasso, tu m' hai fatto torto 16.29.7 avermi dato e poi furato il core!»; 16.29.8 e detto questo, si dolea d' Amore: 16.30.1 «Come hai tu consentito che costei 16.30.2 m' abbi così rubato da me stesso 16.30.3 e transformato così tosto in lei, 16.30.4 tanto che quel ch' io fui, non son più desso? 16.30.5 Ella se n' ha portati i pensier miei: 16.30.6 questo non è quel che tu m' hai promesso; 16.30.7 e non ti glorïar se col tuo arco 16.30.8 per donna sì gentil m' hai preso al varco; 16.31.1 ché non sarebbe ingannata Europia, 16.31.2 non si sarebbe transformato in toro 16.31.3 Giove e mutata la sua forma propia, 16.31.4 né Ganimede rapito al suo coro, 16.31.5 s' avessi visto sì leggiadra copia; 16.31.6 e non sarebbe Danne un verde alloro, 16.31.7 se Febo avessi veduto il dì Antea 16.31.8 che innamorato "Aspetta!" pur dicea, 16.32.1 né fatto servo de' servi d' Ameto; 16.32.2 né tanto tempo Giacobbe fedele, 16.32.3 ché, veggendo costei, come discreto, 16.32.4 serviva per Antea, non per Rachele; 16.32.5 che col suo viso faria mansüeto 16.32.6 ogni aspro tigre arrabbiato e crudele; 16.32.7 anzi farebbe il mar pietoso e' venti, 16.32.8 e per vederla, fermi stare attenti. 16.33.1 E non arebbe Andromada Perseo 16.33.2 combattuta col capo di Medusa, 16.33.3 e fatto un sasso diventar Fineo, 16.33.4 né fatto arebbe Ipolito mai scusa, 16.33.5 né tanto Eüridice chiesto Orfeo, 16.33.6 ovver conversa in un fonte Aretusa, 16.33.7 se stata fussi Antea nel mondo allora, 16.33.8 che degli abbissi l' anime innamora. 16.34.1 Non bisognava che Venere iddea 16.34.2 insegnassi a Ipomene già come 16.34.3 gittassi, mentre Atalanta correa, 16.34.4 come fussi passata innanzi, il pome; 16.34.5 né nel suo, Aconzio "Cidippe" scrivea, 16.34.6 veggendo a questa il bel viso e le chiome; 16.34.7 e non sarebbe il convito turbato 16.34.8 del pome ch' a Parisse fu mandato, 16.35.1 ché non l' arebbe giudicato a Venere: 16.35.2 non bisognava far di ciò contesa 16.35.3 e Troia non saria conversa in cenere 16.35.4 e tutta Grecia mossa a tanta impresa, 16.35.5 veggendo nude queste membra tenere 16.35.6 che m' han sì il cor ferito e l' alma incesa. 16.35.7 Né da sé sé per se stesso diviso 16.35.8 arebbe, questa veggendo, Narciso. 16.36.1 E non sarebbe Leandro d' Abido 16.36.2 portato così misero e meschino, 16.36.3 come tu sai, fra l' onde già, Cupido, 16.36.4 appiè della sua donna dal dalfino, 16.36.5 s' avessi Antea veduta, ond' io pur grido; 16.36.6 né Polifemo in sul lito marino 16.36.7 chiamata Galatea colla zampogna, 16.36.8 dolendosi che in grembo Ati a lei sogna. 16.37.1 Tu non aresti già, Teseo, menata 16.37.2 Ipolita del regno già amazzóne; 16.37.3 tu non aresti Adrïana lasciata 16.37.4 su l' isoletta in tanta passïone; 16.37.5 e non sarebbe Emilia repugnata 16.37.6 ' Atene per Arcita e Palamone; 16.37.7 né Pirramo già morto, e mille amanti, 16.37.8 ch' or sare' lungo a contar tutti quanti, 16.38.1 se fussi al secol lor vivuta questa: 16.38.2 ch' io pur non vidi mai più bella figlia, 16.38.3 s' io guardo ben la refulgente testa 16.38.4 e 'l capo suo, che Venere simiglia, 16.38.5 la faccia pulcra, angelica e modesta, 16.38.6 e' due begli occhi e l' archeggiate ciglia 16.38.7 e gli atti e le parole sì soave, 16.38.8 che mi parea sentir proprio dire "Ave". 16.39.1 Ben puoi tu, crudo, per lei saettarmi, 16.39.2 ben puoi di me vittoria avere, Amore. 16.39.3 Che pensi tu, ch' io apparecchi l' armi 16.39.4 per passar con la lancia a questa il core, 16.39.5 che può ferirmi a sua posta e sanarmi 16.39.6 come Pelleo, non già tu, traditore?». 16.39.7 Queste parole e molt' altre dicea; 16.39.8 ma finalmente richiamava Antea: 16.40.1 «Dove se' tu? Perché m' hai qui lasciato? 16.40.2 Non potesti star meco solo un giorno! 16.40.3 Che pensi tu ch' al campo io venga armato? 16.40.4 Aspetta, tanto ch' io chiami col corno! 16.40.5 Tu m' hai già preso per modo e legato, 16.40.6 ch' omai più in Francia al mio signor non torno, 16.40.7 né posso in Bambillona anco star teco, 16.40.8 né, poi ch' io vidi te, più star con meco. 16.41.1 Che debbo far? Dove sarà il mio regno? 16.41.2 Dove starà il mio cor così soletto?». 16.41.3 Orlando, ch' avea fatto alcun disegno, 16.41.4 la mattina trovò Rinaldo al letto 16.41.5 e misse a queste parole lo 'ngegno. 16.41.6 Disse: «Cugino, aresti tu difetto?». 16.41.7 Rinaldo il volea far pur cornamusa 16.41.8 d' un certo sogno e trovava sua scusa. 16.42.1 Rispose Orlando: «Noi sarem que' frati 16.42.2 che, mangiando il migliaccio, l' un si cosse; 16.42.3 l' altro gli vide gli occhi imbambolati 16.42.4 e domandò quel che la cagion fosse; 16.42.5 colui rispose: "Noi siàn due restati 16.42.6 a mensa e gli altri sono or per le fosse, 16.42.7 che trentatré già fumo e tu lo sai: 16.42.8 quand' io vi penso io piango sempre mai". 16.43.1 Quell' altro, che vedea che lo 'ngannava, 16.43.2 finse di pianger mostrando dolore; 16.43.3 e disse a quel che di ciò domandava: 16.43.4 "Ed anco io piango, anzi mi scoppia il core, 16.43.5 che noi siàn due restati", e sospirava; 16.43.6 ed è già l' uno all' altro traditore. 16.43.7 Così mi par che facciam noi, Rinaldo: 16.43.8 ché nol di' tu che 'l migliaccio era caldo? 16.44.1 Ma questo è altro caldo veramente». 16.44.2 Rinaldo si volea pur ricoprire: 16.44.3 «Per Dio, cugin, ch' i' sognavo al presente 16.44.4 ch' un gran lïon mi veniva assalire, 16.44.5 ond' io gridavo e chiamavo altra gente 16.44.6 e con Frusberta il volevo ferire: 16.44.7 forse che in sogno parlai per ventura: 16.44.8 tu mi destasti in su questa paura: 16.45.1 dond' io ti son, ti prometto, obligato, 16.45.2 però ch' io ero tanto impaürito, 16.45.3 che mi pare esser di bocca cavato 16.45.4 all' animal che m' aveva assalito». 16.45.5 Rispose Orlando: «Ah, cugino impazzato, 16.45.6 or fussi e' sogno quel ch' io ho udito! 16.45.7 Più su sta mona Luna, fratel mio! 16.45.8 Guarda se 'n sogno dicevi com' io: 16.46.1 "O vaga Antea, che ti feci io già mai? 16.46.2 Dove m' hai tu lasciato? Ove è la fede? 16.46.3 Dove se' ora, e quando tornerai? 16.46.4 E non arai tu mai di me merzede, 16.46.5 che t' ho pur dato il cor, come tu sai, 16.46.6 che son tuo servo pur, come Amor vede? 16.46.7 che tante volte di me domandasti: 16.46.8 'Se' tu colui che tu m' innamorasti?'. 16.47.1 Tu se' colei ch' ogn' altra bella avanza; 16.47.2 tu se' di nobiltà ricco tesoro; 16.47.3 tu se' colei che mi dài sol baldanza; 16.47.4 tu se' la luce dello etterno coro; 16.47.5 tu se' colei che m' hai dato speranza; 16.47.6 tu se' colei per ch' io sol vivo e moro; 16.47.7 tu se' fontana d' ogni leggiadria; 16.47.8 tu se' il mio cor, tu se' l' anima mia". 16.48.1 Nimica, cugin mio, par che tu sogni; 16.48.2 non creder da me tu voler celarti: 16.48.3 pensa ch' un altro trovar ti bisogni. 16.48.4 Dunque tu vieni in Persia a innamorarti 16.48.5 d' una pagana! Or fa che ti vergogni, 16.48.6 ché questo è poco men che sbattezzarti. 16.48.7 Se' tu sì della mente fatto cieco? 16.48.8 Guarda che Cristo non s' adiri teco. 16.49.1 Ove è, Rinaldo, la tua gagliardia? 16.49.2 Ove è, Rinaldo, il tuo sommo potere? 16.49.3 Ove è, Rinaldo, il tuo senno di pria? 16.49.4 Ove è, Rinaldo, il tuo antivedere? 16.49.5 Ove è, Rinaldo, la tua fantasia? 16.49.6 Ove è, Rinaldo, l' arme e 'l tuo destriere? 16.49.7 Ove è, Rinaldo, la tua gloria e fama? 16.49.8 Ove è, Rinaldo, il tuo core? Alla dama. 16.50.1 Pàrti che 'l tempo sia conforme a questo? 16.50.2 Pàrti che 'l tempo sia da innamorarsi? 16.50.3 Pàrti che 'l tempo sia qui lungo o presto? 16.50.4 Pàrti che 'l tempo sia dover più starsi? 16.50.5 Pàrti che 'l tempo sia tranquillo o infesto? 16.50.6 Pàrti che 'l tempo sia da motteggiarsi? 16.50.7 Pàrti che 'l tempo sia da dama o lancia? 16.50.8 Pàrti che 'l tempo sia d' andarne in Francia? 16.51.1 A questo modo il regno in pace aremo. 16.51.2 A questo modo acquisterai corona. 16.51.3 A questo modo Antea giù abbatteremo. 16.51.4 A questo modo andren poi in Bambillona. 16.51.5 A questo modo la fede alzeremo. 16.51.6 A questo modo or di te si ragiona. 16.51.7 A questo modo se' fatto discreto. 16.51.8 Misero a me, ch' io non sarò mai lieto! 16.52.1 Lascia questo pensier sì stolto e vano; 16.52.2 comincia a rassettar la tua armadura, 16.52.3 ché questo nostro Cristo è partigiano; 16.52.4 non so come e' comporta tua natura. 16.52.5 Vedi ch' addosso ci viene il Soldano, 16.52.6 e, se tu abbatti Antea per tua ventura, 16.52.7 che questo regno e tutte sue contrade 16.52.8 sicuro abbiam sanza operar più spade». 16.53.1 Quando Rinaldo si vide scoperto 16.53.2 e non poté celar quel ch' è palese, 16.53.3 rispose sospirando: «Io veggo certo 16.53.4 che queste al nostro Iddio son grave offese, 16.53.5 e molta punizion, come di', merto. 16.53.6 Ma se quel Giove iddio non si difese 16.53.7 da questo Amor né 'l bellicoso Marte, 16.53.8 che val qui la mia forza o ingegno o arte? 16.54.1 Io voglio al campo andar, ch' io l' ho promesso, 16.54.2 e porterò la lancia e 'l brando cinto: 16.54.3 ma come potrei io ferir me stesso 16.54.4 o vincer mai colei che m' ha già vinto? 16.54.5 Io ho la mente cieca, io tel confesso, 16.54.6 ed anche il mio signor cieco è dipinto, 16.54.7 e guida a questa volta il cieco l' orbo: 16.54.8 dunque tu bussi a formica di sorbo. 16.55.1 Io non posso voler, per ch' io non voglio: 16.55.2 lasciar costei dunque io non voglio o posso. 16.55.3 Io non son più il cugin tuo, com' io soglio, 16.55.4 però che questo è mal che sta nell' osso; 16.55.5 e s' io sapessi gittar questo scoglio, 16.55.6 sarebbe Salamon suto un uom grosso, 16.55.7 Aristotile e Socrate e Platone: 16.55.8 dunque, fratel, non ne facciam quistione, 16.56.1 ch' io non vo' disputar d' astrologia 16.56.2 con quel che non sa ancor che cosa è stella, 16.56.3 io non vo' disputar di cerusia 16.56.4 con chi sempre ara, o macina, o martella, 16.56.5 io non vo' disputar quel che amor sia 16.56.6 con un che sol conosce Alda la bella; 16.56.7 ma priego Amor che qualche ingegno truovi, 16.56.8 acciò che tu mi creda, che tu 'l pruovi». 16.57.1 Rimase Orlando tutto spennecchiato 16.57.2 quando e' sentì quel che 'l cugino ha detto, 16.57.3 perché conobbe ch' egli era ostinato. 16.57.4 A Ulivier n' andava e Ricciardetto, 16.57.5 e disse: «Il nostro Rinaldo è già armato, 16.57.6 ch' aspetta alla battaglia Antea nel letto»; 16.57.7 e raccontò ciò ch' egli avea sentito; 16.57.8 donde ciascun di lor n' è sbigottito. 16.58.1 Ma Ulivier con Orlando dicea: 16.58.2 «Io gli ho a cantar poi il vespro, s' io mi cruccio». 16.58.3 «Deh, taci!» Orlando tosto rispondea 16.58.4 «ché ti direbbe: "Néttati il cappuccio". 16.58.5 A me, che ignuno error di ciò sapea, 16.58.6 m' ha rimandato indrieto come un cuccio. 16.58.7 Chi vi cercassi trito a falde a falde, 16.58.8 né l' un né l' altro è farina da cialde. 16.59.1 Vo' che tu corra come fe' a furore 16.59.2 quella badessa e lievi il romor grande, 16.59.3 che volle tôr la cuffia e per errore 16.59.4 si misse dell' abate le mutande; 16.59.5 per che la monacella peccatore 16.59.6 disse: "Madonna, il capo vi si spande: 16.59.7 la cuffia prima un poco v' acconciate"; 16.59.8 dond' ella si tornò al suo santo abate. 16.60.1 Qui si bisogna provedere a noi 16.60.2 e che noi andian domani al campo armati: 16.60.3 io sarò il primo e poi sarete voi, 16.60.4 che con Antea ci saremo sfidati. 16.60.5 Io so ch' io l' uccidrò, sia che vuol poi: 16.60.6 se noi sarem dal Soldano assaltati, 16.60.7 difenderenci e Iddio ci aiuteràe, 16.60.8 né più la dama il mio cugino aràe. 16.61.1 Ma forse altri pensier potrebbe avere, 16.61.2 se la fortuna o 'l peccato volessi 16.61.3 ch' ella m' abbatta in terra del destriere, 16.61.4 bench' io mi credo che se ne ridessi. 16.61.5 Ma Cristo mi darà forza e potere 16.61.6 e con sua man mi sosterrà lui stessi, 16.61.7 e lasceren Rinaldo a riposarsi 16.61.8 nel letto insin che potrebbe destarsi». 16.62.1 Ulivier non rispose nulla a questo, 16.62.2 e diecimila a cavallo ordinorno. 16.62.3 L' altra mattina ognun s' armava presto; 16.62.4 verso dell' oste del Soldan n' andorno; 16.62.5 così Rinaldo sanza esser richiesto; 16.62.6 e disse al conte: «Sonerai tu il corno, 16.62.7 ché sai che poco il sonarlo è mia arte, 16.62.8 e chiama al campo Antea dalla mia parte». 16.63.1 «Ah» disse Orlando, «tu non di' davvero. 16.63.2 Io lo farò come persona sciocca, 16.63.3 ché di piacerti ho troppo desidéro»; 16.63.4 e l' alifante si poneva a bocca 16.63.5 e sonò tanto forte e tanto altero, 16.63.6 che come il suon del corno fuori scocca 16.63.7 subito venne agli orecchi d' Antea 16.63.8 che fra se stessa gran dolor n' avea, 16.64.1 dicendo: «Io ho qui perduta ogni fama: 16.64.2 parrà che per viltà nel padiglione 16.64.3 mi stessi addormentata»; e l' arme chiama 16.64.4 e finalmente saltò in su l' arcione. 16.64.5 Come Rinaldo scorgeva la dama, 16.64.6 par che sia tratto il cappello al falcone 16.64.7 e tutto si rassetta in su la sella 16.64.8 e in qua e in là con Baiardo saltella. 16.65.1 Giunta costei, con un gentil saluto 16.65.2 lo salutò, che in mezzo il cor gli passa; 16.65.3 poi fece con Orlando il suo dovuto; 16.65.4 Orlando per dolor giù gli occhi abbassa. 16.65.5 Disse la dama: «E' vi sarà paruto 16.65.6 ch' io sia molto per certo pigra e lassa, 16.65.7 che sto nel letto e voi siete aspettarmi: 16.65.8 veggo che l' arte è pur vostra dell' armi. 16.66.1 Prendi del campo tu, Rinaldo mio, 16.66.2 ché so che tu m' aspetti alla battaglia, 16.66.3 e ciò ch' io ti promissi, pel mio Iddio, 16.66.4 osserverotti sanza mancar maglia». 16.66.5 Dicea Rinaldo: «A combatter vengo io, 16.66.6 ma vorrei far con arme che non taglia». 16.66.7 Volse il cavallo, e così la fanciulla. 16.66.8 Disse Ulivieri: «E' non ne sarà nulla»; 16.67.1 e parvegli ch' Antea se ne ridesse, 16.67.2 quand' ella volse il cavallo arabesco. 16.67.3 Volto Rinaldo, l' aste in resta messe 16.67.4 e con Baiardo fe' del barberesco; 16.67.5 ma come e' par ch' alla dama s' appresse, 16.67.6 un bello scudo ch' aveva moresco 16.67.7 subito drieto alle spalle gittava 16.67.8 e gittò via la lancia che portava. 16.68.1 Veggendo questo, Antea, ch' era gentile, 16.68.2 subito anco ella lo scudo volgea 16.68.3 per non parer né villana né vile; 16.68.4 Orlando troppo di ciò si dolea, 16.68.5 e dice: «L' ésca riscalda el fucile. 16.68.6 Maladetta sia tu per certo, Antea! 16.68.7 Or vedi, Ricciardetto, ove noi siamo: 16.68.8 qui si convien che l' arme adoperiamo, 16.69.1 ché quando io vidi Antea sì larghi patti 16.69.2 far, se Rinaldo la vinceva in giostra, 16.69.3 io dissi: "Or sono acconci i nostri fatti, 16.69.4 a salvamento omai la terra è nostra". 16.69.5 Ora ho temenza alfin non siàn disfatti, 16.69.6 poi che tanta pazzia Rinaldo mostra: 16.69.7 parmi ch' uscito sia dello intelletto». 16.69.8 «E così a me» diceva Ricciardetto. 16.70.1 Accostasi a Rinaldo Orlando allora, 16.70.2 e disse: «Dimmi dove tu ha' apparato 16.70.3 giostrar così, ch' io nol sapevo ancora 16.70.4 e molto caro ho tu m' abbi insegnato. 16.70.5 Veggo che 'l foco drento ben lavora 16.70.6 e 'n questo dì riman' vituperato». 16.70.7 Disse la dama: «Così vuole Amore. 16.70.8 Prendi del campo tu, gentil signore». 16.71.1 Allor comincia Ulivieri a pregare: 16.71.2 «Per grazia, car cognato, ti domando 16.71.3 che tu mi lasci con questa provare». 16.71.4 «Io son contento»; rispondeva Orlando 16.71.5 «non che pregarmi, tu puoi comandare». 16.71.6 Ulivier venne il suo destrier voltando 16.71.7 e quanto gli parea del campo prese; 16.71.8 così la donna, e volsesi al marchese. 16.72.1 Riscontrò Ulivier la damigella 16.72.2 e ruppe la sua lancia e non la mosse 16.72.3 né piegò pure un dito in su la sella; 16.72.4 ma in su lo scudo in modo lui percosse, 16.72.5 che cadde per virtù della donzella 16.72.6 e bisognòe che prigionier suo fosse; 16.72.7 e Ricciardetto gli fe' compagnia, 16.72.8 acciò che gl' increscessi men la via, 16.73.1 e 'nverso il padiglion furno avvïati. 16.73.2 Rinaldo si ridea del suo fratello. 16.73.3 Orlando gli dicea: «Pe' tuoi peccati 16.73.4 credo che t' abbi perduto il cervello. 16.73.5 Ma que' che son di sopra coronati 16.73.6 ben ti serbano a tempo il tuo flagello». 16.73.7 Rinaldo, ch' avea il cor dato in diposito, 16.73.8 non rispondeva a Orlando a proposito. 16.74.1 Per la qual cosa Orlando è insuperbito, 16.74.2 e disse: «Io giuro pel nostro Gesùe, 16.74.3 che se 'l peccato tuo non è punito 16.74.4 in qualche modo, io non gli credo piùe, 16.74.5 e leverotti da giuoco e partito 16.74.6 che con Antea non giosterrai più tue, 16.74.7 ch' io gli darò la morte in tua presenzia 16.74.8 per darti parte di tua penitenzia». 16.75.1 E disse ' Antea: «Se vuoi, piglia del campo, 16.75.2 ché fia cagion del tuo morir Rinaldo: 16.75.3 ch' io ti farò sentir, s' io non inciampo, 16.75.4 d' altro per certo che d' amor pur caldo». 16.75.5 Disse la dama: «Non c' è ignuno scampo: 16.75.6 se fussi, Orlando, più ch' un muro saldo, 16.75.7 io ti farò cader per tuo dispetto: 16.75.8 così ti sfido e così ti prometto». 16.76.1 Orlando con grande ira il destrier volse 16.76.2 e va sbuffando che pareva un toro; 16.76.3 così del campo la fanciulla tolse, 16.76.4 poi si voltò, che non fe' ignun dimoro; 16.76.5 sopra lo scudo del buon conte colse, 16.76.6 credendo dargli il suo sezzo martoro: 16.76.7 ruppe la lancia e non si mosse il muro 16.76.8 come avea detto, tanto è forte e duro. 16.77.1 Maravigliossi di questo la dama, 16.77.2 e disse: «Io ero in un pensiero strano 16.77.3 d' abbatter un tal uom, c' ha tanta fama». 16.77.4 Orlando anco la lancia ruppe invano, 16.77.5 perché lo scudo è incantato e la lama: 16.77.6 dunque le spade pigliavano in mano 16.77.7 e cominciorno la battaglia insieme, 16.77.8 per modo che d' Antea Rinaldo teme. 16.78.1 Are' voluto, tanto è innamorato, 16.78.2 del suo cugin veder la terra rossa, 16.78.3 e come Orlando il colpo aveva dato, 16.78.4 gli rimbombava nel cuor la percossa 16.78.5 e par che 'l petto gli resti intronato, 16.78.6 come avviene allo infermo per la tossa; 16.78.7 ed ogni volta con Cristo si cruccia 16.78.8 e dice l' orazion della bertuccia. 16.79.1 Alcuna volta ch' Antea superava 16.79.2 un poco Orlando, egli arebbe voluto 16.79.3 ch' ella il gittassi in terra, e sospirava, 16.79.4 e con sue proprie man porgergli aiuto. 16.79.5 Guarda costui quanto Amor lo 'ngannava! 16.79.6 ch' era di poco di Francia venuto 16.79.7 con tanta impresa a trarlo di prigione, 16.79.8 ed or chiedea la sua distruzïone. 16.80.1 Or basti questo essemplo a chi m' intende. 16.80.2 Orlando con Antea mirabil pruova 16.80.3 facea col brando, e costei si difende, 16.80.4 però che l' arme sua fatata truova, 16.80.5 e spesso a lui simil derrate rende; 16.80.6 ma sopra l' armi sue poco ancor giova, 16.80.7 però ch' Orlando tale avea armadura 16.80.8 che regge a tutte botte, in modo è dura. 16.81.1 Durò tutto quel giorno la battaglia 16.81.2 sanza avanzare l' un l' altro di niente, 16.81.3 da poi che l' arme non si rompe o taglia. 16.81.4 Era già il sol caduto in Occidente, 16.81.5 e non restando la fiera puntaglia, 16.81.6 Orlando disse alla dama piacente: 16.81.7 «Credo che tempo da ritrarsi sia, 16.81.8 e faccendo altro sare' villania. 16.82.1 Non c' è vergogna, ché non c' è vantaggio; 16.82.2 per istasera la guerra è finita». 16.82.3 Disse la donna: «Io ho per grande oltraggio 16.82.4 ch' io non t' ho fatto qui lasciar la vita; 16.82.5 ora a tua posta vanne a tuo vïaggio». 16.82.6 E così fecion dal campo partita; 16.82.7 e ritornossi Orlando al suo stazzone 16.82.8 e la fanciulla al padre al padiglione. 16.83.1 E fra tre dì promisson ritornare 16.83.2 alla battaglia e far quel ch' è usanza. 16.83.3 Or altra storia ci convien trattare. 16.83.4 Cercato il mondo avea Gan di Maganza, 16.83.5 come e' potessi Rinaldo trovare, 16.83.6 ma dove fussi non avea certanza. 16.83.7 Al campo capitò dove è il Soldano 16.83.8 e déttesi a conoscer ch' era Gano, 16.84.1 e disse che di corte era sbandito 16.84.2 e dava tutte a Rinaldo le colpe 16.84.3 e che pel mondo alcun tempo era gito 16.84.4 per fargli alfin lasciar l' ossa e le polpe. 16.84.5 Avea il Soldan di Gan molto sentito 16.84.6 com' egli è malizioso più che volpe 16.84.7 e più che Giuda tristo e traditore; 16.84.8 e quanto più potea gli fece onore. 16.85.1 E raccontò di Persia come era ito 16.85.2 il fatto e come Orlando l' avea presa 16.85.3 e Chiarïella il padre avea tradito 16.85.4 e che per questo mossa ha tale impresa, 16.85.5 però che 'l regno a lui è stabilito, 16.85.6 ma nol può racquistar sanza contesa; 16.85.7 ma tanto tempo è disposto far guerra, 16.85.8 che torrà loro e la vita e la terra. 16.86.1 E disse come al campo era venuto 16.86.2 Rinaldo ed Ulivieri e 'l conte Orlando, 16.86.3 e come Ricciardetto era caduto 16.86.4 ed Ulivier sanza operare il brando, 16.86.5 e la sua figlia l' aveva abbattuto 16.86.6 e come e' gli ha prigioni a suo comando. 16.86.7 Ebbe di questo Gan molta letizia 16.86.8 e cominciò a pensar tosto malizia. 16.87.1 E dopo molto e gran ragionamento, 16.87.2 dicea: «Soldano, intendi il mio consiglio. 16.87.3 Combatter con Orlando è fummo al vento, 16.87.4 e darà alfine a' tuoi prigion di piglio. 16.87.5 Io cercherei d' avergli a salvamento 16.87.6 acciò che non ti fugghin dello artiglio 16.87.7 e non farei in su' campi più dimoro, 16.87.8 ma in Bambillona me n' andrei con loro. 16.88.1 So che Rinaldo tanto ama il fratello 16.88.2 e così Orlando il cognato Ulivieri, 16.88.3 che ciò che tu vorrai l' arai da quello, 16.88.4 pur che tu renda lor questi guerrieri. 16.88.5 Io darei presto al vento il mio drappello, 16.88.6 ché non rïusciranno qui i pensieri». 16.88.7 E tanto seppe il Soldan confortare, 16.88.8 che s' accordava il suo campo levare. 16.89.1 Rinaldo con Orlando era tornato 16.89.2 in Persia e fatto gran disputazione. 16.89.3 Orlando s' era con lui riscaldato: 16.89.4 «Io credo che tu stavi in orazione 16.89.5 ch' io fussi da colei preso e legato, 16.89.6 e quando bene alla tua intenzione 16.89.7 non rïusciva il disegno o l' archimia, 16.89.8 dicevi il paternostro della scimia». 16.90.1 E forse che di questo era indovino. 16.90.2 Così la sera a posar se n' andorno, 16.90.3 rimbrottandosi insieme col cugino. 16.90.4 Rinaldo si levò come e' fu giorno; 16.90.5 vide levato il campo saracino 16.90.6 da un balcon donde e' vedea dintorno: 16.90.7 maravigliossi e gran dolor n' avea, 16.90.8 ché riveder mai più non crede Antea. 16.91.1 Non si ricorda già di Ricciardetto, 16.91.2 non si ricorda ch' Ulivieri è preso, 16.91.3 che gli soleva amar con tanto effetto: 16.91.4 tanto il foco d' amor drento era acceso! 16.91.5 Al conte Orlando presto andava al letto, 16.91.6 e disse: «Hai tu del nuovo caso inteso? 16.91.7 Dal mio balcon testé guardando il piano, 16.91.8 veggo che 'l campo ha levato il Soldano». 16.92.1 «Ah» disse Orlando, «come esser può questo? 16.92.2 Come può farlo altro che solo Iddio 16.92.3 che sia di qui partito così presto? 16.92.4 O Ulivieri, o Ricciardetto mio, 16.92.5 forse ch' avvolto avete ora il capresto! 16.92.6 Or se' contento, cugin pazzo e rio? 16.92.7 Or si vendicherà il Soldan de' torti. 16.92.8 Io ne farò vendetta, se gli ha morti. 16.93.1 Qui si bisogna subito riparo 16.93.2 e tempo non è più d' essere amante». 16.93.3 E finalmente d' accordo ordinaro 16.93.4 che Chiarïella sposassi Balante 16.93.5 e 'l regno a questi a governo lasciaro, 16.93.6 e Lucïana col suo Balugante 16.93.7 a Siragozza a Marsilio tornassino 16.93.8 e per lor parte assai lo ringraziassino. 16.94.1 E ben cognobbe Lucïana e vede 16.94.2 ch' al suo Rinaldo era uscita del core: 16.94.3 contenta si partì come ognun crede, 16.94.4 e disse fra se stessa: «Ingrato Amore, 16.94.5 è questo il merto di mia tanta fede? 16.94.6 Così va chi si fida in amadore»; 16.94.7 e ritornossi assai dogliosa al padre 16.94.8 con Balugante e con le loro squadre. 16.95.1 Ordinato la terra, si partiro 16.95.2 Rinaldo, Orlando e 'l suo caro scudiere 16.95.3 e per diverse vie cercando giro 16.95.4 dove sien del Soldan le sue bandiere. 16.95.5 Una mattina in un bosco appariro, 16.95.6 dove s' andava per istran sentiere, 16.95.7 per ispilonche e per burroni e balze, 16.95.8 dove vanno le capre appena scalze. 16.96.1 E come furno in mezzo del deserto 16.96.2 cinque giganti trovorno assassini, 16.96.3 che tutto quel paese avien diserto, 16.96.4 tanto che presso non v' è più vicini. 16.96.5 In una grotta in un luogo coperto 16.96.6 si riducevan come malandrini 16.96.7 ed una damigella avien con loro, 16.96.8 tutta angosciosa e con assai martoro. 16.97.1 Al re Gostanzo l' avevon rubata, 16.97.2 ch' era signor della Bellamarina; 16.97.3 in questa grotta l' avevon legata 16.97.4 e molto la sua vita era meschina. 16.97.5 E come e' giunse la nostra brigata, 16.97.6 l' un de' giganti a Rinaldo cammina 16.97.7 e in ogni modo Baiardo volea 16.97.8 e minacciava se non ne scendea; 16.98.1 e dice: «Tu potrai poi starti meco 16.98.2 e menerotti per queste contrade: 16.98.3 aiutera'mi a recar ciò ch' io reco, 16.98.4 ché ogni giorno rubian queste strade». 16.98.5 Disse Rinaldo: «Dunque starò teco 16.98.6 se drieto ti verrò per le masnade? 16.98.7 Tu mi par' poco pratico, gigante, 16.98.8 ch' io non sono uom da star teco per fante». 16.99.1 E detto questo, Baiardo scostava, 16.99.2 poi cogli sproni in su' fianchi ferillo 16.99.3 in modo che tre lanci egli spiccava, 16.99.4 che gozzivaio non parea né grillo; 16.99.5 la lancia abbassa e 'l gigante trovava, 16.99.6 in mezzo il petto col ferro ferillo 16.99.7 e passò il cuore al gigante gagliardo 16.99.8 ed anco d' urto gli diè con Baiardo. 16.100.1 Un di quegli altri a Orlando s' accosta 16.100.2 e 'n sull' elmetto gli diè sì gran picchio, 16.100.3 che se non fussi che l' arme fe' sosta, 16.100.4 e' gli levava del capo uno spicchio. 16.100.5 Non si poté rïavere a sua posta 16.100.6 Orlando, che pel duol si fece un nicchio 16.100.7 e tramortito par che giù cascasse; 16.100.8 ma 'l fer gigante di sella lo trasse 16.101.1 e portollo di peso un mezzo miglio 16.101.2 per gittarlo in un luogo fuor di strada. 16.101.3 Orlando ritornò nel suo consiglio: 16.101.4 videsi preso e pigliava la spada 16.101.5 e ficcolla al gigante in mezzo il ciglio, 16.101.6 tanto che morto convien che giù vada, 16.101.7 ché per l' orecchio rïuscì dal lato, 16.101.8 sì che pel colpo il gigante è cascato. 16.102.1 Terigi sempre l' aveva seguito. 16.102.2 Or ritorniamo a Rinaldo che resta 16.102.3 nella battaglia dagli altri assalito, 16.102.4 che forse alfin gli rompevan la testa 16.102.5 se non fussi il caval ch' è tanto ardito, 16.102.6 che morde e trae e facea gran tempesta 16.102.7 tanto che gnun non si vuole accostare; 16.102.8 donde un gigante cominciò a parlare: 16.103.1 «Chi tu ti sia, cristiano o saracino, 16.103.2 tu mi pari uom da far poco guadagno: 16.103.3 per mio consiglio, piglia il tuo cammino, 16.103.4 ché questo tuo destriere è buon compagno». 16.103.5 Rinaldo s' avvïava. E Vegliantino 16.103.6 cercato ha tanto del suo signor magno, 16.103.7 che lo trovava e su vi monta Orlando 16.103.8 e molto di Rinaldo andò cercando, 16.104.1 e Rinaldo di lui cercava ancora: 16.104.2 non si trovorno, ché smarriti sono. 16.104.3 Della foresta cercono uscir fuora. 16.104.4 Orlando sente per la selva un suono: 16.104.5 ecco apparir quella fanciulla allora, 16.104.6 che s' inginocchia e domanda perdono 16.104.7 e dice come ella fussi scampata 16.104.8 mentre che gli era la zuffa appiccata 16.105.1 e che gli dessi ed aiuto e conforto. 16.105.2 Orlando di Rinaldo suo domanda; 16.105.3 disse la dama: «Io so che non è morto; 16.105.4 ma dove e' gissi, non so da qual banda. 16.105.5 Andian cercando, per Dio, qualche porto». 16.105.6 Allora Orlando a Dio si raccomanda; 16.105.7 e cavalcorno il giorno e poi la notte, 16.105.8 sempre per balzi e per fossati e grotte. 16.106.1 Rinaldo, uscito al giorno d' un burrone, 16.106.2 comincia del dimestico a trovare; 16.106.3 truova un pastor che in su 'n un capperone 16.106.4 certe vivande sue volea mangiare 16.106.5 e fece insieme con lui collezione. 16.106.6 Mangiato, cominciossi addormentare 16.106.7 perché la notte non avea dormito, 16.106.8 e dal pastor si trovò poi tradito. 16.107.1 Questo pastor sopra Baiardo arranca, 16.107.2 come e' vide Rinaldo addormentato. 16.107.3 Vede Rinaldo che 'l destrier gli manca 16.107.4 (ché si destò, perch' egli avea sognato 16.107.5 ch' un gran lïon l' avea preso per l' anca), 16.107.6 e disse: «Or son io ben male arrivato!»; 16.107.7 e 'l me' che può soletto ne va a piede, 16.107.8 perché Baiardo e 'l pastor non rivede. 16.108.1 Questo pastor n' andò a una città 16.108.2 dove il Soldan teneva il suo tesoro. 16.108.3 Il mastro giustizier, che quivi sta, 16.108.4 vide il cavallo a quell' uom grosso e soro, 16.108.5 e quel che ne volea domandato ha. 16.108.6 Costui chiedea trecento dobbre d' oro, 16.108.7 onde e' rispose: «Io vo' veder provallo»; 16.108.8 e quel pastor di spron détte al cavallo. 16.109.1 Baiardo conosceva a chi gli è sotto: 16.109.2 subitamente prese in aria un salto, 16.109.3 onde il pastor, ch' a l' arte non è dotto, 16.109.4 si ritrovò di fatto in su lo smalto 16.109.5 e del petto due costole s' ha rotto. 16.109.6 Il giustizier, che 'l vide levare alto, 16.109.7 disse al pastor: «Questo è pel tuo peccato, 16.109.8 ch' io so che questo cavallo hai imbolato». 16.110.1 Poi gli fece i danari annoverare. 16.110.2 Or ritorniamo a Rinaldo ch' andava 16.110.3 sanza saper dov' egli abbi arrivare 16.110.4 e Ricciardetto ed Ulivier chiamava: 16.110.5 «A questo modo vi vengo aiutare?»; 16.110.6 quando d' Orlando si rammaricava: 16.110.7 «Dove lasciato t' ho, cugin mio buono, 16.110.8 nel bosco? Ed io dove arrivato sono? 16.111.1 O Carlo Magno, ben sarai contento! 16.111.2 O Ganellon, bene arai allegrezza! 16.111.3 O Chiaramonte, il tuo rigoglio è spento! 16.111.4 O Monte Alban, tu tornerai in bassezza! 16.111.5 O buon Guicciardo, dove è il tuo ardimento? 16.111.6 O donna mia, dov' è tua gentilezza? 16.111.7 O caro Astolfo mio, come farai? 16.111.8 Omè, Rinaldo, che via piglierai?». 16.112.1 E così lamentando, capitòe 16.112.2 a Bambillona per molte contrade. 16.112.3 Essendo presso, un pagan riscontròe 16.112.4 e domandollo di quella cittade; 16.112.5 onde il pagan ridendo lo beffòe, 16.112.6 quando lo vide così in povertade: 16.112.7 «Tu hai gli spron», dicea «dove è il ronzino? 16.112.8 Tu 'l debbi aver giucato pel camino». 16.113.1 Donde Rinaldo s' adirò con quello; 16.113.2 disse: «Per Dio, tu pagherai lo scotto!». 16.113.3 Prese la briglia e colui pel mantello 16.113.4 e disse: «Io vo' l' alfana che tu hai sotto, 16.113.5 e serba tu gli spron, ribaldo e fello». 16.113.6 Poi trasse fuor Frusberta e non fe' motto 16.113.7 e déttegli un rovescio alla francesca, 16.113.8 che lo tagliò pel mezzo alla turchesca. 16.114.1 Morto costui, innanzi gli venìa 16.114.2 un altro che parea buona persona; 16.114.3 disse Rinaldo: «Dimmi, in cortesia, 16.114.4 questa città com' ella si ragiona». 16.114.5 Colui rispose sanza villania: 16.114.6 «Sappi che questa è la gran Bambillona 16.114.7 e Bambillona si chiama maggiore 16.114.8 e 'l Soldan della Mecche n' è signore. 16.115.1 Ed ècci una figliuola del Soldano 16.115.2 che molto afflitta mena la sua vita, 16.115.3 ed èssi innamorata d' un cristiano 16.115.4 e duolsi che nol vide alla partita: 16.115.5 sento ch' egli è non so che Monte Albano; 16.115.6 tanto è che per lui par tutta smarrita 16.115.7 e tutta solitaria è fatta questa, 16.115.8 che solea la città tener già in festa. 16.116.1 Ora io t' ho detto più che non domandi; 16.116.2 s' altro tu vuoi da me chiedi tu stesso, 16.116.3 ch' io il farò volentier pur che comandi, 16.116.4 ché certo un uom gentil mi par' dappresso». 16.116.5 Disse Rinaldo: «Troppo me ne mandi 16.116.6 contento se 'l tuo nome mi di' adesso». 16.116.7 Dicea il pagan: «Fia fatto, e volentieri, 16.116.8 ciò che tu vuoi: chiamato son Gualtieri. 16.117.1 E se ti piace io vo' teco venire 16.117.2 dove tu vai, ch' io son uom poveretto: 16.117.3 non ho faccenda o roba da partire 16.117.4 e d' esserti fedel giuro e prometto». 16.117.5 Quando Rinaldo così ode dire, 16.117.6 disse: «Gualtier, per buon fratel t' accetto»; 16.117.7 come nell' altro dir vi sarà pòrto. 16.117.8 Cristo vi guardi e dia pace e conforto.
CANTO XVII
17.1.1 Virgine innanzi al parto ed ora e sempre, 17.1.2 Virgine pura, Virgine beata, 17.1.3 Virgine che 'l tuo figlio in ciel contempre, 17.1.4 Virgine degna, Virgine sacrata, 17.1.5 Virgine ch' ogni cosa guidi e tempre, 17.1.6 Virgine con Gesù nostra avvocata, 17.1.7 Virgine piena di grazia e di gloria, 17.1.8 Virgine etterna, aiuta la mia storia. 17.2.1 «Sappi ch' i' son colui per cui sospira 17.2.2 nella città la figlia del Soldano; 17.2.3 ma la Fortuna che sue rote gira, 17.2.4 m' ha qui condotto con gli sproni in mano, 17.2.5 e di me fatto il berzaglio e la mira. 17.2.6 Or pur torrai questa alfana, pagano, 17.2.7 ché 'l mio cavallo ho perduto, Baiardo, 17.2.8 e 'l mio cugin, che mai fu il più gagliardo; 17.3.1 nella città n' andrai subito a quella; 17.3.2 di' che Rinaldo in sul campo l' aspetta 17.3.3 alla battaglia armato, non in sella, 17.3.4 ché vuol de' suoi prigion far la vendetta: 17.3.5 vedrai che gli parrà buona novella». 17.3.6 Gualtier sopra l' alfana allor s' assetta, 17.3.7 e presto in Bambillona andava ' Antea 17.3.8 e quel c' ha detto Rinaldo, dicea. 17.4.1 Diceva Antea: «Può farlo la Fortuna 17.4.2 che sia Rinaldo e sia così soletto, 17.4.3 sanza cavallo o compagnia nessuna?». 17.4.4 E corse a Ulivieri e Ricciardetto, 17.4.5 e disse: «Or non temete cosa alcuna» 17.4.6 perché sapea che vivon con sospetto; 17.4.7 e quanto più potea gli confortava, 17.4.8 ché per amor di Rinaldo gli amava 17.5.1 e Ricciardetto avea trattato in modo 17.5.2 che mai nessun disagio comportòe, 17.5.3 tanto la strigne l' amoroso nodo. 17.5.4 Poi, fatto questo, al Soldan se n' andòe: 17.5.5 «Voi non sapete» disse «quel ch' io odo; 17.5.6 però quel c' ho sentito vi diròe: 17.5.7 Rinaldo fuor m' aspetta delle mura, 17.5.8 a piè, soletto, sol con l' armadura». 17.6.1 Il Soldan disse: «Molto strano è il caso 17.6.2 ch' un cavalier di tanta nominanza 17.6.3 così sanza caval sia sol rimaso»; 17.6.4 e disse: «Che di' tu, Gan di Maganza, 17.6.5 che se' d' ogni scïenza e virtù vaso? 17.6.6 Sai che Rinaldo ha pur molta possanza, 17.6.7 né la fortuna ritentar vorrei: 17.6.8 pertanto il tuo consiglio caro arei». 17.7.1 Forse che Gano ebbe a pensare a questo, 17.7.2 ch' avea di tradimenti pieno il seno, 17.7.3 e la risposta apparecchiata ha presto; 17.7.4 disse: «Soldan, s' a mio modo fareno, 17.7.5 non metteren così in un tratto il resto, 17.7.6 ma minor posta ch' Antea mettereno. 17.7.7 Se Rinaldo ama la donna famosa, 17.7.8 credi per lei che farebbe ogni cosa. 17.8.1 E' c' è quel Veglio antico maladetto, 17.8.2 che sta nella montagna d' Aspracorte 17.8.3 e tutto il regno tuo tiene in sospetto: 17.8.4 la tua fanciulla con parole accorte 17.8.5 conchiugga con Rinaldo questo effetto: 17.8.6 che s' a quel Veglio dar crede la morte, 17.8.7 che rïarà i prigioni, e tutti i patti 17.8.8 gli osserverai, che in Persia furon fatti». 17.9.1 Era il Soldano uom molto scozzonato, 17.9.2 e 'ntese ben che lo manda alla mazza, 17.9.3 e fra sé disse: «Ecco uomo scelerato! 17.9.4 Ecco ben traditor di fine razza!». 17.9.5 Rispose: «Io lodo quel c' hai consigliato: 17.9.6 ogn' altra cosa sare' forse pazza»: 17.9.7 e la sua figlia confortò ch' andassi 17.9.8 al suo Rinaldo e questo domandassi. 17.10.1 Ella rispose al Soldan ch' era presta, 17.10.2 e quanto più poté si facea bella: 17.10.3 missesi indosso una leggiadra vesta, 17.10.4 ove fiammeggia d' oro alcuna stella 17.10.5 nel campo azurro, molto ben contesta 17.10.6 di seta ricca, e poi montava in sella 17.10.7 con due sergenti, e non volle armadura, 17.10.8 ed a Rinaldo andò fuor delle mura. 17.11.1 Quando Rinaldo Antea vede venire, 17.11.2 sente nel cuor di subito un riprezzo 17.11.3 d' amor, che gliel facea per forza aprire: 17.11.4 «Ecco il sol», disse, «fra le stelle in mezzo». 17.11.5 Giunse la donna che 'l facea morire; 17.11.6 vide che s' era a seder posto al rezzo 17.11.7 appiè d' un moro gelso in su la strada, 17.11.8 in sul pome appoggiato della spada; 17.12.1 e disse: «Mille salute a Rinaldo! 17.12.2 Qual fato ingiusto o qual fortuna vuole 17.12.3 ch' a piè soletto camini pel caldo?». 17.12.4 Quando Rinaldo sentì le parole, 17.12.5 non potea il cor nel petto stargli saldo, 17.12.6 e disse: «Ben ne venga il mio bel sole! 17.12.7 Qual grazia qui ti manda a confortarmi? 17.12.8 Ma dimmi: dove hai tu lasciate l' armi?». 17.13.1 Rispose la fanciulla: «Ah, puro e soro! 17.13.2 A quel che ci bisogna ogn' arme è buona; 17.13.3 ch' io doverrei, per uscir di martoro, 17.13.4 far come Tisbe mia di Bambillona, 17.13.5 poi che noi siamo appiè del gelso moro, 17.13.6 della cui fede ancor la fama suona; 17.13.7 e forse del mio amor costante e degno 17.13.8 in qualche modo il Ciel farebbe segno. 17.14.1 Io son venuta perché il padre mio 17.14.2 vuol ch' io ti dica quel che intenderai: 17.14.3 ch' un nostro gran nimico, antico e rio, 17.14.4 se tu l' uccidi, i tuoi prigioni arai 17.14.5 e ciò che in Persia già ti promissi io. 17.14.6 Non so se ricordar sentito l' hai, 17.14.7 ma molto suona la sua possa magna: 17.14.8 el Veglio appellato è della Montagna. 17.15.1 E statti d' ogni cosa alla mia fede, 17.15.2 se tu farai, Rinaldo, quel ch' io dico. 17.15.3 Ma dimmi come sia rimaso a piede, 17.15.4 e ch' io non veggo Orlando qui, il tuo amico. 17.15.5 Piglia questo caval, che, per mia fede, 17.15.6 se non l' accetti, sarai mio nimico». 17.15.7 Disse Rinaldo: «In un deserto folto 17.15.8 rimase Orlando, e 'l destrier mi fu tolto; 17.16.1 e 'l me' ch' io posso mi son qui condotto 17.16.2 (l' amor ch' io porto ' Antea me lo fa fare) 17.16.3 e son venuto a piè più che di trotto; 17.16.4 né voglio altro caval mai cavalcare, 17.16.5 insin che 'l mio Baiardo non m' è sotto. 17.16.6 Or, perché sempre mi puoi comandare, 17.16.7 colui che di', di montagna o di bosco, 17.16.8 fammi assaper, ch' io per me nol conosco. 17.17.1 E s' egli avessi la testa di ferro, 17.17.2 per lo tuo amor due pezzi ne faròe: 17.17.3 così ti giuro, e so che mai non erro. 17.17.4 E d' ogni cosa in te mi fideròe 17.17.5 di ciò che fu ne' patti, s' io l' atterro». 17.17.6 Rispose Antea: «Con teco manderòe 17.17.7 un de' miei mamalucchi, che là vegni; 17.17.8 e questo can malfusso te lo 'nsegni. 17.18.1 Io mi ritorno drento alla città, 17.18.2 ché tempo non è or da far soggiorno. 17.18.3 A' tuoi prigioni niente mancherà, 17.18.4 ch' io gli ho sempre onorati notte e giorno; 17.18.5 e libero ciascun di lor sarà, 17.18.6 Rinaldo, in ogni modo al tuo ritorno. 17.18.7 Macon sia teco». E poi voltò il cavallo, 17.18.8 ché 'n volto più non sofferia guardallo, 17.19.1 e ritornossi sospirando drento 17.19.2 e ridiceva al Soldano ogni cosa. 17.19.3 Non domandar come Gan fu contento: 17.19.4 dell' alegrezza non trovava posa; 17.19.5 e perché e' fussi doppio il tradimento, 17.19.6 disse così: «Se tu vuoi côr la rosa 17.19.7 a tempo e sanza pugnerti la mano, 17.19.8 un altro bel partito c' è, Soldano. 17.20.1 Rinaldo non arà col Veglio scampo; 17.20.2 or mi parrebbe la tua figlia andassi 17.20.3 a Monte Albano intanto a porre il campo, 17.20.4 e bastere' trentamila menassi, 17.20.5 prima che sia raffreddo questo vampo. 17.20.6 Orlando non v' è or, che rimediassi, 17.20.7 ma sol Guicciardo, Alardo e Malagigi; 17.20.8 e preso Montalban, preso è Parigi. 17.21.1 Questo Ulivieri e questo Ricciardetto 17.21.2 de' miglior paladin son ch' abbi Carlo: 17.21.3 Carlo in Parigi è rimaso soletto, 17.21.4 e per paura attenderà a guardarlo. 17.21.5 Qui è il partito vinto e 'l giuoco netto, 17.21.6 pur che tu sappi, signor mio, pigliarlo». 17.21.7 Donde al Soldan troppo la 'mpresa piace. 17.21.8 e ciò c' ha detto Gan gli fu capace, 17.22.1 e la figliuola scongiurava e priega 17.22.2 che ora è tempo acquistar qualche fama: 17.22.3 ma la fanciulla al principio ciò niega, 17.22.4 come colei che Rinaldo molto ama; 17.22.5 e molto saviamente al padre allega 17.22.6 che sempre più l' onor che l' util brama, 17.22.7 e che Rinaldo voleva aspettare, 17.22.8 e ciò ch' aveva promesso osservare. 17.23.1 Il padre rispondea: «Prima che torni 17.23.2 dal Veglio, o che gli dia sì tosto morte, 17.23.3 saranno trapassati molti giorni: 17.23.4 tu sarai a Montalban prima alle porte 17.23.5 co' tuoi stendardi e' tuoi baroni adorni; 17.23.6 ed oltre a questo, Orlando or non è in corte, 17.23.7 né Ricciardetto, Ulivieri o Rinaldo: 17.23.8 però battiamo il ferro mentre è caldo. 17.24.1 Quando Rinaldo sarà ritornato, 17.24.2 perch' io m' avveggo tu gli porti amore, 17.24.3 ciò che promesso gli hai, fia osservato, 17.24.4 e, giusto mio poter, farégli onore 17.24.5 tanto che in Persia si fia ritornato: 17.24.6 quivi si poserà, sendo signore. 17.24.7 Diren che nella Mecche tu sia andata, 17.24.8 e 'n pochi giorni qui sarai tornata». 17.25.1 Gano in sul fatto diceva parole 17.25.2 ch' eran tutte de' colpi del maestro. 17.25.3 Quando Antea vide che 'l Soldan pur vuole, 17.25.4 rispose che parata era a suo destro. 17.25.5 Fannosi insegne, come far si suole, 17.25.6 e fornimenti pel luogo campestro; 17.25.7 padiglioni e trabacche s' apparecchia, 17.25.8 e tutta l' arme si ritruova vecchia. 17.26.1 Non credo che mai tanto martellassi 17.26.2 in Mongibello il gran fabbro Vulcano, 17.26.3 quanto per tutta Bambillona fassi; 17.26.4 e chi portava l' arco sorïano, 17.26.5 racconcia le saette co' turcassi; 17.26.6 chi la sua scimitarra piglia in mano 17.26.7 e vuol veder s' ella è di tutta pruova; 17.26.8 chi briglie e selle e chi staffe rinuova. 17.27.1 In pochi giorni son tutti assettati, 17.27.2 e diè il Soldan le sue benedizioni 17.27.3 alla figliuola, e sono accomiatati 17.27.4 e dati tutti al vento i lor pennoni. 17.27.5 Guardava Antea que' cavalieri armati 17.27.6 e tutti gli vagheggia in sugli arcioni, 17.27.7 e dice: «Io vedrò pur Cristianitade, 17.27.8 castella e ville e tutte le cittade, 17.28.1 le sue marine, i boschi, i monti e 'l piano, 17.28.2 e 'l bel castel, che guarda Malagigi, 17.28.3 del mio Rinaldo, detto Monte Albano; 17.28.4 vedrò la bella chiesa San Dionigi; 17.28.5 vedrò il Danese, Astolfo e Carlo Mano, 17.28.6 quand' io sarò a combatter poi Parigi; 17.28.7 e s' io torrò a Rinaldo il suo castello, 17.28.8 potrò ciò ch' io vorrò poi aver da quello. 17.29.1 Combatterò co' paladini ancora; 17.29.2 Rinaldo tornerà, così Orlando, 17.29.3 e proverrommi con lor forse allora: 17.29.4 la fama insino al ciel n' andrà volando». 17.29.5 Così di queste cose s' innamora, 17.29.6 mentre che a ciò pensava cavalcando, 17.29.7 come colei che sol bramava onore 17.29.8 e molto generoso aveva il core. 17.30.1 Gan per la via con lei molto parlava, 17.30.2 ch' era con essa a fargli compagnia: 17.30.3 «Così faremo»; e molto confortava, 17.30.4 dicendo spesso: «Per la fede mia, 17.30.5 del traditor Rinaldo non mi grava. 17.30.6 E' non ci va due mesi, che in balìa 17.30.7 arete tutto il reame di Francia, 17.30.8 sanza operare spada molto o lancia. 17.31.1 Io ho parenti, amici in ogni lato; 17.31.2 e non ha Carlo sì fidata terra, 17.31.3 ch' i' non sappi ordinar qualche trattato, 17.31.4 come e' vedranno appiccata la guerra». 17.31.5 Diceva Antea: «Guata uom bene ostinato! 17.31.6 Chi dice traditor, certo non erra; 17.31.7 ché, se di questo il mio giudicio è saldo, 17.31.8 non vidi alla mia vita un tal ribaldo». 17.32.1 Così costor ne vanno a Monte Albano. 17.32.2 Or ritorniamo un poco al suo signore. 17.32.3 Rinaldo e 'l mamalucco del Soldano 17.32.4 vanno a quel Veglio crudo e peccatore. 17.32.5 Dicea Rinaldo allo scudier pagano: 17.32.6 «Monta in su questa alfana per mio amore, 17.32.7 ché insin che 'l mio caval non troverròe, 17.32.8 altro destrier già mai cavalcheròe». 17.33.1 Non voleva il pagan per riverenza, 17.33.2 ma poi per riverenza anco l' accetta. 17.33.3 Vanno parlando della gran potenza 17.33.4 di quella aspra persona e maladetta. 17.33.5 Diceva il mamalucco: «Abbi avvertenza 17.33.6 che la sua branca addosso non ti metta». 17.33.7 Rinaldo rispondea: «Tu riderai, 17.33.8 ché maggior bestia son di lui assai». 17.34.1 Poi che furono entrati in un gran bosco, 17.34.2 in mezzo a quel trovorno un gran burrone, 17.34.3 diserto, oscuro e tenebroso e fosco. 17.34.4 Disse il pagan: «Qui sta quel can ghiottone 17.34.5 in quel palagio che vedi; io il cognosco 17.34.6 insin di qua, ch' io il veggo a un balcone»; 17.34.7 e mostrò quello a Rinaldo, che stava 17.34.8 alla finestra e pel bosco guardava. 17.35.1 Come e' vide apparir Rinaldo, forte 17.35.2 gridò da quel balcon: «Che gente è questa? 17.35.3 Ch' andate voi cercando qua? La morte?». 17.35.4 Venne alla porta con molta tempesta. 17.35.5 Disse Rinaldo: «A te sanz' altre scorte 17.35.6 venuti siam per l' oscura foresta, 17.35.7 e vengo a dare a te quel che tu ha' detto, 17.35.8 per onta e disonor di Macometto. 17.36.1 So che tu se' del gran Soldan nimico, 17.36.2 e son venuto qui per vendicallo 17.36.3 di ciò che fatto gli hai pel tempo antico, 17.36.4 ché contro a lui commesso hai più d' un fallo». 17.36.5 Rispose il Veglio: «Io fui sempre suo amico 17.36.6 per ogni tempo, e tutto il mondo sallo; 17.36.7 e perché cavalier mi par' dabbene, 17.36.8 vo' che tu intenda onde tal cosa viene. 17.37.1 Questo Soldan, già, sendo addormentato, 17.37.2 una mattina in visïon vedea 17.37.3 che, sendo sopra il suo cavallo armato, 17.37.4 una montagna addosso gli cadea; 17.37.5 ed ha per questo sogno interpetrato 17.37.6 ch' io sia quel desso; e già ci mandò Antea 17.37.7 a combatter con meco, e finalmente 17.37.8 della battaglia si partì perdente. 17.38.1 Questo sospetto fa che mi persegua 17.38.2 e cerchi quanto e' può tôrmi la vita, 17.38.3 sanza voler con meco accordo o triegua. 17.38.4 Ma se questa sentenzia è stabilita 17.38.5 in Ciel, se innanzi a me non si dilegua, 17.38.6 convien che finalmente sia essaudita. 17.38.7 Or se tu se' venuto qua a sfidarmi, 17.38.8 aspetta tanto ch' io prenda mie armi». 17.39.1 Disse Rinaldo: «In ogni modo voglio 17.39.2 che tu ti vesta tutta tua armadura, 17.39.3 ché altrimenti combatter non soglio. 17.39.4 Vedren come al mio brando sarà dura; 17.39.5 e forse ti farò giù por l' orgoglio 17.39.6 e più il Soldan non istarà in paura». 17.39.7 Armossi il Veglio allor di tutta botta 17.39.8 di pelle di serpente dura e cotta, 17.40.1 e tolse per ispada un mazzafrusto 17.40.2 con tre palle di piombo catenate, 17.40.3 ferrato e nocchioruto e grave e giusto, 17.40.4 e ritornò a Rinaldo immedïate, 17.40.5 e disse: «Io ti farò mutar di gusto, 17.40.6 come tu assaggi di queste picchiate; 17.40.7 ché, s' io t' accocco una palla di piombo, 17.40.8 di Bambillona s' udirà il rimbombo. 17.41.1 Ma vo' che tu mi dica, se ti piace, 17.41.2 il nome tuo e se tu se' pagano, 17.41.3 poi che tu parli sì superbo e audace 17.41.4 e vuoi far le vendette del Soldano». 17.41.5 Disse Rinaldo: «Ciò non mi dispiace. 17.41.6 Io sono il gran signor di Monte Albano 17.41.7 e per amor d' Antea vengo ammazzarti, 17.41.8 ché lo farò pria che da me ti parti; 17.42.1 e so che per la gola, Veglio, menti, 17.42.2 ch' alla battaglia vincessi colei: 17.42.3 non sette come te, co' tuoi parenti! 17.42.4 Oltre! io ti sfido per amor di lei; 17.42.5 ed hogli fatti mille sacramenti 17.42.6 che sanza il capo tuo non tornerei; 17.42.7 e nel partir mi donò questa stella 17.42.8 d' una sua vesta ch' avea, molto bella; 17.43.1 ed io gli donerò, per cambio a questo, 17.43.2 il capo tuo, malvagio traditore». 17.43.3 Turbossi il Veglio nella fronte presto, 17.43.4 quando e' sentì chi era quel signore; 17.43.5 e se fussi il partirsi stato onesto, 17.43.6 si dipartia, sì gli tremava il core; 17.43.7 ma per vergogna il mazzafrusto alzòe 17.43.8 e con Rinaldo la zuffa appiccòe. 17.44.1 Rinaldo aveva gli occhi a quelle palle, 17.44.2 ch' un tratto ch' ell' avessin fatto còlta 17.44.3 gli facevon le gote altro che gialle. 17.44.4 Pur s' appiccorno alcuna qualche volta, 17.44.5 ché non poté così netto schifalle, 17.44.6 tanto che l' elmo sonava a raccolta: 17.44.7 dunque e' convien ch' ogni suo ingegno adopre, 17.44.8 e con lo scudo e col brando si cuopre. 17.45.1 E come e' vede la mazza caduta, 17.45.2 il me' che può con la spada il punzecchia, 17.45.3 quando alle gambe, quando alla barbuta; 17.45.4 con l' altro braccio lo scudo apparecchia 17.45.5 per riparare, e 'n tal modo s' aiuta, 17.45.6 ché lo schermire era l' arte sua vecchia; 17.45.7 ma ogni volta riparar non puossi, 17.45.8 e spesso con l' un piede inginocchiossi. 17.46.1 Quando ebbon combattuto un' ora o piùe, 17.46.2 Rinaldo un tratto Frusberta su alza 17.46.3 per mostrare a quel colpo sua virtùe: 17.46.4 un cappellaccio ch' egli avea, giù balza 17.46.5 per la percossa, che sì aspra fue, 17.46.6 che 'l crudel Veglio la terra rincalza; 17.46.7 e cadde come il tordo sbalordito, 17.46.8 tanto ch' un pezzo stette tramortito. 17.47.1 E risentito, disse: «O cavaliere, 17.47.2 io mi t' arrendo e dommi tuo prigione, 17.47.3 ché mi potevi uccidere a giacere: 17.47.4 da ora innanzi, famoso barone, 17.47.5 di mia persona fanne il tuo volere». 17.47.6 Disse Rinaldo: «Per mio compagnone 17.47.7 t' accetto, e tua persona franca e degna 17.47.8 con meco in compagnia vo' che ne vegna». 17.48.1 Rispose il Veglio: «Io son molto contento 17.48.2 seguitar cavalier tanto giocondo, 17.48.3 e vo' che sia tuo sempre a tuo talento 17.48.4 questo palagio e ciò ch' i' ho nel mondo, 17.48.5 e s' altro c' è che ti sia in piacimento». 17.48.6 Rinaldo disse: «A questo sol rispondo 17.48.7 che tu ci dessi da far collezione, 17.48.8 ch' ognun ci piglierebbe oggi al boccone. 17.49.1 Noi abbiam per un deserto camminato, 17.49.2 dove pan non si truova né farina, 17.49.3 e so che 'l mio compagno anco è affamato, 17.49.4 ch' era a caval: pensa chi a piè cammina! 17.49.5 Abbiàn sanza vigilia digiunato, 17.49.6 ché ci partimo per tempo ier mattina». 17.49.7 Il Veglio apparecchiar facea vivande 17.49.8 e fece loro onor subito e grande; 17.50.1 e stanno così insieme a riposarsi. 17.50.2 Or ritorniamo ove io lasciai Antea, 17.50.3 ch' a Monte Alban cominciava appressarsi, 17.50.4 tanto che un giorno alle mura giugnea 17.50.5 e con sua gente comincia accamparsi; 17.50.6 e poi mandò, come Gan gli dicea, 17.50.7 un messaggier di subito al castello 17.50.8 al buon Guicciardo e l' altro suo fratello. 17.51.1 Il messo andò con la 'mbasciata in fretta, 17.51.2 e disse come del Soldan la figlia 17.51.3 era venuta con molta sua setta; 17.51.4 e che non abbin di ciò maraviglia, 17.51.5 però che questo è fatto per vendetta 17.51.6 del lor fratel contro alla sua famiglia: 17.51.7 che mandin giù le chiavi del castello, 17.51.8 o vengan sopra 'l campo a salvar quello. 17.52.1 Guicciardo a quel messaggio rispondea 17.52.2 che non sa che vendetta o che cagione 17.52.3 a questa impresa commossa abbi Antea, 17.52.4 e che restava pien d' ammirazione, 17.52.5 e che le chiavi ch' ella gli chiedea 17.52.6 gli porterebbe lui sopra l' arcione 17.52.7 per dargliel colla punta della lancia, 17.52.8 ché così era il costume di Francia. 17.53.1 Tornò il messaggio e fece la 'mbasciata, 17.53.2 della qual cosa Antea seco sorrise. 17.53.3 Guicciardo con Alardo e sua brigata 17.53.4 l' altra mattina ognun l' arme si mise, 17.53.5 e tutta fu la terra rafforzata 17.53.6 e con le sbarre le strade ricise; 17.53.7 e vennono in sul campo armati in sella 17.53.8 dove aspettava la gentil donzella. 17.54.1 La qual, come costor vide venire, 17.54.2 fecesi incontro benigna e modesta, 17.54.3 e dicea seco: «E' non posson disdire 17.54.4 che non sian di Rinaldo e di sua gesta, 17.54.5 tanto sopra 'l caval mostran d' ardire: 17.54.6 l' aspetto e 'l modo lor lo manifesta»; 17.54.7 e di Rinaldo suo pur si risente, 17.54.8 e salutògli grazïosamente; 17.55.1 e disse: «Tu, che innanzi agli altri guardo, 17.55.2 sanza che 'l nome tuo più oltre dica, 17.55.3 se' quel gentil baron detto Guicciardo, 17.55.4 dove ogni gentilezza si nutrica; 17.55.5 quell' altro cavalier chiamato è Alardo, 17.55.6 in cui risurge ogni eccellenzia antica. 17.55.7 Ma dimmi, ove hai tu lasciate le chiavi, 17.55.8 che in su la lancia dicesti arrecavi?». 17.56.1 Guicciardo gli rispose: «O damigella, 17.56.2 io non so la cagion della tua impresa; 17.56.3 ma poi che così è, venuto in sella 17.56.4 sono in sul campo per la mia difesa; 17.56.5 e certo tu mi par' donna sì bella, 17.56.6 che di combatter con teco mi pesa. 17.56.7 Se ignun de' miei t' ha fatto mancamento, 17.56.8 per la mia fé, ch' io ne son mal contento; 17.57.1 ed arei caro intender qual sia quello 17.57.2 che t' abbi fatto ingiuria, ove, o in qual parte, 17.57.3 per darti poi le chiavi del castello; 17.57.4 ché tu mi par', quand' io ti guato, Marte, 17.57.5 né altro, fuor ch' un mio carnal fratello 17.57.6 e 'l mio cugin, maestro di questa arte, 17.57.7 cioè Orlando e Rinaldo d' Amone, 17.57.8 vidi star meglio, armato, in su l' arcione». 17.58.1 Rispose allora a Guicciardo la dama: 17.58.2 «Per gentilezza e non per nimistate, 17.58.3 per acquistar con teco in arme fama, 17.58.4 vengo a combatter la vostra cittate». 17.58.5 Disse Guicciardo: «Se questa si chiama, 17.58.6 gentil madonna, come voi parlate, 17.58.7 forse ch' ella è gentilezza in Soria, 17.58.8 ma in Francia nostra mi par villania. 17.59.1 Pur se con meco volete provarvi, 17.59.2 contento son, ma facciam questo patto: 17.59.3 che a Bambillona dobbiate tornarvi 17.59.4 con tutta vostra gente, s' io v' abbatto; 17.59.5 se mi vincete, il castel vo' donarvi». 17.59.6 Rispose Antea: «Per Macon, ciò sia fatto. 17.59.7 Piglia del campo, gentil mio Guicciardo, 17.59.8 ch' io proverrò come sarai gagliardo». 17.60.1 Preso del campo, le lance abbassaro 17.60.2 e vengonsi a ferir con gran fierezza, 17.60.3 e poi che 'nsieme i destrier s' accostaro, 17.60.4 il buon Guicciardo la sua lancia spezza 17.60.5 e molti tronchi per l' aria n' andaro; 17.60.6 ma la fanciulla il colpo poco apprezza 17.60.7 e per tal modo Guicciardo ha ferito, 17.60.8 che di cadere alfin prese partito. 17.61.1 Disse la dama: «Tu se' mio prigione. 17.61.2 Io vo' provarmi con quell' altro ancora»; 17.61.3 e mandò via Guicciardo al padiglione, 17.61.4 e inverso Alardo s' accostava allora, 17.61.5 e disse: «Piglia del campo, barone, 17.61.6 poi che Guicciardo della sella è fuora». 17.61.7 Alardo presto allor del campo tolse, 17.61.8 e l' uno incontro all' altro il destrier volse. 17.62.1 Vanno più presto ch' uccello o saetta 17.62.2 di buon balestro o arco disserrata, 17.62.3 e pensa ognun la lancia in resta metta, 17.62.4 quando fu tempo d' averla abbassata; 17.62.5 e come insieme furono alla stretta, 17.62.6 tremò la terra e parve impaürata, 17.62.7 tanto Antea grida e 'l suo caval conforta, 17.62.8 che 'l suo signor come un dragon ne porta. 17.63.1 Alardo nello scudo appiccò il ferro 17.63.2 e fece con la lancia il suo dovuto; 17.63.3 ma poco valse il colpo, s' io non erro, 17.63.4 ché nol passò, benché sia molto acuto, 17.63.5 perché e' non era una foglia di cerro; 17.63.6 e finalmente restava abbattuto, 17.63.7 ch' al colpo della donna non si attenne; 17.63.8 tanto ch' a lui come a quell' altro avvenne, 17.64.1 e funne al padiglion, preso, menato. 17.64.2 Quivi allor Ganellon con lei s' accosta; 17.64.3 disse la dama a Gan: «C' hai tu pensato 17.64.4 far di costor? Rispondimi a tua posta». 17.64.5 Quel traditor, che stava apparecchiato, 17.64.6 non ebbe troppo a pensar la risposta, 17.64.7 e disse: «Dama, a voler giucar netto, 17.64.8 io gli farei impiccar: questo è in effetto». 17.65.1 Rispose la figliuola del Soldano: 17.65.2 «Non dubitate, cavalier, d' Antea: 17.65.3 colui per cui tenete Monte Albano, 17.65.4 giostrò con meco, e so che mi potea 17.65.5 uccider con la lancia ch' avea in mano, 17.65.6 ma nol sofferse il ben che mi volea; 17.65.7 e per suo amor vo' render guidardone, 17.65.8 e non sarà contento Ganellone. 17.66.1 Io giostrai in Persia col vostro Ulivieri 17.66.2 e vinsilo e così poi Ricciardetto; 17.66.3 quantunque io nol facessi volentieri 17.66.4 e molto duol ne sento, vi prometto, 17.66.5 però ch' io gli ho lasciati prigionieri 17.66.6 al padre mio e stonne con sospetto. 17.66.7 Rinaldo è ito acquistar pel suo meglio 17.66.8 della Montagna quello antico Veglio; 17.67.1 e come questo acquistato sarà, 17.67.2 gli renderà i prigioni il padre mio; 17.67.3 e so che presto ne verranno in qua; 17.67.4 della qual cosa io ho troppo disio, 17.67.5 né insin che sia tornato il cor mi sta 17.67.6 contento drento al petto, pel mio Iddio. 17.67.7 Or questo traditor Gan rinnegato 17.67.8 si pentirà di quel c' ha consigliato». 17.68.1 E fecegli imbottire il giubberello 17.68.2 da quattro mamalucchi co' bastoni; 17.68.3 né mai campana sonò sì a martello, 17.68.4 quanto e' sonavan le percussïoni. 17.68.5 Guicciardo ne godea, così il fratello. 17.68.6 Poi che battuto fu, que' compagnoni 17.68.7 lo rizzon su con ischerno e con beffe, 17.68.8 dicendo tutti: «Nasserì bizeffe». 17.69.1 Non intendeva Gan questo linguaggio, 17.69.2 se non che la fanciulla gliel chiarì: 17.69.3 «I mamalucchi voglion per vantaggio 17.69.4 per ogni bastonata un nasserì 17.69.5 da ogni peccator che fanno oltraggio. 17.69.6 Or vedi, Ganellon, la cosa è qui: 17.69.7 il tradimento a molti piace assai, 17.69.8 ma il traditore a gnun non piacque mai». 17.70.1 Così in parte portò la penitenzia 17.70.2 il traditor di Gan de' suoi peccati, 17.70.3 ché per occulta e divina sentenzia 17.70.4 sono assai volte i nostri error purgati; 17.70.5 ma voglionsi portar con pazïenzia, 17.70.6 non come Giuda andar tra' disperati. 17.70.7 Dunque e' si vede alfin la sua vendetta 17.70.8 per qualche via, chi luogo e tempo aspetta. 17.71.1 Guicciardo ringraziò quanto più puote 17.71.2 la damigella di quel ch' avea fatto; 17.71.3 ma per dolore il petto si percuote 17.71.4 ch' Ulivier di prigion non era tratto 17.71.5 e Ricciardetto, e bagnava le gote 17.71.6 temendo che 'l Soldan non rompa il patto; 17.71.7 ma quanto può dà lor costei conforto, 17.71.8 che ignun di lor non gli fia fatto torto. 17.72.1 Allor pregorno Guicciardo e 'l fratello: 17.72.2 «Piacciati, Antea, venire in cortesia 17.72.3 a star del tuo Rinaldo nel castello, 17.72.4 tanto ch' e' torni in qua di Pagania. 17.72.5 Non ti bisogna omai combatter quello: 17.72.6 ogni cosa ti diamo in tua balìa». 17.72.7 Della qual cosa fu costei contenta; 17.72.8 e Ganellon nella prigione stenta. 17.73.1 Lasciamo Antea, che stava a suo piacere 17.73.2 a Monte Albano e 'l suo Rinaldo aspetta; 17.73.3 e molto onor, secondo il lor potere, 17.73.4 fanno i cristiani a questa donna eletta. 17.73.5 Orlando va con molto dispiacere 17.73.6 con quella sventurata poveretta, 17.73.7 come dicemo, che s' era fuggita 17.73.8 da que' giganti per campar la vita, 17.74.1 «Ove se' tu», dicendo, «fratel mio? 17.74.2 Ove lasciato m' hai così meschino? 17.74.3 Ove vai tu? Perché non son teco io? 17.74.4 Ove mi guidi, mio buon Vegliantino? 17.74.5 Ove capiterem? Questo sa Iddio. 17.74.6 Ove o in qual parte fia nostro cammino? 17.74.7 Ove guido costei per questi boschi? 17.74.8 Ove troviam qualcun che la conoschi? 17.75.1 Io maladico la fortuna ria; 17.75.2 io maladico Persia e l' amostante; 17.75.3 io maladico la disgrazia mia; 17.75.4 io maladico la gente affricante; 17.75.5 io maladico il Soldan di Soria; 17.75.6 io maladico Antea che volle amante; 17.75.7 io maladico Amor che n' è cagione; 17.75.8 io maladico il nostro Ganellone». 17.76.1 Sentendo la fanciulla lamentare 17.76.2 Orlando, gran pietà gli venìa al core, 17.76.3 dicendo: «Lasso, non ti disperare, 17.76.4 raccomàndati a Dio giusto Signore, 17.76.5 che non ci voglia così abandonare». 17.76.6 Orlando disse: «Dama, per mio amore 17.76.7 cavalca innanzi un po' col mio scudiere, 17.76.8 ch' io vo' soletto alquanto rimanere». 17.77.1 Terigi e la fanciulla s' avviòe: 17.77.2 Orlando allor di Vegliantino scese 17.77.3 e in terra nella via s' inginocchiòe, 17.77.4 le braccia al cielo umilmente distese 17.77.5 e 'l suo Gesù, come solea, adoròe, 17.77.6 e la sua Madre, che in qualche paese 17.77.7 lo conducessi fuor di quel burrone; 17.77.8 e in questo modo fu la sua orazione: 17.78.1 «O sommo Padre giusto onnipotente, 17.78.2 o Virgine in cui sol sempre sperai, 17.78.3 o Redentor della cristiana gente, 17.78.4 io non mi leverò di terra mai, 17.78.5 se prima non allumini la mente 17.78.6 là dove il mio cugin condotto l' hai, 17.78.7 o s' egli è vivo o morto o incarcerato 17.78.8 o sano o infermo, o dove e' sia arrivato. 17.79.1 Io te ne priego per quella virtute 17.79.2 che tu donasti all' angel Gabriello 17.79.3 venendo annunzïar nostra salute, 17.79.4 che tu mi guidi dove è il mio fratello; 17.79.5 e perch' io vo per vie non conosciute, 17.79.6 come a Tobia mi manda Rafaello, 17.79.7 che m' accompagni insin che me lo 'nsegni, 17.79.8 se' prieghi miei di grazia in te son degni. 17.80.1 Per l' amor che portasti al nostro Adamo, 17.80.2 pel sacrificio che Abram già ti fe', 17.80.3 per ogni profezia che noi leggiamo, 17.80.4 pel tuo David e pel tuo Moïsè, 17.80.5 per quella croce onde salvati siamo, 17.80.6 pel tuo Iacob antico e per Noè, 17.80.7 pel lamento che fece Geremia, 17.80.8 per Giovacchin, Iosef e Zaccheria, 17.81.1 pe' miracoli già che tu facesti, 17.81.2 concedi tanta grazia ai tuo' fedeli, 17.81.3 che dove è il mio cugin mi manifesti: 17.81.4 io te ne priego pe' santi Evangeli». 17.81.5 In questo par ch' una voce si desti, 17.81.6 molto soave, che parea da cieli, 17.81.7 dicendo: «Al tuo camin va ritto e saldo, 17.81.8 ché sano e salvo troverrai Rinaldo; 17.82.1 e troverrai il caval ch' egli ha smarrito 17.82.2 e che gli arà acquistato un gran gigante». 17.82.3 Poi fu subito un lampo disparito, 17.82.4 che prima agli occhi gli apparve davante. 17.82.5 Orlando sopra il caval fu salito, 17.82.6 e ringraziava le Potenzie sante, 17.82.7 e la fanciulla e Terigi trovava, 17.82.8 che poco a lui dinanzi cavalcava. 17.83.1 Usciron della selva, e capitorno 17.83.2 a una gran città, che 'l re Falcone 17.83.3 signoreggiava, ed all' oste smontorno. 17.83.4 Apparecchiavan certa collezione, 17.83.5 e due donzelli in questo vi passorno; 17.83.6 quella fanciulla a sua consolazione 17.83.7 all' uscio corse per voler vedégli, 17.83.8 e l' un di lor la prese pe' capegli. 17.84.1 Era del re Falcon costui nipote 17.84.2 e Calandro per nome si diceva; 17.84.3 le chiome sparse e le pulite gote 17.84.4 vide, e con seco menar la voleva; 17.84.5 la fanciulla gridava quanto puote; 17.84.6 Terigi presto alle grida correva 17.84.7 ed accostossi per tôrla al pagano, 17.84.8 ma fugli dato un colpo assai villano, 17.85.1 tanto che cadde sbalordito in terra. 17.85.2 Orlando intanto e l' oste era là corso, 17.85.3 e Durlindana con grand' ira afferra, 17.85.4 che mai non furïò sì tigre o orso: 17.85.5 un manrovescio a Calandro disserra, 17.85.6 che lo tagliò nel mezzo come un torso, 17.85.7 e Macometto, nel cader giù, chiama: 17.85.8 così per forza lasciò andar la dama. 17.86.1 Era con lui parecchi schiere armate: 17.86.2 corrono addosso subito a Orlando; 17.86.3 ma poi ch' assaggion delle sue derrate, 17.86.4 ognuno addrieto si viene allargando. 17.86.5 Fur le novelle al re Falcon portate; 17.86.6 vennene all' oste e venìa domandando: 17.86.7 «Che cosa è questa? O chi Calandro ha morto?». 17.86.8 Fugli risposto: «E' non gli è fatto torto». 17.87.1 Orlando al re parlò discretamente; 17.87.2 «Sappi ch' io l' uccisi io, santa Corona. 17.87.3 Una fanciulla di nobile gente, 17.87.4 ch' io ho con meco, onesta e cara e buona, 17.87.5 volea con seco menar, quel dolente, 17.87.6 e fargli villania di sua persona, 17.87.7 e strascinava quella a suo dispetto. 17.87.8 Or tu se' savio, e 'l caso in te rimetto: 17.88.1 so che sicura vuoi che sia la strada 17.88.2 e non si sforzi ignun per nessun modo, 17.88.3 ma che sicuro dì e notte vada». 17.88.4 Rispose il re Falcon: «Troppo ne godo. 17.88.5 Rimetti, cavalier, drento la spada, 17.88.6 ché, quel c' hai fatto, io ne ringrazio e lodo: 17.88.7 giustizia sempre amai sopr' ogni cosa; 17.88.8 questa è nipote mia, figliuola o sposa. 17.89.1 Vo' che tu venga nella mia città, 17.89.2 per ristorarti ancor di questo oltraggio». 17.89.3 Guarda se questo era uom pien di bontà, 17.89.4 guarda s' egli era un re discreto e saggio! 17.89.5 Rispose Orlando: «Ognun di noi verrà; 17.89.6 ma perché cavalier siàn di passaggio, 17.89.7 un' altra gentilezza ancor farai: 17.89.8 che l' oste, in cortesia, ci accorderai». 17.90.1 Rispose il re Falcon: «Ben volentieri!». 17.90.2 E subito chiamò lo spenditore 17.90.3 e fece contentar del suo l' ostieri; 17.90.4 poi rimontò ciascuno a corridore, 17.90.5 Orlando, la fanciulla e lo scudieri; 17.90.6 e 'l re Falcone a tutti fece onore. 17.90.7 E mentre che 'l convito era più bello, 17.90.8 subito venne un messaggiero a quello. 17.91.1 Era un pagan che pare un corbacchione, 17.91.2 molto villan, superbo, strano e nero, 17.91.3 coperto d' una pelle di dragone; 17.91.4 e giunto, con un modo crudo e fiero 17.91.5 diceva al re: «Distruggati Macone 17.91.6 e Giupiter, che regge il grande impero. 17.91.7 Tu déi saper che 'l tempo è pur venuto 17.91.8 ch' al mio signor tu mandi il suo tributo». 17.92.1 Turbossi tutto il re Falcone e disse: 17.92.2 «O mia figliuola, lasso! sventurata, 17.92.3 quanto era meglio assai che tu morisse, 17.92.4 anzi ch' al mondo mai non fussi nata!». 17.92.5 Orlando lo pregò che gli chiarisse 17.92.6 quel che importar volea quella imbasciata. 17.92.7 Rispose il re Falcon: «Tu lo saprai, 17.92.8 e meco insieme so che piangerai. 17.93.1 Un' isola è nel mar là della rena; 17.93.2 otto giganti son, tutti frategli: 17.93.3 ognun molta arroganza e rabbia mena, 17.93.4 come ha fatto costui, ch' è un di quegli; 17.93.5 hannoci dato per etterna pena 17.93.6 ch' ogni anno di noi tristi e meschinegli 17.93.7 una fanciulla lor tributo sia: 17.93.8 tocca questo anno alla figliuola mia»; 17.94.1 e non poté più oltre dir parola. 17.94.2 Colui pur la 'mbasciata sua replìca: 17.94.3 il re Falcone abbraccia la figliuola. 17.94.4 Orlando disse: «Vuoi tu ch' io gli dica 17.94.5 quel che mi par per la mia parte sola? 17.94.6 Ché di tener le lacrime ho fatica, 17.94.7 tanto m' incresce di lei e di voi!». 17.94.8 Onde e' rispose: «Di' ciò che tu vuoi». 17.95.1 Orlando disse al superbo gigante: 17.95.2 «Non so quel che 'l signor tuo si domanda, 17.95.3 ma tu mi pari uom crudele, arrogante: 17.95.4 la tua imbasciata minaccia e comanda 17.95.5 che basterebbe al Soldan del Levante. 17.95.6 Dimmi il tuo nome e di quel che ti manda; 17.95.7 poi ti dirò quel che sarà dovuto, 17.95.8 come tu abbi acquistare il tributo». 17.96.1 Disse il pagan: «Se pur saper t' aggrada 17.96.2 il nome mio, chiamato son Don Bruno, 17.96.3 e Salicorno il sir della contrada». 17.96.4 Rispose Orlando: «Lecito a ciascuno 17.96.5 è ciò che si guadagna colla spada: 17.96.6 questo confessi tu? Donde io sono uno 17.96.7 che vo' questa fanciulla guadagnarmi 17.96.8 con teco, con la spada o con altre armi». 17.97.1 Disse Don Brun: «Per Dio, contento sono; 17.97.2 andian, ché noi faren bella la piazza; 17.97.3 e se tu vinci, va, ch' io tel perdono». 17.97.4 Orlando aveva indosso la corazza, 17.97.5 e disse al re Falcone: «E' sarà buono 17.97.6 ch' io ti gastighi così fatta razza». 17.97.7 Levossi ritto e missesi l' elmetto, 17.97.8 e disse: «Andian, pagan, dove tu ha' detto». 17.98.1 Corsono in piazza ognun subitamente 17.98.2 e tutto fu conturbato il convito; 17.98.3 salì Don Brun sopra un suo gran corrente, 17.98.4 Orlando è sopra Vegliantin salito. 17.98.5 Or qui si ragunò di molta gente, 17.98.6 e la donzella col viso pulito 17.98.7 era a vedere la sua redenzione 17.98.8 e per Orlando faceva orazione: 17.99.1 pure, orazion, s' intende alla moresca: 17.99.2 pregava Macon suo che l' aiutasse, 17.99.3 e che di sua virginità gl' incresca, 17.99.4 ché 'l fer gigante non la vïolasse 17.99.5 nella sua pura età fiorita e fresca. 17.99.6 In questo i duoi baron le lance basse 17.99.7 avieno e tutta la piazza tremava, 17.99.8 però che Vegliantin folgor menava; 17.100.1 e 'l popol maraviglia avea di quello. 17.100.2 Orlando truova Don Bruno alla peccia, 17.100.3 ma pur lo scudo reggeva al martello: 17.100.4 ruppe la lancia che parve di feccia, 17.100.5 e tutto si scontorse il pagan fello; 17.100.6 e la sua aste appiccava alla treccia, 17.100.7 ma per quel colpo ne fe' tronchi e pezzi: 17.100.8 dunque lo scudo a Orlando fe' vezzi. 17.101.1 Prese Don Bruno una sua scimitarra, 17.101.2 la qual già disse alcun ch' era incantata 17.101.3 (benché 'l nostro aüttor questo non narra: 17.101.4 credo più tosto forte temperata), 17.101.5 e par che 'nverso il ciel bestemmi e garra: 17.101.6 détte a Orlando una gran tentennata, 17.101.7 gridando: «Se tu puoi, da questa guârti»; 17.101.8 e dello scudo gli fece due parti, 17.102.1 perché con esso si volle coprire. 17.102.2 Orlando dell' un pezzo ch' avea in mano 17.102.3 détte a Don Brun tal che gliel fe' sentire, 17.102.4 perché nel ceffo giugneva al pagano 17.102.5 e fecegli tre denti fuori uscire, 17.102.6 e tramortito rovinò in sul piano; 17.102.7 onde ciascun maravigliato fue 17.102.8 che così presto il torrione va giùe, 17.103.1 dicendo: «E' basterebbe al conte Orlando! 17.103.2 Quel colpo arebbe atterrato una ròcca!». 17.103.3 Il saracin pur venne rispirando, 17.103.4 e ritto, si mettea la mano in bocca 17.103.5 e le sue zanne non venìa trovando, 17.103.6 e 'l sangue giù pel petto gli trabocca: 17.103.7 donde e' si duol sanza comparazione 17.103.8 e sol si studia bestemmiar Macone. 17.104.1 Poi disse al conte Orlando: «Assai mi duole 17.104.2 de' denti e dello onor ch' io ho perduto; 17.104.3 pur sempre la sua fé servar si vuole: 17.104.4 comanda ciò che vuoi, ch' egli è dovuto». 17.104.5 Rispose Orlando: «E' basta due parole: 17.104.6 ch' a re Falcon mai più chiegga il tributo; 17.104.7 ed ogni volta che tu mangerai 17.104.8 della promessa ti ricorderai. 17.105.1 E vo' che tu ti facci medicare 17.105.2 prima che tu ritorni a Salicorno, 17.105.3 e statti qualche dì qui a riposare». 17.105.4 Così Don Brun si posava alcun giorno; 17.105.5 alcuna volta che volea mangiare, 17.105.6 dicìeno i servi che stavan dintorno: 17.105.7 «Che farebb' ei co' denti che gli manca? 17.105.8 Di Gramolazzo mangerebbe l' anca». 17.106.1 Poi nel partir lasciò la fede pegno 17.106.2 ch' al re Falcon mai più come solea 17.106.3 darebbe oppressïon, ch' aveva il segno 17.106.4 come con l' arme perduto lui avea 17.106.5 il gran tributo: e tornossi al suo regno. 17.106.6 Il re Falcon contento rimanea 17.106.7 e ringraziar non si saziava Orlando, 17.106.8 dicendo ch' ogni cosa è al suo comando. 17.107.1 Giunto Don Brun dove la rena aggira 17.107.2 al vento e come il mar tempesta mena, 17.107.3 raccontò tutto, e molto ne sospira, 17.107.4 a Salicorno, che n' ebbe gran pena; 17.107.5 e fatto è scilinguato e con molta ira 17.107.6 diceva: «A desinar sempre ed a cena 17.107.7 ricorderommi di quel c' ho perduto. 17.107.8 Andrai tu, Salicorno, pel tributo». 17.108.1 Rispose Salicorno: «Io v' andrò certo, 17.108.2 a dispetto del Cielo e di Macone. 17.108.3 Chi è quel cavalier che t' ha diserto? 17.108.4 Non debbe esser di corte di Falcone». 17.108.5 Disse Don Bruno: «E' non va pel deserto 17.108.6 di Barberia sì possente leone, 17.108.7 né leofanti o per Libia serpenti, 17.108.8 che non traessi a lor come a me i denti. 17.109.1 Non so ben chi si sia quel cavaliere, 17.109.2 ma so ch' e' sare' ben buono erbolaio, 17.109.3 ché sa cavare e' denti, al mio parere: 17.109.4 questo è il tributo ch' io t' arreco e 'l maio; 17.109.5 e se tu vuogli andar, ti fo assapere 17.109.6 che ne trarrà a te anco più d' un paio. 17.109.7 Io gli promissi, se l' osserverai, 17.109.8 che mai tributo al re più chiederai. 17.110.1 E per me tanto non vi vo' venire. 17.110.2 acciò che traditor non mi chiamassi». 17.110.3 Pur Salicorno tanto seppe dire, 17.110.4 che alfin Don Brun dispose che tornassi; 17.110.5 e cinquecento d' arme fe' guernire 17.110.6 di ciò che gli parea che bisognassi; 17.110.7 e in pochi dì ne venne al re Falcone 17.110.8 come uom bestial sanza altra discrezione. 17.111.1 Sanza osservare o legge o fede o patto, 17.111.2 con questa gente intorno s' accampòe, 17.111.3 e manda un suo messaggio drento ratto; 17.111.4 e 'l messo al re dinanzi se n' andòe 17.111.5 e disse brievemente appunto il fatto, 17.111.6 siccome il suo signor gli comandòe: 17.111.7 che mandi presto al campo a sua difesa 17.111.8 colui ch' al suo fratel fe' tanta offesa. 17.112.1 E sta sopra un' alfana e suona un corno 17.112.2 e minacciava il cielo e la natura. 17.112.3 Orlando, come inteso ha Salicorno, 17.112.4 fece a Terigi darsi l' armadura; 17.112.5 e la figliuola del re gli è dintorno, 17.112.6 dicendo: «Iddio ti dia, baron, ventura, 17.112.7 e in ogni modo vincitor ti faccia, 17.112.8 poi che Fortuna ancor pur mi minaccia». 17.113.1 Diceva Orlando: «Non temer, donzella, 17.113.2 ché in ogni modo rimarren vincenti; 17.113.3 ch' a Salicorno trarrò la mascella, 17.113.4 s' al suo fratello ho tratto solo i denti». 17.113.5 E con Terigi suo montato è in sella; 17.113.6 ma la fanciulla, e certi suo' sergenti, 17.113.7 volle con lui sino in sul campo andare, 17.113.8 ché sanza lui non si fidava stare. 17.114.1 Disse il gigante: «Se' tu quel pagano 17.114.2 ch' al mio Don Bruno hai fatto villania? 17.114.3 È questa la tua femina, ruffiano?». 17.114.4 Rispose Orlando: «Per la testa mia, 17.114.5 ché gentilezza è teco esser villano, 17.114.6 così di te come dell' altro fia: 17.114.7 quel ch' io gli ho fatto mi pare una zacchera; 17.114.8 tanto è, che preso non fia più a mazzacchera. 17.115.1 Questa fanciulla, ha cento servi il padre, 17.115.2 che te per servo non vorrebbon, credi; 17.115.3 e le sue membra, che son sì leggiadre, 17.115.4 volevi pel tributo ch' ancor chiedi; 17.115.5 e se' venuto qua con queste squadre, 17.115.6 e di' ch' io son ruffian: néttati i piedi, 17.115.7 ché per voler bagasce e concubine, 17.115.8 arà il peccato tuo sue discipline». 17.116.1 Disse il gigante: «E' non son sempre equali, 17.116.2 come tu sai, le forze di ciascuno: 17.116.3 i denti miei saranno di cinghiali, 17.116.4 non ti parranno forse di Don Bruno. 17.116.5 Otto giganti siàn, fratei carnali: 17.116.6 signor là della valle di Malpruno 17.116.7 cinque ne sono, e noi tre siamo insieme 17.116.8 dove la rena come il gran mar freme». 17.117.1 Rispose Orlando: «E' cinque, pel bollire, 17.117.2 sono scemati, e questo abbi per certo: 17.117.3 con questa spada un ne feci morire, 17.117.4 e l' altro, un mio cugin ch' è molto sperto. 17.117.5 Una fanciulla usoron già rapire 17.117.6 al re Gostanzo, e stavan nel deserto; 17.117.7 quale ho con meco, molto ornata e bella, 17.117.8 e voglio al padre suo rimenar quella. 17.118.1 E s' io ritorno mai per quel paese, 17.118.2 ch' io truovi ancor que' tre nella foresta, 17.118.3 io non sarò, com' io fu' già, cortese 17.118.4 ch' a tutti a tre dipartirò la testa». 17.118.5 Or Salicorno tanta ira l' accese, 17.118.6 che cominciava a menar gran tempesta, 17.118.7 quando e' sentì ricordar tanti torti 17.118.8 e come due de' suoi fratei son morti. 17.119.1 «Traditor rinnegato, micidiale, 17.119.2 piglia del campo!» con un grido disse. 17.119.3 Orlando a Vegliantin fe' metter ale, 17.119.4 poi si voltava e l' aste in basso misse, 17.119.5 ch' era un abete saldo e naturale 17.119.6 qual tolse alla città prima partisse; 17.119.7 e giunse con la lancia dura e grave 17.119.8 nel petto a quel, che gli parve una trave; 17.120.1 e disse: «Che dïavol fia, Macone! 17.120.2 Questa mi pare un albero di fusta». 17.120.3 La lancia resse alla percussïone, 17.120.4 perch' era dura e grossa e molto giusta; 17.120.5 ma regger non poté quel compagnone, 17.120.6 né la sua alfana, benché sia robusta: 17.120.7 dunque fu il colpo di tanta bontade, 17.120.8 che Salicorno e l' alfana giù cade. 17.121.1 La figliuola del re, che vide questo, 17.121.2 fra sé disse: «Un miracolo ho veduto!». 17.121.3 E 'l gran gigante feroce e rubesto 17.121.4 disse a Orlando: «Tu non m' hai abbattuto!» 17.121.5 (e saltò della sella in terra presto) 17.121.6 «Vedi che staffa non ebbi perduto: 17.121.7 è stato sol difetto dell' alfana, 17.121.8 e la tua lancia fu molto villana». 17.122.1 Rispose Orlando: «S' tu non se' ben chiaro, 17.122.2 io ti potrei col brando chiarir tosto: 17.122.3 a ogni cosa troverren riparo». 17.122.4 Disse il pagan: «Per Dio, s' io mi t' accosto, 17.122.5 io ti farò costar quel colpo caro». 17.122.6 Diceva Orlando: «E pagherai tu il costo»; 17.122.7 e Durlindana sua fuori ha tirata, 17.122.8 e Salicorno ha la mazza ferrata. 17.123.1 Qui si comincia a sentir vespro e nona; 17.123.2 qui le dolente note cominciorno; 17.123.3 qui innanzi mattutin già terza suona; 17.123.4 qui non si poson le mosche dintorno; 17.123.5 qui sanza balenar l' aria rintruona; 17.123.6 qui purga i suoi peccati Salicorno; 17.123.7 qui si vedrà chi saprà di schermaglia; 17.123.8 qui mostra Durlindana s' ella taglia. 17.124.1 Il saracin talvolta alza la mazza, 17.124.2 e dice: «Aspetta, ch' io ti forbo il nifo». 17.124.3 Il paladin rispondea: «Bestia pazza, 17.124.4 che dirai tu se col brando lo schifo?» 17.124.5 e ritrovava a costui la corazza, 17.124.6 tanto che spesso scontorceva il grifo; 17.124.7 ma non poteva colpirlo all' elmetto, 17.124.8 però che allato gli pare un fiaschetto. 17.125.1 E Salicorno per la sua grandezza 17.125.2 alcuna volta la mazza fallava: 17.125.3 un tratto mena con tanta fierezza, 17.125.4 che, giunto a vòto, in terra rovinava. 17.125.5 Orlando volle mostrar gentilezza: 17.125.6 «Lieva su!» disse; e 'l pagan si levava, 17.125.7 e disse: «Dimmi, cavalier da guerra. 17.125.8 per che cagion non mi feristi in terra? 17.126.1 Tu debbi esser per certo un uom gentile, 17.126.2 di nobil sangue, tu non puoi negarlo: 17.126.3 tu non volesti darmi come vile; 17.126.4 se lecito, barone, è quel ch' io parlo, 17.126.5 dimmi il tuo nome». Orlando, come umìle, 17.126.6 rispose: «Io son nipote del re Carlo, 17.126.7 Orlando, di Mellon figliuol, d' Angrante, 17.126.8 nimico d' Apollino e Trivicante». 17.127.1 Sentendo Salicorno dire: «Orlando», 17.127.2 cominciò il cuore a tremargli e la mano, 17.127.3 e disse: «Onde venuto o come o quando 17.127.4 se', paladino, in questo luogo strano? 17.127.5 Non vo' con teco operar mazza o brando, 17.127.6 ch' io so che 'l mio poter sarebbe vano; 17.127.7 da ora innanzi sia come tu vuoi, 17.127.8 ché la battaglia è finita tra noi. 17.128.1 Odo che 'l fior se' di tutti i cristiani 17.128.2 e che tu se' fatato per antico. 17.128.3 Io vo' più tosto trovarmi alle mani 17.128.4 col tuo cugin, ch' è molto mio nimico, 17.128.5 e vendicarmi d' assai casi strani; 17.128.6 e vo' che mi prometta come amico, 17.128.7 quando col tuo Rinaldo tu sarai, 17.128.8 per qualche modo me n' avviserai; 17.129.1 ch' io son disposto rompergli la fronte, 17.129.2 però che mio nimico è in sempiterno; 17.129.3 e s' egli è della schiatta di Chiarmonte, 17.129.4 ed io del sangue son di Salinferno, 17.129.5 e non intendo sofferir tante onte: 17.129.6 colui che 'l nome suo risuona etterno, 17.129.7 Mambrin dell' Ulivante, anco era nato 17.129.8 del sangue mio da ciascuno onorato». 17.130.1 Disse Orlando: «Io non so dove si sia 17.130.2 Rinaldo ancor, ma s' io lo troverròe, 17.130.3 subito un messo a te mandato fia; 17.130.4 e 'n questo modo andar ti lasceròe, 17.130.5 ch' al re Falcon non dia più ricadia, 17.130.6 benché malvolentier ti liberròe;. 17.130.7 ma so che tu darai nell' altra rete, 17.130.8 se con Rinaldo mio vi proverrete». 17.131.1 Il saracin promisse licenziare 17.131.2 del tributo quel re liberamente, 17.131.3 e fece il campo suo presto levare. 17.131.4 Orlando al re Falcon subitamente 17.131.5 nella città tornava a raccontare 17.131.6 come egli è salvo e libera sua gente; 17.131.7 e dopo alquanti dì prese comiato 17.131.8 e lasciò quello al tutto sconsolato. 17.132.1 E cavalcando va per molte strade, 17.132.2 sanza posarsi mai sera o mattina, 17.132.3 e domandando va per le contrade 17.132.4 dove stia il re della Bellamarina; 17.132.5 tanto che giunse un giorno alla cittade, 17.132.6 e quella damigella peregrina 17.132.7 rappresentava al suo doglioso padre, 17.132.8 che l' ha gran tempo pianta, e la sua madre. 17.133.1 Era vestito a nero la città 17.133.2 e 'l re con tutti i suoi, con molto affanno; 17.133.3 né sopra i campanil gridando va 17.133.4 ne' suoi paesi più il talacimanno; 17.133.5 per le moschee molti ufici si fa 17.133.6 al modo lor, ché di costei non sanno 17.133.7 dove perduta sia già stata tanto, 17.133.8 sì che per morta n' avean fatto il pianto. 17.134.1 La novella n' andò con gran furore 17.134.2 al re Gostanzo, come la sua figlia 17.134.3 era venuta; onde e' gli crebbe il core, 17.134.4 e corse incontro con la sua famiglia; 17.134.5 e tutta la città trasse al romore, 17.134.6 come avvien sempre d' ogni maraviglia: 17.134.7 ognun voleva il primo abbracciar questa; 17.134.8 pensa se 'l padre suo gli fece festa. 17.135.1 Ella gli disse: «Questo è il conte Orlando», 17.135.2 e dove e come e' l' aveva trovata 17.135.3 e da' giganti tolta, e disse quando 17.135.4 ed in che modo l' avevon rubata, 17.135.5 e tutta la sua vita vien contando, 17.135.6 e come pel cammin l' abbi onorata 17.135.7 Orlando sempre, insin che l' ha condotta. 17.135.8 Il re Gostanzo così disse allotta: 17.136.1 «Questo è colui che ti scampò da morte? 17.136.2 Questo è colui che t' ha dunque prosciolta? 17.136.3 Questo è colui ch' è tanto ardito e forte? 17.136.4 Questo è colui ch' agli altri fama ha tolta? 17.136.5 Questo è colui ch' allegra or la mia corte? 17.136.6 Questo è colui per cui non se' sepolta? 17.136.7 Questo è colui ch' uccise il fer gigante? 17.136.8 Questo è colui ch' è 'l gran signor d' Angrante? 17.137.1 Non cavalca caval miglior barone, 17.137.2 né miglior cavalier porta elmo in testa; 17.137.3 non cinse spada mai simil campione, 17.137.4 né miglior paladin pon lancia in resta; 17.137.5 non uom tanto gentil si calza sprone». 17.137.6 Ed abbracciava Orlando con gran festa, 17.137.7 e la reina e lui lo ringraziorno, 17.137.8 e tutto il popol suo che gli è dintorno. 17.138.1 Or lasciàn questi star così contenti; 17.138.2 ritorniamo al Soldan di Bambillona, 17.138.3 che non pareva già che si rammenti 17.138.4 di quel ch' ' Antea promisse sua Corona 17.138.5 de' due prigion, ma pensava altrimenti 17.138.6 di tôr subito a questi la persona 17.138.7 prima che sia Rinaldo a lui tornato 17.138.8 dal Veglio, dove sa che l' ha mandato. 17.139.1 Mandò pel giustizier, quel traditore, 17.139.2 e scrisse un brieve per la gran letizia 17.139.3 al re Gostanzo, per mostrargli amore, 17.139.4 che venissi a veder questa giustizia, 17.139.5 dicendo: «Sappi, famoso signore, 17.139.6 ch' io gli ho a punir di più d' una malizia»; 17.139.7 com' io dirò nell' altro cantar bello. 17.139.8 Guardivi sempre l' agnol Rafaello.
CANTO XVIII
18.1.1 Magnifica, o Signor, l' anima mia 18.1.2 e lo spirito mio di tua salute: 18.1.3 e tu, per cui fu detto «Ave, Maria», 18.1.4 essultata con grazia e con virtute, 18.1.5 o glorïosa madre, o Virgo pia, 18.1.6 con l' altre grazie che m' hai concedute, 18.1.7 aiuta ancor con tue virtù divine 18.1.8 la nostra storia, insin ch' io giunga al fine. 18.2.1 Io dissi che 'l Soldan mandato avea 18.2.2 al re Gostanzo e scritto che venisse 18.2.3 a veder la giustizia ch' e' facea. 18.2.4 Ma come il messo par che comparisse, 18.2.5 subito il re la lettera leggea, 18.2.6 e 'nteso quel che 'l traditore scrisse, 18.2.7 la lettera a Orlando pose in mano, 18.2.8 dicendo: «Questa ha scritta il tuo Soldano». 18.3.1 Quando ebbe tutto inteso il conte Orlando, 18.3.2 si volse al re Gostanzo sbigottito, 18.3.3 e disse: «A Dio ed a te mi raccomando: 18.3.4 vedi come il Soldan m' ha qui tradito; 18.3.5 aiuto in questo caso ti domando». 18.3.6 Rispose il re: «Tu non arai servito 18.3.7 a questo volta ingrata, Orlando mio, 18.3.8 ch' io ti darò soccorso, pel mio Iddio. 18.4.1 Io farò centomila in un momento 18.4.2 cavalier della tavola ritonda, 18.4.3 e se più ne volessi, anche altri cento: 18.4.4 gente e tesoro, il mio reame abbonda: 18.4.5 non dubitar, tu sarai ben contento; 18.4.6 e vo' che quel ribaldo si sconfonda». 18.4.7 E mandò bandi e messaggieri e scorte, 18.4.8 ch' ognun venissi presto armato a corte. 18.5.1 In pochi giorni furono a cavallo, 18.5.2 ed ordinati stendardi e bandiere; 18.5.3 e 'l suo bel gonfalone è nero e giallo: 18.5.4 mai non si vide meglio in punto schiere; 18.5.5 e scrisse al gran Soldan che sanza fallo 18.5.6 fra pochi giorni il verrebbe a vedere: 18.5.7 che l' aspettassi e' prigion soprattenga, 18.5.8 tanto ch' a lui, ché già s' è mosso, venga. 18.6.1 Orlando aveva le squadre ordinate 18.6.2 con le sue mani e pieno è d' allegrezza; 18.6.3 e riguardava quelle gente armate, 18.6.4 che gli parevan di somma prodezza. 18.6.5 Quella fanciulla con parole ornate 18.6.6 mostrava di ciò aver molta dolcezza, 18.6.7 ch' Orlando ristorato sia da quella, 18.6.8 e vuol con esso andar la damigella, 18.7.1 E 'l re Gostanzo anco v' andò in persona; 18.7.2 e vanno giorno e notte cavalcando 18.7.3 tanto che son condotti a Bambillona; 18.7.4 quivi di fuor si vennono accampando; 18.7.5 e fingendo amicizia intera e buona, 18.7.6 il re Gostanzo insieme con Orlando 18.7.7 vanno al Soldan con molti caporali, 18.7.8 uomini degni, tutti i principali. 18.8.1 Quando il Soldan costor vede venire 18.8.2 e vede tanta gente alla pianura, 18.8.3 sente stormenti, sentiva anitrire, 18.8.4 comincia a sospettar con gran paura, 18.8.5 e come savio nel suo core a dire: 18.8.6 «Questa è troppo gran gente alle mie mura». 18.8.7 Pur si mostrava allegro, ch' era saggio; 18.8.8 e manda a Salicorno un suo messaggio 18.9.1 (quel ch' avea con Orlando combattuto 18.9.2 e che volea combatter con Rinaldo), 18.9.3 che venga presto in là ben proveduto. 18.9.4 E Salicorno mai non si fu saldo, 18.9.5 che diecimila ordinava in suo aiuto; 18.9.6 ed eron, perché e' son di luogo caldo, 18.9.7 uomini neri e di statura giusti 18.9.8 e portan per ispade mazzafrusti. 18.10.1 Rappresentossi con questi al Soldano. 18.10.2 Or ritorniamo a Rinaldo, ch' avea 18.10.3 già vinto il Veglio: un giorno quel pagano, 18.10.4 che avea con lui mandato prima Antea, 18.10.5 vide venir gran gente per un piano; 18.10.6 e con Rinaldo e col Veglio dicea: 18.10.7 «Che gente è questa che di qua ne viene? 18.10.8 Non si conosce a' contrassegni bene». 18.11.1 Rinaldo, come e' furono appressati, 18.11.2 s' accosta e domandava uno scudiere: 18.11.3 «Chi son costoro? Ove siete avvïati?». 18.11.4 Costui rispose: «È il mastro giustiziere, 18.11.5 ch' a due cristian che sono imprigionati 18.11.6 in Bambillona va a fare il dovere; 18.11.7 son paladini, e l' un di lor marchese, 18.11.8 ch' una figliuola del Soldan già prese». 18.12.1 In questo che Rinaldo domandava, 18.12.2 giugneva il giustizier sopra Baiardo. 18.12.3 Quando Rinaldo il caval suo guardava, 18.12.4 e' diventò come un leon gagliardo 18.12.5 e 'l giustizier per la briglia pigliava. 18.12.6 Disse il pagan: «Se non ch' io ti riguardo, 18.12.7 ché qualche bestia nell' aspetto parmi, 18.12.8 t' insegnerei per la briglia pigliarmi!». 18.13.1 Rinaldo trasse Frusberta per dargli; 18.13.2 poi dubitava a Baiardo non dare. 18.13.3 In questo il Veglio, che vide appiccargli, 18.13.4 subito corre Rinaldo aiutare; 18.13.5 comincia con la mazza a tremezzargli: 18.13.6 il giustizier non si poté parare, 18.13.7 che con un colpo la testa gli spezza 18.13.8 e cascò giù come una pera mézza. 18.14.1 Allor Rinaldo in su Baiardo salta; 18.14.2 e come e' fu sopra 'l caval salito, 18.14.3 presto levava Frusberta su alta 18.14.4 ed un pagano in sul capo ha ferito, 18.14.5 che del suo sangue la terra si smalta, 18.14.6 e morto appiè del cavallo è giù ito. 18.14.7 E 'l Veglio presto salì in sul destriere 18.14.8 di quel pagan, come il vide cadere, 18.15.1 e tra la turba si mette pagana, 18.15.2 tanto che molto Rinaldo il commenda: 18.15.3 quanti ne giugne la sua mazza strana, 18.15.4 tanti convien che morti giù ne scenda. 18.15.5 Il mamalucco, ch' aveva l' alfana, 18.15.6 non si stava anco, ché v' era faccenda; 18.15.7 e tutta quella gente si sbaraglia, 18.15.8 ché, più che gente, era o ciurma o canaglia. 18.16.1 E 'l Veglio pur colla mazza del ferro 18.16.2 ritocca e suona e martella e forbotta, 18.16.3 ch' era più dura che quercia o che cerro: 18.16.4 alcuna volta n' uccide una frotta. 18.16.5 Rinaldo si scagliava come un verro 18.16.6 dove e' vedeva la gente ridotta, 18.16.7 e rompe ed urta e taglia e straccia e spezza 18.16.8 ciò che trovava, per la sua fierezza. 18.17.1 Chi fuggì prima se n' andò col meglio, 18.17.2 ch' a tutti il segno faceva Frusberta, 18.17.3 ed ogni volta con la mazza il Veglio 18.17.4 diceva a molti che dava l' offerta: 18.17.5 «A questo modo, chi dormissi, sveglio»; 18.17.6 e rilevava la mazza su all' erta; 18.17.7 e tutti in volta rotti si fuggiéno, 18.17.8 anzi sparivon come fa il baleno. 18.18.1 Poi cominciò Rinaldo al Veglio a dire: 18.18.2 «Io vo' ch' a Bambillona presto andiamo, 18.18.3 perché 'l Soldan farà color morire». 18.18.4 Rispose il Veglio: «Tuo servo mi chiamo: 18.18.5 però comanda, ch' io voglio ubbidire, 18.18.6 e vo' che sempre insieme noi viviamo: 18.18.7 dove tu andrai, io sarò sempre teco, 18.18.8 e basti solo un cenno o "Vienne meco"». 18.19.1 Missonsi tutti a tre presto in camino, 18.19.2 il Veglio con Rinaldo e 'l mamalucco. 18.19.3 Rinaldo, come al campo fu vicino, 18.19.4 dicea: «Se del veder non son ristucco, 18.19.5 io veggo tanto popol saracino, 18.19.6 che non ne fu più al tempo di Nabucco: 18.19.7 d' insegne e padiglion coperto è il piano; 18.19.8 non so se amici si son del Soldano; 18.20.1 ma 'l campo ch' assediò Troia la grande, 18.20.2 non ebbe la metà di questa gente, 18.20.3 tante trabacche e padiglion si spande. 18.20.4 Forse il Soldan vorrà fare al presente 18.20.5 a que' prigion gustar triste vivande; 18.20.6 ma pel mio Iddio, ch' io lo farò dolente!». 18.20.7 Questo con seco diceva Rinaldo, 18.20.8 e venìa tutto furïoso e caldo. 18.21.1 Orlando disse un giorno a Spinellone: 18.21.2 «Io vo' che noi veggiamo i prigion nostri»; 18.21.3 (ch' era col re Gostanzo un gran barone) 18.21.4 «andiamo e pregherren che ce gli mostri, 18.21.5 sanza cavargli fuor della prigione». 18.21.6 Disse il pagan: «Sempre a' comandi vostri 18.21.7 sarò parato; e se non c' è d' avanzo, 18.21.8 sarebbe da menarvi il re Gostanzo; 18.22.1 ché so che gli fia caro di vedere 18.22.2 due paladin di tanto pregio e fama». 18.22.3 Orlando disse: «Troppo m' è in piacere». 18.22.4 Ispinellone il re Gostanzo chiama; 18.22.5 nella città ne vanno (a non tenere 18.22.6 più che bisogni lunga questa trama); 18.22.7 e la licenzia lor détte il Soldano, 18.22.8 e pon le chiavi al re Gostanzo in mano. 18.23.1 Alla prigion se n' andorno costoro. 18.23.2 Come Ulivier sentiva aprir la porta, 18.23.3 a Ricciardetto disse: «Ecco coloro 18.23.4 che vengono arrecarci altro che tórta: 18.23.5 questo sarà per ultimo martoro»; 18.23.6 e molto ognun di lor se ne sconforta. 18.23.7 Orlando, quando Ulivier suo vedea 18.23.8 e Ricciardetto, parlar non potea. 18.24.1 Il re Gostanzo disse: «Or m' intendete: 18.24.2 se voi volete adorar Macometto, 18.24.3 della prigione scampati sarete; 18.24.4 se non che domattina io vi prometto 18.24.5 ch' al vento insieme de' calci darete». 18.24.6 Rispose alle parole Ricciardetto: 18.24.7 «Se ci darà pur morte il Soldan vostro, 18.24.8 contenti siàn morir pel Signor nostro. 18.25.1 E se ci fussi il mio caro fratello 18.25.2 Rinaldo, non saremo a questo porto, 18.25.3 o 'l conte Orlando, ch' è cugino a quello. 18.25.4 Ma spero, poi ch' ognun di noi fia morto, 18.25.5 contro a questo crudel signore e fello 18.25.6 vendicheranno ancor sì fatto torto; 18.25.7 e piangeranne Bambillona tutta, 18.25.8 ché so per le lor man sarà distrutta. 18.26.1 Ma ben mi duol che innanzi al mio morire 18.26.2 non vegga il mio fratello e 'l cugin mio; 18.26.3 e tuttavolta me gli par sentire, 18.26.4 come forse spirato dal mio Iddio». 18.26.5 Orlando non poté più sofferire, 18.26.6 ché d' abbracciargli avea troppo disio, 18.26.7 e mentre che ciò dice Ricciardetto, 18.26.8 alzava la visiera dell' elmetto; 18.27.1 e disse: «Tu di' il ver ch' egli è qui presso 18.27.2 Orlando, che non t' ha mai abandonato». 18.27.3 Ulivier guarda e dice: «Egli è pur desso!», 18.27.4 e Ricciardetto l' ha raffigurato: 18.27.5 subito il braccio al collo gli ebbe messo, 18.27.6 ed Ulivieri abbraccia il car cognato. 18.27.7 Per tenerezza gran pianto facevano, 18.27.8 e Spinellone e 'l re con lor piangevano. 18.28.1 Poi molte cose insieme ragionaro: 18.28.2 Orlando disse ignun non dubitassi, 18.28.3 ch' a ogni cosa ordinato ha riparo; 18.28.4 ch' ognun di buona voglia si posassi; 18.28.5 e così insieme al Soldan riportaro 18.28.6 le chiavi, che sospetto non pigliassi, 18.28.7 e ringraziorno la sua Signoria 18.28.8 della sua gentilezza e cortesia. 18.29.1 Orlando non s' avea mai l' elmo tratto; 18.29.2 onde il Soldano un giorno gli ebbe detto: 18.29.3 «Deh, dimmi, cavalier che stai di piatto, 18.29.4 per che cagion tu tien' sempre l' elmetto? 18.29.5 Ch' io non posso comprender questo fatto: 18.29.6 tu mi faresti pigliarne sospetto. 18.29.7 Io vo' che tu mel dica a ogni modo, 18.29.8 se non ch' io crederrò che ci sia frodo». 18.30.1 Diceva Orlando: «Certa nimicizia 18.30.2 fa che questo elmo tengo così in testa, 18.30.3 acciò che non pigliassi ignun malizia 18.30.4 di farmi a tradimento un dì la festa». 18.30.5 Disse il Soldano: «Qui è sotto tristizia; 18.30.6 non si riscontra ben la cosa a sesta: 18.30.7 sempre color che sconosciuti vanno, 18.30.8 o per paura o per malizia il fanno. 18.31.1 Io ho disposto in viso di vederti, 18.31.2 se non che mal te ne potrebbe incôrre». 18.31.3 Diceva Orlando: «In ciò non vo' piacerti; 18.31.4 d' ogn' altra cosa puoi di me disporre». 18.31.5 Disse il Soldano: «E' convien ch' io m' accerti»; 18.31.6 e vollegli la mano al viso porre. 18.31.7 Orlando gli menava una gotata, 18.31.8 che in sul viso la man riman segnata. 18.32.1 Quivi il Soldan con gran furor si rizza 18.32.2 e grida a' mamalucchi: «Su, poltroni!». 18.32.3 Orlando fuor la spada non isguizza, 18.32.4 ché conosciuta non sia da' baroni: 18.32.5 rivoltossi a costor con molta stizza 18.32.6 e da lor si difende co' punzoni, 18.32.7 e pèsche sanza nòcciolo appiccava, 18.32.8 che si ritrasse ognun che n' assaggiava. 18.33.1 Ispinellon, come fedel compagno, 18.33.2 subito pose alla spada la mano 18.33.3 e fe' di sangue con essa un rigagno, 18.33.4 ché nessun colpo non menava invano. 18.33.5 Ma poi che vide e' non v' era guadagno, 18.33.6 si fuggì in una camera il Soldano, 18.33.7 e per paura si serrava drento. 18.33.8 Orlando si ritrasse a salvamento, 18.34.1 e Spinellone e 'l re Gostanzo è intorno, 18.34.2 con lui ristretti, e son di fuori usciti 18.34.3 di Bambillona e nel campo tornorno. 18.34.4 I baron del Soldano, sbigottiti, 18.34.5 chi qua chi là tutti si scompigliorno, 18.34.6 maravigliati di que' tanto arditi; 18.34.7 e fu per la città molto romore 18.34.8 che così fussi fatto al lor signore. 18.35.1 Quando il Soldan rassicurato fue, 18.35.2 fece venir tutta la baronia, 18.35.3 e nella sedia si levava sùe, 18.35.4 né mai si fe' sì bella diceria; 18.35.5 e cominciò con le parole sue: 18.35.6 «Mai più fu tocca la persona mia; 18.35.7 ma a ogni cosa apparecchiato sono, 18.35.8 e, come piace a voi, così perdono. 18.36.1 Il re Gostanzo ha tanti cavalieri, 18.36.2 che cuopron, voi il vedete, il piano e 'l monte; 18.36.3 non so qual si sien drento i suoi pensieri; 18.36.4 ma per fuggir sospetto e maggiore onte, 18.36.5 mostrato ho di vederlo volentieri. 18.36.6 Or con colui che mi batté la fronte 18.36.7 credo che buon sarà forse far triegua, 18.36.8 acciò che maggior mal di ciò non segua; 18.37.1 e dare alla giustizia essecuzione, 18.37.2 intanto, di que' due ch' io tengo presi, 18.37.3 acciò che il re Gostanzo e Spinellone 18.37.4 ritornin con lor genti in lor paesi. 18.37.5 Morti questi baron ch' abbiam prigione, 18.37.6 noi saren poi da tanti meno offesi; 18.37.7 ché, s' io mi fo nimico al re Gostanzo, 18.37.8 per al presente non ci veggo avanzo. 18.38.1 In questo mezzo Antea potre' pigliare 18.38.2 quel Montalban che Gano ha consigliato. 18.38.3 Rinaldo so che non dé' mai tornare: 18.38.4 credo che 'l Veglio l' abbi ora ammazzato. 18.38.5 A luogo e a tempo si potrà mostrare 18.38.6 al re Gostanzo ch' e' m' abbi ingiuriato: 18.38.7 ch' io non vo' far vendetta con mio danno, 18.38.8 ma aspettar tempo, come i savi fanno». 18.39.1 Salicorno riprese le parole: 18.39.2 «E' non ha tempo mai chi tempo aspetta: 18.39.3 per nessun modo triegua non si vuole; 18.39.4 io vo' con queste man farne vendetta, 18.39.5 prima che molti dì ritorni il sole. 18.39.6 Della giustizia, che in punto si metta, 18.39.7 questo mi piace e facciasi pur presto» 18.39.8 E tutti infine s' accordaro a questo. 18.40.1 Al re Gostanzo va tosto una spia 18.40.2 e dice ciò che ordina il Soldano. 18.40.3 Il re Gostanzo a Orlando il dicìa. 18.40.4 Orlando disse: «In punto ci mettiàno, 18.40.5 ch' a' prigion fatto non sia villania»; 18.40.6 e tutti si schierorno a mano a mano. 18.40.7 In questo tempo il Soldano ordinava 18.40.8 ciò che bisogna e 'l giustizier chiamava; 18.41.1 e misse bandi per le sue città 18.41.2 ch' ognun ch' avessi armadura o cavallo 18.41.3 venga a veder la giustizia che fa, 18.41.4 che si farà il tal giorno sanza fallo. 18.41.5 Un giovane ch' avea molta bontà, 18.41.6 sentendo questo, venne a vicitallo, 18.41.7 chiamato Marïotto, un gran signore, 18.41.8 ch' era figliuol del loro imperadore. 18.42.1 Trentamila menò quel Marïotto, 18.42.2 onde al Soldan fu questo molto caro, 18.42.3 armati stranamente di cuoio cotto. 18.42.4 Ben centomila a caval ragunaro, 18.42.5 in punto, al modo lor, di tutto botto, 18.42.6 e di mandar la giustizia ordinaro; 18.42.7 e 'l giustizier con molta gente andòe 18.42.8 alla prigione e' due baron legòe. 18.43.1 Poi gli legò a cavallo in su la sella, 18.43.2 pur sopra i lor destrier con le loro armi; 18.43.3 perché il Soldano in tal modo favella: 18.43.4 «Che tu gli meni amendue armati parmi»; 18.43.5 e 'l giustizier, ch' al suo dir non appella, 18.43.6 rispose: «Così avea pensato farmi». 18.43.7 Questo non era il giustiziere usato, 18.43.8 ché 'l Veglio, com' io dissi, l' ha ammazzato. 18.44.1 Di nuovo un' altra spia ne va volando, 18.44.2 che la giustizia uscirà presto fore; 18.44.3 Ispinellone insieme con Orlando 18.44.4 rassetton le lor genti a gran furore. 18.44.5 Il re Gostanzo al conte vien parlando: 18.44.6 «E' ci sarà fatica, car signore, 18.44.7 racquistar questi con ispada o lancia, 18.44.8 tanto in sul crollo son della bilancia». 18.45.1 Era a vedere molta compassione 18.45.2 i due baron come ciascun si lagna: 18.45.3 «O conte Orlando, o Rinaldo d' Amone, 18.45.4 dove è la tua possanza tanto magna? 18.45.5 Non aspettar più, vien' col gonfalone, 18.45.6 però che noi daren tosto alla ragna». 18.45.7 Queste parole van dicendo forte, 18.45.8 ché gran paura avevon della morte. 18.46.1 Già eron gli stendardi apparecchiati, 18.46.2 e Marïotto è innanzi alla giustizia; 18.46.3 già fuor della città son capitati. 18.46.4 Èvvi il Soldan, ch' avea molta letizia 18.46.5 e sempre per la via gli ha svergognati: 18.46.6 «Ribaldi, traditor pien di malizia!». 18.46.7 Ma Ricciardetto a ogni sua parola 18.46.8 diceva: «Tu ne menti per la gola, 18.47.1 ché tu se' tu, ribaldo e traditore; 18.47.2 ma ne verrà Rinaldo in qualche modo 18.47.3 e caveratti con sue mani il core; 18.47.4 ché promettesti e rimanesti in sodo 18.47.5 renderci a lui, crudele e peccatore». 18.47.6 Dicea il Soldano: «Tu arai presto un nodo 18.47.7 che ti richiuderà cotesta strozza; 18.47.8 ma prima ti sarà la lingua mozza». 18.48.1 Orlando e 'l re Gostanzo hanno veduto, 18.48.2 e Spinellon, che la giustizia viene 18.48.3 e che 'l Soldan con essa è fuor venuto; 18.48.4 ognun la lancia in su la coscia tiene; 18.48.5 fannosi incontro; e Spinellon saputo 18.48.6 verso quel Marïotto: «E' non è bene» 18.48.7 dicea «che questa giustizia si faccia, 18.48.8 acciò ch' al nostro Iddio non si dispiaccia; 18.49.1 perché il Soldan, secondo intender posso, 18.49.2 promisse pure a Rinaldo aspettarlo: 18.49.3 ed or, che così a furia si sia mosso, 18.49.4 troppo mi par che sia da biasimarlo. 18.49.5 Ed oltre a questo, e' vi verrà qua addosso, 18.49.6 come questo saprà, subito Carlo, 18.49.7 e ne verrà Rinaldo e 'l suo fratello, 18.49.8 e gran vendetta far vorrà di quello. 18.50.1 Ma pur se non venissi mai persona, 18.50.2 pàrti che questo al Soldan si convenga? 18.50.3 Dove è la fede della sua Corona, 18.50.4 che par che sotto sé qua il mondo tenga? 18.50.5 Ritorna, Marïotto, in Bambillona, 18.50.6 acciò che scandol di ciò non avvenga». 18.50.7 Diceva Spinellone iratamente 18.50.8 che 'l re Gostanzo non vuol per nïente. 18.51.1 Rispose Marïotto: «Tu se' errato: 18.51.2 se ci fussi al presente Carlo Mano, 18.51.3 Orlando e 'l suo cugin c' hai nominato, 18.51.4 o se ci fussi il grande Ettor troiano, 18.51.5 o con la scure il possente Burrato, 18.51.6 non s' opporrebbe di questo al Soldano; 18.51.7 e se tu se' in cotesta oppinïone, 18.51.8 io ti disfido, e guârti, Spinellone». 18.52.1 Ispinellon non istette a dir più: 18.52.2 addrieto col caval presto si scosta, 18.52.3 poi si rivolge e l' aste abbassa in giù, 18.52.4 sì che del petto passava ogni costa 18.52.5 a Marïotto, sì gran colpo fu. 18.52.6 La turba ch' era dallato, si scosta, 18.52.7 e Spinellon cacciava mano al brando; 18.52.8 allor si mosse il re presto, ed Orlando. 18.53.1 Orlando Vegliantin per modo serra, 18.53.2 che 'l primo saracin che vien davante 18.53.3 con l' urto e con la lancia abbatte in terra; 18.53.4 poi misse mano alla spada pesante, 18.53.5 e colpo che menassi mai non erra: 18.53.6 convien che chi l' aspetta alzi le piante; 18.53.7 e 'l re Gostanzo è nella zuffa entrato, 18.53.8 e tutto il campo già s' è sbaragliato. 18.54.1 Quando il Soldano il romore ha sentito, 18.54.2 subito disse: «Quel ch' io mi pensai 18.54.3 sarà pur vero alfin, ch' i' son tradito 18.54.4 dal re Gostanzo com' io dubitai». 18.54.5 Vede già il popol tutto sbigottito: 18.54.6 di questo caso dubitava assai; 18.54.7 pur si fe' innanzi, e con la spada in mano 18.54.8 va confortando ogni suo capitano. 18.55.1 Orlando or qua or là si scaglia e getta, 18.55.2 e dove e' vede la gente calcata, 18.55.3 subito si metteva in quella stretta 18.55.4 e con la spada l' aveva allargata; 18.55.5 e tristo a quel che Durlindana aspetta! 18.55.6 ché gli facea sentir s' ella è affilata: 18.55.7 quanti ne giugne, riscontra o rintoppa, 18.55.8 faceva a tutti la barba di stoppa. 18.56.1 Or diciàn di Rinaldo, ch' è già presso 18.56.2 al campo e vede quel rabbaruffato 18.56.3 per la battaglia, e dice fra se stesso: 18.56.4 «O Ricciardetto mio, tu se' spacciato. 18.56.5 Ove è, Soldan, quel che tu m' hai promesso?». 18.56.6 Poi disse al Veglio: «Io son suto ingannato: 18.56.7 io veggo segno assai tristo di questo; 18.56.8 però quanto possiam, corriam là presto». 18.57.1 Furno in un tratto nella zuffa questi; 18.57.2 Rinaldo non sapea quel ch' abbi a farsi; 18.57.3 un saracin pregò che manifesti 18.57.4 per che cagione il campo abbi azzuffarsi. 18.57.5 Colui rispose: «Il Soldan ci ha richiesti 18.57.6 per due baron che dovén giustiziarsi; 18.57.7 il re Gostanzo non vuol che gli uccida: 18.57.8 per questo il campo sol combatte e grida». 18.58.1 Intanto Spinellon, ch' era caduto 18.58.2 d' un colpo che gli avea dato il gigante, 18.58.3 vede Rinaldo ch' è sopravvenuto 18.58.4 e che del caso pareva ignorante; 18.58.5 disse: «Baron, come tu hai saputo, 18.58.6 vedi che va sozzopra qua Levante 18.58.7 per due cristian, che 'l gran Soldano a torto 18.58.8 volea ch' ognun di lor fussi oggi morto. 18.59.1 Il mio signor Gostanzo re non vuole, 18.59.2 e siàn qui tutti a lor difensïone, 18.59.3 perché di que' baron troppo ci duole, 18.59.4 ché l' un fratel di Rinaldo è d' Amone; 18.59.5 e perch' io non ti tenga più a parole, 18.59.6 nella battaglia è il figliuol di Mellone, 18.59.7 e fa gran cose per campar costoro; 18.59.8 ed io combatto qui pedon per loro; 18.60.1 né posso ancor rimontare a cavallo, 18.60.2 dond' io fu' tratto da un Salicorno. 18.60.3 Tutti color del contrassegno giallo 18.60.4 pel mio signor combatton questo giorno». 18.60.5 Disse Rinaldo: «Io vorrei sanza fallo 18.60.6 sapere il nome tuo, barone adorno». 18.60.7 Disse il pagano: «Spinellon mi chiamo, 18.60.8 e molto Orlando e Rinaldo suo amo». 18.61.1 Allor gridò Rinaldo: «O saracino, 18.61.2 io son Rinaldo, e son qui capitato 18.61.3 per ritrovare Orlando mio cugino. 18.61.4 Monta a cavallo»; e 'l pagano è montato. 18.61.5 «Menami ove combatte il paladino». 18.61.6 Ispinellon fu tutto consolato, 18.61.7 e disse: «Vincitor saremo omai. 18.61.8 Andianne dove Orlando tuo lasciai». 18.62.1 E tanto per lo campo insieme vanno, 18.62.2 che lo condusse ove combatte Orlando, 18.62.3 ch' era pien tutto di sangue e d' affanno. 18.62.4 Disse Rinaldo: «Posa un poco il brando; 18.62.5 dimmi, i prigion, cugin mio, come stanno?». 18.62.6 Allora Orlando il vien raffigurando: 18.62.7 abbracciò questo e pianse per letizia, 18.62.8 e del Soldan contòe la sua tristizia. 18.63.1 Poi disse: «Tempo non è farsi festa; 18.63.2 qui si conviene i prigioni aiutare». 18.63.3 Non va lïon per fame per foresta, 18.63.4 come Rinaldo cominciò a mugghiare, 18.63.5 a questo e quello spezzando la testa, 18.63.6 le strette schiere faccendo allargare; 18.63.7 qui il Veglio e Spinellone e 'l conte sono, 18.63.8 e paion tutti a quattro insieme un tuono. 18.64.1 Né prima détton tra le schiere drento, 18.64.2 che si vedeva sbaragliar la gente, 18.64.3 ch' egli eron quattro lupi in uno armento; 18.64.4 e pur s' alcun non fugge, se ne pente, 18.64.5 ch' ogni cosa abbattevon come un vento; 18.64.6 e inverso il gonfalon subitamente, 18.64.7 dove è il Soldan, con gran furor n' andorno: 18.64.8 or qui le spade ben s' insanguinorno. 18.65.1 Era il Soldan sopra un caval morello, 18.65.2 co' mamalucchi suoi quivi ristretto; 18.65.3 giunson costoro insieme a un drappello, 18.65.4 gridando: «Muoia il Soldan maladetto!». 18.65.5 Ma come il Veglio ha conosciuto quello, 18.65.6 prese una lancia e posesela al petto 18.65.7 e disse: «Io vo' veder se la tua morte 18.65.8 si serba a me per distino o per sorte». 18.66.1 Quando il Soldan vide abbassar la lancia, 18.66.2 subito anco egli il suo caval moveva, 18.66.3 perché e' vedeva che costui non ciancia, 18.66.4 e nello scudo del Veglio giugneva; 18.66.5 pensò passargli la falda e la pancia: 18.66.6 l' aste si ruppe, come il Ciel voleva, 18.66.7 e in molti pezzi per l' aria trovossi, 18.66.8 ché quel che è distinato tôr non puossi. 18.67.1 Ebbe pur luogo alfin la visïone 18.67.2 ch' una montagna gli cadeva addosso: 18.67.3 ché, come il Veglio allo scudo gli pone, 18.67.4 subito lo passò, ch' era pur grosso, 18.67.5 e la corazza e lo sbergo e 'l giubbone, 18.67.6 che è di catarzo, e poi la carne e l' osso; 18.67.7 e con la furia del caval l' urtòe, 18.67.8 tanto ch' addosso al Soldan rovinòe. 18.68.1 Ma il caval si rizzò del Veglio tosto; 18.68.2 quel del Soldan col suo signore è in terra, 18.68.3 e morto l' uno e l' altro a giacer posto: 18.68.4 così il giudicio del Ciel mai non erra; 18.68.5 era così preveduto e disposto. 18.68.6 Or qui fu quasi finita la guerra: 18.68.7 morto il Soldano, ognun verso le porte 18.68.8 correva, sbigottito di tal morte. 18.69.1 Rinaldo, che 'l Soldan vide cadere, 18.69.2 diceva al Veglio: «Per la fede mia, 18.69.3 che non era di matto il suo temere! 18.69.4 Vedi che luogo ha pur la profezia! 18.69.5 Or oltre! In rotta si fuggon le schiere; 18.69.6 dunque mostrian la nostra gagliardia». 18.69.7 E vanno trascorrendo ove e' vedieno 18.69.8 i saracin che indrieto si fuggieno. 18.70.1 Rinaldo il giustizier trasse per morto 18.70.2 di sella con un colpo di Frusberta; 18.70.3 onde e' gli disse: «Tu m' hai fatto torto: 18.70.4 a questo modo il mio ben far non merta, 18.70.5 c' ho dato aiuto a' prigioni e conforto». 18.70.6 Disse Rinaldo: «Dove e' sien m' accerta, 18.70.7 e in questo modo camperai la vita; 18.70.8 se non, da me tu non farai partita». 18.71.1 Il giustiziere allor Rinaldo mena 18.71.2 dove i prigion si stavon dall' un canto, 18.71.3 afflitti, dolorosi, con gran pena, 18.71.4 ed avean fatto quel giorno gran pianto, 18.71.5 tanto che più gli riconosce appena. 18.71.6 «Che pagheresti voi, ditemi il quanto», 18.71.7 dicea Rinaldo a lor «chi vi scampassi?». 18.71.8 Ed Ulivier, come e' suol, cheto stassi. 18.72.1 Ma Ricciardetto rispose: «Nïente: 18.72.2 noi non abbiàn danar né cosa alcuna; 18.72.3 siàn qui condotti sì miseramente, 18.72.4 sanza speranza, come vuol fortuna. 18.72.5 Ma se qui fussi Rinaldo al presente, 18.72.6 non temeremo di cosa nessuna 18.72.7 o se ci fussi il conte Orlando appresso, 18.72.8 che di camparci pur ci avea promesso». 18.73.1 Disse Rinaldo: «Siete voi cristiani?». 18.73.2 Rispose Ricciardetto: «Sì, messere, 18.73.3 e paladin già fumo alti e sovrani». 18.73.4 Rinaldo più non si potea tenere: 18.73.5 alla visiera si pose le mani, 18.73.6 acciò che in viso il potessin vedere; 18.73.7 donde ciascun lo riconobbe presto; 18.73.8 ma, volendo, abbracciar non posson questo. 18.74.1 Allor Rinaldo gli scioglie ed abbraccia, 18.74.2 e dice: «Non sapete voi ch' Orlando 18.74.3 è qui nel campo e questa gente scaccia 18.74.4 per venir voi da morte liberando? 18.74.5 Per mio consiglio mi par che si faccia, 18.74.6 acciò che vi vegnate riposando: 18.74.7 col giustiziar qui ve n' andrete vostro 18.74.8 al padiglion del re Gostanzo nostro». 18.75.1 E tutti a tre n' andorno al padiglione. 18.75.2 Ma in questo tempo quel gigante forte 18.75.3 uccise il re Gostanzo in su l' arcione, 18.75.4 che molto pianse Orlando cotal morte; 18.75.5 poi abbatté d' un colpo Spinellone. 18.75.6 Qui sopravvenne Orlando a caso e sorte, 18.75.7 e tanto fe' che si fece cristiano, 18.75.8 e battezzollo con sua propria mano. 18.76.1 E fu cosa mirabil quel che disse 18.76.2 Ispinellone in questo suo morire: 18.76.3 credo che 'l Ciel per grazia se gli aprisse, 18.76.4 dove l' anima presto dovea gire; 18.76.5 perché e' teneva in su le luce fisse, 18.76.6 ché gli pareva gli angioli sentire, 18.76.7 e disse con Orlando: «Orlando, certo 18.76.8 io veggo il paradiso tutto aperto. 18.77.1 Non vedi tu lassù quel che veggo io? 18.77.2 Chi è colui ch' ognuno onora e teme, 18.77.3 in sedia coronato e giusto e pio 18.77.4 fra mille lumi e mille dïademe?». 18.77.5 Rispose Orlando: «È Gesù nostro Iddio, 18.77.6 che pasce tutti di gaudio e di speme, 18.77.7 colui ch' adora ogni fedel cristiano». 18.77.8 Allor gli fe' reverenzia il pagano. 18.78.1 «Chi è colei che siede allato a quello, 18.78.2 che sopra tutte par donna serena, 18.78.3 e presso a lei un angel così bello?». 18.78.4 «È la sua Madre Virgin nazzarena; 18.78.5 e l' angel che gli è appresso è Gabriello, 18.78.6 colui che gli disse "Ave, gratia plena"». 18.78.7 Allor le braccia il saracino stende 18.78.8 ed umilmente grazia a quella rende. 18.79.1 E poi diceva: «Io veggo intorno a quella 18.79.2 dodici in sedia tutti coronati». 18.79.3 Rispose Orlando: «Questa brigatella 18.79.4 son gli apostoli suoi glorificati». 18.79.5 «Quell' altro con la croce in man sì bella, 18.79.6 che par che molto fisso Gesù guati 18.79.7 e non si sazi di veder sua vista?». 18.79.8 Rispose Orlando: «È il suo cugin Battista». 18.80.1 «Quelle tre donne accosto sì al Signore?». 18.80.2 Rispose Orlando: «Son le tre Marie, 18.80.3 ch' al suo sepulcro andâr con tanto amore, 18.80.4 poi che fu crocifisso il terzo die». 18.80.5 «Chi è colui che guarda il suo Fattore, 18.80.6 quasi dicessi: "Io ti disubbidie"?». 18.80.7 Rispose Orlando: «Sarà il nostro Adamo, 18.80.8 pel cui peccato dannati savamo». 18.81.1 «Chi è quel vecchierel con tanta fede, 18.81.2 che non si sazia di cantare osanna, 18.81.3 e par che di Maria si goda al piede?». 18.81.4 «Colui che fu con lei nella capanna». 18.81.5 «Quell' altro vecchio ch' appresso si vede 18.81.6 con la sua sposa?». «È Giovacchino ed Anna», 18.81.7 rispose Orlando «il padre di Maria 18.81.8 e la sua madre glorïosa e pia». 18.82.1 «Color che paion sì giusti e discreti, 18.82.2 co' libri in man, sai tu quel che si sia?». 18.82.3 Rispose Orlando: «Saranno i profeti 18.82.4 che predisson l' annunzio di Maria; 18.82.5 quivi è David e gli altri sempre lieti, 18.82.6 e Moïsè legista e Geremia». 18.82.7 «L' altre corone ch' io vi veggo tante?». 18.82.8 Rispose Orlando: «Gli altri santi e sante, 18.83.1 e màrtir, patriarci e confessori». 18.83.2 «Tante altre cose ch' io vi veggo belle?». 18.83.3 Rispose Orlando: «Celesti splendori, 18.83.4 come i pianeti, sole e luna e stelle». 18.83.5 «Que' dolci gaudi e que' soavi odori, 18.83.6 tante dolce armonie, tante fiammelle?». 18.83.7 Rispose Orlando: «È il gaudio sempiterno 18.83.8 e 'l sommo ben di quel Signore etterno». 18.84.1 «Color che cantan, che paion di foco, 18.84.2 con l' alie, intorno alla sedia vicini?». 18.84.3 Rispose Orlando: «Qui ti ferma un poco. 18.84.4 Sono altre spezie di spirti divini, 18.84.5 ed ha ciascuno ordinato il suo loco: 18.84.6 que' primi, Cherubini e Serafini, 18.84.7 e gli altri, Tron, che così presso stanno; 18.84.8 sì che tre gerarchie que' cori fanno. 18.85.1 Gli altri che seguon questo primo coro 18.85.2 de' Serafin, Cherubini e de' Troni, 18.85.3 Virtute e Potestà son con costoro, 18.85.4 ma innanzi a questi le Dominazioni; 18.85.5 poi Principati e gli Arcangel con loro 18.85.6 ed Angel par che d' un canto risuoni». 18.85.7 Disse il pagan: «Come tu m' hai diviso 18.85.8 costor, così gli veggo in paradiso». 18.86.1 «Ah», disse Orlando «e' non passerà molto 18.86.2 che tu gli potra' me' vedere in cielo: 18.86.3 dirizza i tuoi pensier, la mente e 'l volto 18.86.4 a quel Signor con puro amore e zelo, 18.86.5 e 'ncréscati di me, che resto involto 18.86.6 in questo cieco mondo al caldo e al gelo». 18.86.7 E poi gli diè la sua benedizione, 18.86.8 e l' anima spirò di Spinellone. 18.87.1 Rimase Orlando tutto consolato 18.87.2 del dolce fin che Spinellone ha fatto, 18.87.3 e tutto collo spirito elevato, 18.87.4 tanto che Paül pareva al ciel ratto, 18.87.5 chiamando morto chi in vita è restato. 18.87.6 Intanto Salicorno è quivi tratto, 18.87.7 e scaccia ognun che innanzi se gli affronta. 18.87.8 Orlando in sul caval presto rimonta, 18.88.1 e grida «Addrieto tornàte, canaglia: 18.88.2 è altro ch' un pagan quel che vi caccia?». 18.88.3 E' rispondieno: «Egli è nella battaglia, 18.88.4 questo, gigante che Giove minaccia; 18.88.5 e' ci divora, non ferisce o taglia, 18.88.6 tanto ch' ognuno ha rivolta la faccia». 18.88.7 Orlando pur gli sgrida e svergognava; 18.88.8 e in questo quivi Rinaldo arrivava. 18.89.1 E Salicorno avea già domandato: 18.89.2 «Dove è Rinaldo? Io vorrei pur trovarlo». 18.89.3 Orlando, come lo vede appressato, 18.89.4 diceva: «O Salicorno, or puoi provarlo: 18.89.5 ecco colui c' hai tanto minacciato; 18.89.6 questo è Rinaldo tuo, col quale io parlo». 18.89.7 E volsesi a Rinaldo e disse seco: 18.89.8 «Questo gigante vuol provarsi teco». 18.90.1 Quando il gigante vedeva Rinaldo, 18.90.2 parvegli un uom nell' aspetto gagliardo, 18.90.3 e tutto stupefatto stava saldo: 18.90.4 guarda il cristiano e guardava Baiardo, 18.90.5 e raffreddossi, che parea sì caldo; 18.90.6 disse: «Baron, s' ogni tuo effetto guardo, 18.90.7 non vidi mai il più bel combattitore: 18.90.8 ma tu se' il caffo d' ogni traditore. 18.91.1 Tu uccidesti già de' miei consorti 18.91.2 quel Chiarïel che fu tanto nomato; 18.91.3 de' miei fratelli due n' avete morti; 18.91.4 e Brunamonte sai che l' hai ammazzato 18.91.5 con mille tradimenti e mille torti; 18.91.6 e Mambrin, ch' era del mio sangue nato, 18.91.7 e Gostantin con inganno uccidesti, 18.91.8 e meritato hai già mille capresti. 18.92.1 Noi siàn rimasi sei frate' carnali; 18.92.2 ma punirotti io sol, traditor fello». 18.92.3 Rinaldo stava tuttavia in su l' ali 18.92.4 come il terzuol, per dibattersi a quello; 18.92.5 e disse: «Badalon, se tanto vali, 18.92.6 come ti fe' cader qui il mio fratello? 18.92.7 Dunque tu chiami traditor Rinaldo, 18.92.8 che sai che tu se' il fior d' ogni ribaldo?». 18.93.1 Disse il gigante: «Orlando, io mi ti scuso; 18.93.2 non può ciò comportar nostra natura. 18.93.3 Costui mi par co' giganti poco uso; 18.93.4 ché s' io comincio, per la sua sciagura, 18.93.5 gli forbirò col mazzafrusto il muso». 18.93.6 Rinaldo, che smarrita ha la paura, 18.93.7 gli volle dar col guanto nel mostaccio; 18.93.8 se non ch' Orlando gli pigliava il braccio, 18.94.1 e disse: «Fate battaglia reale». 18.94.2 Rispose Salicorno: «Io ho combattuto 18.94.3 tutto dì d' oggi, e fatto tanto male, 18.94.4 e Spinellone e Gostanzo abbattuto, 18.94.5 che far con esso or battaglia campale 18.94.6 o in altro modo, non sare' dovuto; 18.94.7 ma domattina in sul campo saremo, 18.94.8 e so che 'l lume e' dadi pagheremo». 18.95.1 Rinaldo fu contento; e Salicorno 18.95.2 in Bambillona si tornava drento, 18.95.3 e così i nostri al padiglion tornorno. 18.95.4 Diceva il Veglio: «Ignun mio guernimento 18.95.5 non mi trarrò, Rinaldo, insino al giorno: 18.95.6 così ti priego che tu sia contento». 18.95.7 Rispose Orlando: «Il tuo consiglio parmi 18.95.8 di savio»; e non si vollon cavar l' armi. 18.96.1 Il Veglio, come pratico, in agguato 18.96.2 con una schiera quella notte sta. 18.96.3 Or Salicorno, come addormentato 18.96.4 crede sia il campo, uscì della città; 18.96.5 verso Rinaldo n' andava affilato, 18.96.6 ché di tradirlo pensato seco ha. 18.96.7 Ma nell' uscir nella schiera scontrossi 18.96.8 del savio Veglio, e la zuffa appiccossi, 18.97.1 e cominciossi la gente a ferire. 18.97.2 Questo romor ne va pel campo presto, 18.97.3 ma pur Rinaldo si stava a dormire; 18.97.4 Baiardo, che la notte stava desto, 18.97.5 comincia presso a Rinaldo anitrire: 18.97.6 non si sentendo, spezzava il capresto, 18.97.7 e corse sanza sella, così ignudo, 18.97.8 e déttegli del piè drento allo scudo. 18.98.1 Rinaldo allor si fu pur risentito 18.98.2 e Ricciardetto ed Ulivier destòe: 18.98.3 ognun s' armava tutto sbalordito. 18.98.4 Orlando in sul caval presto montòe; 18.98.5 dove combatte il Veglio ne fu ito, 18.98.6 e tutto il campo in là presto n' andòe. 18.98.7 A Salicorno par la cosa guasta, 18.98.8 e pentesi aver messo mano in pasta; 18.99.1 pur con Rinaldo domandò battaglia; 18.99.2 Rinaldo disse del campo pigliasse, 18.99.3 e par con gran furor l' un l' altro assaglia; 18.99.4 subito furno le lor lance basse. 18.99.5 Era a veder la pagana canaglia, 18.99.6 che si pensorno il mondo rovinasse 18.99.7 quando Rinaldo s' accosta al gigante, 18.99.8 perché e' tremava e la terra e le piante. 18.100.1 E Salicorno la lancia spezzava; 18.100.2 così Rinaldo; e' lor destrier passorno, 18.100.3 e quasi il colpo di lor s' agguagliava; 18.100.4 sì che di nuovo due lance pigliorno 18.100.5 e l' uno inverso l' altro ritornava; 18.100.6 trovò Rinaldo al cimier Salicorno 18.100.7 e con quel colpo dilacciò l' elmetto 18.100.8 e 'l suo pennacchio gli spiccò di netto. 18.101.1 Rinaldo nello scudo pose a lui 18.101.2 un colpo, ch' egli arebbe traboccato 18.101.3 se fussin tutti insieme i frate' sui, 18.101.4 e 'n sulla groppa a l' alfana è cascato. 18.101.5 Gridava Salicorno: «Mai non fui 18.101.6 a questo modo più vituperato. 18.101.7 O Macometto, becco can ribaldo, 18.101.8 tu hai pagato la balia a Rinaldo! 18.102.1 Credo che tu t' intenda co' cristiani!». 18.102.2 E 'l me' che può sopra l' arcion si rizza, 18.102.3 e prese il mazzafrusto con due mani; 18.102.4 verso Rinaldo va con molta stizza 18.102.5 gridando: «Tu n' andrai con gli altri cani, 18.102.6 se questa mazza di man non ischizza; 18.102.7 ché se tu campi da me questa notte, 18.102.8 non tornerò mai più nelle mie grotte». 18.103.1 E d' una punta gli détte nel fianco, 18.103.2 che gli fe' rimbalzar l' elmetto in testa; 18.103.3 e benché fussi il paladin sì franco, 18.103.4 per la percossa ebbe tanta molesta, 18.103.5 che poco men che non si venne manco, 18.103.6 e non volea la seconda richiesta; 18.103.7 e Frusberta di man gli era caduta, 18.103.8 se non che la catena l' ha tenuta; 18.104.1 e l' elmetto pel colpo gli era uscito. 18.104.2 Il saracin se gli scagliava intanto 18.104.3 addosso, ché pensò che sia fornito. 18.104.4 Orlando, ch' a vedere era daccanto, 18.104.5 gridò: «Pagan, se' tu del senno uscito? 18.104.6 Or che non ha più l' elmo, o 'l brando al guanto, 18.104.7 gli credi addosso andar co' mazzafrusti 18.104.8 come un gaglioffo vil che sempre fusti?». 18.105.1 E volle dargli un colpo con la spada. 18.105.2 Quando il gigante Orlando irato vide, 18.105.3 diceva: «E' non è buon che innanzi vada, 18.105.4 ché questa spada il pòrfiro divide». 18.105.5 Quando Rinaldo a queste cose bada, 18.105.6 per la vergogna il cuor se gli conquide; 18.105.7 e ripigliato alquanto di vigore, 18.105.8 verso il pagano andò con gran furore. 18.106.1 Rizzossi in sulle staffe e 'l brando strinse, 18.106.2 e Salicorno trovò in sul cappello; 18.106.3 e fu tanto la rabbia che lo vinse, 18.106.4 che lo tagliò come il latte il coltello 18.106.5 (non domandar quanto sdegno il sospinse) 18.106.6 e spezza il teschio duro e poi il cervello 18.106.7 e 'l collo e 'l petto, e fecene due parti, 18.106.8 che così a punto non tagliano i sarti. 18.107.1 Cadde il gigante dell' alfana in terra: 18.107.2 fece un fracasso, come quando taglia 18.107.3 il montanaro e qualche faggio atterra. 18.107.4 I saracin che son nella battaglia, 18.107.5 chi qua chi là per le fosse al buio erra; 18.107.6 ognuno inverso le porte si scaglia, 18.107.7 veggendo Salicorno giù cadere, 18.107.8 che lo sentì chi nol potea vedere. 18.108.1 Combattevono a lumi di lanterne 18.108.2 costor la notte, e fiaccole di pino; 18.108.3 sì che molti restàr per le caverne, 18.108.4 chi morto e chi ferito e chi meschino. 18.108.5 Nostri cristian, quanti potien vederne, 18.108.6 tanti uccidien del popol saracino: 18.108.7 buon per colui che fu prima alle porte! 18.108.8 ché tutti que' da sezzo ebbon la morte. 18.109.1 Nella città chi può si fuggì drento, 18.109.2 e furon presto le porte serrate; 18.109.3 e cominciorno a far provedimento 18.109.4 come le mura lor fussin guardate, 18.109.5 ché d' uscir fuor non avean più ardimento. 18.109.6 Lasciàn costoro e l' altre gente armate: 18.109.7 e' ci convien tornare un poco a Carlo, 18.109.8 che non si vuol però dimenticarlo. 18.110.1 Carlo in Parigi nella sua tornata 18.110.2 Meredïana volse rimandare 18.110.3 a Carador, che l' ha tanto aspettata; 18.110.4 e lei più in Francia non volea già stare, 18.110.5 da poi ch' Ulivier suo l' avea lasciata. 18.110.6 Morgante volle questa accompagnare, 18.110.7 e finalmente, dopo alcun dimoro, 18.110.8 rappresentolla al gran re Caradoro. 18.111.1 E pochi giorni con lei dimoròe, 18.111.2 perché e' voleva andar verso Soria, 18.111.3 dove era Orlando, e licenzia pigliòe 18.111.4 e sol soletto si misse per via. 18.111.5 Meredïana al partir lo pregòe 18.111.6 che l' avvisassi d' Ulivier che sia, 18.111.7 e ritornassi qualche volta a quella, 18.111.8 che rimanea scontenta e meschinella. 18.112.1 Giunto Morgante un dì in su 'n un crocicchio, 18.112.2 uscito d' una valle in un gran bosco, 18.112.3 vide venir di lungi, per ispicchio, 18.112.4 un uom che in volto parea tutto fosco. 18.112.5 Détte del capo del battaglio un picchio 18.112.6 in terra, e disse: «Costui non conosco»; 18.112.7 e posesi a sedere in su 'n un sasso, 18.112.8 tanto che questo capitòe al passo. 18.113.1 Morgante guata le sue membra tutte 18.113.2 più e più volte dal capo alle piante, 18.113.3 che gli pareano strane, orride e brutte: 18.113.4 «Dimmi il tuo nome», dicea «viandante». 18.113.5 Colui rispose: «Il mio nome è Margutte; 18.113.6 ed ebbi voglia anco io d' esser gigante, 18.113.7 poi mi penti' quando al mezzo fu' giunto: 18.113.8 vedi che sette braccia sono appunto». 18.114.1 Disse Morgante: «Tu sia il ben venuto: 18.114.2 ecco ch' io arò pure un fiaschetto allato, 18.114.3 che da due giorni in qua non ho beuto; 18.114.4 e se con meco sarai accompagnato, 18.114.5 io ti farò a camin quel che è dovuto. 18.114.6 Dimmi più oltre: io non t' ho domandato 18.114.7 se se' cristiano o se se' saracino, 18.114.8 o se tu credi in Cristo o in Apollino». 18.115.1 Rispose allor Margutte: «A dirtel tosto, 18.115.2 io non credo più al nero ch' a l' azzurro, 18.115.3 ma nel cappone, o lesso o vuogli arrosto; 18.115.4 e credo alcuna volta anco nel burro, 18.115.5 nella cervogia, e quando io n' ho, nel mosto, 18.115.6 e molto più nell' aspro che il mangurro; 18.115.7 ma sopra tutto nel buon vino ho fede, 18.115.8 e credo che sia salvo chi gli crede. 18.116.1 E credo nella tórta e nel tortello: 18.116.2 l' uno è la madre e l' altro è il suo figliuolo; 18.116.3 e 'l vero paternostro è il fegatello, 18.116.4 e possono esser tre, due ed un solo, 18.116.5 e diriva dal fegato almen quello. 18.116.6 E perch' io vorrei ber con un ghiacciuolo, 18.116.7 se Macometto il mosto vieta e biasima, 18.116.8 credo che sia il sogno o la fantasima; 18.117.1 ed Apollin debbe essere il farnetico, 18.117.2 e Trivigante forse la tregenda. 18.117.3 La fede è fatta come fa il solletico: 18.117.4 per discrezion mi credo che tu intenda. 18.117.5 Or tu potresti dir ch' io fussi eretico; 18.117.6 acciò che invan parola non ci spenda, 18.117.7 vedrai che la mia schiatta non traligna 18.117.8 e ch' io non son terren da porvi vigna. 18.118.1 Questa fede è come l' uom se l' arreca. 18.118.2 Vuoi tu veder che fede sia la mia? 18.118.3 che nato son d' una monaca greca 18.118.4 e d' un papasso in Bursia, là in Turchia. 18.118.5 E nel principio sonar la ribeca 18.118.6 mi dilettai, perch' avea fantasia 18.118.7 cantar di Troia e d' Ettorre e d' Acchille, 18.118.8 non una volta già, ma mille e mille. 18.119.1 Poi che m' increbbe il sonar la chitarra, 18.119.2 io cominciai a portar l' arco e 'l turcasso. 18.119.3 Un dì ch' io fe' nella moschea poi sciarra 18.119.4 e ch' io v' uccisi il mio vecchio papasso, 18.119.5 mi posi allato questa scimitarra 18.119.6 e cominciai pel mondo andare a spasso; 18.119.7 e per compagni ne menai con meco 18.119.8 tutti i peccati o di turco o di greco; 18.120.1 anzi quanti ne son giù nello inferno. 18.120.2 Io n' ho settanta e sette de' mortali, 18.120.3 che non mi lascian mai la state o 'l verno; 18.120.4 pensa quanti io n' ho poi de' venïali! 18.120.5 Non credo, se durassi il mondo etterno, 18.120.6 si potessi commetter tanti mali 18.120.7 quanti ho commessi io solo alla mia vita; 18.120.8 ed ho per alfabeto ogni partita. 18.121.1 Non ti rincresca l' ascoltarmi un poco: 18.121.2 tu udirai per ordine la trama. 18.121.3 Mentre ch' io ho danar, s' io sono a giuoco, 18.121.4 rispondo come amico a chiunque chiama; 18.121.5 e giuoco d' ogni tempo e in ogni loco, 18.121.6 tanto che al tutto la roba e la fama 18.121.7 io m' ho giucato, e' pel già della barba: 18.121.8 guarda se questo pel primo ti garba. 18.122.1 Non domandar quel ch' io so far d' un dado, 18.122.2 o fiamma o traversin, testa o gattuccia, 18.122.3 o lo spuntone: e va per parentado, 18.122.4 ché tutti siàn d' un pelo e d' una buccia. 18.122.5 E forse al camuffar ne incaco o bado, 18.122.6 o non so far la berta o la bertuccia, 18.122.7 o in furba o in calca o in bestrica mi lodo? 18.122.8 Io so di questo ogni malizia e frodo. 18.123.1 La gola ne vien poi drieto a questa arte. 18.123.2 Qui si conviene aver gran discrezione, 18.123.3 saper tutti i segreti, a quante carte, 18.123.4 del fagian, della starna e del cappone, 18.123.5 di tutte le vivande a parte a parte 18.123.6 dove si truovi morvido il boccone; 18.123.7 e non ti fallirei di ciò parola, 18.123.8 come tener si debba unta la gola. 18.124.1 S' io ti dicessi in che modo io pillotto, 18.124.2 o tu vedessi com' io fo col braccio, 18.124.3 tu mi diresti certo ch' io sia ghiotto; 18.124.4 o quante parte aver vuole un migliaccio, 18.124.5 che non vuole essere arso, ma ben cotto, 18.124.6 non molto caldo e non anco di ghiaccio, 18.124.7 anzi in quel mezzo, ed unto, ma non grasso 18.124.8 (pàrti ch' i' 'l sappi?), e non troppo alto o basso. 18.125.1 Del fegatello non ti dico niente: 18.125.2 vuol cinque parte (fa ch' a la man tenga): 18.125.3 vuole esser tondo, nota sanamente, 18.125.4 acciò che 'l fuoco equal per tutto venga, 18.125.5 e perché non ne caggia, tieni a mente, 18.125.6 la gocciola che morvido il mantenga: 18.125.7 dunque in due parte dividiàn la prima, 18.125.8 ché l' una e l' altra si vuol farne stima. 18.126.1 Piccolo sia, questo è proverbio antico; 18.126.2 e fa che non sia povero di panni, 18.126.3 però che questo importa ch' io ti dico; 18.126.4 non molto cotto, guarda non t' inganni! 18.126.5 ché, così verdemezzo, come un fico 18.126.6 par che si strugga quando tu l' assanni; 18.126.7 fa che sia caldo; e puo' sonar le nacchere, 18.126.8 poi spezie e melarance e l' altre zacchere. 18.127.1 Io ti darei qui cento colpi netti; 18.127.2 ma le cose sottil, vo' che tu creda, 18.127.3 consiston nelle tórte e ne' tocchetti: 18.127.4 e' ti fare' paura, una lampreda, 18.127.5 in quanti modi si fanno i guazzetti; 18.127.6 e pur chi l' ode poi convien che ceda: 18.127.7 perché la gola ha settantadue punti, 18.127.8 sanza molti altri poi ch' io ve n' ho aggiunti. 18.128.1 Un che ne manchi, è guasta la cucina: 18.128.2 non vi potrebbe il Ciel poi rimediare. 18.128.3 Quanti segreti insino a domattina 18.128.4 ti potrei di questa arte rivelare! 18.128.5 Io fui ostiere alcun tempo in Egina, 18.128.6 e volli queste cose disputare. 18.128.7 Or lasciàn questo, e d' udir non t' incresca 18.128.8 un' altra mia virtù cardinalesca. 18.129.1 Ciò ch' io ti dico non va insino all' effe: 18.129.2 pensa quand' io sarò condotto al rue! 18.129.3 Sappi ch' io aro, e non dico da beffe, 18.129.4 col cammello e coll' asino e col bue; 18.129.5 e mille capannucci e mille gueffe 18.129.6 ho meritato già per questo, o piùe; 18.129.7 dove il capo non va, metto la coda 18.129.8 e quel che più mi piace è ch' ognun l' oda. 18.130.1 Mettimi in ballo, mettimi in convito, 18.130.2 ch' io fo il dover co' piedi e colle mani; 18.130.3 io son prosuntüoso, impronto, ardito, 18.130.4 non guardo più i parenti che gli strani; 18.130.5 della vergogna, io n' ho preso partito, 18.130.6 e torno, chi mi caccia, come i cani; 18.130.7 e dico ciò ch' io fo per ognun sette, 18.130.8 e poi v' aggiungo mille novellette. 18.131.1 S' i' ho tenute dell' oche in pastura 18.131.2 non domandar, ch' io non te lo direi: 18.131.3 s' io ti dicessi mille alla ventura, 18.131.4 di poche credo ch' io ti fallirei; 18.131.5 s' io uso a munister per isciagura, 18.131.6 s' elle son cinque, io ne traggo fuor sei; 18.131.7 ch' io le fo in modo diventar galante, 18.131.8 che non vi campa servigial né fante. 18.132.1 Or queste son tre virtù cardinale, 18.132.2 la gola e 'l culo e 'l dado, ch' io t' ho detto; 18.132.3 odi la quarta, ch' è la principale, 18.132.4 acciò che ben si sgoccioli il barletto: 18.132.5 non vi bisogna uncin né porre scale 18.132.6 dove con mano aggiungo, ti prometto; 18.132.7 e mitere da papi ho già portate 18.132.8 col segno in testa e drieto le granate. 18.133.1 E trapani e paletti e lime sorde 18.133.2 e succhi d' ogni fatta e grimaldelli 18.133.3 e scale o vuoi di legno o vuoi di corde, 18.133.4 e levane e calcetti di feltrelli 18.133.5 che fanno, quand' io vo, ch' ognuno assorde, 18.133.6 lavoro di mia man puliti e belli; 18.133.7 e fuoco che per sé lume non rende, 18.133.8 ma collo sputo a mia posta s' accende. 18.134.1 S' tu mi vedessi in una chiesa solo, 18.134.2 io son più vago di spogliar gli altari 18.134.3 che 'l messo di contado del paiuolo; 18.134.4 poi corro alla cassetta de' danari; 18.134.5 ma sempre in sagrestia fo il primo volo, 18.134.6 e se v' è croce o calici, io gli ho cari, 18.134.7 e' crucifissi scuopro tutti quanti, 18.134.8 poi vo spogliando le Nunziate e' santi. 18.135.1 Io ho scopato già forse un pollaio; 18.135.2 s' tu mi vedessi stendere un bucato, 18.135.3 diresti che non è donna o massaio 18.135.4 che l' abbi così presto rassettato: 18.135.5 s' io dovessi spiccar, Morgante, il maio, 18.135.6 io rubo sempre dove io sono usato; 18.135.7 ch' io non istò a guardar più tuo che mio, 18.135.8 perch' ogni cosa al principio è di Dio. 18.136.1 Ma innanzi ch' io rubassi di nascoso, 18.136.2 io fui prima alle strade malandrino: 18.136.3 arei spogliato un santo il più famoso, 18.136.4 se santi son nel Ciel, per un quattrino; 18.136.5 ma per istarmi in pace e in più riposo, 18.136.6 non volli poi più essere assassino; 18.136.7 non che la voglia non vi fussi pronta, 18.136.8 ma perché il furto spesso vi si sconta. 18.137.1 Le virtù teologiche ci resta. 18.137.2 S' io so falsare un libro, Iddio tel dica: 18.137.3 d' uno X farotti un Y, ch' a sesta 18.137.4 non si farebbe più bello a fatica; 18.137.5 e traggone ogni carta, e poi con questa 18.137.6 raccordo l' alfabeto e la rubrica, 18.137.7 e scambiere'ti, e non vedresti come, 18.137.8 il titol, la coverta e 'l segno e 'l nome. 18.138.1 I sacramenti falsi e gli spergiuri 18.138.2 mi sdrucciolan giù proprio per la bocca 18.138.3 come i fichi sampier, que' ben maturi, 18.138.4 o le lasagne, o qualche cosa sciocca; 18.138.5 né vo' che tu credessi ch' io mi curi 18.138.6 contro a questo o colui: zara a chi tocca! 18.138.7 Ed ho commesso già scompiglio e scandolo, 18.138.8 che mai non s' è poi ravvïato il bandolo. 18.139.1 Sempre le brighe compero a contanti. 18.139.2 Bestemmiator, non vi fo ignun divario 18.139.3 di bestemmiar più uomini che santi, 18.139.4 e tutti appunto gli ho in sul calendario. 18.139.5 Delle bugie nessun non se ne vanti, 18.139.6 ché ciò ch' io dico fia sempre il contrario. 18.139.7 Vorrei veder più fuoco ch' acqua o terra, 18.139.8 e 'l mondo e 'l cielo in peste e 'n fame e 'n guerra. 18.140.1 E carità limosina o digiuno, 18.140.2 orazïon, non creder ch' io ne faccia. 18.140.3 Per non parer provàno, chieggo a ognuno, 18.140.4 e sempre dico cosa che dispiaccia, 18.140.5 superbo, invidïoso ed importuno. 18.140.6 Questo si scrisse nella prima faccia, 18.140.7 che i peccati mortal meco eran tutti, 18.140.8 e gli altri vizi scelerati e brutti. 18.141.1 Tanto è ch' io posso andar per tutto 'l mondo 18.141.2 col cappello in su gli occhi, com' io voglio: 18.141.3 com' una schianceria son netto e mondo. 18.141.4 Dovunque i' vo, lasciarvi il segno soglio, 18.141.5 come fa la lumaca, e nol nascondo; 18.141.6 e muto fede e legge, amici e scoglio, 18.141.7 di terra in terra, com' io veggo o truovo, 18.141.8 però ch' io fu' cattivo insin nell' uovo. 18.142.1 Io t' ho lasciato indrieto un gran capitolo 18.142.2 di mille altri peccati in guazzabuglio; 18.142.3 ché s' i' volessi leggerti ogni titolo, 18.142.4 e' ti parrebbe troppo gran mescuglio; 18.142.5 e cominciando a sciôrre ora el gomitolo, 18.142.6 ci sarebbe faccenda insino a luglio; 18.142.7 salvo che questo alla fine udirai: 18.142.8 che tradimento ignun non feci mai». 18.143.1 Morgante alle parole è stato attento 18.143.2 un' ora o più, che mai non mosse il volto. 18.143.3 Rispose e disse: «In fuor che tradimento, 18.143.4 per quel ch' io ho, Margutte mio, raccolto, 18.143.5 non vidi uom mai più tristo a compimento; 18.143.6 e di' che 'l sacco non hai tutto sciolto! 18.143.7 Non crederrei con ogni sua misura 18.143.8 ti rifacessi appunto più natura, 18.144.1 né tanto accomodato al voler mio: 18.144.2 noi staren ben insieme in un guinzaglio. 18.144.3 Di tradimento guàrdati, perch' io 18.144.4 vo' che tu creda in questo mio battaglio, 18.144.5 da poi che tu non credi in Cielo a Dio; 18.144.6 ch' io so domar le bestie nel travaglio. 18.144.7 Del resto, come vuoi te ne governa: 18.144.8 co' santi in chiesa e co' ghiotti in taverna. 18.145.1 Io vo' con meco ne venga, Margutte, 18.145.2 e che di compagnia sempre viviamo. 18.145.3 Io so per ogni parte le vie tutte. 18.145.4 Vero che pochi danar ne portiamo; 18.145.5 ma mio costume all' oste è dar le frutte 18.145.6 sempre al partir, quando il conto facciamo; 18.145.7 e 'nsino a qui sempre all' oste, ov' io fusse, 18.145.8 io gli ho pagato lo scotto di busse». 18.146.1 Disse Margutte: «Tu mi piaci troppo; 18.146.2 ma resti tu contento a questo solo? 18.146.3 Io rubo sempre ciò ch' io do d' intoppo, 18.146.4 s' io ne dovessi portare un orciuolo; 18.146.5 poi al partir son mutol, ma non zoppo. 18.146.6 Se tu dovessi tôrre un fusaiuolo, 18.146.7 dove tu vai to' sempre qualche cosa; 18.146.8 ch' io tirerei l' aiuolo a una chiosa. 18.147.1 Io ho cercato diversi paesi, 18.147.2 io ho solcata tutta la marina, 18.147.3 ed ho sempre rubato ciò ch' io spesi. 18.147.4 Dunque, Morgante, a tua posta camina». 18.147.5 Così détton di piglio a' loro arnesi; 18.147.6 Morgante pel battaglio suo si china, 18.147.7 e col compagno suo lieto ne gìa, 18.147.8 e dirizzossi andar verso Soria. 18.148.1 Margutte aveva una schiavina indosso 18.148.2 ed un cappello a spicchi alla turchesca, 18.148.3 salvo ch' egli era fatto d' un certo osso 18.148.4 che gli spicchi eran d' altro che di pèsca, 18.148.5 ed era molto grave e molto grosso, 18.148.6 tanto che par che spesso gli rincresca; 18.148.7 un paio di stivaletti avea in piè gialli, 18.148.8 ferrato e cogli spron come hanno i galli. 18.149.1 Dicea Morgante, quando gli vedea: 18.149.2 «Saresti tu di schiatta di galletto? 18.149.3 Tu hai gli spron di drieto»; e sorridea. 18.149.4 Disse Margutte: «Questo è per rispetto, 18.149.5 ché spesso alcun, che non se n' accorgea, 18.149.6 se ne trovò ingannato, ti prometto: 18.149.7 campati ho già con questi molti casi, 18.149.8 e molti a questa pania son rimasi». 18.150.1 Vannosi insieme ragionando il giorno; 18.150.2 la sera capitorno a uno ostiere, 18.150.3 e come e' giunson, costui domandorno: 18.150.4 «Aresti tu da mangiare e da bere? 18.150.5 E pàgati in sull' asse o vuoi nel forno». 18.150.6 L' oste rispose: «E' ci fia da godere: 18.150.7 e' c' è avanzato un grosso e bel cappone». 18.150.8 Disse Margutte: «Oh, non fia un boccone. 18.151.1 Qui si conviene avere altre vivande: 18.151.2 noi siamo usati di far buona cera. 18.151.3 Non vedi tu costui com' egli è grande? 18.151.4 Cotesta è una pillola di gera». 18.151.5 Rispose l' oste: «Mangi delle ghiande. 18.151.6 Che vuoi tu ch' io provvegga, or ch' egli è sera?». 18.151.7 E cominciò a parlar superbamente, 18.151.8 tal che Morgante non fu pazïente. 18.152.1 Comincial col battaglio a bastonare; 18.152.2 l' oste gridava e non gli parea giuoco. 18.152.3 Disse Margutte: «Lascia un poco stare. 18.152.4 Io vo' per casa cercare ogni loco. 18.152.5 Io vidi dianzi un bufol drento entrare: 18.152.6 e' ti bisogna fare, oste, un gran fuoco, 18.152.7 e che tu intenda a un fischiar di zufolo, 18.152.8 poi in qualche modo arrostiren quel bufolo». 18.153.1 Il fuoco per paura si fe' tosto; 18.153.2 Margutte spicca di sala una stanga; 18.153.3 l' oste borbotta, e Margutte ha risposto: 18.153.4 «Tu vai cercando il battaglio t' infranga: 18.153.5 a voler far quello animale arrosto, 18.153.6 che vuoi tu tôrre?, un manico di vanga? 18.153.7 Lascia ordinare a me, se vuoi, il convito». 18.153.8 E finalmente il bufol fu arrostito; 18.154.1 non creder con la pelle scorticata; 18.154.2 e' lo sparò nel corpo solamente. 18.154.3 Parea di casa più che la granata: 18.154.4 comanda e grida, e per tutto si sente; 18.154.5 un' asse molto lunga ha ritrovata; 18.154.6 apparecchiolla fuor subitamente, 18.154.7 e vino e carne e del pan vi ponea, 18.154.8 perché Morgante in casa non capea. 18.155.1 Quivi mangioron le reliquie tutte 18.155.2 del bufolo, e tre staia di pane o piùe, 18.155.3 e bevvono a bigonce; e poi Margutte 18.155.4 disse a quell' oste: «Dimmi, aresti tue 18.155.5 da darci del formaggio o delle frutte, 18.155.6 ché questa è stata poca roba a due, 18.155.7 o s' altra cosa tu ci hai di vantaggio?». 18.155.8 Or udirete come andò il formaggio. 18.156.1 L' oste una forma di cacio trovòe, 18.156.2 ch' era sei libbre, o poco più o meno; 18.156.3 un canestretto di mele arrecòe, 18.156.4 d' un quarto o manco, e non era anche pieno. 18.156.5 Quando Margutte ogni cosa guardòe, 18.156.6 disse a quell' oste: «Bestia sanza freno, 18.156.7 ancor s' arà il battaglio adoperare, 18.156.8 s' altro non credi trovar da mangiare. 18.157.1 È questo compagnon da fare a once? 18.157.2 Aspetta, tanto ch' io torni, un miccino, 18.157.3 e servi intanto qui colle bigonce: 18.157.4 fa che non manchi al gigante del vino, 18.157.5 che non ti racconciassi l' ossa sconce. 18.157.6 Io fo per casa come il topolino: 18.157.7 vedrai s' io so ritrovare ogni cosa, 18.157.8 e s' io farò venir giù roba a iosa!». 18.158.1 Fece la cerca per tutta la casa 18.158.2 Margutte, e spezza e sconficca ogni cassa, 18.158.3 e rompe e guasta masserizie e vasa: 18.158.4 ciò che trovava, ogni cosa fracassa, 18.158.5 ch' una pentola sol non v' è rimasa; 18.158.6 di cacio e frutte raguna una massa, 18.158.7 e pòrtale a Morgante in un gran sacco, 18.158.8 e cominciorno a rimangiare a macco. 18.159.1 L' oste co' servi impaüriti sono 18.159.2 ed a servire attendon tutti quanti; 18.159.3 e dice fra se stesso: «E' sarà buono 18.159.4 non ricettar mai più simil briganti: 18.159.5 e' pagheranno domattina al suono 18.159.6 di quel battaglio, e saranno contanti. 18.159.7 Hanno mangiato tanto, che in un mese 18.159.8 non mangerà tutto questo paese». 18.160.1 Morgante poi che molto ebbe mangiato, 18.160.2 disse a quell' oste: «A dormir ce n' andremo; 18.160.3 e domattina, com' io sono usato 18.160.4 sempre a camino, insieme conteremo, 18.160.5 e d' ogni cosa sarai ben pagato, 18.160.6 per modo che d' accordo resteremo». 18.160.7 E l' oste disse a suo modo pagassi; 18.160.8 ché gli parea mill' anni e' se n' andassi. 18.161.1 Morgante andò a trovare un pagliaio 18.161.2 ed appoggiossi come il lïofante. 18.161.3 Margutte disse: «Io spendo il mio danaio: 18.161.4 io non voglio, oste mio, come il gigante, 18.161.5 far degli orecchi zufoli a rovaio; 18.161.6 non so s' io son più pratico o ignorante, 18.161.7 ma ch' io non sono astrolago so certo: 18.161.8 io vo' con teco posarmi al coperto. 18.162.1 Vorrei prima che' lumi sieno spenti, 18.162.2 che tu traessi ancora un po' di vino; 18.162.3 ché non par mai la sera io m' addormenti, 18.162.4 s' io non becco in sul legno un ciantellino, 18.162.5 così per risciacquare un poco i denti; 18.162.6 e goderenci in pace un canzoncino: 18.162.7 e' basta un bigonciuol così tra noi, 18.162.8 or che non c' è il gigante che c' ingoi». 18.163.1 «Vedes' tu mai» Margutte soggiugnea 18.163.2 «un uom più bello e di tale statura, 18.163.3 e che tanto diluvi e tanto bea? 18.163.4 Non credo e' ne facessi un più natura. 18.163.5 E' vuol, quando egli è all' oste», gli dicea 18.163.6 «che l' oste gli trabocchi la misura; 18.163.7 ma al pagar poi, mai il più largo uom vedesti: 18.163.8 se tu nol provi, tu nol crederresti». 18.164.1 Venne del mosto, e stanno a ragionare, 18.164.2 e l' oste un poco si rassicurava; 18.164.3 Margutte un canzoncin netto spiccare 18.164.4 comincia, e poi del camin domandava, 18.164.5 dicendo a Bambillona volea andare. 18.164.6 L' oste rispose che non si trovava, 18.164.7 da trenta miglia in là, casa né tetto 18.164.8 per più giornate, e vassi con sospetto. 18.165.1 E disselo a Margutte, e non a sordo, 18.165.2 che vi pensò di subito malizia, 18.165.3 e disse all' oste: «Questo è buon ricordo, 18.165.4 poi che tu di' che vi si fa tristizia. 18.165.5 Or oltre, a letto; e saren ben d' accordo, 18.165.6 ch' io non istò a pagar con masserizia: 18.165.7 io son lo spenditore, e degli scotti, 18.165.8 come tu stesso vorrai, pagherotti: 18.166.1 io ho sempre calcata la scarsella. 18.166.2 Deh, dimmi, tu non debbi aver domata, 18.166.3 per quel ch' io ne comprenda, una cammella 18.166.4 ch' io vidi nella stalla tua legata; 18.166.5 ch' io non vi veggo né basto né sella». 18.166.6 Rispose l' oste: «Io là tengo appiattata 18.166.7 una sua bardelletta, ch' io gli caccio, 18.166.8 nella camera mia sotto il pimaccio. 18.167.1 Per quel ch' io il faccia, credo che tu intenda: 18.167.2 sai che qui arriva più d' un forestiere 18.167.3 a cena, a desinare ed a merenda». 18.167.4 Disse Margutte: «Lasciami vedere 18.167.5 un poco come sta questa faccenda, 18.167.6 poi che noi siam per ragionare e bere, 18.167.7 e son le notte un gran cantar di cieco». 18.167.8 E l' oste gli rispose: «Io te l' arreco». 18.168.1 Recò quella bardella il sempliciotto: 18.168.2 Margutte vi fe' su tosto disegno, 18.168.3 che questa accorderà tutto lo scotto; 18.168.4 e disse all' oste: «E' mi piace il tuo ingegno. 18.168.5 Questo sarà il guancial ch' io terrò sotto, 18.168.6 e dormirommi qui in su questo legno: 18.168.7 so che letto non hai dov' io capessi, 18.168.8 tanto che tutto mi vi distendessi. 18.169.1 Or vo' saper come tu se' chiamato». 18.169.2 Disse l' ostier: «Tu saprai tosto come: 18.169.3 io sono il Dormi per tutto appellato». 18.169.4 Disse Margutte: «Fa come tu hai nome» 18.169.5 così fra sé; «tu sarai ben destato 18.169.6 quando fia tempo e innanzi fìen le some». 18.169.7 «Come hai tu brigatella, o vuoi figliuoli?». 18.169.8 Disse l' ostier: «La donna ed io siàn soli». 18.170.1 Disse Margutte: «Che puoi tu pigliarci 18.170.2 la settimana in questa tua osteria? 18.170.3 Come arai tu moneta da cambiarci 18.170.4 qualche dobbra da spender per la via?». 18.170.5 Rispose l' oste: «Io non vo' molto starci, 18.170.6 ch' io non ci ho preso, per la fede mia, 18.170.7 da quattro mesi in qua venti ducati, 18.170.8 che sono in quella cassetta serrati». 18.171.1 Disse Margutte: «Oh, solo in una volta 18.171.2 con esso noi più danar piglierai! 18.171.3 Tu la tien' quivi: s' ella fusse tolta?». 18.171.4 Disse l' ostier: «Non mi fu tocca mai». 18.171.5 Margutte un occhiolin chiuse, ed ascolta, 18.171.6 e disse: «A questa volta lo vedrai!». 18.171.7 E per fornire in tutto la campana, 18.171.8 un' altra malizietta trovò strana. 18.172.1 «Perché persona discreta e benigna» 18.172.2 dicea coll' oste «troppo a questo tratto 18.172.3 mi se' paruto, io mi chiamo il Graffigna; 18.172.4 e 'l profferer tra noi per sempre è fatto. 18.172.5 Io sento un poco difetto di tigna, 18.172.6 ma sotto questo cappel pur l' appiatto: 18.172.7 io vo' che tu mi doni un po' di burro, 18.172.8 ed io ti donerò qualche mangurro». 18.173.1 L' oste rispose: «Nïente non voglio: 18.173.2 domanda arditamente il tuo bisogno, 18.173.3 ché di tal cose cortese esser soglio». 18.173.4 Disse Margutte allora: «Io mi vergogno: 18.173.5 sappi che mai la notte non mi spoglio 18.173.6 per certo vizio ch' io mi lievo in sogno; 18.173.7 vorrei ch' un paio di fune m' arrecasse, 18.173.8 e legherommi io stesso in su questa asse. 18.174.1 Ma serra l' uscio ben dove tu dormi, 18.174.2 ch' io non ti dessi qualche sergozzone; 18.174.3 se tu sentissi per disgrazia sciôrmi 18.174.4 e che per casa andassi a processione, 18.174.5 non uscir fuor». Rispose presto il Dormi, 18.174.6 e disse: «Io mi starò sodo al macchione. 18.174.7 Così voglio avvisar la mia brigata, 18.174.8 che non toccassin qualche tentennata». 18.175.1 Le fune e 'l burro a Margutte giù reca, 18.175.2 e disse a' servi di questo costume, 18.175.3 ch' ognun si guardi dalla fossa cieca 18.175.4 e non isbuchi ignun fuor delle piume. 18.175.5 Odi ribaldo! Odi malizia greca! 18.175.6 Così soletto si restò col lume, 18.175.7 e fece vista di legarsi stretto, 18.175.8 tanto che 'l Dormi se n' andò a letto. 18.176.1 Come e' sentì russar, ch' ognun dormiva, 18.176.2 e' cominciò per casa a far fardello: 18.176.3 alla cassetta de' danar ne giva, 18.176.4 ed ogni cosa pose in sul cammello; 18.176.5 e come un uscio o qualche cosa apriva, 18.176.6 ugneva con quel burro il chiavistello; 18.176.7 e come egli ebbe fuor la vettovaglia, 18.176.8 appiccò il fuoco in un monte di paglia. 18.177.1 E poi n' andava al pagliaio a Morgante: 18.177.2 «Non dormir più», dicea «dormito hai assai; 18.177.3 non di' tu che volevi ire in Levante? 18.177.4 Io sono ito e tornato, e tu il vedrai. 18.177.5 Non istiàn qui, dà in terra delle piante, 18.177.6 se non che presto il fummo sentirai». 18.177.7 Disse Morgante: «Che diavolo è questo? 18.177.8 Tu hai pur fatto, per Dio, netto e presto». 18.178.1 Poi s' avvïava, ch' aveva timore, 18.178.2 perché quivi era un gran borgo di case, 18.178.3 che non si lievi la gente a romore. 18.178.4 Dicea Margutte: «Di ciò che rimase 18.178.5 all' oste, un birro non are' rossore: 18.178.6 ch' io non istò a far mai le staia rase, 18.178.7 ma sempre in ogni parte dove io fui, 18.178.8 sono stato cortese dell' altrui». 18.179.1 Mentre che questi così se ne vanno, 18.179.2 la casa ardeva tutta a poco a poco: 18.179.3 prima che 'l Dormi s' avvegga del danno, 18.179.4 era per tutto appiccato già il foco; 18.179.5 e non credea che fussi stato inganno. 18.179.6 Quivi la gente correa d' ogni loco; 18.179.7 ma con fatica scampò lui e la moglie: 18.179.8 e così spesso de' matti si coglie. 18.180.1 Quando fu giorno, che l' alba apparìe, 18.180.2 Morgante vede insino alla grattugia, 18.180.3 e fra se stesso dicea: «Tutto die 18.180.4 de' miglior certo s' impicca ed abbrugia: 18.180.5 guarda costui quante ciabatte ha quie! 18.180.6 Per Dio, che troppo il capresto s' indugia!». 18.180.7 Disse Margutte: «E' c' è insino alla secchia: 18.180.8 non dubitar, questa è l' arte mia vecchia. 18.181.1 Noi abbiamo andar per un certo paese 18.181.2 dove da sé non ha chi non vi porta; 18.181.3 e pure aren danar da far le spese»; 18.181.4 e tutta la novella dicea scorta 18.181.5 della cassetta, e come il fuoco accese, 18.181.6 come egli ebbe il cammel fuor della porta, 18.181.7 e come il Dormi se n' andò a dormire, 18.181.8 ma il fuoco l' arà fatto risentire. 18.182.1 Morgante le mascella ha sgangherate 18.182.2 per le risa talvolta che gli abbonda, 18.182.3 e dicea pure: «O forche sventurate, 18.182.4 ecco che boccon ghiotto o pèsca monda! 18.182.5 Non vi rincresca s' un poco aspettate. 18.182.6 Costui pur mena almen la mazza tonda. 18.182.7 Quanto piacer n' arà di questo Orlando, 18.182.8 s' io lo vedrò mai più, che non so quando!». 18.183.1 Dicea Margutte: «In questo sta il guadagno: 18.183.2 quanto tu lasci più il brigante scusso. 18.183.3 Tu puoi cercar per tutto d' un compagno 18.183.4 che d' ogni cosa sia, come io, malfusso; 18.183.5 né, per ghermire, altro sparvier grifagno 18.183.6 non ti bisogna, o zingherlo, arbo o usso: 18.183.7 quel che si ruba, non s' ha a saper grado; 18.183.8 e sai ch' io comincio ora a trar pel dado. 18.184.1 Io chiesi insino al burro, e dissi a quello 18.184.2 oste ch' un poco di tigna sentivo, 18.184.3 per ugner poi gli arpioni, e 'l chiavistello, 18.184.4 che non sentissi quando un uscio aprivo, 18.184.5 tanto ch' io avessi assettato il cammello. 18.184.6 A ogni malizietta io son cattivo; 18.184.7 del livido mi guardo quant' io posso, 18.184.8 poi non mi curo più giallo che rosso». 18.185.1 «Or mi piacesti tu, Margutte mio!» 18.185.2 dicea Morgante. E 'ntanto un, c' ha veduta 18.185.3 quella cammella, diceva: «Per Dio! 18.185.4 ch' ella è del Dormi ostier quella scrignuta». 18.185.5 Disse Margutte: «Il Dormi sarò io. 18.185.6 Non vedi tu, babbion, che si tramuta, 18.185.7 e sgombera qua presso a un castello? 18.185.8 E maggior bestia se' tu che 'l cammello». 18.186.1 Tutto quel giorno e l' altro sono andati 18.186.2 per paesi dimestichi costoro; 18.186.3 e 'l terzo dì in un bosco sono entrati, 18.186.4 dove aspre fere facevon dimoro; 18.186.5 ed eron pel cammin tutti affannati, 18.186.6 né vin né pan non avean più con loro. 18.186.7 Dicea Morgante: «Che farem, Margutte? 18.186.8 Vedi che mancon qui le cose tutte. 18.187.1 Cerchiamo almen appiè qua di quel monte 18.187.2 se vi surgessi d' acqua alcun rampollo; 18.187.3 ché pur, se noi trovassin qualche fonte, 18.187.4 la sete se n' andrebbe al primo crollo; 18.187.5 ché le parole più spedite o pronte 18.187.6 non sento, se la bocca non immollo: 18.187.7 quel mi par luogo d' esservi dell' acque». 18.187.8 Onde a Margutte il suo consiglio piacque. 18.188.1 Vanno cercando tanto, che trovorno 18.188.2 una fontana assai nitida e fresca: 18.188.3 quivi a sedere un poco si posorno, 18.188.4 perché e' convien che 'l caminar rincresca. 18.188.5 Ecco apparir di lungi un lïocorno 18.188.6 che va cercando ove la sete gli esca. 18.188.7 Disse Margutte: «Se tu guardi bene, 18.188.8 quel lïocorno in qua per ber ne viene. 18.189.1 Questa sarà la nostra cena appunto: 18.189.2 e' si consuma di dar nella rete; 18.189.3 però t' appiatta tanto che sia giunto, 18.189.4 che tragga a noi la fame e a sé la sete». 18.189.5 Il lïocorno dalla voglia è punto, 18.189.6 e non sapea le trappole segrete: 18.189.7 venne alla fonte e 'l corno vi metteva, 18.189.8 e stato un poco, a suo modo beeva. 18.190.1 Morgante, che da lato era nascoso, 18.190.2 arrandellò il battaglio ch' egli ha in mano: 18.190.3 déttegli un colpo tanto grazïoso, 18.190.4 che cadde stramazzato a mano a mano 18.190.5 e non batté poi più senso né poso; 18.190.6 e fu quel colpo sì feroce e strano, 18.190.7 che di rimbalzo in un masso percosse, 18.190.8 e sfavillò come di fuoco fosse. 18.191.1 Quando Margutte il vide sfavillare, 18.191.2 disse: «Morgante, la cosa va gaia: 18.191.3 forse che cotto lo potren mangiare. 18.191.4 Per quel che di quel sasso là mi paia, 18.191.5 noi gli faren del fuoco fuor gittare». 18.191.6 Disse Morgante: «Ogni prieta è focaia 18.191.7 dove Morgante e 'l battaglio s' accosta: 18.191.8 sempre con esso ne fo a mia posta. 18.192.1 Ma tu che se', Margutte, sì sottile, 18.192.2 ed hai condotte tante masserizie, 18.192.3 come non hai tu l' esca col fucile?». 18.192.4 Disse Margutte: «Tra le mie malizie 18.192.5 né cosa virtüosa né gentile 18.192.6 non troverrai, ma fraude con tristizie». 18.192.7 Disse Morgante: «Piglia del fien secco; 18.192.8 vienne qua meco». E Margutte disse: «Ecco». 18.193.1 Vanno a quel masso, e Morgante martella, 18.193.2 ch' arebbe fatto riscaldare il ghiaccio, 18.193.3 tal ch' a Margutte intruona le cervella, 18.193.4 sì che quel fien gli cadeva di braccio. 18.193.5 Allor Morgante ridendo favella: 18.193.6 «Guarda se fuor le faville ti caccio». 18.193.7 Margutte il fien per vergogna riprese 18.193.8 e tennel tanto che 'l fuoco s' accese. 18.194.1 Poi si cavò di dosso la schiavina, 18.194.2 e scaricò la cammella a giacere 18.194.3 e trasse quivi fuori una cucina; 18.194.4 apparecchiò alle spese dell' ostiere, 18.194.5 ch' avea recato insino alla salina, 18.194.6 e tazze ed altre vasella da bere. 18.194.7 Al lïocorno abbruciò le caluggine, 18.194.8 e fece uno schidion d' un gran peruggine. 18.195.1 Cosse la bestia e pongonsi poi a cena: 18.195.2 Morgante quasi intera la pilucca, 18.195.3 sì che Margutte n' assaggiava appena; 18.195.4 e disse: «Il sal ci avanza nella zucca. 18.195.5 Per Dio, tu mangeresti una balena! 18.195.6 Non è cotesta gola mai ristucca. 18.195.7 Io ti vorrei per mio compagno avere 18.195.8 a ogni cosa, eccetto ch' al tagliere». 18.196.1 Disse Morgante: «Io vedevo la fame 18.196.2 in aria come un nugol d' acqua pregno; 18.196.3 e certo una balena con le squame 18.196.4 arei mangiato sanz' alcun ritegno, 18.196.5 ovvero un lïofante con lo stame. 18.196.6 Io rido che tu vai leccando il legno». 18.196.7 Disse Margutte: «S' tu ridi, ed io piango, 18.196.8 che con la fame in corpo mi rimango». 18.197.1 «Quest' altra volta io ti ristorerò», 18.197.2 dicea Morgante «per la fede mia!». 18.197.3 Dicea Margutte: «Anzi ne spiccherò 18.197.4 la parte ch' io vedrò che giusta sia, 18.197.5 e poi l' avanzo innanzi ti porrò, 18.197.6 sì che e' possi durar la compagnia. 18.197.7 Nell' altre cose io t' arò riverenza, 18.197.8 ma della gola io non v' ho pazïenza. 18.198.1 Chi mi toglie il boccon, non è mio amico, 18.198.2 ma ogni volta par mi cavi un occhio. 18.198.3 Per tutte l' altre volte te lo dico, 18.198.4 ch' io vo' la parte mia insino al finocchio, 18.198.5 se s' avessi a divider solo un fico, 18.198.6 una castagna, un topo o un ranocchio». 18.198.7 Morgante rispondea: «Tu mi chiarisci 18.198.8 di bene in meglio, e come oro affinisci. 18.199.1 Racconcia un poco il fuoco, ch' egli è spento» 18.199.2 Margutte ritagliò di molte legne, 18.199.3 fece del fuoco ed uno alloggiamento. 18.199.4 Disse Morgante: «Se quel non si spegne, 18.199.5 per istanotte io mi chiamo contento. 18.199.6 Tu hai qui acconcio mille cose degne, 18.199.7 tu se' il maestro di color che sanno». 18.199.8 Così la notte a dormir quivi stanno, 18.200.1 e la cammella si pasceva intorno. 18.200.2 Ma poi che l' aürora si dimostra, 18.200.3 disse Margutte a Morgante: «Egli è giorno: 18.200.4 levianci e seguitian l' andata nostra». 18.200.5 Così tutte lor cose rassettorno. 18.200.6 Or, perché l' un cantar con l' altro giostra, 18.200.7 quel che seguì sarà nell' altro canto; 18.200.8 e lauderemo il Padre nostro intanto.
CANTO XIX
19.1.1 Laudate, parvoletti, il Signor vostro, 19.1.2 laudate sempre il nome del Signore! 19.1.3 Sia benedetto il nome del Re nostro 19.1.4 da ora a sempre insino all' ultime ore! 19.1.5 Or tu che insin a qui m' hai il cammin mostro, 19.1.6 del laberinto mi conduci fore, 19.1.7 sì ch' io ritorni ov' io lasciai Morgante, 19.1.8 con la virtù delle tue opre sante. 19.2.1 Partironsi costoro alla ventura: 19.2.2 vanno per luoghi solitari e strani 19.2.3 sanza trovar mai valle né pianura; 19.2.4 non senton cantar galli o abbaiar cani. 19.2.5 Pur capitorno in certa parte oscura, 19.2.6 ove e' sentiron di luoghi lontani 19.2.7 venir certi lamenti afflitti e lassi, 19.2.8 che parean d' uom che si ramaricassi. 19.3.1 Dicea Morgante a Margutte: «Odi tue, 19.3.2 come fo io, un certo suono, spesso, 19.3.3 d' una voce che par che innalzi sùe, 19.3.4 poi si raccheti? Ella debbe esser presso». 19.3.5 Margutte ascolta ed una volta e due. 19.3.6 e poi diceva: «Anco io la sento adesso. 19.3.7 Questi fìen malandrin ch' assalteranno 19.3.8 qualcun che passa, e rubato l' aranno». 19.4.1 Disse Morgante: «Studia un poco il passo; 19.4.2 veggiàn che cosa è questa e chi si duole: 19.4.3 al mio parere, egli è quaggiù più basso, 19.4.4 però per questa via tener si vuole. 19.4.5 Chiunque e' sia, par molto afflitto e lasso, 19.4.6 quantunque e' non si scorgan le parole; 19.4.7 e se son mascalzon, tu riderai, 19.4.8 ch' io n' ho degli altri gastigati assai». 19.5.1 Poi che furono scesi una gran balza, 19.5.2 e' cominciorno dappresso a sentire, 19.5.3 però che sempre il lamento rinnalza. 19.5.4 Una fanciulla piena di martìre 19.5.5 vidono alfine, scapigliata e scalza, 19.5.6 ch' a gran fatica poteva coprire 19.5.7 le belle membra sue, tanto è stracciata, 19.5.8 e con una catena era legata; 19.6.1 ed un lïone appresso stava a quella, 19.6.2 che la guardava; e come questi sente, 19.6.3 fecesi incontro la bestia aspra e fella. 19.6.4 Vanne a Morgante furïosamente, 19.6.5 e cominciava a sbarrar la mascella 19.6.6 e volere operar l' artiglio e 'l dente. 19.6.7 Morgante un gran susorno gli appiccòe 19.6.8 col gran battaglio, e 'l capo gli schiacciòe; 19.7.1 e disse: «Che credevi tu far, matto? 19.7.2 I granchi credon morder le balene!». 19.7.3 Poi verso la fanciulla andò di tratto: 19.7.4 pargli discreta, nobile e dabbene; 19.7.5 e domandolla come stessi il fatto, 19.7.6 onde tanta disgrazia a questa avviene. 19.7.7 Costei pur piange, e Morgante domanda; 19.7.8 ma finalmente se gli raccomanda, 19.8.1 dicendo non pigliassi ammirazione 19.8.2 «se prima non risposi a tue parole, 19.8.3 tanto son vinta dalla passïone; 19.8.4 ma se di me pur per pietà ti duole, 19.8.5 io ti dirò del mal mio la cagione, 19.8.6 che per dolor vedrai scurare il sole: 19.8.7 come tu vedi, stata son sett' anni 19.8.8 con pianti, con angoscie e amari affanni. 19.9.1 Il padre mio ha fra gli altri un castello 19.9.2 che si chiama Belfior, presso alla riva 19.9.3 del Nilo, e Filomeno ha nome quello. 19.9.4 Un dì fuor delle mura a spasso giva: 19.9.5 era tornato il tempo fresco e bello 19.9.6 di primavera, ogni prato fioriva; 19.9.7 come fanciulla m' andavo soletta 19.9.8 per gran vaghezza d' una grillandetta; 19.10.1 e 'l sol di Spagna s' appressava all' onde 19.10.2 e riscaldava Granata e 'l Murrocco, 19.10.3 dove, poi, sotto all' occeàn s' asconde; 19.10.4 e pur seguendo il mio piacere sciocco, 19.10.5 un lusignuol sen gìa di fronde in fronde, 19.10.6 che per dolcezza il cor m' aveva tocco 19.10.7 pensando come e' fu già Filomena; 19.10.8 ma del Nil sempre segnavo la rena. 19.11.1 Mentre così lungo la riva andava, 19.11.2 e 'l lusignuol si fugge in una valle; 19.11.3 ed io pur drieto a costui seguitava, 19.11.4 cogliendo vïolette rosse e gialle; 19.11.5 ma finalmente in un boschetto entrava, 19.11.6 e' be' capelli avea drieto alle spalle, 19.11.7 e posta m' ero in sull' erba a sedere, 19.11.8 ché del suo canto n' avea gran piacere. 19.12.1 Mentre ch' io stavo come Proserpìna 19.12.2 co' fiori in grembo ascoltare il suo canto, 19.12.3 giovane, bella, lieta e peregrina, 19.12.4 il dolce verso si rivolse in pianto. 19.12.5 Vidi apparire, omè lassa tapina! 19.12.6 un uom pel bosco, feroce, daccanto; 19.12.7 e 'l lusignuolo e' fior quivi lasciai, 19.12.8 e spaventata a fuggir cominciai. 19.13.1 E certo io sarei pur da lui scampata, 19.13.2 ma nel fuggire a un ramo s' avvolse 19.13.3 la bella treccia e tutta avviluppata. 19.13.4 Giunse costui e per forza la svolse; 19.13.5 quivi mi prese, e così, sventurata, 19.13.6 in questo modo al mio padre mi tolse; 19.13.7 e strascinommi insino a questa grotta. 19.13.8 dove tu vedi ch' io sono or condotta. 19.14.1 Credo ch' ancora ogni selva rimbomba 19.14.2 dov' io passai, quando costui per terra 19.14.3 mi strascinava insino a questa tomba; 19.14.4 e s' alcun satir pietoso quivi erra, 19.14.5 questo peccato so ch' al cor gli piomba, 19.14.6 o se giustizia l' arco più disserra. 19.14.7 Omè, che mi graffiò più d' uno stecco, 19.14.8 tal che risuona ancor del mio pianto Ecco! 19.15.1 Le belle chiome mie tra mille sterpi 19.15.2 rimason (dé' pensar!) tutte stracciate 19.15.3 tra boschi e tra burrati e lupi e serpi, 19.15.4 che fur, come Absalon, mal fortunate. 19.15.5 Omè, che par che 'l cor da me si scerpi! 19.15.6 Omè, le guance belle e tanto ornate 19.15.7 furono a' pruni (e credo che tu 'l creda) 19.15.8 troppo felice ed onorata preda, 19.16.1 e' drappi d' oro e' vestimenti tutti 19.16.2 al loto, al fango, a' sassi, a' rami, a' ceppi, 19.16.3 che solo un bruscolin facea già brutti; 19.16.4 poi gli vidi stracciar per tanti greppi. 19.16.5 Né creder ch' io tenessi gli occhi asciutti, 19.16.6 misera a me, comunque il mio mal seppi; 19.16.7 ma sempre lacrimosi e meschinelli, 19.16.8 dovunque io fu', lascioron due ruscelli. 19.17.1 E fur pur già nella mia giovinezza 19.17.2 e lume e refrigerio a molti amanti: 19.17.3 aren giurato e detto per certezza 19.17.4 che fussin più che 'l sol belli e micanti; 19.17.5 e molte volte per lor gentilezza 19.17.6 venien la notte con suoni e con canti, 19.17.7 e sopra tutto commendavan questi, 19.17.8 che furon grazïosi e 'nsieme onesti; 19.18.1 ed or son fatti, come vedi, scuri: 19.18.2 così potessi alcun di lor vedégli, 19.18.3 ché non sarien sì dispietati e duri 19.18.4 ch' ancor pietà non avessin di quegli; 19.18.5 anzi l' arebbon negli anni futuri, 19.18.6 ricorderiensi già che furon begli. 19.18.7 Ma per me più non è persona al mondo, 19.18.8 cercando l' universo tutto tondo. 19.19.1 E 'l padre mio di duol si sarà morto, 19.19.2 poi ch' alcun tempo arà aspettato invano; 19.19.3 e la mia madre sanza alcun conforto 19.19.4 non sa ch' io stenti in questo luogo strano, 19.19.5 né del gigante che mi facci torto 19.19.6 e battami ogni dì con la sua mano 19.19.7 e faccimi a' lïon guardar nel bosco, 19.19.8 tanto ch' io stessa non mi riconosco. 19.20.1 O padre, o madre, o fratelli, o sorelle, 19.20.2 o dolce amiche, o compagne, o parente; 19.20.3 o membre afflitte, lasse e meschinelle, 19.20.4 o vita trista, misera e dolente; 19.20.5 o mondo pazzo, o crude e fere stelle, 19.20.6 o distino aspro e 'ngiusto veramente! 19.20.7 O morte, refrigerio all' aspra vita, 19.20.8 perché non vieni a me? Chi t' ha impedita? 19.21.1 È questa la mia patria dov' io nacqui? 19.21.2 È questo il mio palagio e 'l mio castello? 19.21.3 È questo il nido ove alcun tempo giacqui? 19.21.4 È questo il padre e il mio dolce fratello? 19.21.5 È questo il popol dov' io tanto piacqui? 19.21.6 È questo il regno giusto, antico e bello? 19.21.7 È questo il porto della mia salute? 19.21.8 È questo il premio d' ogni mia virtute? 19.22.1 Ove sono or le mie purporee veste? 19.22.2 Ove sono or le gemme e le ricchezze? 19.22.3 Ove sono or già le notturne feste? 19.22.4 Ove sono or le mie dilicatezze? 19.22.5 Ove sono or le mie compagne oneste? 19.22.6 Ove sono or le fuggite dolcezze? 19.22.7 Ove sono or le damigelle mie? 19.22.8 Ove son? dico. Omè, non son già quie. 19.23.1 Ove sono or gli amanti miei puliti? 19.23.2 Ove sono or le cetre e gli organetti? 19.23.3 Ove sono ora i balli e' gran conviti? 19.23.4 Ove sono ora i romanzi e' rispetti? 19.23.5 Ove sono ora i proferti mariti? 19.23.6 Ove sono or mille altri miei diletti? 19.23.7 Ove son l' aspre selve e' lupi adesso, 19.23.8 e gli orsi e' draghi e' tigri? Son qui presso. 19.24.1 Che si fa ora in corte del mio padre? 19.24.2 Che si fa or ne' templi e in su le piazze? 19.24.3 Fannosi feste alle dame leggiadre, 19.24.4 pruovansi lance e mille buone razze 19.24.5 de' be' corsier tra l' armigere squadre; 19.24.6 credo ch' ognun s' allegri e si sollazze; 19.24.7 e pur se già di me si pianse alquanto, 19.24.8 per lungo tempo omai passato è il pianto. 19.25.1 Misera a me, quanto ho mutato il vezzo! 19.25.2 Esser solevo scalzata ogni sera, 19.25.3 e porpore spogliar di tanto prezzo, 19.25.4 che rilucìen più che del sol la spera: 19.25.5 or de' miei panni non si tien più pezzo. 19.25.6 Quante donzelle al servigio mio era! 19.25.7 Che ricche pietre ho portate già in testa! 19.25.8 E stavo sempre in canti, in suoni e 'n festa. 19.26.1 Ed or come tu vedi son condotta: 19.26.2 sanza veder mai creatura alcuna, 19.26.3 e 'l mio real palagio è questa grotta; 19.26.4 dormo la notte al lume della luna. 19.26.5 Or chi felice si chiama talotta, 19.26.6 essemplo pigli della mia fortuna: 19.26.7 cascon le rose, e reston poi le spine: 19.26.8 non giudicate nulla innanzi al fine. 19.27.1 Io fui già lieta a mia consolazione, 19.27.2 ed or con Giobbe cambierei mie pene: 19.27.3 ogni dì questo gigante ladrone 19.27.4 mi batte con un mazzo di catene, 19.27.5 sanza saper che sia di ciò cagione: 19.27.6 credo che sia perché da cacciar viene 19.27.7 irato con lïon, serpenti e draghi, 19.27.8 e sopra me delle ingiurie si paghi. 19.28.1 E vipere e cerastre e strane carne 19.28.2 convien ch' io mangi, che reca di caccia, 19.28.3 che mi solieno a schifo esser le starne; 19.28.4 se non che mi percuote e mi minaccia, 19.28.5 sì che per forza mi convien mangiarne. 19.28.6 Alcuna volta degli uomini spaccia, 19.28.7 poi gli arrostisce e mangiagli il gigante 19.28.8 col suo fratel che si chiama Sperante, 19.29.1 e lui Beltramo; ed ogni giorno vanno 19.29.2 per questi boschi come malandrini. 19.29.3 E molte volte arrecato qui m' hanno, 19.29.4 perch' io mi spassi, serpenti piccini, 19.29.5 come color che' miei pensier non sanno; 19.29.6 alcuna volta bizzarri orsacchini. 19.29.7 E perché ignun non mi possi furare, 19.29.8 da quel lïon mi facevon guardare. 19.30.1 Così di paradiso sono uscita, 19.30.2 e son condotta in queste selve scure. 19.30.3 Già si provò di camparmi la vita 19.30.4 Burrato, e non poté, con la sua scure, 19.30.5 e con fatica di qui fe' partita, 19.30.6 e so ch' egli ebbe di vecchie paure: 19.30.7 tutto facea perché di me gl' increbbe; 19.30.8 ed anco disse che ritornerebbe. 19.31.1 Quand' io ti vidi al principio apparire, 19.31.2 mi rallegrai, dicendo nel mio core: 19.31.3 "E' fia Burrato, che non vuol mentire 19.31.4 né esser di sua fede mancatore". 19.31.5 Per liberarmi da tanto martìre, 19.31.6 già cavalieri erranti per mio amore 19.31.7 combattuto hanno con questi giganti; 19.31.8 ma morti son rimasi tutti quanti. 19.32.1 Se voi credessi di qui liberarmi, 19.32.2 il padre mio, se vivo fussi ancora 19.32.3 (ché forse spera pur di ritrovarmi), 19.32.4 vi darebbe il suo regno ove e' dimora, 19.32.5 ché so con gran disio debbe aspettarmi: 19.32.6 però s' a questo nessun si rincora, 19.32.7 io ve ne priego, io mi vi raccomando». 19.32.8 Così dicea piangendo e sospirando. 19.33.1 Morgante già voleva confortarla, 19.33.2 ma non potea, tanta pietà l' assale. 19.33.3 Mentre ch' ancor questa fanciulla parla, 19.33.4 ecco Beltramo, ch' aveva un cinghiale, 19.33.5 e comincia di lungi a minacciarla: 19.33.6 in su la spalla tenea l' animale, 19.33.7 col braccio destro strascinava un orso, 19.33.8 e sanguinava pe' graffi e pel morso. 19.34.1 Vide costoro e la testa crollava, 19.34.2 quasi dicessi a quella: «Io te ne pago». 19.34.3 Ecco Sperante che quivi arrivava, 19.34.4 e per la coda strascinava un drago: 19.34.5 questo era maggior bestia e assai più brava 19.34.6 del suo fratello, e di far mal più vago. 19.34.7 Giunti a Morgante, a gridar cominciorno, 19.34.8 tal che le selve intronavan dintorno. 19.35.1 Morgante guata la strana figura 19.35.2 de' due fratelli, e poi gli salutòe, 19.35.3 ché gli détton capriccio di paura; 19.35.4 ma l' uno e l' altro il saluto accettòe 19.35.5 pur tal qual concedea la lor natura; 19.35.6 e poi Beltramo a parlar cominciòe: 19.35.7 «Che fai tu qui con questo tuo compagno? 19.35.8 Tu ci potresti far tristo guadagno. 19.36.1 Io vo' saper chi quel lïone ha morto». 19.36.2 Disse Morgante: «Il lïone uccisi io, 19.36.3 che mi voleva, gigante, far torto». 19.36.4 Disse Beltramo: «Al nome sia di Dio, 19.36.5 io tel farò costar, datti conforto! 19.36.6 Tu vai così qua pel paese mio; 19.36.7 e so che quel lïon certo uccidesti 19.36.8 per far poi con costei quel che volesti». 19.37.1 Disse Morgante: «Amendue siàn giganti: 19.37.2 da te a me vantaggio veggo poco. 19.37.3 Noi andian pel mondo cavalieri erranti, 19.37.4 per amor combattendo in ogni loco: 19.37.5 questa fanciulla che m' è qui davanti 19.37.6 intendo liberar da questo gioco; 19.37.7 dunque veggiàn chi sia di miglior razza: 19.37.8 io proverrò il battaglio, e tu la mazza». 19.38.1 Non ebbe pazïenza a ciò Sperante: 19.38.2 riprese meglio il drago per la coda 19.38.3 ed una gran dragata diè a Morgante, 19.38.4 e disse: «Gaglioffaccio pien di broda, 19.38.5 tu sarai ben, come dicesti, errante, 19.38.6 se tu credi acquistar qua fama o loda. 19.38.7 Rechian per preda i serpenti e' lïoni, 19.38.8 ed or paura arem di due ghiottoni! 19.39.1 Tu ci minacci, ribaldon villano: 19.39.2 degli altri ci hanno lasciato già l' ossa». 19.39.3 Gridò Morgante con un mugghio strano, 19.39.4 quando e' sentì del drago la percossa, 19.39.5 e presto al viso si pose la mano, 19.39.6 ché l' una e l' altra gota aveva rossa; 19.39.7 gittò il battaglio, tanta ira l' abbaglia, 19.39.8 e con gran furia addosso a quel si scaglia. 19.40.1 Ed abbracciârsi questi compagnoni, 19.40.2 come i lïon s' abbraccian co' serpenti, 19.40.3 guastandosi co' morsi e cogli unghioni. 19.40.4 Morgante il naso gli strappò co' denti, 19.40.5 poi fece degli orecchi due bocconi, 19.40.6 dicendo: «Tu non meriti altrimenti». 19.40.7 Beltramo addosso a Margutte si getta, 19.40.8 e col baston le costure gli assetta. 19.41.1 Non domandar se le trovava tutte 19.41.2 e se le piana me' che 'l farsettaio: 19.41.3 tocca e ritocca e forbotta Margutte, 19.41.4 e spesso il volge come uno arcolaio, 19.41.5 tanto ch' alfin gli avanzavan le frutte, 19.41.6 e faceval sudar di bel gennaio. 19.41.7 Saltato arìa, per fuggir, ogni sbarra; 19.41.8 pur s' arrostava colla scimitarra; 19.42.1 ma Beltramo era si fiero e sì alto, 19.42.2 che, quando in giù rovinava il bastone, 19.42.3 lo disfaceva e piegava allo smalto; 19.42.4 se non che pur, come un gattomammone, 19.42.5 Margutte spicca molte volte un salto 19.42.6 per ischifar questa maladizione. 19.42.7 Ma finalmente disteso trovossi 19.42.8 come un tappeto, che più atar non puossi; 19.43.1 ch' una percossa toccò sì villana, 19.43.2 che parve una civetta stramazzata: 19.43.3 alzò le gambe e 'n terra si dispiana. 19.43.4 Quivi toccò più d' una batacchiata, 19.43.5 che 'l baston suona come una campana, 19.43.6 e tutta la schiavina ha scardassata. 19.43.7 Poi che sonata fu ben nona e sesta, 19.43.8 Beltram chinossi a spiccargli la testa. 19.44.1 Veggendosi Margutte mal parato, 19.44.2 posò le mani in terra in un momento 19.44.3 per trar due calci, com' egli era usato; 19.44.4 e giunsel con gli spron di sotto al mento, 19.44.5 e conficcò la lingua nel palato 19.44.6 al fer gigante: ond' egli ebbe spavento, 19.44.7 e tutto pien d' ammirazion si rizza; 19.44.8 allor Margutte in piè subito sguizza. 19.45.1 Vede Beltram che si cerca la bocca, 19.45.2 e 'l sangue che di fuor già zampillava; 19.45.3 e 'l capo presto tra gambe gli accocca, 19.45.4 per modo che da terra il sollevava, 19.45.5 e poi in un tratto rovescio il trabocca, 19.45.6 e questo torrïon giù rovinava; 19.45.7 e nel cader ciò che truova fracassa, 19.45.8 come se fussi caduta una massa. 19.46.1 Questo galletto gli saltava addosso, 19.46.2 che par che sia sopra una bica un pollo 19.46.3 (dunque gli spron Margutte hanno riscosso), 19.46.4 e 'l capo a questo levava dal collo, 19.46.5 ché la sua scimitarra taglia l' osso; 19.46.6 e non poté Beltram più dare un crollo, 19.46.7 ché, quando in terra lo pose Margutte, 19.46.8 si fracassorno le sue membra tutte. 19.47.1 Gran festa ne facea quella fanciulla: 19.47.2 ma in questo tempo che Beltramo è morto, 19.47.3 Morgante con colui non si trastulla, 19.47.4 ché vendicar volea del drago il torto; 19.47.5 ma d' atterrarlo ancor non era nulla, 19.47.6 quantunque molto si fussi scontorto; 19.47.7 e tanto a una balza s' appressorno, 19.47.8 che insieme giù per quella rovinorno. 19.48.1 E' si sentiva un romore, un fracasso, 19.48.2 insin che son caduti in un burrone, 19.48.3 come quando de' monti cade in basso 19.48.4 qualche rovina o qualche gran cantone: 19.48.5 non vi rimase né sterpo né sasso 19.48.6 dove passò questo gran fastellone, 19.48.7 ché rimondorno insino alle vermene; 19.48.8 e déttono un gran picchio delle schiene. 19.49.1 Non si fermoron, che toccorno fondo; 19.49.2 ma Morgante disopra rimanea: 19.49.3 détte del capo in su 'n un sasso tondo 19.49.4 tanto a Sperante, che morto il vedea. 19.49.5 Poi si tornò su pel bosco rimondo, 19.49.6 e con Margutte gran festa facea, 19.49.7 dicendo: «Io non pensai, Margutte mio, 19.49.8 trovarti vivo, ond' io ne lodo Iddio. 19.50.1 Noi siàn qua rovinati in una valle, 19.50.2 tal ch' io credetti lasciar le cervella, 19.50.3 e tutto il capo ho percosso e le spalle». 19.50.4 Poi si rivolse a quella damigella, 19.50.5 ch' avea le guance ancor palide e gialle, 19.50.6 però che in dubbio e sospesa era quella, 19.50.7 ché non sapeva che morto è Sperante; 19.50.8 se non che presto gliel dicea Morgante: 19.51.1 «Non dubitar, non ti doler più omai, 19.51.2 rallégrati, fanciulla, e datti pace: 19.51.3 con le mie mani il gigante spacciai, 19.51.4 rimaso è morto alle fiere rapace; 19.51.5 e presto al padre tuo ritornerai, 19.51.6 ché libera se' or come ti piace; 19.51.7 ed ha pur luogo avuto la giustizia». 19.51.8 E tutti insieme facìen gran letizia; 19.52.1 e sciolse alla fanciulla la catena, 19.52.2 e disse: «Andianne omai, dama gradita». 19.52.3 Questa fanciulla d' allegrezza è piena, 19.52.4 e spera ancor trovare il padre in vita. 19.52.5 Morgante per la man sempre la mena, 19.52.6 però ch' ell' era ancor pure stordita 19.52.7 e debol pe' disagi e per gli affanni 19.52.8 ch' avea sofferti, misera, molti anni. 19.53.1 Dicea Margutte: «Quel can traditore 19.53.2 per modo le costure m' ha trovate, 19.53.3 che non sarebbe cattivo sartore: 19.53.4 io ho tutte le rene fracassate». 19.53.5 Disse Morgante: «S' i' non presi errore, 19.53.6 e' ti toccò di vecchie bastonate: 19.53.7 io ti senti' spianare il giubberello, 19.53.8 mentre ch' io ero alle man col fratello». 19.54.1 Così tutto quel giorno ragionando 19.54.2 vanno costoro insieme pel deserto; 19.54.3 ma da mangiare niente mai trovando, 19.54.4 ognun di lor già fame avea sofferto. 19.54.5 Margutte vede, di lungi guardando, 19.54.6 ché il lume della luna era scoperto, 19.54.7 una testuggin ch' un monte pareva, 19.54.8 e quel che fussi ancor non iscorgeva; 19.55.1 ma dubitava s' ella è cosa viva, 19.55.2 o facea caso l' imaginazione; 19.55.3 né ancor dirlo a Morgante s' ardiva, 19.55.4 non si fidando di sua oppinione. 19.55.5 Ma poi che presso a questa fera arriva, 19.55.6 disse a Morgante: «Questo compagnone 19.55.7 non vedi tu, che ti vien già da fronte? 19.55.8 Per Dio, ch' io dubitai che fussi un monte!». 19.56.1 Disse Morgante: «Ella è una testuggine: 19.56.2 e' mi parea di lungi un monticello»; 19.56.3 e cominciava a spiccargli la ruggine 19.56.4 col suo battaglio e spezzargli il cervello. 19.56.5 Non domandar se lieva le caluggine! 19.56.6 Quella fanciulla godeva a vedello. 19.56.7 Rotte le scaglie e fracassate tutte, 19.56.8 disse: «Del fuoco si vuol far, Margutte». 19.57.1 E fece al modo usato sfavillare 19.57.2 un sasso, tanto ch' egli ebbon del fuoco. 19.57.3 Quivi Margutte si dava da fare, 19.57.4 dicendo: «L' arte mia fu sempre cuoco». 19.57.5 Comincia la cammella a scaricare, 19.57.6 e la cucina assetta a poco a poco; 19.57.7 poi s' accostava a un gran cerracchione, 19.57.8 e rimondollo e fenne uno schidione. 19.58.1 E poi ch' egli ebbe assettato l' arrosto 19.58.2 e pien di certe gallozze e di ghiande, 19.58.3 disse a Morgante: «E' ci manca ora il mosto. 19.58.4 Assèttati qua a volger, così grande: 19.58.5 io vo' veder come l' acqua è discosto, 19.58.6 e 'ntanto tu arai cura alle vivande». 19.58.7 Morgante rise e posesi a sedere, 19.58.8 perché Margutte arrecassi da bere. 19.59.1 Margutte, uscito un poco della via, 19.59.2 un certo calpestio di lungi sente: 19.59.3 fecesi innanzi a veder quel che sia: 19.59.4 ode una bestia e 'nsieme parlar gente; 19.59.5 volle assaltargli e far lor villania, 19.59.6 onde costor fuggîr subitamente; 19.59.7 lasciâr la bestia e due otri di vino, 19.59.8 ch' avean pel bosco smarrito il camino. 19.60.1 Margutte si levò gli otri in ispalla, 19.60.2 lasciò la bestia andar dove volea; 19.60.3 torna a Morgante, e d' allegrezza galla, 19.60.4 però che 'l mosto all' odor conoscea. 19.60.5 Comincion la testuggin ' assaggialla; 19.60.6 Margutte disse ch' arsa gli parea: 19.60.7 pargli mill' anni d' assaggiare il mosto; 19.60.8 e finalmente cavorno l' arrosto. 19.61.1 Come e' furno assettati insieme a desco, 19.61.2 Morgante détte una gran tazza piena 19.61.3 alla fanciulla c' ha 'l viso angelesco, 19.61.4 di vin, che gli bastò per la sua cena; 19.61.5 poi si succiò, che parve un uovo fresco, 19.61.6 quel che rimase, in men che non balena; 19.61.7 e non poté Margutte esser sì attento, 19.61.8 che si succiò quegli otri in un momento; 19.62.1 e cominciò a gridare: «Oïmè, l' occhio! 19.62.2 Morgante, tu non bei, anzi tracanni, 19.62.3 anzi diluvi, ed io sono un capocchio, 19.62.4 ché so ch' a ogni giuoco tu m' inganni. 19.62.5 Forse tu stesti aspettare il finocchio? 19.62.6 Un altro arebbe badato mill' anni! 19.62.7 Per Dio, che tu se' troppo disonesto! 19.62.8 Noi partirem la compagnia, e presto. 19.63.1 Se fussin come te fatti i moscioni, 19.63.2 e' non bisognere' botte né tino. 19.63.3 E forse tu fai piccoli i bocconi? 19.63.4 Ma questo non importa come il vino. 19.63.5 Tu non se' uom da star tra compagnoni: 19.63.6 non lasci pel compagno un ciantellino. 19.63.7 Del lïocorno mi rimase il torso; 19.63.8 or di due otri te n' hai fatto un sorso». 19.64.1 Morgante avea di Margutte piacere, 19.64.2 e d' ogni cosa con lui si motteggia: 19.64.3 dunque Margutte cenò sanza bere, 19.64.4 e la fanciulla ridendo il dileggia. 19.64.5 Dicea Margutte: «Già di buone pere 19.64.6 mangiato ha il ciacco»; e sottecchi vagheggia, 19.64.7 e ciò che dice costei, sogghignava; 19.64.8 ma con Morgante assai si scorrubbiava. 19.65.1 Quando egli ebbon cenato, e' s' assettorno 19.65.2 dintorno al fuoco, e quivi si dormiéno, 19.65.3 per aspettar che ritornassi il giorno, 19.65.4 su certe frasche e sopra un po' di fieno. 19.65.5 L' altra mattina il cammel caricorno, 19.65.6 e pure inverso il camin lor ne giéno, 19.65.7 sanza trovar o vettovaglia o tetto, 19.65.8 tanto che pur la fanciulla ha sospetto; 19.66.1 e dicea: «Questa selva è tanto folta, 19.66.2 Morgante, ch' a guardalla non m' arrischio». 19.66.3 Dicea Margutte: «Che sent' io? Ascolta: 19.66.4 e' par ch' i' oda di lontano un fischio». 19.66.5 Giunsono appresso ove la strada è volta: 19.66.6 ecco apparir dinanzi un bavalischio, 19.66.7 e cominciava gli occhi a sfavillare. 19.66.8 Morgante fe' la fanciulla scostare. 19.67.1 Arrandellò il battaglio a quella fiera, 19.67.2 e giunse per ventura appunto al collo, 19.67.3 e spiccò il capo che parve di cera, 19.67.4 e più di venti braccia via portollo. 19.67.5 Margutte andò dove e' vide ch' egli era 19.67.6 caduto, e presto a Morgante recollo: 19.67.7 dodici braccia misuroron quello 19.67.8 serpente crudo e velenoso e fello. 19.68.1 Fecion pensier se fussi d' arrostillo. 19.68.2 Diceva la fanciulla: «Io ho mangiato 19.68.3 del tigre, del dragon, del coccodrillo; 19.68.4 vero è che 'l capo e la coda ho spiccato». 19.68.5 Disse Margutte: «Che bisogna dillo? 19.68.6 Questo è un morselletto ben dorato: 19.68.7 io taglierò solamente la coda, 19.68.8 e poi l' arrostiremo, ed ognun goda». 19.69.1 Così fu arrostito l' animale, 19.69.2 pur colla pelle indosso come e' nacque, 19.69.3 e divorato sanza pane o sale, 19.69.4 e come un manicristo a tutti piacque: 19.69.5 Lucifer non are' lor fatto male. 19.69.6 Eravi appresso pel bosco dell' acque; 19.69.7 quivi s' andorno la sete a cavare. 19.69.8 Margutte più non si volle fidare, 19.70.1 e disse: «Più da bomba non mi scosto, 19.70.2 ch' io non mi fiderei di te col pegno, 19.70.3 Morgante, da qui innanzi, a dirtel tosto, 19.70.4 ché tu fai sempre sopra a me disegno: 19.70.5 come del vin, faresti dell' arrosto; 19.70.6 pertanto io non mi vo' scostar da segno». 19.70.7 Morgante ride, e la fanciulla scoppia, 19.70.8 che par che' denti gli caschino a coppia. 19.71.1 Dormiron come soglion, quella notte, 19.71.2 e l' altro giorno al lor camin ne vanno 19.71.3 per aspre selve e per sì scure grotte, 19.71.4 che dove e' sia da posarsi non sanno. 19.71.5 Pur la fanciulla si ferma ta' dotte, 19.71.6 però che 'l caminar gli dava affanno; 19.71.7 ma di dormire in così strano e scuro 19.71.8 luogo non parve a Morgante sicuro, 19.72.1 dicendo: «Io non ci veggo cosa alcuna 19.72.2 da ber né da mangiar né da dormire: 19.72.3 acciò che non facessi la fortuna 19.72.4 qualch' aspra fiera ci avessi assalire». 19.72.5 Caminorono al lume della luna 19.72.6 tutta la notte con assai martìre 19.72.7 e 'nsin che fu fornito l' altro giorno, 19.72.8 che da mangiar né da ber mai trovorno; 19.73.1 ed erono affamati ed assetati 19.73.2 e rotti e stracchi pel lungo camino. 19.73.3 Margutte un tratto gli occhi ha strabuzzati, 19.73.4 ch' era per certo il diavol tentennino. 19.73.5 Dice Morgante: «Margutte, che guati? 19.73.6 Io veggo che tu affisi l' occhiolino: 19.73.7 aresti tu appostata la cena?». 19.73.8 Disse Margutte: «Che ne credi, appena? 19.74.1 Io veggo quivi appoggiato, Morgante, 19.74.2 a un albero un certo compagnone 19.74.3 che par che dorma, e non muove le piante: 19.74.4 di questo non faresti tu un boccone». 19.74.5 Morgante guarda: egli era un lïofante 19.74.6 che si dormiva a sua consolazione, 19.74.7 ch' era già sera, ed appoggiato stava 19.74.8 come si dice, e col grifo russava. 19.75.1 Disse Morgante: «Dammi un poco in mano, 19.75.2 Margutte, presto la tua scimitarra». 19.75.3 Poi s' accostava all' albero pian piano; 19.75.4 ma non arebbe sentite le carra, 19.75.5 sì forte dorme, l' animale strano. 19.75.6 Morgante allor nelle braccia si sbarra 19.75.7 e l' arbor sotto alla bestia tagliòe, 19.75.8 che sbalordita rovescio cascòe; 19.76.1 e cominciava a rugghiar tanto forte, 19.76.2 che rimbombava per tutto il paese. 19.76.3 Détte alle gambe a Morgante due tòrte 19.76.4 col grifo lungo; Morgante gliel prese 19.76.5 e colla spada gli détte la morte, 19.76.6 tanto che tutto in terra si distese. 19.76.7 Dicea Margutte: «Questa è sì gran fiera, 19.76.8 ch' io cenerò pure a macca stasera»; 19.77.1 e cominciò assettarsi a cucinare. 19.77.2 Morgante intanto del fuoco facea, 19.77.3 e la fanciulla l' aiuta acconciare, 19.77.4 però che in aria la fame vedea. 19.77.5 Margutte uno schidion voleva fare; 19.77.6 guardando, presso due pin si vedea, 19.77.7 ch' erono insieme in un ceppo binati. 19.77.8 Disse Morgante: «Iddio ce gli ha mandati»; 19.78.1 e fece l' un con un colpo cadere, 19.78.2 dicendo: «Uno schidion farai di questo; 19.78.3 questo altro ne faremo un candeliere, 19.78.4 e rimarrassi ritto qui in sul cesto». 19.78.5 Alzò la spada e tagliògli il cimiere 19.78.6 e fece giù la ciocca cader presto; 19.78.7 poi fésse in quattro il gambo a poco a poco 19.78.8 ed appiccògli in su la vetta il fuoco. 19.79.1 Disse Margutte: «Noi trïonferemo! 19.79.2 Veggo la cosa stasera va ' gala, 19.79.3 poi ch' a lume di torchio ceneremo; 19.79.4 e 'ntorno a questo pin sarà la sala, 19.79.5 e sotto a questo lume mangeremo. 19.79.6 Ma perch' io non v' aggiungo colla scala, 19.79.7 Morgante, e tu v' aggiugni sanza zoccoli, 19.79.8 e' converrà stasera che tu smoccoli». 19.80.1 Disse Morgante: «Col nome di Dio, 19.80.2 attendi pur, Margutte, ch' e' sia cotto, 19.80.3 ch' io vo' che questo sia l' uficio mio». 19.80.4 Margutte acconcia l' arrosto di botto; 19.80.5 poi disse: «Volgi: e' sarà pur buon ch' io 19.80.6 cerchi dell' acqua, se c' è ignun ridotto. 19.80.7 Questo so io tu non trangugerai, 19.80.8 ch' a tuo dispetto me ne serberai». 19.81.1 Morgante disse arditamente: «Va, 19.81.2 ché insin che tu ritorni aspetterò, 19.81.3 e 'l lïofante intero ci sarà». 19.81.4 Ma non gli disse: «In corpo il serberò». 19.81.5 Margutte in giù e 'n su, di qua, di là, 19.81.6 dell' acqua va cercando il me' che può, 19.81.7 tanto che pur trovava un fossatello, 19.81.8 e d' acqua presto n' empieva il cappello. 19.82.1 Ma non fu prima dal fuoco partito, 19.82.2 che Morgante a spiccar comincia un pezzo 19.82.3 del lïofante, e disse: «Egli è arrostito», 19.82.4 e tutto il mangia così verdemezzo, 19.82.5 dicendo alla fanciulla: «Il mio appetito 19.82.6 non può più sofferir, ch' è male avvezzo»; 19.82.7 e diègli la sua parte finalmente, 19.82.8 come si convenia, discretamente. 19.83.1 Margutte torna, e Morgante trovava 19.83.2 che s' avea trangugiato insino all' osse 19.83.3 il lïofante, e' denti stuzzicava 19.83.4 con lo schidon del pin dove e' si cosse: 19.83.5 tra le giangìe con esso si cercava 19.83.6 come s' un gambo di finocchio fosse; 19.83.7 le zampe sol vi restava e la testa: 19.83.8 d' ogn' altra cosa era fatta la festa. 19.84.1 Disse Margutte: «Dove è il lïofante, 19.84.2 che tu dicesti di serbare intero?». 19.84.3 «Egli è qui presso» rispose Morgante. 19.84.4 Diceva la fanciulla: «E' dice il vero: 19.84.5 e' l' ha mangiato dal capo alle piante, 19.84.6 e non è stato, al suo parere, un zero». 19.84.7 Disse Morgante: «Io non ti fallo verbo, 19.84.8 Margutte, poi che 'n corpo te lo serbo. 19.85.1 Tu non hai bene in loïca studiato: 19.85.2 io dissi il ver, ma tu non m' intendesti». 19.85.3 Margutte stava come trasognato, 19.85.4 e dice: «Io penso come tu facesti: 19.85.5 può fare il Ciel tu l' abbi trangugiato? 19.85.6 Io credo che ancor me mangiato aresti: 19.85.7 forse fu buon ch' io non ci fussi dianzi, 19.85.8 ch' io mi levai dalla furia dinanzi. 19.86.1 Tu m' hai a mangiare un dì poi, come l' Orco. 19.86.2 Questa è stata una cosa troppo strana, 19.86.3 un atto proprio di ghiotto e di porco, 19.86.4 quel c' ha fatto la gola tua ruffiana. 19.86.5 Tu non sai forse come io mi scontorco 19.86.6 a comportar tua natura villana. 19.86.7 Pensi ch' io facci gelatina o solci, 19.86.8 che 'l capo drento o le zampe esser vuolci? 19.87.1 Noi reggerem, Morgante, insieme poco: 19.87.2 da ora innanzi tra noi sia divisa 19.87.3 la compagnia, se tu non muti giuoco». 19.87.4 Morgante smascellava delle risa; 19.87.5 bevve dell' acqua, e poi se n' andò al fuoco. 19.87.6 Margutte gli occhi a quella testa affisa, 19.87.7 perché la fame non sentiva stucca, 19.87.8 e 'l me' che può, come 'l can la pilucca. 19.88.1 E borbottando s' acconcia a dormire; 19.88.2 così Morgante, insin che in orïente 19.88.3 il sole e 'l giorno comincia apparire; 19.88.4 e vannosene insieme finalmente. 19.88.5 Margutte si volea da lui partire, 19.88.6 ma la fanciulla lo fe' pazïente: 19.88.7 «Non ci lasciar» dicea «tra questi boschi, 19.88.8 tanto ch' almen qualcun l' uom riconoschi». 19.89.1 Dicea Margutte: «Io ho sempre mai inteso 19.89.2 che gnun non si vorrebbe mai beffare: 19.89.3 io mi vedea schernito e vilipeso, 19.89.4 e costui stava il dente a stuzzicare 19.89.5 come se proprio e' non m' avessi offeso. 19.89.6 Questo non posso mai dimenticare: 19.89.7 e' si poteva pur fare altrimenti 19.89.8 che sogghignare e stuzzicarsi i denti. 19.90.1 Questo faceva e' sol per più dispetto, 19.90.2 ch' era proprio il boccon rimproverarmi, 19.90.3 come se fussi stato mio il difetto: 19.90.4 pensa che conto e' facea d' aspettarmi». 19.90.5 Dicea quella fanciulla: «Io ti prometto, 19.90.6 se infino al padre mio vuoi accompagnarmi, 19.90.7 io ti ristorerò per certo ancora». 19.90.8 Margutte pur si racchetava allora. 19.91.1 A questo modo andati son più giorni 19.91.2 sanza trovare o case o mai persona. 19.91.3 Ma finalmente un dì busoni e corni 19.91.4 senton sonar sanza saper chi suona: 19.91.5 eron certe casette come forni, 19.91.6 dove era una villetta, ch' è assai buona, 19.91.7 all' uscir proprio delle selve fore, 19.91.8 e Filomen tenevon per signore. 19.92.1 Sentendo la fanciulla allor sonare, 19.92.2 subitamente al ciel levò le mani, 19.92.3 comincia Macometto a ringraziare: 19.92.4 conobbe che que' suon poco lontani 19.92.5 erano e gente vi debbe abitare, 19.92.6 perché sapea i costumi de' pagani: 19.92.7 «Laudato sia Macone in sempiterno», 19.92.8 dicea «ché tratti omai siàn dello inferno». 19.93.1 Morgante ne facea con lei gran festa, 19.93.2 per venirla al suo padre rimenando, 19.93.3 però che molto gl' increscea di questa, 19.93.4 e perché spera veder tosto Orlando. 19.93.5 A poco a poco uscîr della foresta 19.93.6 e vengono il dimestico trovando, 19.93.7 e finalmente alle case arrivorno 19.93.8 dove sentito avean sonare il corno. 19.94.1 Ma la fanciulla non sapea che quello 19.94.2 luogo il suo padre già signoreggiassi. 19.94.3 Eravi un oste vecchio e poverello; 19.94.4 non avea tanto Morgante cenassi. 19.94.5 Disse Margutte: «Togliamo il cammello!»; 19.94.6 ed ordinò che questo si mangiassi, 19.94.7 ed arrostillo come egli era usato, 19.94.8 e innanzi al gran Morgante l' ha portato. 19.95.1 Morgante diè di morso nello scrigno 19.95.2 e tutto lo spiccò con un boccone. 19.95.3 Margutte gli faceva un viso arcigno, 19.95.4 dicendo: «Tu fai scorgerti un briccone, 19.95.5 ed ogni volta mi paghi di ghigno; 19.95.6 e fai, Morgante, dosso di buffone, 19.95.7 pur che tu empia ben cotesta gola, 19.95.8 e mai non fai a tavola parola». 19.96.1 Poi ne spiccò di quel cammel un quarto. 19.96.2 e disse: «Io intendo il mio conto vedere: 19.96.3 guarda s' io taglio appunto come il sarto. 19.96.4 Tegnàno in man, ch' io veggo il cavaliere; 19.96.5 ma pur dal giuoco però non mi parto, 19.96.6 ch' io so che l' ossa non ci ha a rimanere, 19.96.7 e non è cosa da star teco a scotto: 19.96.8 tu se' villano e disonesto e ghiotto». 19.97.1 L' oste rideva e la fanciulla ride. 19.97.2 Margutte, che fu tristo nelle fasce, 19.97.3 col piè sotto la tavola l' uccide 19.97.4 e coll' occhietto disopra si pasce. 19.97.5 Morgante un tratto di questo s' avvide, 19.97.6 e disse: «Tu se' uso con bagasce». 19.97.7 Quella fanciulla onesta e virtüosa 19.97.8 si ristrignea ne' panni vergognosa. 19.98.1 Dicea Morgante: «Tu se' pur cattivo 19.98.2 come tu mi dicevi, in detti e 'n fatti! 19.98.3 Io credo che tu abbi argento vivo, 19.98.4 Margutte, ne' calcetti e negli usatti: 19.98.5 da questa sera in là, s' a l' oste arrivo, 19.98.6 acciò che non facessi più questi atti, 19.98.7 farotti i pie' tener nella bigoncia, 19.98.8 ch' io veggo che la cosa sare' acconcia». 19.99.1 Disse Margutte: «Hai tu per cosa nuova 19.99.2 ch' io sia cattivo con tutti i peccati, 19.99.3 al fuoco, al paraone, a tutta pruova 19.99.4 un oro più che fine di carati? 19.99.5 Io non fu' appena uscito fuor dell' uova, 19.99.6 ch' i' ero il caffo degli sciagurati, 19.99.7 anzi la schiuma di tutti i ribaldi; 19.99.8 e tu credevi io tenessi i pie' saldi!». 19.100.1 «Non vedi tu, Margutte, quanto onore» 19.100.2 dicea Morgante «pel camin gli ho fatto, 19.100.3 per rimenarla al padre ch' è signore? 19.100.4 Guarda che più non t' avvenga questo atto». 19.100.5 Disse Margutte: «A ogni peccatore 19.100.6 si debbe perdonar pel primo tratto: 19.100.7 s' io ho fallato, perdonanza chieggio; 19.100.8 quest' altra volta so ch' io farò peggio». 19.101.1 Disse Morgante: «E peggio troverrai. 19.101.2 Guarda ch' io non adoperi il battaglio: 19.101.3 forse, Margutte, tu mi crederrai, 19.101.4 s' un tratto le costure ti ragguaglio». 19.101.5 Dicea Margutte: «S' tu non mi terrai 19.101.6 legato sempre stretto col guinzaglio, 19.101.7 prima che te, vedrai, Morgante, ch' io 19.101.8 adoprerò forse il battaglio mio». 19.102.1 «Or oltre, su, govérnati a tuo modo»; 19.102.2 rispose allor Morgante d' ira pieno: 19.102.3 «io so che 'l mio battaglio fia più sodo, 19.102.4 e non bisognerà guinzaglio o freno». 19.102.5 Intanto la fanciulla disse: «Io odo 19.102.6 alcun qua che ricorda Filomeno. 19.102.7 Conoscilo tu, oste, o sai chi e' sia, 19.102.8 e 'n qual paese egli abbi signoria?». 19.103.1 Rispose l' oste: «Quel che tu domandi, 19.103.2 io intendo Filomen sir di Belfiore. 19.103.3 Acciò che più parole non ispandi, 19.103.4 sappi che Filomeno è qui signore, 19.103.5 e siàn tutti parati a' suoi comandi 19.103.6 per lunga fede e per antico amore; 19.103.7 e regge il popol suo tranquillo e lieto, 19.103.8 come giusto signor, savio e discreto. 19.104.1 Vero è che lungo tempo è stato in pianto, 19.104.2 però che gli fu tolta una sua figlia, 19.104.3 né sa chi la togliessi; ed è già tanto, 19.104.4 che ritrovarla saria maraviglia. 19.104.5 Poi che l' ebbe cercata indarno alquanto, 19.104.6 vestissi a bruno lui e la sua famiglia, 19.104.7 e non ci gridan poi talacimanni; 19.104.8 e così son passati già sette anni». 19.105.1 Questa fanciulla diventò nel viso 19.105.2 subitamente piena di dolcezza, 19.105.3 e parve il cor da lei fussi diviso, 19.105.4 e pianse quasi di gran tenerezza, 19.105.5 dicendo: «Or son tornata in paradiso, 19.105.6 dove solea gioir mia giovinezza». 19.105.7 Pensòe di troppo gaudio venir meno, 19.105.8 quando sentì che vivo è Filomeno. 19.106.1 Morgante molto allegro fu di questo, 19.106.2 e disse: «Io son sì contento stasera, 19.106.3 che, s' io morissi, non mi fia molesto. 19.106.4 Margutte mio, noi faren buona cera, 19.106.5 ed è pur buon ch' io t' abbi fatto onesto». 19.106.6 Disse Margutte, che mal contento era: 19.106.7 «Se tanta coscïenzia pur ti tocca, 19.106.8 ricùciti una spanna della bocca». 19.107.1 Non volle la fanciulla palesarsi; 19.107.2 domanda della madre e de' parenti, 19.107.3 e d' ogni cosa voleva accertarsi, 19.107.4 di fratelli e sorelle e di sue genti. 19.107.5 Quivi la notte stanno a riposarsi, 19.107.6 poi si partirno dall' oste contenti. 19.107.7 Non parve tempo a rubare a Margutte, 19.107.8 ché non gli dessi Morgante le frutte. 19.108.1 E del camin l' ostier ne l' avvisava, 19.108.2 se capitar volevono a Belfiore, 19.108.3 che sempre lungo la riva s' andava 19.108.4 del Nilo, e non potean pigliare errore. 19.108.5 Morgante mentre la rena pestava, 19.108.6 un coccodrillo dell' acqua esce fore: 19.108.7 la bocca aperse e credette inghiottillo. 19.108.8 Disse Margutte: «Che fia, coccodrillo? 19.109.1 Cotesto è troppo gran boccon da te». 19.109.2 Morgante in bocca il battaglio gli porse; 19.109.3 e 'l coccodrillo una stretta gli diè 19.109.4 e' denti vi ficcò, sì forte il morse. 19.109.5 Allor Morgante ritirava a sé 19.109.6 presto il battaglio, e 'n bocca gliele storse, 19.109.7 e spezza i denti, l' uno e l' altro filo; 19.109.8 poi prese questo e scagliollo nel Nilo. 19.110.1 Un miglio o più drento al fiume gittollo, 19.110.2 come un certo aüttor, che 'l dice, ha scritto; 19.110.3 e se l' avessi preso me' pel collo, 19.110.4 credo gittato l' arebbe in Egitto; 19.110.5 e nel cader morì sanza dar crollo; 19.110.6 e 'l gran battaglio da' denti è trafitto. 19.110.7 Disse Margutte: «Io lo vedevo scorto 19.110.8 ch' egli scoppiava, se non fussi morto». 19.111.1 Era già vespro e son presso a quel bosco 19.111.2 dove fu presa già questa fanciulla; 19.111.3 e disse con Morgante: «Io riconosco 19.111.4 il luogo ove io fu' sciocca più che in culla, 19.111.5 sanza pensar che dopo al mèle è il tòsco. 19.111.6 Così va chi se stesso pur trastulla; 19.111.7 ed è ragion s' alfin mal gliene coglie, 19.111.8 chi vuol cavarsi tutte le sue voglie. 19.112.1 O maladetto, o sventurato loco! 19.112.2 Quivi senti', Morgante, il lusignuolo, 19.112.3 colà fu' traportata a poco a poco 19.112.4 dal suo bel canto d' uno in altro volo. 19.112.5 A me pareva a sentirlo un bel giuoco: 19.112.6 vedi che ne seguì poi tanto duolo! 19.112.7 Ringrazio te, che m' hai qui ricondotta; 19.112.8 e sarò savia, s' io non fui allotta; 19.113.1 e mosterrotti ch' io non sono ingrata, 19.113.2 ed arò sempre scritto nel mio core 19.113.3 come tu m' abbi prima liberata, 19.113.4 e con quanta onestà, con quanto amore 19.113.5 tu m' abbi per la via poi accompagnata, 19.113.6 che non è stato il servigio minore: 19.113.7 come fratel, come gentil gigante 19.113.8 ti se' portato, e non come mio amante. 19.114.1 Potevi di me far come Beltramo: 19.114.2 non hai voluto; ond' io come fratello, 19.114.3 come tu ami me, certo te amo: 19.114.4 così ti tratterò nel mio castello; 19.114.5 così Margutte vo' che noi trattiamo, 19.114.6 benché e' fussi alle volte tristerello». 19.114.7 Disse Margutte: «S' io feci tristizia, 19.114.8 tu déi pensar ch' io nol feci a malizia». 19.115.1 Ecco ch' egli eron già presso alle mura 19.115.2 di Filomeno, or ecco ch' e' son drento; 19.115.3 e 'l popol guarda la grande statura 19.115.4 di quel gigante, che dava spavento; 19.115.5 ma la fanciulla ignun non raffigura. 19.115.6 O padre suo, quanto sarai contento! 19.115.7 Ch' ogni impreviso ben più piacer suole, 19.115.8 come il mal non pensato anco più duole. 19.116.1 Filomen, che venìa, sente, il gigante 19.116.2 colla fanciulla e con un suo compagno, 19.116.3 e che e' si fa verso il palazzo avante, 19.116.4 e che parea molto famoso e magno. 19.116.5 In questo mezzo appariva Morgante; 19.116.6 Filomen disse: «Iddio ci dia guadagno! 19.116.7 Chi fia costui? E che fanciulla è questa?». 19.116.8 («Non mi trarrò però la bruna vesta, 19.117.1 non rïarò però la mia figliuola», 19.117.2 dicea fra sé, ché non la conoscìa). 19.117.3 Maravigliossi ch' ella sia sì sola, 19.117.4 dicendo: «Questa è strana compagnia». 19.117.5 Poi fermò gli occhi ove il disio pur vola, 19.117.6 e gridò: «Questa è Florinetta mia». 19.117.7 Ma la fanciulla, che di ciò s' accorse, 19.117.8 abbracciar Filomen subito corse. 19.118.1 Or pensi ognun questo misero padre 19.118.2 quanto in quel punto fussi consolato! 19.118.3 A questo grido correva la madre; 19.118.4 e benché Florinetta abbi mutato 19.118.5 il viso molto e sue membra leggiadre, 19.118.6 al primo tratto l' ha raffigurato; 19.118.7 ed abbracciò costei pietosamente, 19.118.8 e per dolcezza par fuor della mente. 19.119.1 Il popol tutto con festa correva, 19.119.2 però che molto amato è Filomeno: 19.119.3 così in un tratto la sala s' empieva. 19.119.4 Morgante, ch' era d' allegrezza pieno, 19.119.5 a Filomeno in tal modo diceva: 19.119.6 «Ecco la figlia tua ch' io ti rimeno, 19.119.7 e son contento più ch' io fussi ancora». 19.119.8 Il perché Filomen l' abbraccia allora. 19.120.1 Ma Florinetta, postasi a sedere 19.120.2 allato al padre, e riposata alquanto, 19.120.3 diceva: «O Filomen, tu vuoi sapere 19.120.4 del lungo errore e del mio grave pianto, 19.120.5 e come io sia vivuta e 'n qual sentiere, 19.120.6 e perché il mio tornar tardato è tanto. 19.120.7 Io ti dirò la mia disavventura, 19.120.8 ch' ancor pensando mi mette paura». 19.121.1 E cominciò, dal dì ch' ella era uscita 19.121.2 della città, quand' ella andò soletta, 19.121.3 a contar come ella fussi rapita 19.121.4 e strascinata trista e meschinetta; 19.121.5 e quanto è stata afflitta la sua vita, 19.121.6 e la catena che la tenea stretta, 19.121.7 e come ella era dal lïon guardata: 19.121.8 tanto che piange ognun che l' ha ascoltata. 19.122.1 E tutto il popol se ne maraviglia: 19.122.2 ognun verso Macon le mani alzava; 19.122.3 la madre e 'l padre e l' altra sua famiglia 19.122.4 d' orror ciascuno e capriccio tremava. 19.122.5 Seguì più oltre la leggiadra figlia, 19.122.6 e 'nverso il suo Morgante si voltava, 19.122.7 ed ogni cosa narrava costei 19.122.8 ciò che Morgante avea fatto per lei: 19.123.1 come al principio e' l' avea liberata 19.123.2 da quel gigante crudel malandrino, 19.123.3 e come sempre l' aveva onorata 19.123.4 e vezzeggiata per tutto il camino, 19.123.5 e sempre per la man l' avea menata 19.123.6 sì come padre o fratello o cugino, 19.123.7 e che tanto onestà servata avea, 19.123.8 che 'l nome suo, non ch' altro, non sapea. 19.124.1 E tante cose dicea di Morgante, 19.124.2 che 'l popol tutto correva a furore 19.124.3 abbracciar questo e baciàgli le piante; 19.124.4 e Filomen gli pose tanto amore, 19.124.5 che in ogni modo volea che 'l gigante 19.124.6 con lui vivessi e morissi signore. 19.124.7 Morgante Filomen ringrazia assai, 19.124.8 dicendo: «Sempre tuo servo m' arai, 19.125.1 e sempre sarò teco vivo e morto, 19.125.2 con l' anima e col corpo, pur ch' io possi. 19.125.3 Io voglio a Bambillona esser di corto, 19.125.4 e sol per questo di Francia mi mossi, 19.125.5 ch' al conte Orlando farei troppo torto. 19.125.6 Ma sempre mi comanda, dov' io fossi; 19.125.7 e pur se Florinetta m' ama seco, 19.125.8 io mi starò due giorni ancor con teco». 19.126.1 Diceva Florinetta: «Almeno un anno 19.126.2 con meco ti starai, Morgante mio». 19.126.3 E così tutti grande onor gli fanno, 19.126.4 anzi adorato è da lor come iddio. 19.126.5 Margutte e Florinetta il gusto sanno; 19.126.6 e perch' ella ha di piacergli disio, 19.126.7 disse a Margutte: «Attendi alla cucina, 19.126.8 che sia provisto ben sera e mattina». 19.127.1 Non domandar se Margutte s' affanna 19.127.2 e se parea di casa più che 'l gatto; 19.127.3 e dice: «Corpo mio, fatti capanna! 19.127.4 ch' io t' ho a disfar le grinze a questo tratto: 19.127.5 vedi che qui da ciel piove la manna!»; 19.127.6 e salta per letizia come un matto, 19.127.7 e stava sempre pinzo e grasso ed unto, 19.127.8 e della gola ritruova ogni punto. 19.128.1 «Mentre ch' io ero» diceva «in Egina, 19.128.2 non soleva questa esser la mia arte? 19.128.3 Così ci fussi la mia concubina! 19.128.4 ch' io gli porrei delle cose da parte. 19.128.5 Ma come il cuoco lascia la cucina, 19.128.6 così dalla ragion certo si parte; 19.128.7 così, come Margutte di qui esce, 19.128.8 sarà come a cavar dell' acqua un pesce». 19.129.1 E finalmente e' provedeva bene 19.129.2 la mensa di vivande di vantaggio; 19.129.3 e d' ogni cosa che in tavola viene, 19.129.4 sempre faceva la credenza e 'l saggio; 19.129.5 e qualche buon boccon per sé ritiene 19.129.6 e 'n corbona metteva, come saggio; 19.129.7 alcuna volta nella cella andava 19.129.8 e pel cucchiume le botte assaggiava. 19.130.1 E sapea sopra ciò mille malizie: 19.130.2 per casa ciò che truova mal riposto 19.130.3 e' rassettava con sue masserizie 19.130.4 in un fardel che teneva nascosto. 19.130.5 In pochi dì vi fe' cento tristizie, 19.130.6 e più facea, se non partia sì tosto: 19.130.7 contaminò con lusinghe e con prezzi: 19.130.8 ischiave e more e moricini e ghezzi. 19.131.1 A ogni cosa tirava l' aiuolo 19.131.2 e faceva ogni cosa alla moresca. 19.131.3 La notte al capezzal sempre ha l' orciuolo 19.131.4 e pane e carne, in gozziviglia e 'n tresca; 19.131.5 poi rimbeccava un tratto il lusignuolo, 19.131.6 e ritrovava, acciò che il sonno gli esca, 19.131.7 tutti i peccati suoi di grado in grado; 19.131.8 e sempre in mano avea il bicchiere o 'l dado, 19.132.1 o broda che succiava come il ciacco; 19.132.2 poi si cacciava qualche penna in bocca 19.132.3 per vomitar, quando egli ha pieno il sacco; 19.132.4 poi lo rïempe, e poi di nuovo accocca. 19.132.5 Ma finalmente, quand' egli era stracco 19.132.6 e che pel naso la schiuma trabocca, 19.132.7 e' conficcava il capo in sul pimaccio 19.132.8 unto e bisunto come un berlingaccio. 19.133.1 E sapeva di vin come uno arlotto, 19.133.2 ché dé' pensar che n' appiatta Margutte; 19.133.3 e quando egli era ubriaco e ben cotto, 19.133.4 e' cicalava per dodici putte; 19.133.5 poi ribaciava di nuovo il barlotto, 19.133.6 e conta del camin le trame tutte; 19.133.7 e diceva bugie sì smisurate, 19.133.8 che le tre eran sette carrettate. 19.134.1 Or pur Morgante si volea partire, 19.134.2 quantunque Florinetta assai pregassi, 19.134.3 e cominciò con Filomeno a dire 19.134.4 che la licenzia oramai gli donassi, 19.134.5 ché di vedere Orlando ha gran disire. 19.134.6 Subitamente un gran convito fassi, 19.134.7 per dimostrar maggior magnificenzia 19.134.8 al gran Morgante in questa dipartenzia. 19.135.1 E poi ch' egli hanno tutti desinato 19.135.2 e ragionate insieme molte cose, 19.135.3 e la fanciulla a Morgante ha donato 19.135.4 di molte gioie ricche e prezïose, 19.135.5 e molto Filomen l' ha ringraziato; 19.135.6 Morgante come savio anco rispose 19.135.7 che accettava e l' offerte e 'l tesoro, 19.135.8 per ricordarsi, ove e' fussi, di loro. 19.136.1 Margutte, quando udì questa novella, 19.136.2 diceva: «Io voglio andar per qualche ingoffo»; 19.136.3 e tolse uno schidione e la padella, 19.136.4 tinsesi il viso e fecesi ben goffo; 19.136.5 e corre ove sedeva la donzella, 19.136.6 e fece dello 'mpronto e del gaglioffo, 19.136.7 e disse: «Il cuoco anco lui vuol la mancia, 19.136.8 o io ti tignerò tutta la guancia». 19.137.1 Florinetta una gemma ch' avea in testa 19.137.2 gittò nella padella a mano a mano. 19.137.3 Margutte ciuffa, e la mano ebbe presta, 19.137.4 e dice: «Io fo per non parer provàno». 19.137.5 Morgante fatta gli arebbe la festa, 19.137.6 s' avessi avuto qualche cosa in mano, 19.137.7 e vergognossi dell' atto sì brutto, 19.137.8 dicendo: «Tu m' hai pur chiarito in tutto». 19.138.1 Margutte si tornò in cucina tosto, 19.138.2 e cominciò assettare un suo fardello 19.138.3 di ciò ch' aveva rubato e nascosto, 19.138.4 e quel che solea por già in sul camello; 19.138.5 e perché vide Morgante disposto 19.138.6 di dipartirsi, si pensò ancor quello 19.138.7 che fussi da fornirsi drento il seno 19.138.8 di ghiottornie per due giornate almeno; 19.139.1 e mangia e bee ed insacca per due erri, 19.139.2 dicendo: «E' non si truova cotti e' tordi, 19.139.3 quand' io sarò per le selve tra' cerri». 19.139.4 Morgante intanto al partir par s' accordi, 19.139.5 e Florinetta con lui era a' ferri 19.139.6 a pregar sempre di lei si ricordi, 19.139.7 e che tornassi a rivederla presto, 19.139.8 e non si parta che prometta questo. 19.140.1 Morgante rispondea ch' era contento 19.140.2 e in ogni modo per sé tornerebbe, 19.140.3 e fecene ogni giuro e sacramento: 19.140.4 non potre' dir quanto il partir gl' increbbe; 19.140.5 ed abbracciava cento volte e cento 19.140.6 quella fanciulla; e non si crederrebbe 19.140.7 la tenerezza che gli venne al core, 19.140.8 e quanto Filomen gli ha posto amore. 19.141.1 Margutte disse solamente «Addio», 19.141.2 però ch' egli era più cotto che crudo. 19.141.3 Morgante, poi che del castello uscìo, 19.141.4 disse a Margutte: «Assèttati lo scudo, 19.141.5 ch' io vo' sfogarmi, poltoniere e rio, 19.141.6 ché tu se' il cucco mio per certo e 'l drudo! 19.141.7 Può fare Iddio tu sia sì sciagurato? 19.141.8 Tu m' hai chiarito, anzi vituperato. 19.142.1 Tu m' hai pur fatte tutte le vergogne. 19.142.2 Io mi credevo ben tu fussi tristo 19.142.3 e ladro e ghiotto e padre di menzogne, 19.142.4 ma non tanto però quant' io n' ho visto: 19.142.5 tu nascesti tra mitere e tra gogne, 19.142.6 come tra 'l bue e l' asin nacque Cristo». 19.142.7 Margutte gli rispose: «E tra' capresti 19.142.8 e tra le scope: tu non t' apponesti. 19.143.1 Io credevo, Morgante, tu 'l sapessi 19.143.2 ch' io abbi tutti i peccati mortali; 19.143.3 e 'l primo dì, perché mi conoscessi, 19.143.4 tel dissi pure a letter di speziali. 19.143.5 Puo'mi tu altro appor ch' io ti dicessi? 19.143.6 Questi son peccatuzzi venïali: 19.143.7 lascia ch' io vegga da fare un bel tratto 19.143.8 in qualche modo, e chiarirotti affatto». 19.144.1 Morgante finalmente convenia 19.144.2 che in riso e 'n giuoco s' arrechi ogni cosa; 19.144.3 e vanno seguitando la lor via. 19.144.4 Erano un dì per una selva ombrosa, 19.144.5 e perché pure il camino increscìa, 19.144.6 a una fonte Morgante si posa. 19.144.7 Margutte, ch' avea ancor ben pien il sacco, 19.144.8 s' addormentò come affannato e stracco. 19.145.1 Morgante, come lo vede a giacere, 19.145.2 gli stivaletti di gamba gli trasse 19.145.3 ed appiattògli, per aver piacere, 19.145.4 un po' discosto, quando e' si destasse. 19.145.5 Margutte russa, e colui sta a vedere; 19.145.6 poi lo destava, perché e' s' adirasse. 19.145.7 Margutte si rizzò, come e' fu desto, 19.145.8 e degli usatti s' accorgeva presto; 19.146.1 e disse: «Tu se' pur, Morgante, strano: 19.146.2 io veggo che tu m' hai tolti gli usatti, 19.146.3 e fusti sempre mai sconcio e villano». 19.146.4 Disse Morgante: «Apponti ov' io gli ho piatti: 19.146.5 e' son qui intorno poco di lontano: 19.146.6 questo è per mille oltraggi tu m' hai fatti». 19.146.7 Margutte guata, e non gli ritrovava; 19.146.8 e cerca pure, e seco borbottava. 19.147.1 Ridea Morgante sentendo e' si cruccia. 19.147.2 Margutte pure alfin gli ha ritrovati, 19.147.3 e vede che gli ha presi una bertuccia, 19.147.4 e prima se gli ha messi e poi cavati. 19.147.5 Non domandar se le risa gli smuccia, 19.147.6 tanto che gli occhi son tutti gonfiati 19.147.7 e par che gli schizzassin fuor di testa; 19.147.8 e stava pure a veder questa festa. 19.148.1 A poco a poco si fu intabaccato 19.148.2 a questo giuoco, e le risa cresceva, 19.148.3 tanto che 'l petto avea tanto serrato, 19.148.4 che si volea sfibbiar, ma non poteva, 19.148.5 per modo e' gli pare essere impacciato. 19.148.6 Questa bertuccia se gli rimetteva: 19.148.7 allor le risa Margutte raddoppia, 19.148.8 e finalmente per la pena scoppia; 19.149.1 e parve che gli uscissi una bombarda, 19.149.2 tanto fu grande dello scoppio il tuono. 19.149.3 Morgante corse, e di Margutte guarda, 19.149.4 dov' egli aveva sentito quel suono, 19.149.5 e duolsi assai che gli ha fatto la giarda, 19.149.6 perché lo vide in terra in abbandono; 19.149.7 e poi che fu della bertuccia accorto, 19.149.8 vide ch' egli era per le risa morto. 19.150.1 Non poté far che non piangessi allotta, 19.150.2 e parvegli sì sol di lui restare, 19.150.3 ch' ogni sua impresa gli par guasta e rotta; 19.150.4 e cominciò col battaglio a cavare, 19.150.5 e sotterrò Margutte in una grotta, 19.150.6 perché le fiere nol possin mangiare; 19.150.7 e scrisse sopr' un sasso il caso appunto, 19.150.8 come le risa l' avean quivi giunto. 19.151.1 E tolse sol la gemma che gli détte 19.151.2 Florinetta al partir: l' altro fardello 19.151.3 con esso nella fossa insieme mette; 19.151.4 e con gran pianto si partì da quello, 19.151.5 e per più dì come smarrito stette 19.151.6 d' aver perduto un sì caro fratello, 19.151.7 e 'n questo modo ne' boschi lasciarlo, 19.151.8 e non potere a Orlando menarlo. 19.152.1 Ora ècci uno aüttor che dice qui 19.152.2 ch' e' si condusse pur dov' era Orlando, 19.152.3 ma poi da Bambillona si partì 19.152.4 e venne in questo modo capitando: 19.152.5 tanto è, che la sua morte fu così; 19.152.6 di questo ognun s' accorda, ma del quando, 19.152.7 o prima o poi, c' è varie oppinïoni 19.152.8 e molti dubbi e gran disputazioni. 19.153.1 Tanto è, ch' io voglio andar pel solco ritto; 19.153.2 ché in sul Cantar d' Orlando non si truova 19.153.3 di questo fatto di Margutte scritto, 19.153.4 ed ècci aggiunto come cosa nuova: 19.153.5 ch' un certo libro si trovò in Egitto, 19.153.6 che questa storia di Margutte appruova, 19.153.7 e l' aütor si chiama Alfamenonne, 19.153.8 che fece gli Statuti delle donne. 19.154.1 E fu trovato in lingua persïana, 19.154.2 tradutto poi in arabica e 'n caldea; 19.154.3 poi fu recato in lingua sorïana, 19.154.4 e dipoi in lingua greca, e poi in ebrea, 19.154.5 poi nell' antica famosa romana; 19.154.6 finalmente vulgar si riducea: 19.154.7 dunque e' cercò la torre di Nembrotto, 19.154.8 tanto ch' egli è pur fiorentin ridotto. 19.155.1 Quel che e' si sia, e' seppe ogni malizia, 19.155.2 e fu prima cattivo assai che grande, 19.155.3 però ch' e' cominciò da puerizia 19.155.4 a esser vago dell' altrui vivande; 19.155.5 e fece abito sì d' ogni tristizia, 19.155.6 ch' ancor la fama per tutto si spande; 19.155.7 e furon le sue opre e le sue colpe, 19.155.8 non creder lëonine, ma di volpe. 19.156.1 Or lasciam questo con buona ventura, 19.156.2 ché la giustizia ha infin sempre suo loco. 19.156.3 Morgante attraversando una pianura 19.156.4 s' appressa a Bambillona a poco a poco, 19.156.5 tanto che già si scorgevan le mura; 19.156.6 ed arde tutto, come il zolfo al foco, 19.156.7 della gran voglia di vedere Orlando, 19.156.8 che non credea già mai trovare il quando. 19.157.1 Era già presso al campo a poche miglia, 19.157.2 e fu veduto questo compagnone 19.157.3 come un alber di nave di caviglia, 19.157.4 e dava a tutto il campo ammirazione. 19.157.5 Ma quando Orlando vi volse le ciglia 19.157.6 «Questo è Morgante, per lo dio Macone! 19.157.7 se ben le membra di questo ragguaglio», 19.157.8 dicea fra sé «ch' io conosco il battaglio». 19.158.1 Fecesi presto menar Vegliantino, 19.158.2 e nondimen la lancia tolse in mano, 19.158.3 che non fussi gigante saracino, 19.158.4 perché la vista inganna di lontano. 19.158.5 Morgante, come vide il paladino, 19.158.6 gli fece il cenno usato a mano a mano; 19.158.7 gittò il battaglio cento braccia in alto, 19.158.8 poi lo riprese in aria con un salto. 19.159.1 E come al conte Orlando fu più presso, 19.159.2 subitamente ginocchione è posto. 19.159.3 Orlando smonta e 'ncontro ne va a esso, 19.159.4 e cominciò le braccia aprir discosto, 19.159.5 che si conosce un grande amore espresso, 19.159.6 e disse: «Lieva, Morgante, su tosto»; 19.159.7 e missegli le braccia strette al collo 19.159.8 e mille volte e poi mille baciollo. 19.160.1 Non si saziava a Morgante far festa, 19.160.2 tanto che 'l collo ancor non abbandona, 19.160.3 dicendo: «Che ventura è stata questa? 19.160.4 Morgante, poi che c' è la tua persona, 19.160.5 io non temo più scogli né tempesta: 19.160.6 le mura triemon già di Bambillona, 19.160.7 anzi tremare il ciel sento e la terra, 19.160.8 tanto ch' omai terminata è la guerra. 19.161.1 Io non farei con Alessandro Magno, 19.161.2 con Cesar, con Anibal, con Marcello, 19.161.3 o patti o pace o triegua con guadagno, 19.161.4 da poi che tu se' qui, caro fratello; 19.161.5 ch' io pur non ebbi mai miglior compagno: 19.161.6 io crederrei con te pigliar Babello, 19.161.7 e Troia un' altra volta, e Roma antica. 19.161.8 Or vo' che mille cose oggi mi dica. 19.162.1 Che è d' Astolfo mio, d' Arnaldo, Uggieri, 19.162.2 d' Angiolin di Baiona e del mio Namo 19.162.3 e del mio caro e gentil Berlinghieri? 19.162.4 Che è di Salamon mio, ch' io tanto amo? 19.162.5 Che è d' Ottone, Avolio, Avin, Gualtieri? 19.162.6 Che è de' miei fratei che noi lasciamo, 19.162.7 Guicciardo con Alardo, a Montalbano? 19.162.8 Che è di quel traditor del conte Gano? 19.163.1 Quanto è che tu ti partisti da Carlo? 19.163.2 Dimmi se Gano è tornato a Parigi, 19.163.3 e s' egli attende, al modo usato, a farlo 19.163.4 seguire i suoi consigli e' suoi vestigi, 19.163.5 tanto che possi alla mazza guidarlo. 19.163.6 Ha fatto l' arte il nostro Malagigi 19.163.7 a questi tempi, e detto dov' io sia, 19.163.8 e come io abbi qua gran signoria, 19.164.1 e come Persia ho presa e l' amostante, 19.164.2 dopo pur molta fatica ed affanno?». 19.164.3 Allor si rizza e risponde Morgante 19.164.4 che Carlo e' paladin ben tutti stanno; 19.164.5 e Malagigi, come negromante, 19.164.6 detto gli avea come le cose vanno; 19.164.7 e che Gano era scacciato e in essilio, 19.164.8 ché Carlo nol vuol più nel suo concilio; 19.165.1 e come la figliuola del Soldano, 19.165.2 che si chiamava la famosa Antea, 19.165.3 si stava con Guicciardo a Montalbano, 19.165.4 e grande onore il popol gli facea; 19.165.5 e quel ch' ella avea fatto fare a Gano, 19.165.6 della qual cosa Orlando si ridea. 19.165.7 E così inverso il padiglione andorno, 19.165.8 e molte cose ragionaro il giorno. 19.166.1 Quivi Rinaldo, Ulivier, Ricciardetto 19.166.2 abbraccian tutti Morgante lor caro. 19.166.3 Morgante nuove di Francia ha lor detto; 19.166.4 poi di Margutte molto ragionaro, 19.166.5 come e' morì ridendo, il poveretto, 19.166.6 e come insieme pria s' accompagnaro; 19.166.7 e conta d' ogni sua piacevolezza, 19.166.8 e lacrimava ancor di tenerezza. 19.167.1 Quivi fecion consiglio di pigliare 19.167.2 la città, poi che Morgante è venuto. 19.167.3 Comincion la battaglia apparecchiare, 19.167.4 ed ogni cosa che fanno è veduto: 19.167.5 que' della terra cominciono armare 19.167.6 le mura ed ordinar quel ch' è dovuto; 19.167.7 e cominciossi una fiera battaglia, 19.167.8 e per due ore durò la puntaglia. 19.168.1 Morgante pur verso la porta andava, 19.168.2 ch' era tutta di ferro e molto forte; 19.168.3 e' saracini ognun forte gittava 19.168.4 e sassi e dardi per dargli la morte; 19.168.5 ma 'l fer gigante tanto s' accostava, 19.168.6 che col battaglio bussava le porte; 19.168.7 ma non poteva spezzarle a gnun modo, 19.168.8 benché questo battaglio è duro e sodo. 19.169.1 Più e più volte percuote e martella; 19.169.2 ma poi che vide che poco valeva, 19.169.3 e' s' appiccava a una campanella 19.169.4 e con gran forza la porta scoteva. 19.169.5 Ma i sassi gl' intronavan le cervella, 19.169.6 che in sul cappel di sopra gli pioveva, 19.169.7 e sente or questo, or quell' altro percuotere: 19.169.8 allor più forte cominciava a scuotere. 19.170.1 Era una torre di mura sì grossa 19.170.2 sopra la porta, ch' un gran pezzo resse; 19.170.3 ma quando e' dava Morgante una scossa, 19.170.4 non è tremuoto che tanto scotesse, 19.170.5 tanto che l' ha tutta intronata e mossa; 19.170.6 e finalmente in più parte si fésse, 19.170.7 ch' era tenuta cosa inespugnabile; 19.170.8 e parve a tutti sua forza mirabile. 19.171.1 Orlando stupefatto era a vedello 19.171.2 alcuna volta sue forze raccôrre, 19.171.3 ch' arebbe fatto cader Mongibello; 19.171.4 e détte un tratto una scossa alla torre, 19.171.5 che mai Sanson non la diè come quello; 19.171.6 e 'l campo tutto a veder questo corre; 19.171.7 e félla rovinar giù d' alto in basso, 19.171.8 né mai non si sentì sì gran fracasso; 19.172.1 e 'l polverio n' andò insino alle stelle. 19.172.2 Morgante colla porta si copria 19.172.3 come si fa con palvesi o rotelle, 19.172.4 che' sassi non gli faccin villania. 19.172.5 Quelle gente di sopra meschinelle, 19.172.6 chi morto, chi percosso si vedia, 19.172.7 chi rotto il braccio e chi il teschio avea aperto 19.172.8 e chi da' calcinacci è ricoperto; 19.173.1 chi mostra il piè scoperto e chi gambetta, 19.173.2 chi colle gambe all' erta è sotterrato, 19.173.3 chi ha tra sasso e sasso qualche stretta 19.173.4 avuto, e come morto è rovesciato, 19.173.5 chi 'l sangue fuor per gli occhi e 'l naso getta, 19.173.6 chi zoppo resta, chi monco e sciancato: 19.173.7 era a veder sotto questa rovina 19.173.8 morti costor come una gelatina. 19.174.1 I terrazzan che difendon le mura, 19.174.2 maravigliati fuggon tutti quanti, 19.174.3 e paion tutti morti di paura. 19.174.4 Nostri cristian si fecion tutti avanti. 19.174.5 Ognun dicea: «Può far questo natura?». 19.174.6 Morgante non si muta ne' sembianti, 19.174.7 e perché e' fussi la strada spedita, 19.174.8 certi canton col suo battaglio trita; 19.175.1 e grida al conte Orlando: «Andianne drento! 19.175.2 Seguite me, non abbiate sospetto, 19.175.3 ché Bambillona è nostra a salvamento, 19.175.4 per onta e disonor di Macometto». 19.175.5 I saracin fuggìen pien di spavento 19.175.6 dinanzi a quel dïavol maladetto; 19.175.7 Orlando e tutti gli altri drento entrorno, 19.175.8 e tutti inverso la piazza n' andorno. 19.176.1 Era all' entrare un gran borgo di case 19.176.2 (vero è che tutte son di terra e d' asse): 19.176.3 di queste ignuna non ve ne rimase, 19.176.4 che 'l gran Morgante non le fracassasse. 19.176.5 Or pensa a quanti le zucche abbi rase, 19.176.6 prima che tante case rovinasse! 19.176.7 Di qua, di là la mazza mena tonda; 19.176.8 dovunque e' passa, ogni cosa rimonda. 19.177.1 I cittadini alfin s' accordâr tutti 19.177.2 che piglin la città sanza contesa, 19.177.3 pur che non sien da Morgante distrutti: 19.177.4 e così resta Bambillona presa, 19.177.5 e fu posto silenzio a molti lutti, 19.177.6 però ch' egli era già la fiamma accesa, 19.177.7 e stavano i pagani a veder poco 19.177.8 che col battaglio morieno e col fuoco. 19.178.1 Orlando nel palazzo fu menato 19.178.2 e posto in una sedia a grande onore, 19.178.3 e quivi al modo lor fu coronato 19.178.4 di Bambillona e Soldano e signore; 19.178.5 e molto il Veglio suo ebbe onorato, 19.178.6 però che gli portava troppo amore, 19.178.7 e fecel grande arcaito in Soria, 19.178.8 e governava lui la signoria. 19.179.1 Un dì ch' a spasso per la terra vanno, 19.179.2 era salito in su 'n un torrïone, 19.179.3 come è usanza, un buon talacimanno. 19.179.4 Disse Morgante: «Udite il corbacchione 19.179.5 che serra l' uscio ricevuto il danno, 19.179.6 e viene a ringraziar testé Macone! 19.179.7 Non domandate come io mi colleppolo 19.179.8 di farlo venir giù sanza saeppolo». 19.180.1 E detto questo, il battaglio gittava, 19.180.2 e pose appunto la mira alla testa, 19.180.3 e pure il corbacchion lassù gridava: 19.180.4 ecco il battaglio con molta tempesta, 19.180.5 che 'l capo inverso gli orecchi pigliava, 19.180.6 come Morgante disegnòe, a sesta, 19.180.7 e mentre che gridava, gliele schiaccia, 19.180.8 e portollo alto più di cento braccia. 19.181.1 Or lasciam questi in Bambillona stare, 19.181.2 e ritorniamo un poco a Monte Albano, 19.181.3 dov' era Antea, c' ha fatto imprigionare, 19.181.4 come in altri cantar dicemo, Gano. 19.181.5 Ma per poter meglio il dir seguitare, 19.181.6 preghiamo il Ciel ci tenga la sua mano, 19.181.7 e diren tutto nel cantar futuro. 19.181.8 Guardivi il figlio di Gioseppo puro.
CANTO XX
20.1.1 «Magnifica il Signor l' anima mia, 20.1.2 e rallegrato è nella sua salute 20.1.3 lo spirto di quel ben ch' ognun disia; 20.1.4 perché E' conobbe tra le mie virtute 20.1.5 l' umiltà di sua ancilla giusta e pia, 20.1.6 etternalmente da Lui prevedute». 20.1.7 Così come in te fu sempre umiltade, 20.1.8 aiuta or me per tua somma pietade. 20.2.1 Era tanto la mente mia legata 20.2.2 dal bel cantar dinanzi, ch' io trascorsi 20.2.3 alquanto fuor della via prima usata; 20.2.4 or dello error commesso mi rimorsi. 20.2.5 Torno a laudar te, Virgine beata, 20.2.6 colla cui grazia sol la penna porsi 20.2.7 a questa storia, e tu m' aiuterai, 20.2.8 e 'nsino al fin non m' abbandonerai. 20.3.1 Gano scriveva un giorno a Malagigi 20.3.2 che prieghi Antea che debba liberarlo; 20.3.3 ché sa che più tornar non può a Parigi, 20.3.4 però che sbandeggiato era da Carlo; 20.3.5 e che Rinaldo è in guerra e in gran litigi, 20.3.6 e grande amor lo sforza ire aiutarlo, 20.3.7 e se dovessi lasciar ben la pelle, 20.3.8 gli arrecherà di lui buone novelle. 20.4.1 Malgigi poi che la lettera lesse, 20.4.2 la stracciò prima, e beffe ne facea; 20.4.3 poi gl' increbbe che in carcer tanto stesse; 20.4.4 e finalmente un dì pregava Antea 20.4.5 che Ganellon liberar gli piacesse, 20.4.6 e per suo amore Antea gliel concedea; 20.4.7 e così Gan di prigion fu cavato 20.4.8 e 'nverso Pagania presto n' è andato. 20.5.1 Va discorrendo per molti paesi 20.5.2 e cerca pur d' Orlando investigare. 20.5.3 Orlando e tutti gli altri erano attesi 20.5.4 di Spinellone il corpo a onorare; 20.5.5 e rimandato l' ha con ricchi arnesi 20.5.6 nella sua patria, e fatto imbalsimare; 20.5.7 e da quattro destrier bianchi è portato 20.5.8 alla sorella, ov' egli era aspettato. 20.6.1 E 'l re Gostanzo ha fatto similmente, 20.6.2 ché si ricorda de' suoi benifìci; 20.6.3 ed onorata tutta la sua gente, 20.6.4 e dato a chi volea di loro ufici. 20.6.5 In questo mezzo il traditor dolente, 20.6.6 ch' era il padre di tutti i malifìci, 20.6.7 per tutta Pagania ne va cercando; 20.6.8 ma non poteva ancor trovare Orlando. 20.7.1 Piangendo va la sua disavventura 20.7.2 per molti mesi e per paesi strani. 20.7.3 Entrato un dì per una valle scura, 20.7.4 quivi trovò certi pastor pagani, 20.7.5 che si doleano d' una lor sciagura, 20.7.6 perch' eran sassinati come cani, 20.7.7 rubati a forza da un gran pastore, 20.7.8 ch' era tra lor quasi fatto signore. 20.8.1 Gan domandò chi questo pastor sia; 20.8.2 e' gli risposon: «Un ch' è sì arricchito, 20.8.3 che ci fa spesso mala compagnia: 20.8.4 perch' un cristian fu già da lui tradito, 20.8.5 e tolsegli un caval, quando e' dormia, 20.8.6 poi lo vendé; dond' egli è insuperbito, 20.8.7 ché ne toccò dal mastro giustiziere 20.8.8 tanto, che sempre potrà ben godere. 20.9.1 E 'l cavallo era d' un certo Rinaldo 20.9.2 de' paladin di Francia del re Carlo: 20.9.3 e' lo 'nvitò a mangiar, questo ribaldo, 20.9.4 e non si vergognò poi di rubarlo; 20.9.5 per questo egli è di que' danari or caldo, 20.9.6 che si vorre' altrettanto comperarlo 20.9.7 per impiccarlo poi». Gano ascoltava, 20.9.8 e domandò dove il pastore stava. 20.10.1 E' gli mostrorno ove abitava questo. 20.10.2 Diceva Gan: «Con meco ne verrete. 20.10.3 Non si potrebbe trovare un capresto? 20.10.4 ch' io vo' impiccarlo, e voi m' aiuterete». 20.10.5 Un de' pastor gli rispondeva presto: 20.10.6 «Noi torrem la maestra della rete». 20.10.7 E finalmente trovorno il pastore: 20.10.8 Gan lo minaccia e chiama il traditore. 20.11.1 Dicea il pastor: «Traditor non fu' mai: 20.11.2 sarei io forse mai Gan di Maganza? 20.11.3 Che t' ho io fatto o chi cercando vai? 20.11.4 Non è d' ignun de' miei tradire usanza». 20.11.5 Rispose Ganellon: «Tu lo vedrai, 20.11.6 poi che tu parli con tanta arroganza: 20.11.7 tu se' colui che rubasti il cavallo; 20.11.8 pertanto io ti farò caro costallo. 20.12.1 Tu lo vendesti al mastro giustiziere». 20.12.2 Disse il pastor: «Cotesto non si nega; 20.12.3 io l' allevai puledro quel corsiere»; 20.12.4 e 'l me' che sa le sue ragione allega. 20.12.5 Gan finalmente lo fece tenere 20.12.6 da due pastori e 'l capresto gli lega, 20.12.7 e sopra un alto sughero impiccollo 20.12.8 e lascial quivi appiccato pel collo. 20.13.1 Détte di piede al suo Mattafellone 20.13.2 e ritornossi in su la mastra strada. 20.13.3 Trovò certi giganti in un vallone, 20.13.4 e vollongli la man porre alla spada. 20.13.5 Gan si scostò. Diceva un compagnone: 20.13.6 «Noi vorremo saper dove tu vada, 20.13.7 e se tu se' saracino o cristiano»; 20.13.8 tanto che 'l nome suo disse allor Gano. 20.14.1 Un di questi giganti gli rispose: 20.14.2 «Tu suogli essere il fior de' traditori; 20.14.3 tu hai già fatte tante laide cose, 20.14.4 che fia mercé punirti de' tuoi errori». 20.14.5 Gan presto la sua lancia in resta pose, 20.14.6 e per disdegno par che si rincuori: 20.14.7 e 'l primo de' giganti ch' egli afferra, 20.14.8 lo traboccava morto in su la terra. 20.15.1 Gli altri gli son co' mazzafrusti addosso; 20.15.2 Gan con la spada da lor si difende, 20.15.3 e taglia a uno il naso insino all' osso. 20.15.4 Ma intanto l' altro di drieto lo prende, 20.15.5 e finalmente dell' arcion l' ha mosso, 20.15.6 tanto che Gan per forza se gli arrende; 20.15.7 e portalo di peso in un palagio, 20.15.8 per istraziarlo a lor modo per agio; 20.16.1 e dicean tutti: «S' tu vuoi dire il vero, 20.16.2 Rinaldo qua ti manda per ispia; 20.16.3 ma non è rïuscito il suo pensiero. 20.16.4 Noi vogliamo or saper dove quel sia; 20.16.5 perché, passando per questo sentiero, 20.16.6 a un nostro fratel fe' villania 20.16.7 ed ammazzollo per uno stran modo: 20.16.8 ma d' ogni cosa pagherai tu il frodo». 20.17.1 Ganellon, ch' era malizioso e tristo, 20.17.2 diceva: «Io son suo capital nimico, 20.17.3 ed è gran tempo già ch' io non l' ho visto. 20.17.4 Di Carlo ha fatto ch' io non sia più amico. 20.17.5 Io lo perseguo come Pagol Cristo, 20.17.6 però che 'l nostro sdegno è molto antico. 20.17.7 Dunque io mi dolgo se t' ha fatto torto, 20.17.8 e molto più del tuo fratel ch' i' ho morto; 20.18.1 ma ciò ch' uom fa per difender la vita 20.18.2 è lecito e d' averne discrezione: 20.18.3 perch' io mi vidi la strada impedita, 20.18.4 io feci solo per mia difensione». 20.18.5 E sì bene ebbe questa tela ordita, 20.18.6 che gli mutò di loro oppinïone; 20.18.7 ed accordârsi di conducer quello 20.18.8 dove era la lor madre, in un castello. 20.19.1 Era chiamata la madre Creonta; 20.19.2 e Ganellone innanzi gli è menato, 20.19.3 e ciò ch' è stato ogni cosa si conta, 20.19.4 e com' egli abbi il figliuolo ammazzato. 20.19.5 E mentre ch' ogni cosa si raffronta, 20.19.6 èvvi un pastore a caso capitato, 20.19.7 quel che provide sì tosto al capresto; 20.19.8 e riconobbe ben chi fussi questo. 20.20.1 Quand' egli ha inteso ciò che si ragiona, 20.20.2 che Ganellone in carcer fussi messo, 20.20.3 sapeva come Orlando è in Bambillona, 20.20.4 ed accostossi quanto poté appresso 20.20.5 e disse: «Io vo' camparti la persona: 20.20.6 sappi ch' Orlando è in Bambillona; adesso 20.20.7 io vo a trovarlo e sarò presto seco; 20.20.8 e son colui che impiccai colui teco». 20.21.1 Gan fece vista non l' avere inteso, 20.21.2 per che del suo parlar nessun s' accorse; 20.21.3 e fu menato alla prigion di peso, 20.21.4 perché la donna era rimasa in forse 20.21.5 d' ucciderlo o tenerlo così preso. 20.21.6 Questo pastor la notte e 'l giorno corse, 20.21.7 tanto ch' a Bambillona trovò Orlando, 20.21.8 e del suo Ganellon gli vien contando; 20.22.1 e dice con Rinaldo: «Egli è dovuto, 20.22.2 al mio parer, tu cerchi d' aiutallo, 20.22.3 ché per mio mezzo alle man gli è venuto 20.22.4 colui che ti rubò già il tuo cavallo; 20.22.5 e per tuo amore anch' io gli détti aiuto 20.22.6 e con lui insieme mi trovai a 'mpiccallo; 20.22.7 e di questi giganti n' ha morto uno, 20.22.8 che son pur tuoi nimici, e sallo ognuno. 20.23.1 Per molte vie qui la ragion vi chiama 20.23.2 di non dover costui lasciar morire; 20.23.3 ché pare un cavalier di molta fama 20.23.4 ed ha mostrato d' aver grande ardire». 20.23.5 Dunque il pastor bene ordina la trama, 20.23.6 benché e' sia uso gli armenti a servire 20.23.7 e star co' tori e co' porci in pastura, 20.23.8 ché tôr non puossi quel che dà natura. 20.24.1 E molto piacque il suo dire a' baroni, 20.24.2 e feciongli accoglienza grata e festa 20.24.3 e déttongli cavallo ed altri doni, 20.24.4 massimamente una leggiadra vesta; 20.24.5 e disson che tornassi a' suoi stazzoni 20.24.6 a dir che la brigata fia là presta, 20.24.7 e confortassi da lor parte Gano, 20.24.8 che presto sare' liber, lieto e sano. 20.25.1 Fecion costoro insieme parlamento 20.25.2 che si dovessi pur Gano aiutare; 20.25.3 e la città tutta ordinoron drento, 20.25.4 chi si dovessi a governo lasciare; 20.25.5 poi furon a cavallo in un momento, 20.25.6 e parve loro il meglio andar per mare; 20.25.7 e vannosene inverso la marina, 20.25.8 e 'l gran Morgante alle staffe cammina. 20.26.1 E portano un lïon nel campo nero 20.26.2 nello stendardo e in ogni loro arnese: 20.26.3 questo fu di Rinaldo un suo pensiero, 20.26.4 per esser là all' usanza del paese. 20.26.5 Arrivorno a un porto forestiero: 20.26.6 èvvi una nave stata forse un mese, 20.26.7 che non voleva in mar mettersi drento 20.26.8 perché 'l nocchier, ch' è savio, aspetta il vento. 20.27.1 L' un de' padron si chiamava Scirocco, 20.27.2 e l' altro Greco, di buona dottrina: 20.27.3 questo era tanto dolce ch' egli è sciocco; 20.27.4 quell' altro è tristo e di mala cucina. 20.27.5 Rinaldo a quel ch' è tristo dava un tocco: 20.27.6 «Lievaci tosto, e pàgati e cammina». 20.27.7 Costui levare non gli vuol per niente, 20.27.8 dicendo: «Il tempo reo non lo consente». 20.28.1 E poi salvum me facche vuol far, prima 20.28.2 ch' egli entrin drento, insino a un quattrino. 20.28.3 Morgante gli risponde per la rima: 20.28.4 «Io metterò la nave e te a bottino». 20.28.5 Questo Scirocco non ne facea stima; 20.28.6 ma 'l buono e 'l bel come Pagol Benino, 20.28.7 disse a Scirocco: «Di levargli è buono, 20.28.8 ch' io so che cavalier discreti sono». 20.29.1 Morgante fu per traboccar la nave 20.29.2 quando il piè pose all' una delle bande, 20.29.3 tanto era smisurato e sconcio e grave. 20.29.4 Disse Scirocco: «Tu se' tanto grande, 20.29.5 che non ti sosterrebbe dieci trave». 20.29.6 Disse Morgante: «Aspetta alle vivande: 20.29.7 che dirai tu, se tu mi vedi a scotto? 20.29.8 E' converrà che ci sia del biscotto». 20.30.1 Come il sol sotto all' occeàn si cela 20.30.2 parve a Scirocco che buon vento sia; 20.30.3 e finalmente la nave fe' vela, 20.30.4 e Greco intanto comanda la via. 20.30.5 Lucea la luna come una candela, 20.30.6 un nugoluzzo sol non si vedia: 20.30.7 con gran diletto quella notte vanno, 20.30.8 ché del futuro, miseri, non sanno. 20.31.1 L' altra mattina il vento traditore 20.31.2 salta in un punto alla nave per prua: 20.31.3 caricon l' orza con molto furore 20.31.4 e vanno volteggiando un' ora o dua. 20.31.5 Il vento cresce e ripiglia vigore, 20.31.6 e 'l mar comincia a mostrar l' ira sua; 20.31.7 cominciano apparir baleni e gruppi, 20.31.8 e par che l' aria e 'l ciel si ravviluppi; 20.32.1 e 'l mar pur gonfia e coll' onde rinnalza, 20.32.2 e spesso l' una coll' altra s' intoppa, 20.32.3 tanto che l' acqua in coverta su balza, 20.32.4 ed or saltava da prora, or da poppa: 20.32.5 la nave è vecchia, e pur l' onda la scalza, 20.32.6 tal che comincia a uscirne la stoppa; 20.32.7 le grida e 'l mare, ogni cosa rimbomba; 20.32.8 Morgante aggotta, ed ha tolta la tromba. 20.33.1 I marinai chi qua chi là si scaglia, 20.33.2 però che tempo non è da star fermo. 20.33.3 Mentre che 'l legno in tal modo travaglia, 20.33.4 e' cristian forte chiamavan sant' Ermo, 20.33.5 pregando tutti che 'l priego lor vaglia, 20.33.6 che debba alla tempesta essere schermo; 20.33.7 ma santo né dïavol non accenna, 20.33.8 e 'n questo l' arbor si fiacca e l' antenna. 20.34.1 Gridò Scirocco: «Aiutaci, Macone!» 20.34.2 ed albera l' antenna di rispetto 20.34.3 ed a mezza aste una cocchina pone, 20.34.4 e per antenna è l' alber del trinchetto. 20.34.5 Intanto un colpo ne porta il timone, 20.34.6 e quel ch' osserva percuote nel petto, 20.34.7 tanto ch' egli ha la nave abbandonata, 20.34.8 e pòrtal morto via la mareggiata. 20.35.1 Non si può più la cocchina tenere, 20.35.2 ch' un altro gruppo ogni cosa fracassa 20.35.3 e la mezzana ne porta giù a bere, 20.35.4 bench' ella fussi temperata bassa. 20.35.5 Subito misson per poppa due spere; 20.35.6 e 'l mar pur sempre disopra su passa, 20.35.7 e non s' osserva del nocchier più il fischio, 20.35.8 come avvien sempre in uno estremo rischio. 20.36.1 Era cosa crudel vedere il mare: 20.36.2 alzava spesso ch' un monte parea 20.36.3 che si volessi a' nugoli agguagliare; 20.36.4 la nave ritta levar si vedea, 20.36.5 e poi sott' acqua la prora ficcare; 20.36.6 talvolta un' onda sì forte scotea, 20.36.7 che sgretolar si sentia la carena; 20.36.8 e cigola e sospira per la pena. 20.37.1 Com' uno infermo si rammaricava; 20.37.2 e 'l mar pur rugghia, e' dalfin si vediéno 20.37.3 ch' alcun talvolta la schiena mostrava, 20.37.4 e tutto il prato di pecore è pieno. 20.37.5 Morgante pur colla tromba aggottava, 20.37.6 e non temeva né tuon né baleno, 20.37.7 e non si vuol per nulla al mare arrendere, 20.37.8 ché non credea che 'l ciel lo possi offendere. 20.38.1 Orlando s' era in terra inginocchiato; 20.38.2 Rinaldo ed Ulivier piangevon forte; 20.38.3 il Veglio e Ricciardetto s' è botato 20.38.4 che, se scampar potran sì crudel sorte, 20.38.5 ognun presto al Sepolcro ne fia andato, 20.38.6 e stavano in cagnesco colla morte; 20.38.7 ma non valeva ancor prieghi né voti, 20.38.8 tanto il mar par che la nave percuoti. 20.39.1 Sentì Scirocco «Virgine Maria» 20.39.2 un tratto ricordare a giunte mani; 20.39.3 e disse a Greco una gran villania, 20.39.4 dicendo: «Adunque questi son cristiani! 20.39.5 Però non va questa tempesta via 20.39.6 mentre che ci saran su questi cani: 20.39.7 questo miracol sol Macon ci mostra 20.39.8 per dimostrarci la ignoranza nostra». 20.40.1 Non domandar, quando e' l' udì Rinaldo, 20.40.2 se gli montò su al naso il moscherino; 20.40.3 e preselo, dicendo: «Sta qui saldo: 20.40.4 vedren chi può più, Cristo o Apollino 20.40.5 o Macometto, pezzo di rubaldo! 20.40.6 Tu déi saper notar come un dalfino: 20.40.7 o da te stesso fuor della nave esci, 20.40.8 o io ti gitterò nel mare a' pesci». 20.41.1 Disse Scirocco: «Questa nave è mia». 20.41.2 Disse Morgante a Rinaldo: «Ch' aspetti? 20.41.3 Costui si vuol cavargli la pazzia: 20.41.4 io il gitterò ben io, se tu nol getti». 20.41.5 Rinaldo gli montò la bizzarria, 20.41.6 e déttegli nel capo due puccetti 20.41.7 e fecelo balzar di netto in mare; 20.41.8 e la tempesta cominciò a quetare. 20.42.1 Non vi fu marinaio né ignun ch' ardisse 20.42.2 volger verso Rinaldo sol la faccia; 20.42.3 e per paura il mar parve ubbidisse, 20.42.4 perché in un tratto si fece bonaccia. 20.42.5 Morgante a prua dal trinchetto si misse 20.42.6 e fece come antenna delle braccia 20.42.7 ed appiccovvi la spazzacoverta; 20.42.8 ed è sì forte che la tiene aperta. 20.43.1 Greco ridea quando e' vedeva questo, 20.43.2 e tosto inverso la prua se ne venne, 20.43.3 ed acconciò se nulla v' è di resto; 20.43.4 e dice: «Qui non bisogna altre antenne; 20.43.5 e forse tu non fai il servigio lesto?». 20.43.6 Né anco Orlando le risa sostenne, 20.43.7 e dice: «Porti chi vuol per rispetto, 20.43.8 ché c' è l' antenna e l' arbor del trinchetto. 20.44.1 Dove è Morgante non si può perire». 20.44.2 Morgante tanto la vela portòe 20.44.3 (e 'l vento è buon, ché voleva servire), 20.44.4 che finalmente la nave guidòe 20.44.5 tanto che 'l porto comincia apparire 20.44.6 (vero è ch' alcuna volta si posòe); 20.44.7 e son tutti condotti a salvamento, 20.44.8 perch' era poco mare e fresco vento. 20.45.1 Ma la Fortuna, che è troppo invidiosa, 20.45.2 fece che, mentre che Morgante mena 20.45.3 a salvamento il legno ed ogni cosa, 20.45.4 subito si scoperse una balena; 20.45.5 e viene verso la nave furiosa 20.45.6 e cominciò a levarla con la schiena; 20.45.7 e finalmente l' are' traboccata, 20.45.8 se non l' avessi Morgante ammazzata. 20.46.1 Eravi alcun che bombarde gli scocca, 20.46.2 ma non potevon da lei ripararsi. 20.46.3 Greco diceva: «La nave trabocca, 20.46.4 e credo che' rimedi fìeno scarsi». 20.46.5 E pur la bestia una scossa raccocca, 20.46.6 tanto che più non sapevon che farsi, 20.46.7 perché la nave levava su alta; 20.46.8 se non ch' addosso Morgante gli salta; 20.47.1 e perch' egli era molto presso al porto 20.47.2 diceva: «Poi che la nave ho condotta 20.47.3 insino a qui, s' i' restassi ben morto, 20.47.4 io non intendo che la sia qui rotta». 20.47.5 Allor Rinaldo il battaglio gli ha pòrto; 20.47.6 Morgante su per la schiena gli trotta, 20.47.7 e col battaglio gli dà in su la testa, 20.47.8 ed ogni volta la 'ncartava a sesta; 20.48.1 e tanto e tanto in sul capo percosse, 20.48.2 che gliel' ha tutto sfracellato e trito; 20.48.3 donde la bestia di quivi si mosse, 20.48.4 e come un barbio boccheggia stordito 20.48.5 e morta si rovescia in poche scosse. 20.48.6 Morgante prese per miglior partito 20.48.7 saltar nell' acqua ed irsene alla riva, 20.48.8 però che l' acqua non lo ricopriva. 20.49.1 Greco surgeva e varava la barca; 20.49.2 Orlando lo pagò cortesemente, 20.49.3 tanto che Greco non se ne ramarca; 20.49.4 e ritornossi indrieto prestamente, 20.49.5 fra pochi giorni, d' altre merce carca 20.49.6 la nave. Intanto Morgante possente 20.49.7 a poco a poco alla riva s' appressa, 20.49.8 tanto che' pesci non gli fan più ressa. 20.50.1 Ma non potea fuggir suo reo distino: 20.50.2 e' si scalzò, quando uccise il gran pesce; 20.50.3 era presso alla riva un granchiolino, 20.50.4 e morsegli il tallon; costui fuori esce: 20.50.5 vede che stato era un granchio marino; 20.50.6 non se ne cura; e questo duol pur cresce; 20.50.7 e cominciava con Orlando a ridere, 20.50.8 dicendo: «Un granchio m' ha voluto uccidere. 20.51.1 Forse volea vendicar la balena, 20.51.2 tanto ch' io ebbi una vecchia paura». 20.51.3 Guarda dove Fortuna costui mena! 20.51.4 Rimmollasi più volte, e non si cura; 20.51.5 ed ogni giorno cresceva la pena, 20.51.6 perché la corda del nervo s' indura; 20.51.7 e tanta doglia e spasimo v' accolse, 20.51.8 che questo granchio la vita gli tolse. 20.52.1 E così morto è il possente gigante; 20.52.2 e tanto al conte Orlando n' è incresciuto, 20.52.3 che non facea se non pianger Morgante; 20.52.4 e dice con Rinaldo: «Hai tu veduto 20.52.5 costui, c' ha fatto tremar già Levante? 20.52.6 Aresti tu però già mai creduto 20.52.7 che così strano il fin fussi e sì subito?». 20.52.8 Dicea Rinaldo: «Io stesso ancor ne dubito. 20.53.1 E' mi ricorda, sendo a Montalbano, 20.53.2 quel dì che noi vincemo Erminïone, 20.53.3 che fece cose col battaglio in mano 20.53.4 ch' erono al tutto fuor d' ogni ragione. 20.53.5 Di Manfredonio sai ch' ancor ridiàno, 20.53.6 quando e' v' andò per rïaver Dodone, 20.53.7 e che ravvolse Manfredonio e quello 20.53.8 nel padiglion, che parve un fegatello. 20.54.1 E 'l dì che difendea Meredïana, 20.54.2 gli vidi tanta gente intorno morta, 20.54.3 che non fu cosa, al mio parere, umana. 20.54.4 Ma dimmi, a Bambillona, a quella porta 20.54.5 vedes' tu mai però cosa sì strana? 20.54.6 Pensavi tu sua vita così corta? 20.54.7 E' mi fe' ricordar quel dì di Giove, 20.54.8 quando i giganti fêr l' antiche pruove; 20.55.1 e dissi: "Certo, se Morgante v' era, 20.55.2 tu ti staresti ancor, Giove, in Egitto 20.55.3 con Bacco, trasformato in qualche fiera, 20.55.4 ché costui certo t' arebbe sconfitto!". 20.55.5 Ma non sarà tenuta cosa vera 20.55.6 da chi lo troverrà in futuro scritto; 20.55.7 ché io che 'l vidi non lo credo appena, 20.55.8 di questo, né d' uccider la balena. 20.56.1 Che maladetto sia tanta sciagura! 20.56.2 O vita nostra debole e fallace!». 20.56.3 Così piangean la sua disavventura; 20.56.4 ma sopra tutto a Orlando dispiace; 20.56.5 ed ordinò di dargli sepultura 20.56.6 ché spera che nel Ciel l' alma abbi pace, 20.56.7 e terminò mandarlo a Bambillona, 20.56.8 ma prima imbalsimar la sua persona. 20.57.1 Ed ebbe tanto mezzo coll' ostiere, 20.57.2 dove e' si son più giorni riposati, 20.57.3 ch' e' gli faceva del balsimo avere; 20.57.4 ed ha tutti i suoi membri imbalsimati; 20.57.5 e fecelo segreto a quel tenere 20.57.6 (e diègli al modo lor cento ducati), 20.57.7 tanto ch' a luogo e tempo e' lo mandòe 20.57.8 a Bambillona, e quivi l' onoròe. 20.58.1 E' si chiamava Monaca, ove è il porto 20.58.2 dove Orlando e costoro alcun dì stanno; 20.58.3 e l' oste dice: «Per un che fu morto, 20.58.4 vedi che qui grande armate si fanno; 20.58.5 e 'n verità che gli fu fatto torto; 20.58.6 ma penso le vendette si faranno. 20.58.7 Lo 'mperador di Mezza è qua signore, 20.58.8 e veste il popol nero per suo amore. 20.59.1 Un suo figliuol, chiamato Marïotto, 20.59.2 era andato in aiuto del Soldano; 20.59.3 e come a Bambillona fu condotto, 20.59.4 l' uccise Spinellone, un gran pagano: 20.59.5 e fassi per costui tanto corrotto. 20.59.6 Vero è che 'l gran signor di Monte Albano 20.59.7 v' era, ed Orlando ed altri di sua setta, 20.59.8 e sopra questi si cerca vendetta». 20.60.1 Mentre che l' oste così ragionava, 20.60.2 vi capitò colui che fa l' armata: 20.60.3 Can di Gattaia, un giovan, si chiamava, 20.60.4 e domandò chi sia questa brigata. 20.60.5 Orlando disse a Can, che domandava, 20.60.6 ch' eran di Persia e gente disperata, 20.60.7 ch' amico non conoscon né compagno, 20.60.8 ma van cercando ventura e guadagno. 20.61.1 Diceva Can: «Quanto soldo volete?». 20.61.2 Disse Rinaldo: «Per cento baroni 20.61.3 ognun di noi, se contento sarete». 20.61.4 Rispose Can: «Per cento gran poltroni! 20.61.5 Per Dio, che 'l soldo che voi mi chiedete 20.61.6 (che mi parete cinque mascalzoni) 20.61.7 sarebbe troppo a Rinaldo ed al conte, 20.61.8 che sono il fior del sangue di Chiarmonte!». 20.62.1 Disse Rinaldo: «Solda chi ti pare»; 20.62.2 e torna coll' ostessa a ragionarsi, 20.62.3 però ch' ell' era bella e fassi amare, 20.62.4 e stava con lui molto a motteggiarsi; 20.62.5 e fece un suo stendardo sciorinare, 20.62.6 dove il lïon ch' io dissi può mirarsi. 20.62.7 Questo lïon fu veduto in effetto, 20.62.8 ed allo imperador presto fu detto: 20.63.1 «A casa un oste detto Chiarïone 20.63.2 sono arrivati cinque viandanti, 20.63.3 e porton per insegna il tuo lïone; 20.63.4 e non sappiam se si sono affricanti». 20.63.5 Lo 'mperadore a certi servi impone: 20.63.6 «Menategli qui presi tutti quanti; 20.63.7 e chi non vuol di lor venirne preso, 20.63.8 recatenelo a forza qui di peso». 20.64.1 Giunsono all' oste questi saracini, 20.64.2 e credonsi legar cinque cavretti 20.64.3 o pigliar questi come pecorini, 20.64.4 sanz' arme, colle punte degli aghetti: 20.64.5 volle a Rinaldo un por le mani a' crini, 20.64.6 e crede che costui il cappello aspetti; 20.64.7 Rinaldo si disserra nelle braccia 20.64.8 e con un pugno morto a' pie' sel caccia. 20.65.1 L' altro, ch' aveva una bacchetta in mano, 20.65.2 détte con essa a Rinaldo in sul volto, 20.65.3 dicendo: «Che fai tu, poltron villano? 20.65.4 Adunque tu non credi, matto e stolto, 20.65.5 ubbidir qui lo 'mperador pagano?». 20.65.6 Rinaldo presto a costui si fu vòlto, 20.65.7 e ciuffalo per modo nella gola 20.65.8 che l' affogò, sanza dir mai parola. 20.66.1 Eravene un che pon le mani addosso 20.66.2 al conte Orlando; Orlando un poco il guata, 20.66.3 e poi in un tratto da costui s' è scosso, 20.66.4 e déttegli nel viso una guanciata 20.66.5 che gli brucò la carne insino all' osso, 20.66.6 e cerca se la sala è ammattonata. 20.66.7 Intanto Ricciardetto, ch' a ciò bada, 20.66.8 ed Ulivier tiroron fuor la spada; 20.67.1 e 'l Veglio il mazzafrusto adoperava, 20.67.2 e non ischiaccia l' ossa, anzi le 'nfragne. 20.67.3 Orlando Durlindana alfin pigliava, 20.67.4 tanto ch' ognun che l' aspetta ne piagne. 20.67.5 L' un sopra l' altro morto giù balzava; 20.67.6 beato a chi mostrava le calcagne! 20.67.7 ché tutti gli affettavan come rape, 20.67.8 tal che più morti in sala non ne cape. 20.68.1 Lo 'mperador sentì come va il giuoco: 20.68.2 subito venne bene accompagnato. 20.68.3 Rinaldo ritornato s' era al fuoco; 20.68.4 Orlando sta alla porta giù appoggiato, 20.68.5 e perch' egli era pur ferito un poco 20.68.6 Rinaldo, tutto pareva turbato, 20.68.7 ché non sono usi esser lor tocco il naso, 20.68.8 e minacciava e sbuffava del caso. 20.69.1 Ecco il signor con molta sua famiglia: 20.69.2 Orlando non si muove dalla porta. 20.69.3 Subitamente un de' pagan bisbiglia: 20.69.4 «Vedi colui che la tua gente ha morta». 20.69.5 Orlando al saracin volge le ciglia 20.69.6 con una guatatura strana e tòrta, 20.69.7 tal che lo 'mperador n' ebbe paura, 20.69.8 ché gli pareva un uom sopra natura; 20.70.1 e rimutossi di sua oppinione 20.70.2 (ch' Orlando molto negli occhi era fiero, 20.70.3 tanto che alcuno auttore dice e pone 20.70.4 ch' egli era un poco guercio, a dire il vero), 20.70.5 e salutollo e dissegli: «Barone, 20.70.6 qual fantasia t' ha mosso o qual pensiero, 20.70.7 venire a far la mia gente morire 20.70.8 e non voler chi governa ubbidire? 20.71.1 Se tu se', come hai detto, persïano, 20.71.2 tu déi venire a far qua tradimento; 20.71.3 o veramente se' qualche cristiano, 20.71.4 e forse qualche cosa già ne sento. 20.71.5 Tu potevi venir con oro in mano 20.71.6 a ubbidire, e restavo contento. 20.71.7 Se tu venissi qua per farci inganno, 20.71.8 fa che tu pensi alfin che fia tuo il danno. 20.72.1 Quel che tu hai fatto, io me ne dolgo forte, 20.72.2 e forse punirotti del tuo errore, 20.72.3 di que' pagani a chi data hai la morte». 20.72.4 Rispose Orlando: «Famoso signore, 20.72.5 tutti saremo venuti alla corte, 20.72.6 per fare il nostro debito e 'l tuo onore, 20.72.7 a vicitar la tua magnificenzia, 20.72.8 s' avessi avuta tanta pazïenzia. 20.73.1 Ma tu ci mandi all' albergo a pigliare 20.73.2 come i ladron c' hanno con loro i furti; 20.73.3 non ci lasci due dì sol riposare, 20.73.4 ch' appena nel tuo porto savàn surti. 20.73.5 Se Macon, certo, ciò veniva a fare, 20.73.6 morto l' aremo co' morsi e cogli urti, 20.73.7 più tosto che venir come ladroni 20.73.8 a corte in mezzo di venti ghiottoni. 20.74.1 Che noi siàn persïani, abbi per certo; 20.74.2 cercando andiam della ventura nostra, 20.74.3 e non sappiàn s' ella è più in un deserto 20.74.4 che in un giardino, o nella terra vostra; 20.74.5 e già molto disagio abbiàn sofferto; 20.74.6 andian per quella via che 'l Ciel ci mostra, 20.74.7 né tradimento facciamo a persona. 20.74.8 Io lascio or giudicare a tua Corona». 20.75.1 Lo 'mperador gli piacque Orlando tanto, 20.75.2 quanto e' sentissi uom mai parlar discreto, 20.75.3 e disse: «Io so ch' io ho trascorso alquanto. 20.75.4 Ma se voi andate alla ventura drieto, 20.75.5 io vo cercando doglia, angoscia e pianto, 20.75.6 e non ispero omai d' esser più lieto: 20.75.7 io ho perduto tutto il mio conforto 20.75.8 dall' ora in qua che 'l mio figliuol fu morto. 20.76.1 E benché tutto il mondo qua in aiuto, 20.76.2 come tu vedi, venga a mia vendetta 20.76.3 (che vedi il popol già che c' è venuto), 20.76.4 e tante nave in punto qua si metta, 20.76.5 non rïarò però quel c' ho perduto, 20.76.6 con tutto il mio tesoro e la mia setta, 20.76.7 e vestirò pur sempre oscuro e negro 20.76.8 come tu vedi, e mai più sarò allegro; 20.77.1 salvo s' io sarò mai di tanto sazio, 20.77.2 ch' io possa al conte Orlando trarre il core. 20.77.3 Io ne farò per certo tale strazio, 20.77.4 che essemplo fia d' ogn' altro peccatore, 20.77.5 se mi darà Macon tanto di spazio; 20.77.6 ché sento che si sta quel traditore 20.77.7 in Bambillona in gran trïonfo e festa, 20.77.8 ed io pur piango in questa scura vesta. 20.78.1 Or lasciam questo; se tu vuoi venire 20.78.2 a corte tu colla tua compagnia 20.78.3 a starti meco insino al tuo partire, 20.78.4 io ti farò, per Macon, cortesia; 20.78.5 e ciò ch' io ho sia tuo sanza più dire: 20.78.6 forse che quivi tua ventura fia». 20.78.7 Orlando il ringraziò di quel c' ha detto, 20.78.8 e tornasi a Rinaldo e Ricciardetto. 20.79.1 Una fanciulla che il loro oste avea, 20.79.2 medicava Rinaldo; e perch' ella era 20.79.3 molto gentil, Rinaldo gli dicea 20.79.4 che la voleva tôr per sua mogliera. 20.79.5 Di giorno in giorno l' armata crescea: 20.79.6 re di Murrocco con sua gente fera, 20.79.7 vestiti di catarzo duro e grosso, 20.79.8 era venuto, e pareva Minosso; 20.80.1 e di Caveria un feroce amostante, 20.80.2 ch' aveva molta turba e gran canaglia, 20.80.3 chiamato dalla gente Leopante, 20.80.4 e tutti i cavalier suoi da battaglia 20.80.5 eran coperti d' osso d' elefante, 20.80.6 ch' era più duro che piastra o che maglia; 20.80.7 ed un lïon rampante molto fiero, 20.80.8 come Rinaldo, avea nel campo nero. 20.81.1 E per ventura passò per la strada 20.81.2 di Chiarïon, dove dimora Orlando; 20.81.3 ed alcun par che dinanzi gli vada, 20.81.4 certi stormenti al lor modo sonando: 20.81.5 allo stendardo di Rinaldo bada, 20.81.6 e di chi e' fussi venìa domandando; 20.81.7 e 'n su 'n un carro da quattro destrieri 20.81.8 facea tirarsi, più che corbi neri; 20.82.1 e disse: «Chiarïon, dimmi chi sia 20.82.2 colui che porta così il mio stendardo». 20.82.3 Orlando gli rispose: «Se tuo fia, 20.82.4 io tel darò, se tu sarai gagliardo». 20.82.5 Disse il pagan: «Tu mi di' villania; 20.82.6 egli è pur gentilezza aver riguardo 20.82.7 a queste cose, e tu il debbi sapere, 20.82.8 e che porti ciascun le sue bandiere. 20.83.1 Io vo' saper donde tu abbi avuto 20.83.2 questo stendardo; e s' tu l' hai guadagnato, 20.83.3 tu puoi portarlo, ché questo è dovuto; 20.83.4 ma tu m' hai viso d' averlo rubato, 20.83.5 più tosto che d' averlo combattuto». 20.83.6 Orlando disse: «In Persia l' ho acquistato. 20.83.7 Or ti rispondo a quell' altra parola, 20.83.8 ch' io non son ladro, e menti per la gola». 20.84.1 Rispose Leopante: «Ed io rispondo 20.84.2 che tu se' ladro e tristo, e ch' io non mento; 20.84.3 ed amostante son degno e giocondo 20.84.4 e miglior uom di te per ognun cento; 20.84.5 e non fare' Macon né tutto il mondo 20.84.6 che tu spiegassi il mio stendardo al vento: 20.84.7 io vo' che tu il guadagni con la lancia, 20.84.8 s' tu fussi ben de' paladin di Francia». 20.85.1 Orlando non are' temuto il cielo 20.85.2 né Giuppiter, quand' egli era bizzarro; 20.85.3 rispose: «Egli è ben ver più che 'l Vangelo 20.85.4 che' pazzi come tu vanno in sul carro. 20.85.5 Io vo' che chi mi morde lasci il pelo, 20.85.6 ed oltre a questo la bocca gli sbarro. 20.85.7 Esci del carro e monterai in arcione, 20.85.8 e proverren di chi sarà il lïone». 20.86.1 Dismontò con grande ira il saracino, 20.86.2 e montò presto sopra un gran cavallo. 20.86.3 Orlando fece sellar Vegliantino, 20.86.4 e non istette pel freno a pigliallo, 20.86.5 anzi saltò di terra il paladino, 20.86.6 tanto ch' ognun correva là a guardallo, 20.86.7 e Leopante ammirato ne resta; 20.86.8 e posono amendue la lancia in resta. 20.87.1 Ricciardetto e Rinaldo ed Ulivieri 20.87.2 e 'l Veglio tutti intorno sono armati; 20.87.3 ognun guardava questi cavalieri 20.87.4 per maraviglia, e stavan trasognati. 20.87.5 L' amostante ed Orlando co' destrieri 20.87.6 in questo tempo si sono accostati: 20.87.7 le lance parvon due trombe di vetro; 20.87.8 poi si rivolson con le spade addietro. 20.88.1 Lo 'mperadore avea questo sentito, 20.88.2 e per veder costor provarsi, venne, 20.88.3 e sopra un bel giannetto era salito, 20.88.4 che non correva, anzi batte le penne. 20.88.5 Orlando Leopante ha già ferito, 20.88.6 tanto che spesso gran doglia sostenne; 20.88.7 pur nondimen tuttavolta s' arrosta, 20.88.8 e con la spada facea la risposta. 20.89.1 Rinaldo, ch' era un diavolo incantato 20.89.2 e vuol sempre veder cose terribile, 20.89.3 diceva pure: «Tu non se' adirato», 20.89.4 al conte Orlando «o far non vuoi il possibile». 20.89.5 Orlando s' era per questo infocato, 20.89.6 e facea cose che non son credibile, 20.89.7 dando al pagan con sì fatta tempesta, 20.89.8 che in su l' arcion gli batteva la testa. 20.90.1 Leopante era tra cattive mani; 20.90.2 non sa che quella spada è Durlindana, 20.90.3 che tanti n' ha già morti de' pagani: 20.90.4 e' si pentea della sua impresa strana, 20.90.5 e dopo molti colpi assai villani 20.90.6 volle veder come la strada è piana, 20.90.7 e cadde tra sue gente in terra morto, 20.90.8 e così ebbe del lïone il torto. 20.91.1 Così vinse la forza la ragione, 20.91.2 che ogni volta non si vuol difendere; 20.91.3 e 'l savio sempre fugge la quistione, 20.91.4 ed è pur bella cosa il mondo intendere. 20.91.5 Ecco che Leopante ora ha il lïone, 20.91.6 che colla lancia lo volle contendere: 20.91.7 la lancia è rotta e la vita gli costa: 20.91.8 chi cerca briga ne truova a sua posta. 20.92.1 E' si levò tra' saracin gran pianto, 20.92.2 veggendo così morto il lor signore, 20.92.3 e fu portato a seppellire; e 'ntanto 20.92.4 un giovinetto, ch' avea gran valore 20.92.5 fra tutti i saracini, esce da canto 20.92.6 e dice: «Perch' io fui suo servidore, 20.92.7 da poi che non c' è ignun che qua si metta, 20.92.8 io vo' del mio signor far la vendetta. 20.93.1 Io ti disfido, tu che l' uccidesti». 20.93.2 Orlando disse: «La battaglia accetto; 20.93.3 ma perché meco giovane saresti, 20.93.4 combatterai con questo giovinetto; 20.93.5 bench' io mi credo tu m' avanzeresti». 20.93.6 E disse: «Fatti innanzi, Ricciardetto». 20.93.7 E Ricciardetto accetta volentieri, 20.93.8 e sanza altro parlar volse il destrieri. 20.94.1 E l' uno e l' altro insieme riscontrârsi; 20.94.2 ma Ricciardetto alfin la sella vòta, 20.94.3 ché non poté dal colpo fiero atarsi, 20.94.4 sì forte par che lo scudo percuota. 20.94.5 I pagan cominciorno a rallegrarsi; 20.94.6 ma Ulivier se ne batte la gota, 20.94.7 e volle vendicar lui Ricciardetto, 20.94.8 e disfidava questo giovinetto; 20.95.1 e ritrovossi infin fuor di Rondello. 20.95.2 Armossi il Veglio allor della Montagna, 20.95.3 e con la lancia si scontrò con quello, 20.95.4 tanto ch' alfin la morte vi guadagna, 20.95.5 però che 'l saracin pose a pennello 20.95.6 e passò l' arme che parve una ragna: 20.95.7 non si poteva por quel colpo meglio, 20.95.8 poi ch' egli uccise un sì famoso Veglio. 20.96.1 Quando Rinaldo cadere ha veduto 20.96.2 il Veglio suo, che tanto amava in vita, 20.96.3 parve del petto il cuor gli sia caduto. 20.96.4 L' anima sua nel Ciel si rimarita. 20.96.5 E 'l conte Orlando gli è tanto doluto, 20.96.6 che per più dì parea cosa smarrita: 20.96.7 e fu mandato a Bambillona questo 20.96.8 a sepellir, come Morgante, presto. 20.97.1 Rinaldo si sfidò col giovinetto 20.97.2 che 'l Veglio aveva morto, a mano a mano, 20.97.3 con tanto sdegno e con tanto dispetto, 20.97.4 che giurò d' ammazzar questo pagano. 20.97.5 Ruppon le lance l' uno all' altro al petto, 20.97.6 poi s' affrontorno con la spada in mano; 20.97.7 e tutto il popol ragunato s' era 20.97.8 a veder la battaglia acerba e fiera. 20.98.1 Il saracino era molto gagliardo, 20.98.2 e sopra l' elmo percosse Rinaldo, 20.98.3 tal che in sul collo cadde di Baiardo, 20.98.4 e con fatica si sostenne saldo. 20.98.5 Orlando, quando al colpo ebbe riguardo, 20.98.6 sudò più volte, e non gli facea caldo. 20.98.7 Rinaldo si rizzò pur finalmente, 20.98.8 e bestemmiava il Ciel divotamente; 20.99.1 e trasse con tanta ira allor Frusberta, 20.99.2 che, se non che 'l pagan lo scudo alzava 20.99.3 quando vide la spada andare all' erta 20.99.4 e conobbe il furor che la portava, 20.99.5 Rinaldo gli are' allor la testa aperta: 20.99.6 trovò lo scudo e netto lo tagliava; 20.99.7 l' elmo sonò come una cemmamella, 20.99.8 e come morto uscì fuor della sella. 20.100.1 E gran romor tra' saracin si leva. 20.100.2 Rinaldo, poi che gli passò il furore, 20.100.3 di questo giovinetto gl' incresceva, 20.100.4 perché e' conobbe in lui molto valore 20.100.5 e che quel fussi morto si credeva; 20.100.6 subito salta fuor del corridore. 20.100.7 Lo 'mperador gridò: «Non gli far torto, 20.100.8 non lo toccare: e' basta ch' egli è morto». 20.101.1 Disse Rinaldo: «Per lo dio Macone, 20.101.2 ch' assai m' incresce costui morto sia, 20.101.3 ché mai non monterà forse in arcione 20.101.4 un uom sì degno in tutta Pagania. 20.101.5 Io vo' cercar per la sua salvazione 20.101.6 qualche rimedio, s' alcun ce ne fia». 20.101.7 Ed abbracciollo, ch' era in terra steso, 20.101.8 poi nel portava all' osteria di peso. 20.102.1 E fu da tutto 'l popol commendato. 20.102.2 Quivi lo pose a giacere in sul letto, 20.102.3 e il polso in ogni parte ha stropicciato, 20.102.4 e così fa il marchese e Ricciardetto; 20.102.5 tanto ch' alfin s' è tutto risvegliato 20.102.6 a poco a poco questo giovinetto; 20.102.7 e risentito, caramente abbraccia 20.102.8 Rinaldo, e 'nsieme si baciorno in faccia, 20.103.1 e chieson l' uno all' altro perdonanza. 20.103.2 Orlando ponea mente una sua spada, 20.103.3 come di cor magnalmo è sempre usanza, 20.103.4 veder com' ella pesa o s' ella rada: 20.103.5 pargli che sia da uom d' alta possanza; 20.103.6 e di vedere il pome poi gli aggrada; 20.103.7 guardando il pome, letter vi vedea, 20.103.8 e per diletto queste anco leggea. 20.104.1 Le lettere dicén come costui 20.104.2 era nato del sangue di Chiarmonte; 20.104.3 il perché Orlando ritornava a lui 20.104.4 al letto, e domandò con umil fronte, 20.104.5 se si ricorda degli antichi sui 20.104.6 come dicevon le lettere pronte, 20.104.7 che gliel dicessi, se 'l priego era onesto, 20.104.8 ché sol per ben di lui vuol saper questo. 20.105.1 E' gli rispose: «Gentil cavalieri, 20.105.2 la madre mia chiamata è Rosaspina, 20.105.3 ed io mi chiamo per nome Aldighieri, 20.105.4 e generommi, dice, alla marina. 20.105.5 Del padre mio non ho i termini interi, 20.105.6 perché e' non fu di stirpe saracina; 20.105.7 ma quel che inteso n' ho dalla mia madre, 20.105.8 da Rossiglion Gherardo fu il mio padre. 20.106.1 Per che cagione tu vuoi ch' io tel dica 20.106.2 non vo' cercar, ma parmi un uom gentile, 20.106.3 né, per piacerti, mai mi fia fatica 20.106.4 essaudire il tuo priego tanto umìle: 20.106.5 di Chiaramonte è la mia schiatta antica, 20.106.6 e non è sangue che sia punto vile, 20.106.7 ma forse il più gentil ch' al mondo sia, 20.106.8 e tiene in Francia regno e monarchia. 20.107.1 Rinaldo, quel gran sir da Montalbano, 20.107.2 di questo è nato, e quel famoso Orlando 20.107.3 di cui fa tanta stima Carlo Mano, 20.107.4 ch' altro pel mondo non si va parlando. 20.107.5 E lungo tempo n' ho cercato invano, 20.107.6 di questi due baroni, e vo cercando; 20.107.7 e tanto in ogni parte cercheròe, 20.107.8 che innanzi la mia morte io gli vedròe. 20.108.1 E se ci fussi ignun di loro stato 20.108.2 quando tu mi gittasti del cavallo, 20.108.3 so che m' arebbe di te vendicato». 20.108.4 Orlando non poteva più ascoltallo: 20.108.5 per tenerezza è tutto travagliato; 20.108.6 e tutti cominciavano abbracciallo; 20.108.7 per che 'l pagan, veggendosi abbracciare, 20.108.8 quel che ciò fussi gliel parea sognare. 20.109.1 E disse: «In cortesia, ditemi tosto 20.109.2 per che cagion sia tanto abbracciamento». 20.109.3 Orlando innanzi a tutti gli ha risposto: 20.109.4 «O Aldighier, quanto sono io contento! 20.109.5 In quanta pace ogni mio affanno è posto! 20.109.6 Quanta dolcezza drento al petto sento! 20.109.7 Ecco color di chi tu vai cercando: 20.109.8 questo è Rinaldo nostro, io son Orlando, 20.110.1 e questo è Ulivier, nostro parente, 20.110.2 quest' altro è Ricciardetto, tuo cugino». 20.110.3 Quando Aldighier queste parole sente, 20.110.4 dicea fra sé: «Qual grazia o qual distino, 20.110.5 d' aver costor trovati qui, consente?». 20.110.6 Abbraccia Orlando degno paladino, 20.110.7 ed Ulivier, Rinaldo e Ricciardetto, 20.110.8 e per letizia fuor salta del letto. 20.111.1 Comincia a ragionar di Carlo Mano, 20.111.2 e del Danese quanto e' sia gagliardo, 20.111.3 ché lo conobbe quando era pagano; 20.111.4 comincia a ragionar del suo Gherardo, 20.111.5 e dice: «Io intendo al tutto esser cristiano 20.111.6 e rinnegar Macon nostro bugiardo; 20.111.7 e in Francia bella con voi vo' venire, 20.111.8 e così sempre vivere e morire. 20.112.1 Egli è qui tra costor di mia brigata 20.112.2 dieci mila a caval sotto mio segno. 20.112.3 Lo 'mperadore apparecchia l' armata 20.112.4 per vendicar del suo figliuol lo sdegno, 20.112.5 e contro a voi la furia è apparecchiata. 20.112.6 Io mi parti' con questi del mio regno 20.112.7 perché senti' savate a Bambillona, 20.112.8 per ritrovarmi là con voi in persona; 20.113.1 ed ho mandato lettere segrete 20.113.2 a dirvi come qua si fa apparecchio: 20.113.3 non so se voi ricevute l' avete, 20.113.4 o se ciò pervenuto v' è all' orecchio. 20.113.5 Costor minaccian, come voi vedete, 20.113.6 come involti v' avessin tra 'l capecchio. 20.113.7 Se noi vogliam, questa città fia nostra, 20.113.8 colla mia gente e colla virtù vostra. 20.114.1 Rinaldo e tu per tutta Pagania 20.114.2 sète tanto temuti e nominati, 20.114.3 che come il grido tra la turba fia, 20.114.4 e' fuggiranno tutti spaventati. 20.114.5 Non son costor guerrier, ma son ginìa: 20.114.6 sempre al principio assai si son vantati 20.114.7 ed hannovi in un solcio i paladini; 20.114.8 poi fuggon tutti come spelazzini». 20.115.1 Rinaldo gli piacea questa pensata, 20.115.2 ed Aldighier vien sua gente assettando. 20.115.3 In questo tempo giunse una ambasciata, 20.115.4 come lo 'mperador mandato ha il bando 20.115.5 che tutta in piazza sia la gente armata; 20.115.6 e tutto il popol si veniva armando, 20.115.7 come nell' altro dir vi sarà detto. 20.115.8 Di mal vi guardi Gesù benedetto.
CANTO XXI
21.1.1 Dio ti salvi, Maria di grazia piena, 21.1.2 e il Signor teco in sempiterno sia, 21.1.3 o benedetta, o santa, o nazarena, 21.1.4 fra tutte l' altre donne, tu, Maria, 21.1.5 sanza la qual la mia barchetta arrena, 21.1.6 se non aiuti nostra fantasia, 21.1.7 che insino a qui fatta hai tanto veloce: 21.1.8 non mi lasciar, ch' i' veggo omai la foce. 21.2.1 I forestieri e tutti i terrazzani 21.2.2 ognun si rappresenta in su la piazza. 21.2.3 Era, a veder, la ciurma de' pagani 21.2.4 cosa parte mirabil, parte pazza: 21.2.5 mai non si vide tanti uomini strani, 21.2.6 di tante lingue e d' ogni nuova razza. 21.2.7 Disse Rinaldo: «In piazza ce n' andiamo, 21.2.8 e tutta questa gente sbaragliamo». 21.3.1 Mettono in punto l' arme e' lor destrieri. 21.3.2 Lo 'mperador fa intanto diceria: 21.3.3 «Chi si vanta di voi, buon cavalieri, 21.3.4 di vendicarmi della ingiuria mia, 21.3.5 io gli darò città che fìeno imperi, 21.3.6 e sempre arà di qua gran signoria, 21.3.7 gente e tesoro a tutte le sue voglie, 21.3.8 e la mia figlia sposerà per moglie». 21.4.1 Levossi ritto il gran Can di Gattaia, 21.4.2 e disse: «Io sarò quello, imperadore, 21.4.3 che, s' io dovessi ucciderne a migliaia, 21.4.4 al conte Orlando vo' cavare il cuore». 21.4.5 E così gli altri ognun si vanta e abbaia 21.4.6 uccider pure Orlando il traditore, 21.4.7 ed alza il sangue in parole dua braccia, 21.4.8 e chi più teme è quel che più minaccia. 21.5.1 Rinaldo in su la piazza il primo viene. 21.5.2 Can di Gattaia, come l' ha veduto, 21.5.3 disse: «Baron, s' io ti conosco bene 21.5.4 (ch' al soprassegno t' ho riconosciuto), 21.5.5 per Macometto, ancor rider mi tiene 21.5.6 che tu credevi e' ti fussi creduto, 21.5.7 a chieder soldo con quattro poltroni 21.5.8 a misura di crusca e di carboni». 21.6.1 Disse Rinaldo: «S' io chiesi per cento, 21.6.2 a questa volta io ne vo' due cotanti; 21.6.3 e s' egli è ver quel che da molti sento, 21.6.4 tu se' fra questi il primo che ti vanti 21.6.5 di far tante vendette, o fummo o vento, 21.6.6 se vuoi giostrar con meco, fatti avanti!». 21.6.7 Can di Gattaia, come questo intese, 21.6.8 turbato tutto, una gran lancia prese, 21.7.1 e va inverso Rinaldo, acceso d' ira. 21.7.2 Rinaldo riscontrò questo arrabbiato, 21.7.3 al gorzaretto gli pose la mira, 21.7.4 e 'l collo colla lancia gli ha infilzato, 21.7.5 sì che pel gorgozzul l' anima spira. 21.7.6 Lo 'mperador di ciò molto è crucciato, 21.7.7 e dice: «Troppe volte offeso m' hai, 21.7.8 ma d' ogni cosa te ne pentirai». 21.8.1 Disse Rinaldo: «A non tenerti a tedio, 21.8.2 io son Rinaldo, quel di Chiaramonte, 21.8.3 venuto per tuo danno e per tuo assedio; 21.8.4 e questo è quel famoso Orlando conte 21.8.5 contra al qual sai che non arai rimedio; 21.8.6 e questo è Ulivier, che t' è qui a fronte; 21.8.7 e questo è Ricciardetto, mio fratello, 21.8.8 ed Aldighieri, e a me cugino e a quello. 21.9.1 Tutti sarete morti a questo tratto». 21.9.2 Né prima ebbe Rinaldo così detto, 21.9.3 che cominciò a fuggir quel popol matto. 21.9.4 Lo 'mperador, sentendo tale effetto, 21.9.5 subito disse come stupefatto: 21.9.6 «Può far questo fortuna o Macometto? 21.9.7 Piglia del campo come reo nimico, 21.9.8 ch' io ho a purgar più d' un peccato antico». 21.10.1 Rinaldo si voltò pien di furore, 21.10.2 e ritornato addrieto assai più fiero, 21.10.3 si riscontrò col detto imperadore, 21.10.4 che non istima più vita né impero, 21.10.5 e con la lancia gli passava il cuore, 21.10.6 e ritrovò il gran Can poi in cimitero. 21.10.7 Or qui tutta la turba si sbaraglia, 21.10.8 e cominciossi una crudel battaglia. 21.11.1 Ed Aldighier con sua gente dà drento, 21.11.2 e 'l conte Orlando fa incredibil cose, 21.11.3 ed Ulivier non serba il suo ardimento, 21.11.4 né Ricciardetto il suo certo nascose. 21.11.5 Ma 'n piccol tempo il gran furor fu spento, 21.11.6 ché, veggendo tante arme sanguinose, 21.11.7 e ricordare Orlando ed Ulivieri 21.11.8 e 'l prenze, ognun si fugge volentieri. 21.12.1 E per arroto Orlando aveva morto 21.12.2 nella battaglia il gran re di Murrocco: 21.12.3 questo fu quel che diè tanto sconforto, 21.12.4 che 'l popol si fuggì, bestiale e sciocco. 21.12.5 Ognun la nave sua ritruova al porto 21.12.6 sanza aspettar più greco che scilocco; 21.12.7 e 'n questo modo finiva la guerra, 21.12.8 e' cristian nostri pigliorno la terra. 21.13.1 E nel palazzo ove lo 'mperio stava, 21.13.2 vanno Rinaldo, Orlando ed Aldighieri; 21.13.3 e Ricciardetto ed Ulivier v' andava, 21.13.4 e di Rinaldo un gentile scudieri, 21.13.5 il qual con Aldighier si battezzava, 21.13.6 e da costoro è chiamato Rinieri; 21.13.7 e battezzati questi, hanno ordinato 21.13.8 che Aldighier sia imperador chiamato, 21.14.1 benché Aldighier per nulla non voleva: 21.14.2 poi battezzâr quell' oste Chiarïone 21.14.3 ed una bella figlia ch' egli aveva, 21.14.4 che medicò con tanta affezïone 21.14.5 Rinaldo, e ristorar costei voleva. 21.14.6 E per ventura Greco, il lor padrone, 21.14.7 che gli condusse già per la marina, 21.14.8 vi capitò, quel di buona dottrina. 21.15.1 E come e' fu dismontato di nave, 21.15.2 sentì come costor son coronati 21.15.3 e che tenien dello imperio la chiave: 21.15.4 non si penté che gli aveva onorati; 21.15.5 e con parole benigne e soave 21.15.6 umilemente gli ebbe vicitati, 21.15.7 dicendo, come savio uomo e discreto, 21.15.8 di lor prosperità troppo esser lieto. 21.16.1 Ed abbracciato fu sì allegramente 21.16.2 come se fussi lor carnal fratello. 21.16.3 Rinaldo presto gli corse alla mente 21.16.4 di dar la figlia del loro oste a quello, 21.16.5 e dissegli: «Fanciulla mia piacente, 21.16.6 ascolta e 'ntendi ben quel ch' io favello. 21.16.7 Io ti promissi di tôr per isposa: 21.16.8 questo sarebbe a me impossibil cosa, 21.17.1 ch' io ho lasciato altra mogliera in Francia; 21.17.2 ma vo' che Greco qui tuo sposo sia; 21.17.3 e darotti tal dota e sì gran mancia, 21.17.4 che sempre ognun di voi contento fia». 21.17.5 Un poco rossa si fece la guancia 21.17.6 quella fanciulla, e poi gli rispondia 21.17.7 ch' era contenta alle sue giuste voglie: 21.17.8 e così Greco la tolse per moglie; 21.18.1 ma innanzi che la tolga, è battezzato. 21.18.2 Rinaldo gli donò poi tanto avere, 21.18.3 che del servigio l' ha ben meritato, 21.18.4 e sanza navicar potrà godere. 21.18.5 Però questo proverbio è pur provato, 21.18.6 che mai non si perdé nessun piacere, 21.18.7 e bench' a molti uom serva sanza frutto, 21.18.8 per mille ingrati un sol ristora il tutto. 21.19.1 Poi fecion Chiarïon governatore 21.19.2 di tutto il regno, ché si ricordorno 21.19.3 che di sua povertà fe' loro onore. 21.19.4 E riposati in Monaca alcun giorno, 21.19.5 per aiutar infin quel traditore 21.19.6 del conte Gan, da lui s' accomiatorno; 21.19.7 e non potrebbe lingua o penna dire 21.19.8 qual fussi il pianto in questo lor partire. 21.20.1 Piangea il padron che pareva battuto; 21.20.2 piangea la dama dolorosamente; 21.20.3 piangea l' ostier, ch' assai glien' è incresciuto; 21.20.4 piangeva 'l popol tutto unitamente; 21.20.5 piangea Rinaldo, e non sare' creduto; 21.20.6 piangeva Orlando e 'l marchese possente; 21.20.7 piangeva Ricciardetto ed Aldighieri; 21.20.8 piangeva insino al povero Rinieri. 21.21.1 Ma gli autori si scordon qui con meco: 21.21.2 chi vuol che Greco al governo restassi; 21.21.3 chi dice Chiarïone e Greco seco, 21.21.4 e l' uno e l' altro insieme governassi. 21.21.5 Ma, a mio parere, è Chiarïon, non Greco, 21.21.6 acciò ch' ognun Rinaldo ristorassi, 21.21.7 e perch' egli era della città nato 21.21.8 e de' costumi lor più ammaestrato. 21.22.1 Orlando e gli altri insieme se ne vanno, 21.22.2 tanto che son presso a Castelfalcone; 21.22.3 e due pastori appresso trovati hanno: 21.22.4 l' uno era quel che mandò Ganellone 21.22.5 a Bambillona, e gran festa gli fanno, 21.22.6 e domandâr se Gan vivo è in prigione, 21.22.7 o s' egli è morto, o quel ch' era seguito; 21.22.8 se lo sapeva, o quel ch' e' n' ha sentito. 21.23.1 Il pastor disse ch' egli è vivo e sano 21.23.2 nella prigion, ma con assai disagio. 21.23.3 Poi prese del caval la briglia in mano 21.23.4 d' Orlando, e tutti gli mena al palagio 21.23.5 dove stava il pastor che impiccò Gano, 21.23.6 dicendo: «Qui solea star quel malvagio 21.23.7 ch' avea il corsier di Rinaldo imbolato: 21.23.8 noi c' imbucamo, come e' fu impiccato». 21.24.1 Quivi son tutti i cristiani smontati; 21.24.2 e' pastor certi capretti uccidiéno, 21.24.3 e certi lor lattonzi hanno infilzati; 21.24.4 del latte v' è da versarsi pel seno; 21.24.5 e' destrier son come lor vezzeggiati: 21.24.6 gran sacca d' orzo e gran fasci di fieno. 21.24.7 Rinaldo disse: «Al mio date orzo e paglia: 21.24.8 e poi si dice caval da battaglia». 21.25.1 Quivi mangiorno e riposârsi alquanto. 21.25.2 Orlando que' pastor vien domandando 21.25.3 come il castel pigliar si possi, intanto. 21.25.4 E' pastor tutto venien disegnando: 21.25.5 come guardato sia da ogni canto, 21.25.6 e per sei porte vi si viene entrando, 21.25.7 ed ogni porta a sua difensïone 21.25.8 aveva un fiero e selvaggio lïone; 21.26.1 e la lor madre, chiamata Creonta, 21.26.2 come un dragon gli unghioni avea affilati, 21.26.3 barbuta e guercia e maliziosa e pronta, 21.26.4 e sempre aveva spiriti incantati, 21.26.5 e par piena di rabbia, d' ira e d' onta, 21.26.6 e per paura non è chi la guati; 21.26.7 pilosa e nera, arricciata e crinuta, 21.26.8 gli occhi di fuoco e la testa cornuta; 21.27.1 mai non si vide più sozza figura, 21.27.2 tanto ch' ella pareva la versiera, 21.27.3 e Satanasso n' arebbe paura, 21.27.4 e Tesifóne ed Aletto e Megera; 21.27.5 e gran fatica fia drento alle mura 21.27.6 entrar, per questa spaventevol fiera: 21.27.7 e de' giganti, ogni cosa contavano 21.27.8 di lor costumi e quel che in man portavano. 21.28.1 Or questo è quel ch' a Rinaldo piaceva, 21.28.2 quanto e' sentia più cose oscure e sozze; 21.28.3 e dove far qualche mischia credeva, 21.28.4 e' gli pareva proprio andare a nozze. 21.28.5 Non domandar come il cuor gli cresceva! 21.28.6 E dice: «Se le man non mi son mozze, 21.28.7 io ne farò come torso di cavolo: 21.28.8 vedren chi fia di noi maggior dïavolo». 21.29.1 Non mangia a mezzo, che sellò Baiardo; 21.29.2 Orlando e gli altri seguitavan quello. 21.29.3 Rinaldo se ne va sanza riguardo 21.29.4 subito a una porta del castello: 21.29.5 fecesi incontro un fier lïon gagliardo, 21.29.6 che si pensava abboccare uno agnello. 21.29.7 Rinaldo e gli altri eran tutti smontati 21.29.8 e i cavalli a Rinieri avevon dati. 21.30.1 Questo lïon di terra un salto spicca 21.30.2 ed a Rinaldo si scagliava addosso 21.30.3 e' fieri artigli nello scudo ficca, 21.30.4 la bocca aperse e 'l capo un tratto ha scosso. 21.30.5 Rinaldo un colpo alle zampe gli abbricca 21.30.6 e tagliagli la carne e 'l nervo e l' osso, 21.30.7 donde il lïon diè in terra della bocca: 21.30.8 allor Rinaldo alla testa raccocca, 21.31.1 e spiccò il capo dallo 'mbusto a questo, 21.31.2 e morto si rimase in su la soglia. 21.31.3 Disse Aldighieri: «Io mi ti manifesto: 21.31.4 uccider vo' quest' altro, ch' io n' ho voglia». 21.31.5 Rinaldo gli rispose: «Uccidil presto, 21.31.6 acciò che non ti dessi affanno e doglia». 21.31.7 Dunque Aldighier non dicea più parola, 21.31.8 ma missegli la spada nella gola, 21.32.1 e rïuscì la punta nelle rene. 21.32.2 Orlando disse: «Il terzo uccidrò io». 21.32.3 Ecco il lïon che inverso lui ne viene, 21.32.4 e 'nginocchiossi mansüeto e pio. 21.32.5 Orlando Durlindana sua ritiene, 21.32.6 e disse: «Questo è misterio di Dio. 21.32.7 Seguite me, ché 'l Ciel ci spigne drento, 21.32.8 e non arem dagli altri impedimento». 21.33.1 E così fu: ché il lïon si rizzava, 21.33.2 e tutti gli altri détton lor la via, 21.33.3 e questo come scorta innanzi andava. 21.33.4 Orlando inverso i giganti ne gìa; 21.33.5 maravigliârsi, e l' un di lor parlava: 21.33.6 «Che gente è questa, e donde entrata fia? 21.33.7 Può fare il Ciel che' lïon non gli udissino 21.33.8 e tutti a sei a un' otta dormissino? 21.34.1 Questo mi par pure il più nuovo caso». 21.34.2 Subitamente uscir fuor del palazzo; 21.34.3 fecesi innanzi l' un ch' è sanza naso, 21.34.4 e va inverso Rinaldo come un pazzo; 21.34.5 la barba lunga aveva e 'l capo raso. 21.34.6 Rinaldo guarda quel viso cagnazzo 21.34.7 che non parea né d' uom né d' animali, 21.34.8 e disse: «Dove appicchi tu gli occhiali? 21.35.1 O con che fiuti tu l' anno le rose? 21.35.2 Tu par' bestia dimestica a vedere». 21.35.3 Questo gigante a Rinaldo rispose: 21.35.4 «Io tel farò, ghiotton, tosto sapere». 21.35.5 Rinaldo un colpo alla zucca gli pose, 21.35.6 ch' arebbe ben dimezzate le pere, 21.35.7 e cacciagli Frusberta insino agli occhi, 21.35.8 tanto che morto convien che trabocchi. 21.36.1 Come e' fu in terra questo fastellaccio, 21.36.2 l' altro s' avventa addosso ad Aldighieri; 21.36.3 volle menargli d' un suo bastonaccio, 21.36.4 ma e' prese un salto che parve un levrieri 21.36.5 e schifa il colpo, e menavagli al braccio, 21.36.6 tal che, se sa schermir, gli fa mestieri, 21.36.7 e netto lo tagliò come un mellone, 21.36.8 e cadde in terra il braccio col bastone, 21.37.1 ed anche poi il gigante per la pena. 21.37.2 Aldighier, quando lo vide caduto, 21.37.3 subitamente un gran colpo gli mena; 21.37.4 al collo del gigante s' è abbattuto 21.37.5 e colla spada tagliente lo svena. 21.37.6 L' altro fratel, come questo ha veduto, 21.37.7 si scaglia a Ulivier, di furia acceso, 21.37.8 ed abbracciollo e pòrtanel di peso 21.38.1 come farebbe il lupo un pecorino. 21.38.2 Ma 'l buon pastore Orlando lo soccorse, 21.38.3 e disse: «Posa, posa, saracino, 21.38.4 posalo giù: tu non credevi forse 21.38.5 che fussi presso il guardian né 'l maschino». 21.38.6 Di che il gigante per ira si morse, 21.38.7 ché 'l sangue a Ulivier voleva bere, 21.38.8 ma per paura sel lascia cadere. 21.39.1 Ulivier ritto si levò di terra, 21.39.2 e trasse a quel pagan con Altachiara, 21.39.3 e nella trippa una punta disserra, 21.39.4 dicendo: «Tu berai la morte amara»; 21.39.5 e con quel colpo morto giù l' atterra, 21.39.6 e bisognòe che trovassi la bara. 21.39.7 Eron già morti tre; restavane uno, 21.39.8 ch' era più fiero e forte che nessuno. 21.40.1 Orlando disse: «La battaglia è mia, 21.40.2 e tocca a me quest' altro che ci resta»; 21.40.3 e 'l fer gigante, pien di bizzarria, 21.40.4 d' un mazzafrusto gli diè in su la testa, 21.40.5 che poco men ch' Orlando non cadia. 21.40.6 Gridò Rinaldo: «Ed anco tua fia questa 21.40.7 picchiata, come hai detto la battaglia. 21.40.8 Non se' tu Orlando, o 'l brando più non taglia?» 21.41.1 Allora Orlando lo scudo abbandona 21.41.2 e 'l pome della spada appoggia al petto, 21.41.3 e 'nverso il saracin se stesso sprona, 21.41.4 quando e' sentì quel che 'l cugino ha detto; 21.41.5 e terminò passargli la persona: 21.41.6 giunse la punta al bellico al farsetto, 21.41.7 ch' era di ferro, ed ogni cosa infilza, 21.41.8 e passò il ventre e 'l fegato e la milza; 21.42.1 e rïuscì di drieto un braccio o piùe 21.42.2 il brando, che di sangue è fatto rosso; 21.42.3 e questo pilastron rovina giùe, 21.42.4 e mancò poco non gli cadde addosso, 21.42.5 se non ch' Orlando molto destro fue; 21.42.6 e parve che 'l terren si sia riscosso. 21.42.7 Della qual cosa in gran superbia monta 21.42.8 la fiera madre incantata Creonta. 21.43.1 Corse al romor come una spiritata; 21.43.2 prese Aldighieri, e tutto lo deserta 21.43.3 cogli unghion, com' una bestia arrabbiata; 21.43.4 travolge gli occhi e la bocca avea aperta: 21.43.5 non fu tanto Ericon mai infurïata. 21.43.6 Rinaldo l' aiutava con Frusberta, 21.43.7 ma di tagliarla la spada s' infigne; 21.43.8 allor Rinaldo la gola gli strigne. 21.44.1 Ell' aveva Aldighier ghermito in modo 21.44.2 che sare' me' abbracciare un orsacchino, 21.44.3 e pòrtanelo a forza e tiello sodo. 21.44.4 Orlando gli ponea le mani al crino, 21.44.5 ma non poteva ignun disfar tal nodo; 21.44.6 ed Aldighier gridava pur, meschino: 21.44.7 «Io credo che 'l dïavol m' abbi preso 21.44.8 e nello inferno mi porti di peso!». 21.45.1 Orlando allor gli mena della spada, 21.45.2 ma indrieto si ritorna Durlindana, 21.45.3 quantunque ella sia forte e ch' ella rada. 21.45.4 Dicea ridendo la donna pagana: 21.45.5 «Voi date al vento i colpi o la rugiada, 21.45.6 a ferir me, ch' ogni fatica è vana; 21.45.7 non ne potete aver di questo vello 21.45.8 per nessun modo, o uscir del castello». 21.46.1 Orlando tutto allor si raccapriccia, 21.46.2 e vede che costei gli dice il vero; 21.46.3 a tutti in capo ogni capel s' arriccia 21.46.4 veggendo quel demòn cotanto fiero, 21.46.5 la faccia brutta, affummicata, arsiccia: 21.46.6 non si dipigne tanto il diavol nero 21.46.7 quanto ha Creonta la lana e la pelle, 21.46.8 e più terribil boce che Smaelle. 21.47.1 Ella vedeva innanzi i figliuol morti: 21.47.2 pensa quanto dolor la misera abbia 21.47.3 e come questo in pace mai comporti, 21.47.4 massime avendo i suoi nimici in gabbia! 21.47.5 Poi si ricorda di mill' altri torti 21.47.6 pur de' suoi figli, e per grand' ira arrabbia, 21.47.7 come fa Salay\ del cadimento, 21.47.8 ch' udendol ricordar par sì scontento. 21.48.1 Poi diventò più che Niello gentile; 21.48.2 non parve più Beritte o Salyasse 21.48.3 o Squarciaferro, anzi si fece umìle; 21.48.4 né creder come Bocco tartagliasse, 21.48.5 ché come Nillo parlava sottile; 21.48.6 non par Sottìn, che in francioso parlasse, 21.48.7 non Obysìn per certo alla favella, 21.48.8 o Rugiadàn, che ne portò l' anella; 21.49.1 e non parea nel suo parlar Bilette, 21.49.2 che vïolòe il mandàl con certe chiocciole, 21.49.3 o Astaròt, che nel cavallo stette, 21.49.4 e sotto un besso gittò tante gocciole; 21.49.5 non Oratàs, quel che i pippion ci détte, 21.49.6 tanto ben par che sue parole snocciole; 21.49.7 ed Aldighier lasciò tutto dolente, 21.49.8 e cominciò a parlar discretamente: 21.50.1 «Io vi perdono, io vo' con tutti pace, 21.50.2 tanto m' aggrada vostra gagliardia; 21.50.3 e libero sia Gan come vi piace: 21.50.4 disposta son non vi far villania. 21.50.5 De' miei figliuol, quantunque e' mi dispiace, 21.50.6 altra vendetta non vo' che ne sia, 21.50.7 se non che mai di qui non uscirete; 21.50.8 e fate tutti ciò che far sapete». 21.51.1 Era ciascun tutto maravigliato, 21.51.2 e trasson di prigion subito Gano, 21.51.3 ch' era in una citerna incarcerato, 21.51.4 nell' acqua, in luogo molto oscuro e strano; 21.51.5 e come e' fu di prigion liberato, 21.51.6 e' pose presto alla spada la mano 21.51.7 e vuol Creonta a ogni modo uccidere; 21.51.8 e finalmente e' la vedeva ridere. 21.52.1 Orlando ed Ulivier si riprovorno, 21.52.2 e gli altri, se potessino ammazzalla, 21.52.3 e molti colpi alla donna menorno: 21.52.4 ella rideva, e 'l lor pensier pur falla. 21.52.5 Alcuna volta alla porta n' andorno: 21.52.6 quivi persona non era a guardalla; 21.52.7 ma per se stessa, come ignun s' accosta, 21.52.8 si riserrava ed apriva a sua posta. 21.53.1 Dunque e' si reston pur drento al castello, 21.53.2 ognun da questo error molto confuso. 21.53.3 Intanto Malagigi lor fratello, 21.53.4 gittando l' arte un giorno, come era uso, 21.53.5 vide e conobbe finalmente quello 21.53.6 come Rinaldo suo si sta rinchiuso, 21.53.7 e che questo è per forza di malia, 21.53.8 e subito a Guicciardo lo dicìa; 21.54.1 ed a Parigi presto ' Astolfo scrisse 21.54.2 che subito venissi a Montalbano. 21.54.3 Astolfo per camin tosto si misse, 21.54.4 tanto che tocca a Malgigi la mano, 21.54.5 quale ogni cosa di punto gli disse; 21.54.6 ed accordârsi tutti a mano a mano, 21.54.7 Guicciardo, Alardo, ire a trovar costoro; 21.54.8 per la qual cosa Antea volle ir con loro, 21.55.1 dicendo: «Io rivedrò Rinaldo mio». 21.55.2 E poi che molti giorni sono andati, 21.55.3 anzi volati, come fa il disio, 21.55.4 tre cavalier pagani hanno scontrati, 21.55.5 e salutârsi nel nome di Dio. 21.55.6 L' un di costor, come e' si son trovati, 21.55.7 guardava pur d' Astolfo il suo cavallo, 21.55.8 e non si vergognò di domandallo. 21.56.1 Era chiamato il saracin Liombruno, 21.56.2 nipote di Marsilio re di Spagna; 21.56.3 e dice: «Mai caval non vidi alcuno 21.56.4 che non avessi in sé qualche magagna; 21.56.5 salvo ch' io n' ho pure oggi veduto uno, 21.56.6 e 'ntendo che con meco si rimagna». 21.56.7 Diceva Astolfo: «Odi pensier fallace! 21.56.8 Quanto più il lodi, tanto più mi piace». 21.57.1 Ecco ch' ognun questo caval vorrebbe. 21.57.2 «Ah», disse Lïombrun, «tu non vuoi intendere!» 21.57.3 Diceva Astolfo: «E chi t' intenderebbe?». 21.57.4 Disse il pagan: «Chi ti facessi scendere». 21.57.5 Rispose Astolfo: «Più di me potrebbe». 21.57.6 «O s' tu nol vuoi giucar, donar né vendere, 21.57.7 vo' che tu l' abbi colla lancia in mano: 21.57.8 prendi del campo allor», disse il pagano. 21.58.1 Sanza più dir, rivoltati i cavalli, 21.58.2 abbassaron le lance con gran fretta; 21.58.3 ma, perché la sua regola non falli, 21.58.4 Astolfo si trovò sopra l' erbetta 21.58.5 tra mille odori e fior vermigli e gialli. 21.58.6 Alardo che 'l vedea: «Sia maladetta», 21.58.7 diceva, «Astolfo, la tua codardia! 21.58.8 Mai più cadesti, per la fede mia!». 21.59.1 Lïombruno il caval voleva allora. 21.59.2 Alardo disse: «Io il credo, tu il torresti! 21.59.3 E' c' è di molta via sassosa ancora. 21.59.4 Vedi che non se' oca, e beccheresti. 21.59.5 E' ti convien con meco giostrar ora, 21.59.6 e s' tu m' abbatti, vo' che tuo si resti; 21.59.7 ma non istimo come lui cadere, 21.59.8 ch' io non ismonto prima ch' a l' ostiere». 21.60.1 Lïombrun disse: «Tu fai villania, 21.60.2 ma non la stimo perch' io non ti prezzo. 21.60.3 Veggiam come tu smonti all' osteria: 21.60.4 tu ne potresti scender prima un pezzo. 21.60.5 Piglia del campo, e disfidato sia, 21.60.6 ch' io so di chi sarà il caval da sezzo». 21.60.7 Alardo si voltò sì destro e snello, 21.60.8 che ben parea di Rinaldo fratello. 21.61.1 «Ah» disse Antea, «e' si conosce bene 21.61.2 la prodezza del sangue di Chiarmonte!». 21.61.3 Or ecco Lïombrun che innanzi viene, 21.61.4 e colle lance si truovono a fronte; 21.61.5 ma il saracin d' Alardo non sostiene 21.61.6 il colpo, ch' egli arìa passato un monte: 21.61.7 la lancia gli trapassa il cor pel mezzo, 21.61.8 e morto cadde tra' fioretti al rezzo. 21.62.1 Diceva l' un coll' altro suo compagno: 21.62.2 «Questo sarebbe troppo a' paladini: 21.62.3 qui è poca civanza e men guadagno; 21.62.4 costor non son per certo saracini: 21.62.5 e' sarà buon mostrar loro il calcagno 21.62.6 e ritornarci ne' nostri confini»; 21.62.7 e fecion come e' disson, tosto e netto, 21.62.8 però che tolson su presto il sacchetto. 21.63.1 Astolfo si tenea vituperato, 21.63.2 massimamente perché e' v' era Antea, 21.63.3 e 'l me' ch' e' può del cader s' è scusato: 21.63.4 «Questo destrier ch' io cavalco», dicea, 21.63.5 «da poco in qua è restio diventato: 21.63.6 mentre la lancia correr mi credea, 21.63.7 mi dibatté, perché e' giucò di schiena; 21.63.8 io mi lasciai cader giù per la pena». 21.64.1 Diceva Antea: «Che ti bisogna scusa? 21.64.2 Non ho io bene ogni cosa veduto? 21.64.3 E se tu fussi pur cascato, e' s' usa». 21.64.4 Guicciardo, poi che molto ebbe taciuto, 21.64.5 non poté più tener la bocca chiusa, 21.64.6 e disse: «Mai più, Astolfo, se' caduto: 21.64.7 questo caval si vorrebbe impiccare, 21.64.8 ché mille volte t' ha fatto cascare». 21.65.1 Malagigi tagliava le parole; 21.65.2 Astolfo sopra 'l suo caval rimonta. 21.65.3 Cavalcono alla luna tanto e al sole, 21.65.4 che capitorno al castel di Creonta. 21.65.5 Malgigi certo incanto, come e' suole, 21.65.6 fece all' entrar, ché l' arte aveva pronta, 21.65.7 e innanzi a tutti gli altri fa la scorta; 21.65.8 e dove e' giugne, s' apriva ogni porta. 21.66.1 Giunsono in piazza, e l' abbracciate fanno; 21.66.2 non conosceva Aldighier, Malagigi: 21.66.3 e' gli dicìen come trovato l' hanno, 21.66.4 e che volevon menarlo a Parigi; 21.66.5 poi di Creonta tutto ciò che sanno. 21.66.6 Malgigi guarda i suoi brutti vestigi, 21.66.7 e lei pur lui, e par piena d' angosce, 21.66.8 ché l' un dïavol ben l' altro conosce. 21.67.1 Dicea Malgigi: «Io ero a Montalbano, 21.67.2 e vidivi qua tutti in gran periglio, 21.67.3 e mandai per Astolfo a mano a mano, 21.67.4 e d' aiutarvi facemo consiglio». 21.67.5 Rinaldo intanto tenea per la mano 21.67.6 Antea, che 'l volto avea tutto vermiglio, 21.67.7 e sente amaro e dolce e freddo e caldo, 21.67.8 e non si sazia di guatar Rinaldo. 21.68.1 «Perché intendiate», seguitava poi 21.68.2 Malgigi, «e' ci sarà da far pur molto, 21.68.3 disse colui che non ferrava i buoi 21.68.4 ma l' oche, e già lo 'ncastro aveva tolto. 21.68.5 Questa crudel con certi incanti suoi 21.68.6 (diciàn più pian, ch' io la veggo in ascolto) 21.68.7 ha fatta certa imagine di cera, 21.68.8 come colei c' ha l' arte tutta intera; 21.69.1 e 'n certa parte sta di quel palagio, 21.69.2 ed un dragone appresso v' è a guardalla. 21.69.3 Tanto è che più di lei sarò malvagio; 21.69.4 ma questa donna bisogna piglialla 21.69.5 e tenerla qui tanto, ch' a bell' agio 21.69.6 io possa, questa imagine, guastalla; 21.69.7 e nel guastar questa figura orribile, 21.69.8 vedrete a costei far cose terribile. 21.70.1 Rinaldo sol con meco ne verrà, 21.70.2 ché mi bisogna un compagno menare, 21.70.3 e colla spada il dragone uccidrà. 21.70.4 Or oltre, tempo non è qui da stare». 21.70.5 Orlando inverso Creonta ne va, 21.70.6 che cominciava gli occhi a sfavillare 21.70.7 e far certe carattere già in terra; 21.70.8 ed Ulivieri e gli altri ognun l' afferra. 21.71.1 A gran fatica tener la potiéno: 21.71.2 ella metta talvolta certe strida 21.71.3 che par che dello inferno proprio siéno. 21.71.4 Malgigi intanto Rinaldo su guida 21.71.5 dove getta il dragon fuoco e veleno, 21.71.6 e dice quanto può presto l' uccida. 21.71.7 Rinaldo, senza fargli altra risposta, 21.71.8 a quel dragon con Frusberta s' accosta. 21.72.1 Non domandar come il drago si cruccia 21.72.2 e come e' vide Rinaldo, si rizza. 21.72.3 Rinaldo trasse, e la spada gli smuccia 21.72.4 al collo, tal che gli cava la stizza, 21.72.5 ch' appena sol si tenev' a la buccia; 21.72.6 tanto che poco la coda più guizza. 21.72.7 Dunque Rinaldo è quel ch' uccise il drago, 21.72.8 e fe' di sangue e di veleno un lago. 21.73.1 Malgigi a quella imagine s' accosta, 21.73.2 ch' era fatta di cera pura e bella 21.73.3 delle prime ape, molto ben composta 21.73.4 sotto costellazion d' alcuna stella, 21.73.5 con tutti i membri insino a una costa; 21.73.6 e sopra il destro piè si posa quella, 21.73.7 sospeso avendo la sinistra gamba 21.73.8 di scorcio, strana, orribil, tòrta e stramba. 21.74.1 La faccia aveva sopra tutto fiera. 21.74.2 Malgigi, che sapea di punto il giuoco, 21.74.3 fece per arte, ché l' aveva vera, 21.74.4 presto apparire un gran lampo di fuoco 21.74.5 che s' appiccò di tratto a quella cera, 21.74.6 e struggela e consuma a poco a poco. 21.74.7 E mentre che così la cera scema, 21.74.8 l' aria e la terra ed ogni cosa triema. 21.75.1 Rinaldo più d' un tratto s' è riscosso, 21.75.2 per la paura che gli entrò nel cuore; 21.75.3 Malgigi gli facea sigilli addosso, 21.75.4 e disse: «Non aver di ciò timore; 21.75.5 fa che per nulla tu non ti sia mosso: 21.75.6 vedrai che presto cesserà il furore». 21.75.7 Ma in questo che l' imagin si struggea, 21.75.8 mirabil cose la donna facea. 21.76.1 Ella si storce, rannicchia e raggruppa, 21.76.2 poi si distende come serpe o bisce, 21.76.3 poi si raccoglie e tutta s' avviluppa; 21.76.4 ella si graffia e percuote e stridisce; 21.76.5 e tutta l' aria in un tratto s' inzuppa 21.76.6 di piogge e venti e co' tuoni squittisce, 21.76.7 e grandine e tempeste e 'ncendii e furie 21.76.8 cominciono apparir con triste agurie. 21.77.1 Orlando, benché ognuno abbi paura, 21.77.2 ed Ulivieri e gli altri tenien forte 21.77.3 colei, che si divora per l' arsura 21.77.4 ch' a poco a poco la conduce a morte: 21.77.5 come si distruggea quella figura 21.77.6 (tanto che tosto aperte fìen le porte), 21.77.7 parea ch' a forza l' anima si svella, 21.77.8 e come Meleagro ardessi quella. 21.78.1 E finalmente morta si distende 21.78.2 come fu quella imagine distrutta. 21.78.3 Allor Malgigi del palagio scende, 21.78.4 e l' aria rischiarata era già tutta; 21.78.5 e ciascun grazia a Malagigi rende 21.78.6 che spenta ha questa cosa così brutta 21.78.7 e liberati da tormento e affanno: 21.78.8 ed alcun giorno a riposarsi stanno. 21.79.1 Un dì non si poté tenere Alardo 21.79.2 che non dicessi come il fatto era ito 21.79.3 d' Astolfo, che facea sì del gagliardo. 21.79.4 Rinaldo, quando questo ebbe sentito, 21.79.5 lo dileggiava e chiamaval codardo; 21.79.6 tanto ch' Astolfo si tenne schernito, 21.79.7 e per isdegno e per grand' ira caldo, 21.79.8 trasse la spada per dare a Rinaldo. 21.80.1 Rinaldo si scostò, dicendo: «Matto! 21.80.2 che vuoi tu fare? Io intendo riguardarti, 21.80.3 com' io t' ho riguardato più d' un tratto; 21.80.4 ma da qui innanzi di questo atto guârti». 21.80.5 Orlando gli dispiacque questo fatto, 21.80.6 e disse con Rinaldo: «Tu ti parti, 21.80.7 per Dio, dalla ragion, ch' Astolfo nostro 21.80.8 più che fratello amor sempre ci ha mostro». 21.81.1 E mancò poco che non l' appiccava 21.81.2 Orlando con Rinaldo, la schermaglia; 21.81.3 se non che pur Rinaldo si chetava, 21.81.4 ché sa, quando e' s' adira, quel che e' vaglia. 21.81.5 Astolfo tanto di ciò s' infiammava, 21.81.6 che in qua ed in là come un lïon si scaglia; 21.81.7 e dipartissi la seguente notte, 21.81.8 e tutte loro imprese ha guaste e rotte. 21.82.1 Però noi non facciam mai ignun disegno, 21.82.2 ch' un altro non ne faccia la Fortuna; 21.82.3 e dà sempre nel brocco a mezzo il segno 21.82.4 sanza pietà, sanza ragione alcuna: 21.82.5 questa persegue i buon, perché gli ha a sdegno, 21.82.6 insin che v' è delle barbe solo una; 21.82.7 e fa de' matti savi e i savi matti, 21.82.8 e chi prestar vorrebbe, ch' egli accatti. 21.83.1 Astolfo va per un luogo deserto, 21.83.2 di qua, di là, come avvien gli smarriti. 21.83.3 Era di notte; un lume s' è scoperto, 21.83.4 dove abitavan tre santi romiti, 21.83.5 ch' avien più tempo disagio sofferto 21.83.6 per riposarsi agli etterni conviti. 21.83.7 Astolfo, come vide il lumicino, 21.83.8 subito inverso quel prese il cammino. 21.84.1 Giunto a' romiti, la porta bussava 21.84.2 e ricettato fu nel romitoro. 21.84.3 La notte certi pagan v' arrivava 21.84.4 e 'mbavagliorno e ruborno costoro; 21.84.5 e perché pure il bottin magro andava, 21.84.6 d' Astolfo anco il caval vollon con loro. 21.84.7 Astolfo si destava; essendo desto, 21.84.8 di questo caso s' accorgeva presto; 21.85.1 e sciolti que' romiti e sbavagliati, 21.85.2 e' domandò donde e' preson la via 21.85.3 color che gli hanno così mal trattati. 21.85.4 Un di costoro ' Astolfo rispondia: 21.85.5 «Lasciagli andar, ché saran ben pagati 21.85.6 de' lor peccati e d' ogni colpa ria 21.85.7 da quel Signor che etterno ha stabilito 21.85.8 che 'l ben sia ristorato e 'l mal punito. 21.86.1 Questi son rubator che sempre stanno 21.86.2 per questi boschi, e son gente bestiale, 21.86.3 ed altra volta già rubati ci hanno. 21.86.4 Ma non ci manca il pane celestiale, 21.86.5 e sempre ci ristora d' ogni danno. 21.86.6 Se gli trovassi, e' ti potrien far male: 21.86.7 lasciagli andar, ché Iddio ragguaglia tutto 21.86.8 e rende a' servi suoi merito e frutto». 21.87.1 Rispose Astolfo: «A cotesta mercede 21.87.2 non intend' io di star, del mio destriere; 21.87.3 ch' io so ch' io me n' andrei sanz' esso a piede, 21.87.4 e 'l Signor vostro si staria a vedere. 21.87.5 Questa vostra speranza e questa fede 21.87.6 a me non détte mai mangiar né bere: 21.87.7 io intendo ritrovare il mio cavallo, 21.87.8 e farò forse lor caro costallo». 21.88.1 E missesi a cercar tanto, che pure 21.88.2 e' gli trovò che sono in su 'n un prato, 21.88.3 e stanno a riposarsi alle verzure, 21.88.4 e 'l caval si pascea così sellato: 21.88.5 avean chi lance, chi spade e chi scure. 21.88.6 Astolfo a un di lor si fu accostato, 21.88.7 gridando: «Traditor, ladron di strada!», 21.88.8 e 'nsino al mento gli cacciò la spada. 21.89.1 L' altro gli mena con una giannetta; 21.89.2 Astolfo vede la punta venire, 21.89.3 e con un colpo tagliò l' aste netta, 21.89.4 poi con un altro lo fece morire. 21.89.5 Addosso agli altri compagni si getta, 21.89.6 tanto che tutti gli ha fatti stordire: 21.89.7 quattro n' uccide di dieci pagani, 21.89.8 agli altri il collo legava e le mani. 21.90.1 E rimontò sopra 'l suo palafreno, 21.90.2 e inverso il romitoro si tornava. 21.90.3 Quando i romiti i mascalzon vediéno, 21.90.4 ognun d' Astolfo si maravigliava, 21.90.5 e ringraziorno lo Iddio nazareno. 21.90.6 Astolfo a questi romiti parlava: 21.90.7 «Io vo' che voi impicchiate a ogni modo 21.90.8 questi ladron pien di malizia e frodo». 21.91.1 Dicevano i romiti: «Fratel nostro, 21.91.2 Iddio non vuol che giustizia si faccia: 21.91.3 pertanto questo uficio si fia vostro». 21.91.4 Diceva Astolfo: «Io credo ch' a Dio piaccia 21.91.5 più questo assai che dire il paternostro, 21.91.6 se vero è che i cattivi gli dispiaccia. 21.91.7 Cavate fuor le cappe, e fate presto, 21.91.8 e tutti gli appiccate a un capresto». 21.92.1 Questi romiti fanno del vezzoso 21.92.2 e par ch' ognun di lor si raccapricci. 21.92.3 Astolfo, ch' era irato e dispettoso, 21.92.4 comincia a bastonargli come micci, 21.92.5 dicendo: «Al cul l' arà chi fia ghignoso!», 21.92.6 tanto che fuor balzorono i cilicci, 21.92.7 sentendo fra Mazzon che scuote i panni, 21.92.8 e parean tutti all' arte usi cent' anni. 21.93.1 Astolfo se ne va pur poi soletto 21.93.2 per questa selva, ove la via lo porta, 21.93.3 sanza certo proposito o concetto. 21.93.4 Lasciallo andar, che l' angiol gli sia scorta. 21.93.5 Orlando si recò questo in dispetto, 21.93.6 ed una notte uscì fuor della porta 21.93.7 e vassene soletto di nascosto, 21.93.8 ché ritrovare Astolfo avea disposto. 21.94.1 Rinaldo alla sua vita mai non fue 21.94.2 peggio contento, quanto a questa volta. 21.94.3 Diceva Antea: «Che facciàn noi qui piùe? 21.94.4 Ogni nostra speranza veggo tolta. 21.94.5 Io v' accomando al vostro Iddio Gesùe, 21.94.6 e inverso Bambillona darò volta». 21.94.7 Rinaldo e gli altri ognun presto dicìa 21.94.8 che gli volean far tutti compagnia. 21.95.1 E piangon tutti quanti il conte Orlando, 21.95.2 e' ne 'ncresceva insino al traditore 21.95.3 di Ganellone, e sempre lacrimando: 21.95.4 «Dove se' tu», dicea «mio car signore?». 21.95.5 E così giorno e notte cavalcando, 21.95.6 avendo Orlando pur fitto nel core, 21.95.7 a Bambillona condotta hanno Antea, 21.95.8 che del suo mal più da presso piangea. 21.96.1 Non v' ha trovato il suo misero padre, 21.96.2 che lo lasciò contento e sì felice; 21.96.3 non vi rivede più l' usate squadre, 21.96.4 e molte cose lamentabil dice. 21.96.5 Rinaldo con parole assai leggiadre 21.96.6 diceva: «Qui regina e imperatrice 21.96.7 ti lascerò della tua patria antica; 21.96.8 e so che Orlando vuol che così dica». 21.97.1 Adunque in Bambillona Antea si resta, 21.97.2 e fu da tutto il popol vicitata, 21.97.3 e non si potre' dir con quanta festa 21.97.4 da' cittadin costei fussi onorata; 21.97.5 e la corona real tiene in testa 21.97.6 e la città parea risucitata. 21.97.7 Rinaldo si posò quivi alcun giorno, 21.97.8 e tutti insieme poi s' accomiatorno. 21.98.1 E con molti sospir cercando vanno 21.98.2 se potessin trovar per Pagania 21.98.3 Orlando, e dove e' cerchin già non sanno. 21.98.4 A Monaca n' andâr di compagnia, 21.98.5 e Greco e Chiarïon qui trovato hanno 21.98.6 e domandâr quel che d' Orlando sia; 21.98.7 Rinaldo rispondea che 'l suo fratello 21.98.8 si partì per disdegno dal castello. 21.99.1 Molto di questo Greco e Chiarïone 21.99.2 si dolfono, e così la damigella; 21.99.3 e mandono spiando assai persone 21.99.4 per le città, per ville e per castella, 21.99.5 se si trovassi il figliuol di Mellone, 21.99.6 né altro mai che di lui si favella; 21.99.7 e Greco e Chiarïon molto onoravano 21.99.8 Rinaldo e gli altri, perché assai gli amavano. 21.100.1 Così con Chiarïon lasciamo un poco 21.100.2 in Monaca costoro a riposare. 21.100.3 Astolfo andava d' uno in altro loco 21.100.4 sanza saper dove egli abbia arrivare, 21.100.5 come falcon che s' è levato a giuoco 21.100.6 ed ha disposto paese vagare 21.100.7 e non tornare al suo signor più a segno, 21.100.8 come spesso addivien per qualche sdegno. 21.101.1 Così faceva il nostro paladino, 21.101.2 tanto che in Barberia già si ritruova, 21.101.3 dove era una città d' un saracino 21.101.4 ch' avea trovata una sua fede nuova: 21.101.5 non crede in Cristo, non in Apollino, 21.101.6 non Macometto o Trivigante appruova, 21.101.7 anzi adorar fa sé, ch' era gigante 21.101.8 molto superbo e detto Chiaristante; 21.102.1 e la città Corniglia si dicea, 21.102.2 e Filiberta si chiama la moglie: 21.102.3 dipinti questi due nella moschea 21.102.4 erano iddii; e 'l popol quivi accoglie, 21.102.5 e per paura adorar si facea. 21.102.6 Volea cavarsi tutte le sue voglie, 21.102.7 e virgine ogni dì per forza prende, 21.102.8 poi le metteva ove il buon vin si vende. 21.103.1 Avea già fatte tante crudeltade, 21.103.2 che tutto il regno suo l' odiava a morte. 21.103.3 Astolfo, capitando alla cittade, 21.103.4 dismonta a un ostier fuor delle porte, 21.103.5 e 'ntese da costui la veritade, 21.103.6 come il signor governava sua corte 21.103.7 con tanta infamia, ingiustizia e vergogna; 21.103.8 e riposossi, perché e' gli bisogna. 21.104.1 Or non lasciàn però per sempre Orlando. 21.104.2 E' si partì donde morì Creonta; 21.104.3 a que' romiti venìa capitando, 21.104.4 dove alcun ghiotto i buon bocconi sconta. 21.104.5 Un de' romiti gli vien raccontando 21.104.6 di que' ladroni (e la storia avea pronta), 21.104.7 come impiccar gli fece un cavaliere, 21.104.8 perché gli avevon rubato il destriere. 21.105.1 Ma e' si dolieno ancor delle mazzate, 21.105.2 ch' Astolfo aveva lor le schiene rotte, 21.105.3 un poco le schiavine rassettate; 21.105.4 ma de' ladron che rimisson le dotte, 21.105.5 lo ringraziavon per la sua bontate. 21.105.6 Orlando si posò quivi la notte 21.105.7 e fece carità di quel che v' era 21.105.8 il me' che può co' romiti la sera. 21.106.1 E poi ch' ognun di lor fu addormentato, 21.106.2 l' angiol di Dio apparve in visïone 21.106.3 a un romito, ed hallo salutato, 21.106.4 dicendo: «Sappi che questo barone 21.106.5 è il conte Orlando, ch' avete albergato: 21.106.6 fategli onor, ch' egli è il nostro campione. 21.106.7 Quel che impiccò color, fu il suo cugino 21.106.8 chiamato Astolfo, un altro paladino». 21.107.1 E 'l simigliante a Orlando apparì 21.107.2 l' angiol dicendo: «Orlando, che farai? 21.107.3 Sappi ch' Astolfo tuo capitò qui, 21.107.4 e presto sano e salvo il troverrai, 21.107.5 non passerà da ora il sesto dì; 21.107.6 ché domattina di qui partirai. 21.107.7 Non ti dolere, o baron giusto e pio, 21.107.8 come tu fai, ché ciò non piace a Dio». 21.108.1 Orlando la mattina, risentito, 21.108.2 subito a Vegliantin mette la sella. 21.108.3 Intanto a lui ne veniva il romito 21.108.4 e dicegli dell' angiol la novella, 21.108.5 sì come in visïon gli era apparito 21.108.6 mentre ch' e' si dormia nella sua cella; 21.108.7 e molta riverenzia gli facìa: 21.108.8 Orlando l' abbracciò, poi si partia. 21.109.1 E dirizzossi giù per un vallone, 21.109.2 dove ha trovato un orribil serpente 21.109.3 che s' azzuffava con un bel grifone. 21.109.4 Orlando a questo fatto pose mente, 21.109.5 e piacegli veder la lor quistione; 21.109.6 ma quel grifone alfin resta perdente, 21.109.7 perché il serpente gli avvolge la coda 21.109.8 un tratto al collo e con esso l' annoda. 21.110.1 Parve il grifone a Orlando sì bello 21.110.2 (e mai più forse non n' avea veduto), 21.110.3 che terminò d' aiutar questo uccello; 21.110.4 e con un ramo di faggio fronduto 21.110.5 détte al serpente, e liberato ha quello, 21.110.6 e 'l suo nimico giù morto è caduto: 21.110.7 donde il grifon ne va per l' aria a volo, 21.110.8 Orlando al suo cammin pensoso e solo. 21.111.1 Poco più oltre quattro gran lïoni 21.111.2 trovava, e Vegliantin tutto è aombrato 21.111.3 quando ha veduto questi compagnoni. 21.111.4 L' uno a Orlando ne vien difilato, 21.111.5 apre la bocca e distende gli unghioni. 21.111.6 Orlando Durlindana nel costato 21.111.7 gli cacciò tutta, fuor che l' elsa e 'l pome: 21.111.8 gli altri l' assalton non ti dico come. 21.112.1 Orlando i colpi allor misura e 'nsala, 21.112.2 però ch' a mal partito si vedea. 21.112.3 Ecco il grifon che per l' aria giù cala 21.112.4 con tal furor che non si conoscea 21.112.5 se fussi un vento oppur uccel con l' ala; 21.112.6 ed un lïon che più pressa facea 21.112.7 al conte Orlando, con gli unghion ghermia 21.112.8 agli occhi, tal che schizzar gliel facìa. 21.113.1 Questo lïon dalla zuffa si spicca; 21.113.2 Orlando un altro col brando n' uccide; 21.113.3 e poi col quarto il grifon si rappicca 21.113.4 per aiutare Orlando, e in aria stride, 21.113.5 e poi in un tratto gli artigli gli ficca 21.113.6 nel capo e strinse insin che morto il vide, 21.113.7 ché gli cacciò gli unghion fino al cervello: 21.113.8 adunque buon amico è questo uccello. 21.114.1 Non si perde servigio mai nessuno: 21.114.2 servi qualunque, e non guardar chi sia, 21.114.3 dice il proverbio; e s' tu disservi alcuno, 21.114.4 pensa che a tempo la vendetta fia; 21.114.5 ma semina tra' sassi o sotto il pruno, 21.114.6 sempre germuglia alfin la cortesia; 21.114.7 e noti ognun la favola d' Isopo, 21.114.8 che il lïone ebbe bisogno d' un topo. 21.115.1 Vuolsi servire insino agli animali, 21.115.2 ché qualche volta merito si rende, 21.115.3 come dicono i Detti de' morali, 21.115.4 e fassi schiavo chi il servigio prende; 21.115.5 e tanto è degno più, quanto più vali: 21.115.6 sempre il servigio il cuor d' amor raccende, 21.115.7 e vien da generoso animo e magno, 21.115.8 e torna alfine a casa con guadagno. 21.116.1 Quel lïon cieco, il grifon non l' offese 21.116.2 per gentilezza, e così fece Orlando; 21.116.3 e finalmente le grande ale stese 21.116.4 e dipartissi per l' aria volando; 21.116.5 e così il suo camino Orlando prese, 21.116.6 Astolfo pure all' usato cercando. 21.116.7 E cavalcando giorno e notte questo, 21.116.8 giunse a Corniglia, abbrevïando il testo. 21.117.1 E dismontato a uno oste pagano, 21.117.2 attese Vegliantino a ristorare, 21.117.3 ch' era più giorni per coste e per piano 21.117.4 andato, ed apparato a digiunare. 21.117.5 Or lasciam riposarlo lieto e sano: 21.117.6 ' Astolfo ci bisogna ritornare, 21.117.7 che col suo oste fuor della cittate 21.117.8 si stava, e molte cose ha ragionate. 21.118.1 Videl turbato un dì tutto nel volto, 21.118.2 e la cagion di ciò volle sapere; 21.118.3 e' gliele disse sanza pregar molto: 21.118.4 che 'l signor vuol la sua figlia tenere, 21.118.5 se non che gli sarà l' albergo tolto 21.118.6 con essa insieme, e la vita e l' avere; 21.118.7 ma che più tosto morire è contento, 21.118.8 che ubbidir questo comandamento; 21.119.1 e la figliuola di sua mano uccidere, 21.119.2 innanzi che veder tanta vergogna, 21.119.3 ché si sentia di duolo il cor dividere. 21.119.4 Astolfo disse: «Questo non bisogna: 21.119.5 forse ch' ancor di ciò potresti ridere. 21.119.6 Or manda a Chiaristante a dir se sogna; 21.119.7 o, se ci manda più suo messaggiero, 21.119.8 fa ch' io lo vegga, e lascia a me il pensiero». 21.120.1 Ben sai che Chiaristante non soggiorna: 21.120.2 a mano a mano un messo gli raccocca. 21.120.3 Disse l' ostiere: «Il messaggier ritorna». 21.120.4 Rispose Astolfo: «Non ci aprir tu bocca». 21.120.5 Costui dicea che la fanciulla adorna 21.120.6 si mandi a corte presto, e pur ritocca. 21.120.7 Astolfo allo scudier quivi s' accosta, 21.120.8 e disse: «Io ti farò per lui risposta. 21.121.1 Rispondi in questo modo a Chiaristante: 21.121.2 che 'l popol suo l' ha troppo comportato, 21.121.3 ma che e' potrebbe farne tante e tante, 21.121.4 che d' ogni cosa sarà poi purgato. 21.121.5 Non si dice altro per tutto Levante 21.121.6 se non di questo tristo scelerato: 21.121.7 guarda con quanta faccia pur sollecita, 21.121.8 come se fussi qualche cosa lecita!». 21.122.1 Quel messaggio le stimite faceva, 21.122.2 e dice: «Tu debbi esser qualche pazzo». 21.122.3 Astolfo un' altra volta gli diceva: 21.122.4 «Ritórnati al signor, dico, al palazzo». 21.122.5 L' oste si tacque e nulla rispondeva. 21.122.6 Disse colui: «La cosa va di guazzo! 21.122.7 Questo poltron riprende il signor nostro! 21.122.8 Lascia ch' io torni, e fiagli l' error mostro». 21.123.1 Vanne al signor come un gatto arrostito 21.123.2 subito, e 'nginocchiossi il damigello 21.123.3 e dice ciò ch' egli aveva sentito. 21.123.4 Disse il signor: «Chi fia quel ladroncello? 21.123.5 E' sarà qualche matto che è smarrito. 21.123.6 Ma l' oste non rispose nulla a quello?». 21.123.7 Disse il sergente: «E' s' intendea con lui; 21.123.8 e non mi pare un matto anco, costui». 21.124.1 Rispose Chiaristante: «Or torna tosto: 21.124.2 digli che vengan lui e l' oste a me; 21.124.3 ma e' si sarà o fuggito o nascosto». 21.124.4 Dicea il messaggio: «Non fia, per mia fé, 21.124.5 fuggito, in modo ti dico ha risposto». 21.124.6 Astolfo stava armato e sopra sé, 21.124.7 e disperato va cercando guerra. 21.124.8 E 'ntanto il messo torna dalla terra, 21.125.1 e dice: «Tu, che rispondesti dianzi, 21.125.2 dice il signor che l' oste e tu vegnate 21.125.3 a corte presto: avvïatevi innanzi»; 21.125.4 e vuogli mandar fuor con le granate. 21.125.5 Rispose Astolfo: «Acciò che tempo avanzi, 21.125.6 di' al signor m' aspetti alla cittate, 21.125.7 se meco vuol provarsi; e digli come, 21.125.8 se e' nol sapessi, Gallïano ho nome; 21.126.1 e ch' io farò forse costargli caro 21.126.2 questa imbasciata, e vengo ora a trovallo». 21.126.3 Il messo torna con un viso amaro, 21.126.4 e disse: «E' viene a trovarvi a cavallo, 21.126.5 e dice è Gallian, per farti chiaro 21.126.6 (e' mi faceva paura a guardallo), 21.126.7 e che se voi volete la donzella, 21.126.8 la vuol con voi giostrar sopra la sella». 21.127.1 A Chiaristante parve il fatto strano, 21.127.2 e disse: «Di' che venga in su la piazza 21.127.3 a ritrovarmi questo Gallïano, 21.127.4 o vuol con lancia o con ispada o mazza: 21.127.5 vedren chi fia questo poltron villano, 21.127.6 ch' io non intendo questa cosa pazza». 21.127.7 Il messo ' Astolfo all' ostier ritornòe. 21.127.8 Astolfo armato alla terra n' andòe. 21.128.1 L' oste gli pare Astolfo uom molto degno, 21.128.2 e dice: «Forse Iddio l' ha qui mandato. 21.128.3 Ma sia chi vuol, ch' io vo' con questo sdegno 21.128.4 morir, più tosto che essere sforzato»; 21.128.5 e disse: «Va, Macon sia tuo sostegno». 21.128.6 Astolfo in su la piazza è capitato, 21.128.7 ed ognun corre a vedere il giostrante; 21.128.8 e in questo tempo s' arma Chiaristante. 21.129.1 Orlando che sentito ha già il romore 21.129.2 come in piazza era venuto un guerriere 21.129.3 il qual provar si volea col signore, 21.129.4 presto s' armò per andare a vedere. 21.129.5 Ma l' ostier suo, per non pigliare errore, 21.129.6 volle che pegno lasciassi il destriere, 21.129.7 ché non istà degli scotti alla fede; 21.129.8 poi gliene increbbe veggendolo a piede; 21.130.1 e disse: «Torna, e 'l caval tuo ne mena 21.130.2 come persona libera e discreta». 21.130.3 Orlando scoppia di duolo e di pena, 21.130.4 ché da pagar non aveva moneta, 21.130.5 e Vegliantin non si reggeva appena; 21.130.6 questo gli fa tener la bocca cheta: 21.130.7 non gli par tempo a contender gli scotti, 21.130.8 e disse: «Per Macon, ristorerotti!»; 21.131.1 che solea sempre dar bastoni o spade 21.131.2 all' oste, quando i danar gli mancavano. 21.131.3 Mentre ch' Orlando va per la cittade, 21.131.4 e' fanciulli a diletto il dileggiavano, 21.131.5 ché Vegliantino a ogni passo cade, 21.131.6 e le risa ogni volta si levavano, 21.131.7 dicendo, insin che in su la piazza è giunto: 21.131.8 «Chi è questo uccellaccio così spunto? 21.132.1 Questo caval bisogno are' d' un maggio 21.132.2 che fussi almeno un anno, non un mese». 21.132.3 Orlando se n' andava a suo vïaggio, 21.132.4 e ciò che si dicea per tutto intese, 21.132.5 però che e' sapea bene ogni linguaggio. 21.132.6 Un saracin per la briglia lo prese, 21.132.7 come alcun si diletta di far male, 21.132.8 e sfibbia a Vegliantino il barbazzale, 21.133.1 e per ischerno gli trasse la briglia. 21.133.2 Orlando non poté sofferir più, 21.133.3 e con un pugno la gota e le ciglia 21.133.4 e 'l naso e gli occhi gli cacciava giù: 21.133.5 ognun che 'l vide n' avea maraviglia, 21.133.6 ché mai tal pugno veduto non fu; 21.133.7 poi scese in terra, di disdegno pieno, 21.133.8 e racconciava a Vegliantino il freno. 21.134.1 Colui, ch' avea del viso forse il terzo, 21.134.2 trasse la spada ch' aveva a' galloni, 21.134.3 però che questo non gli pare scherzo. 21.134.4 Orlando lo deserta co' punzoni: 21.134.5 pensa che s' egli avessi avuto il berzo, 21.134.6 morto l' arebbe con due rugioloni. 21.134.7 Un tratto nella tempia un glien' accocca, 21.134.8 che gli facea il cervel uscir per bocca: 21.135.1 e risaltò di netto in sul cavallo 21.135.2 sanza staffa operar, coll' armadura, 21.135.3 tanto ch' ognuno stupiva a guardallo 21.135.4 e scostasi dallato per paura. 21.135.5 Intanto Chiaristante viene al ballo, 21.135.6 e se saprà ballar, porrenvi cura. 21.135.7 Astolfo lo minaccia e svergognava, 21.135.8 e poi si scosta e del campo pigliava, 21.136.1 e l' uno e l' altro sollecita e sprona. 21.136.2 Il saracino Astolfo riscontrava: 21.136.3 l' aste non resse, benché fussi buona; 21.136.4 quella d' Astolfo non si dicrollava, 21.136.5 e tutto il petto al saracino intruona, 21.136.6 tanto che nulla lo scudo approdava, 21.136.7 e pose lui e 'l cavallo a giacere, 21.136.8 ed una staffa perdé nel cadere. 21.137.1 Poi si rizzò, lui e 'l destrier, su presto. 21.137.2 Diceva Astolfo: «Tu se' mio prigione». 21.137.3 Disse il pagano: «E' non sarebbe onesto, 21.137.4 ché fu difetto del caval rozzone». 21.137.5 Rispose Astolfo: «E chi giudica questo?». 21.137.6 «Colui ch' uccise un qua con un punzone», 21.137.7 disse il pagan, ch' Orlando avea veduto, 21.137.8 e molto gli era quell' atto piaciuto. 21.138.1 Rispose Astolfo: «Sia quel delle pugna». 21.138.2 Orlando détte a Chiaristante il torto. 21.138.3 Disse il pagan: «Tedesco pien di sugna, 21.138.4 vedi ch' io non t' avevo bene scorto, 21.138.5 che déi succiar più vin ch' acqua la spugna. 21.138.6 Io veggo ben che tu mi guati torto: 21.138.7 non fu mai guercio di malizia netto, 21.138.8 ch' io ti conosco insin drento all' elmetto». 21.139.1 Rispose Orlando: «Tu mi domandasti: 21.139.2 non vuoi tu ch' io risponda al parer mio? 21.139.3 Tu sai che l' una staffa abbandonasti: 21.139.4 ognun giudicherà come ho fatto io. 21.139.5 Ma s' a tuo modo, pagan, non cascasti 21.139.6 e di cader di nuovo hai pur disio, 21.139.7 così cattivo e guercio come hai detto, 21.139.8 con teco giosterrò, per Macometto! 21.140.1 Vero è che 'l mio caval, come ognun vede, 21.140.2 è molto magro e stracco e ricaduto; 21.140.3 ma noi possiam provar le spade a piede». 21.140.4 Rispose Astolfo: «Questo è ben dovuto»; 21.140.5 e quel, che fussi Orlando, mai non crede. 21.140.6 Orlando avea ben lui già conosciuto, 21.140.7 ma perché e' parla come saracino, 21.140.8 non si conosce lui, né Vegliantino. 21.141.1 «E se tu vuoi ch' io ti presti il cavallo», 21.141.2 diceva Astolfo, «io son molto contento». 21.141.3 Rispose il saracin: «Se vuoi accettallo, 21.141.4 noi proverrem questo tuo ardimento, 21.141.5 da poi che m' ha invitato un vil vassallo; 21.141.6 ché de' tuoi par ne vo' dintorno cento». 21.141.7 Rispose Orlando: «E' basterà forse uno». 21.141.8 Tanto è che preson del campo ciascuno. 21.142.1 Chiaristante credette un uom di paglia 21.142.2 trovar, che si lasciassi il mantel tôrre, 21.142.3 e con gran furia par ch' Orlando assaglia, 21.142.4 e ruppe la sua lancia in una torre. 21.142.5 Orlando gli passò corazza e maglia 21.142.6 d' un colpo che non fe' mai tale Ettorre, 21.142.7 ch' arebbe ben passato una giraffa; 21.142.8 e non si disputò più della staffa. 21.143.1 Come caduto fu giù, Chiaristante 21.143.2 disse: «Baron, per grazia ti domando, 21.143.3 chi tu ti sia, cristiano o affricante, 21.143.4 il nome tuo mi venga palesando. 21.143.5 Io tolsi a un signor qua di Levante, 21.143.6 ch' andato è per lo mar poi tapinando, 21.143.7 Greco appellato, di buona dottrina, 21.143.8 questa città per forza e per rapina. 21.144.1 Credo ch' io muoia per questo peccato, 21.144.2 ché così vuol la divina giustizia; 21.144.3 e Macometto è quel che t' ha mandato 21.144.4 per punir questo ed ogni mia tristizia». 21.144.5 Orlando del cavallo è dismontato 21.144.6 (e 'l popol pieno intorno è di letizia) 21.144.7 e disse nell' orecchio al saracino: 21.144.8 «Sappi ch' io sono Orlando paladino». 21.145.1 Rispose Chiaristante: «Io ti perdono, 21.145.2 da poi che, s' io dovevo pur morire, 21.145.3 dal più franco guerrier del mondo sono 21.145.4 ucciso»; e non poté più oltre dire. 21.145.5 Il popol si levò tutto a un tuono, 21.145.6 come e' fu morto, quel corpo a schernire, 21.145.7 e non pareva ignun contento o sazio 21.145.8 se non faceva di lui qualche strazio. 21.146.1 Chi gli mordeva il braccio e chi le mani, 21.146.2 chi lo pelava, chi il petto gli straccia: 21.146.3 pareva una lepretta in mezzo a' cani, 21.146.4 come veggiam talvolta presa a caccia; 21.146.5 così mordean costui questi pagani: 21.146.6 chi lo calpesta e chi gli sputa in faccia, 21.146.7 dicendo: «Ora è venuta l' ora e 'l punto 21.146.8 che 'l tuo peccato t' ha, traditor, giunto. 21.147.1 Ecco che tu non hai goduto il regno 21.147.2 che tu togliesti al signor nostro antico, 21.147.3 ch' andato è per lo mar con un sol legno 21.147.4 già tanto tempo, povero e mendico». 21.147.5 Or vedi quanta forza ha il giusto sdegno! 21.147.6 Guardisi ognun da popol suo nimico, 21.147.7 ch' io credo che sia pur più su che 'l tetto 21.147.8 Chi vede e 'ntende ogni nostro concetto. 21.148.1 Poi si levò fra tutti un gran romore, 21.148.2 e fu levato da caval di peso 21.148.3 Orlando, e volean pur farlo signore. 21.148.4 Orlando quanto può s' è vilipeso, 21.148.5 dicendo: «Io non sono uom da tanto onore; 21.148.6 e questo cavalier v' ha lui difeso, 21.148.7 che venne il primo a combattere al campo, 21.148.8 poi mi prestò il caval per vostro scampo. 21.149.1 Io non gli sarei buon drieto ragazzo». 21.149.2 Adunque il duca Astolfo fu menato, 21.149.3 e fatto lor signor, drento al palazzo, 21.149.4 e vuol con seco Orlando sempre allato; 21.149.5 e tutto lieto è questo popol pazzo, 21.149.6 ed Astolfo è da tutti molto amato; 21.149.7 un' altra volta il crucifiggeranno 21.149.8 e chiameran crudel questo e tiranno. 21.150.1 Tant' è che spesso è util disperarsi 21.150.2 e fassi per isdegno di gran cose. 21.150.3 Astolfo si sta ora a riposarsi, 21.150.4 non va più per le selve aspre e nascose; 21.150.5 e non potea con Orlando saziarsi 21.150.6 di commendar sue opre alte e famose, 21.150.7 e non conosce ancor chi sia costui, 21.150.8 e parla tuttavia con esso lui. 21.151.1 Diceva Orlando: «Io voglio in cortesia 21.151.2 che tu mi dica se tu se' pagano, 21.151.3 e 'l nome tuo». Astolfo rispondia: 21.151.4 «Chiamar mi fo per tutto Gallïano, 21.151.5 e nacqui di buon sangue in Barberia. 21.151.6 Cercato ho tutto 'l mondo, il poggio e 'l piano, 21.151.7 e 'nsino a qui poca ventura avuto, 21.151.8 se non che tu vedi or quel ch' è accaduto». 21.152.1 Orlando, d' uno in altro ragionare, 21.152.2 rïesce finalmente dove e' vuole; 21.152.3 comincia molto Orlando a biasimare, 21.152.4 dicendo: «E' non è uom più sotto il sole 21.152.5 che come lui cercassi rovinare». 21.152.6 Astolfo si turbava alle parole, 21.152.7 e finalmente gli conchiuse questo: 21.152.8 che si partissi di sua corte presto. 21.153.1 Orlando seguitò pure il suo detto, 21.153.2 tanto ch' Astolfo tutto furïava; 21.153.3 per la qual cosa e' si cavò l' elmetto. 21.153.4 Astolfo d' allegrezza lacrimava; 21.153.5 e disson l' uno all' altro ogni suo effetto, 21.153.6 dal dì ch' Astolfo con lor s' adirava, 21.153.7 come eran capitati quivi e quando, 21.153.8 baciando mille volte Astolfo Orlando. 21.154.1 Orlando mandò poi per quello ostiere 21.154.2 che gli rendé il caval cortesemente; 21.154.3 di Chiaristante gli donò il destriere. 21.154.4 Astolfo all' oste suo similemente 21.154.5 e la fanciulla donò molto avere, 21.154.6 ch' onorato l' avean sì lietamente; 21.154.7 e ringraziavon tutti di buon cuore 21.154.8 che Chiaristante è morto, il lor signore. 21.155.1 Astolfo facea lor larga l' offerta. 21.155.2 Or lasceremo Astolfo e 'l suo fratello, 21.155.3 e ritorniamo un poco a Filiberta, 21.155.4 ch' era fuggita a un certo castello. 21.155.5 Essendo un dì la porta in bando aperta, 21.155.6 due pellegrini entrati sono in quello, 21.155.7 e dicon ch' a costei voglion parlare 21.155.8 e vanno Filiberta a vicitare; 21.156.1 e disson: «Donna, fa che tu sia saggia 21.156.2 e quel che ti fia detto intenda bene, 21.156.3 ch' una parola in terra non ne caggia. 21.156.4 A tutti incresce di tue tante pene 21.156.5 e piangonne le fiere in ogni piaggia; 21.156.6 ma tutto questo in tuo aiuto non viene. 21.156.7 Per non tenerti, Filiberta, a tedio, 21.156.8 pensato abbiam solamente un rimedio. 21.157.1 Rinaldo, quel cristian c' ha tanta fama, 21.157.2 con Ulivieri, Alardo e Ricciardetto 21.157.3 e Gan cui traditore il mondo chiama, 21.157.4 Guicciardo, Malagigi ed un valletto, 21.157.5 come e' si sia noi non sappiam la trama, 21.157.6 a Monaca si truovano in effetto; 21.157.7 vanno pel mondo, e sai quanto sien forti 21.157.8 e soglion dirizzar sempre ta' torti. 21.158.1 Forse conoscon questo Gallïano. 21.158.2 Io me n' andrei a Rinaldo, e ginocchione 21.158.3 direi di dargli la città in sua mano 21.158.4 se venissi a punir questo ghiottone: 21.158.5 egli è tanto gentil, benigno, umano, 21.158.6 e molto partigian della ragione, 21.158.7 che ne verrà colla sua compagnia 21.158.8 e renderatti la tua signoria. 21.159.1 E se bisogna, accoccala ' Apollino 21.159.2 e Macometto; e quel che noi diciamo, 21.159.3 ché ogni cosa è per voler divino, 21.159.4 pensa sanza cagion non lo facciamo. 21.159.5 Non guardar più scudier che pellegrino: 21.159.6 amici antichi di tua stirpe siamo, 21.159.7 forse ciriffi ch' andiam nella Mecche; 21.159.8 questo ti dée bastar. Salamalecche». 21.160.1 E dipartîrsi, anzi spariti sono. 21.160.2 Filiberta restò maravigliata 21.160.3 e parvegli il consiglio di lor buono, 21.160.4 tanto che infino a Monaca n' è andata, 21.160.5 ch' ogni speranza ha messa in abbandono; 21.160.6 e gioveràgli d' esser disperata, 21.160.7 come avvien sempre, e che pensar bisogna, 21.160.8 chi cerca truova e chi si dorme sogna, 21.161.1 e la Fortuna volentieri aiuta, 21.161.2 come dice un proverbio ch' ognun sa, 21.161.3 gli arditi sempre, e' timidi rifiuta. 21.161.4 Filiberta a Rinaldo se ne va, 21.161.5 e volentier da tutti fu veduta, 21.161.6 e raccontò la sua calamità; 21.161.7 e 'ncrebbe tanto di questa a Rinaldo, 21.161.8 che della impresa par più di lei caldo. 21.162.1 Greco, guardando Filiberta in volto, 21.162.2 subitamente conosciuta ha quella, 21.162.3 e grida: «Il regno mio che mi fu tolto, 21.162.4 vedi che più nol tieni, o meschinella! 21.162.5 né Chiaristante l' ha tenuto molto. 21.162.6 Andato son colla mia navicella 21.162.7 per molti mar, per lunghi e gravi errori, 21.162.8 da poi ch' io son della mia patria fuori; 21.163.1 e la ragione avuto ha poi pur loco. 21.163.2 Questo già non credette il tuo marito, 21.163.3 di dimorar nel mio regno sì poco, 21.163.4 ch' e' si pensò, quando e' l' ebbe rapito, 21.163.5 signoreggiar la terra e l' aria e 'l fuoco 21.163.6 con sua superbia, e del mare ogni lito, 21.163.7 tanto che sai ch' adorar si facea 21.163.8 e 'l simulacro fe' nella moschea. 21.164.1 E' si pensò di far come fe' Belo; 21.164.2 e' si pensò per sempre essere iddeo; 21.164.3 e' si pensò pigliar su Giove e 'l cielo; 21.164.4 e' si pensò aver fatto Prometeo; 21.164.5 e' si pensò poter far caldo e gelo; 21.164.6 e' si pensò tôr fama a Campaneo; 21.164.7 e' si pensò di vincer la fortuna 21.164.8 e far tremare il sol, non che la luna. 21.165.1 La spada di lassù vedi che taglia, 21.165.2 ma sempre a luogo e tempo e con misura; 21.165.3 ogni cosa di sopra si ragguaglia. 21.165.4 Ecco ch' io piansi della mia sciagura, 21.165.5 ed or fortuna il tuo legno travaglia; 21.165.6 dunque cosa non c' è che sia sicura: 21.165.7 però non si vorria mai nulla a torto, 21.165.8 massimamente in questo viver corto. 21.166.1 La giustizia di Dio non può fallire; 21.166.2 dove tu vai ti verrà sempre appresso: 21.166.3 non l' hai potuto, misera, fuggire; 21.166.4 dove è il tuo scettro e la corona adesso?». 21.166.5 Rinaldo stupefatto sta a udire, 21.166.6 e maraviglia n' avea seco stesso; 21.166.7 e Filiberta non risponde a Greco, 21.166.8 ma del peccato antico piangea seco. 21.167.1 Rinaldo non avea più questo inteso, 21.167.2 che Greco fu di Corniglia signore; 21.167.3 non gli risponde mentre il vide acceso, 21.167.4 perché e' potessi sfogar tutto il core; 21.167.5 poi disse a Greco: «Chi t' ha tanto offeso, 21.167.6 che si rinnuova tanto tuo dolore?». 21.167.7 Greco gli disse: «Io vo' che tu lo 'ntenda, 21.167.8 acciò ch' ancor di me pietà ti prenda». 21.168.1 E dal principio ogni cosa dicea. 21.168.2 Disse Rinaldo: «Perché non l' hai detto 21.168.3 il primo giorno?». E costui rispondea: 21.168.4 «Non volli rinnovar tanto dispetto, 21.168.5 ché la Fortuna ingiurïosa e rea 21.168.6 non avessi di me questo diletto». 21.168.7 Disse Rinaldo: «Or che la cosa ho intesa, 21.168.8 tanto più volentier farò la 'mpresa. 21.169.1 Vedi che pur tu non degeneravi, 21.169.2 ché non si perdon gli antichi costumi: 21.169.3 e' si conosce i modi onesti e gravi, 21.169.4 benché Fortuna la roba consumi, 21.169.5 ché non ha questi sotto le sue chiavi, 21.169.6 e non gli spegne il vento questi lumi; 21.169.7 per mille vie, in ogni opera nostra, 21.169.8 dove fia gentilezza alfin si mostra». 21.170.1 E rispondeva a Filiberta allora 21.170.2 che subito verrà verso Corniglia 21.170.3 e che di lui si loderà ancora; 21.170.4 e con Gano e con gli altri si consiglia 21.170.5 che vi si debba andar sanza dimora; 21.170.6 e finalmente e' si truova la briglia, 21.170.7 e tutti in compagnia sono a cavallo, 21.170.8 che non ci misson di tempo intervallo. 21.171.1 E cavalcorno tanto, abbrevïando, 21.171.2 che sono un giorno a Corniglia arrivati; 21.171.3 e mandon così a dir, pur minacciando, 21.171.4 ' Astolfo come e' son diliberati 21.171.5 di render questa terra a suo comando 21.171.6 a Filiberta, come suoi pregati; 21.171.7 e mille cavalieri hanno da guerra: 21.171.8 che in ogni modo volevon la terra. 21.172.1 Astolfo e 'l conte Orlando rispondevano 21.172.2 che non avien di lor gente paura, 21.172.3 e che con giusto titol possedevano, 21.172.4 e che verrebbon fuor delle lor mura 21.172.5 a provarsi con lor, ché non temevano 21.172.6 di lor minacce o di maschera scura; 21.172.7 come nell' altro cantar vi riserbo. 21.172.8 Guardivi Quello a chi presso era il Verbo.
CANTO XXII
22.1.1 Sia benedetto il figliuol d' Israel 22.1.2 che fece cielo e terra e luna e sole, 22.1.3 e poi mandò giù in terra Gabriel, 22.1.4 tanto gl' increbbe della umana prole; 22.1.5 dintorno al quale è sempre Micael, 22.1.6 e canta fra l' angeliche carole: 22.1.7 così, per grazia, etterno e giusto e santo, 22.1.8 aiuta, Padre, il mio futuro canto. 22.2.1 Era già il carro di Febo fra l' onde 22.2.2 dell' occeàno e va verso altra gente, 22.2.3 se vero è pure, quando a noi s' asconde, 22.2.4 e già la notte fuori nell' oriente, 22.2.5 quand' io lasciai Astolfo, che risponde 22.2.6 al messo di Rinaldo iratamente; 22.2.7 ovver pur finse per aver diletto: 22.2.8 poi se n' andorno, Orlando e lui, a letto. 22.3.1 L' altra mattina Astolfo s' è armato 22.3.2 e dice con Orlando: «A spasso andiamo 22.3.3 dove Rinaldo fuori s' è accampato; 22.3.4 e vo' con lui quattro lance rompiamo». 22.3.5 Orlando disse: «Io son sempre sellato: 22.3.6 parmi mill' anni Rinaldo veggiamo». 22.3.7 Usciron fuor della città armati, 22.3.8 dove sapean color sono alloggiati. 22.4.1 Rinaldo disse col suo Aldighieri: 22.4.2 «Colui che vien dinanzi è Gallïano; 22.4.3 quell' altro c' ha sì magro il suo destrieri 22.4.4 non so chi sia. Incontro loro andiano». 22.4.5 Vanno costoro, Alardo ed Ulivieri, 22.4.6 Guicciardo e Malagigi e Greco e Gano; 22.4.7 e salutato in linguaggio francesco, 22.4.8 Astolfo e 'l conte risposon moresco. 22.5.1 Rinaldo cominciò prima a parlare: 22.5.2 «Se tu se' Gallïan, com' io mi stimo, 22.5.3 che Chiaristante facesti ammazzare, 22.5.4 perch' io domando, a parlar sono il primo: 22.5.5 con che ragion puoi tu giustificare, 22.5.6 e cominciam da sommo o vuoi da imo, 22.5.7 che Chiaristante a ragion fussi morto? 22.5.8 Chi non conosce tu gli hai fatto torto? 22.6.1 Ma lasciàn questo; la sua meschinella 22.6.2 Filiberta pel mondo spersa mandi: 22.6.3 dimmi, che ha fatto o meritat' ha quella? 22.6.4 Or vo' che sappi, pria che tu domandi, 22.6.5 che la città con tutte sue castella, 22.6.6 se tu non vuoi che questa lor comandi, 22.6.7 anticamente son qui di costui 22.6.8 ed ogni cosa s' appartiene a lui. 22.7.1 Da tutte parte tu non puoi tenere 22.7.2 questa città, ché la ragion non vuole; 22.7.3 e bench' io sia cristian, pur pel dovere 22.7.4 mi muovo a questa impresa, ché mi duole. 22.7.5 Piglia del campo a tutto tuo piacere, 22.7.6 e così sien finite le parole». 22.7.7 Astolfo gli rispose: «Aspetta un poco; 22.7.8 non ti partir sì tosto ancor da giuoco. 22.8.1 Non si dic' egli: "Ascolta l' altra parte"? 22.8.2 Rinaldo, tu de' aver poca faccenda; 22.8.3 e vien' con certa astuzia e con certa arte, 22.8.4 che tu non credi Gallïano intenda: 22.8.5 la lancia suol valer più che le carte. 22.8.6 Questa pietà non so donde ti prenda, 22.8.7 se ciò non fussi per amor di dama: 22.8.8 questa fia la cagion che qua ti chiama. 22.9.1 Tu non guardi cristiana o saracina, 22.9.2 e Filiberta ha l' occhio del ramarro, 22.9.3 e stata è sempre di buona cucina, 22.9.4 e basta solo un cenno a far bazzarro. 22.9.5 Noi non temiàn tua gente malandrina, 22.9.6 benché tu faccia viso di bizzarro. 22.9.7 Costui, che Chiaristante uccise, or vedi; 22.9.8 con teco giosterrà; forse nol credi?». 22.10.1 Rispose Orlando: «Anzi, di mezza notte 22.10.2 del letto n' uscirei, dico, ben caldo. 22.10.3 Parole assai, ma poche lance rotte: 22.10.4 non credi tu ch' io conosca Rinaldo 22.10.5 e queste gente ch' egli ha qua condotte? 22.10.6 Ch' a Monaca ha raccolto ogni rubaldo, 22.10.7 e stato là con Filiberta in tresca; 22.10.8 or vuol mostrar della ragion gl' incresca». 22.11.1 Or chi avessi Rinaldo veduto, 22.11.2 e' non capea nell' arme per la stizza: 22.11.3 più volte inverso lor s' è dibattuto 22.11.4 come sparvier se la merla fuor guizza; 22.11.5 e rivoltò Baiardo e fece il muto, 22.11.6 ché gli occhi in testa per rabbia gli schizza: 22.11.7 non può parlar per l' ira che l' affolta. 22.11.8 Orlando a Vegliantin détte la volta; 22.12.1 e colle lance a ferir si tornorno. 22.12.2 Non domandar con che furia venìa 22.12.3 Rinaldo; e l' aste agli scudi appiccorno; 22.12.4 ma non pensar che vantaggio vi sia: 22.12.5 rupponsi tutte, e' destrier via volorno. 22.12.6 Rinaldo non poté la bizzarria 22.12.7 disfogar colla lancia: prese il brando 22.12.8 e ritornò per assalire Orlando. 22.13.1 Orlando trasse Durlindana e grida: 22.13.2 «Può far però Macon che Filiberta 22.13.3 ami tanto, cugin, che tu m' uccida?». 22.13.4 Rinaldo presto ritenne Frusberta, 22.13.5 perché e' conobbe la voce alle strida, 22.13.6 e Durlindana come e' l' ha scoperta; 22.13.7 ed abbracciar correa l' un l' altro presto; 22.13.8 Rinaldo dicea pur: «Può esser questo?». 22.14.1 Subito tutti vanno alla cittate; 22.14.2 Astolfo nel palagio gli menava, 22.14.3 e molte cose insieme hanno trattate 22.14.4 e quel che sia da far si disputava: 22.14.5 così son trapassate più giornate. 22.14.6 Ecco Dodon ch' un dì quivi arrivava, 22.14.7 e détte a tutti presto ammirazione, 22.14.8 dicendo: «Che novelle hai tu, Dodone?». 22.15.1 Disse Dodon: «Cattive e dolorose»: 22.15.2 e posesi a seder; poi lacrimando 22.15.3 diceva: «La Fortuna in tutte cose, 22.15.4 poi che di corte ti partisti, Orlando, 22.15.5 con mille ingiurie palese e nascose 22.15.6 troppo vien Carlo tuo perseguitando; 22.15.7 ed ha scoccato a tempo or più che mai 22.15.8 la trappola; ogni cosa sentirai. 22.16.1 Il gran Calavrïon della Montagna, 22.16.2 fratel del Veglio, il qual si dice è morto, 22.16.3 passato è in Francia pel mezzo di Spagna, 22.16.4 e dice che 'l fratel l' uccise a torto 22.16.5 un cavalier ch' è or di tua compagna, 22.16.6 ma che farà le vendette di corto. 22.16.7 Centoquaranta migliaia numerati 22.16.8 sono i pagan che con seco ha menati; 22.17.1 ed ha menato un altro suo fratello, 22.17.2 quale Archilagio si fa nominare, 22.17.3 e molto conto là si fa di quello. 22.17.4 Pensa che Carlo non sa che si fare. 22.17.5 E' ti convien volar come un uccello: 22.17.6 e Montalban bisogna anco aiutare, 22.17.7 ché e' v' è sessantamila cavalieri, 22.17.8 e tutti Maganzesi e da Pontieri; 22.18.1 e 'l capitan di tutti a Montalbano 22.18.2 al tuo piacer, Rinaldo, è Grifonetto». 22.18.3 Disse Rinaldo: «Alla barba mia Gano, 22.18.4 tu hai pur fatto a questa volta netto!». 22.18.5 Disse Dodone: «E' v' è drento Viviano». 22.18.6 Rinaldo disse: «E' non v' è Ricciardetto». 22.18.7 Dodon soggiunse: «E' v' è il franco Danese». 22.18.8 Gan si turbò quando tal cosa intese; 22.19.1 e rispose: «Di questo menti tu, 22.19.2 Rinaldo, ch' io son nuovo a questo fatto: 22.19.3 quanto è che di prigion cavato fu'?». 22.19.4 Disse Rinaldo: «Tu non parli a matto. 22.19.5 Tu tel vorresti un giorno beccar su, 22.19.6 quel Montalbano, e fara'vi un bel tratto; 22.19.7 ma sia che vuole, al dito leghera'ti 22.19.8 ch' io nacqui per punire i tuoi peccati. 22.20.1 I' vo' giucar più oltre ch' uno scotto, 22.20.2 che, la venuta di Calavrïone, 22.20.3 ogni cosa ha questo fellon condotto, 22.20.4 non che di Montalbano e di Grifone». 22.20.5 Diceva Orlando: «Tu se' troppo rotto; 22.20.6 e' non si vuol così chiamar fellone: 22.20.7 tu non sai ancor come la cosa stia, 22.20.8 e siam pur tutti insieme in compagnia». 22.21.1 Gan s' appiccava alle parole allora, 22.21.2 e diceva: «Rinaldo, tu se' uomo 22.21.3 ch' io non ti posso conoscere ancora; 22.21.4 ma 'l tempo ti farà cogli altri domo. 22.21.5 Di ciò che contro a me tu ti dica ora, 22.21.6 io non te ne farei in sull' erba un tomo: 22.21.7 so che tu parli quel che ti vien detto; 22.21.8 e basta solo a me di viver retto. 22.22.1 Se i Maganzesi a Montalban saranno, 22.22.2 io sarò il primo che gli vo' punire; 22.22.3 e Grifonetto, s' egli ha fatto inganno, 22.22.4 colle mie mani il cuor gli vo' partire, 22.22.5 però ch' a me questa vergogna fanno; 22.22.6 ed ho disposto insino al mio morire 22.22.7 esserti amico fedel, giusto e buono, 22.22.8 ché tu sai ben s' obrigato ti sono. 22.23.1 Non son più Gan che pel passato fui, 22.23.2 ché 'l tempo m' ha tarpate in modo l' ale, 22.23.3 ch' io mi comincio accordare or con lui, 22.23.4 però ch' io sono ogni giorno mortale; 22.23.5 e che poi altro se ne porta altrui 22.23.6 di questa vita, se non bene e male? 22.23.7 Bene è cattiva frutta acerba e dura 22.23.8 quella che 'l tempo mai non la matura. 22.24.1 Per quel ch' io ci abbi a star», dicea il fellone, 22.24.2 «io lo vo' consumar quasi in vïaggi: 22.24.3 io ho al Sepolcro andar, poi al gran Barone, 22.24.4 e così fare altri peregrinaggi. 22.24.5 Io mi botai quand' io ero in prigione. 22.24.6 Ben so ch' a Cristo ho fatto degli oltraggi 22.24.7 e sopr' al capo m' è la penitenzia; 22.24.8 dond' io n' ho in me vergogna e conscïenzia». 22.25.1 Disse Rinaldo: «Sì che tu hai vergogna! 22.25.2 Questo a gnun modo più tacer non posso. 22.25.3 Deh, dimmi s' ella è cosa che si sogna. 22.25.4 Vedi come tu se' nel viso rosso! 22.25.5 Con meco questo spender non bisogna. 22.25.6 Tu m' hai ben, Gano, scorto per uom grosso, 22.25.7 e così m' hai trattato sempre mai. 22.25.8 Io ti conosco, mio ser Bellesai! 22.26.1 Io gli ho per alfabeto i tuoi difetti. 22.26.2 Guarda chi ciurma con meco e mïagola! 22.26.3 Non ti bisogna meco bossoletti, 22.26.4 ch' io non ne comperrei cento una fragola. 22.26.5 E veggo tuttavia tu ti rassetti: 22.26.6 che pensi tu, mostrarmi la mandragola? 22.26.7 Io ciurmerei più, Gan, con un sermento, 22.26.8 che tu colle tue serpe. Or sia contento». 22.27.1 Diceva Astolfo: «Io non ti credo, Gano, 22.27.2 ch' io so pur tu nascesti traditore: 22.27.3 e' non s' accorda il contro col sovrano, 22.27.4 e molto più si discorda il tinore. 22.27.5 Lascia pur dire a lui di mano in mano, 22.27.6 chi vuol côrre il bugiardo e 'l peccatore. 22.27.7 Ecco costui che teme la vergogna, 22.27.8 che salterebbe in aria a una gogna! 22.28.1 Ecco la conscïenzia di Gioseffe, 22.28.2 di Abraam colà, d' Isac e di Giacobbe! 22.28.3 Ha fatto a Carlo mille inganni e beffe, 22.28.4 tanto ch' egli è condotto un altro Giobbe; 22.28.5 ed or che trae pel dado e dice aleffe, 22.28.6 dice ch' ancor Rinaldo mai cognobbe. 22.28.7 Fatto sarebbe a conoscer te, tristo, 22.28.8 distruggitor della fede di Cristo. 22.29.1 Tu l' hai più volte che Giuda tradito: 22.29.2 ecco chi vuol parer buona persona! 22.29.3 Di Carlo non m' incresce rimbambito, 22.29.4 che sempre ogni segreto ti ragiona, 22.29.5 e non s' accorge d' essere schernito 22.29.6 mentre che sente in capo la corona, 22.29.7 e non si crede al cacio rimanere 22.29.8 se non sente la trappola cadere; 22.30.1 ma m' incresce d' Orlando mio cugino 22.30.2 e d' Ulivier, che ti credon ciascuno 22.30.3 che il lupo voglia andar per pellegrino, 22.30.4 che di' c' hai fatto de' boti forse uno. 22.30.5 Se tu trovassi a caso un pecorino, 22.30.6 torrestil tu? Sì, forse per digiuno. 22.30.7 Tanto t' aiuti Iddio quant' io tel credo: 22.30.8 io non ti crederrei s' tu fussi il Credo. 22.31.1 Così sia tu tagliato a pezzo a pezzo 22.31.2 come tu hai fatto questo tradimento: 22.31.3 e non è il primo e sarà forse il sezzo. 22.31.4 Tu di' che se' maturo un poco a stento: 22.31.5 tu fusti il primo dì fracido e mézzo 22.31.6 di tradimenti; e s' tu se' mal contento 22.31.7 di questo fatto, io credo che tu scoppi 22.31.8 non esser là per farla in cento doppi. 22.32.1 Che dico io cento? In più di cento mila. 22.32.2 Non ti par forse a tuo modo ordinata? 22.32.3 Ma se vi manca a questa tela fila, 22.32.4 tu n' hai pien la scarsella e la farsata; 22.32.5 e tuttavia la mente ne compila 22.32.6 insin che fia fornita la ballata. 22.32.7 Vedrai che questo ancor ricorderotti: 22.32.8 andiamo in Francia, e là gastigherotti. 22.33.1 Io t' ho a 'mpiccar, ribaldo rinnegato, 22.33.2 come tu sai che me impiccar volesti». 22.33.3 Orlando, poi che molto ebbe ascoltato, 22.33.4 diceva ' Astolfo: «Ve' che lo dicesti: 22.33.5 tu ti se' pure a tuo modo sfogato; 22.33.6 io vo' che la quistione omai qui resti». 22.33.7 Gan si doleva, e non gli parea giuoco, 22.33.8 ma ciò che dice è stuzzicare il fuoco. 22.34.1 Fecion consiglio tutti di partire. 22.34.2 Rinaldo volle Filiberta sia 22.34.3 reina e 'l popol la debba ubbidire 22.34.4 e tenga in vita sua la signoria, 22.34.5 poi sia di Greco dopo il suo morire. 22.34.6 Greco partì colla sua compagnia, 22.34.7 e fu contento; e Filiberta resta 22.34.8 colla corona del marito in testa. 22.35.1 Rinaldo mai si vide sbigottito 22.35.2 alla sua vita quanto a questa volta; 22.35.3 e dice pur che Gan l' avea tradito 22.35.4 per far, or che non v' era Orlando, còlta. 22.35.5 E così tutti hanno preso partito 22.35.6 pigliare in verso Parigi la volta; 22.35.7 e vanno giorno e notte alla stagliata, 22.35.8 non creder sempre per la calpestata, 22.36.1 per boschi e selve, alla ricisa, a stracca, 22.36.2 donde e' credien raccortare il camino. 22.36.3 Come fa spesso la dolente vacca 22.36.4 ch' ode di lungi smarrito il boccino, 22.36.5 e rami e sterpi ed ogni cosa fiacca 22.36.6 e mugghia insin che lo vede vicino, 22.36.7 così facìen costor per valle e piano, 22.36.8 e sempre traditor gridano a Gano. 22.37.1 Ma non si sono apposti già di questo, 22.37.2 ché colpa non ci avea ser Tuttesalle, 22.37.3 e Malagigi il dicea manifesto: 22.37.4 «Aspetta pur che sieno in Roncisvalle»; 22.37.5 quantunque il tradimento fia per resto, 22.37.6 perché la penitenzia arà alle spalle, 22.37.7 e Carlo, come e' buon tre volte e sciocchi, 22.37.8 quando fia più che morto aprirrà gli occhi, 22.38.1 piangerà tardi il suo caro nipote 22.38.2 e penterassi aver sempre creduto 22.38.3 a Ganellon, graffiandosi le gote; 22.38.4 ma che val tardi l' essersi pentuto? 22.38.5 Lascia pur volger le volubil rote 22.38.6 a Quella che nel Ciel tutto ha veduto, 22.38.7 ed anco al traditor d' ogni fallenzia 22.38.8 serberà a tempo la sua penitenzia. 22.39.1 Una città chiamata Villafranca 22.39.2 vidon costor, che parea molto bella; 22.39.3 attraversorno, ch' era alla man manca, 22.39.4 e finalmente passavan per quella: 22.39.5 gente parevon valorosa e franca, 22.39.6 e quel signor (Dilïante s' appella) 22.39.7 vide costor per la piazza passare 22.39.8 e fecegli invitar seco a mangiare, 22.40.1 perché brigata gli parea pur magna. 22.40.2 Rinaldo non volea rifiutar posta, 22.40.3 tanto che tutti appannorno alla ragna. 22.40.4 Feciono in sala a costui la risposta. 22.40.5 Nipote del Veglio è della Montagna, 22.40.6 ardito e franco per piano e per costa; 22.40.7 e rispondeva a questi a' lor saluti: 22.40.8 «Voi siate in ogni modo i ben venuti. 22.41.1 Chi siete voi? Dove siete avvïati?». 22.41.2 Orlando rispondea: «Degna Corona, 22.41.3 noi siàn di nostra terra sbandeggiati 22.41.4 poi che 'l Soldan morì di Bambillona; 22.41.5 ché cavalier suoi fumo, or siàn cacciati, 22.41.6 e l' arme ne portiamo e la persona». 22.41.7 Diceva Dilïante: «E' mi dispiace, 22.41.8 ma d' ogni cosa alfin si vuol dar pace». 22.42.1 Posonsi insieme tutti a desinare. 22.42.2 Quivi era un buffoncello, un tale ignocco: 22.42.3 comincia con Rinaldo a motteggiare; 22.42.4 Rinaldo gli parea buffone sciocco, 22.42.5 ed attendeva pure a pettinare; 22.42.6 e 'l signor ride di questo balocco; 22.42.7 tanto è che d' una in un' altra novella 22.42.8 e' chiese di Rinaldo la scodella. 22.43.1 Rinaldo la scodella per sé vuole, 22.43.2 e disse con Orlando: «Odi capocchio! 22.43.3 Sempre in ogni buon luogo aver si suole 22.43.4 questi buffoni all' ultimo, al finocchio». 22.43.5 Poi volse a Dilïante le parole, 22.43.6 e pure alla scodella aveva l' occhio; 22.43.7 disse: «Io dicevo in linguaggio tedesco 22.43.8 che mi ragioni sparecchiato il desco». 22.44.1 Mangiava una scodella di tartufi, 22.44.2 Rinaldo, bene acconcia in un guazzetto: 22.44.3 non si pensò che costui gliela grufi; 22.44.4 questo buffon gliela ciuffò di netto, 22.44.5 e non si vuol calar perch' egli strufi; 22.44.6 e succiala e la broda va in sul petto. 22.44.7 Rinaldo si crucciò con questo matto 22.44.8 di perder la profenda e di quell' atto. 22.45.1 Corsegli addosso come un bertuccione, 22.45.2 e disse: «Io ti farò schizzar la micca: 22.45.3 tu se' pazzo malvagio e non buffone»; 22.45.4 ed una pèsca nel capo gli appicca 22.45.5 per modo che sel pose a' piè boccone, 22.45.6 ché con l' orecchio una tempia gli spicca; 22.45.7 donde il signor rizzossi iratamente, 22.45.8 ché come savio non fu pazïente; 22.46.1 e disse: «C' hai tu fatto, poltoniere? 22.46.2 Dunque tu batti la famiglia mia? 22.46.3 È questa usanza di buon cavaliere? 22.46.4 Tu mi ristori della cortesia!». 22.46.5 Disse Rinaldo: «Io gli ho fatto il dovere». 22.46.6 Orlando disse al fratel villania: 22.46.7 Rinaldo aveva alzata già la mano 22.46.8 per far come al buffone al re pagano. 22.47.1 Dilïante ebbe infine pazïenzia, 22.47.2 e disse: «Io vo' che in pace desiniamo; 22.47.3 poi, desinato, per magnificenzia, 22.47.4 che insieme in su la piazza ci proviamo, 22.47.5 poi che tu m' hai sì poca riverenzia, 22.47.6 e la pazzia del capo ci caviamo». 22.47.7 Rinaldo rispondea: «Pur tosto all' aste! 22.47.8 Ch' aspettiam noi più qui? Le pere guaste?». 22.48.1 Disse il pagano: «Ogni volta fia tosto, 22.48.2 basta che di giostrar tu se' contento; 22.48.3 e ci ha forse a venire ancor l' arrosto: 22.48.4 vo che 'l convito anco abbi compimento, 22.48.5 per riverenzia di que' ch' io ci ho posto». 22.48.6 Diceva Orlando: «Alla giostra io consento, 22.48.7 ch' io so che tu se' uom possente e magno; 22.48.8 né anco spiaceratti il mio compagno». 22.49.1 Come egli hanno mangiato, Dilïante 22.49.2 subito allo scudier suo fece cenno, 22.49.3 e tutte l' arme sue vennon avante; 22.49.4 e poi ch' armato si vide a suo senno, 22.49.5 e' montò sopra un feroce afferrante, 22.49.6 dicendo: «Sia mio il danno, s' io mi spenno». 22.49.7 Rinaldo in su Baiardo in piazza è armato, 22.49.8 e Dilïante a morte l' ha sfidato. 22.50.1 Preso del campo e ritornati indrieto, 22.50.2 Rinaldo e Dilïante si rintoppa, 22.50.3 e nel colpirsi ognun parve discreto; 22.50.4 ma la potenzia di Rinaldo è troppa 22.50.5 e parràgli più forte che l' aceto 22.50.6 al saracin, però che in su la groppa 22.50.7 si ritrovò rovescio al suo destriere 22.50.8 e fece di stran cenni di cadere. 22.51.1 Rinaldo staffeggiò del piè sinestro, 22.51.2 e le lance per l' aria vanno in pezzi, 22.51.3 e passan via i destrier come un balestro, 22.51.4 come color ch' a l' arte sono avvezzi. 22.51.5 Rizzossi Dilïante alfin pur destro, 22.51.6 e parvegli del caso anco aver vezzi; 22.51.7 e ritornato a Rinaldo di subito, 22.51.8 disse: «Baron, che tu sia Marte dubito. 22.52.1 Io non vidi mai uom correr me' lancia, 22.52.2 io non trovai mai uom tanto possente, 22.52.3 e non si fe' mai colpo tale in Francia. 22.52.4 Deh, dimmi il nome tuo cortesemente; 22.52.5 ché s' tu mi dessi omai nell' una guancia, 22.52.6 io volgerò poi l' altra allegramente: 22.52.7 di tua prodezza innamorato sono, 22.52.8 e ciò ch' è stato fra noi ti perdono». 22.53.1 Disse Rinaldo: «E più che volentieri: 22.53.2 sappi ch' io son Rinaldo, e questo Orlando, 22.53.3 questo è Guicciardo, Alardo ed Ulivieri, 22.53.4 e questo è Ricciardetto, al tuo comando; 22.53.5 questo è quel traditor Gan da Pontieri 22.53.6 (io vo talvolta la lingua accoccando); 22.53.7 questo è Dodon, quest' altro è Malagigi, 22.53.8 e questo Astolfo; e tornianci a Parigi. 22.54.1 Quest' altro giovinetto è mio cugino, 22.54.2 ed èssi nuovamente battezzato; 22.54.3 non lo conosci: egli era saracino»; 22.54.4 ed Aldighier non ebbe ricordato. 22.54.5 Gan traditor vi pose l' occhiolino 22.54.6 ed ebbe il tradimento già pensato. 22.54.7 Diceva Dilïante: «A ogni modo 22.54.8 d' avervi fatto onor, per Dio, ne godo. 22.55.1 Ma s' io non erro, non se' tu colui 22.55.2 che uccidesti il gran Veglio, mio zio?». 22.55.3 Disse Rinaldo: «Io fui mandato a lui 22.55.4 dal gran Soldan; ma poi non piacque a Dio 22.55.5 ch' io l' uccidessi, e gran suo amico fui, 22.55.6 e battezza'lo e vendicai poi io: 22.55.7 uccisi chi l' uccise, un gran gigante; 22.55.8 dunque tu di' il contrario, Dilïante». 22.56.1 Rispose Dilïante: «Assai m' incresce 22.56.2 che questo caso è stato male inteso, 22.56.3 e veggo quanto mal di ciò rïesce, 22.56.4 però che molto fuoco è in Francia acceso 22.56.5 per questo fatto e tuttavolta cresce: 22.56.6 Calavrïon di voi si tiene offeso 22.56.7 e con gran gente a Parigi n' è ito, 22.56.8 com' io son certo ch' avete sentito». 22.57.1 In questo tempo si lieva un romore, 22.57.2 che tutta la città sozzopra va 22.57.3 e tutto il popol fuggiva a furore. 22.57.4 Diceva Orlando: «Questo che sarà?». 22.57.5 Disse il pagan: «Non abbiate timore: 22.57.6 un lïone è che spesso così fa, 22.57.7 e molta gente in questa terra ha morta 22.57.8 e spesso se ne vien drento alla porta. 22.58.1 E duolmi ch' io ci ho colpa in questo fatto, 22.58.2 tanto ch' io n' ho grande odio con costoro. 22.58.3 Io allevai un lïon bianco un tratto, 22.58.4 che mi parea gentil, benigno e soro; 22.58.5 e' si fuggì, dond' io ne son disfatto, 22.58.6 però che e' ci ha poi dato assai martoro: 22.58.7 a poco a poco la mia gente manca 22.58.8 e son segnato ancor della sua branca». 22.59.1 Rinaldo si vantò d' uccider questo, 22.59.2 ché di vedere ognun fuggir gl' increbbe. 22.59.3 Disse il pagan: «Se tu farai cotesto, 22.59.4 questa città per dio t' adorerebbe». 22.59.5 Rinaldo raffermò di farlo, e presto, 22.59.6 se non che mai caval cavalcherebbe. 22.59.7 Era il lïon già della terra uscito 22.59.8 e 'n certo bosco ove e' si stava è ito. 22.60.1 Rinaldo a questo bosco se n' andava 22.60.2 e molta gente drieto se gli avvia; 22.60.3 ma poi, come Zaccheo, s' innalberava 22.60.4 ognun, come al lïon presso giugnia. 22.60.5 Vede Rinaldo, questa fiera brava; 22.60.6 vennegli addosso a fargli villania. 22.60.7 Rinaldo del caval giù presto smonta 22.60.8 e colla spada col lïon s' affronta. 22.61.1 Questo lïone a Baiardo si getta; 22.61.2 Rinaldo volle Baiardo aiutare; 22.61.3 ma quella bestia il colpo non aspetta 22.61.4 e poi in un tratto si vede scagliare: 22.61.5 Rinaldo abbraccia e dà sì grande stretta 22.61.6 che non si può colla spada aiutare; 22.61.7 allor Rinaldo Frusberta ricaccia 22.61.8 subito drento e quel lïone abbraccia, 22.62.1 ed abbracciati l' un l' altro scoteva. 22.62.2 Questo lïon gli détte in terra un botto 22.62.3 e sopra l' arme graffiava e mordeva; 22.62.4 Rinaldo un tratto ricaccia lui sotto 22.62.5 e per la gola il lïone strigneva. 22.62.6 E 'l popol tutto a vederlo è ridotto 22.62.7 e son di saracin pien gli arbucelli, 22.62.8 tal che parevon mulacchie e stornelli. 22.63.1 Rinaldo si scarmiglia col lïone; 22.63.2 ma poi che molto si fu voltolato, 22.63.3 un tratto gli menò sì gran punzone 22.63.4 che 'l guanto tutto in man s' ha sgretolato 22.63.5 (pensa se 'l pugno leverà il moscone!) 22.63.6 e 'l capo a questa bestia ha sfracellato, 22.63.7 tanto che morto le gambe distese; 22.63.8 e tutto il popol con gran festa scese. 22.64.1 Ritornossi Rinaldo alla cittate 22.64.2 ed ha drieto la ciurma de' pagani; 22.64.3 fino alle donne in terra inginocchiate 22.64.4 «Benedette ti sien» dicean «le mani!». 22.64.5 Eran per tutto le strade calcate; 22.64.6 era adorato da que' terrazzani 22.64.7 come Davitte Golia abbi morto: 22.64.8 così di quel lïon preson conforto. 22.65.1 Dilïante ringrazia il paladino, 22.65.2 dicendo: «Schiavo etterno ti saròe; 22.65.3 benedicati il nostro iddio Apollino! 22.65.4 Quando tu sai che il romor si levòe», 22.65.5 diceva questo savio saracino, 22.65.6 «quel ch' io ti dissi ti replicheròe: 22.65.7 che mi doleva che in Francia sia guerra, 22.65.8 poiché Calavrïon questo caso erra. 22.66.1 Calavrïon si crede che 'l fratello 22.66.2 tu l' uccidessi o tenessi al trattato, 22.66.3 e sol per questo vendicar vuol quello 22.66.4 e non sa ben che tu l' hai vendicato. 22.66.5 S' io gli scrivessi e' parre' tutto orpello. 22.66.6 Guarda se quel ch' io dico è ben pensato: 22.66.7 io ti darò trentamila baroni 22.66.8 nelle battaglie ammaestrati e buoni. 22.67.1 Altro non ho se non la mia persona. 22.67.2 Or odi un poco un altro mio disegno: 22.67.3 il re Gostanzo morì a Bambillona; 22.67.4 alla figliuola sua rimase il regno 22.67.5 ed ha gran gente sotto sua corona 22.67.6 che si son ritornati per disdegno 22.67.7 da Bambillona poi ch' ' Antea la desti, 22.67.8 però che molto mal trattava questi; 22.68.1 e tutti soldo so cercando vanno. 22.68.2 Uliva, la fanciulla, è mia parente: 22.68.3 credo che tutti a mio modo faranno; 22.68.4 e s' tu non hai danar da soldar gente, 22.68.5 io n' arò tanti che si pagheranno, 22.68.6 che centomila son, s' io ho bene a mente; 22.68.7 e so che 'l re Gostanzo v' era amico, 22.68.8 ché col Soldano avea grande odio antico». 22.69.1 Rinaldo assaporava le parole 22.69.2 del saracin, che una non ne cade; 22.69.3 e disse: «Dilïante, a me sol duole 22.69.4 ch' a ringraziar tua tanta umanitade 22.69.5 sare' prima da noi partito il sole. 22.69.6 Ciò che tu di' mi par la veritade, 22.69.7 e tempo è d' accettar quel c' hai promesso 22.69.8 e di mandare presto a Uliva un messo». 22.70.1 Diceva Orlando a Dilïante allora: 22.70.2 «Questa fanciulla ch' Uliva è chiamata, 22.70.3 credo di noi ben si ricorda ancora. 22.70.4 Perché tu intenda, ella fu via menata 22.70.5 uscendo un dì della sua terra fuora: 22.70.6 certi giganti l' avean trafugata; 22.70.7 noi gli uccidemo e liberamo quella, 22.70.8 ch' era condotta mal, la meschinella; 22.71.1 e poi la rimenamo a casa al padre; 22.71.2 e 'l re Gostanzo ne venne per questo 22.71.3 a Bambillona con tutte sue squadre, 22.71.4 come tu sai, ché so c' hai inteso il resto; 22.71.5 e quanto le sue opre fur leggiadre, 22.71.6 credo ch' a tutto 'l mondo è manifesto; 22.71.7 e la sua morte più ch' Uliva piansi, 22.71.8 e quel ch' io fe' nella penna rimansi. 22.72.1 Io rimandai il suo corpo imbalsimato 22.72.2 con grande onor, così di Spinellone: 22.72.3 non volli a' benifìci esser ingrato; 22.72.4 ed anco uccisi il gigante ghiottone 22.72.5 ch' uccise lui, sì ch' io l' ho vendicato. 22.72.6 Mettasi al tuo consiglio essecuzione 22.72.7 e mandisi a Uliva adunque il messo». 22.72.8 Disse Rinaldo: «Ed io sarò quel desso. 22.73.1 Intanto qui la gente ordinerete; 22.73.2 e tu, Orlando, a Parigi n' andrai 22.73.3 per ispannar qui di Gano ogni rete». 22.73.4 Rispose Orlando: «A tuo senno farai; 22.73.5 credo per mar più presto vi sarete». 22.73.6 Aldighier disse: «Anco me menerai». 22.73.7 Rinaldo disse: «Io vo' sol Ricciardetto, 22.73.8 Guicciardo, Alardo»; e missesi in assetto, 22.74.1 ed avvïossi inverso la marina. 22.74.2 Lasciàllo andar, che Dio gli dia buon vento: 22.74.3 Orlando adopra ogni sua disciplina 22.74.4 di dare intanto al fatto compimento, 22.74.5 ed ordina la gente saracina 22.74.6 e di partirsi fa provedimento. 22.74.7 Gano avea fisso nel mezzo del cuore 22.74.8 di far quel che poi fece, il traditore; 22.75.1 e come e' vide Rinaldo partito, 22.75.2 un dì ch' Orlando da lui si dismaga 22.75.3 vedesi il campo libero e spedito, 22.75.4 di tradimenti anzi è nel mar di Baga. 22.75.5 A Dilïante in camera n' è ito 22.75.6 e di parole cortese l' allaga; 22.75.7 disse: «Pagan, chi mi fa cortesia, 22.75.8 non gli farei mai inganno o villania. 22.76.1 Perché da te ben servito mi tegno, 22.76.2 non posso far ch' io non ti dica il vero; 22.76.3 ed anco parte il farò per isdegno, 22.76.4 ch' i' voglio aprirti tutto il mio pensiero. 22.76.5 Ma la tua fede mi darai per pegno, 22.76.6 se vuoi ch' io dica il fatto appunto intero: 22.76.7 tu giurerai nol dir per Macometto». 22.76.8 Disse il pagano: «E così ti prometto». 22.77.1 «Or nota quel ch' io dico, Dilïante: 22.77.2 Calavrïone in Francia è ito in fretta 22.77.3 e va sozzopra il Ponente e il Levante 22.77.4 per far del Veglio vostro la vendetta, 22.77.5 al qual s' amico fui, sa Trevigante; 22.77.6 e tal c' ha 'l fico in man ne cerca in vetta, 22.77.7 e porterà di questo fatto pena 22.77.8 molti che ricordar l' udirno appena; 22.78.1 e chi l' uccise bee col tuo bicchiere 22.78.2 e mangia sempre e dorme e parla teco 22.78.3 e come Giuda è teco a un tagliere 22.78.4 e nel catin tuo intigne, e tu se' cieco. 22.78.5 Pensai che tu fingessi non sapere: 22.78.6 quel cavalier ch' Orlando ha qui con seco, 22.78.7 conoscil tu ancora, o sai il suo nome, 22.78.8 o volleti Rinaldo mai dir come? 22.79.1 Di tutti gli altri sai ti disse appunto; 22.79.2 di costui tacque e trovò certa scusa: 22.79.3 "Tu nol conosci", disse, "un mio congiunto", 22.79.4 ed ebbeti la bocca così chiusa. 22.79.5 E' mi dispiace tu resti qui giunto, 22.79.6 gonfiato come palla o cornamusa, 22.79.7 e che tu creda così a Rinaldo 22.79.8 e non t' avvegga e' t' inganna, il ribaldo. 22.80.1 Or sappi ch' Aldighier costui si chiama. 22.80.2 Essendo un giorno a Monaca, giostrando 22.80.3 uccise il Veglio tuo di tanta fama; 22.80.4 poi disse ch' era parente d' Orlando; 22.80.5 ed ordinorno la più sciocca trama 22.80.6 di legger certe lettere nel brando, 22.80.7 le qual dicìeno in parlar saracino 22.80.8 come d' Orlando e Rinaldo è cugino. 22.81.1 Questo credo io che sia la verità: 22.81.2 tanto è che questo inganno v' andò sotto, 22.81.3 e battezzossi e détte la città; 22.81.4 ché tutto avean per lettere condotto, 22.81.5 mostrando di venir, come si fa, 22.81.6 per la vendetta far di Marïotto, 22.81.7 ed avean prima questa tela ordita, 22.81.8 sì che il tuo Veglio vi misse la vita. 22.82.1 Prima fece giostrar, questo fellone 22.82.2 di Rinaldo, il fratello ed Ulivieri, 22.82.3 e lascioron cadersi dell' arcione, 22.82.4 che non soglion cader tal cavalieri; 22.82.5 tanto che 'l Veglio fu preso al boccone 22.82.6 e disfidossi con questo Aldighieri: 22.82.7 non lo stimò veggendol giovinetto; 22.82.8 tanto è che questo l' uccise in effetto. 22.83.1 Rinaldo fu cattivo insino in fascia, 22.83.2 e già per ammazzarlo andò in persona, 22.83.3 e féllo a petizion d' una bagascia, 22.83.4 Antea, ch' egli ha lasciata a Bambillona, 22.83.5 perché e' non crede che vi sia più grascia 22.83.6 (guarda chi tien del Soldan la corona!); 22.83.7 ma nol poté uccider con suo mano, 22.83.8 però che 'l Veglio si fece cristiano. 22.84.1 La nostra legge ciò non ci consente, 22.84.2 che, quando un si volessi battezzare, 22.84.3 noi lo debbiamo uccider per nïente. 22.84.4 Non sel potendo dinanzi levare, 22.84.5 per questo ch' io ti dico, onestamente, 22.84.6 e pure ' Antea volendo satisfare, 22.84.7 condusselo alla mazza a questo inganno; 22.84.8 e' pesciolini a Monaca lo sanno. 22.85.1 Però troppo mi son maravigliato 22.85.2 come voi siate stato in tanto errore 22.85.3 a creder ciò che Rinaldo ha parlato. 22.85.4 Or non bisogna insegnare al signore, 22.85.5 massime avendo il nimico ingabbiato. 22.85.6 Io vi conforto a tutti fare onore 22.85.7 e sopra tutto a questo esser discreto: 22.85.8 che ciò ch' io ho detto, tra noi sia segreto». 22.86.1 E dipartissi questo maladetto 22.86.2 e disse fra suo cuor: «S' io non son matto, 22.86.3 credo che sgocciolato sia il barletto». 22.86.4 Dilïante rimase stupefatto 22.86.5 e fece sopra ciò più d' un concetto 22.86.6 come più netto rïuscissi il tratto, 22.86.7 che rimanessi alla lasca la lontra, 22.86.8 ché ciò che Gan gli ha detto si riscontra. 22.87.1 E come savio, una sera, cenando, 22.87.2 disse così, ché è malizioso e tristo: 22.87.3 «Questo baron come si chiama, Orlando? 22.87.4 Forse che 'l nome ha ancor maümettisto?»; 22.87.5 e poi più oltre venìa seguitando: 22.87.6 «Non disse nella cena il vostro Cristo: 22.87.7 "Colui che meco nel catino intigne 22.87.8 mi de' tradire, anzi ha tradito e figne"?». 22.88.1 Rispose Orlando: «Questo che vuol dire?». 22.88.2 Disse il pagan: «Sanza cagion nol dico. 22.88.3 Colui c' ha a far non suol molto dormire, 22.88.4 ma sempre investigar del suo nimico. 22.88.5 Ben sapea ben chi ci dovea venire, 22.88.6 ch' a Monaca e Corniglia ho qualche amico. 22.88.7 Colui ch' uccise il Veglio, quel gigante, 22.88.8 mi par poco maggior che Dilïante. 22.89.1 Ah, credi tu, Orlando, ch' io non sappi 22.89.2 per che cagione io v' abbi qui invitati, 22.89.3 e quel che disse Rinaldo mi cappi? 22.89.4 E se di qui voi non fussi passati, 22.89.5 egli eron ben più là tesi i calappi. 22.89.6 Voi siete nella trappola ingabbiati: 22.89.7 non uscirete mai di queste porte 22.89.8 s' a tutto il popol mio non date morte. 22.90.1 E so che Gano è un, quel, c' ha tradito 22.90.2 tra questi il Veglio mio della Montagna. 22.90.3 E s' alcun tordo da me s' è fuggito, 22.90.4 quando e' son troppi egli sforzon la ragna. 22.90.5 Lascia pure ir Rinaldo, se n' è ito; 22.90.6 io vo' che qualcun preso ne rimagna: 22.90.7 questo è Aldighier, che 'l mio parente uccise. 22.90.8 E so che Gano ogni ingegno vi mise, 22.91.1 come colui che n' ha forse un già fatto, 22.91.2 de' tradimenti e 'nganni, alla sua vita; 22.91.3 ma per tornar sì spesso al lardo il gatto 22.91.4 la penitenzia sua non ha fuggita». 22.91.5 Guarda se questo colpo fu di matto, 22.91.6 e se Gan ben la tela aveva ordita! 22.91.7 Orlando si turbò quando ode questo 22.91.8 e giudicò di Gan nel suo cor presto, 22.92.1 e volle al saracin far la risposta: 22.92.2 ma Aldighier rispose innanzi a lui, 22.92.3 e disse: «Dilïante, la proposta 22.92.4 perché a me si dirizza, io son colui 22.92.5 ch' uccisi il tuo parente; ed a tua posta 22.92.6 ti proverrò che traditor mai fui: 22.92.7 uccisil con la lancia e realmente, 22.92.8 e chi dice altro per la canna mente. 22.93.1 Da ora innanzi, Dilïante mio, 22.93.2 come col Veglio a Monaca giostrai 22.93.3 (che fu sanza peccato, e sallo Iddio!), 22.93.4 io giosterrò ancor teco, s' tu vorrai». 22.93.5 Rispose Dilïante: «Quel voglio io; 22.93.6 e s' tu m' abbatti, libero sarai 22.93.7 e tutti in pace di qui ve n' andrete, 22.93.8 ed anco le mie gente menerete». 22.94.1 «Ah» disse Orlando, «così far mi piace! 22.94.2 Ma che tu ci facessi alcun oltraggio 22.94.3 in altro modo, il pensier tuo fallace 22.94.4 sarebbe e poco onor del tuo legnaggio. 22.94.5 A questo modo si farà la pace, 22.94.6 e parli, Dilïante, or come saggio, 22.94.7 ché Aldighieri è ver ch' uccise il Veglio, 22.94.8 ma la battaglia non poté andar meglio: 22.95.1 non vi fu inganno ignun né tradimento 22.95.2 e vendicato fu, per Macometto!». 22.95.3 Disse Aldighieri: «Io il so, ché me ne sento, 22.95.4 che fu' portato per morto in sul letto». 22.95.5 «Adunque, Dilïante, sia contento» 22.95.6 diceva Orlando «far come tu hai detto, 22.95.7 e 'n questo modo sarai commendato, 22.95.8 però che 'l Veglio ci resta obligato, 22.96.1 ed ebbe in Bambillona sepultura, 22.96.2 come e' fu certo, al mio parer, uom degno, 22.96.3 e piango ancor la sua disavventura. 22.96.4 Io ho cercato del mondo ogni regno 22.96.5 per mar, per terra, e spesso l' armadura, 22.96.6 per non aver danar, lasciato pegno; 22.96.7 ma tradimento mai né inganno o frodo 22.96.8 non troverrai ch' io facessi a gnun modo. 22.97.1 Non si costuma tradimenti in Francia. 22.97.2 Come Aldighier t' ha detto, è proprio il vero, 22.97.3 e chi dice altro, di' che sogna o ciancia. 22.97.4 Costui vi venne come forestiero; 22.97.5 nol conosceva; uccisel con la lancia 22.97.6 a corpo a corpo come buon guerriero, 22.97.7 ed era saracino e lui cristiano: 22.97.8 dunque Aldighier non ci ha colpa né Gano. 22.98.1 Domattina provate insieme l' armi, 22.98.2 se pure alcuna ruggine ci resta». 22.98.3 Rispose il saracin: «Mille anni parmi 22.98.4 che noi siam colla lancia in sulla resta: 22.98.5 a questo modo almen potrò sfogarmi». 22.98.6 Diceva Gano, e crollava la testa: 22.98.7 «Tu mi di' traditor, ma sia in buon' ora: 22.98.8 forse con meco giosterrai ancora». 22.99.1 Disse il pagano: «E teco giosterròe: 22.99.2 io ti senti' chiamar così a Rinaldo». 22.99.3 Gan traditor col capo minacciòe: 22.99.4 non domandar se finger sa il ribaldo! 22.99.5 Ognun la sera a letto se n' andòe, 22.99.6 e 'n questo modo l' accordo fu saldo; 22.99.7 e come e' sono in camera serrati, 22.99.8 addosso a Gan si son tutti voltati. 22.100.1 Diceva Orlando: «Onde ha questo segreto 22.100.2 costui, che par gittato proprio in forma 22.100.3 appunto a quante carte a l' alfabeto? 22.100.4 Questo è pur lupo della nostra torma. 22.100.5 Qui si bisogna, Astolfo, esser discreto: 22.100.6 io vo' ch' ognun coll' arme indosso dorma; 22.100.7 un occhio alla padella, uno alla gatta, 22.100.8 ch' io so che qualche trappola c' è fatta». 22.101.1 Rispose Astolfo: «Tanti billi billi! 22.101.2 Ché nol di' tu che Gan l' ha imburiassato? 22.101.3 Perché pur trarci il vin con questi spilli? 22.101.4 Un tratto il zaffo avessi tu cavato!». 22.101.5 Rispose Gan: «Tu hai il capo pien di grilli 22.101.6 e fusti sempre pazzo e sbardellato». 22.101.7 Diceva Astolfo a Malagigi allora: 22.101.8 «Deh, fa che questa lepre balzi fuora». 22.102.1 Malagigi non volle gittar l' arte, 22.102.2 però che ne facea gran conscïenzia 22.102.3 e non si può far sempre in ogni parte: 22.102.4 convien ch' a molte cose abbi avvertenzia, 22.102.5 e veste consecrate, e certe carte 22.102.6 essorcizzate con gran diligenzia, 22.102.7 pentacul, candarìe, sigilli e lumi 22.102.8 e spade e sangue e pentole e profumi. 22.103.1 Questo dich' io, ch' i' so ch' alcun direbbe: 22.103.2 «Quando costoro avevon Malagigi, 22.103.3 d' ogni cosa avvisar gli doverrebbe: 22.103.4 "Così fa il tal; così Carlo in Parigi"». 22.103.5 Dunque costui come un iddio sarebbe, 22.103.6 se sapessi d' ognun sempre i vestigi: 22.103.7 i negromanti rade volte fanno 22.103.8 l' arte e non dicon ciò che sempre sanno. 22.104.1 Tutta la notte vi si borbottava: 22.104.2 ognun volea pur Gano in gelatina, 22.104.3 ma sopra tutti Astolfo vel tuffava. 22.104.4 Dilïante si lieva la mattina 22.104.5 e in su la piazza armato se n' andava; 22.104.6 ed Aldighier, che questo s' indovina, 22.104.7 venne in sul campo, e non si salutorno; 22.104.8 ma come e' giunse, del campo pigliorno. 22.105.1 Quivi era Orlando e' suoi compagni armati. 22.105.2 Dilïante rivolse il suo cavallo 22.105.3 ed ha tutti gli sproni insanguinati: 22.105.4 come un cerviatto faceva saltallo; 22.105.5 e quando insieme si son riscontrati, 22.105.6 ognun pareva un Marte sanza fallo. 22.105.7 La lancia del pagan par che si cionchi 22.105.8 e quella d' Aldighier va in aria in tronchi. 22.106.1 Ritornon colle spade alla battaglia: 22.106.2 dunque costor non facean per motteggio. 22.106.3 Lo scudo l' uno all' altro assai frastaglia, 22.106.4 ma veramente ignun non avea il peggio: 22.106.5 due ore o più la zuffa si ragguaglia. 22.106.6 Diceva Orlando: «Ond' io lievi non veggio, 22.106.7 o dove io ponga in su questa bilancia, 22.106.8 o vuoi col brando, Astolfo, o colla lancia. 22.107.1 Io giurerei ch' ognun fussi un Acchille: 22.107.2 odi la spada d' Aldighier che fischia; 22.107.3 guarda il pagan se raccende faville!». 22.107.4 Ma poi che molto è durata la mischia, 22.107.5 trasse Aldighieri un colpo, e valse mille, 22.107.6 ché la Fortuna crudel non cincischia: 22.107.7 due parte al saracin del capo fece, 22.107.8 che non si rappiccò poi colla pece. 22.108.1 Ecco che tu se' morto, Dilïante, 22.108.2 ch' era pur buono a Rinaldo credessi 22.108.3 che morto avesse il tuo Veglio il gigante 22.108.4 e Ganellon discacciato l' avessi: 22.108.5 tu fusti, come giovane, ignorante 22.108.6 e furïoso; or lo piangi tu stessi; 22.108.7 aspetta luogo e tempo alla vendetta, 22.108.8 ché non si fe' mai nulla bene in fretta. 22.109.1 I terrazzan tra lor son consigliati, 22.109.2 e poi facìeno questa conclusione: 22.109.3 «Da poi che voi ci avete liberati 22.109.4 da quel malvagio e superbo lïone 22.109.5 che tanti e tanti n' avea divorati 22.109.6 e tratti delle man di Faraone 22.109.7 del signor tristo, obligati vi siamo, 22.109.8 e tutti in Francia con voi ne vegnamo». 22.110.1 E finalmente, ordinate le schiere 22.110.2 in pochi dì, con Orlando ne vanno, 22.110.3 con quel lïon nelle bianche bandiere 22.110.4 che insin di Bambillona arrecato hanno; 22.110.5 tanto che presto potranno vedere 22.110.6 Calavrïon co' suoi, che ciò non sanno; 22.110.7 il qual Parigi faceva tremare, 22.110.8 e vuol suggetto il ciel, la terra e 'l mare. 22.111.1 Già era Orlando sopra una montagna 22.111.2 donde si vede il campo de' pagani 22.111.3 che cuopre le pendice e la campagna 22.111.4 e pien di padiglion veggono i piani. 22.111.5 Diceva Orlando colla sua compagna: 22.111.6 «Tosto con questi saremo alle mani». 22.111.7 Ed Aldighier parea troppo contento: 22.111.8 pensa quando in Parigi sarà drento! 22.112.1 Carlo la notte dinanzi sognava 22.112.2 ch' un gran lïone in Parigi era entrato 22.112.3 per una porta e per l' altra passava, 22.112.4 e tutto il campo aveva scompigliato. 22.112.5 Orlando già alle mura s' accostava. 22.112.6 Carlo si stava tutto addolorato; 22.112.7 sentì che nuova gente ne venìa 22.112.8 e per dolor non sa dove e' si sia; 22.113.1 e diceva al suo Namo: «Più non posso; 22.113.2 a questa volta so ch' io son deserto: 22.113.3 credo che 'l mondo ci verrà qua addosso». 22.113.4 In questo tempo Orlando ha già scoperto 22.113.5 il segno del quartier suo bianco e rosso, 22.113.6 e conosciuto da tutti fu certo; 22.113.7 e tutto il popol corre con gran festa, 22.113.8 ch' un testimone in Parigi non resta. 22.114.1 Tutta la corte con lo imperadore 22.114.2 incontro va, come Orlando fu visto: 22.114.3 parea, veggendo la furia e 'l romore, 22.114.4 quel dì ch' a Gerosolima andò Cristo, 22.114.5 ch' ognun correva a vederlo a furore. 22.114.6 Ah, popol così presto ingrato e tristo! 22.114.7 Così correva il dì questo gridando: 22.114.8 «Non dubitate omai, ché torna Orlando!». 22.115.1 Orlando, al modo usato, umilemente 22.115.2 a' pie' di Carlo Man s' è inginocchiato 22.115.3 e fatte l' abbracciate, e finalmente 22.115.4 nel gran palazzo il popol tutto è andato. 22.115.5 Lo 'mperadore ' Aldighier pose mente 22.115.6 e domandò chi fussi e donde è nato. 22.115.7 Orlando disse come di Gherardo 22.115.8 era figliuolo e quanto era gagliardo. 22.116.1 Poi domandò quel ch' era di Rinaldo. 22.116.2 Orlando gli dicea com' egli era ito, 22.116.3 come colui ch' a questa impresa è caldo, 22.116.4 per gente e presto sarà comparito. 22.116.5 Poi domandava del suo Gan ribaldo. 22.116.6 Disse Orlando: «Dinanzi m' è sparito; 22.116.7 a Montalban disse oggi voleva ire 22.116.8 per far di là Grifonetto partire». 22.117.1 Carlo rispose: «Questo fia ben fatto: 22.117.2 forse Grifon fa pur contro a sua voglia». 22.117.3 Astolfo rispondeva al primo tratto: 22.117.4 «O Carlo, tu mi fai morir di doglia 22.117.5 a creder Ganellon si sia ritratto 22.117.6 da' tradimenti e non sia quel che soglia: 22.117.7 fa che tu creda a Gano insino a morte, 22.117.8 e scaccia pure Orlando di tua corte. 22.118.1 Vuoi ch' io ti dica quel tristo del vero? 22.118.2 Io tel dirò, ma egli è un ladroncello, 22.118.3 e fassi malvolere al forestiero, 22.118.4 al terrazzano, all' amico, al fratello. 22.118.5 Tu non se' uom da regger, Carlo, impero, 22.118.6 e fai come si dice l' asinello, 22.118.7 che sempre par che la coda conosche 22.118.8 quando e' non l' ha, che sel mangion le mosche. 22.119.1 Mentre che in corte è il tuo caro nipote, 22.119.2 tu pensi qualche ingegno da cacciarlo; 22.119.3 come e' non c' è, tu ti graffi le gote; 22.119.4 che doverresti per certo adorarlo 22.119.5 sappiendo quanto e' t' ama e quanto e' puote. 22.119.6 Io vo' che tu mi creda questo, Carlo: 22.119.7 che se ci fussi stato il nostro conte, 22.119.8 questi pagan non passavano il monte». 22.120.1 Mentre che molte cose ognun ragiona, 22.120.2 Calavrïon nel campo aveva inteso 22.120.3 ch' Orlando in Parigi è colla Corona, 22.120.4 e bestemmiava il Ciel di rabbia acceso; 22.120.5 sentia che la città tutta risuona, 22.120.6 che si pensava aver già Carlo preso. 22.120.7 Subito fece il campo rafforzare 22.120.8 ed Archilagio a consiglio chiamare. 22.121.1 Non si vantava più questo Archilagio, 22.121.2 come prima ogni giorno far soleva, 22.121.3 di pigliar Carlo insin drento al palagio; 22.121.4 ognun d' un altro paese pareva 22.121.5 e cominciava a far le cose adagio; 22.121.6 ognun d' Orlando paura già aveva. 22.121.7 Sempre chi piglia i lïoni in assenzia, 22.121.8 vedrai che teme d' un topo in presenzia. 22.122.1 Dunque Archilagio non è quel che e' suole. 22.122.2 Or ritornianci in Parigi a Orlando. 22.122.3 Diceva Orlando: «Carlo, qui si vuole 22.122.4 presto ogni cosa venir disegnando, 22.122.5 ch' egli è tempo a far fatti e non parole. 22.122.6 Questo Aldighier va il suo padre cercando: 22.122.7 con diecimila a Montalban ne vada 22.122.8 e Berlinghier gli mosterrà la strada: 22.123.1 tu di' che v' è Gherardo, il padre, drento». 22.123.2 Subito in punto si misse Aldighieri 22.123.3 e fu di questa andata assai contento; 22.123.4 e va con esso il gentil Berlinghieri. 22.123.5 Ben sai che, detto e fatto, un tradimento 22.123.6 aveva in punto già Gan da Pontieri: 22.123.7 a Montalban di tratto si difila 22.123.8 con forse di suoi amici ventimila, 22.124.1 e sconosciuto ne va con costoro: 22.124.2 èvvi Beltramo, un de' suoi di Maganza, 22.124.3 e di Lusanna il conte Pulidoro. 22.124.4 Di prender Montalbano avea speranza 22.124.5 e d' ingannar Gherardo come soro 22.124.6 e 'l Danese e Vivian sotto amistanza. 22.124.7 E Berlinghier di lungi l' ha veduto 22.124.8 e 'l segno del falcon riconosciuto; 22.125.1 e 'ndovinossi, ch' era scozzonato 22.125.2 e le malizie conosce di Gano, 22.125.3 che questo traditor ne va affilato, 22.125.4 per far qualche trattato, a Montalbano; 22.125.5 ed ha tanto il cammin sollecitato, 22.125.6 che costor raggiugneva in un gran piano, 22.125.7 e domandò chi sia questa brigata 22.125.8 e chi sia il capitan di tale armata, 22.126.1 e s' egli è Gan con loro, e dove e' vanno. 22.126.2 Beltramo una risposta gli fe' strana: 22.126.3 «Chi e' si sien nol dicon, ché nol sanno; 22.126.4 ma vanno per la via perch' ella è piana». 22.126.5 In questo Ganellon conosciuto hanno, 22.126.6 che faceva le mummie, anzi befana; 22.126.7 ed Aldighier gridò: «S' io ben ti squadro, 22.126.8 non se' tu Ganellon, traditor ladro? 22.127.1 Traditor doloroso, can ribaldo, 22.127.2 traditor, padre e capo d' ogni male, 22.127.3 traditor nato per tradir Rinaldo, 22.127.4 traditor frodolente e micidiale, 22.127.5 traditor degno dello etterno caldo, 22.127.6 traditor crudo, iniquo e disleale, 22.127.7 traditor falso scacciato da corte, 22.127.8 traditor, guârti, io ti disfido a morte!». 22.128.1 Ed abbassò la lancia con gran fretta. 22.128.2 Gan gli rispose: «Aldighier tu ne menti, 22.128.3 ché traditor se' tu colla tua setta, 22.128.4 e fusti sempre, e tutti i tuoi parenti». 22.128.5 Beltramo e Pulidor quivi si getta: 22.128.6 feriron tutti co' ferri pungenti 22.128.7 Aldighier, tal che gli fororno il petto, 22.128.8 perch' eron tre, e lui sol, giovinetto; 22.129.1 ed uccisongli sotto il suo cavallo. 22.129.2 Intanto Berlinghier la lancia abbassa: 22.129.3 vede Beltramo che venìa a trovallo, 22.129.4 e con un colpo l' arme e 'l cuor gli passa. 22.129.5 Pulidor, quando vedeva cascallo 22.129.6 disteso a piombo che parve una massa, 22.129.7 addosso ad Aldighier si scaglia presto, 22.129.8 perché e' conobbe ben che morto è questo. 22.130.1 Aldighier così in terra, poveretto, 22.130.2 gli misse tutta ne' fianchi la spada 22.130.3 e morto il fece cadere in effetto. 22.130.4 E Berlinghier gentile anco non bada: 22.130.5 parea di diaccio a' suo' colpi ogni elmetto, 22.130.6 ed ha calcata di morti la strada 22.130.7 e tutto sanguinoso in mano il brando, 22.130.8 tanto che parve a questa volta Orlando. 22.131.1 Credo ch' egli ebbe Berlinghier vergogna 22.131.2 di se medesmo, ed altro spron non volle, 22.131.3 sì come a gentil cor già non bisogna, 22.131.4 quando e' giostrò quel dì con Mattafolle, 22.131.5 che gli grattò dove non fu mai rogna; 22.131.6 ed oggi a tutti gli altri fama tolle. 22.131.7 Ognun che tocca, alla terra giù balza 22.131.8 morto, ché in fallo la spada mai alza. 22.132.1 Qual Cesar, qual Anibal, qual Marcello, 22.132.2 quale Affrican, qual Paül, qual Cammillo, 22.132.3 quale Ettor comparar potriesi a quello? 22.132.4 Quanti ne pugne par ch' abbin l' assillo; 22.132.5 ha fatto un lago di sangue, un fragello 22.132.6 di cavalier, ch' io mi vergogno a dillo; 22.132.7 sempre il balen si vede e 'l tuono scoppia, 22.132.8 e tuttavolta la furia raddoppia. 22.133.1 Pareva questo giorno lui il falcone, 22.133.2 e peregrino, e non parea il colombo, 22.133.3 ché quanti ne feriva con l' unghione, 22.133.4 tanti giù morti ne caggiono a piombo; 22.133.5 talvolta si chiudea con un rondone, 22.133.6 tanto ch' ognun si sbaraglia a quel rombo; 22.133.7 come il lïon tra gli armenti si scaglia 22.133.8 e pare a' colpi suoi rete ogni maglia, 22.134.1 anzi parea delle tele d' aragne; 22.134.2 guardisi ognun dove col brando aggiunga, 22.134.3 ché le corazze parén di lasagne; 22.134.4 guarda che questa pecchia non ti punga; 22.134.5 lo scudo e l' arme tue sien le calcagne, 22.134.6 ché non varrà qui incanto o che tu unga; 22.134.7 fuggitevi, ranocchi, ecco la biscia 22.134.8 che fischia forte quando il brando striscia. 22.135.1 Avea lui sol tenuto, come Orazio 22.135.2 al ponte, Berlinghier la pugna il giorno 22.135.3 e non si potre' dir qual sia lo strazio 22.135.4 de' morti già ch' egli aveva dintorno. 22.135.5 Io non sarei per me mai stanco o sazio 22.135.6 a dir di questo paladino adorno, 22.135.7 tanto mi son sempre di lui piaciute 22.135.8 tutte sue opre colme di virtute. 22.136.1 Mentre che Berlinghier questo facea, 22.136.2 ecco Gherardo e 'l Danese e Viviano, 22.136.3 che con tremila a caval vi giugnea 22.136.4 e tutti a tre venien da Monte Albano, 22.136.5 ché Grifonetto ogni dì lo strignea, 22.136.6 e vanno per aiuto a Carlo Mano. 22.136.7 Giunto Gherardo, Berlinghier conosce, 22.136.8 e domandò donde sien tante angosce. 22.137.1 Berlinghier disse ogni cosa a Gherardo, 22.137.2 come quel traditor gli avea ingannati. 22.137.3 Diceva il sir di Rossiglione: «Io guardo 22.137.4 colui che intorno a sé tanti ha ammazzati 22.137.5 così pedon, che par baron gagliardo». 22.137.6 Rispose Berlinghier: «Fa che tu guati 22.137.7 come scacciar si possa questa gente 22.137.8 ed ammazzar quel traditor dolente». 22.138.1 Gherardo allor la sua lancia abbassava 22.138.2 subitamente e Viviano e 'l Danese: 22.138.3 così questa battaglia rinforzava. 22.138.4 Ma Ganellon, che 'l giuoco presto intese, 22.138.5 veduto Uggieri a fuggir cominciava 22.138.6 e di ritrarsi per partito prese; 22.138.7 così tutta sua gente in poca d' otta 22.138.8 si misse in fuga sbaragliata e rotta. 22.139.1 Poi che partiti i Maganzesi sono, 22.139.2 Aldighier nostro si venìa già manco, 22.139.3 ed avea dato a Berlinghieri un suono, 22.139.4 dicendo: «Io ho passato tutto il fianco: 22.139.5 aiutami, fratel discreto e buono». 22.139.6 Gherardo dicea pur: «Chi è il giovan franco?» 22.139.7 Il perché Berlinghier con molto duolo 22.139.8 rispose: «È Aldighier, ch' è tuo figliuolo». 22.140.1 Gherardo quando questo ebbe sentito, 22.140.2 iscese in terra e vanne al giovinetto; 22.140.3 ed Aldighier, c' ha Berlinghieri udito, 22.140.4 s' inginocchiò e trassesi l' elmetto, 22.140.5 e sforzasi il meschin, così ferito, 22.140.6 d' abbracciare il suo padre poveretto, 22.140.7 e mille volte gli baciò la fronte 22.140.8 ed ha fatta di lacrime una fonte. 22.141.1 Gherardo anco piangea d' affezïone; 22.141.2 domandò della madre Rosaspina; 22.141.3 disse Aldighieri: «Nella sua regione 22.141.4 lasciata l' ho tra' saracin reina. 22.141.5 Sappi che m' ha ferito Ganellone. 22.141.6 L' anima mia al suo regno cammina»; 22.141.7 e non poté parlar più oltre scorto 22.141.8 e cadde a' piè del padre in terra morto. 22.142.1 O padre al tutto misero in etterno! 22.142.2 O padre afflitto! O padre sconsolato! 22.142.3 O padre in paradiso e poi in inferno! 22.142.4 O padre che già tanto l' hai bramato, 22.142.5 o padre, or l' hai perduto in sempiterno! 22.142.6 O padre, ecco il figliuol che tu hai trovato! 22.142.7 O padre, che mai più ti darai pace, 22.142.8 ecco Aldighier che morto a' tuo' piè iace! 22.143.1 Tu non sarai più lieto alla tua vita. 22.143.2 Gherardo tramortì sopra 'l suo figlio, 22.143.3 come e' vide quell' anima partita; 22.143.4 e risentito e vòlto intorno il ciglio, 22.143.5 una cosa parea pazza e smarrita, 22.143.6 un uom perduto fuor d' ogni consiglio. 22.143.7 Uggier molto e Vivian lo confortorno 22.143.8 e giusto il poter lor racconsolorno. 22.144.1 Ed ordinorno in su quattro destrieri 22.144.2 un cataletto, dove porton quello, 22.144.3 ed a Parigi van con Aldighieri; 22.144.4 e 'l padre suo sì tristo e tapinello 22.144.5 lo fa portare innanzi allo imperieri; 22.144.6 e tutto il popol corre là a vedello. 22.144.7 Dicea Gherardo innanzi a Carlo Mano: 22.144.8 «Questo è Aldighier, ch' ucciso m' ha il tuo Gano». 22.145.1 Quivi piangeva amaramente Carlo, 22.145.2 quivi piangeva tutta la sua corte; 22.145.3 quivi Gherardo ignun può consolarlo, 22.145.4 quivi si duole ognun della sua morte; 22.145.5 quivi pur Gano ognun volea squartarlo, 22.145.6 quivi bestemmia alcun sì crudel sorte; 22.145.7 quivi l' essequie s' ordina e 'l mortoro, 22.145.8 quivi veniva tutto il concestoro. 22.146.1 Quivi Aldighieri nel triunfal palagio 22.146.2 di porpora coperto è riccamente, 22.146.3 di drappi d' oro ornati di doagio. 22.146.4 Calavrïon questa novella sente 22.146.5 subito in campo, e 'l fratello Archilagio, 22.146.6 e molto fu di tal caso dolente 22.146.7 perché e' sapea della sua gagliardia, 22.146.8 ché l' avea conosciuto in Pagania. 22.147.1 E non sapeva che 'l Veglio uccidessi; 22.147.2 amava questo assai già per antico: 22.147.3 ma che dich' io? quando ben lo sapessi, 22.147.4 le virtù l' ama a forza ogni nimico; 22.147.5 e scrisse a Carlo Man che gli piacessi, 22.147.6 per vedere Aldighier morto, suo amico, 22.147.7 conceder la venuta e la partita, 22.147.8 però ch' amato assai l' aveva in vita. 22.148.1 Carlo rispose molto grazïoso 22.148.2 che tutto il campo e lui libero vegna, 22.148.3 come degno signor, magno e famoso, 22.148.4 in cui molta eccellenzia sa che regna. 22.148.5 Calavrïon, con volto assai doglioso, 22.148.6 con certi principal della sua insegna 22.148.7 ed Archilagio suo tanto stimato, 22.148.8 venne a Parigi e fu molto onorato; 22.149.1 e pianse molto e confortò Gherardo, 22.149.2 e détte questo vanto ad Aldighieri, 22.149.3 che se viveva il giovane gagliardo, 22.149.4 non fu mai al mondo il miglior cavalieri 22.149.5 (non so se questo vanto fu bugiardo, 22.149.6 perché e' si dice di Risa Riccieri). 22.149.7 Dunque Aldighier piangevano i cristiani 22.149.8 per le sue gran virtù; così i pagani. 22.150.1 Carlo di questo caso assai si duole; 22.150.2 non vi rimase un sol non lacrimassi: 22.150.3 e 'l vecchio padre diceva parole 22.150.4 da far pianger le fiere e' monti e' sassi 22.150.5 e per pietà fermar la luna e 'l sole: 22.150.6 non è sì duro cor non si schiantassi, 22.150.7 tanto commiserevol cosa e scura 22.150.8 era a vederlo in questa sua sciagura. 22.151.1 E seppellito fu con tanto onore, 22.151.2 che tanto mai non ebbe Ettor troiano. 22.151.3 Poi nel palazzo il magno imperadore 22.151.4 Calavrïon menò sempre per mano; 22.151.5 e volle Carlo Man ch' un tal signore 22.151.6 andassi da man destra; ma il pagano 22.151.7 non volle in modo alcun accettar questo, 22.151.8 ch' era gentil, costumato ed onesto. 22.152.1 Posti a sedere, Orlando cominciòe 22.152.2 innanzi a tutti una bella orazione, 22.152.3 e tanto ben le parole acconciòe 22.152.4 che fece amico suo Calavrïone 22.152.5 ed ogni suo proposito mutòe, 22.152.6 come fa il savio udendo la ragione, 22.152.7 e d' ogni cosa lo facea capace; 22.152.8 ed abbracciârsi, e fu fatta la pace. 22.153.1 Non bisogna che venga quel d' Arpina, 22.153.2 Quintiliano, Demostene o nessuno, 22.153.3 per insegnare a Orlando dottrina: 22.153.4 e contro a Ganellon si volse ognuno. 22.153.5 Calavrïon sua gente saracina 22.153.6 offerse e molto giuravan ciascuno 22.153.7 di fare aspra vendetta d' Aldighieri 22.153.8 e che si debba a campo ire a Pontieri. 22.154.1 Ognuno a questa impresa s' accordava. 22.154.2 Gan, come questo sentiva, il fellone, 22.154.3 subito verso Pontieri arrancava 22.154.4 e fe' da Montalban levar Grifone 22.154.5 e quanto può la sua terra agorzava. 22.154.6 Carlo, giugnendo con Calavrïone, 22.154.7 sentì che 'l traditor di Gano è drento 22.154.8 e che faceva gran provedimento. 22.155.1 Con tutta questa gente vi pose oste: 22.155.2 da ogni porta una parte ne caccia 22.155.3 e piglion tutti i pian, montagne e coste: 22.155.4 ognuno il traditor pigliar minaccia 22.155.5 e stanno tutti co' cani alle poste; 22.155.6 ognun vuol questa lepre, ognun la traccia, 22.155.7 e sanno dove ella è posta a giacere 22.155.8 e non si curan pertica o levriere. 22.156.1 Lasciàn costoro intorno e in mezzo Gano. 22.156.2 Rinaldo nostro séguita il suo corso, 22.156.3 e per fortuna in un paese strano 22.156.4 s' avvide il padron suo ch' era trascorso, 22.156.5 e disse: «Mal condotti un giorno siàno: 22.156.6 e' ci convien pigliare o 'l graffio o 'l morso; 22.156.7 noi ci troviam sotto il segno di Marte, 22.156.8 dove val poco del nocchier qui l' arte. 22.157.1 O e' ci bisogna correr per perduti, 22.157.2 o e' ci bisogna afferrar questo porto; 22.157.3 se noi surgiam, come noi siàn veduti 22.157.4 ècci un signor ch' ognun si può dir morto: 22.157.5 non credo di natura si rimuti; 22.157.6 vive di ratto e di rapina a torto, 22.157.7 di naüfragi e d' ogni cosa trista, 22.157.8 e chiamasi per nome l' Arpalista. 22.158.1 Quella città si chiama Saliscaglia; 22.158.2 disopra alla città sta in un castello 22.158.3 donne che son tutte use ire in battaglia 22.158.4 e stanno tutte al servigio di quello; 22.158.5 come quelle Amazzóne veston maglia; 22.158.6 son per natura coperte di vello, 22.158.7 pilose, setolute, strane e brutte, 22.158.8 ma molto fiere per combatter tutte». 22.159.1 Rinaldo rispondea: «Tu mi solletichi, 22.159.2 padrone, appunto dove me ne giova, 22.159.3 ch' io so guarire i pazzi de' farnetichi: 22.159.4 parmi mill' anni d' essere alla pruova; 22.159.5 e molti, che non credon come eretichi, 22.159.6 hanno veduto spesso cosa nuova. 22.159.7 Surgiàn pur presto e fuggiàn via fortuna; 22.159.8 poi non temer più di cosa nessuna. 22.160.1 L' ira del mare è d' averne paura 22.160.2 però che contro a lei forza non vale; 22.160.3 ma di combatter poi coll' armadura 22.160.4 con quel signor crudele e micidiale, 22.160.5 io lo farò saltar per quelle mura 22.160.6 e proverrò se sa volar sanza ale». 22.160.7 E confortò il padron tanto e minaccia, 22.160.8 che surse finalmente e 'l ferro spaccia. 22.161.1 Era quella città sopra una ripa 22.161.2 che soprastà dalla banda del mare, 22.161.3 piena di scogli e di rocce e di stipa 22.161.4 che non vi posson le càpere andare; 22.161.5 tanto che 'l cuore al padron se gli scipa. 22.161.6 Rinaldo dicea pur: «Non dubitare. 22.161.7 Io voglio andar, padrone, in Saliscaglia, 22.161.8 ed arrecar giù roba e vettovaglia; 22.162.1 manda con meco qualche marinaio». 22.162.2 Disse il padron: «Cotesto son contento: 22.162.3 e' ne verrà con teco qualche paio». 22.162.4 Rinaldo alla città se ne va drento 22.162.5 e ruba il cuoco e saccheggia il fornaio 22.162.6 e sgombera e ritra'si a salvamento, 22.162.7 e nell' uscir fu la spada la chiave; 22.162.8 e ritornossi al padrone alla nave. 22.163.1 E disse: «Come il becco un poco immollo, 22.163.2 sicuro vo per boschi e per padule; 22.163.3 il monte Sinaì porterei in collo, 22.163.4 come e' trabocca il vin fuor pel mezzule; 22.163.5 io intendo di voler morir satollo»; 22.163.6 e cominciò a grattarsi il gorgozzule, 22.163.7 e pettina e sollecita il barlotto, 22.163.8 tanto che fece di prete lo scotto. 22.164.1 All' Arpalista vanno le novelle 22.164.2 ch' un forestier la terra ha saccheggiata: 22.164.3 subito fece armar quelle donzelle 22.164.4 ed ordinò la porta abbin guardata; 22.164.5 e la capitanessa fu di quelle 22.164.6 una, quale era Arcalida chiamata. 22.164.7 Rinaldo alla città già tornato era 22.164.8 e sfuma fuori il vin per la visiera. 22.165.1 Arcalida si fe' innanzi alla porta, 22.165.2 e disse: «Dove vai tu, cavaliere, 22.165.3 che par' così sicuro sanza scorta?». 22.165.4 Disse Rinaldo: «Io tel farò sapere. 22.165.5 Aspetta ch' io t' infilzo: tu se' morta». 22.165.6 Alardo intanto spronava il destriere 22.165.7 e 'nfilza presto un' altra damigella 22.165.8 e posela a giacer giù della sella. 22.166.1 Guicciardo un' altra di queste rintoppa 22.166.2 ed una lancia arrestata gli accocca 22.166.3 e tutta la forò sotto la poppa 22.166.4 e come Alardo a giacer la rimbocca. 22.166.5 Ricciardetto una ne punse alla groppa, 22.166.6 che non portò mai più spada né rócca. 22.166.7 Così tra queste donzelle e' cristiani 22.166.8 si cominciò a menare altro che mani. 22.167.1 Arcalida s' appicca con Guicciardo 22.167.2 e finalmente sotto se lo caccia: 22.167.3 volle veder come egli era gagliardo; 22.167.4 quantunque poco mal costei gli faccia, 22.167.5 subito addosso a lei correva Alardo, 22.167.6 tanto ch' alfin questa donzella spaccia, 22.167.7 però che la passò nel pettignone, 22.167.8 ch' arme ch' avessi non valse un mellone. 22.168.1 Le porte d' ogni parte fur serrate, 22.168.2 tanto ch' al buio in mezzo combattevano; 22.168.3 e tutte le donzelle hanno spacciate, 22.168.4 ch' a una a una in terra le ponevano; 22.168.5 e le porte hanno rotte e sgangherate 22.168.6 e 'l borgo a saccomanno poi correvano. 22.168.7 Rinaldo è stato a diletto a vedere 22.168.8 quelle fanciulle rovescio cadere 22.169.1 e Ricciardetto e Guicciardo dileggia: 22.169.2 «Io non pensai che voi fornissi mai 22.169.3 di spacciar quattro femine»; e motteggia. 22.169.4 Alardo disse: «Provato non hai: 22.169.5 non si conosce ogni volta l' acceggia 22.169.6 al becco lungo, non so se tu il sai; 22.169.7 tu non sai ben com' elle s' aiutavano: 22.169.8 co' colpi in aria, per Dio, ci levavano! 22.170.1 Elle son tutte ammaestrate al giuoco, 22.170.2 e bisognò molta acqua si versasse 22.170.3 prima che fussi spento questo fuoco. 22.170.4 Basta che netto ciascun si ritrasse. 22.170.5 Tu porteresti, s' tu provassi un poco, 22.170.6 le lance alle bandiere poi più basse: 22.170.7 una di lor ti parrebbe bastante, 22.170.8 non ch' aversi a provar con tutte quante». 22.171.1 Ma l' Arpalista, inteso tutto il fatto, 22.171.2 un suo cugino Archilesse là manda; 22.171.3 e disse, come e' giunse, questo matto: 22.171.4 «Apollin vi sconfonda d' ogni banda!». 22.171.5 e con Guicciardo si sfidò di tratto. 22.171.6 Guicciardo al suo Gesù si raccomanda, 22.171.7 e bisognava, ché non priega invano: 22.171.8 ch' erano in monte e ritrovossi al piano. 22.172.1 Ed Archilesse nel portava via 22.172.2 e come il lupo al bosco la dà all' erta. 22.172.3 Rinaldo, come lo vide, dicìa: 22.172.4 «Aspetta, ché la guardia s' è scoperta»; 22.172.5 e finalmente Archilesse giugnia 22.172.6 e minacciò di dargli con Frusberta; 22.172.7 donde il pagan: «Tu mi fai torto!», grida; 22.172.8 lasciò Guicciardo e con lui si disfida. 22.173.1 Abbassaron le lance e furon rotte, 22.173.2 e colle spade a ferirsi tornaro 22.173.3 dandosi insieme di villane botte. 22.173.4 Il saracin, non veggendo riparo, 22.173.5 volle Baiardo guarir delle gotte: 22.173.6 déttegli un colpo che gli parve amaro, 22.173.7 ché s' egli avessi preso meglio il collo, 22.173.8 credo che forse non dava più crollo. 22.174.1 Gridò Rinaldo: «Omè, Baiardo mio, 22.174.2 e' sare' meglio esser con quelle dame 22.174.3 che con questo pagan crudele e rio 22.174.4 che così scardassato t' ha lo stame. 22.174.5 Io ti vendicherò, pel nostro Iddio!». 22.174.6 Baiardo il ciuffò presto colle squame; 22.174.7 Rinaldo un colpo gli diè in su la testa, 22.174.8 che gliel partì pel mezzo appunto a sesta. 22.175.1 Dunque convien che l' Arpalista sbuchi: 22.175.2 venne coperto d' arme, e poi di seta 22.175.3 la sopravvesta, che par che riluchi 22.175.4 come 'l sol fra le stelle o la cometa. 22.175.5 Rinaldo, quando vide tanti bruchi, 22.175.6 disse: «Costui persona par discreta: 22.175.7 recata ha questa per sua cortesia, 22.175.8 ch' al mio padron della nave la dia». 22.176.1 Poi disse all' Arpalista: «Io son venuto 22.176.2 per purgarti d' ogni opra tua cattiva: 22.176.3 che sempre se' di tirannia vivuto 22.176.4 o s' alcun legno si rompe alla riva 22.176.5 per tutti questi mar, detto m' è suto; 22.176.6 ch' io me n' andavo ove si posa Uliva, 22.176.7 ma volsi in questa parte il mio cammino 22.176.8 per gastigar sì ingiusto saracino; 22.177.1 ché so ch' ella fia opera famosa 22.177.2 e piacerà a Macon nel Ciel per certo». 22.177.3 Il saracino, ascoltato ogni cosa, 22.177.4 disse: «Ribaldo, io t' ho troppo sofferto, 22.177.5 ché d' impiccarti più tosto pietosa 22.177.6 sarebbe opera suta e giusto merto, 22.177.7 come si fa a' tuoi par corsar che vanno 22.177.8 faccendo prede e ruberie e danno». 22.178.1 Disse Rinaldo: «Io non fu' mai pirrato»; 22.178.2 e détte presto al caval degli sproni; 22.178.3 e l' uno e l' altro si fu discostato, 22.178.4 e tornonsi a ferir con due stangoni: 22.178.5 ché l' Arpalista un abete ha recato, 22.178.6 dicendo: «Questa svegliar fa i poltroni: 22.178.7 con essa n' ho già desti più d' un paio, 22.178.8 e tu sarai per questo dì il sezzaio». 22.179.1 Rinaldo al saracino aveva detto: 22.179.2 «Cotesta lancia mi par troppo grave: 22.179.3 e pur si debbe aver qualche rispetto 22.179.4 di non giostrar però con una trave; 22.179.5 se tu ti pon' cotesta lancia al petto, 22.179.6 io torrò quaggiù l' arbor della nave»; 22.179.7 ma poi che vide il pagan così volse, 22.179.8 un' altra simigliante a quella tolse. 22.180.1 Questi stangon nel petto si percossono, 22.180.2 tanto che tutto lo scudo intronorno, 22.180.3 e l' uno e l' altro di sella si mossono, 22.180.4 perché le lance sol non si piegorno, 22.180.5 e sofferire il colpo ben non possono; 22.180.6 vero è che in sulla terra non cascorno: 22.180.7 il saracin rovescio in sulla groppa 22.180.8 si ritrovò, quando il colpo rintoppa; 22.181.1 Rinaldo si piegò tutto e scontorse, 22.181.2 e del sinistro piè gli uscì la staffa 22.181.3 e quasi di cader la misse in forse; 22.181.4 pur si sostenne e d' arcion non iscaffa. 22.181.5 Poi presto in su la spada la man porse, 22.181.6 e 'l saracin la sua dal fianco arraffa; 22.181.7 e per un' ora o più gran colpi ferno, 22.181.8 ma l' Arpalista regge a ogni scherno. 22.182.1 Pure alla fin volendo riparare 22.182.2 un colpo, un tratto lo scudo su alza; 22.182.3 Rinaldo vide un bel colpo da fare 22.182.4 e che scoperta avea la mana e scalza: 22.182.5 un colpo trasse, e quella ebbe a trovare, 22.182.6 e collo scudo alla terra giù balza; 22.182.7 donde un gran mugghio metteva il pagano, 22.182.8 quando e' si vide tagliata la mano; 22.183.1 e disse: «Io mi t' arrendo: or mi perdona! 22.183.2 Io ho perduto ogni cosa a un colpo: 22.183.3 tu m' hai ferito, e guasta la persona, 22.183.4 e fu il difetto mio, così m' incolpo. 22.183.5 Dimmi, baron, come il tuo nome suona, 22.183.6 ch' omai d' ogni peccato a te mi scolpo. 22.183.7 Io son prigion tuo vero, anzi son morto: 22.183.8 non mi toccar, po' ch' io m' arrendo, a torto». 22.184.1 Disse Rinaldo: «Io son cugin del conte 22.184.2 Orlando, il qual sentito hai ricordare; 22.184.3 Rinaldo son chiamato di Chiarmonte». 22.184.4 L' Arpalista, sentendol nominare, 22.184.5 coll' altra man si percosse la fronte: 22.184.6 «O Macon», disse, «ben ti puoi sfamare: 22.184.7 dunque tu m' hai condotto, can ribaldo, 22.184.8 traditore, a combatter con Rinaldo? 22.185.1 Sia maladetto ch' io t' ho mai creduto! 22.185.2 Sia maladetto la tua deïtà! 22.185.3 Sia maladetto chi t' ha mai piaciuto! 22.185.4 Sia maladetto chi t' adorerà! 22.185.5 Sia maladetto il Ciel, ch' io lo rifiuto! 22.185.6 Sia maladetto la tua crudeltà! 22.185.7 Sia maladetto chi il tuo nome onora! 22.185.8 Sia maladetto il dì ch' io nacqui e l' ora! 22.186.1 Sia maladetta la disgrazia mia, 22.186.2 ch' io non conobbi te, Rinaldo, prima 22.186.3 che la Fortuna troculente e ria 22.186.4 mi cacciassi nel fondo dalla cima! 22.186.5 Io ti do la mia terra in tua balìa; 22.186.6 di me come tu vuoi puo' fare stima. 22.186.7 Lasciami andar meschino e sventurato, 22.186.8 ch' io vo' cercar la morte in altro lato, 22.187.1 e non arà Macon questo piacere 22.187.2 ch' io muoia in Pagania sotto suo regno». 22.187.3 Disse Rinaldo: «Io non ti vo' tenere 22.187.4 a forza, con dispetto e con isdegno; 22.187.5 ma vo' che ti rassegni, ché è dovere, 22.187.6 al mio cugin famoso Orlando degno: 22.187.7 così la fede or mi prometterai, 22.187.8 ed a tua posta libero n' andrai». 22.188.1 Rispose l' Arpalista: «E così giuro; 22.188.2 io ho sempre bramato di vedello: 22.188.3 di questo in ogni modo sta sicuro». 22.188.4 E così si partì quel meschinello: 22.188.5 pensa quanto il partir gli fussi duro! 22.188.6 Rinaldo la città prese e 'l castello, 22.188.7 e 'l suo signor ne va peregrinando 22.188.8 per ritrovar, come e' giuròe, Orlando. 22.189.1 E così vuol la giustizia divina; 22.189.2 così tutte le cose al mondo vanno, 22.189.3 chi vive con tristizia e con rapina. 22.189.4 Avea sognato il suo futuro danno 22.189.5 la notte costui presso alla mattina, 22.189.6 come l' anime nostre spesso fanno, 22.189.7 che in Saliscaglia un serpente veniva 22.189.8 e per paura di lui si fuggiva. 22.190.1 Andò questo Arpalista assai cercando 22.190.2 la morte e prima a Parigi arrivò. 22.190.3 Carlo non v' era e non vi truova Orlando, 22.190.4 per la qual cosa a Pontier se n' andò. 22.190.5 Gano ha trovato, che 'l vien domandando: 22.190.6 «Dimmi chi sia, e soldo ti darò». 22.190.7 E' gli diceva di sua crudel sorte 22.190.8 e come andava cercando la morte. 22.191.1 Rispose Gan: «Tu debbi esser mandato 22.191.2 da Carlo o da Orlando per ispia; 22.191.3 e perch' io son più di te disperato, 22.191.4 tra disperato e disperato fia: 22.191.5 piglia del campo, ed arai qui trovato 22.191.6 la morte che tu cerchi tuttavia»; 22.191.7 e détte volta al suo Mattafellone, 22.191.8 e minacciava e chiamalo spïone. 22.192.1 L' Arpalista toccava il ciel col dito 22.192.2 poi che trovato avea con chi contendere; 22.192.3 subitamente a trovarlo n' è ito, 22.192.4 tanto che Gan non si può alfin difendere 22.192.5 e cadde del caval tutto stordito 22.192.6 che non ne volea forse ancora scendere, 22.192.7 sì forte colpo gli diè l' Arpalista 22.192.8 che gli appiccò la lancia nella vista. 22.193.1 Molti baron di Gan che sono in piazza 22.193.2 volson tutti le punte al saracino; 22.193.3 ma perch' egli è di più che buona razza, 22.193.4 si difendea così col moncherino, 22.193.5 tanto ch' a molti frappò la corazza. 22.193.6 Ma Ganellon, tornato in suo domìno, 22.193.7 gridò che' cavalier suoi si scostassino 22.193.8 e più col saracin non contastassino. 22.194.1 E parvegli dover, ch' era malvagio, 22.194.2 operar col pagano un altro unguento; 22.194.3 e con parole cortese al palagio 22.194.4 lo 'nvita, e l' Arpalista fu contento, 22.194.5 dicendo che parlar gli vuole ad agio; 22.194.6 e cominciò con lui ragionamento: 22.194.7 «Chi tu ti sia, pagano, o di qual banda, 22.194.8 non vo' cercare, o se Carlo ti manda; 22.195.1 ma perché mi pari uom discreto e forte, 22.195.2 mi fiderò di te liberamente. 22.195.3 Benché tu dica che cerchi la morte, 22.195.4 so che cerchi altro e fai come prudente. 22.195.5 Carlo sbandito m' ha della sua corte, 22.195.6 ed è qui il campo che vedi al presente. 22.195.7 La ingratitù fu sempre ne' signori, 22.195.8 e 'nvidia, come sai, tra' servidori. 22.196.1 S' io non fussi io e' non terrebbe il regno, 22.196.2 Carlo, e perduto ho infin ciò ch' i' gli ho fatto: 22.196.3 come e' non m' è rïuscito un disegno, 22.196.4 chiamato traditor son tristo e matto, 22.196.5 tanto che per invidia m' ha in disdegno, 22.196.6 ché si dà ben di gran colpi di piatto; 22.196.7 per troppo amor ch' io ho portato a quello, 22.196.8 a torto sono scacciato e ribello. 22.197.1 Egli ha con seco certi susurroni 22.197.2 che penson contro a me sempre lacciuoli, 22.197.3 voglionsi tutti per loro i bocconi; 22.197.4 questi sono i fedel, questi i figliuoli: 22.197.5 certi buffon fraschier, certi ignatoni 22.197.6 dipinti in mille logge e in mille orciuoli; 22.197.7 questi governan Carlo imperadore; 22.197.8 io sono il ladro e 'l tristo e 'l traditore. 22.198.1 Hannol condotto qua come un bambino, 22.198.2 ed è venuto drieto a' lor consigli 22.198.3 come al pane insalato il pecorino. 22.198.4 Vero è ch' un savio ha sol fra molti figli: 22.198.5 questo è Orlando degno paladino; 22.198.6 ma poco il suo parer par che si pigli, 22.198.7 e come me lo discaccia ogni giorno, 22.198.8 tanto che sempre va pel mondo attorno. 22.199.1 Io sono un uom c' ho in sommo della bocca 22.199.2 un poco troppo il vero alcuna volta 22.199.3 e dicolo e non guardo a chi ciò tocca. 22.199.4 Tu sai che il ver malvolentier s' ascolta: 22.199.5 non domandar se la invidia trabocca 22.199.6 e se 'l suo stral contro a me poi fa còlta. 22.199.7 Io vo' più oltre dirti ogni mio effetto, 22.199.8 ché insin a qui non par nulla abbi detto. 22.200.1 Tu sai che come un l' uom s' arreca a noia, 22.200.2 non può mai più far cosa che ti piaccia: 22.200.3 se dice il ver, tu di' che dà la soia; 22.200.4 se ti lusinga, e tu di' che minaccia, 22.200.5 e' suoi cagnetti gridon tutti: "Muoia!". 22.200.6 Così fanno anco i can che vanno a caccia: 22.200.7 percuotine un: come tu l' hai percosso, 22.200.8 gli altri gli corron tutti quanti addosso 22.201.1 e tutto fanno per parer fedeli 22.201.2 e torna prima a te chi l' ha più morso 22.201.3 perché tu vegga ch' egli ha in bocca i peli. 22.201.4 Per me non è né scusa né soccorso 22.201.5 con questi non fedeli, anzi crudeli; 22.201.6 e son più di mille oche in su 'n un torso; 22.201.7 e se trovassin miglior patto altrove, 22.201.8 ti lascerieno in sul terzo di nove. 22.202.1 Dico così, che quanto io facci bene 22.202.2 convien che interpetrato sia alfin male 22.202.3 e pòrtone assai volte ingiuste pene: 22.202.4 guarda questo odio e 'nvidia quanto vale! 22.202.5 Certo Aldighieri a questi giorni avviene 22.202.6 ch' andando a Montalban per via m' assale, 22.202.7 e dice: "Io ti conosco, isconosciuto!", 22.202.8 come se mai non m' avessi veduto; 22.203.1 e vuolsi vendicar d' una novella 22.203.2 che mi levorno con un Dilïante, 22.203.3 che me n' aveva tenuta favella 22.203.4 sempre a camin costui come ignorante. 22.203.5 La lancia abbassa, ch' era armato in sella. 22.203.6 Quand' io mi vidi venirlo davante 22.203.7 (tu sai ch' ognun la morte va schifando), 22.203.8 uccisi lui che se l' andò cercando. 22.204.1 Ogni animal per non morir s' aiuta. 22.204.2 Per questo Carlo m' ha posto l' assedio, 22.204.3 per questo tanta gente è qua venuta. 22.204.4 Io non vo' più, pagan, tenerti a tedio; 22.204.5 credo che sia di Dio volontà suta 22.204.6 che tu venissi qua per mio rimedio: 22.204.7 vo' che tu vadi insino alla Corona 22.204.8 per fare opera giusta e santa e buona, 22.205.1 e riconoscer la vita da te; 22.205.2 e di' ch' io vo' venir colla correggia 22.205.3 al collo e ginocchion chieder merzé 22.205.4 come 'l fanciul talvolta che scioccheggia; 22.205.5 e se mai cosa per lui grata fe', 22.205.6 che di levar questa gente proveggia; 22.205.7 e vo' che mi perdoni sol la morte 22.205.8 e mai più poi non mi vedrà in sua corte». 22.206.1 Quando ebbe così detto il traditore, 22.206.2 all' Arpalista par la impresa giusta, 22.206.3 e per andare a Carlo imperadore 22.206.4 pargli mill' anni in punto aver la fusta, 22.206.5 e sella immedïate il corridore. 22.206.6 Diceva Gano: «Il savio intende e gusta; 22.206.7 e però sempre il sapïente manda. 22.206.8 Al conte Orlando mio mi raccomanda, 22.207.1 che ti parrà un uom ch' ogn' altro ecceda: 22.207.2 questo è colui ch' è buon, discreto e degno 22.207.3 e della gloria del suo sangue ereda, 22.207.4 e sol per lui tien Carlo scetro e regno; 22.207.5 e suo patrigno son, vo' che tu creda». 22.207.6 Guarda se misse qui tutto il suo ingegno! 22.207.7 Tutto facea perché e' gliel ridicessi 22.207.8 acciò ch' Orlando a pietà si movessi. 22.208.1 L' Arpalista n' andava imburiassato 22.208.2 che la camicia non gli tocca l' anche. 22.208.3 Dinanzi a Carlo Man s' è inginocchiato, 22.208.4 e dice come Gan le carte bianche 22.208.5 gli manda, e ciò che gli avea ragionato, 22.208.6 e che esser gli parea tra male branche; 22.208.7 e replicava appunto ciò ch' e' disse 22.208.8 d' Orlando, acciò che 'l fatto rïuscisse. 22.209.1 E seppe tanto ben ceramellare, 22.209.2 che Carlo gli perdona e così Orlando, 22.209.3 con questo, che Rinaldo perdonare 22.209.4 gli voglia e che ne debba andar cercando 22.209.5 tanto ch' a lui si possi appresentare. 22.209.6 Poi l' Arpalista veniva narrando 22.209.7 come è prigion di Rinaldo mandato 22.209.8 al conte Orlando e ciò che gli è incontrato; 22.210.1 e mostrò a tutti il caso della mano, 22.210.2 che gran compassïon ne venìa loro; 22.210.3 e ritornossi di subito a Gano. 22.210.4 Ganellon venne e innanzi al concestoro 22.210.5 s' inginocchiò piangendo a Carlo Mano, 22.210.6 e disse: «Io troverrò, s' anzi non moro, 22.210.7 Rinaldo e purgherò gli sdegni e l' onte: 22.210.8 così tu, Carlo, mi perdoni, e 'l conte! 22.211.1 S' io dovessi cercar per tutto il mondo, 22.211.2 io troverrò dove che sia Rinaldo». 22.211.3 Così fu liberato e netto e mondo. 22.211.4 Calavrïon, inteso e 'l patto e 'l saldo, 22.211.5 diceva a Carlo Man: «Nulla rispondo. 22.211.6 Ma te gastigherò, monco ribaldo, 22.211.7 che detto hai qua la tua santa parola, 22.211.8 che si vorre' impiccarti per la gola! 22.212.1 Venuto son da Parigi volando 22.212.2 con tanta gente e con tanto furore, 22.212.3 lasciato ogni mio sdegno con Orlando, 22.212.4 per trovarmi a punir quel traditore, 22.212.5 che ne venivo al ciel le mani alzando! 22.212.6 Piglia del campo, pagan peccatore, 22.212.7 ischiavo, ragazzon, prigione e monco, 22.212.8 ch' io vo' che l' altro braccio anco sia cionco». 22.213.1 L' Arpalista una lancia ch' avea, abbassa. 22.213.2 Or guarda se Fortuna lavoròe! 22.213.3 Ognun col suo cavallo oltre trapassa, 22.213.4 ognun l' un l' altro allo scudo trovòe, 22.213.5 ognuno il petto l' uno all' altro passa, 22.213.6 ognun giù della sella rovinòe, 22.213.7 ognun di questi moriva a un tratto, 22.213.8 che mai si vide un colpo così fatto. 22.214.1 Calavrïon a contanti la briga 22.214.2 comperò dunque, che non gli toccava: 22.214.3 ecco che la giustizia lo gastiga; 22.214.4 l' Arpalista trovò quel che cercava: 22.214.5 pel fil della sinopia e per la riga 22.214.6 a questa volta questa cosa andava. 22.214.7 Ed Archilagio per partito prese 22.214.8 di rimenar sue gente in suo paese. 22.215.1 Carlo tornò colla corte a Parigi. 22.215.2 Gan per lo mondo in cammin si mettea; 22.215.3 dove e' sentiva o discordie o litigi 22.215.4 o guerre: «Quivi è Rinaldo» dicea: 22.215.5 così cercava l' orme e' suoi vestigi. 22.215.6 Or ritorniamo a Rinaldo ch' avea 22.215.7 ridotta Saliscaglia a divozione 22.215.8 di Cristo, e rinnegato ognun Macone. 22.216.1 Poi che son battezzati i saracini, 22.216.2 e statosi alcun tempo a dimorare, 22.216.3 e grande onor gli fanno i cittadini, 22.216.4 in visïone una notte gli appare 22.216.5 un angelo che fu de' cherubini, 22.216.6 e disse: «Qui, Rinaldo, non puoi stare. 22.216.7 A' pellegrini impedito è il passaggio, 22.216.8 non posson far del Sepulcro il vïaggio. 22.217.1 Quel che tu hai fatto, molto a Dio su piace, 22.217.2 ma fa ch' a questa impresa or non sia molle. 22.217.3 Sappi ch' egli è un uom molto rapace, 22.217.4 che nel deserto sta di Caprafolle; 22.217.5 non lascia i pellegrini andare in pace: 22.217.6 fa che tu vadi a piè di colle in colle 22.217.7 fin che tu truovi questo fiero matto 22.217.8 che fa di là chiamarsi Fuligatto». 22.218.1 Rinaldo la mattina, risentito, 22.218.2 subito a Ricciardetto e gli altri disse 22.218.3 come l' angiol di Dio gli era apparito 22.218.4 e quel che gli avea detto e dove e' gisse. 22.218.5 Ognun di lor n' è molto sbigottito: 22.218.6 non che non dichin che Dio s' ubbidisse, 22.218.7 ma che di questo sol sentivan duolo, 22.218.8 che l' angel gli comanda e' vadi solo. 22.219.1 Rinaldo il me' che sa dà lor conforto, 22.219.2 dicendo: «Abbiate alla terra riguardo 22.219.3 e dirizzate a ragione ogni torto. 22.219.4 E raccomando a tutti il mio Baiardo. 22.219.5 E presto tornerò, s' io non son morto, 22.219.6 ché d' ubbidire Iddio nel cor tutto ardo. 22.219.7 Sievi raccomandata la giustizia; 22.219.8 tenete in pace la terra e 'n dovizia». 22.220.1 E fece apparecchiar presto la nave, 22.220.2 ché quel padron con Rinaldo si stava 22.220.3 e d' ogni cosa gli fida la chiave. 22.220.4 E per ventura romei v' arrivava; 22.220.5 e benché la partenza fussi grave, 22.220.6 con questi finalmente s' avvïava; 22.220.7 e tutti prima in bocca si baciorno, 22.220.8 di stare al ben e 'l mal la notte e 'l giorno. 22.221.1 E così si commette alla marina, 22.221.2 e l' armadura tien sotto coperta: 22.221.3 disopra si vedeva una schiavina; 22.221.4 e non dimenticò però Frusberta. 22.221.5 Il vento è buono e la nave cammina, 22.221.6 tanto che Barberia hanno scoperta; 22.221.7 e dirizzârsi verso una cittade 22.221.8 donde saran per terra poi le strade. 22.222.1 E come drento al porto surti sono, 22.222.2 Rinaldo dal padron fa dipartita, 22.222.3 e dice: «Fra un mese sarà buono 22.222.4 che questa nave in qua sia comparita; 22.222.5 e 'ntanto io tornerò dal mio perdono. 22.222.6 Cristo t' aiuti e la tua calamita, 22.222.7 che non val men che la stoppa e la pece!». 22.222.8 Donde il padron con lui gran pianto fece, 22.223.1 e disse: «Il dì ch' io me n' andrò sotterra, 22.223.2 non sentirò nel cuor la metà pena, 22.223.3 dico in quel punto che l' alma si sferra. 22.223.4 Vattene in pace ove il cammin ti mena! 22.223.5 Aiutiti il tuo Iddio se tu vai in guerra, 22.223.6 aiutiti Maria di grazia piena! 22.223.7 Io tornerò qui colla nave presto»; 22.223.8 e non poté più oltre dir che questo, 22.224.1 e 'nginocchiossi e baciògli le piante. 22.224.2 Rinaldo co' compagni se ne vanno 22.224.3 nella città che vi sta l' amirante, 22.224.4 e giostre e feste alla piazza si fanno, 22.224.5 e molto ben si portava un amante 22.224.6 d' una fanciulla: a veder quivi stanno: 22.224.7 questa era molto bianca e molto bella, 22.224.8 e molto bruna un' altra, sua sorella, 22.225.1 e come bruna si chiama Brunetta 22.225.2 (adunque il nome suo non si disdice); 22.225.3 quell' altra è bianca e pare un' angioletta, 22.225.4 e molto il dì si chiamava felice 22.225.5 perché el suo amante ognun per terra getta; 22.225.6 e la sorella rincorreva, e dice: 22.225.7 «Non c' è per te chi rompa due finocchi, 22.225.8 e 'l drudo mio d' ogni lancia fa rocchi». 22.226.1 Diceva la Brunetta sventurata: 22.226.2 «Che colpa ho io di quel che fe' natura 22.226.3 e s' io non nacqui bella e fortunata? 22.226.4 S' io avessi avuto a far questa figura, 22.226.5 io mi sarei per modo disegnata 22.226.6 che sculto nol farebbe o dipintura. 22.226.7 Ringrazia Iddio che degli amanti truovi, 22.226.8 e presso ch' io non dissi anco gli pruovi. 22.227.1 Io vi conforto della giostra, amanti, 22.227.2 e la Brunetta vi torni a memoria; 22.227.3 io vi ricordo e dico a tutti quanti 22.227.4 che colla lancia s' acquista vittoria 22.227.5 e fassi spesso colpi di giganti; 22.227.6 e ch' ogni dama del suo drudo ha boria, 22.227.7 e piace insin da Campi a mona Onesta 22.227.8 che e' tenga ben la lancia in su la resta». 22.228.1 E detto questo gittava il falcone 22.228.2 verso Rinaldo e pargli molto bello; 22.228.3 e ricordossi d' una visïone 22.228.4 che fatta avea, ch' un pellegrin novello 22.228.5 ognun quel giorno abbatteva d' arcione; 22.228.6 e disse fra suo cor: «Costui fia quello». 22.228.7 A un suo balio lo fece chiamare: 22.228.8 «Di' a quel pellegrin ch' io gli ho a parlare». 22.229.1 Rinaldo andò ma non sapea la trama. 22.229.2 Ella gli disse con destre parole 22.229.3 del sogno e la cagion perch' ella il chiama. 22.229.4 Rinaldo disse far ciò ch' ella vuole, 22.229.5 ché ciò ch' uom facci per amor di dama 22.229.6 è gentilezza ch' osservar si suole; 22.229.7 che si voleva armar segretamente 22.229.8 dove piacessi alta dama piacente. 22.230.1 Brunetta gli ordinò dove s' armassi 22.230.2 e impose al balio ch' un destrier gli mostri. 22.230.3 E la sorella di lei beffe fassi, 22.230.4 e dice: «Che vuoi tu che costui giostri?», 22.230.5 e ridea, quasi in sua lingua parlassi: 22.230.6 «Costui t' arrecherà de' paternostri 22.230.7 dal suo perdon quando e' sarà tornato». 22.230.8 Rinaldo al campo n' è venuto armato. 22.231.1 Disse l' amante di quella più bella: 22.231.2 «Hai tu veduto qua questo uccellaccio? 22.231.3 Che dirai tu s' io il traggo della sella? 22.231.4 Al primo colpo in terra te lo caccio». 22.231.5 Rispose la Brunetta meschinella: 22.231.6 «Sì, se tu stimi ch' un uom sia di ghiaccio». 22.231.7 Rinaldo le parole appunto intese 22.231.8 e tutto quanto di sdegno s' accese, 22.232.1 e disfidossi con questo saccente. 22.232.2 La bianca e bella confortava il drudo, 22.232.3 e la Brunetta facea similmente; 22.232.4 e l' uno e l' altro si truova lo scudo; 22.232.5 ma 'l saracin pel gran colpo e possente 22.232.6 alzò le gambe e cadde a culo ignudo 22.232.7 quanto potea con ogni sua vergogna; 22.232.8 e fu pur ver quel che Brunetta sogna. 22.233.1 Quivi le grida intorno si levorno. 22.233.2 Non domandar se la dama galluzza! 22.233.3 E dice alla sorella per iscorno: 22.233.4 «Truova dell' acqua e nel viso la spruzza, 22.233.5 ché la mia visïon fu presso al giorno». 22.233.6 La bianca addolorata si raggruzza 22.233.7 però ch' un braccio il suo amante si spezza. 22.233.8 Non domandar se Brunetta la sprezza! 22.234.1 Vollonsi alcun con Rinaldo provare; 22.234.2 ognuno in terra alla fine è caduto. 22.234.3 Il padre di costor si fece armare 22.234.4 e venne sopra 'l campo sconosciuto; 22.234.5 Rinaldo il gittò in terra, e nel cascare 22.234.6 l' elmo gli usciva, onde e' fu conosciuto. 22.234.7 E come fatta è la festa, a bell' agio 22.234.8 Rinaldo ne menò seco al palagio, 22.235.1 ché di sua forza si maravigliava; 22.235.2 e' suoi compagni con lui fe' venire 22.235.3 ed un convito solenne ordinava; 22.235.4 e le fanciulle stavano a servire 22.235.5 e l' una e l' altra Rinaldo guardava, 22.235.6 innamorate del suo grande ardire. 22.235.7 E poi mangiato, in una zambra vanno 22.235.8 e le fanciulle gran disputa fanno 22.236.1 e dice ognuna ch' era la più bella; 22.236.2 e che Rinaldo giudicassi questo 22.236.3 contente son l' una e l' altra sorella. 22.236.4 Rinaldo: «La Brunetta!» disse presto, 22.236.5 e ch' aveva il suo amor donato a quella; 22.236.6 il che fu tanto alla bianca molesto, 22.236.7 ch' a un balcon con un laccio di seta 22.236.8 s' impiccò in una camera segreta; 22.237.1 della qual cosa ciascun si lamenta. 22.237.2 Rinaldo co' compagni si partia 22.237.3 e la Brunetta riman mal contenta, 22.237.4 «Macon» dicendo «ti mostri la via. 22.237.5 Dove tu sia, peregrin, ti rammenta 22.237.6 della Brunetta, che tua sempre fia»; 22.237.7 e déttegli un fermaglio la Brunetta 22.237.8 per ricordanza di lei meschinetta. 22.238.1 E volle prima il suo nome sapere: 22.238.2 quando sentì com' egli era Rinaldo, 22.238.3 s' accese tanto del suo gran potere 22.238.4 che non si spense mai poi questo caldo: 22.238.5 benché mai più nol dovea rivedere, 22.238.6 pur si rimase nel suo petto saldo. 22.238.7 Rinaldo al suo vïaggio ne va ratto 22.238.8 per essere alle man con Fuligatto. 22.239.1 Già era capitato nel deserto. 22.239.2 Ecco apparire un cavaliere armato, 22.239.3 e 'l caval tutto di piastre ha coperto, 22.239.4 col falcon nello scudo e in ogni lato, 22.239.5 tal che Rinaldo il conobbe di certo: 22.239.6 questo era Gan che l' ha tanto cercato, 22.239.7 e 'nginocchiossi e perdon gli chiedea 22.239.8 e d' Aldighier con gran pianto dicea. 22.240.1 Rinaldo d' Aldighier gl' incresce tanto 22.240.2 che non potea sua morte perdonare; 22.240.3 alla risposta soprastette alquanto. 22.240.4 I pellegrin cominciorno a pregare: 22.240.5 «Poi che tu vedi, barone, il suo pianto, 22.240.6 piacciati il cor volere umilïare 22.240.7 veggendo quanto umìl si raccomanda 22.240.8 per quello Iddio che peregrin ti manda»; 22.241.1 tanto che alfin Rinaldo gli perdona. 22.241.2 Gan si tornò per la via ch' è venuto. 22.241.3 Ecco un romor che per l' aria risuona: 22.241.4 gente che fuggon domandando aiuto; 22.241.5 e innanzi a tutti un cavaliere sprona; 22.241.6 e come egli ebbe Rinaldo veduto, 22.241.7 gridava: «Pellegrin, fuggite addrieto, 22.241.8 però che in qua si va contro a divieto. 22.242.1 A gran fatica noi scampati siàno 22.242.2 dalle man di quel diavol maladetto; 22.242.3 ed io che innanzi fuggo, son cristiano, 22.242.4 e son ferito a morte drento al petto». 22.242.5 Disse Rinaldo: «Cavalier sovrano, 22.242.6 chi è questo dïavol che tu hai detto?». 22.242.7 «È Fuligatto;» rispondeva quello 22.242.8 «se vai più oltre, potresti sapello. 22.243.1 Egli ha fatto oggi cose troppo strane. 22.243.2 E' porta sotto un cuoio serpentino, 22.243.3 ed una spada che è più ch' a due mane, 22.243.4 lo scudo d' osso, questo malandrino; 22.243.5 e dà picchiate, ti so dir, villane 22.243.6 ed ha già morto forse un pellegrino; 22.243.7 un baston porta che pare una trave, 22.243.8 che dicon trentacinque libbre è grave». 22.244.1 Poco più disse che si venne meno 22.244.2 e cadde come morto in terra cade. 22.244.3 Rinaldo monta in sul suo palafreno, 22.244.4 perché e' conobbe egli aveva bontade, 22.244.5 e disse a' suoi compagni: «Che fareno? 22.244.6 Io veggo poco innanzi una cittade: 22.244.7 andiamo a quella e 'ntenderemo il vero 22.244.8 dove è questo arrabbiato uom tanto fiero». 22.245.1 Questa città Sardonia si chiamava 22.245.2 e d' un bel fiume è circundata intorno. 22.245.3 Rinaldo a questa alla porta arrivava, 22.245.4 e poi che in alto le mura mirorno, 22.245.5 a ogni merlo due impiccati stava; 22.245.6 e finalmente la porta bussorno. 22.245.7 Rispose una fanciulla, e 'l caval vede, 22.245.8 e che sia forse Fuligatto crede: 22.246.1 «Se' tu quel Fuligatto ladroncello? 22.246.2 Se' tu quel Fuligatto micidiale? 22.246.3 Se' tu colui che di noi fai macello? 22.246.4 Se' tu colui c' hai fatto tanto male? 22.246.5 Se' tu quel lupo a cui non campa agnello? 22.246.6 Se' tu colui che i pellegrini assale? 22.246.7 Se' tu quel traditor, che se' a cavallo? 22.246.8 Se' tu venuto di sangue a 'ngrassallo?». 22.247.1 Disse Rinaldo: «No, non son quel desso. 22.247.2 Non vedi tu che noi siàn pellegrini? 22.247.3 Tu doverresti conoscere, appresso, 22.247.4 che il lupo non va mai cogli agnellini. 22.247.5 Aprici adunque, damigella, adesso, 22.247.6 ché stanchi siàn per più lunghi cammini». 22.247.7 Questa fanciulla, del ver fatta certa, 22.247.8 venne alla porta ed a tutti l' ha aperta; 22.248.1 e disse: «Pellegrin, Dio vi dia pace 22.248.2 e guardi dalle man di quel tiranno 22.248.3 che tanto è sopra noi fatto rapace 22.248.4 e per cui morti color quivi stanno! 22.248.5 Venite alla reina, se vi piace». 22.248.6 E mentre per la terra costor vanno, 22.248.7 altro che donne non veggono in quella, 22.248.8 e domandorno questa damigella: 22.249.1 «Dove sono i mariti e' fratei vostri, 22.249.2 i padri e' figli e' servi e l' altre genti?». 22.249.3 Ed ella: «Or che bisogna io ve gli mostri? 22.249.4 Vedetegli lassù, così dolenti, 22.249.5 vedetegli i mariti e' fratei nostri 22.249.6 e' padri e' figli e' servi e poi i parenti: 22.249.7 quivi staranno morti in sempiterno. 22.249.8 E' gl' impiccò quel diavol dello inferno. 22.250.1 Non domandate, ché non è possibile, 22.250.2 quanto e' sia mala bestia Fuligatto: 22.250.3 pure a dir "Fuligatto" è cosa orribile; 22.250.4 non si potrebbe dir quel ch' egli ha fatto, 22.250.5 e s' io il dicessi e' non sare' credibile; 22.250.6 tanto è che questo paese ha disfatto: 22.250.7 prese la terra e fe' impiccare a' merli 22.250.8 tutti color che poté vivi averli. 22.251.1 Io vidi qui pigliargli un giovinetto, 22.251.2 che nol potre' mai più rifar natura, 22.251.3 e con sua mano il cuor trargli del petto, 22.251.4 poi lo fece impiccar sopra le mura. 22.251.5 Vedete il mio marito poveretto, 22.251.6 ch' a riguardarlo mi mette paura. 22.251.7 Qui vidi il sangue alzar di sopra al ciglio, 22.251.8 tanto che 'l fiume diventò vermiglio. 22.252.1 Quando ripenso a tanta crudeltate 22.252.2 de' pianti, de' lamenti e delle strida, 22.252.3 le donne e le fanciulle scapigliate 22.252.4 percuotersi e graffiarsi con gran grida 22.252.5 e chi per terra morte e strascinate, 22.252.6 e' par che 'l cuor pel mezzo si divida: 22.252.7 era cosa crudele e paürosa 22.252.8 veder tutta la terra sanguinosa». 22.253.1 Mentre così la donzella dicea, 22.253.2 giunson in piazza ov' era un uom armato 22.253.3 ch' era di bronzo ma vivo parea, 22.253.4 sopra un caval ch' è tutto covertato, 22.253.5 ed una lancia in su la coscia avea. 22.253.6 Rinaldo chi sia questo ha domandato; 22.253.7 disse la dama: «La scrittura il dice: 22.253.8 questa città per lui fu già felice; 22.254.1 e fu di Chiaramonte il cavaliere». 22.254.2 Rinaldo legge, e diceva: «D' Angrante 22.254.3 Orlando, nel tal tempo, quel guerriere, 22.254.4 ci liberò dal gran re Galigante 22.254.5 che in campo d' oro portava un cerviere; 22.254.6 e per memoria dell' opre sue sante 22.254.7 d' uccider quel crudel nimico ed acro, 22.254.8 gli fece il popol questo simulacro». 22.255.1 Rinaldo lacrimò, veggendo Orlando, 22.255.2 per tenerezza e con lui si ragiona, 22.255.3 dicendo: «Ovunque io vo peregrinando 22.255.4 per tutto il mondo, la tua fama suona»; 22.255.5 e dipartissi da lui lacrimando. 22.255.6 Rappresentossi innanzi alla Corona. 22.255.7 Questa reina è bella e giovinetta 22.255.8 e chiamasi per nome Filisetta. 22.256.1 Vide Rinaldo, e dopo le salute 22.256.2 lo domandò dove il camin suo tiene: 22.256.3 ché, così peregrino, uom di virtute 22.256.4 giudicò questo e parvegli uom dabbene. 22.256.5 Rinaldo rispondea le cagion sute 22.256.6 del suo venire e di che parte viene 22.256.7 e come egli è Rinaldo, che è mandato 22.256.8 dall' angel che così gli ha comandato. 22.257.1 Filisetta sapea la sua prodezza; 22.257.2 veggendolo, stupia di maraviglia 22.257.3 dell' atto fiero e della sua grandezza; 22.257.4 e disse: «Orlando tuo ben ti simiglia: 22.257.5 re Galigante per la sua fierezza, 22.257.6 come tu vedi, abbandonò la briglia; 22.257.7 ché so che in piazza la statua vedesti 22.257.8 di bronzo e quelle lettere leggesti. 22.258.1 Questa città da lui fu liberata, 22.258.2 ed a perpetua di questo memoria 22.258.3 l' imagine sua qui vedi scultata, 22.258.4 che fia del vostro sangue etternal gloria. 22.258.5 Ma Fuligatto m' ha ben ristorata, 22.258.6 che tutto questo paese martoria. 22.258.7 Non vuol che ignun si spicchi di coloro, 22.258.8 ed èvvi il mio marito tra costoro; 22.259.1 che s' io il potessi almen pur seppellire, 22.259.2 io gli perdono il resto a Fuligatto. 22.259.3 Ha fatto a strazio il mio popol morire. 22.259.4 Guarda ch' a lui non vadi come matto». 22.259.5 Disse Rinaldo: «Non ti dar martìre 22.259.6 e spicca il tuo marito innanzi tratto; 22.259.7 e' miei compagni teco rimarranno, 22.259.8 e poi vedrai come le cose andranno. 22.260.1 Non dubitar, ché quel che vuole Iddio 22.260.2 non può fallir per accidente alcuno. 22.260.3 Di mangiar, Filisetta, abbiam disio, 22.260.4 però ch' ognun di noi so ch' è digiuno. 22.260.5 E poi ch' io partirò, per amor mio 22.260.6 ti raccomando di costor ciascuno». 22.260.7 E la reina lietamente onore 22.260.8 a tutti fece, e con aperto amore. 22.261.1 Rinaldo solo un giorno riposossi, 22.261.2 poi fece da costor la dipartenza 22.261.3 e non sanza gran pianto accomiatossi, 22.261.4 perch' ubbidir di Dio volea la intenza, 22.261.5 e pel deserto soletto avvïossi. 22.261.6 Ma Filisetta per magnificenza 22.261.7 la lancia che fu già del suo marito 22.261.8 gli détte, ed uno scudo assai pulito; 22.262.1 e disse: «Questo per amor mio porta, 22.262.2 poi che portar non lo può più colui 22.262.3 che sospeso è tra la sua gente morta. 22.262.4 Dio t' accompagni cogli angioli sui, 22.262.5 e così spera e così ti conforta». 22.262.6 Lasciamo andare al suo cammin costui: 22.262.7 nell' altro vi dirò quel che arà fatto. 22.262.8 Cristo vi scampi da quel Fuligatto!
CANTO XXIII
23.1.1 Deus, in adiutorium meum intende, 23.1.2 che sofferisti per noi dura croce 23.1.3 che la tua grazia e 'l tuo regno ci rende, 23.1.4 non mi lasciar perir presso alla foce, 23.1.5 poi che noi siamo al levar delle tende; 23.1.6 io te ne priego con sommessa voce, 23.1.7 ché tutto loda il fin d' ogni opra nostra: 23.1.8 dunque il cammin fino in porto mi mostra. 23.2.1 Rinaldo pel deserto se n' andava. 23.2.2 Aveva il sol coperto il marin suolo, 23.2.3 la luna il lume suo tutto mostrava, 23.2.4 cedevon gli squadranti all' orïuolo, 23.2.5 quando Rinaldo la notte trovava 23.2.6 dove si sta quel Fuligatto solo, 23.2.7 e picchiò l' uscio d' un suo stran palagio 23.2.8 fin che rispose il traditor malvagio, 23.3.1 e disse: «Chi se' tu? Che vai cercando?». 23.3.2 Disse Rinaldo: «A te mandato sono». 23.3.3 Fuligatto gli aperse minacciando, 23.3.4 dicendo: «Se tu vai qui pel perdono, 23.3.5 io tel darò colla croce del brando». 23.3.6 Dicea Rinaldo: «Dirti il vero è buono. 23.3.7 Sappi, ladron, che fuor di queste porte 23.3.8 non uscirò, ch' io ti darò la morte. 23.4.1 Io vengo per provar mia forza teco». 23.4.2 Rispose Fuligatto: «Tu n' andrai, 23.4.3 s' io ti do qualche mazzata di cieco. 23.4.4 Ecco, per Dio! la serpe ch' io sognai, 23.4.5 che mi parea s' avviluppassi meco, 23.4.6 e per paura di ciò mi destai; 23.4.7 non mi parea poterla sviluppare: 23.4.8 tu se' la serpe, che non vuoi sbucare». 23.5.1 Disse Rinaldo: «Pel contrario fia 23.5.2 che tu sarai la serpe, io lo spinoso, 23.5.3 che 'l misse un tratto per la sua follia 23.5.4 nella sua buca, chiedendo riposo; 23.5.5 poi lo voleva costei cacciar via 23.5.6 perché e' si voltolava, il doloroso; 23.5.7 onde e' rispose: "A non tenerti a bada, 23.5.8 chi non ci può star, serpe, se ne vada"». 23.6.1 Fuligatto era tutto maraviglia: 23.6.2 «Chi fia costui?» dicea, «che cosa è questa?». 23.6.3 Prese al caval di subito la briglia 23.6.4 e mena un colpo a Rinaldo alla testa. 23.6.5 Rinaldo un salto della sella piglia 23.6.6 quando e' sentiva toccarsi la cresta: 23.6.7 déttegli un pugno e sbrucagli l' orecchio 23.6.8 e fe' di sangue un lago di Fucecchio; 23.7.1 e Fuligatto balza giù stordito. 23.7.2 Rinaldo nol toccò che s' è levato: 23.7.3 e come e' fu tutto in sé risentito, 23.7.4 diceva: «Io credo che tu sia incantato, 23.7.5 qualche dïavol dell' abbisso uscito. 23.7.6 Io son per questo pugno smemorato: 23.7.7 per questa notte vo' che ci posiamo 23.7.8 e domattina insieme combattiamo. 23.8.1 Non dubitar di tradimento o inganno». 23.8.2 Disse Rinaldo: «Non temer pur tu». 23.8.3 Così la notte in cagnesco si stanno, 23.8.4 e come il giorno in orïente fu, 23.8.5 armati fuori a campo se ne vanno, 23.8.6 e disfidati, sanza parlar più 23.8.7 ognun del campo a suo senno si tolse 23.8.8 e colla lancia al nimico si volse, 23.9.1 e riscontrati, le lance volorno 23.9.2 in pezzi in aria, e 'l caval di Rinaldo 23.9.3 non resse e i pie' dinanzi sinestrorno, 23.9.4 quantunque in sella si tenessi saldo; 23.9.5 sì che d' accordo pedon s' affrontorno, 23.9.6 perché Rinaldo, per la stizza caldo, 23.9.7 diceva: «Scendi in su la terra piana, 23.9.8 o io t' ammazzerò sotto l' alfana». 23.10.1 Fuligatto smontò subitamente. 23.10.2 Quivi si dànno colpi di maestro. 23.10.3 Rinaldo per un colpo che si sente 23.10.4 s' inginocchiava dal lato sinestro; 23.10.5 poi si rizzò. Fuligatto pon mente: 23.10.6 parvegli tanto nel rizzarsi destro 23.10.7 e ne' suoi colpi sì fiero e sì forte, 23.10.8 che cominciò a dubitar della morte. 23.11.1 E quando egli ebbe un pezzo combattuto, 23.11.2 disse: «Baron, l' un di noi dée morire. 23.11.3 Dimmi il tuo nome, ch' almen conosciuto 23.11.4 t' abbi, s' io debbo alla fine perire». 23.11.5 Disse Rinaldo: «Questo par dovuto. 23.11.6 Da Montalban Rinaldo mi fo dire». 23.11.7 «Ah», disse Fuligatto, «se' tu desso 23.11.8 colui ch' a tutto 'l mondo è noto esplesso? 23.12.1 Odo che se' di casa di Chiarmonte; 23.12.2 odo che hai tre buon fratei carnali; 23.12.3 odo che tu uccidesti Fieramonte; 23.12.4 odo se' il fior de' guerrier naturali; 23.12.5 odo se' nievo a Buovo d' Agrismonte; 23.12.6 odo in battaglia più che gli altri vali; 23.12.7 odo che hai Frusberta, il nobil brando; 23.12.8 odo che se' cugin del conte Orlando. 23.13.1 Io son della tua fama innamorato»; 23.13.2 e disse tanto, che Rinaldo va, 23.13.3 amico suo, fratello e congiurato, 23.13.4 drento al palagio, e grande onor gli fa. 23.13.5 Poi s' accordorno mutar luogo e fato; 23.13.6 e Fuligatto il suo palagio arso ha, 23.13.7 dicendo: «Mai più uom vo' che qui vegna, 23.13.8 dove stata è la tua persona degna. 23.14.1 Andianne ove ti piace alla ventura». 23.14.2 In questo un gran serpente ch' era piatto 23.14.3 si scuopre, quando al cul sente l' arsura; 23.14.4 aggraticciossi al collo a Fuligatto, 23.14.5 tanto ch' e' tramortì per la paura. 23.14.6 Rinaldo colla spada tanto ha fatto 23.14.7 che finalmente gliel levò da dosso, 23.14.8 ma prima gli tagliò la carne e l' osso; 23.15.1 ed anco poi colla coda pur guizza. 23.15.2 Fuligatto parea che fussi morto, 23.15.3 donde Rinaldo avea gran duolo e stizza 23.15.4 restar soletto; e dolevasi a torto, 23.15.5 ché Fuligatto alla fine si rizza. 23.15.6 E risentito e ripreso conforto 23.15.7 e ringraziando que' che in Cielo stanno, 23.15.8 pel gran deserto alla lor via ne vanno. 23.16.1 E poi che molto furon cavalcati, 23.16.2 due lïon morti in un luogo foresto 23.16.3 nel mezzo della strada hanno trovati. 23.16.4 Disse Rinaldo: «Che vorrà dir questo? 23.16.5 Questi lïon chi ha così ammazzati?». 23.16.6 Ma Fuligatto se n' accorse presto, 23.16.7 e disse: «E' fia Spinardo sanza fallo, 23.16.8 che dicon ch' è mezzo uom, mezzo cavallo. 23.17.1 Nel Monte Periglioso suole stare: 23.17.2 per certo noi dobbiamo esservi presso; 23.17.3 una fromba e tre dardi suol portare». 23.17.4 Disse Rinaldo: «E' sarà stato desso. 23.17.5 Non si potre' questa bestia trovare?». 23.17.6 Rispose Fuligatto: «E' suole spesso 23.17.7 tra questi boschi andar cercando prede»; 23.17.8 e intanto una bandiera appresso vede, 23.18.1 con certi Macometti, molto strana. 23.18.2 Cominciono a studiare allora il passo. 23.18.3 Questo Spinardo stava in una tana 23.18.4 nascoso come l' orso o come il tasso. 23.18.5 Sente venire il cavallo e l' alfana: 23.18.6 subito misse nella fromba un sasso 23.18.7 e prese i dardi ed assaltò costoro 23.18.8 e mugghia e soffia che pareva un toro. 23.19.1 L' alfana per le mugghia è spaventata; 23.19.2 non la potea Fuligatto tenere; 23.19.3 poi disse, quando e' l' ha rassicurata: 23.19.4 «Io vo', Rinaldo, mi facci un piacere: 23.19.5 s' io uccidrò questa bestia sfrenata, 23.19.6 tu creda in Macometto, ché è dovere; 23.19.7 se tu l' uccidi, la tua fede vaglia; 23.19.8 ma che mi doni la prima battaglia». 23.20.1 Rinaldo rispondea ch' era contento. 23.20.2 Ma ogni cosa ha sentito Spinardo: 23.20.3 rise fra sé di tal ragionamento 23.20.4 e détte a Fuligatto con un dardo, 23.20.5 nel braccio tutto gliel ficcava drento. 23.20.6 Rinaldo s' arrecava a Bellosguardo 23.20.7 e vide Fuligatto sbigottito 23.20.8 cader giù dell' alfana tramortito. 23.21.1 Gridò: «Pagan traditor, c' hai tu fatto? 23.21.2 Tu se' bestia per certo e traditore. 23.21.3 Ma, per Dio! che, se morto è Fuligatto, 23.21.4 io ti trarrò colle mie mani il core». 23.21.5 Non gli rispose Spinardo a quel tratto: 23.21.6 diserra un dardo con molto furore 23.21.7 e tra le gambe passa di Rinaldo 23.21.8 e fischia come serpe quando è in caldo. 23.22.1 Rinaldo grida: «Io ne farò vendetta. 23.22.2 Se tu se' pazzo, io non son Salamone». 23.22.3 Questo Spinardo il terzo dardo getta: 23.22.4 Rinaldo trasse d' uno stramazzone, 23.22.5 e poi che l' aste taglia, con gran fretta 23.22.6 si difilava a lui come il falcone 23.22.7 quando ha veduto i colombi o le starne, 23.22.8 ovver come il lïon che vuol far carne; 23.23.1 e fu tanto il furore e la tempesta, 23.23.2 che 'l pòrfiro affettato arebbe allora. 23.23.3 e colla spada gli fésse la testa, 23.23.4 perché la furia e la rabbia lavora; 23.23.5 ed anco quivi Frusberta non resta: 23.23.6 féssegli il collo e tutto il busto ancora, 23.23.7 dove la bestia è congiunta coll' uomo. 23.23.8 e morto fece in su la terra un tomo, 23.24.1 e nel cader, con ira molto acerba 23.24.2 gridò: «Macon, s' io non son vendicato, 23.24.3 Lucifero il suo luogo giù ti serba». 23.24.4 Rinaldo a Fuligatto è ritornato 23.24.5 e la ferita gli sanò con erba, 23.24.6 come piacque a Colui che gli ha insegnato. 23.24.7 Ma Fuligatto, come e' fu guarito, 23.24.8 era a veder come un cieco smarrito, 23.25.1 e come pazzo a Rinaldo n' andava 23.25.2 e colla spada lo vuol ristorare 23.25.3 del beneficio ed un colpo menava. 23.25.4 Rinaldo il colpo non istà aspettare, 23.25.5 perché e' conobbe colui vagillava, 23.25.6 e lascialo a suo modo disfogare. 23.25.7 Ma Fuligatto si ravvide presto 23.25.8 e chiese perdonanza assai di questo. 23.26.1 Disse Rinaldo: «Chiedi pur merzede 23.26.2 a quel Signor che la grazia t' ha fatto»; 23.26.3 e cominciògli a predicar la Fede, 23.26.4 tanto che fu contento Fuligatto 23.26.5 e disse che in Gesù si fida e crede, 23.26.6 ed osservò, come e' promisse, il patto. 23.26.7 Rinaldo a una fonte lo battezza 23.26.8 e quivi co' dottor si scandalezza: 23.27.1 ed uno e tre e Padre e Figlio e Verbo, 23.27.2 e lo Spirito Santo poi incarnato 23.27.3 e preso come noi carne osso e nerbo, 23.27.4 e crocifisso e poi nel Limbo entrato 23.27.5 per liberarci dal peccato acerbo 23.27.6 del primo padre pel pome vietato, 23.27.7 e disse di Giosef e di Maria, 23.27.8 e fece un lago di teologia. 23.28.1 Poi rimontorno a cavallo ed a alfana. 23.28.2 Ora è qui stato alcun ch' ebbe credenzia 23.28.3 che Rinaldo il gittò nella fontana, 23.28.4 disavveduto, per la gran potenzia, 23.28.5 ché non poté ritener ben la mana: 23.28.6 non so s' io me l' appruovo per sentenzia, 23.28.7 che dicon ch' e' vi bevve più d' un sorso, 23.28.8 se non che e' fu da Rinaldo soccorso. 23.29.1 Lasciàgli pure andare al lor cammino. 23.29.2 Avevon già passata una montagna 23.29.3 di notte e come apparve poi il mattino 23.29.4 vidon molti pagan per la campagna. 23.29.5 Disse Rinaldo: «O giusto Iddio divino, 23.29.6 che gente è questa sì feroce e magna? 23.29.7 Or ti conosco, car mio Fuligatto: 23.29.8 non mi lasciar, fratello, a questo tratto». 23.30.1 Disse colui: «Non creder ch' io ti manchi: 23.30.2 morte da te mi può divider solo; 23.30.3 dove tu andrai sarotti sempre a' fianchi. 23.30.4 Andian pur presto assaltar questo stuolo, 23.30.5 ché io per me gli stimo men che i granchi». 23.30.6 Ecco il signor che innanzi viene a volo; 23.30.7 fannosi incontro a questo capitano 23.30.8 e salutorno e così fe' il pagano. 23.31.1 Domandorno il pagan com' egli ha nome. 23.31.2 Rispose: «Io son d' Ulivante Pilagi. 23.31.3 A Saliscaglia vo a posar le some, 23.31.4 perché Rinaldo e' suoi fratei malvagi 23.31.5 offeso m' hanno non ti dico come, 23.31.6 datoci morte e tormenti e disagi, 23.31.7 ed or si vanno colle dame a spasso; 23.31.8 ma insin di qua si sentirà il fracasso. 23.32.1 Cotesta alfana, per Macon! m' attaglia». 23.32.2 Disse Rinaldo: «Ed a me il tuo cavallo». 23.32.3 Disse il pagan: «Proviàgli alla battaglia». 23.32.4 Disse Rinaldo: «Suona pur, ch' io ballo». 23.32.5 «Io vo' ch' ella mi porti a Saliscaglia». 23.32.6 «Tu farai, innanzi vi sia, più d' un callo». 23.32.7 «Io vi sarò e farò mia vendetta». 23.32.8 Disse Rinaldo: «Come n' hai tu fretta!». 23.33.1 «E' fu sempre un ribaldo, un traditore». 23.33.2 Disse Rinaldo: «Io me ne maraviglio; 23.33.3 sentito ho ragionar del suo valore: 23.33.4 non gli saresti, Pilagi, famiglio». 23.33.5 «Dunque tu vuoi pigliarla per suo amore?». 23.33.6 Disse Rinaldo: «E per suo amor la piglio». 23.33.7 «Piglia del campo», rispose il pagano; 23.33.8 e volse un suo morel tutto balzano. 23.34.1 Rinaldo non istette a pigliar lucciole; 23.34.2 voltò il cavallo in aria con un salto 23.34.3 per dare al saracino altro che succiole, 23.34.4 ma come e' giunse in sul bel dell' assalto, 23.34.5 o che 'l destriere inciampi o ch' egli sdrucciole, 23.34.6 si ritrovò con esso in su lo smalto, 23.34.7 e quando e' vide pur che non si rizza, 23.34.8 l' uccise con un pugno per istizza. 23.35.1 «Maladetto sia tu», dicea, «rozzone! 23.35.2 Maladetto sia l' orzo ch' io t' ho dato! 23.35.3 Maladetto sia il fien, caval poltrone! 23.35.4 Maladetto sia io che t' ho stregghiato! 23.35.5 Maladetto sia il tuo primo padrone! 23.35.6 Maladetto sia mai chi t' ha allattato! 23.35.7 Maladetto sia l' erba c' hai pasciuto! 23.35.8 Maladetto sia il dì ch' io t' ebbi avuto!». 23.36.1 Intanto Fuligatto grida forte 23.36.2 e colla lancia in su la resta viene 23.36.3 e disfidato avea Pilagi a morte 23.36.4 e cogli spron sollecitava bene; 23.36.5 e come dato per fato era e sorte, 23.36.6 la lancia gli cacciava per le rene 23.36.7 e traboccato morto è in su la terra: 23.36.8 donde per questo appiccata è la guerra. 23.37.1 Egli avea diecimila combattenti; 23.37.2 addosso a Fuligatto ognun si volse. 23.37.3 Rinaldo d' ira diruggina i denti 23.37.4 e di Pilagi il balzan presto tolse; 23.37.5 e come l' orso irato tra gli armenti, 23.37.6 il sacco in tutto di sua furia sciolse, 23.37.7 e mai non fu quanto quel dì gagliardo, 23.37.8 ma e' si dolea che non avea Baiardo. 23.38.1 «Dove se' tu Baiardo mio?», diceva; 23.38.2 e sempre tonda menava Frusberta; 23.38.3 a mosca cieca quel tratto faceva; 23.38.4 tristo a colui ch' aspettava l' offerta! 23.38.5 E braccia e capi balzar si vedeva; 23.38.6 tutta la terra pareva coperta 23.38.7 di gente smozzicata saracina, 23.38.8 da poter far mortito o gelatina. 23.39.1 L' un sopra l' altro a traverso giù balza; 23.39.2 non si fe' mai di bestie tanto strazio, 23.39.3 tanto che 'l sangue alle cinghie quivi alza 23.39.4 e pur Rinaldo non pare ancor sazio. 23.39.5 Già per fuggire era piano ogni balza, 23.39.6 ma non avevon con lui tanto spazio; 23.39.7 e Fuligatto assai n' avea distrutti, 23.39.8 tanto che morti o fuggiti son tutti. 23.40.1 E poi che fu la battaglia finita, 23.40.2 e Fuligatto una vesta vedia 23.40.3 ch' avea Pilagi, ed halla a sé vestita, 23.40.4 che in campo bianco un lïon nero avia. 23.40.5 Rinaldo tanto gli parve pulita, 23.40.6 ch' un' altra presto per sé ne volia. 23.40.7 E lascian questa gente morta e afflitta, 23.40.8 e ritornorno alla lor via diritta. 23.41.1 Tutto quel giorno cavalcato aviéno 23.41.2 per boschi, per burron, per mille chiane, 23.41.3 e non s' avevon messo nulla in seno; 23.41.4 saltato in aria arebbono a un pane, 23.41.5 ché vi vedean come l' arcobaleno 23.41.6 la fame. In questo e' senton due campane 23.41.7 e scorson dalla lunga un romitoro, 23.41.8 che non facea mai festa sanza alloro; 23.42.1 più tosto sanza pane o cacio o carne; 23.42.2 de' pesci avea, ch' egli sta sopra un fiume. 23.42.3 Al romitoro si studiano andarne, 23.42.4 ché per la fame non veggon già lume: 23.42.5 parranno loro i pesci più che starne; 23.42.6 la porta bussan, come era costume. 23.42.7 Venne un romito e disse: «Ave Maria». 23.42.8 Disse Rinaldo: «Se del pan ci fia; 23.43.1 se non, lodato sia quello agnol nero». 23.43.2 Disse il romito: «Sète voi cristiani?». 23.43.3 Disse Rinaldo: «Questo abbi per vero. 23.43.4 Aresti tu da darci almen due pani, 23.43.5 per Dio, romito? Ch' abbiamo il sentiero 23.43.6 per questi boschi smarrito sì strani». 23.43.7 Disse il romito: «Di voi assai m' incresce 23.43.8 ch' io non ci ho pan, ma e' ci sarà del pesce». 23.44.1 E poi toglieva una sua rete in collo, 23.44.2 e disse: «Intanto qui vi poserete 23.44.3 e fate il fuoco mentre ch' io m' immollo; 23.44.4 so che de' pesci io n' empierò la rete, 23.44.5 tanto ch' ognun di voi sarà satollo; 23.44.6 e de' sermenti pe' cavalli arete». 23.44.7 Così smontorno, e déttono a' cavalli 23.44.8 certi sermenti dur più che coralli. 23.45.1 Questo romito molti pesci prese 23.45.2 ed émpiene la zucca e 'l pellicino. 23.45.3 Rinaldo e Fuligatto il fuoco accese. 23.45.4 Torna il romito e va per trar del vino; 23.45.5 un angel presto dal Ciel giù discese, 23.45.6 e disse: «Porterai su al paladino, 23.45.7 quale è Rinaldo, questa mia vivanda, 23.45.8 e di' che il suo Gesù dal Ciel la manda». 23.46.1 Torna il romito e presenta a costoro 23.46.2 questa vivanda piena di dolcezza 23.46.3 e dice come Iddio la manda loro, 23.46.4 donde ciascun ripien fu d' allegrezza; 23.46.5 ben parea certo dello etterno coro: 23.46.6 vedi che Cristo i suoi fedeli apprezza! 23.46.7 Dicea il romito: «Statevi a vostro agio; 23.46.8 ma a mio parer vi sarà assai disagio». 23.47.1 La casa cosa parea bretta e brutta, 23.47.2 vinta dal vento, e la natta e la notte 23.47.3 stilla le stelle, ch' a tetto era tutta; 23.47.4 del pane appena ne détte ta' dotte; 23.47.5 pere avea pure e qualche fratta frutta; 23.47.6 e svina e svena di botto una botte; 23.47.7 poscia per pesci, lasche prese all' ésca; 23.47.8 ma il letto allotta alla frasca fu fresca. 23.48.1 Lasciàgli come il bruco in su le frasche, 23.48.2 Rinaldo e Fuligatto, insino al giorno, 23.48.3 ch' a questo modo smaltiran le lasche 23.48.4 e il mosto e ciò che la sera mangiorno; 23.48.5 perch' altra fantasia par che mi nasche: 23.48.6 sento di lungi chiamarmi col corno, 23.48.7 e suona quel che chiama, quanto puote, 23.48.8 ché qui comincian le dolenti note. 23.49.1 O Ricciardetto, ove t' ho io lasciato? 23.49.2 Tu non sai, lasso, del futuro ancora. 23.49.3 Omè, ch' io veggo il mondo avviluppato! 23.49.4 Un serpente esce della terra fora 23.49.5 con sette bocche, e fuoco arà gittato, 23.49.6 e molta gente con esse divora: 23.49.7 farà tremar le mura di Parigi, 23.49.8 e Montalban, che v' è sol Malagigi. 23.50.1 Non creder vendicato il Veglio sia; 23.50.2 ben surgerà di lui qualche rampollo 23.50.3 e tanta gente per lui morta fia, 23.50.4 ch' ognun di sangue si vedrà satollo. 23.50.5 Andrà sozzopra tutta Pagania; 23.50.6 io sento già della rovina il crollo; 23.50.7 e fia sentito insin giù d' Acheronte, 23.50.8 perché spianar si vedrà più d' un monte. 23.51.1 Parrà che in Giusaffà dica la tromba: 23.51.2 «Venite tutti all' etterno giudicio; 23.51.3 uscite del sepulcro e della tomba; 23.51.4 recate il bene scritto e 'l malificio». 23.51.5 Omè, già negli orecchi mi rimbomba! 23.51.6 Io veggo rovinare ogni edificio, 23.51.7 né pietra sopra pietra rimanere, 23.51.8 tanto che Giove potrebbe temere. 23.52.1 Veggo i lïoni uscir delle spilonche 23.52.2 e tigri e l' altre fiere aspre arrabbiate, 23.52.3 e tante lance andar per l' aria tronche 23.52.4 e pianger le fanciulle scapigliate, 23.52.5 uscir gli spirti delle infernal conche 23.52.6 e degli abissi l' anime mal nate. 23.52.7 Tu ti darai ancor pace, omè, meschina 23.52.8 Gerusalem, se 'l tuo Sïon rovina? 23.53.1 Io veggo tutta in arme Bambillona 23.53.2 e gli stendardi già levati al vento: 23.53.3 non è contenta Antea della corona, 23.53.4 non è del padre suo lo sdegno spento: 23.53.5 già mosso è il campo e la tuba risuona. 23.53.6 O Carlo, presto sarai in gran tormento. 23.53.7 O Iddio, la terra già triema e l' abisso: 23.53.8 credo Tu sia di nuovo crocifisso. 23.54.1 Io veggo il sole oscurare e la luna, 23.54.2 e, come a Giosuè, fermarsi accenna. 23.54.3 Oh, quanta gente in Francia si raguna! 23.54.4 Correrà sangue il gran fiume di Senna. 23.54.5 Ben si sfoga a suo modo la Fortuna 23.54.6 e fiacca in terra e in mar più d' una antenna. 23.54.7 Diren quel che seguì nel nuovo canto 23.54.8 con la virtù del Santo, Santo, Santo.
CANTO XXIV
24.1.1 Non chi comincia ha meritato, è scritto 24.1.2 nel tuo santo Evangel, benigno Padre: 24.1.3 convien che tu mi tragga fuor d' Egitto, 24.1.4 per gire in parte di salute madre. 24.1.5 Il popol de' cristian fia presto afflitto: 24.1.6 aiuta tu le tue fedele squadre, 24.1.7 ch' io non posso altro far che la mia penna 24.1.8 tosto non bagni nel sangue di Senna; 24.2.1 e benché il ver malvolentier qui scriva, 24.2.2 convien ch' io scriva pur come altri scrisse, 24.2.3 per non far come all' alta storia argiva: 24.2.4 Omer troppo essaltò gli error d' Ulisse, 24.2.5 e del figliuol famoso della diva 24.2.6 non so se il vero appunto anche si disse. 24.2.7 Accetta il savio infin la vera gloria: 24.2.8 e così seguiren la nostra istoria. 24.3.1 Rinaldo e Fuligatto e Ricciardetto, 24.3.2 Guicciardo, Alardo si ritroverranno, 24.3.3 né so quando si fia; non l' ho ancor detto: 24.3.4 per molti error pel mondo insieme andranno. 24.3.5 Non fu questo al principio mio concetto; 24.3.6 pertanto a Montalban si torneranno 24.3.7 e quivi finiran gli ultimi giorni, 24.3.8 e chi non vuol tornar di lor, non torni. 24.4.1 Non so se Fuligatto Montalbano 24.4.2 vedrà, ché pel cammin forse fia morto. 24.4.3 Io cominciai a cantar di Carlo Mano: 24.4.4 convien che 'l mio cantar pur giunga in porto, 24.4.5 e ch' io punisca il traditor di Gano 24.4.6 d' un tradimento già ch' io veggo scorto 24.4.7 cogli occhi della mente in uno specchio; 24.4.8 e increscemi di Carlo, che è pur vecchio. 24.5.1 O Carlo, avventurato presto in Cielo, 24.5.2 tu sarai tribolato al mondo ancora, 24.5.3 che pur pensando al cor mi nasce un gelo! 24.5.4 Tornato è Gano e notte e dì lavora, 24.5.5 ché il mal del traditor ne va col pelo; 24.5.6 e Carlo al modo usato crede, e ignora 24.5.7 che il traditor si stia maggese o sodo 24.5.8 e non pensassi ogni malizia e frodo. 24.6.1 Del Veglio, il gran sir già della Montagna, 24.6.2 rimase un figliuol detto Buiaforte, 24.6.3 e per paura si fuggì in Ispagna 24.6.4 e il re Marsilio lo tenne in sua corte, 24.6.5 perché l' alta regina egregia e magna 24.6.6 Antea cercava di dargli la morte 24.6.7 e molto il perseguì colle sue squadre, 24.6.8 recordata dell' odio del suo padre. 24.7.1 Venne costui nell' arme valoroso, 24.7.2 ma molto fu superbo ed arrogante, 24.7.3 e in piccol tempo diventò famoso 24.7.4 e fece assai per la fede affricante. 24.7.5 Portava un baston duro e ponderoso 24.7.6 ed avea membra quasi di gigante; 24.7.7 e molto amava il re Marsilio questo, 24.7.8 come altra volta fia più chiaro il testo. 24.8.1 Intanto la gran fama in tutto suona 24.8.2 della reina glorïosa Antea, 24.8.3 che adorar si facea in Bambillona, 24.8.4 né più Semiramisse si dicea. 24.8.5 Ella tenea lo scettro e la corona 24.8.6 dell' Oriente e pur nel cor avea 24.8.7 la morte del suo padre e tempo aspetta 24.8.8 contra a' cristian per far crudel vendetta. 24.9.1 Ed ogni volta ch' ell' andava a mensa, 24.9.2 gli era il pan sottosopra innanzi vòlto, 24.9.3 che denotava del Soldan l' offensa 24.9.4 e l' odio che nel petto avea sepolto. 24.9.5 Proverbio è: chi ben siede, alfin mal pensa. 24.9.6 Ebbe pur loco il suo pensiero stolto, 24.9.7 ché nel cor femminil può molto sdegno; 24.9.8 e Ganellon vi misse ogni suo ingegno. 24.10.1 Era tornato, come io dissi, Gano 24.10.2 e molte volte lettere avea scritto 24.10.3 e rinnovato l' odio del Soldano, 24.10.4 e che Rinaldo si sta per lo Egitto, 24.10.5 e come molto vecchio è Carlo Mano, 24.10.6 ch' omai si potea dir per gli anni afflitto: 24.10.7 ch' addirizzassi sua famosa insegna 24.10.8 in Francia, e presto con sua gente vegna. 24.11.1 Teneva Antea gran corte e baronia: 24.11.2 e chi più crede poi poter, più erra. 24.11.3 Chi una cosa, chi altra dicìa, 24.11.4 che si dovessi a' cristian muover guerra; 24.11.5 e ricordava ognun la villania 24.11.6 come Morgante avea guasta la terra 24.11.7 e come Orlando pose il campo a torto 24.11.8 e fu cagion che il lor signor sia morto. 24.12.1 E tutti infine un dì fecion concilio, 24.12.2 dove l' alta regina ed ognun disse; 24.12.3 ed accordârsi scrivere a Marsilio 24.12.4 che inverso Francia con gente venisse, 24.12.5 apparecchiassi tutto il suo navilio 24.12.6 e dalla parte di Spagna assalisse; 24.12.7 e intanto Antea a Parigi verrebbe 24.12.8 e gran vendette ognun di lor farebbe. 24.13.1 A Siragozza questa impresa piace; 24.13.2 e perché egli era in Francia imbasciatore 24.13.3 re Bianciardino e trattava la pace 24.13.4 tra re Marsilio e Carlo imperatore, 24.13.5 poi che questo altro parer fu capace, 24.13.6 fu rimandato per esso a furore 24.13.7 e che tornassi battendo le penne; 24.13.8 e colle trombe nel sacco ne venne. 24.14.1 Ed ordinò gran popol saracino 24.14.2 il re Marsilio e per terra e per mare; 24.14.3 ma ritornato, il savio Bianciardino 24.14.4 cominciò questa impresa a sconfortare, 24.14.5 e seppe insino a' tempi di Pipino 24.14.6 tante cose a Marsilio ricordare, 24.14.7 che gli mostrò la guerra assai dubbiosa 24.14.8 e consigliollo alfin di stare in posa. 24.15.1 Era pur savio il re Marsilïone 24.15.2 e molto a Bianciardin prestava fede 24.15.3 e raffreddossi, intese le ragione; 24.15.4 e scrisse ' Antea che 'l tempo nol concede, 24.15.5 ch' avea da Carlo Man buona intenzione 24.15.6 (e così Bianciardin diceva) e crede 24.15.7 che in piccol tempo sua Corona magna 24.15.8 farà la pace e renderà la Spagna. 24.16.1 Avea Carlo la Spagna racquistata 24.16.2 per coronarne il suo nipote e conte, 24.16.3 e di tutta Araona e di Granata; 24.16.4 e Ferraù morto era già in sul ponte; 24.16.5 ma perché questa è cosa assai vulgata 24.16.6 e tante lunghe istorie ne son conte, 24.16.7 ritorneremo alla reina Antea, 24.16.8 che di nuovo a Marsilio rescrivea. 24.17.1 Ma poi che in mezzo di tutto il consilio 24.17.2 aperte e lette le lettere furno, 24.17.3 fu la risposta fatta da Marsilio, 24.17.4 che teneva e di piombo e di coturno 24.17.5 e molto piacque a tutto il suo concilio; 24.17.6 e disse, come Diomede a Turno, 24.17.7 che si penteva del tempo passato, 24.17.8 ché poco aveva con Carlo acquistato. 24.18.1 Iscrisse adunque la reina a Gano 24.18.2 che dovessi aguzzar tutti i suoi ferri 24.18.3 e come il re Marsilio spera invano 24.18.4 e Bianciardin gli par di lunga l' erri 24.18.5 che rendessi la Spagna Carlo Mano 24.18.6 e mostragli per datter men che cerri; 24.18.7 che il confortassi a dargli aiuto e presto, 24.18.8 ché il tempo accomodato proprio è questo. 24.19.1 Or chi vorrà insegnare al traditore 24.19.2 commetter qualche scandol, qualche frodo, 24.19.3 sarà come chi insegna al buon sartore 24.19.4 tener l' anello in dito o fare il nodo. 24.19.5 Non è guarito Gan del peccatore, 24.19.6 e scrisse al re Marsilio in questo modo: 24.19.7 «Salute in prima al gran signore ispano 24.19.8 manda il suo caro umìl servitor Gano. 24.20.1 Tu vuoi, Marsilio, far come fa quello 24.20.2 che giuoca a scacchi e pensa d' un bel tratto, 24.20.3 e poi che l' ha veduto, d' un più bello 24.20.4 ricerca e non gli basta scaccomatto. 24.20.5 Il lupo vuol far pace con l' agnello 24.20.6 e che si scriva per suo dato e fatto, 24.20.7 e statico il monton sia dato e' cani: 24.20.8 e tu sarai quel desso e' tuoi pagani. 24.21.1 Loïca non è questa; ognun la intende, 24.21.2 salvo che Bianciardin che tu mandasti, 24.21.3 il qual forse costì del senno vende, 24.21.4 ma qui non n' arrecò tanto che basti. 24.21.5 Non so come le cetere or distende, 24.21.6 ma perché molto me lo commendasti, 24.21.7 io feci più che tu non hai richiesto 24.21.8 e conferi' quel che non era onesto, 24.22.1 e dissi pur che non credessi a Namo 24.22.2 e molto meno al duca di Brettagna, 24.22.3 ch' ognun ha sotto l' esca il fuoco e l' amo. 24.22.4 E' si pensò recarne in man la Spagna: 24.22.5 e m' incresce che qua noi ne ridiamo; 24.22.6 e presto arai la pace alle calcagna, 24.22.7 cioè Orlando, il nipote di Carlo, 24.22.8 ché tutti siam d' accordo a coronarlo. 24.23.1 Tu hai pur tanto tempo combattuto 24.23.2 con Carlo che oramai debbi sapere 24.23.3 che vorrebbe dal Ciel qualche tributo, 24.23.4 poi che Fiovo suo ebbe le bandiere; 24.23.5 o forse Bianciardino è troppo astuto 24.23.6 e non ti lascia ogni cosa vedere: 24.23.7 però se appresso a te quel savio tiensi, 24.23.8 fa che tu anche come savio pensi: 24.24.1 ch' io non ho Bianciardin per uom sì grosso 24.24.2 che e' creda che la Spagna si rendesse, 24.24.3 e però il capo ritrovar non posso 24.24.4 del filo a questa tela che si tesse; 24.24.5 ma so che presto Orlando ti fia addosso, 24.24.6 ché molto son qua larghe le promesse 24.24.7 di dargli in ogni modo la corona 24.24.8 di Granata e di Spagna e d' Araona. 24.25.1 Vero è che a questi giorni intesi cosa 24.25.2 che allor te giudicavo più che saggio, 24.25.3 e come Antea, la reina famosa, 24.25.4 con molta gente in qua facea passaggio; 24.25.5 ed era il tempo, a voler côr la rosa, 24.25.6 appunto come al principio di maggio; 24.25.7 e credo ancor tu sentirai lo scoppio: 24.25.8 pensa, col tuo favor, se egli era a doppio. 24.26.1 Tanto è che Carlo non fu poi più lieto, 24.26.2 e credo ancor che Orlando abbi paura; 24.26.3 ma e' sa simular come discreto 24.26.4 e tuttavolta a' remedii procura; 24.26.5 e se vuoi pur ch' io dica ogni segreto, 24.26.6 e' triemon qua di Parigi le mura, 24.26.7 ed ognun già se gli arriccia la chioma, 24.26.8 che 'l barbaro Anibàl par vadi a Roma. 24.27.1 Or non bisogna al prudente consiglio. 24.27.2 Io so che tu cognosci il Maïnetto: 24.27.3 tu lo tenesti in corte come figlio 24.27.4 e riscaldasti la serpe nel petto: 24.27.5 io veggo il regno tuo con gran periglio, 24.27.6 ed arai presto a pigliar pel ciuffetto 24.27.7 un gran lïon che ti parrà rapace: 24.27.8 questo fia forse e la Spagna e la pace. 24.28.1 Or di' a Bianciardin dunque a tua posta, 24.28.2 ch' io non so ben se ti consiglia o sogna, 24.28.3 e non mandare indrieto altra risposta. 24.28.4 Iscrivi ' Antea, ché so che ti bisogna; 24.28.5 e pensa ben che, se Orlando s' accosta, 24.28.6 la sua corona è tua mitera e gogna 24.28.7 e tutto il popol tuo veggo in essilio. 24.28.8 Ora io t' ho detto il mio parer, Marsilio». 24.29.1 La lettera a Marsilio porta un messo, 24.29.2 il qual trovò dove era, a Siragozza; 24.29.3 baciòe la mano, in terra genuflesso, 24.29.4 che presto gli vorrebbe veder mozza. 24.29.5 Marsilio cognoscea il sigillo impresso, 24.29.6 e lesse, e il messo impicca per la strozza, 24.29.7 ché intese, come pratico e discreto, 24.29.8 quel «Non mandare altra risposta indrieto». 24.30.1 E scrisse a Bambillona alla reina 24.30.2 ch' avea mutata nuova opinïone 24.30.3 e tutta la sua gente saracina 24.30.4 apparecchiava sotto il gonfalone, 24.30.5 e parte ne fia presto alla marina 24.30.6 e centomila o più sopra l' arcione 24.30.7 e Balugante fia suo capitano; 24.30.8 e mandògli la lettera di Gano. 24.31.1 «Ah», disse Antea, «tu se' pure il maestro 24.31.2 de' tradimenti, Gan! Ma s' io ritorno 24.31.3 in Francia più, t' appiccherò il capestro!». 24.31.4 E tutte le sue gente s' assettorno, 24.31.5 sì che gli arcier, sanza numero equestro, 24.31.6 dugentomila o più si rassegnorno, 24.31.7 di Persia e quasi di tutta Soria, 24.31.8 d' una bella e forbita compagnia. 24.32.1 Non si ricorda Antea più di Rinaldo: 24.32.2 sapea che per lo Egitto era già vecchio; 24.32.3 era passato quel sì ardente caldo 24.32.4 e tuttavolta attende al suo apparecchio. 24.32.5 Intanto Gano ostinato e ribaldo, 24.32.6 attento sempre teneva l' orecchio 24.32.7 e dubitava di ciò che gli è detto, 24.32.8 ché e' non è traditor sanza sospetto; 24.33.1 ed ordinava ogni dì feste e giostra 24.33.2 acciò che ognuno attenda a sollazzare, 24.33.3 e sempre il primo, caldo si dimostra 24.33.4 ch' Orlando si dovessi coronare: 24.33.5 «Questo è pure il campion della fé nostra!», 24.33.6 dicea con Carlo, e sapea simulare, 24.33.7 e ciò che e' dice in mezzo il cor gli tocca, 24.33.8 che par che gli esca San Matteo di bocca 24.34.1 e Luca e Marco e Giovanni e poi Cristo. 24.34.2 O traditor malvagio, o Scarïotto, 24.34.3 tu n' hai pur fatte più che Giuda a Cristo! 24.34.4 Ma non sanza cagion si dice un motto: 24.34.5 che il sabato non paga sempre Cristo: 24.34.6 e' non vi fia poi infine un quattrin rotto; 24.34.7 non è del pagamento il tempo giunto: 24.34.8 Colui che il tempo fe', sa il tempo appunto. 24.35.1 Carlo si stava in Parigi contento; 24.35.2 era già vecchio e pur canuto e bianco; 24.35.3 pensa che in Gano il mal seme sia spento 24.35.4 e pur se non è sazio, almen sia stanco; 24.35.5 ma egli aveva a ogni piaga unguento 24.35.6 e 'l coltel tossicato sempre al fianco; 24.35.7 e lascerà la pelle omai col vezzo, 24.35.8 e non è peggior mal che quel da sezzo. 24.36.1 Intanto le novelle son venute 24.36.2 come Marsilio raguna gran gente 24.36.3 e molte nave in mar già son vedute 24.36.4 che s' apparecchion continovamente; 24.36.5 ma non son le malizie cognosciute 24.36.6 di Gano: ancora ignun non sa nïente; 24.36.7 vero è che la partita così sùbita 24.36.8 di Bianciardin fa ch' ogni savio dubita. 24.37.1 Carlo fe' tutto il consiglio chiamare, 24.37.2 e Ganellone il primo fu in bigoncia 24.37.3 e seppe come e' suol ceramellare 24.37.4 e le sue maliziette in modo acconcia, 24.37.5 che Carlo ancor se ne lascia menare. 24.37.6 Ma Turpin savio la ballata sconcia, 24.37.7 e disse: «Gan, tu puoi dire a tuo senno, 24.37.8 ché non s' accordan le parole e 'l cenno». 24.38.1 Riprese adunque Namo le parole: 24.38.2 andò per molte vie girando quello 24.38.3 e rïuscì poi infine dove e' vuole 24.38.4 e rovesciògli in capo un gran cappello. 24.38.5 Il duca Astolfo fece come e' suole; 24.38.6 non aspettòe che si tocchi il zimbello, 24.38.7 e disse: «Ganellon, tu ne fai troppe 24.38.8 e non sai ben che le bugie son zoppe 24.39.1 e però si cognosce a quelle il vero». 24.39.2 Ma dopo Astolfo il conte Orlando disse: 24.39.3 «O Gan, questo ermellin sarà poi nero. 24.39.4 Meglio era il primo dì che tu morisse, 24.39.5 anzi nato non fussi al nostro impero! 24.39.6 Quanto mal, quante guerre, quante risse 24.39.7 son per te seguitate, orrendo mostro, 24.39.8 nimico a Dio ed infamia al secol nostro!». 24.40.1 Aveva il signor prima di Brettagna 24.40.2 consigliato: «A me par che innanzi tratto, 24.40.3 sanza saper se ci è dolo o magagna, 24.40.4 s' impicchi Ganellon; ché fia pur fatto 24.40.5 noi daremo un dì tutti in una ragna 24.40.6 come stornegli in qualche luogo piatto». 24.40.7 Ma non fu ben questa parola intesa, 24.40.8 ché presto in Roncisvalle sarà tesa. 24.41.1 Rizzossi dopo Salamone Avino, 24.41.2 perché Gan si scusava, e disse: «Aspetta: 24.41.3 non ti vidi io parlar con Bianciardino 24.41.4 nell' orto e in qua e in là far la civetta? 24.41.5 Che dicevi tu i salmi o il mattutino? 24.41.6 Va impìccati tu stesso alla giubbetta, 24.41.7 ch' io non so come la terra sostienti! 24.41.8 Non se' tu sazio ancor di tradimenti?». 24.42.1 Disse il Danese: «Ascolta un poco, Gano: 24.42.2 quel dì che Bianciardin ti disse: "Taci", 24.42.3 e strinseti (io ti vidi pur) la mano, 24.42.4 per certo tu trattavi altro che paci! 24.42.5 E' m' incresce tu ciurmi Carlo Mano, 24.42.6 che non cognosce ancor di Giuda i baci; 24.42.7 ed io già veggo le lanterne e' fusti, 24.42.8 come reo traditor che sempre fusti». 24.43.1 Gano alfin pure al Danese rispose: 24.43.2 «Io son sempre il berzaglio a ogni mira; 24.43.3 ognun fa sopra me sue belle chiose. 24.43.4 Non mi riprenda il mio signor con ira. 24.43.5 Con Bianciardino io dissi molte cose, 24.43.6 come l' una parola un' altra tira 24.43.7 e balza a' testamenti nuovi e vecchi: 24.43.8 tu ci sentisti perché avevi orecchi. 24.44.1 E nel giardino un dì sendo rimasi, 24.44.2 dove Avin m' ha veduto civettare, 24.44.3 mi conferì suoi fatti e certi casi, 24.44.4 come suol l' uno amico all' altro fare, 24.44.5 per consigliarsi; e non vi stemo quasi. 24.44.6 Colui che è giusto non suol dubitare: 24.44.7 al peccator suol ben parer l' un, due, 24.44.8 e ch' ogni mosca sia per l' aria un grue. 24.45.1 Io mi son Carlo a sofferire avvezzo 24.45.2 ed ho fatto buon gusto e buon orecchio; 24.45.3 e quando il falso attorno è ito un pezzo, 24.45.4 convien che il vero appaia in ogni specchio. 24.45.5 Così fussi quel giorno stato il sezzo 24.45.6 ch' i' venni in corte, ov' io mi trovo vecchio, 24.45.7 lasciata la mia patria e qualche regno, 24.45.8 per riportarne ingratitudo e sdegno! 24.46.1 Io me n' andrò così vecchio in Maganza, 24.46.2 e qualche volta, poi ch' io sarò morto, 24.46.3 cognosciuta sarà questa arroganza 24.46.4 che mille volte m' ha incolpato a torto. 24.46.5 Tu hai dato a costor troppa baldanza, 24.46.6 o Carlo, o Carlo; e la pena io ne porto. 24.46.7 Ma infin tra' can si resterà la rabbia, 24.46.8 ch' io farò ben: chi pensa mal, mal abbia!». 24.47.1 Disse Ulivieri: «Ah, traditor ribaldo! 24.47.2 Io scoppio, Carlo, io non posso tacere. 24.47.3 E' si par ben che non c' è più Rinaldo, 24.47.4 ch' e' ti farebbe ancor l' olio tenere». 24.47.5 E non poté per ira star più saldo, 24.47.6 e levossi turbato da sedere 24.47.7 e détte al conte Gano una guanciata 24.47.8 che nel viso e nel cor riman segnata. 24.48.1 Ah, Ulivier, tu il piangerai ancora 24.48.2 in Roncisvalle e sarai mal contento! 24.48.3 Questo è quel dì che Maddalena adora 24.48.4 e sparge a' piedi il prezïoso unguento: 24.48.5 questa ceffata è foco che lavora, 24.48.6 che fia col sangue de' cristiani spento; 24.48.7 vedrai che in Ganellon può questo sdegno 24.48.8 tanto, che 'l Cielo ancor ne farà segno. 24.49.1 Era Ulivieri alle volte superbo. 24.49.2 Gan bisognòe ch' avessi pazïenzia, 24.49.3 e disse: «Va pur là, ch' io te la serbo. 24.49.4 Carlo, questo m' è fatto in tua presenzia» 24.49.5 e dipartissi sanza dir più verbo. 24.49.6 Carlo gridava: «Ah, poca reverenzia! 24.49.7 Superbo, arroganton, bestiale e matto! 24.49.8 Io ti farò quel che tu cerchi, un tratto». 24.50.1 Disse Ulivieri: «A te si vorre' dare 24.50.2 tanto in sul cul che diventassi rosso, 24.50.3 e farti a Gano, il tuo mignon, frustare, 24.50.4 che t' ha sempre trattato come uom grosso». 24.50.5 Carlo si volle di sedia levare 24.50.6 e trasse il pugnal fuor per irgli addosso: 24.50.7 se non che Orlando al marchese di Vienna 24.50.8 che si levassi dalla furia accenna. 24.51.1 Poi disse a Carlo Magno il suo parere: 24.51.2 che tempo non gli par da perder tempo, 24.51.3 ma che si debba al caso provedere 24.51.4 acciò che i lor remedii sieno a tempo, 24.51.5 e che il consiglio dovessi a sedere 24.51.6 l' altra mattina ritornar per tempo, 24.51.7 da poi ch' egli era la sera adirato, 24.51.8 ché chi s' adira non è consigliato. 24.52.1 E perché molti aüttori hanno detto 24.52.2 che Ulivier diè la ceffata a Gano 24.52.3 quando e' fu poi con Bianciardino eletto, 24.52.4 parmi che il lor giudicio sia qui strano 24.52.5 a mandar con isdegno e con dispetto 24.52.6 a trattar pace col gran sire ispano 24.52.7 un traditor come era Ganellone, 24.52.8 e scambian Bianciardin da Falserone. 24.53.1 In questo tempo arrivava a Marsilia 24.53.2 una nave transcorsa per fortuna, 24.53.3 e raccontava una trista vigilia 24.53.4 di mala festa, che non si digiuna; 24.53.5 e come Antea già ben trecentomilia 24.53.6 a Bambillona e per tutto rauna, 24.53.7 e come in Francia la guerra è giurata 24.53.8 e tuttavia s' apparecchia l' armata. 24.54.1 Il perché Carlo il consiglio chiamòe 24.54.2 e i paladini e il lor parere intese; 24.54.3 e parve a tutti, e così si fermòe, 24.54.4 che si mandassi in Ispagna il Danese, 24.54.5 perché già Macometto là adoròe 24.54.6 e sapeva il costume del paese; 24.54.7 e che menasse per ogni respetto 24.54.8 Astolfo e Berlinghieri e Sansonetto. 24.55.1 Ed ordinò per tutta Francia Orlando 24.55.2 le città, le fortezze e le castella, 24.55.3 insino alla marina capitando, 24.55.4 acciò che fussi preparata quella; 24.55.5 e fece in ogni parte andare il bando 24.55.6 ch' ognun presto sia in punto in su la sella 24.55.7 e tutti i franchi arcier sieno a Parigi 24.55.8 dinanzi a Carlo il dì di san Dionigi. 24.56.1 E in poco tempo raccozzato fue 24.56.2 della Franca Contea, di Normandia, 24.56.3 Silanda, Ilanda e l' altre isole sue, 24.56.4 da Rossiglion, Navarra e Piccardia 24.56.5 e d' altri luoghi, centomila o piùe. 24.56.6 Giunse a Parigi questa compagnia 24.56.7 di molte lingue e di molti paesi, 24.56.8 conti, prìncipi assai, duchi e marchesi. 24.57.1 Ma innanzi che i cristian sieno assembrati, 24.57.2 arrivata è la gente saracina 24.57.3 in molti porti e per forza smontati 24.57.4 ed occupavan tutta la marina: 24.57.5 verso Parigi si son dirizzati 24.57.6 sotto l' insegne della lor reina 24.57.7 e cuopron le montagne e' colli e' piani, 24.57.8 guastando tutti i paesi cristiani. 24.58.1 Aveva Antea menati dua giganti 24.58.2 ch' eran venuti del mar della rena, 24.58.3 che non si vide mai maggior briganti: 24.58.4 dodici braccia lunga era la schiena; 24.58.5 pensa che il resto poi sia due cotanti; 24.58.6 e portavan due coste di balena, 24.58.7 e dove e' giungon, dinanzi o di dietro, 24.58.8 ogni arme sgretolavan come vetro. 24.59.1 Eran questi giganti molto fieri 24.59.2 Cattabriga chiamati e Fallalbacchio: 24.59.3 gli uomin parean fantaccini di ceri; 24.59.4 e tristo a quel ch' aspetterà il batacchio, 24.59.5 ché e' leverà la mosca di leggieri 24.59.6 e sopra l' elmo schiaccerà il pistacchio; 24.59.7 e innanzi a tutta la turba veniéno 24.59.8 e par che triemi lor sotto il terreno. 24.60.1 Vengon costor, saccheggiando e scorrendo, 24.60.2 verso Parigi, ogni cosa rubando, 24.60.3 castelli e ville e borghi e case ardendo 24.60.4 come è usanza e le donne sforzando, 24.60.5 uomini e bestie e fanciulli uccidendo; 24.60.6 della qual cosa è mal contento Orlando 24.60.7 quando sentì la lor bestiale ingiuria 24.60.8 e rassettava le sue gente a furia. 24.61.1 Diceva Gano: «Or non sono io quel desso 24.61.2 c' ho fatto questa volta i tradimenti! 24.61.3 Fa sempre bene e giudica te stesso». 24.61.4 Ah, traditor, tu sai che tu ne menti! 24.61.5 E sempre intorno a Carlo era il più presso, 24.61.6 dicendo: «Imperator, di che spaventi? 24.61.7 Non dubitar quando e' c' è il conte nostro»; 24.61.8 e più fedel parea che il paternostro. 24.62.1 Già eron presso a quattro leghe o manco 24.62.2 i saracini e i giganti con loro, 24.62.3 e il capitano è innanzi, ardito e franco, 24.62.4 che si faceva chiamar Sicumoro; 24.62.5 e gli stendardi il campo avevon bianco, 24.62.6 dove era un Macometto, in alto, d' oro; 24.62.7 ed Antea lieta si venìa appressando, 24.62.8 ch' avea gran voglia rivedere Orlando. 24.63.1 Era apparito in que' dì gran prodigi, 24.63.2 portenti, auguri e segni e casi strani, 24.63.3 piovuto sangue per tutto Parigi, 24.63.4 urlavan giorno e notte tutti i cani. 24.63.5 Intanto a Montalbano è Malagigi 24.63.6 e vide in gran pericolo i cristiani; 24.63.7 venne a Orlando e l' arte sua gittorno 24.63.8 e tutte queste cose interpetrorno, 24.64.1 e ben cognobbon come Gano è quello 24.64.2 c' ha fatto questa volta al modo antico 24.64.3 per vedere a suo modo un bel macello; 24.64.4 ma non è tempo or farselo nimico. 24.64.5 Intanto Antea s' appressa e 'l suo drappello, 24.64.6 che non aggiugne a' giganti al bellico, 24.64.7 ma sopra gli stendardi son veduti 24.64.8 e dalla lunga due monti tenuti. 24.65.1 Diceva Orlando: «Questi gigantacci, 24.65.2 può far cose sì grande la natura? 24.65.3 Per Dio, Malgigi, fa che tu gli spacci, 24.65.4 perché e' non son come gli altri a misura». 24.65.5 Disse Malgigi: «Che vuoi tu ch' i' facci? 24.65.6 Or non aver de' giganti paura: 24.65.7 che dira' tu s' io gli piglio alla pania 24.65.8 e tutto il campo per le risa smania? 24.66.1 Manda Ulivieri incontro alla reina 24.66.2 a saper la cagion del suo venire 24.66.3 e perché tanta gente saracina 24.66.4 condotta ha in Francia per farla morire, 24.66.5 ché così mostra la nostra dottrina 24.66.6 e non potersi a sua posta partire; 24.66.7 ma serba nella mente, Orlando, questo, 24.66.8 e fa pur che Ulivier cavalchi presto». 24.67.1 Ulivier, come Orlando disse, andòe 24.67.2 dove era Antea e scese di Rondello 24.67.3 e inginocchiossi e poi la salutòe 24.67.4 e così fece la reina a quello; 24.67.5 e poi che si fu ritto, l' abbracciòe, 24.67.6 perché Ulivieri ancor gli par pur bello, 24.67.7 e disse, poi che per la mano il prese: 24.67.8 «Ben sia venuto il mio gentil marchese. 24.68.1 O Ulivier tu non invecchi mai; 24.68.2 ancor dipinta par questa persona! 24.68.3 Non ti ricorda quand' io ti lasciai 24.68.4 mal contento una volta in Bambillona? 24.68.5 E molte volte di te sospirai, 24.68.6 benché il Soldan ne perdé la corona 24.68.7 e seguitò, come tu sai, la guerra 24.68.8 e guasta è ancor per Morgante la terra. 24.69.1 Così va questo mondo, Ulivier mio. 24.69.2 Or la vendetta d' un tanto signore, 24.69.3 lecito e giusto par ch' io la facci io; 24.69.4 per la giustizia e pel debito amore 24.69.5 combatto, per la fede e pel mio Iddio, 24.69.6 per cercar fama e riportare onore; 24.69.7 poi mi ricordo di Semiramisse 24.69.8 di cui tante gran cose il mondo scrisse. 24.70.1 Or lasciàn questo. Che è del nostro Orlando? 24.70.2 Ch' io non credo, Ulivier, veder quell' ora 24.70.3 ch' io sia con seco un poco ragionando, 24.70.4 tanto ancor sua prodezza m' innamora. 24.70.5 Rinaldo per lo Egitto tapinando 24.70.6 sento sen va, che mi dispiace ancora: 24.70.7 ché, s' io l' avessi ritrovato in Francia, 24.70.8 forse che più non gittava la lancia 24.71.1 come quel dì che tu n' avesti sdegno 24.71.2 e tanto spiacque al figliuol di Mellone. 24.71.3 E s' io potessi acquistar questo regno, 24.71.4 io lo farò, ché così vuol ragione; 24.71.5 ma sempre Carlo col suo titol degno 24.71.6 istarà in sedia con reputazione; 24.71.7 però che questa alfin non è mia opra, 24.71.8 ma così dato, Ulivieri, è disopra: 24.72.1 prima che noi giù combattiamo in terra, 24.72.2 è fatta su nel Ciel questa battaglia 24.72.3 e già fra lor terminata la guerra 24.72.4 dove tutto in un tempo si ragguaglia 24.72.5 che il futuro e 'l preterito non erra. 24.72.6 E increscemi, Ulivier, se Dio mi vaglia, 24.72.7 d' aver fatto a cammin pure assai danno; 24.72.8 ma tu sai ben come le guerre fanno. 24.73.1 Io ho di tanti paesi e sì strani, 24.73.2 gente che Anibal non ne menò tante 24.73.3 quando e' venne alla guerra de' Romani; 24.73.4 qui son linguaggi di tutto Levante, 24.73.5 sanza intender l' un l' altro, come i cani. 24.73.6 Ma se ci fussi, Ulivieri, or Morgante, 24.73.7 noi proverremo questi compagnoni 24.73.8 con quel battaglio e con questi bastoni». 24.74.1 E disse a lor che toccassin la mano 24.74.2 a Ulivier, perch' egli è buon compagno, 24.74.3 e come egli era un famoso cristiano, 24.74.4 de' primi paladin di Carlo Magno. 24.74.5 Ma l' uno e l' altro gigante villano 24.74.6 gli fece prima uno sguardo grifagno 24.74.7 e con un atto superbo piegossi 24.74.8 e con fatica alla mano accostossi. 24.75.1 Ulivier rise e guardò in viso Antea 24.75.2 ed alzò quanto può la mano in suso 24.75.3 acciò che Fallalbacchio non sel bea 24.75.4 s' egli avessi più giù chinato il muso, 24.75.5 perché la bocca d' un forno parea; 24.75.6 e disse: «Io son co' giganti pur uso, 24.75.7 ma questi sono, Antea, sì smisurati, 24.75.8 che non mi paion bacalar da frati. 24.76.1 Non bisognava, con questi, Nembrotto 24.76.2 facessi, per toccare il ciel, la torre, 24.76.3 ché bastava l' un sopra e l' altro sotto, 24.76.4 se si potessi in su le spalle porre; 24.76.5 ma non l' arebbe un argano condotto. 24.76.6 E perché insieme ragionare occorre, 24.76.7 se vuoi ch' io dica, mandagli via tosto, 24.76.8 ché bestiame mi par da star discosto». 24.77.1 E poi che molte cose furon dette 24.77.2 e partiti costor, disse il marchese: 24.77.3 «Dunque tu vieni infin per far vendette 24.77.4 del gran Soldan, se le parole ho intese. 24.77.5 Io non voglio allegarti un "ben gli stette" 24.77.6 (ché il vero a tutto il mondo fu palese), 24.77.7 perché e' m' increbbe di vederlo morto; 24.77.8 ma sai ch' egli ebbe della guerra il torto, 24.78.1 e Ricciardetto ed io mancò per poco 24.78.2 che da lui non avemo ingiusta pena. 24.78.3 Tu eri a Monte Alban qua in festa e in gioco 24.78.4 e noi stavamo in carcere e in catena 24.78.5 sanza speranza in tenebroso loco 24.78.6 dove lume non vien se non balena. 24.78.7 Non parve opera degna del Soldano, 24.78.8 sendo pur paladin di Carlo Mano. 24.79.1 Lasciam la storia star di Marcovaldo 24.79.2 e il tradimento che fe' l' amostante, 24.79.3 ché sai ben come la notte il ribaldo 24.79.4 a torto prese il tuo signor d' Angrante; 24.79.5 se non che venne il suo fratel Rinaldo. 24.79.6 Or perché di' dalle potenzie sante 24.79.7 procedon nostre risse al mondo giùe, 24.79.8 così la morte del Soldan tuo fue. 24.80.1 Tu sai che il Veglio fu vostro nimico. 24.80.2 Rinaldo per tuo amore andò ammazzallo, 24.80.3 ma non poté, ché a Cristo si fe' amico; 24.80.4 poi fu quella montagna, egli e 'l cavallo, 24.80.5 che predetto al Soldan fu per antico 24.80.6 che l' uccidrebbe, e tutto il mondo sallo: 24.80.7 però, se così dato era per sorte, 24.80.8 incolpa i fati e 'l Ciel della sua morte. 24.81.1 Pur, se tu se' così diliberata 24.81.2 di voler del tuo padre vendicarti, 24.81.3 non fia la nostra eccellenzia mancata; 24.81.4 e se vuoi con Orlando riprovarti, 24.81.5 ti manderò del guanto la giornata, 24.81.6 e credo a questa parte satisfarti; 24.81.7 e per tua parte lo saluteròe 24.81.8 ed a tua posta mi dipartiròe». 24.82.1 Rispose Antea: «In ogni modo voglio 24.82.2 di nuovo con Orlando riprovarmi, 24.82.3 e so ch' io perderò pur come io soglio; 24.82.4 e del Soldano intendo vendicarmi. 24.82.5 Non so se a torto o ragion me ne doglio, 24.82.6 ma sia che vuol, ché debito mio parmi 24.82.7 che qualche lancia pur per lui sia rotta, 24.82.8 da poi che tanta gente ho qua condotta. 24.83.1 Pertanto al tuo signor farai ritorno: 24.83.2 saluta per mia parte tutti quanti, 24.83.3 massime Orlando; e di' che elegga il giorno 24.83.4 della battaglia, e noi verremo avanti»; 24.83.5 e di nuovo l' un l' altro rabbracciorno. 24.83.6 Ma nel partire, i superbi giganti 24.83.7 usoron molto i cristian minacciare 24.83.8 e che volevon Parigi spianare. 24.84.1 Ulivier ritornò con la risposta 24.84.2 e referì ogni cosa a Orlando 24.84.3 e come Antea è parata a sua posta, 24.84.4 e de' giganti venìa disegnando 24.84.5 ch' ognuno avea di balena una costa 24.84.6 e quel ch' al partir disson minacciando 24.84.7 e che natura gli avanzò matera 24.84.8 quando ella fece questa tantafera. 24.85.1 E come egli ebbe ogni cosa contato, 24.85.2 Orlando conferì con Malagigi. 24.85.3 Disse Malgigi: «Fa che al tempo dato 24.85.4 in punto sien la gente di Parigi 24.85.5 e la battaglia si facci in sul prato, 24.85.6 come altra volta già, di San Dionigi, 24.85.7 ch' io so che Antea con la gente pagana 24.85.8 vorrà fare alto presso alla fiumana. 24.86.1 E de' giganti tu ne riderai; 24.86.2 tu gli vedrai impaniati come tordi, 24.86.3 cosa che più non si vide ancor mai. 24.86.4 Fa che in sul fatto tu me lo ricordi, 24.86.5 ché certo so ti maraviglierai. 24.86.6 Un' altra cosa fa che non ti scordi: 24.86.7 che con Gan nulla non ne ragionassi, 24.86.8 che qualche malizietta e' non pensassi». 24.87.1 Il campo a San Dionigi diputossi, 24.87.2 e il dì che la battaglia era futura 24.87.3 con que' giganti Antea rappresentossi, 24.87.4 ch' a Marte e gli uomin facevon paura. 24.87.5 Carlo si fece la croce e segnossi, 24.87.6 e disse: «Questo non può far natura: 24.87.7 questi son mostri sì feroci e strani, 24.87.8 che poco val qui gli argumenti umani». 24.88.1 Così diceva Salamone e Namo: 24.88.2 «Io credo che gli mandi Satanasso. 24.88.3 Per mio consiglio, drento ci torniamo, 24.88.4 che non facessin d' uomini un fracasso; 24.88.5 facciam che con Orlando noi intendiamo, 24.88.6 ch' a lasciar que' baston cader giù basso, 24.88.7 chi sarà quel che sotto a lor si ficchi, 24.88.8 se fussi bene Atlante o Stambernicchi?». 24.89.1 Carlo fe' presto il nipote chiamare, 24.89.2 e disse: «A que' giganti hai tu pensato? 24.89.3 Ché l' uno e l' altro a vederlo mi pare 24.89.4 qualche corpo fantastico incantato». 24.89.5 Rispose Orlando: «Non ne dubitare, 24.89.6 ché Malagigi ha due volte affermato 24.89.7 ch' io lasci a lui de' giganti la briga, 24.89.8 e l' un dïavol sai l' altro gastiga». 24.90.1 Carlo pur gli occhi a' giganti tenea 24.90.2 e volentier tornerebbe in Parigi; 24.90.3 e per paura ognun si ristrignea, 24.90.4 ché sopra il prato già di San Dionigi 24.90.5 vengono innanzi alla gente d' Antea. 24.90.6 Orlando s' accostava a Malagigi: 24.90.7 vide che quello incantava e borbotta, 24.90.8 perché e' voleva gittar l' arte allotta. 24.91.1 Disse Malgigi: «Aspetta un poco, Orlando, 24.91.2 tirati addrieto». Orlando si scostava. 24.91.3 Allor Malgigi venìa disegnando 24.91.4 carattere e sigilli e preparava 24.91.5 le candarìe e' pentaculi: ma quando 24.91.6 vennon gli spirti ch' egli scongiurava, 24.91.7 tremò la terra come vento fossi 24.91.8 a l' aïr tutto in un punto turbossi. 24.92.1 In questo in mezzo il prato hanno veduto 24.92.2 un uom che parea stran più che Margutte 24.92.3 e zoppo e guercio e travolto e scrignuto, 24.92.4 e di gigante avea le membra tutte, 24.92.5 salvo che il capo era a doppio cornuto; 24.92.6 saltella in qua e in là come le putte 24.92.7 e scherza e ride e più giuochi fa quello 24.92.8 ch' un Fracurrado o un Arrigobello; 24.93.1 e suona una zampogna o zufolino, 24.93.2 ed accostossi a que' giganti e tresca 24.93.3 e fa certi atti come scuccobrino 24.93.4 e intorno a lor la più strana moresca 24.93.5 e spesso toma come un babbuïno 24.93.6 o come scimia fa la schiavonesca: 24.93.7 sì che e' guardava questa maraviglia 24.93.8 l' un campo e l' altro, e ritenea la briglia. 24.94.1 A poco a poco questa filostroccola 24.94.2 questi giganti tabaccava e sdrucciola, 24.94.3 e quel fantin, come chi spesso smoccola, 24.94.4 si vede or sì or no come la lucciola, 24.94.5 sì che comincia a girar lor la coccola, 24.94.6 ché non parea che gli stimi una succiola; 24.94.7 ed ognun ride a veder questa chiappola, 24.94.8 quantunque ancor non s' intendea la trappola. 24.95.1 Hai tu veduto il can con la cornacchia 24.95.2 come spesso beffato indarno corre? 24.95.3 Ella si posa e poi si lieva e gracchia: 24.95.4 così costor non si poteano apporre 24.95.5 (dunque Malgigi ne trarrà la macchia), 24.95.6 ed ogni volta che gli volean porre 24.95.7 le mani addosso, egli spariva o sguizza, 24.95.8 tal che i giganti scoppion per la stizza. 24.96.1 Ma come Antea questo vide, di botto 24.96.2 fra suo cor disse: «Que' giganti matti 24.96.3 non intendon l' inganno che v' è sotto: 24.96.4 questo è di Malagigi de' suoi tratti, 24.96.5 che certo il mio disegno m' arà rotto». 24.96.6 Intanto colui pur facea certi atti, 24.96.7 e per tentargli nella pazïenzia 24.96.8 le chiappe squadernò con reverenzia. 24.97.1 Guarda se vuole il Marguttin la baia! 24.97.2 E va lor tra le gambe per dispetto, 24.97.3 impronto più ch' una mosca culaia. 24.97.4 Ecco apparire intanto un bel boschetto, 24.97.5 tondo, impaniato come una uccellaia, 24.97.6 non falsa illusïon ma con effetto: 24.97.7 le frasche natural, la pania e 'l vischio 24.97.8 e la civetta e gli schiamazzi e 'l fischio. 24.98.1 Il gigantin nel boschetto si tuffa 24.98.2 come il tordo talvolta o altro uccello; 24.98.3 poi gli dileggia e fa coppino e struffa, 24.98.4 e faceva con bocca e con l' anello. 24.98.5 Questi giganti, irati per la buffa, 24.98.6 come sparvier si chiuson drieto a quello, 24.98.7 e in qua ed in là pel boschetto s' avvolsono, 24.98.8 tanto che tutte le frasche raccolsono 24.99.1 e diventoron due gran cerracchioni 24.99.2 co' rami intorno dal vento fiaccati. 24.99.3 Or fate lima lima a' mocciconi, 24.99.4 che così tosto si sono impaniati! 24.99.5 E' volevon menar pure i bastoni, 24.99.6 ma non potean ché sono avviluppati; 24.99.7 gridavon forte con urla feroce, 24.99.8 che tutto il campo stordiva alla voce. 24.100.1 Disse Malgigi: «Andate loro addosso, 24.100.2 ch' io non posso altro far con la mia arte». 24.100.3 Il perché Orlando il primo si fu mosso 24.100.4 e drieto a lui molta gente si parte, 24.100.5 ed accostârsi al macchion folto e grosso 24.100.6 con lance e dardi e frugavan da parte 24.100.7 ed ognun par che si studi e punzecchi; 24.100.8 ma bisognava turarsi gli orecchi. 24.101.1 Già era tutto il popol di Parigi 24.101.2 corso di fuori al romore a vedere; 24.101.3 ma poi che pure alla fine Terigi 24.101.4 questi giganti non vede cadere, 24.101.5 fe' come savio e corse in San Dionigi, 24.101.6 e sanza in terra scender del destriere 24.101.7 calòe giù presto una lampana e prese 24.101.8 un torchio e 'l fuoco in un tratto v' accese. 24.102.1 Or chi sentissi mugghiare i giganti 24.102.2 giurato arebbe, tanto erano in cruccio, 24.102.3 che fussin quivi i demòn tutti quanti. 24.102.4 Ma ritornato Terigi in un succio 24.102.5 col torchio, ognun s' allargava davanti; 24.102.6 ed accostato, come al capannuccio 24.102.7 il fuoco a questi appiccava dintorno, 24.102.8 e così in fummo in un punto n' andorno. 24.103.1 Questi non furon Sidrac o Misacche, 24.103.2 a mio parere, al tempo di Nabucco, 24.103.3 ché 'l fuoco al cul non rispiarmò le lacche, 24.103.4 come Dio volse, e non parve ristucco 24.103.5 da portar l' acqua con le salimbacche. 24.103.6 Dunque Terigi è de' cristiani il cucco, 24.103.7 ché se' giganti rovinavan giùe 24.103.8 arebbon morti cento uomini o piùe. 24.104.1 Ora ècci un punto qui, che mi bisogna 24.104.2 allegar forse il verso del Poeta: 24.104.3 «sempre a quel ver c' ha faccia di menzogna» 24.104.4 è più senno tener la lingua cheta, 24.104.5 ché spesso «sanza colpa fa vergogna»; 24.104.6 ma s' io non ho gabbato il bel pianeta, 24.104.7 come Cassandra già non è dovuto 24.104.8 che il ver per certo non mi sia creduto. 24.105.1 Io veggo tuttavia questi giganti 24.105.2 con gli occhi della mente e so ch' i' ho scritto 24.105.3 appunto i loro effetti e i lor sembianti, 24.105.4 sì ch' io non parlo simulato o fitto. 24.105.5 Venga chi vuol con sue ragioni avanti, 24.105.6 ch' io lo farò poi alfin contento e zitto, 24.105.7 e dirà: «Ciò che l' aüttor qui scrisse, 24.105.8 par che sia tratto della Apocalisse». 24.106.1 Chi mi dicessi: «Or qui rispondi un poco: 24.106.2 se Malagigi avea questa arte intera, 24.106.3 potea pur far, come il boschetto, il fuoco 24.106.4 e strugger que' giganti come cera»; 24.106.5 nota che l' arte ha modo e tempo e loco, 24.106.6 ché, se la oppinïon qui fussi vera, 24.106.7 sare' troppo felice un negromante, 24.106.8 anzi signor dal Ponente al Levante. 24.107.1 Ma quello Iddio che impera a tutti i regi, 24.107.2 ha dato termine, ordine e misura, 24.107.3 e non si può passar più là che i fregi, 24.107.4 però che a ogni cosa egli ebbe cura; 24.107.5 e fatture, aüruspi e sortilegi 24.107.6 non posson far quel che non può natura, 24.107.7 e le imagin più oltre son di ghiaccio, 24.107.8 perché e' fe' la potenzia nel suo braccio. 24.108.1 E se Paulo già vide arcana Dei, 24.108.2 fu per grazia concesso a qualche fine, 24.108.3 acciò che quel potessi i farisei 24.108.4 confonder con le sue sante dottrine; 24.108.5 ma gli spirti infernal malvagi e rei 24.108.6 privati son delle virtù divine; 24.108.7 ma perché pur molti segreti sanno, 24.108.8 per virtù natural gran cose fanno. 24.109.1 Vanno per l' aire come uccel vagando 24.109.2 altre spezie di spiriti folletti, 24.109.3 che non furon fedel né rei già, quando 24.109.4 fu stabilito il numer degli eletti. 24.109.5 Non so se 'l mio Palmier qui venne errando, 24.109.6 che par di corpo in corpo ancor gli metti, 24.109.7 onde e' punge la mente con mille agora, 24.109.8 esser prima Eüforbio e poi Pittagora. 24.110.1 E forse qui s' inganna il Tïaneo, 24.110.2 che si ricorda, dice, esser pirrato 24.110.3 e come e' prese un altro in mar più reo 24.110.4 e come gentilezza gli ebbe usato. 24.110.5 Or tu potresti dir qui d' Asmodeo; 24.110.6 ed io rispondo ch' egli è figurato 24.110.7 il detto della Bibbia dove e' narra 24.110.8 come egli uccise que' mariti a Sarra. 24.111.1 Dunque Malgigi e gli altri nigromanti 24.111.2 ci posson cogli spiriti tentare, 24.111.3 ma non poteva uccidere i giganti 24.111.4 per arte o il fuoco i demòni appiccare; 24.111.5 potea ben fare apparir lor davanti 24.111.6 il bosco e lor vi potevano entrare 24.111.7 e non entrar, ch' a nessuno è negato 24.111.8 libero arbitrio, che da Dio c' è dato; 24.112.1 potean gli spirti ben portare il fuoco, 24.112.2 ma non poteano accenderne favilla. 24.112.3 Così vo discoprendo a poco a poco 24.112.4 ch' io sono stato al monte di Sibilla, 24.112.5 che mi pareva alcun tempo un bel giuoco: 24.112.6 ancor resta nel cor qualche scintilla 24.112.7 di riveder le tanto incantate acque 24.112.8 dove già l' ascolan Cecco mi piacque; 24.113.1 e Moco e Scarbo e Marmores, allora, 24.113.2 e l' osso biforcato che si chiuse, 24.113.3 cercavo come fa chi s' innamora. 24.113.4 Questo era il mio Parnaso e le mie Muse; 24.113.5 e dicone mia colpa e so che ancora 24.113.6 convien che al gran Minòs io me ne scuse 24.113.7 e ricognosca il ver cogli altri erranti, 24.113.8 piromanti, idromanti e geomanti. 24.114.1 Or ritorniamo a' pagan, che stupiti 24.114.2 per maraviglia tenean gli occhi all' erta. 24.114.3 Diceva Antea: «Costor, dove sono iti?» 24.114.4 (ché la fiamma dal fummo era coperta). 24.114.5 «Son così tosto due monti spariti?». 24.114.6 E non poteva ignuna cosa certa 24.114.7 sapere ancor della lor morte sùbita, 24.114.8 se non che pur di Malagigi dubita. 24.115.1 Ma poi che vide il segno del quartiere 24.115.2 e intese ben che il conte Orlando è questo 24.115.3 e ricognobbe l' elmetto e 'l cimiere, 24.115.4 fecesi innanzi con sue gente presto 24.115.5 e dismontata in terra del destriere, 24.115.6 abbraccia Orlando quanto parve onesto, 24.115.7 che già di Vegliantino smontato era 24.115.8 ed alzato dell' elmo la visiera. 24.116.1 Poi gli diceva con destre parole: 24.116.2 «Che caso è questo de' giganti strano! 24.116.3 Malagigi può tanto quanto e' vuole 24.116.4 (non so se s' è in Parigi o in Monte Albano) 24.116.5 e far fermare in ciel le stelle e 'l sole: 24.116.6 ma questo è poco onor di Carlo Mano. 24.116.7 Io mi credea co' paladin di Francia 24.116.8 combatter con la spada e con la lancia: 24.117.1 non son venuta qua, come Michele, 24.117.2 a combatter, Orlando, con gli spirti; 24.117.3 ché se col fuoco infernale e crudele 24.117.4 ci struggi, a me bisogna acconsentirti, 24.117.5 calar le sarte e raccoglier le vele; 24.117.6 ma non è certo di lauro e mirti 24.117.7 questa corona che tu metti a Carlo, 24.117.8 che si vuol d' altra gloria coronarlo». 24.118.1 Rispose Orlando: «Il marchese di Vienna 24.118.2 mi salutò per tua parte, madama, 24.118.3 e che tu se' ritornata m' accenna 24.118.4 per acquistare in Francia onore e fama 24.118.5 e far che corra di sangue ancor Senna. 24.118.6 Veggiàn se giusta cagion qua ti chiama. 24.118.7 Io so che del Soldan mi dolse e duole, 24.118.8 ma voler si convien quel che 'l Ciel vuole. 24.119.1 Tu sai ch' io ti condussi a Bambillona 24.119.2 e rende' del tuo padre in man lo scetro 24.119.3 e di mia man ti missi la corona, 24.119.4 che si soleva dar pel tempo addietro 24.119.5 a chi con l' arme l' acquista in persona: 24.119.6 però le ragion tue son qui di vetro, 24.119.7 sendo per me regina coronata, 24.119.8 dond' io pensai tu mi fussi obligata. 24.120.1 Se Malagigi come negromante 24.120.2 ucciso ha Fallalbacchio e Cattabriga, 24.120.3 uccider gli poteva anche in Levante, 24.120.4 s' avessin, come qua, cercato briga 24.120.5 e non avevon forma di gigante: 24.120.6 così matto con matto si gastiga; 24.120.7 ed è ragion che 'l giuoco qui s' intavoli, 24.120.8 ch' egli uccise i dïavol co' dïavoli. 24.121.1 Or ti dirò quel che Ulivier m' ha detto: 24.121.2 che meco terminar vuoi questa guerra 24.121.3 e che combatte Cristo e Macometto 24.121.4 prima su in Cielo e noi qua giù poi in terra; 24.121.5 pertanto io son parato, e ti prometto 24.121.6 per quello Iddio che è giusto e mai non erra, 24.121.7 se tu m' abbatti per forza di lancia, 24.121.8 tu arai tutto il reame di Francia». 24.122.1 Rispose Antea: «E così ti giuro io 24.122.2 inverso Bambillona far ritorno 24.122.3 se tu se' vincitore, e sallo Iddio 24.122.4 quant' io ho desïato questo giorno 24.122.5 per veder tua prodezza, Orlando mio». 24.122.6 E l' uno e l' altro a caval rimontorno, 24.122.7 e rimontati e girato la briglia, 24.122.8 del prato ognuno a suo modo ne piglia. 24.123.1 Non è spento il valor certo d' Antea, 24.123.2 ma molto men d' Orlando è la fierezza. 24.123.3 Rivoltato il caval ciascuno avea 24.123.4 e nello scudo la lancia già spezza, 24.123.5 ma l' uno e l' altro una torre parea 24.123.6 che folgor, non che forza umana, sprezza: 24.123.7 così la lancia pareggiata fue 24.123.8 da ogni parte per la lor virtùe. 24.124.1 Trasson le spade e déttonsi ben mille 24.124.2 colpi in sull' arme e fêr mirabil prove 24.124.3 e non si vide mai se non faville 24.124.4 che volavan talvolta insino a Giove; 24.124.5 ma la battaglia è fra 'l troiano e Acchille, 24.124.6 ché l' uno e l' altro d' arcion non si muove; 24.124.7 sì che laudar si potea questa e quello, 24.124.8 ché molto è pareggiato il lor duello. 24.125.1 Intanto tutto il campo s' abbaruffa, 24.125.2 comincia d' ogni parte la battaglia; 24.125.3 e bisognò che lasciassi la zuffa, 24.125.4 ché già tutta la gente si travaglia. 24.125.5 Orlando allor fra le squadre si tuffa 24.125.6 de' saracini e chi frappa e chi taglia, 24.125.7 tanto ch' ognun gli volgeva le chiappe 24.125.8 però che il cul gli facea lappe lappe. 24.126.1 Già era Antea nella battaglia entrata, 24.126.2 lasciato Orlando e trovato Ulivieri 24.126.3 ed avea seco la mischia appiccata; 24.126.4 ma sempre non si cade del destrieri, 24.126.5 e benché l' arme sua abbi incantata, 24.126.6 si spiccò dalla zuffa volentieri, 24.126.7 e riscontrossi con Gan di Maganza, 24.126.8 che fece il tristo e il cagnaccio all' usanza 24.127.1 e lasciossi cader come un ribaldo. 24.127.2 Guarda se sa ancor far la bagattella 24.127.3 o se questa è ben serpe di ceraldo! 24.127.4 Ma presto fu riposto in su la sella. 24.127.5 Gualtieri da Mulione, Avolio, Arnaldo, 24.127.6 Angiolin, tra' pagani ognun martella; 24.127.7 Avino, Ottone e 'l signor di Brettagna 24.127.8 ognun nel sangue volentier si bagna. 24.128.1 E chi arebbe creduto che il vecchione 24.128.2 Carlo tener non si potessi in posa? 24.128.3 Credo che da Dio fussi spirazione: 24.128.4 la bella spada chiamata Gioiosa 24.128.5 tanti ne fésse il dì sopra l' arcione, 24.128.6 che la terra e sé fece sanguinosa; 24.128.7 e da quel giorno poi lo imperatore 24.128.8 questa spada mai più non trasse fore. 24.129.1 Era stato un uom Carlo molto degno: 24.129.2 natura intese un uom pien di virtute, 24.129.3 di gran fortezza e di predito ingegno; 24.129.4 avea molte gran cose già vedute, 24.129.5 di nobil sangue, tenuto gran regno; 24.129.6 ma non fur le sue opre cognosciute 24.129.7 e non ebbe la tuba di Lucano, 24.129.8 ché sarebbe una Roma, un Carlo Mano. 24.130.1 Così faceva il duca di Baviera, 24.130.2 a cui l' ultimo giorno è pur vicino; 24.130.3 ma perché il suo valore allo estremo era, 24.130.4 facea come fa il lume a mattutino, 24.130.5 e rompe ed urta e sbaraglia ogni schiera; 24.130.6 insino all' arcivescovo Turpino 24.130.7 uccide anch' egli e faceva ogni male, 24.130.8 pur con la spada, non col pasturale. 24.131.1 Orlando, poi che si partì d' Antea, 24.131.2 avea del sangue de' pagani un guazzo 24.131.3 fatto, che già verso il fiume correa, 24.131.4 tanti n' uccide di quel popol pazzo: 24.131.5 sempre in alto la spada si vedea, 24.131.6 sì che di morti copriva lo spazzo 24.131.7 e Vegliantino alle volte si serra 24.131.8 ed urta e caccia assai gente per terra. 24.132.1 Bene è questo caval quel Vegliantino, 24.132.2 acciò che error non pigli chi m' ascolta, 24.132.3 che fu d' Almonte degno saracino; 24.132.4 così quando Baiardo alcuna volta 24.132.5 si dice, non è falso il mio latino, 24.132.6 ché e' fia col signor, lor la vita tolta: 24.132.7 ed è ragion che la grazia del Cielo 24.132.8 conservi ognun che conserva il Vangelo. 24.133.1 Gran cose il dì faceva Sicumoro, 24.133.2 il capitan ch' aveva lo stendardo, 24.133.3 ch' era fra tutti il primo barbassoro, 24.133.4 e grida a' saracin: «Popol gagliardo, 24.133.5 morte, sangue, vendetta, carne, a loro! 24.133.6 Fatevi innanzi, ignun non sia codardo! 24.133.7 Tagliate tutti costor come cani»; 24.133.8 e così rincorava i suo' pagani. 24.134.1 E' si vedeva in alto tante spade 24.134.2 rosse, che l' aria anche pareva rossa; 24.134.3 e come spesso ne' campi le biade 24.134.4 si piegono a quel vento c' ha più possa, 24.134.5 poi rinforza più l' altro e quel giù cade, 24.134.6 così par sempre la battaglia mossa; 24.134.7 ma insino a qui la prefata battaglia 24.134.8 equalmente fortuna ancor travaglia. 24.135.1 Feciono infine i pagan tanto assalto, 24.135.2 che i cristian non poteron sostenere, 24.135.3 tanto che 'l sangue dua braccia fu alto 24.135.4 e fecion Carlo per forza cadere 24.135.5 e ritrovossi nel sangue allo smalto, 24.135.6 e corsono insin sotto alle bandiere 24.135.7 e quivi in modo la zuffa appiccorno 24.135.8 che ogni cosa per terra gittorno. 24.136.1 Baldovino, il figliuol di Ganellone, 24.136.2 ch' avea ben l' occhio per tutto tenuto, 24.136.3 poi che vide per terra il gonfalone 24.136.4 e come Carlo di sella è caduto, 24.136.5 cercando va del figliuol di Mellone 24.136.6 e domandava chi l' abbi veduto; 24.136.7 e tanto in qua ed in là s' andò aggirando, 24.136.8 che e' ritrovò nella battaglia Orlando 24.137.1 e cominciò di lungi a gridar forte: 24.137.2 «E' ti convien soccorrere i cristiani 24.137.3 o ritornarci di drento alle porte: 24.137.4 noi siàn qua minuzzati come cani 24.137.5 ed ognun fugge dinanzi alla morte 24.137.6 e corron verso Parigi i pagani 24.137.7 e tutte le bandiere son per terra; 24.137.8 caduto è Carlo, e perduta è la guerra». 24.138.1 Non altrimenti il fer leon si scaglia 24.138.2 c' ha veduto di nuovo qualche armento, 24.138.3 ch' Orlando si gittò per la battaglia 24.138.4 inverso gli stendardi come un vento. 24.138.5 Or se qui Durlindana punge e taglia 24.138.6 tosto vedrassi, o se bisogna unguento. 24.138.7 I paladini eran per terra tutti, 24.138.8 nel sangue imbrodolati, strani e brutti. 24.139.1 Avea già Sicumoro, il capitano, 24.139.2 il bel vessillo e voleva fuggire; 24.139.3 Orlando gli tagliò netta la mano, 24.139.4 che per la pena credette morire 24.139.5 e ritrovossi disteso in sul piano, 24.139.6 sì che Zaccheo vi potea ben salire; 24.139.7 poi si rivolse a quella gente pazza, 24.139.8 tanto che presto la campagna spazza. 24.140.1 Credo che Marte il dì dicessi a Giove: 24.140.2 «Tu non avevi questo paladino 24.140.3 quando i giganti fêr l' ultime prove, 24.140.4 ché e' non tremava lo scettro e 'l domìno». 24.140.5 Orlando a Baldovin disse poi: «Dove 24.140.6 di' che lasciasti il figliuol di Pipino?». 24.140.7 Baldovin lo menò dove era Carlo 24.140.8 e fecion sopra il caval rimontarlo. 24.141.1 Ulivieri era in una pressa stretta 24.141.2 di mammalucchi, e fatto gli hanno cerchio; 24.141.3 ma tristo a quel che non fa la civetta, 24.141.4 ché non valeva di scrima coperchio: 24.141.5 l' un sopra l' altro attraversato getta: 24.141.6 qui si nuota nel sangue e non nel Serchio; 24.141.7 e tanto adoperò con la sua possa, 24.141.8 ch' a più di cento la barba fe' rossa. 24.142.1 Aveva Orlando a caval già rimesso 24.142.2 Namo e molti altri, che smontati sono 24.142.3 sanza aver quivi lo staffiere appresso. 24.142.4 I pagan cominciorno in abbandono 24.142.5 a fuggir come uccelli in aria spesso 24.142.6 per vento o grandin, per folgore o tuono; 24.142.7 e non dicevon l' uno all' altro «Vienne». 24.142.8 ché per paura mettevon le penne. 24.143.1 E tanto fu per l' aiuto d' Orlando, 24.143.2 de' cristian nostri il furore e la rabbia, 24.143.3 che si vennon le squadre rassettando 24.143.4 ed ognun par che gli spirti rïabbia, 24.143.5 da ogni parte i pagan ributtando; 24.143.6 e spesso Antea si trovò quasi in gabbia. 24.143.7 E così fecion queste bestie matte 24.143.8 i tafani ingrassare e le mignatte. 24.144.1 E se non fussi venuta la notte, 24.144.2 non fu mai de' pagan sì gran macello. 24.144.3 Eran tutte le squadre in fuga rotte; 24.144.4 Orlando insieme col suo colonnello 24.144.5 gl' infilza per le fosse e per le grotte. 24.144.6 Ma il sol l' altro emisperio facea bello 24.144.7 e bisognòe per forza a questa volta 24.144.8 da ogni parte sonare a raccolta. 24.145.1 Chiese Antea triegua la sera a Orlando 24.145.2 per venti dì per seppellire i morti; 24.145.3 ma e' converrà col fuoco ire abbruciando, 24.145.4 o che il fiume o il dïavol ne gli porti; 24.145.5 e (per venir la storia abbrevïando) 24.145.6 Orlando si tornò drento alle porti; 24.145.7 e sopra tutto Gan non è contento 24.145.8 se non iscambia questo tradimento. 24.146.1 Or chi vedessi il sanguinoso agone 24.146.2 dove fu la battaglia presso a Senna, 24.146.3 s' avessi un cor di pietra o di leone, 24.146.4 gli tremerrebbe come a me la penna: 24.146.5 sepolte eran nel sangue le persone. 24.146.6 Or hai tu, Antea, dato in Francia la strenna 24.146.7 alla tua gente c' hai fatta morire, 24.146.8 e non sai quel che di te dée seguire! 24.147.1 Lasciamo Orlando in Parigi tornato 24.147.2 e ritorniamo a Marsilio in Ispagna; 24.147.3 che, poi che v' era il Danese arrivato 24.147.4 e cognosceva sua prodezza magna, 24.147.5 pargli che il vento gli avessi spannato 24.147.6 e spinto sopra la siepe la ragna; 24.147.7 ed aspettava le nuove di Francia, 24.147.8 come Antea abbi provata sua lancia, 24.148.1 perché e' cognobbe del suo stato il rischio; 24.148.2 e intanto spacciò il fante Ganellone 24.148.3 e bisognòe che dicessi che il vischio 24.148.4 d' Orlando non temeva l' acquazzone 24.148.5 e che i giganti si calorno al fischio 24.148.6 ed Antea quasi scoperto ha il groppone 24.148.7 come e' si fa quando e' casca giù il tordo, 24.148.8 che il cul si pela, fra morto e balordo. 24.149.1 E rimandò di nuovo imbasciadore 24.149.2 in Francia a Carlo a ritentar la pace 24.149.3 e dir che Bianciardin non fece errore 24.149.4 del suo partir, ma la cagion si tace; 24.149.5 e mandò Falseron, uom di gran core, 24.149.6 prudente e molto nel parlare audace. 24.149.7 Giunse a Parigi e fu dinanzi a Carlo, 24.149.8 e cominciò in tal modo a salutarlo: 24.150.1 «Quello Iddio grande che ciascun adora, 24.150.2 il qual fe' le sustanzie separate 24.150.3 che volgon sopra noi questi segni ora, 24.150.4 salvi e mantenga l' alta maestate 24.150.5 di Carlo Magno e chi suo scettro onora, 24.150.6 Orlando e gli altri, in gran felicitate. 24.150.7 Marsilïone, il mio signor, ti manda 24.150.8 salute e molto ti si raccomanda. 24.151.1 La cagion perché a te m' ha qui mandato, 24.151.2 illustrissimo erede di Pipino, 24.151.3 dal qual tu non se' già degenerato, 24.151.4 è perché e' crede che il re Bianciardino 24.151.5 nel suo partir ti lasciassi ammirato 24.151.6 che così presto si misse a cammino, 24.151.7 e non ti fece la ragion capace, 24.151.8 mentre ch' egli era in sul bel della pace. 24.152.1 Or nota, imperator, come discreto: 24.152.2 Bianciardin si partì per buon respetto; 24.152.3 ma non importa or dir questo segreto 24.152.4 che parrebbe disforme al nostro effetto: 24.152.5 basta che ancor tu ne sarai ben lieto, 24.152.6 e tutto a luogo e tempo ti fia detto: 24.152.7 sai ch' ogni cosa vuol principio e norma, 24.152.8 accordar la materia con la forma. 24.153.1 Ma questo un' altra volta, come io dissi, 24.153.2 sarà con altra tuba manifesto: 24.153.3 però non pensar più perché e' partissi, 24.153.4 ch' un dì ti sarà poi chiosato il testo. 24.153.5 Tanto è ch' io vengo a dir: "Quod scripsi, scrissi", 24.153.6 però che 'l mio signor m' impose questo, 24.153.7 per confirmar con la tua maestate 24.153.8 pace che sia di buona voluntate. 24.154.1 E non bisogna replicare adesso 24.154.2 la Spagna; ché Marsilio dice e crede 24.154.3 che ciò che Carlo gli avessi promesso 24.154.4 nella selva Ida, osserverà la fede. 24.154.5 E perché intenda, in ordin s' era messo 24.154.6 centomila a caval con molti a piede 24.154.7 per dar soccorso a tua degna Corona, 24.154.8 poi che e' venne il furor di Bambillona. 24.155.1 Ma perché il re Marsilio intanto intese 24.155.2 come egli era venuto Sansonetto 24.155.3 inverso Spagna e il possente Danese, 24.155.4 Astolfo e Berlinghier, quasi a diletto, 24.155.5 per discrezione ognun di noi comprese 24.155.6 e' basta solo Orlando a tutti a petto; 24.155.7 e (vo' che questo si resti fra noi) 24.155.8 Antea mal consigliata fu da' suoi. 24.156.1 Credo tu sappi come Buiaforte, 24.156.2 figliuol del Veglio già della Montagna, 24.156.3 a Siragozza è con Marsilio in corte 24.156.4 e molto in verità d' Antea si lagna: 24.156.5 ché se il suo padre al Soldan diè la morte, 24.156.6 l' uccise con la lancia alla campagna 24.156.7 come dato era dalle etterne rote, 24.156.8 e non ci ha colpa lui né il tuo nipote. 24.157.1 Or lasciàn questo; se tu intendi, Carlo, 24.157.2 come vero e magnalmo imperatore, 24.157.3 voler Marsilio, come e' t' ama, amarlo, 24.157.4 la prima pace fa che sia nel core, 24.157.5 e se vi fussi restato alcun tarlo, 24.157.6 ognun con carità lo sbuchi fore; 24.157.7 e ciò ch' io dico è del suo petto propio, 24.157.8 ché le parole formate qui copio. 24.158.1 Arebbe Bianciardino, ogn' altro ch' io, 24.158.2 saputo meglio orar che Falserone; 24.158.3 ma ciò ch' io t' ho narrato, sallo Iddio 24.158.4 che tutto è stato con affezïone; 24.158.5 e sai ch' io ci ho perduto il figliuol mio; 24.158.6 quantunque non morì come un poltrone, 24.158.7 ma con la spada rinchiuso in sul ponte, 24.158.8 sì ch' io perdono ogni mia ingiuria al conte». 24.159.1 E non poté più dir ma lacrimando 24.159.2 si levòe in piè, tanto il dolor l' assalse, 24.159.3 ed abbracciò più volte e strinse Orlando 24.159.4 (non so se queste lacrime son false). 24.159.5 Carlo nel volto si venne cambiando, 24.159.6 tanto il savio parlar co' gesti valse; 24.159.7 Orlando ginocchione e reverente 24.159.8 gli domandò perdon molto umilmente. 24.160.1 Poi disse Carlo: «Savio imbasciadore, 24.160.2 tu sia per molte cose il ben venuto. 24.160.3 Del re Marsilio l' offerte e l' amore 24.160.4 accetto e grazie rendo al suo saluto; 24.160.5 e Bianciardin, se si partì a furore 24.160.6 per obedire, ha fatto il suo dovuto, 24.160.7 e non ricerco la cagion di questo, 24.160.8 con ciò sia cosa ch' e' non pare onesto. 24.161.1 Di quel che molte volte ragionamo, 24.161.2 credo tu il sappi, ed io me ne ricordo, 24.161.3 della pace e di Spagna; e sa qui Namo 24.161.4 che mai da quel ch' è giusto non mi scordo. 24.161.5 E' si partì, tu se' venuto; e siamo 24.161.6 Orlando e gli altri paladin d' accordo 24.161.7 che voi tegnate tutti i regni ispani, 24.161.8 non come mori, ma come cristiani. 24.162.1 E la cagion perché e' venne il Danese, 24.162.2 non fu né per Antea né per sospetto, 24.162.3 ed altra volta fìen le cose intese, 24.162.4 come tu ancor di Bianciardino hai detto; 24.162.5 e so che il re Marsilio alle mie imprese 24.162.6 aiuto darà sempre con effetto, 24.162.7 ché la salute di Spagna e di Francia 24.162.8 credo che sia la pace e non la lancia. 24.163.1 E manderò qui il mio caro nipote 24.163.2 a Siragozza, se bisogna, o Gano; 24.163.3 quantunque egli è contento come e' puote 24.163.4 di dar la Spagna, anzi gli pare strano 24.163.5 (e so che queste cose ti son note), 24.163.6 ch' acquistata l' avea con la sua mano; 24.163.7 ma voglio al re Marsilio esser fratello, 24.163.8 ché sai che in corte sua m' allevò quello. 24.164.1 Io non vo' ragionar d' Antea per ora: 24.164.2 il fin gli mosterrà quel ch' ella ha fatto, 24.164.3 e piangeranne Bambillona ancora, 24.164.4 ché certo il suo consiglio fu di matto. 24.164.5 Ognun che nasce sai convien ch' e' mora; 24.164.6 e se il suo padre fu morto e disfatto, 24.164.7 come tu di', dal Ciel venne sua morte, 24.164.8 e non si dolga Antea di Buiaforte. 24.165.1 Di Ferraù so che m' increbbe tanto, 24.165.2 ch' ancor sì come tu ne son dolente; 24.165.3 ma io ti so ben confortar di tanto, 24.165.4 che l' anima sua in Ciel visibilmente 24.165.5 fu portata dagli angel con gran canto, 24.165.6 e come di' morì come uom valente. 24.165.7 Or non tocchian più là dove e' ci duole; 24.165.8 sia fatto infin ciò che Marsilio vuole. 24.166.1 Tu te n' andrai con Gano a riposare 24.166.2 ed altra volta insieme parleremo: 24.166.3 parmi tempo il consiglio a licenziare, 24.166.4 e so che in un parer ci accorderemo»; 24.166.5 e fecelo da tutti accompagnare. 24.166.6 O Carlo, a questa volta, o Carlo, io temo, 24.166.7 che: «Amice», non sia detto, «ad quid venisti?». 24.166.8 Ricòrdati, ovem lupo commisisti. 24.167.1 Orlando e tutti i baron son dintorno 24.167.2 a Falseron, ch' era uom molto stimato, 24.167.3 ed al palazzo di Gan lo menorno 24.167.4 e Carlo per la man l' ha accompagnato; 24.167.5 e giostre e feste si fece ogni giorno 24.167.6 acciò che quel se n' andassi onorato, 24.167.7 ché così piacque a ciascun d' onorarlo 24.167.8 perché e' vedessi la gloria di Carlo. 24.168.1 Or se qui Ganellon nel lardo nuota 24.168.2 e 'l zucchero trabocca alla caldaia, 24.168.3 per discrezion, lettore, intendi e nota, 24.168.4 e se parrà nel letto una ghiandaia. 24.168.5 Egli avea rossa ancor tutta la gota; 24.168.6 ma il can, quando e' vuol morder non abbaia; 24.168.7 sì che e' non parla di questo, il ribaldo, 24.168.8 ma frappava altre cose di Rinaldo. 24.169.1 E Malagigi avea di nuovo fatto 24.169.2 l' arte e sapea ciò che diceva Gano, 24.169.3 e dicea con Orlando; «O Carlo matto 24.169.4 (ché non si può chiamar più Carlo Mano), 24.169.5 tutti sarete mal contenti un tratto». 24.169.6 E così fu dello imperio troiano 24.169.7 poi che l' ultimo termin fu venuto, 24.169.8 ché non era a Cassandra il ver creduto. 24.170.1 Orlando aveva nel suo petto sdegno, 24.170.2 ché Carlo mille volte gli ha promesso 24.170.3 di coronarlo e dargli stato e regno; 24.170.4 ma come Ganellon gli stava appresso, 24.170.5 così sempre era rotto ogni disegno; 24.170.6 e non pareva ch' e' fussi quel desso, 24.170.7 sì che e' non val Malagigi riveli, 24.170.8 ché tutti siam governati da' Cieli. 24.171.1 Falseron con Orlando un giorno disse 24.171.2 ch' avea pur voglia rivedere Antea 24.171.3 e 'l campo pria che di Francia partisse, 24.171.4 e che con seco pensato già avea 24.171.5 che sare' ben che con esso lui gisse. 24.171.6 e 'l conte Gan, se così gli parea, 24.171.7 ed Ulivieri; e così s' accordorno 24.171.8 e tutti inverso del campo n' andorno. 24.172.1 Venne Antea incontro, come questo intese 24.172.2 (ché Falserone era uom d' alta eccellenzia), 24.172.3 e salutollo e del cavallo scese; 24.172.4 e rimontata, con gran reverenzia 24.172.5 saluta Gano ed Orlando e 'l marchese; 24.172.6 poi gli menò per più magnificenzia 24.172.7 pel campo a spasso a lor consolazione, 24.172.8 poi a vedere un ricco padiglione. 24.173.1 Il padiglione era una cosa magna 24.173.2 e drento v' era il caso istorïato 24.173.3 del Veglio: come e' fu quella montagna 24.173.4 ch' addosso al padre è col caval cascato 24.173.5 e come Bambillona ancor si lagna 24.173.6 e come e' v' era Morgante arrivato 24.173.7 e col battaglio guastava la terra 24.173.8 e come Orlando gli mosse la guerra. 24.174.1 Tutto facea per conservar costei 24.174.2 la vendetta del padre alla memoria. 24.174.3 Ma Falseron, ch' è falso più di lei, 24.174.4 poi ch' egli ebbe notata ben la istoria, 24.174.5 gli disse: «S' tu volessi, io ti direi 24.174.6 che questo è in verità poco tua gloria. 24.174.7 La prima cosa, s' io non son ben cieco, 24.174.8 tu porti, Antea, la tua vergogna teco, 24.175.1 e portila di seta e d' oro ornata: 24.175.2 or fa che tu dipinga la vendetta, 24.175.3 se mai vien tempo tu sia vendicata. 24.175.4 Ma il tempo non vien mai, chi non l' aspetta: 24.175.5 rade volte la cosa non pensata 24.175.6 rïesce a chi la vuol pur fare in fretta. 24.175.7 Ma, certo, onor cercar non ti bisogna 24.175.8 da poi ch' egli è sì bella la vergogna». 24.176.1 Non so se le parole ognuno intende 24.176.2 che Falseron come malvagio ha dette, 24.176.3 però che dall' un lato Antea riprende 24.176.4 e par che la conforti a sue vendette; 24.176.5 o se pur questa cetera si stende 24.176.6 che come amico in mezzo quel si mette 24.176.7 a trattar pace a qualche suo disegno; 24.176.8 ma so che in altra parte va il mio ingegno. 24.177.1 Rimase tutta spennecchiata Antea 24.177.2 e confirmò il suo dir perch' ella tace, 24.177.3 però che in questo modo lo intendea, 24.177.4 ché si vuol ricordar di quel che piace; 24.177.5 e perché generoso core avea, 24.177.6 diterminò di far con Carlo pace 24.177.7 e ritornarsi inverso Bambillona, 24.177.8 ché gentile almo volentier perdona. 24.178.1 Falseron seguitòe le sue parole: 24.178.2 non so se volea far pur come e' disse 24.178.3 o se sarà poi falso come e' suole. 24.178.4 Tanto è che Antea, innanzi che partisse, 24.178.5 venne in Parigi e fece ciò che e' vuole, 24.178.6 e Carlo con sua man la benedisse 24.178.7 ed ognun fu della pace contento; 24.178.8 e détte alfin le sue bandiere al vento. 24.179.1 Io lascio Antea da Parigi partire 24.179.2 sì tosto (e par ch' io gli tolga di fama), 24.179.3 ché mi bisogna un' altra tela ordire 24.179.4 tanto sottil che par grossa la trama: 24.179.5 ché, poi che Falseron si vuol partire, 24.179.6 a Siragozza altra tuba mi chiama; 24.179.7 come io dirò nell' altro afflitto canto, 24.179.8 dove fia pe' cristian sol doglia e pianto.
CANTO XXV
25.1.1 Insino a qui la tua destra, Signore, 25.1.2 assai mi fu, sanz' altro filo o ingegno, 25.1.3 a uscir d' ogni laberinto fore; 25.1.4 ma ora in parte tanto oscura vegno, 25.1.5 che convien che qui mostri il tuo splendore 25.1.6 il modo a colorir nostro disegno: 25.1.7 pertanto i tuoi cristian ti raccomando, 25.1.8 ma sopra tutto il tuo campione Orlando. 25.2.1 O Carlo, tu se' pur diliberato 25.2.2 di mandar con disdegno al tuo nimico 25.2.3 un traditor che t' ha sempre ingannato? 25.2.4 Non sai tu quanto possi un vizio antico 25.2.5 in un cor traditor sempre ostinato? 25.2.6 Tu pensi il re Marsilio fare amico: 25.2.7 la pace fia col sangue e con la lancia 25.2.8 e piangerà tutto il regno di Francia. 25.3.1 Falserone avea già chiesto licenzia, 25.3.2 e Ganellon con lui dovea partire, 25.3.3 e inginocchiossi alla magnificenzia 25.3.4 di Carlo e domandò s' altro vuol dire. 25.3.5 Carlo rispose: «Nella tua prudenzia 25.3.6 mi fido e so ch' io non posso perire; 25.3.7 tu sai il proverbio e puoi insegnare altrui: 25.3.8 commetti al savio e lascia fare a lui». 25.4.1 Abbraccia Orlando poi quel fraudolente 25.4.2 e, innanzi che la pace si conchiuda, 25.4.3 lo domandò, se gli avea a dir nïente, 25.4.4 che gli scrivessi; e trafelava e suda, 25.4.5 tante abbracciate fa viziatamente; 25.4.6 poi baciòe Ulivier come fe' Giuda 25.4.7 ed appiccossi come una mignatta, 25.4.8 e disse: «Questa sia per pace fatta». 25.5.1 Sorrise e disse fra sé il borgognone: 25.5.2 «O rabi, ave. Io so che tu ne menti». 25.5.3 Il duca Namo e 'l savio Salamone, 25.5.4 Ottone e gli altri parean mal contenti 25.5.5 ed ebbon sempre ferma oppinïone 25.5.6 che Gan pensassi a nuovi tradimenti, 25.5.7 ed avean detto il lor parere a Carlo, 25.5.8 che non dovessi a gnun modo mandarlo. 25.6.1 Ma benché questa andata ognun pur danni, 25.6.2 lo imperator non vi ponea l' orecchio, 25.6.3 che' quando egli è barbato per molti anni, 25.6.4 convien che molto possi un error vecchio, 25.6.5 e par di sé medesimo s' inganni 25.6.6 chi s' è sempre veduto in uno specchio. 25.6.7 Era il tempo venuto al tristo pianto 25.6.8 che Malagigi avea predetto tanto. 25.7.1 Pareva a Carlo a suo modo di pignere 25.7.2 un uom, com' era Gan, da queste pratiche, 25.7.3 da saper ben dissimulare e fignere 25.7.4 dove a trattar s' avea cose rematiche; 25.7.5 e 'l traditor si faceva sospignere 25.7.6 mostrando omai che gli pesi le natiche, 25.7.7 ch' era pur vecchio e molto cagionevole, 25.7.8 sì che la scusa parea ragionevole. 25.8.1 E dicea: «Manda il figliuol di Mellone 25.8.2 a trattar queste cose della Spagna, 25.8.3 ch' a lui più crederrà Marsilïone»; 25.8.4 e non dicea dove sta la magagna, 25.8.5 che questo tordo avea bianco il groppone, 25.8.6 da rimanere alla pania o la ragna, 25.8.7 cioè prigion da non lasciare in fretta; 25.8.8 e mostrògli più volte la civetta, 25.9.1 perché e' pensava: «Se costui vi resta, 25.9.2 Marsilio arà ciò che vuole a sua posta 25.9.3 sanza metter più lancia in su la resta, 25.9.4 e dirà a questa ch' ella è buona posta». 25.9.5 E cognosceva la spiga alla resta, 25.9.6 ché Falserone ha veduto alla posta 25.9.7 e le sue maliziette avea ben conte, 25.9.8 ché consigliava che v' andassi il conte, 25.10.1 dicendo a Carlo: «Il re Marsilio sa 25.10.2 ch' Orlando è mal contento, perché e' fu 25.10.3 colui che inver la Spagna acquistata ha 25.10.4 e morto Serpentino e Ferraù. 25.10.5 Io ti dirò la pura verità: 25.10.6 io il manderei sanza pensarvi più. 25.10.7 E basti io dico; io so tu intendi: mandalo, 25.10.8 ché potrebbe pur nascer qualche scandalo». 25.11.1 E nel partire avea detto a Orlando: 25.11.2 «Io so che il mio signor qualche giannetto 25.11.3 ti manderà in qua presto, perché quando 25.11.4 io mi parti' già me l' aveva detto». 25.11.5 Così di giorno in giorno cavalcando 25.11.6 sen va con Falseron quel maladetto 25.11.7 ed avea l' arco e l' archetto parato 25.11.8 ed aspettava d' esser domandato. 25.12.1 Domandò Falseron più volte come 25.12.2 e' s' intendea con Orlando e 'l marchese; 25.12.3 e quando e' crede averlo per le chiome, 25.12.4 la nebbia strinse e fummo e vento prese; 25.12.5 ch' a Siragozza vuol condur le some 25.12.6 Gano, e risponde «Messere, Albanese», 25.12.7 e salta pur di Bacchillone in Arno, 25.12.8 e il bacchillone è chi tentava indarno. 25.13.1 Intese Falseron, come discreto, 25.13.2 che Ganellon con Marsilio riserba 25.13.3 a scoprir della mente il suo segreto 25.13.4 e ruminava altro che fieno o erba, 25.13.5 sì che forse meglio era starsi cheto 25.13.6 perché e' vedeva ancor la sorba acerba, 25.13.7 ed avea d' Ulivier notato il motto 25.13.8 e 'l bacio dato come Scarïotto. 25.14.1 E scrisse al re Marsilio che veniva 25.14.2 imbasciatore il signor di Maganza, 25.14.3 che porterà la palma con l' uliva; 25.14.4 che l' onorassi più su che l' usanza, 25.14.5 ché forse i suoi pensier verranno a riva, 25.14.6 e insino a qui n' avea buona speranza, 25.14.7 se si mettessi diligenzia a questo; 25.14.8 ch' a bocca poi gli chioserebbe il testo. 25.15.1 Quando Marsilio intese come Gano 25.15.2 era mandato, come falsa rozza, 25.15.3 per onorarlo, ogni signor pagano 25.15.4 e tutta la sua corte insieme accozza. 25.15.5 Intanto, trapassando un colle, un piano, 25.15.6 s' appressa Ganellone a Siragozza, 25.15.7 sì che Marsilio si partì in persona 25.15.8 e ognuno seguitava la Corona. 25.16.1 Quindici miglia fuor della cittate 25.16.2 venne Marsilio incontra a Ganellone 25.16.3 con tutte le sue gente ammaestrate 25.16.4 che, giunti, ognuno smonti dell' arcione; 25.16.5 e molte ceremonie ebbe ordinate, 25.16.6 ed acconciossi in bocca Cicerone 25.16.7 e scese in terra come appresso è giunto. 25.16.8 Ma Ganellon sapea la soia appunto; 25.17.1 e disse: «Che vuoi tu, Marsilio, fare? 25.17.2 Non debbe al servo far per certo questo 25.17.3 il mio signor che mi dée comandare»; 25.17.4 e dismontato della sella presto, 25.17.5 si volle al re Marsilio inginocchiare, 25.17.6 se non che e' disse: «E' non sarebbe onesto, 25.17.7 sendo mandato dal tuo imperatore»; 25.17.8 ed abbracciârsi con sincero amore. 25.18.1 Tutti i baroni in terra inginocchiati 25.18.2 Ganellone abbraccioron con gran festa; 25.18.3 e poi che furon tutti rimontati, 25.18.4 si trasse il re Marsilio una sua vesta 25.18.5 dove eran certi falcon ricamati 25.18.6 e misse al conte Gano indosso questa 25.18.7 con le sue man con gran magnificenzia, 25.18.8 per dimostrar maggior benivolenzia. 25.19.1 Poi gli dicea pel cammin ragionando: 25.19.2 «Come sta Carlo? Che è del duca Namo? 25.19.3 Che d' Ulivier? Che del mio caro Orlando? 25.19.4 Ora ecco il nostro Gan qui, ch' io tanto amo; 25.19.5 ecco il tuo Bianciardino»; e cavalcando 25.19.6 avea sempre alla bocca o l' esca o l' amo. 25.19.7 E 'l traditor gli ride l' occhiolino 25.19.8 ed abbracciò più volte Bianciardino. 25.20.1 Ma poi che furon presso alla città, 25.20.2 l' alta regina e molte damigelle 25.20.3 incontra venne e grande onor gli fa 25.20.4 e saltan tutte della sella quelle. 25.20.5 E Ganellon dicea, ser Benlesà: 25.20.6 «Cadute in terra qua mi par le stelle 25.20.7 o le ninfe fuggite di Dïana». 25.20.8 Disse la dama: «Che è di Gallerana?». 25.21.1 Rispose il conte Gan: «Magna regina, 25.21.2 Gallerana m' impose una imbasciata: 25.21.3 che bench' ella sia fatta parigina 25.21.4 non ha la patria sua dimenticata 25.21.5 e forse assalteravvi una mattina 25.21.6 a Siragozza e non sarà aspettata, 25.21.7 ch' ogni uccello aborrisce al suo nimico 25.21.8 e riveder s' allegra il nidio antico. 25.22.1 E nel partir mi diè questo gioiello, 25.22.2 ma maggior cose disse arrecherebbe». 25.22.3 Rispose presto la reina a quello: 25.22.4 «Gallerana farà quel ch' ella debbe, 25.22.5 di riveder la patria e 'l suo fratello, 25.22.6 che so che poi contento si morrebbe; 25.22.7 e ciò che manda lei sia il ben venuto 25.22.8 e così quel da ch' io l' ho ricevuto». 25.23.1 Per Siragozza si facevan balli 25.23.2 e giochi e personaggi e fuochi e tresche, 25.23.3 e chi correva dinanzi i cavalli; 25.23.4 buffoni e scoccobrin fanno moresche, 25.23.5 e gettan da' balcon fior bianchi e gialli 25.23.6 le dame addosso alle gente francesche, 25.23.7 e tutti i moricin gridon per ciancia 25.23.8 «Mongioia!» e «Carlo!» e «San Dionigi!» e «Francia!». 25.24.1 E' pareva quel giorno veramente 25.24.2 che tornò Furio alla città degna alma, 25.24.3 ché correva a veder tutta la gente 25.24.4 e non mancò se non gittar la palma. 25.24.5 Ma così tosto sarà ancor dolente 25.24.6 questa città ch' oggi parea sì in calma 25.24.7 e reputava il suo salvator Gano, 25.24.8 che dovessi portar la pace in mano. 25.25.1 Era il palagio del re Bianciardino 25.25.2 presso alla corte di Marsilïone: 25.25.3 il re con tutto il popol saracino 25.25.4 accompagnoron quivi Ganellone, 25.25.5 acciò che quel dïavol tentennino 25.25.6 tentassi Gan, ch' era la tentazione; 25.25.7 e così va furcifer con furcifero, 25.25.8 poi che il dïavol vuol tentar Lucifero. 25.26.1 L' altra mattina il consiglio adunato, 25.26.2 Marsilio fece una sedia parare 25.26.3 d' incontra a sé perché il sinistro lato 25.26.4 non si potessi dal destro notare, 25.26.5 e Gan con grande onor fu accompagnato 25.26.6 e tutto il popol veniva ascoltare 25.26.7 lo imbasciator che di Francia è venuto, 25.26.8 ch' ognun s' avea della pace creduto. 25.27.1 Posti a sedere il re Marsilio e Gano, 25.27.2 quivi era Falserone e Balugante, 25.27.3 e Bianciardino appresso, e Gallerano 25.27.4 e l' Arcaliffa ed alcun amirante. 25.27.5 Guardato un tratto il gran popol pagano, 25.27.6 quel traditor che le sa tutte quante 25.27.7 rivolse il viso al re Marsilïone, 25.27.8 poi cominciò la sua degna orazione: 25.28.1 «Quel vero Iddio che fece la natura 25.28.2 e détte prima alle angeliche squadre 25.28.3 la forma, il loco, il moto e la misura, 25.28.4 poi nel campo amascen fe' il nostro padre 25.28.5 che creato non fu ma creatura 25.28.6 (onde tutti dannòe la prima madre), 25.28.7 salvi e mantenga il bel vessillo e degno 25.28.8 del re Marsilio in grande stato e regno. 25.29.1 Del mio signor l' alta Corona e magna 25.29.2 mi manda a te, famoso saracino, 25.29.3 a far la pace e renderti la Spagna 25.29.4 come trattato fu con Bianciardino: 25.29.5 cioè sotto tua insegna si rimagna; 25.29.6 e giura a te per l' ossa di Pipino 25.29.7 che vuol che questa sia, poi che ti piace, 25.29.8 ultima, vera e intemerata pace. 25.30.1 Ma perché' saracin vengon da Sarra, 25.30.2 che non tenne la legge di Macone, 25.30.3 come la vostra Bibbia e nostra narra, 25.30.4 vuol che tu abbi la iuridizione, 25.30.5 cioè che tu comandi, imperi e garra; 25.30.6 ma che più oltre non sare' ragione 25.30.7 che chi è battezzato si sbattezzi, 25.30.8 acciò che Cristo non si scandelezzi. 25.31.1 E perché al conte Orlando fue promesso 25.31.2 di coronarlo di questo paese, 25.31.3 sappi ch' Orlando il primo m' ha commesso 25.31.4 e mostro il petto aperto e 'l cor palese, 25.31.5 che vuol che sia tutto tuo regno espresso; 25.31.6 e non guardar che giurassi al marchese 25.31.7 non menar la sua sposa Alda la bella 25.31.8 se già non fussi coronata quella. 25.32.1 Dunque, Marsilio, tu non hai perduto 25.32.2 d' avere il Maïnetto tuo allevato, 25.32.3 ché si ricorda ben, come è dovuto, 25.32.4 quanto in tua corte tu l' abbi onorato 25.32.5 e pentesi aver teco combattuto; 25.32.6 se non ch' e' dice: "Il tempo è pur passato 25.32.7 con fama insin che l' uno e l' altro è veglio", 25.32.8 ed ogni cosa reputa pel meglio. 25.33.1 Da ogni parte che tu vuoi, Marsilio, 25.33.2 ti proverrò che Carlo t' ama e stima, 25.33.3 perché molto conforme è il tuo aussilio, 25.33.4 e per l' altra ragion ch' io dissi prima, 25.33.5 quando tu l' allevasti come filio. 25.33.6 E se tu ti levassi troppo in cima 25.33.7 tra le guerre di Francia e della Spagna, 25.33.8 quando si perde e quando si guadagna; 25.34.1 ma sempre assai s' acquista d' ogni parte, 25.34.2 cioè che vi s' acquista esperïenzia: 25.34.3 Carlo ha ben letto nelle antiche carte 25.34.4 ed Alcuïn fatto ha la Sapïenzia 25.34.5 e lègge in ogni facultate ed arte. 25.34.6 Pertanto io fermerò questa sentenzia: 25.34.7 che non s' acquista sanza ostacul fama, 25.34.8 per che l' una virtù l' altra a sé chiama. 25.35.1 E però consigliava Scipïone 25.35.2 che si dovessi conservar Cartagine 25.35.3 acciò che Roma avessi oppugnazione 25.35.4 in terra e così in mar qualche voragine, 25.35.5 per non istare in ozio le persone, 25.35.6 se surgessi d' Anibal qualche imagine: 25.35.7 perché e' sapea ch' ogni virtù quel doma 25.35.8 e che doveva ancor far cader Roma. 25.36.1 Dico così che il tuo certame o gara 25.36.2 con Carlo l' uno e l' altro ha fatto degno, 25.36.3 ché combattendo e vivendo s' appara 25.36.4 e intanto onor s' acquista, gloria e regno: 25.36.5 però la tua grandezza gli fia cara, 25.36.6 poi che tutto rïesce al suo disegno. 25.36.7 Vera cosa è che pel regno di Francia 25.36.8 più sicura è la pace che la lancia. 25.37.1 E perché Falseron detto ci avea 25.37.2 come tu avevi già le gente armate 25.37.3 in punto, poi che sentisti d' Antea, 25.37.4 e la cagion che non furon mandate 25.37.5 fu ch' ognun già del Danese sapea; 25.37.6 Carlo ringrazia la tua maestate 25.37.7 ed offerisce a te, quando e' bisogna, 25.37.8 la Francia e la Brettagna e la Borgogna, 25.38.1 Inghilterra, la Fiandra e sua possanza, 25.38.2 i paladini e tutta la sua corte 25.38.3 e tutte le mie forze di Maganza 25.38.4 e in un corpo due anime consorte, 25.38.5 pace, lega, amicizia e fratellanza 25.38.6 che divider non possi altro che morte, 25.38.7 alter alterius onera portando; 25.38.8 e così confirmato ha il nostro Orlando». 25.39.1 Molte altre cose ancor Ganellon disse, 25.39.2 che fe' maravigliar chi intorno ascolta, 25.39.3 e replicò tutte le guerre o risse, 25.39.4 che Demostene parve a quella volta, 25.39.5 e donde, prima l' orrigin venisse; 25.39.6 tanto che fu questa orazion raccolta 25.39.7 e scritta e molto commendato quello, 25.39.8 ché gl' intinse la lingua nel cervello. 25.40.1 E tentò insin della fede Marsilio, 25.40.2 dicendo: «A te solo una cosa or manca, 25.40.3 per che l' anima tua ne va in essilio 25.40.4 giù nell' inferno dove è Malabranca: 25.40.5 ricognoscere il Padre vero e 'l Filio» 25.40.6 (guarda se potea poi ciurmare in panca!). 25.40.7 «Ché, se tu confessassi il ver Vangelo, 25.40.8 tu saresti felice al mondo e in Cielo». 25.41.1 Tutto faceva il traditor con arte, 25.41.2 ch' un certo santaficca parer vuole. 25.41.3 Marsilio, come e' venne a questa parte, 25.41.4 mostrò che l' avea tocco dove e' duole, 25.41.5 e disse: «Ognun si legga le sue carte»; 25.41.6 ché cognobbe di Gan ben le parole; 25.41.7 e fece la risposta egregia e magna 25.41.8 di Carlo e della pace e della Spagna. 25.42.1 Poi finse una sua certa novelletta: 25.42.2 «In una selva presso a Siragozza, 25.42.3 per quel ch' io udi' già dire in Tolletta 25.42.4 dove ogni nigromante si raccozza, 25.42.5 è una buca nello entrare stretta, 25.42.6 ma poi sotterra molto spazio ingozza, 25.42.7 dove stanno a guardar sei gran colonne 25.42.8 certi spirti gentil con varie gonne. 25.43.1 L' una colonna dicon che par d' oro, 25.43.2 l' altra d' argento, e poi rame, e poi ferro; 25.43.3 l' altra è di stagno tutto puro e soro, 25.43.4 e l' ultima di piombo, s' io non erro. 25.43.5 Io non credetti alcun tempo a costoro, 25.43.6 però che il ver con la ragion l' afferro; 25.43.7 sì che già molti vi mandai in effetto; 25.43.8 e ritornati, così m' hanno detto: 25.44.1 "Queste colonne son significate 25.44.2 per le sei fede, e quella d' oro è prima; 25.44.3 l' altre, secondo poi la qualitate, 25.44.4 di grado in grado più e men si stima: 25.44.5 quivi son le carattere segnate 25.44.6 di cui convien ch' ogni anima s' imprima 25.44.7 e la sua fede elegga in questo chiostro 25.44.8 prima che infusa sia nel corpo nostro. 25.45.1 Gli spiriti che guardan questo loco, 25.45.2 mentre l' anime passano, ognun priega; 25.45.3 elle sen vanno come uccello a giuoco, 25.45.4 volgonsi a quella ove il desio le piega, 25.45.5 perché ancor semplicette sanno poco, 25.45.6 ma pur libero arbitrio non si nega; 25.45.7 quella che abbraccion, poi la fede è loro: 25.45.8 beato a quel ch' abbracciato arà l' oro". 25.46.1 Io parlo per paraboli a chi intende, 25.46.2 ch' io so che tu se' pur quel Gano antico 25.46.3 a cui bianco per nero non si vende 25.46.4 e non si scambia il dattero col fico. 25.46.5 Ma sopra tutto un giusto amor raccende 25.46.6 di riveder sì caro e vero amico, 25.46.7 e ringrazio colui che t' ha mandato, 25.46.8 non so se Carlo o dal Cielo ordinato». 25.47.1 Poi che il parlar tra costor fu finito 25.47.2 e partito il gran popol saracino, 25.47.3 el conte Gan con gran corte n' è ito 25.47.4 al bel palazzo del re Bianciardino. 25.47.5 Marsilio fece un solenne convito 25.47.6 l' altra mattina ordinar nel giardino, 25.47.7 e Gan vi venne, e portò quella vesta 25.47.8 ch' e' gli donòe per far più allegra festa. 25.48.1 Ma drento nella mente sua lavora 25.48.2 un pensier ch' era amaro, oscuro e fosco, 25.48.3 e dicea: «Che farò? Pentomi io ancora? 25.48.4 Questo peccato, poi ch' io lo cognosco, 25.48.5 tanto è più grave; e già s' appressa l' ora». 25.48.6 Ma l' anima avea già beuto il tòsco: 25.48.7 e non isperi ignun con Dio concordia, 25.48.8 passato il segno di misericordia. 25.49.1 O sodalizio o maladetto loco 25.49.2 dove fu perpetrato tanto male! 25.49.3 Vennon quante vivande e feste e gioco 25.49.4 richiedeva il convito trïunfale, 25.49.5 e ciò ch' io ne dicessi sare' poco; 25.49.6 e 'l traditor crudele e micidiale, 25.49.7 benché tutto turbato è in suo segreto, 25.49.8 si dimostrava il dì più che mai lieto. 25.50.1 Avea da Falseron Marsilio inteso 25.50.2 ciò che Gan pel cammino aveva fatto 25.50.3 e che nel parlar suo poco ha compreso, 25.50.4 se non che tanto n' aveva ritratto 25.50.5 che gli pareva vederlo sospeso 25.50.6 e non mostrassi quel che drento è piatto 25.50.7 e che volessi a lui dir qualche cosa 25.50.8 ch' ancor nella sua mente era dubbiosa. 25.51.1 E Bianciardin, ch' era con Gan molto uso, 25.51.2 provato avea, per iscalzargli il dente, 25.51.3 tutti i suoi ferri e poi del tarabuso 25.51.4 l' artiglio e non avea fatto nïente; 25.51.5 sì che Marsilio restava confuso, 25.51.6 ché interpetrar nol potea facilmente, 25.51.7 e cognosceva che v' è macchia e dolo; 25.51.8 ed accordârsi che e' tentassi solo. 25.52.1 Dopo molti piacer, sollazzi e balli, 25.52.2 canti, giuochi, buffoni, come è usanza, 25.52.3 e corso cervi, alepardi e cavalli 25.52.4 per onorare il signor di Maganza, 25.52.5 Marsilio chiamò a sé certi vassalli, 25.52.6 perché s' aveva a ballare altra danza, 25.52.7 e finse che la festa omai rincresca 25.52.8 ed ordinò ch' ognun fuor del parco esca. 25.53.1 Rimasi soli Marsilione e Gano, 25.53.2 il re si volse con allegra fronte, 25.53.3 e disse: «Imbasciator», presa la mano, 25.53.4 «tu sai il proverbio: la mattina il monte 25.53.5 vicitare alle volte è grato e sano, 25.53.6 poi, verso sera, vicitar la fonte». 25.53.7 Era già vespro e più che mezzo il giorno, 25.53.8 e così inverso una fonte n' andorno. 25.54.1 Posti a sedere e ragguardato un poco, 25.54.2 laudò la fonte Gan, ch' assai gli piacque, 25.54.3 però che tutto è circundato il loco 25.54.4 di pomi e fresche e cristalline l' acque; 25.54.5 ma non poterno spegnere il gran foco 25.54.6 onde principio al gran peccato nacque. 25.54.7 Poi cominciò Marsilio come amico 25.54.8 a ragionar con Gan del tempo antico. 25.55.1 E cominciossi insino dal Mainetto 25.55.2 e come Gallerana amassi quello 25.55.3 mentre ch' egli era in corte giovinetto 25.55.4 molto pronto, leggiadro e savio e bello, 25.55.5 e come prima s' avvide nel petto 25.55.6 ardea di questi amanti Mongibello 25.55.7 e che per gentilezza tacer volse 25.55.8 di quel che in verità spesso gli dolse, 25.56.1 e che pensava d' aversi allevato, 25.56.2 non altrimenti che 'l suo Zambugeri, 25.56.3 un altro figlio di lui proprio nato, 25.56.4 perché lo tenne in corte volentieri 25.56.5 e molto fu alcun tempo onorato, 25.56.6 e che fatti gli avea mille piaceri; 25.56.7 poi gli volse la punta della lancia 25.56.8 come in mano ebbe lo scettro di Francia. 25.57.1 E disse poi delle guerre passate, 25.57.2 e quante ingiurie gli avea fatte Carlo 25.57.3 onestamente furon ricordate, 25.57.4 dicendo: «A sicurtà con teco parlo», 25.57.5 con parole pur destre accomodate 25.57.6 per mostrar come al cor gli rode un tarlo 25.57.7 a ricordarsi del tempo preterito 25.57.8 e che aveva da lui cattivo merito 25.58.1 e che gli aveva tre volte la Spagna 25.58.2 tolta e volea pur coronarne il conte, 25.58.3 e ricordava al signor di Magagna, 25.58.4 non di Maganza, tutte le sue onte; 25.58.5 che, per veder se Marsilio si lagna 25.58.6 da beffe, gli occhi affisòe nella fonte 25.58.7 e non guardava sé come Narciso, 25.58.8 ma gli atti e' gesti di Marsilio al viso. 25.59.1 E Marsilio anche, poi che vide attento 25.59.2 Gano in su questo, riprese speranza 25.59.3 e le vele adattòe secondo il vento 25.59.4 e mutò presto nuovo suono e danza 25.59.5 e mostrò che il valor suo non è spento, 25.59.6 che avea tesoro ancor molto e possanza, 25.59.7 e, come e' fussi Orlando un giorno morto, 25.59.8 che mosterrebbe a Carlo egli avea il torto. 25.60.1 Questo dicea come prudente quello, 25.60.2 per veder s' a la trappola guidarlo 25.60.3 volea quel traditor malvagio e fello, 25.60.4 ché poco poi si curava di Carlo; 25.60.5 ma come egli ebbe tocco quel zimbello, 25.60.6 non bisognò più Gano stuzzicarlo 25.60.7 né tirar sì che si spicchi la coda, 25.60.8 e il capo alzò pien di malizia e froda. 25.61.1 Questo ultimo parlar fu quella chiave 25.61.2 la qual con mille ingegni aperse il core 25.61.3 a Ganellon, tanto volse soave; 25.61.4 e sospiròe più volte, il traditore, 25.61.5 come chi cosa dir vuol dura e grave; 25.61.6 poi disse: «O savio, astuto tentatore 25.61.7 che mi costrigni a scoprir le mie colpe, 25.61.8 noi saren, veggo, in un sacco due volpe. 25.62.1 Tu vuoi che muoia Orlando (e così sia) 25.62.2 ed Ulivieri; e sai della guanciata 25.62.3 che mi diè in corte e della ingiuria mia 25.62.4 che nel core e nel volto è ancor segnata; 25.62.5 e Falseron credette per la via 25.62.6 avermi; e Bianciardin qua la ballata 25.62.7 più volte ha ribeccata, e 'l suo palagio 25.62.8 mi désti, ch' a tentar quello avessi agio; 25.63.1 e Falseron fe' in Francia l' abbracciate 25.63.2 col conte Orlando e del suo Ferraùe 25.63.3 furon tutte le ingiurie perdonate, 25.63.4 non so se con la lingua o col cor fue 25.63.5 (tutte le vostre astuzie ho ben notate), 25.63.6 e ritentò più d' una volta e due 25.63.7 se ti poteva in qua guidare Orlando; 25.63.8 però il venne co' baci sciloppando. 25.64.1 Ma perché formicon vecchio è di sorbo, 25.64.2 che non isbuca all' accetta o 'l martello, 25.64.3 tu potresti aspettar, Marsilio, il corbo, 25.64.4 che sai ch' egli è molto malvagio uccello, 25.64.5 ed ha con teco l' animo sì torbo, 25.64.6 ch' a Siragozza non verrebbe quello, 25.64.7 ché si tien della Spagna ingiurïato, 25.64.8 donde e' pensava d' esser coronato. 25.65.1 Ma s' io tel conducessi in Roncisvalle? 25.65.2 Io non ti chieggo, come Giuda, argento; 25.65.3 ma vuolsi queste cose ben pensalle 25.65.4 e misurar, non ch' una volta, cento, 25.65.5 ché questo è grave peso alle mie spalle. 25.65.6 Né vo' che sia chiamato tradimento, 25.65.7 ch' io porto d' Ulivier nel viso il segno 25.65.8 e licito ogni cosa è per isdegno». 25.66.1 Quando Marsilio intese Ganellone 25.66.2 che va su per la fatta a buon cammino, 25.66.3 parvegli tempo a metter l' artimone 25.66.4 e non calare or più il timon latino, 25.66.5 e va per Bianciardino e Falserone 25.66.6 per un uscio segreto del giardino 25.66.7 e ritornò dove il malvagio conte 25.66.8 Ganellone aspettava a quella fonte, 25.67.1 e replicò ciò ch' e' gli aveva detto, 25.67.2 però che a questi nulla era segreto, 25.67.3 e come e' gli avea aperto il core e 'l petto, 25.67.4 e molto ognun di lor si fece lieto. 25.67.5 O traditor ribaldo e maladetto 25.67.6 che non cura più Iddio né suo decreto! 25.67.7 E disse: «Tante te n' ho fatte omai, 25.67.8 Cristo, che questa mi perdonerai. 25.68.1 L' anima mia dove ella debbe gire, 25.68.2 credo che sia l' alloggiamento or preso 25.68.3 e non può la sentenzia preterire. 25.68.4 Ulivïer tante volte m' ha offeso, 25.68.5 ch' io non intendo viver né morire, 25.68.6 che merito per merito fia reso; 25.68.7 e s' io non porto questa ingiuria meco, 25.68.8 contento me ne vo nel mondo cieco». 25.69.1 Era Gan traditor di sua natura, 25.69.2 prescito più che Giuda Scarïotto; 25.69.3 ma non offenda ignun sanza paura 25.69.4 della vendetta e noti bene il motto 25.69.5 che per disperazion l' uom s' assicura 25.69.6 e dice: «Se il disegno fia pur rotto, 25.69.7 come fortuna alle volte ingarbuglia, 25.69.8 che fia? Mort' io, mort' una mosca in Puglia». 25.70.1 Il tradimento Gano ha disegnato: 25.70.2 ch' Orlando in Roncisvalle venir debbe 25.70.3 a ricevere un don che fia mandato, 25.70.4 il qual sempre tributo poi sarebbe, 25.70.5 e Carlo a Piè di Porto abbi aspettato 25.70.6 e che quivi la pace si farebbe, 25.70.7 dove Marsilio andar vuole in persona 25.70.8 e inginocchiarsi a sua santa Corona, 25.71.1 e che voleva insin baciarli il piede 25.71.2 e far con lui sincera e vera pace 25.71.3 e che se il Maïnetto suo rivede, 25.71.4 dirà qual Simïon: «Come a te piace, 25.71.5 l' anima mia omai, Signor, recede»; 25.71.6 e tutte cose che parran capace, 25.71.7 digeste, essaminate a parte a parte, 25.71.8 con mille scaltrimenti e con mille arte. 25.72.1 Orlando in Roncisvalle, come io dico, 25.72.2 per fare al re Marsilio compagnia, 25.72.3 che paressi deposto ogni odio antico, 25.72.4 e il tributo ricevere, il qual fia 25.72.5 le frutte amare di frate Alberico. 25.72.6 Ma mentre Ganellon questo dicìa, 25.72.7 cadde la sedia ove Marsilio siede 25.72.8 e la cagion non s' intendeva o vede. 25.73.1 Ma miracol non è quel che il Ciel vuole. 25.73.2 Poi appariron gran prodigi e segni: 25.73.3 e' si turbò in un tratto in aria il sole, 25.73.4 e' nugoli, che d' acqua eran già pregni, 25.73.5 cominciono a tonar come far suole 25.73.6 quando par Giove più crucciato sdegni, 25.73.7 e vento e furia e grandine e tempesta 25.73.8 subito apparve: o Iddio, gran cosa è questa! 25.74.1 E mentre spaventati eran costoro, 25.74.2 venne una folgor che cadde lor presso, 25.74.3 la qual percosse di cima uno alloro 25.74.4 ed abbruciollo e insino in terra è fesso. 25.74.5 O Febo, come hai tu que' be' crin d' oro 25.74.6 così lasciato fulminare adesso? 25.74.7 Dunque i suoi privilegi il lauro or perde, 25.74.8 che per ogni stagion suol parer verde? 25.75.1 Disse Marsilio: «O Macon, che fia questo? 25.75.2 ché certo esser non può sanza misterio. 25.75.3 O Bianciardino, io ti dirò il ver presto: 25.75.4 questo è cattivo augurio al nostro imperio». 25.75.5 Intanto venne un tremuoto rubesto 25.75.6 che scosse questo e quell' altro emisperio. 25.75.7 Falseron si turbò tutto nel volto 25.75.8 ed anche a Bianciardin non piacque molto, 25.76.1 ma per paura nessun non si mosse. 25.76.2 In questo mezzo sopra loro apparse 25.76.3 un vampo che parea di fuoco fosse, 25.76.4 e l' acque vidon traboccate e sparse 25.76.5 fuor della fonte, che parevon rosse, 25.76.6 e ciò che quelle toccorno, tutto arse 25.76.7 sì che dintorno abbruciò la gramigna, 25.76.8 ché l' acqua bolle e pareva sanguigna. 25.77.1 Era disopra alla fonte un carrubbio, 25.77.2 l' arbor, si dice, ove s' impiccò Giuda; 25.77.3 questo più ch' altro misse Gano in dubbio, 25.77.4 perché di sangue gocciolava e suda; 25.77.5 poi si seccòe in un punto i rami e 'l subbio, 25.77.6 sì che di foglie si spogliava e muda, 25.77.7 e cascò in capo a Ganellone un pome 25.77.8 che tutte quante gli arriccia le chiome. 25.78.1 Gli animal che nel parco eran rinchiusi 25.78.2 comincioron tra loro tutti a urlare, 25.78.3 poi si rivolson musi contra musi 25.78.4 e insieme comincioronsi a cozzare. 25.78.5 E così stetton gran pezzo confusi 25.78.6 Marsilio e gli altri le cose a mirare 25.78.7 e non sapeva ignun quel che si facci, 25.78.8 tanto l' ira del Ciel par che minacci. 25.79.1 Ma benché nel giardin le triste aguria 25.79.2 apparissin, di fuor non fu sentito 25.79.3 per la città né da' baroni in curia, 25.79.4 onde Marsilio è poi più sbigottito. 25.79.5 E poi che fu passata questa furia 25.79.6 e ognuno era attonito e smarrito, 25.79.7 cominciò Bianciardino a confortargli 25.79.8 ed a suo modo i segni a interpetrargli, 25.80.1 e mostrò con sua arte e sua dottrina 25.80.2 che questi segni appariti sì strani 25.80.3 denotavan l' incendio e la ruina 25.80.4 e 'l sangue che fia sparto de' cristiani. 25.80.5 Ma Ganellone altrimenti indovina 25.80.6 e ben cognobbe gli argumenti vani 25.80.7 e tutta quella notte insino al giorno 25.80.8 varie cose alla mente ebbe dintorno 25.81.1 e combatté col senso la ragione, 25.81.2 poi vinse sua natura maladetta. 25.81.3 L' altra mattina il re Marsilïone 25.81.4 mandò per tutti i savi di Tolletta, 25.81.5 come colui che è in gran confusïone, 25.81.6 che dovessino a lui venire in fretta; 25.81.7 e non si fida a Bianciardin di questo, 25.81.8 ché non s' accorda ben la chiosa e 'l testo. 25.82.1 A Siragozza vennon tutti quanti 25.82.2 a disputar sopra questa matera, 25.82.3 magi, astrolagi e molti nigromanti, 25.82.4 vaticini, aüruspi, che ve n' era 25.82.5 gran copia allora e famosi e prestanti. 25.82.6 Marsilio contò lor la cosa intera 25.82.7 e comandò che debbin dire a quello 25.82.8 il vero come a Nabucco Daniello. 25.83.1 Furono insieme adunque gl' indovini 25.83.2 e disson dopo molto disputare, 25.83.3 che si potea per Carlo e' paladini 25.83.4 il sangue e queste cose interpetrare, 25.83.5 come contra a Marsilio e' saracini, 25.83.6 e d' alcun caso poi particulare 25.83.7 ebbon tra loro diverse oppinione; 25.83.8 pur fecion tutti una conclusïone: 25.84.1 la folgor che l' alloro avea percosso 25.84.2 interpetrar si potea facilmente, 25.84.3 ché cesare o poeta e non uom grosso 25.84.4 si solea coronarne anticamente; 25.84.5 però sarebbe un imperio rimosso. 25.84.6 Poi disse un vecchio tra loro sapiente 25.84.7 che del carrubbio il caso era sì strano, 25.84.8 che lo lasciava interpetrare a Gano. 25.85.1 Questa parola a Gan détte terrore 25.85.2 più che non fece il fatto per se stesso: 25.85.3 non so se pur questo indovinatore 25.85.4 si disse a caso, come avviene spesso, 25.85.5 o cognosceva Gan per traditore. 25.85.6 Gan gli rispose: «Egli è più tuo interesso 25.85.7 che ogni cosa a Marsilio distingua, 25.85.8 che si vorrebbe cavarti la lingua». 25.86.1 Riprese il re Marsilio il nigromante 25.86.2 e détte a tutti alla fine licenzia; 25.86.3 ed accordârsi e' si traessi avante 25.86.4 il tradimento con gran diligenzia 25.86.5 e che si metta la gente affricante 25.86.6 in punto e tutta la lor gran potenzia, 25.86.7 e sopra tutto ognun di loro intese 25.86.8 che si partissi di Spagna il Danese. 25.87.1 Intanto Ganellone a Carlo scrisse 25.87.2 come egli aveva la pace ordinata 25.87.3 e bisognava che Orlando venisse 25.87.4 in Roncisvalle con la sua brigata, 25.87.5 e del tributo e d' ogni cosa disse 25.87.6 e replicò tutta la intemerata 25.87.7 e che venissi a Piè di Porto presto, 25.87.8 dove aspettar Marsilio pare onesto. 25.88.1 E disse: «Il re Marsilione ti manda 25.88.2 un don che sare' degno in cielo a Giove: 25.88.3 una ricca corona, una grillanda 25.88.4 con un carbonchio mai più visto altrove, 25.88.5 che riluce la notte d' ogni banda 25.88.6 quand' ella è bene oscura e quando e' piove; 25.88.7 ed oltra questo una ricca collana 25.88.8 di pietre prezïose a Gallerana; 25.89.1 mandagli un vel ch' è tutto lavorato 25.89.2 d' oro e di seta e drento al foco imbianca 25.89.3 e però salamandra è appellato 25.89.4 (dove alcuno scrittor forse qui manca); 25.89.5 un dente d' elefante smisurato 25.89.6 e di serpente un corno ed una branca, 25.89.7 due selvaggi leon fuor di misura, 25.89.8 ch' a ognun fanno a vederli paura; 25.90.1 pel parco ancor molti destri alepardi 25.90.2 che in pochi salti raggiungon le fere 25.90.3 e tigri e cefi e bissonti gagliardi 25.90.4 e coccodrilli e giraffe e pantere; 25.90.5 màndati tanti stambecchini e dardi, 25.90.6 turcassi ed archi di mille maniere, 25.90.7 brenuzi e cinti e molti cordovani, 25.90.8 falcon, girfalchi e ghezzi e cani alani. 25.91.1 E poi che fur caricati i cammelli 25.91.2 di ricche merce e d' ogni arnese vario, 25.91.3 bertucce e babbuïn per soprasselli, 25.91.4 v' aggiunse il re Marsilio un dromedario 25.91.5 il qual t' arrecherà tanti gioielli 25.91.6 che non avea tanto tesoro Dario, 25.91.7 e s' io il dicessi e' non sare' creduto: 25.91.8 e questo fia poi sempre il tuo tributo. 25.92.1 Màndati ancor due spiriti folletti, 25.92.2 Floro e Farès, e parlerai con loro 25.92.3 in uno specchio dove e' son constretti 25.92.4 e molte cose degne dirà Floro; 25.92.5 cento bianchi destrier, cento giannetti 25.92.6 con tutte le lor selle e briglie d' oro, 25.92.7 al conte Orlando e molte carovane 25.92.8 di drappi, arnesi e cose sorïane; 25.93.1 a Ulivieri una leggiadra vesta 25.93.2 la qual tutta di gemme è ricamata: 25.93.3 diecimila seraffi o più val questa. 25.93.4 E poi che fu la pace divulgata, 25.93.5 per Siragozza si fa fuochi e festa 25.93.6 e tutti i gran signor della Granata 25.93.7 vengono a corte a Marsilio adorarlo 25.93.8 e non si grida se non "Pace!" e "Carlo!". 25.94.1 Credo per grazia il Ciel m' ha riserbato 25.94.2 a tanto bene innanzi ch' io sia morto; 25.94.3 e parmi il luogo che s' è disegnato 25.94.4 di venire, a San Gianni Piè di Porto, 25.94.5 che sia proprio al bisogno accomodato. 25.94.6 Ma io sarò costà, credo, di corto; 25.94.7 intanto fa che la tua corte adorni 25.94.8 e che tu scriva al Danese che torni». 25.95.1 La lettera il messaggio appresentòe 25.95.2 a Carlo, e mai non si vide più lieto 25.95.3 e nel consiglio a tutti la mostròe 25.95.4 e chiama Ganellon savio e discreto. 25.95.5 Ma Namo già non se ne rallegròe, 25.95.6 e giudicava ognun nel suo segreto 25.95.7 che Ganellon gittassi il giacchio tondo 25.95.8 a questa volta e che toccassi fondo. 25.96.1 E perché Orlando andato era in Guascogna 25.96.2 e non voleva a Parigi più stare 25.96.3 ed avea seco il duca di Borgogna, 25.96.4 Carlo gli scrisse che dovessi andare 25.96.5 in Roncisvalle presto ove bisogna 25.96.6 il re Marsilio e 'l trebuto aspettare, 25.96.7 e che e' dovessi deporre ogni sdegno, 25.96.8 ché non gli mancherebbe stato e regno. 25.97.1 E mandògli la lettera che scrisse 25.97.2 Gano e giurava per la sua corona, 25.97.3 poi che son terminate l' aspre risse 25.97.4 ed Antea ritornata a Bambillona, 25.97.5 benché d' accordo di Francia partisse, 25.97.6 che gli voleva ritôrre in persona 25.97.7 e Bambillona e Persia e la Soria 25.97.8 e dar di tutto a lui la signoria, 25.98.1 ché poi ch' egli era il campion ver di Cristo, 25.98.2 volea che 'l suo Sepulcro lui guardassi, 25.98.3 che tolto aveva a' nimici di Cristo: 25.98.4 pertanto al tutto in Roncisvalle andassi 25.98.5 e perché tanto umilïossi Cristo, 25.98.6 a Marsilio ancor lui s' umilïassi 25.98.7 (vedi s' egli era all' usato pur cieco!) 25.98.8 e che menassi il conte Anselmo seco. 25.99.1 Questo è quel conte Anselmo che si dice 25.99.2 che in Roncisvalle fe' mirabil cose, 25.99.3 donde l' anima in Ciel n' andò felice: 25.99.4 Orlando in man la lettera gli pose. 25.99.5 Ulivier questa andata contraddice, 25.99.6 ma poi seguire Orlando si dispose, 25.99.7 perché pure era una volta cognato 25.99.8 e lungo tempo l' avea seguitato. 25.100.1 Or oltre in Roncisvalle Orlando va 25.100.2 per obbedir, come e' fe' sempre, Carlo. 25.100.3 Non so se Rafael con lui sarà: 25.100.4 credo che sì, ché non dovea lasciarlo, 25.100.5 forse che no; ma più tosto verrà 25.100.6 cogli altri in paradiso accompagnarlo, 25.100.7 dove l' anima giusta e benedetta 25.100.8 nella gloria de' màrtiri s' aspetta. 25.101.1 Rescrisse a Gan lo imperator ch' avea 25.101.2 ogni cosa ordinato e la partenzia 25.101.3 il tal dì di Parigi esser dovea 25.101.4 e commendava la sua diligenzia. 25.101.5 Or come il traditor questo intendea, 25.101.6 dal re Marsilio pigliava licenzia 25.101.7 e nel partire ordinava ogni cosa 25.101.8 acciò che a tempo fiorisca la rosa. 25.102.1 E reputava Gan tanto gagliardo 25.102.2 Orlando, che gli parve e' bisognassi 25.102.3 centomila pagan nel primo sguardo; 25.102.4 nella seconda schiera ne cacciassi 25.102.5 dugentomila e poi nel retroguardo 25.102.6 altrettanto di tutti non mancassi: 25.102.7 ché il terzo dì, se la battaglia dura, 25.102.8 ognuno arebbe d' Orlando paura. 25.103.1 E disse: «Intendi ben quel ch' io ti dico, 25.103.2 Marsilio: a questa parte abbi respetto, 25.103.3 però che fu fatato per antico 25.103.4 che il terzo dì nessun gli regge a petto 25.103.5 e so che prezza poco ogni nimico, 25.103.6 e Carlo molte volte me l' ha detto 25.103.7 che e' fu fatato insino in Aspramonte 25.103.8 al tempo d' Agolante e del re Almonte 25.104.1 e che con le sue man l' angiol Michele 25.104.2 gli cinse quella spada Durlindana 25.104.3 e fecel cavalier di Dio fedele 25.104.4 che difendessi la fede cristiana, 25.104.5 benché alcun dica, più dolce che mèle, 25.104.6 che fu san Giorgio e la fata Morgana; 25.104.7 ma credi qualche cosa sia di questo, 25.104.8 perché la pruova lo fa manifesto. 25.105.1 Orlando è uom che non are' paura 25.105.2 di Marte, se venisse con sua insegna, 25.105.3 e farà cose il dì sopra natura, 25.105.4 ch' animo cesarèo nel suo cor regna. 25.105.5 Ed anche ci bisogna aver qui cura 25.105.6 a Ulivier, ch' io credo con lui vegna, 25.105.7 ed arà seco forse il conte Anselmo, 25.105.8 che miglior cavalier non s' allaccia elmo. 25.106.1 Però secentomila combattenti 25.106.2 de' miglior della Spagna ti bisogna 25.106.3 e non sia ignun che consigli altrimenti, 25.106.4 ch' Orlando so ti farebbe vergogna. 25.106.5 Parmi da far certi provedimenti; 25.106.6 e non ti paia cosa che si sogna, 25.106.7 ché chi vuol quelle gente pigliar tosto 25.106.8 come le pecchie, gli pigli col mosto: 25.107.1 però si mandi innanzi caricati 25.107.2 di vino e vettovaglia assai cammelli, 25.107.3 ché come e' fìeno un poco riscaldati, 25.107.4 al primo assalto vinceranno quelli, 25.107.5 tanto che i primi pagan fìen tagliati; 25.107.6 poi torneranno di leoni agnelli; 25.107.7 pur la seconda schiera fia ancor rotta; 25.107.8 la terza, no: tu vincerai allotta. 25.108.1 Ma fa che in Roncisvalle sien per tempo, 25.108.2 prima che ignun la corazza s' affibbi, 25.108.3 ché non aràn così d' armarsi tempo 25.108.4 e sconteranno e datteri e zibibbi; 25.108.5 ché se le cose si faranno a tempo, 25.108.6 gli uomini son, sanz' arme, come nibbi: 25.108.7 salvo ch' Orlando e' paladin faranno 25.108.8 cose che scritte non si crederranno». 25.109.1 Poi disse Gano: «Una cosa ci resta: 25.109.2 Baldovin mio figliuol vi raccomando, 25.109.3 il qual verrà con la cristiana gesta, 25.109.4 però che vuol sempre esser con Orlando». 25.109.5 Disse Marsilio: «La mia sopravvesta 25.109.6 gli porta e di' così ch' io gliela mando 25.109.7 e vo' che sempre per mio amor la tenga 25.109.8 e che con questa in Roncisvalle venga». 25.110.1 Poi che fu ordinato il tradimento 25.110.2 e recato la Bibbia e l' Alcorano 25.110.3 e dato a tutti quanti il sacramento, 25.110.4 da Siragozza si partiva Gano. 25.110.5 Marsilio volea dargli oro ed argento, 25.110.6 ma Ganellon non vi porse la mano; 25.110.7 e fece un ben che sarà il primo e 'l sezzo, 25.110.8 che ricever non vuol di sangue prezzo. 25.111.1 E tanto ha cavalcato il traditore, 25.111.2 che in pochi giorni a Parigi arrivava, 25.111.3 e come e' giunse ove è lo imperatore, 25.111.4 Carlo l' abbraccia e quasi lacrimava 25.111.5 di tenerezza che gli venne al core, 25.111.6 e Gan poi questo e quell' altro abbracciava: 25.111.7 par che venga da far qualche santa opra, 25.111.8 e tutta quella corte va sozzopra. 25.112.1 Pensa lettor, che il traditor rassetti 25.112.2 tutte sue bagattelle e sue bugie 25.112.3 e mandragole e serpe e bossoletti 25.112.4 e polvere e cartocci e ciurmerie 25.112.5 mostrassi e tutti sciogliessi i sacchetti 25.112.6 e lo stagnon della trïaca aprie, 25.112.7 ma non mostròe (ch' e' l' ha nascoso e sallo) 25.112.8 l' arsenico, il nappello e il risagallo. 25.113.1 E poi con Gallerana cicalava 25.113.2 e disse come la reina Blanda 25.113.3 a Siragozza un giorno l' aspettava 25.113.4 e però molte cose non gli manda. 25.113.5 Poi Carlo tuttavia sollecitava 25.113.6 e sempre l' onor suo gli raccomanda 25.113.7 e che e' menassi la sua corte adorna, 25.113.8 e pure al fatto d' Orlando ritorna. 25.114.1 Carlo si studia che par che trafeli; 25.114.2 non dice come a Giuda: «Ad quid venisti?» 25.114.3 ché Ganellon gli ha portati i Vangeli 25.114.4 (e son proprio di man de' vangelisti!) 25.114.5 e non pensava a tanti amari feli 25.114.6 insin che gli fia detto un «Dirupisti: 25.114.7 morto è Orlando e la sua gente tutta 25.114.8 e la tua Francia bella omai distrutta». 25.115.1 Io avevo pensato abbrevïare 25.115.2 la storia e non sapevo che Rinaldo 25.115.3 in Roncisvalle potrebbe arrivare; 25.115.4 un angel poi da Ciel m' ha mostro Arnaldo, 25.115.5 che certo un aüttor degno mi pare, 25.115.6 e dice: «Aspetta, Luigi, sta saldo, 25.115.7 ché fia forse Rinaldo a tempo giunto»; 25.115.8 sì ch' io dirò come egli scrive appunto. 25.116.1 E so che andar diritto mi bisogna, 25.116.2 ch' io non ci mescolassi una bugia, 25.116.3 ché questa non è istoria da menzogna; 25.116.4 ché come io esco un passo della via, 25.116.5 chi gracchia, chi riprende e chi rampogna, 25.116.6 ognun poi mi rïesce la pazzia; 25.116.7 tanto che eletto ho solitaria vita, 25.116.8 ché la turba di questi è infinita. 25.117.1 La mia accademia un tempo o mia ginnasia 25.117.2 è stata volentier ne' miei boschetti; 25.117.3 e puossi ben veder l' Affrica e l' Asia; 25.117.4 vengon le ninfe con lor canestretti 25.117.5 e portanmi o narciso o colocasia; 25.117.6 e così fuggo mille urban dispetti, 25.117.7 sì ch' io non torno a' vostri arïopaghi, 25.117.8 gente pur sempre di mal dicer vaghi. 25.118.1 Poi che Malgigi vide Carlo Mano 25.118.2 che come un bufol drieto al suo disegno 25.118.3 si lasciava guidar pel naso a Gano, 25.118.4 si partì da Parigi per isdegno, 25.118.5 e fece l' arte usata a Montalbano 25.118.6 per saper dove, in qual paese o regno, 25.118.7 si ritrovava Rinaldo e' frategli, 25.118.8 ché lungo tempo non sapea di quegli. 25.119.1 Uno spirto chiamato è Astarotte, 25.119.2 molto savio, terribil, molto fero; 25.119.3 questo si sta giù nelle infernal grotte; 25.119.4 non è spirto folletto, egli è più nero. 25.119.5 Malgigi scongiurò quello una notte 25.119.6 e disse: «Dimmi di Rinaldo il vero, 25.119.7 poi ti dirò quel che mi par tu faccia: 25.119.8 ma non guardar con sì terribil faccia. 25.120.1 Se questo tu farai, io ti prometto 25.120.2 ch' a forza ma' più non ti chiamo o invoco 25.120.3 e d' ardere alla morte un mio libretto 25.120.4 che ti può sol costrigner d' ogni loco, 25.120.5 sì che poi più tu non sarai costretto». 25.120.6 Per che lo spirto, braveggiato un poco, 25.120.7 istava pure a vedere alla dura 25.120.8 se far potessi al maestro paura. 25.121.1 Ma poi che vide Malgigi crucciato, 25.121.2 che voleva mostrar l' anel dell' arte 25.121.3 e in qualche tomba l' arebbe cacciato, 25.121.4 volentier sotto si misse le carte, 25.121.5 e disse: «Ancor tu non hai comandato». 25.121.6 E Malagigi rispose: «In qual parte 25.121.7 si ritruovi Rinaldo e Ricciardetto 25.121.8 fa che tu dica e d' ogni loro effetto». 25.122.1 «Rinaldo le piramide a vedere 25.122.2 è andato d' Egitto», gli rispose 25.122.3 questo demòne; «e se tu vuoi sapere 25.122.4 tutti i suoi fatti, io t' ho a dir tante cose, 25.122.5 che 'l sonno so non potresti tenere». 25.122.6 Disse Malgigi: «Delle più famose 25.122.7 notizia voglio e però non t' incresca; 25.122.8 ma di' più forte acciò che 'l sonno m' esca». 25.123.1 «Rinaldo Fuligatto aveva seco», 25.123.2 disse Astaroth; «e insino a qui t' ho detto 25.123.3 quando altra volta ne parlai già teco. 25.123.4 Guicciardo suo, Alardo e Ricciardetto 25.123.5 vollon veder tutto il paese greco 25.123.6 e poi passar d' Elesponto lo stretto, 25.123.7 perché e' sapevon per antica fama 25.123.8 del monte eccelso che Olimpo si chiama. 25.124.1 E poi che furon tre giorni montati, 25.124.2 perché pure a salir si suda e spasima, 25.124.3 sendo in alto una notte addormentati, 25.124.4 uccise Fuligatto la fantasima: 25.124.5 credo ch' egli eran tanto affaticati, 25.124.6 che per l' affanno venissi questa asima, 25.124.7 che il sangue al cor per le vene s' accolse, 25.124.8 e così mal della impresa gli colse. 25.125.1 Rinaldo il seppellì come e' potea 25.125.2 e terminò pur di veder la cima: 25.125.3 vide che sotto le nugole avea, 25.125.4 e lettere gran tempo scritte prima 25.125.5 in su la rena scolpite leggea, 25.125.6 ché vento o pioggia non par che l' opprima. 25.125.7 Ma poi trovò, nello scendere il monte, 25.125.8 una strana chimera a una fonte. 25.126.1 Uccise questa, che fu maraviglia, 25.126.2 ché mai nessun più non v' era arrivato, 25.126.3 ch' affisar sol questo mostro le ciglia, 25.126.4 col guardo suo non l' avessi ammazzato. 25.126.5 Poi verso il Caïr rivolse la briglia, 25.126.6 poi vèr Domasco, ed al Giaffo arrivato 25.126.7 volle veder il sepulcro di Cristo» 25.126.8 (benché il dïavol non dicessi: «Cristo»; 25.127.1 disse: «il sepulcro del monte Calvario»). 25.127.2 «Poi lasciâr quivi ciascuno il destriere 25.127.3 e tolson chi cammel, chi dromedario, 25.127.4 e 'l monte Sinaì vollon vedere; 25.127.5 e perché il vento si misse contrario, 25.127.6 furno a pericol di non rimanere 25.127.7 tutti annegati in quel mar della rena 25.127.8 e con fatica lo passorno appena. 25.128.1 E sopra a Sinaì saliti e scesi 25.128.2 da quella parte ove il gran fiume corre, 25.128.3 vollon vedere anche molti paesi 25.128.4 e dove fu di Nembrotte la torre. 25.128.5 Poi ritornati e' lor destrier ripresi, 25.128.6 saliti prima al bel monte Taborre, 25.128.7 trascorson fino in India al prete Ianni 25.128.8 e combatteron là molti e molti anni, 25.129.1 tanto che sol v' era un signor rimaso 25.129.2 il qual non si voleva battezzare 25.129.3 e redurre alla fede di Tommaso. 25.129.4 Ma perché più non vollon soggiornare, 25.129.5 Rinaldo se n' andò verso l' occaso 25.129.6 e volle il grande Atlante superare 25.129.7 sanza curarsi o di fatica o gelo, 25.129.8 forse per tôrgli dalle spalle il cielo. 25.130.1 Poi vide i segni che Ercule già pose 25.130.2 acciò che i navicanti sieno accorti 25.130.3 di non passar più oltre, e molte cose 25.130.4 andò veggendo per tutti que' porti 25.130.5 e quanto ell' eran più maravigliose, 25.130.6 tanto pareva più che si conforti 25.130.7 e sopra tutto commendava Ulisse 25.130.8 che per veder nell' altro mondo gisse. 25.131.1 Or finalmente si tornò in Egitto 25.131.2 ed ha molte provincie battezzate. 25.131.3 Credo ch' egli abbi l' animo diritto 25.131.4 di non tornar mai più in Cristianitate; 25.131.5 e so che molte volte v' ha qua scritto 25.131.6 (ma non ci son le lettere arrivate) 25.131.7 che s' egli avessi seco avuto Orlando, 25.131.8 sarebbe mezzo il mondo a suo comando». 25.132.1 Già era Malagigi stato attento 25.132.2 tre ore o più che quel demòne ha detto, 25.132.3 e disse: «Non dir più, ch' i' m' addormento. 25.132.4 Chiamato t' ho sol per questo rispetto, 25.132.5 che tu vadi a Rinaldo in un momento 25.132.6 e che tu porti lui con Ricciardetto 25.132.7 in Runcisvalle dove aspetta Orlando, 25.132.8 e so che intendi io te gli raccomando». 25.133.1 Disse Astaroth: «E' non si fideranno». 25.133.2 Rispose Malagigi: «Entra in Baiardo: 25.133.3 Rinaldo e Ricciardetto vi sarranno. 25.133.4 Guicciardo non importa e così Alardo, 25.133.5 e inverso Montalban si torneranno. 25.133.6 Ma fa che a questo tu abbi riguardo, 25.133.7 che non rincresca a Rinaldo la via 25.133.8 e che in tre giorni in Roncisvalle sia. 25.134.1 Un' altra cosa ti bisogna dire, 25.134.2 ch' io son da un pensier tutto smarrito 25.134.3 e non posso la mente mia chiarire: 25.134.4 tu sai che Carlo di Francia è partito: 25.134.5 di questa andata che debbe seguire, 25.134.6 s' Orlando in Runcisvalle fia tradito, 25.134.7 e quel che fece il traditor di Gano 25.134.8 a Siragozza col gran re pagano». 25.135.1 Disse Astaroth: «A giudicare è scuro, 25.135.2 s' io non pensassi tutta questa notte; 25.135.3 e non sarebbe il giudicio sicuro, 25.135.4 ché le strade del Ciel son per noi rotte. 25.135.5 Noi veggiam come astrolagi il futuro, 25.135.6 come tra voi molte persone dotte, 25.135.7 che non camperebbe uomo né animale; 25.135.8 se non che corte abbiam tarpate l' ale. 25.136.1 Dir ti potrei del Testamento vecchio 25.136.2 e ciò che è stato per lo antecedente; 25.136.3 ma non viene ogni cosa al nostro orecchio, 25.136.4 perch' egli è solo un Primo onnipotente 25.136.5 dove sempre ogni cosa in uno specchio, 25.136.6 il futuro e 'l preterito, è presente: 25.136.7 Colui che tutto fe' sa il tutto solo, 25.136.8 e non sa ogni cosa il suo Figliuolo. 25.137.1 Però dir non ti posso, s' io non penso, 25.137.2 quel che debbe seguir di Carlo Mano. 25.137.3 Sappi che tutto questo aire è denso 25.137.4 di spirti, ognun con l' astrolabio in mano; 25.137.5 e 'l calcul tutto e 'l taccuïn remenso 25.137.6 minaccia il Ciel di qualche caso strano 25.137.7 e sangue e tradimento e guerra e storpio, 25.137.8 però che Marte angulare è in Scorpio; 25.138.1 e perché meglio intenda, in ascendente 25.138.2 si ritruova congiunto con Saturno, 25.138.3 nella revoluzion tanto potente 25.138.4 che non fu tanto alle guerre di Turno. 25.138.5 Questo dimostra occisione di gente 25.138.6 e quanti casi terribil mai furno 25.138.7 e mutazion di stati e di gran regni; 25.138.8 e non soglion mentir mai questi segni. 25.139.1 Non so s' a questi dì tu hai ben notate 25.139.2 quelle comete che sono apparite, 25.139.3 Veru e Dominus Àscone appellate, 25.139.4 che mostran tradimenti e guerre e lite 25.139.5 e morte di gran prìncipi e magnate; 25.139.6 ed anche queste mai non son mentite: 25.139.7 sì che a me par, per quel ch' io intendo e veggio, 25.139.8 che s' apparecchi quel ch' io dico e peggio. 25.140.1 Quel che Gan con Marsilio abbi trattato 25.140.2 non so, ch' io non v' avea la mente vòlta: 25.140.3 credo ch' e' sia quel ch' egli è sempre stato, 25.140.4 però questa fatica mi sia tolta; 25.140.5 e so ch' un seggio è per lui preparato, 25.140.6 e s' io ho la sua vita ben raccolta, 25.140.7 piangerà le sue colpe in sempiterno 25.140.8 tosto l' anima trista nello inferno». 25.141.1 Diceva Malagigi: «Tu m' hai detto 25.141.2 un punto che mi tien tutto confuso: 25.141.3 che il Figliuol tutto non sappi in effetto. 25.141.4 Io non intendo il tuo parlar qui chiuso». 25.141.5 Disse Astarotte: «Tu non hai ben letto 25.141.6 la Bibbia e parmi con essa poco uso: 25.141.7 che, interrogato del gran dì, il Figliuolo 25.141.8 disse che il Padre lo sapeva solo. 25.142.1 Or nota Malagigi se tu vuoi 25.142.2 ch' io dica pur la mia diffinizione, 25.142.3 e domanda i teolagi tuoi, poi: 25.142.4 voi dite: "in una essenzia tre persone", 25.142.5 ovvero "una sustanzia" (e così noi), 25.142.6 "un atto puro sanza admistïone"; 25.142.7 però che questo di necessitate 25.142.8 convien che sia Quel che tutti adorate: 25.143.1 un motor donde ogni moto deriva, 25.143.2 un ordin donde ogni ordin sia construtto, 25.143.3 una caüsa a tutte primitiva, 25.143.4 un poter donde ogni poter vien tutto, 25.143.5 un foco donde ogni splendor s' avviva, 25.143.6 un principio onde ogni principio è indutto, 25.143.7 un saper donde ogni sapere è dato, 25.143.8 un bene donde ogni bene è causato. 25.144.1 Questo è quel Padre e quel Monarca antico 25.144.2 c' ha fatto tutto e può tutto sapere 25.144.3 e non può preterir l' ordin ch' io dico, 25.144.4 ché 'l cielo e 'l mondo vedresti cadere. 25.144.5 Or s' io non son, com' io solea già, amico, 25.144.6 non posso in quello specchio più vedere 25.144.7 dove apparisce or forse i vostri guai, 25.144.8 benché il futuro io nol sapessi mai. 25.145.1 E se Lucifer l' avessi saputo, 25.145.2 e' non avea tanta presunzïone 25.145.3 e non sarebbe nel centro caduto 25.145.4 per voler la sua sede in Aquilone; 25.145.5 ma non aveva ogni cosa veduto, 25.145.6 onde e' seguì la nostra dannazione; 25.145.7 e perché il primo lui fu in questa pecca, 25.145.8 caduto è il primo lui nella Giudecca. 25.146.1 E non aremo invan tentati tanti, 25.146.2 che tutti son felicitati in Cielo, 25.146.3 se non che, come io dico, tutti quanti 25.146.4 agli occhi della mente abbiamo un velo; 25.146.5 e non arebbe il gran Santo de' Santi 25.146.6 Satàn, come voi dite nel Vangelo, 25.146.7 tentato e poi portato in sul pinnacolo 25.146.8 insin che pur cognobbe il suo miracolo. 25.147.1 E perché tutto fa perfettamente 25.147.2 e tutto ha circunscritto e terminato 25.147.3 e ciò che fece gli è sempre presente 25.147.4 perché e' fu con giustizia essaminato, 25.147.5 nota che mai questo Signor si pente; 25.147.6 e s' alcun dice che e' s' è rimutato, 25.147.7 dico che il falso qui pel ver si stima, 25.147.8 ché così era nell' ordine prima». 25.148.1 «Dimmi» rispose Malagigi «ancora, 25.148.2 ché tu mi par' qualche angelo discreto: 25.148.3 se quel primo Motor ch' ognuno adora 25.148.4 cognosceva il mal vostro in suo segreto 25.148.5 e vedeva presente il punto e l' ora, 25.148.6 e' par che e' sia qui ingiusto il suo decreto 25.148.7 e la sua carità qui non sarebbe, 25.148.8 perché creati e dannati v' arebbe 25.149.1 e presciti imperfetti e con peccati; 25.149.2 e tu di' ch' Egli è giusto e tanto pio, 25.149.3 e non c' è spazio a esservi emendati: 25.149.4 e' par che partigian si mostri Iddio 25.149.5 degli angioli che son lassù restati, 25.149.6 che cognobbon il ver dal falso e 'l rio 25.149.7 e se il fine era o tristo o salutifero 25.149.8 e non seguiron come voi Lucifero». 25.150.1 Crucciossi come un diavol Astaròth, 25.150.2 poi disse: «E' non amòe più Miccael 25.150.3 che Lucifer quel giusto Sabaòth 25.150.4 e non creò Cain peggior che Abel. 25.150.5 Se l' un superbo è poi più che Nembròth, 25.150.6 l' altro è tutto disforme a Gabriel 25.150.7 e non si pente e non esclama: "Osanna", 25.150.8 libero arbitrio l' uno e l' altro danna. 25.151.1 Questo fu quel che ci ha dannati tutti. 25.151.2 E lungo tempo per la sua clemenzia 25.151.3 ci comportòe per non ci far sì brutti, 25.151.4 insino al termin della penitenzia; 25.151.5 e non possiam più in grazia esser redutti, 25.151.6 ché giusta è data la nostra sentenzia, 25.151.7 e non ci tolse il preveder suo il tempo, 25.151.8 ché la grazia al ben far fu sempre a tempo. 25.152.1 Giusto è il Padre e 'l Figliuolo e giusto il Verbo 25.152.2 e fu con gran pietà la sua giustizia 25.152.3 e non fu men d' ingrato che superbo 25.152.4 il peccato di tutti e la malizia; 25.152.5 e non si pente il nostro animo acerbo, 25.152.6 però che ciò che dal volere inizia, 25.152.7 cognosciuto il ver prima, per se stesso, 25.152.8 non tentato d' alcun, mai fu dimesso. 25.153.1 Non cognobbe Adam vostro il suo peccato: 25.153.2 però dimessa fu questa fallenzia, 25.153.3 perché il serpente l' aveva tentato; 25.153.4 dispiacque sol la sua disobbedenzia: 25.153.5 però di paradiso fu cacciato 25.153.6 e riservato della penitenzia 25.153.7 la grazia e pace della sua discordia 25.153.8 e l' olio ancor della misericordia. 25.154.1 Ma la natura angelica corrotta 25.154.2 non può più ritornar perfetta e intera, 25.154.3 la qual peccò come natura dotta, 25.154.4 e per questa cagion poi si dispera. 25.154.5 Ché se quel Savio non rispose allotta, 25.154.6 quando Pilato domandò quel ch' era 25.154.7 la verità, fu ch' e' l' aveva appresso, 25.154.8 sì che questo ignorar gli fu dimesso; 25.155.1 se non che nel ben far perseverato 25.155.2 non ha costui quando le man s' imbianca. 25.155.3 E non sarebbe anche Giuda dannato, 25.155.4 che si penté; ma la speranza manca, 25.155.5 sanza la qual nessun mai fia salvato, 25.155.6 e 'l detto d' Origen non lo rifranca; 25.155.7 né sia chi l' altra oppinïon concluda: 25.155.8 in diebus illis salvabitur Iuda. 25.156.1 Dunque un Primo è nel Ciel, che tutto intese 25.156.2 da cui tutte le cose son create, 25.156.3 e creando e dannando non ci offese, 25.156.4 ma fe' tutto in iustizia e in veritate; 25.156.5 e 'l futuro e 'l preterito ha palese, 25.156.6 ché, come io dissi, è di necessitate 25.156.7 che tutto appaia a quel Motor davante, 25.156.8 da cui procede ogni virtù informante. 25.157.1 E poi che del mio mal pur la cagione, 25.157.2 come maestro, m' hai constretto io dica, 25.157.3 tu vorresti sapere or la ragione 25.157.4 per che E' durassi invan questa fatica, 25.157.5 poi che vedea la nostra dannazione: 25.157.6 sappi che segnata è questa rubrica 25.157.7 e riservata a quel Signor giocondo, 25.157.8 sì ch' io nol so; però non ti rispondo. 25.158.1 Né detto l' ho per metterti alcun dubbio, 25.158.2 ma perch' io veggo che la umana gente 25.158.3 di molti errori avvolge a questo subbio 25.158.4 e vuol saper, sanza saper nïente, 25.158.5 onde esca il Nil, non pur solo il Danubbio: 25.158.6 basta che tutto ha fatto giustamente 25.158.7 e giusto e vero è quel Signor di sopra, 25.158.8 come dice il salmista, in ciascuna opra. 25.159.1 E poeti e filosofi e morali 25.159.2 queste cose ch' io dico anche non sanno, 25.159.3 ma la prosunzïon vuol de' mortali 25.159.4 saper le gerarchie come elle stanno. 25.159.5 Io ero serafin de' principali 25.159.6 e non sapea quel che quaggiù detto hanno 25.159.7 Dïonisio e Gregorio, ch' ognun erra 25.159.8 a voler giudicare il Ciel di terra. 25.160.1 E sopra tutto a questo ti bisogna 25.160.2 non ti fidar di spiriti folletti, 25.160.3 ché non ti dicon mai se non menzogna 25.160.4 e metton nella mente assai sospetti 25.160.5 e farebbon più danno che vergogna; 25.160.6 e perché intenda, e' non vengon constretti 25.160.7 nell' acqua o nello specchio e in aria stanno 25.160.8 mostrando sempre falsitate e inganno. 25.161.1 Vannosi l' un con l' altro poi vantando 25.161.2 d' aver fatto parer quel che non sia: 25.161.3 chi si diletta ir gli uomini gabbando, 25.161.4 chi si diletta di filosofia, 25.161.5 chi venire i tesori rivelando, 25.161.6 chi del futuro dir qualche bugia; 25.161.7 sì ch' io t' ho letto un gentil mio quaderno, 25.161.8 ché gentilezza è bene anche in inferno». 25.162.1 «Or basti» disse Malagigi, «questo. 25.162.2 Dimmi al presente quel che fa Marsilio». 25.162.3 Disse Astaroth: «Io tel dirò e presto: 25.162.4 a Siragozza ha chiamato a concilio 25.162.5 il popol tutto e veggo manifesto 25.162.6 gran gente d' arme e di molto navilio 25.162.7 apparecchiarsi e lui nel volto lieto, 25.162.8 ma non dice a persona il suo secreto». 25.163.1 «Potresti tu ritrar qualche parola 25.163.2 di Falserone o del re Bianciardino?». 25.163.3 Disse Astaroth: «E' basta questa sola: 25.163.4 che qualche tradimento m' indovino». 25.163.5 «Or non più!», disse Malagigi. «Vola 25.163.6 e piglia inverso Rinaldo il cammino 25.163.7 e porta in Runcisvalle ov' io t' ho detto, 25.163.8 quanto più presto lui con Ricciardetto». 25.164.1 Disse il dïavol: «Ricciardetto ha seco, 25.164.2 per quel ch' io veggo, un leggiadro cavallo, 25.164.3 che gliel donòe lo imperator là greco, 25.164.4 e non vorrebbe a gnun modo lasciallo: 25.164.5 però se in groppa a Baiardo lui reco, 25.164.6 questo destrier non potre' seguitallo, 25.164.7 tanto che troppo ci terrebbe a tedio: 25.164.8 ma per servirti ho pensato il rimedio. 25.165.1 Io dirò per tua parte a Rubicante 25.165.2 che porti Ricciardetto, o a Farferello, 25.165.3 che tentano un signor là di Levante 25.165.4 perché e' voleva battezzarsi quello: 25.165.5 tu se' tanto famoso nigromante, 25.165.6 che sanza mostrar libro o altro anello, 25.165.7 per compiacerti, dello infernal chiostro 25.165.8 verrebbe Belzebù principe nostro». 25.166.1 Disse Malgigi: «S' e' non vien constretto, 25.166.2 potrebbe questo spirito ingannarmi 25.166.3 e gittare in un fiume Ricciardetto: 25.166.4 dimmi, Astarotte, s' io posso fidarmi». 25.166.5 Disse Astarotte: «Non aver sospetto: 25.166.6 non ti bisogna adoperare altre armi; 25.166.7 e nota una parola: che ignun saggio 25.166.8 non fa mai cosa a suo disavvantaggio. 25.167.1 Tu potresti cacciarlo in qualche tomba, 25.167.2 ma non bisogna, ché ti stima ed ama, 25.167.3 tanto il tuo nome giù fra noi rimbomba, 25.167.4 e vuolsi in ogni loco amici e fama». 25.167.5 Poi si partì, che parve d' una fromba 25.167.6 quando il sasso esce, che per l' aria esclama; 25.167.7 anzi folgore proprio par che fosse 25.167.8 e la terra tremò quando e' si mosse. 25.168.1 Or lasciam Astaroth andar per l' aria, 25.168.2 ché questa notte troverrà Rinaldo: 25.168.3 la nostra istoria è sì fiorita e varia, 25.168.4 ch' i' non posso in un luogo star mai saldo; 25.168.5 e non sia altra oppinïon contraria, 25.168.6 ché troppe belle cose dice Arnaldo, 25.168.7 e ciò ch' e' dice, il ver con man si tocca, 25.168.8 ch' una bugia mai non gli esce di bocca. 25.169.1 E ringrazio il mio car, non Angiolino, 25.169.2 sanza il qual molto laboravo invano, 25.169.3 più tosto un cherubino o serafino, 25.169.4 onore e gloria di Montepulciano, 25.169.5 che mi détte d' Arnaldo e d' Alcuïno 25.169.6 notizia e lume del mio Carlo Mano; 25.169.7 ch' io ero entrato in un oscuro bosco, 25.169.8 or la strada o 'l sentier del ver cognosco. 25.170.1 E bisognava che Rinaldo vegna, 25.170.2 se non che Carlo non avea rimedio; 25.170.3 ché, se non fussi sua potenzia degna 25.170.4 che molto tenne la battaglia a tedio, 25.170.5 Marsilio ne venìa con la sua insegna 25.170.6 e posto arebbe alla fine l' assedio 25.170.7 dove Carlo era, a San Gianni di Porto, 25.170.8 e forse Gan non sarebbe alfin morto. 25.171.1 Era il Danese di Spagna tornato, 25.171.2 e Berlinghieri, Astolfo e Sansonetto; 25.171.3 e Carlo a Piè di Porto hanno trovato 25.171.4 e molto di Marsilio avevon detto: 25.171.5 che Ganellone avea tanto onorato, 25.171.6 che e' parea lor da pigliarne sospetto, 25.171.7 e come e' fece nel parco il convito: 25.171.8 ognun dicea quel ch' egli avea sentito. 25.172.1 Carlo pure all' usato si credea; 25.172.2 il perché Astolfo e Berlinghier partissi 25.172.3 e Sansonetto, ch' ognun Gan vedea 25.172.4 sempre con Carlo che fa pissi pissi. 25.172.5 E 'l traditor, che la birba sapea, 25.172.6 volle con lor Baldovino anche gissi, 25.172.7 per orpellare e coprir le sue colpe: 25.172.8 guarda se questo fu tratto di volpe! 25.173.1 E nel partir sopra l' armi la vesta 25.173.2 gli misse, che Marsilio avea mandata, 25.173.3 dicendo: «Omai la tua divisa è questa, 25.173.4 tanto è degno colui che l' ha donata; 25.173.5 e vo' che tu la porti in guerra e in festa. 25.173.6 Saluta Orlando e tutta la brigata 25.173.7 e di' che facci al re Marsilio onore, 25.173.8 ché così piace al nostro imperatore». 25.174.1 In questo il re Marsilio ne venìa 25.174.2 con le sue gente per trovare Orlando 25.174.3 ed ognun si vantava per la via 25.174.4 d' uccidere il nimico, minacciando. 25.174.5 Diceva un certo Arlotto di Soria: 25.174.6 «La testa d' Ulivieri al tuo comando, 25.174.7 ché sai ben quanto m' è stato nimico, 25.174.8 ti porterò, Marsilio, come io il dico». 25.175.1 E Falseron volea cavare il core 25.175.2 al conte Orlando che il suo figlio uccise: 25.175.3 non si ricorda, in Francia, il traditore, 25.175.4 che l' abbracciòe più volte e pianse e rise. 25.175.5 Marsilïon, che disïava onore, 25.175.6 in questo modo le schiere divise 25.175.7 e ricordossi ben di mano in mano 25.175.8 di tutto l' ordin ch' avea dato Gano. 25.176.1 Però la prima schiera, centomila, 25.176.2 volle che fussi sotto Falserone 25.176.3 e missevi di satrapi una fila, 25.176.4 gente di pregio e d' alta condizione, 25.176.5 come colui che l' opera compila 25.176.6 sì come savio con gran discrezione; 25.176.7 fra gli altri un re di fama e gagliardia, 25.176.8 ch' io dissi appresso, Arlotto di Soria; 25.177.1 Turchion, Fidasso e Finadusto nero, 25.177.2 ch' era ben sette braccia per lunghezza 25.177.3 e porta un bastonaccio sodo e fiero, 25.177.4 il qual tanta arme quanto e' truova spezza: 25.177.5 non basta a questo il giorno un cimitero, 25.177.6 tanti n' uccide per la sua fierezza; 25.177.7 il re Malprimo e Malducco di Frasse 25.177.8 credo ch' ancora in questa schiera entrasse. 25.178.1 Dico ch' io credo di questo Malducco, 25.178.2 ché nella terza lo mette Turpino, 25.178.3 acciò che ignun non mi ponga al baucco, 25.178.4 che mi sia riprovato un bruscolino, 25.178.5 che il popol ne fa poi suo badalucco. 25.178.6 Ma nella schiera del re Bianciardino 25.178.7 dugentomila cavalier vi misse 25.178.8 Marsilio, avvegna che di più si disse. 25.179.1 Ed èvvi un re chiamato Chiarïello 25.179.2 di Portogallo e il re Margheritonne, 25.179.3 Balsamin, Fieramonte e il re Fiorello 25.179.4 e Buiaforte e il gran re Sirïonne 25.179.5 e tanti altri signori in un drappello, 25.179.6 che tanti mai non ne vide Ilïonne: 25.179.7 l' ultima schiera fu di Balugante, 25.179.8 col resto delle gente tutte quante. 25.180.1 Io chiamo qui Turpin mio testimonio: 25.180.2 trecentomila è questa schiera terza. 25.180.3 Quivi era l' Arcaliffa e 'l re Grandonio, 25.180.4 che portava un baston come una sferza 25.180.5 con certe palle, e pareva un demonio 25.180.6 nero, e con questo baston non ischerza; 25.180.7 e chi 'l vedeva sanza l' elmo in faccia 25.180.8 dicea: «Quel garre e bestemmia e minaccia». 25.181.1 Orlando in Runcisvalle era venuto 25.181.2 con la sua schiera usata anticamente 25.181.3 ed aspettava Marsilio e 'l tributo, 25.181.4 che verrà presto sì miseramente. 25.181.5 Il campo in ogni parte e sproveduto 25.181.6 e già per tutto era sparta la gente; 25.181.7 Orlando a spasso, per darsi diletto, 25.181.8 ispesso andava col suo Sansonetto. 25.182.1 E Sansonetto, figliuol del Soldano, 25.182.2 era del conte Orlando innamorato, 25.182.3 che per suo amore era fatto cristiano 25.182.4 allor che nella Mec fu arrivato 25.182.5 e sempre lo seguia per monte e piano, 25.182.6 tanto che spesso il Soldan fu ammirato. 25.182.7 Ma Ulivier pur mal contento stassi 25.182.8 e confortava il campo s' afforzassi. 25.183.1 Aveva il re Marsilio già mandato 25.183.2 molti cammelli innanzi e vettovaglia, 25.183.3 e Bianciardin con essi era arrivato 25.183.4 appunto il dì dinanzi alla battaglia 25.183.5 e molto aveva Orlando confortato 25.183.6 di pace e d' ogni cosa lo ragguaglia, 25.183.7 e che volessi il re Marsilio amico 25.183.8 e lasciar questa volta ogni odio antico. 25.184.1 Poi finse insino a Carlo dovere ire, 25.184.2 con certi scaltrimenti suo' malvagi; 25.184.3 e seppe al re Marsilio rïuscire, 25.184.4 per altra via tornato come i Magi, 25.184.5 e d' Orlando e del campo a referire 25.184.6 ch' alloggiato era con assai disagi 25.184.7 di guardie ascolte; e d' ogni cosa narra, 25.184.8 che non vi si vedea solo una sbarra. 25.185.1 Fece Marsilio una bella orazione 25.185.2 la notte a tutti, dove e' fecion alto, 25.185.3 e cominciò: «Laudato sia Macone, 25.185.4 che sempre quello invoco, onoro, essalto. 25.185.5 E' convien pur ch' io dica la cagione, 25.185.6 prima noi siam co' cristiani all' assalto, 25.185.7 per quel ch' io v' ho condotti in questo loco, 25.185.8 e vorrei molto dir, ma il tempo è poco. 25.186.1 Ognun sa quanto tempo combattuto 25.186.2 io ho con Carlo Magno e co' cristiani, 25.186.3 tanto che vecchio son fatto canuto 25.186.4 e tanto sangue sparto è de' pagani 25.186.5 e non ho con Orlando mai potuto 25.186.6 essere un tratto in su' campi alle mani, 25.186.7 ch' io sarei forse fuor d' un lungo affanno 25.186.8 che s' apparecchia, o con salute o danno. 25.187.1 Tre volte m' ha la Spagna rebellata, 25.187.2 come sapete, e parte d' Araona: 25.187.3 appena Siragozza m' è restata; 25.187.4 ed or pensava mettersi corona 25.187.5 di tutti i nostri regni e di Granata; 25.187.6 e in Runcisvalle si truova in persona 25.187.7 e Macon credo che dal Ciel lo mandi 25.187.8 e che la fede sua ci raccomandi. 25.188.1 Io mandai Bianciardin, poi Falserone 25.188.2 in Francia a Carlo a domandargli pace, 25.188.3 poi ch' io vidi la mia distruzïone; 25.188.4 ma so che al nostro Dio questo non piace; 25.188.5 e la risposta fu per Ganellone, 25.188.6 come sapete, superba ed audace: 25.188.7 che non volea che torni al paganesimo 25.188.8 la Spagna o sbattezzar chi avea battesimo. 25.189.1 Cesare disse che se iusiurando, 25.189.2 cioè la fede che è data ed accetta, 25.189.3 romper si debba, lecito era quando 25.189.4 si fa per tener regno o per vendetta: 25.189.5 sì ch' io non curo di tradire Orlando; 25.189.6 e lecito fu ancor la vedovetta 25.189.7 per tradimento al lume di lanterne 25.189.8 riportarne la testa d' Oloferne. 25.190.1 Non so se ognun di voi s' ha bene inteso 25.190.2 del miracolo stato nella Mec: 25.190.3 questo è che il nostro Iddio si tiene offeso: 25.190.4 credo che fu di maggio, il primo alec, 25.190.5 ch' egli apparì nell' aria un vampo acceso 25.190.6 e fu sentito dir "Salamalec" 25.190.7 e l' arca santa di sangue sudare: 25.190.8 non so se questo gran segno vi pare. 25.191.1 Sì ch' io non veggo quel che far più deggio, 25.191.2 da poi che Macometto è in Ciel crucciato 25.191.3 tanto che sempre andiam di male in peggio 25.191.4 e non m' è tanto di spazio restato 25.191.5 ch' io possi appena più locarvi il seggio 25.191.6 ch' era pur già sopra ogn' altro onorato, 25.191.7 e so che presto verrà in nelle mani, 25.191.8 e l' arca e quel, de' ribaldi cristiani. 25.192.1 Io v' ho per tanti paesi menati, 25.192.2 per tanti error, tante fatiche, affanni: 25.192.3 tutti siàn per morir nel mondo nati: 25.192.4 venite ad onorar questi ultimi anni: 25.192.5 voi sarete nel Ciel ben ristorati; 25.192.6 ben si ricorda de' suoi mussurmanni 25.192.7 Macone e serba a chi fia suo fedele 25.192.8 le fonte e' fiumi di latte e di mèle. 25.193.1 Però, militi miei, se voi sarete 25.193.2 quel ch' io v' ho lungo tempo cognosciuti, 25.193.3 questo è quel dì che voi vittoria arete; 25.193.4 Orlando, sanguinosi i suoi tributi 25.193.5 ch' aspetta in Runcisvalle, voi il sapete, 25.193.6 come se schiavi ci avessi venduti. 25.193.7 Ma se ancor taglian pur le nostre spade, 25.193.8 noi piglierem tutta Cristianitade. 25.194.1 Noi piglierem la Francia e la Borgogna, 25.194.2 Inghilterra, la Fiandra e la Brettagna, 25.194.3 la Normandia, Navarra e la Guascogna, 25.194.4 la Piccardia, Provenza e poi Lamagna; 25.194.5 e basta solo a me quel che bisogna: 25.194.6 conservar la mia sedia antica e magna; 25.194.7 il resto, imperii e regni, si sia vostro, 25.194.8 ché sanza voi son nulla e tutto è nostro. 25.195.1 E manderò poi Bianciardino a Roma 25.195.2 al gran papasso a comandar ch' e' vegna 25.195.3 a Siragozza a pena della chioma; 25.195.4 se non, ch' io volgerò là la mia insegna 25.195.5 e in su l' altar che di Pietro si noma, 25.195.6 per mostrar più la mia grandezza degna 25.195.7 e come il ver profeta è Macometto, 25.195.8 mangeranno i cavalli a suo dispetto. 25.196.1 Pertanto ognun si metta l' elmo in testa, 25.196.2 la lancia in mano, e segua il suo stendardo. 25.196.3 Non so s' a ricordarvi altro mi resta; 25.196.4 penso che sì: ch' ognun abbi riguardo, 25.196.5 se voi vedessi la mia sopravvesta 25.196.6 che porta un giovinetto assai gagliardo: 25.196.7 fate che questo sia salvato solo, 25.196.8 però ch' egli è di Ganellon figliuolo». 25.197.1 Poi ch' egli ebbe finita l' orazione 25.197.2 e tutti i cavalieri ammaestrati, 25.197.3 rimontò a caval Marsilïone 25.197.4 e furon gli stendardi in alto dati. 25.197.5 E nella prima schiera è Falserone 25.197.6 con le sue gente, tutti bene armati, 25.197.7 e Belfagor avea, nello stendardo, 25.197.8 di color nero e il campo era leardo. 25.198.1 Nella seconda schiera è Bianciardino 25.198.2 ed occupava tutta una montagna, 25.198.3 però che molto popol saracino 25.198.4 avea con seco menato di Spagna; 25.198.5 e diguazzava il vento un Apollino 25.198.6 nella ricca bandiera azurra e magna; 25.198.7 questo Apollino offende più d' un testo 25.198.8 e dice alcun che Trevigante è questo. 25.199.1 La terza schiera guida Balugante 25.199.2 e pare un nuovo Marte in su l' arcione; 25.199.3 pensa che e' v' era più d' un amostante 25.199.4 però che in questa viene Marsilione; 25.199.5 e lo stendardo suo venìa davante, 25.199.6 dove era figurato il lor Macone 25.199.7 nel campo rosso con due ale d' oro. 25.199.8 E in questo modo si schierâr costoro. 25.200.1 Or mi convien lasciar Marsilio, il quale 25.200.2 inverso Roncisvalle s' è diritto, 25.200.3 perché Astarotte anche avea seco l' ale 25.200.4 e già Rinaldo ha trovato in Egitto, 25.200.5 ch' ancor bisogno non avea d' occhiale 25.200.6 e lesse ciò che Malagigi ha scritto; 25.200.7 poi domandò quel messaggier chi e' sia, 25.200.8 che così tosto ha spacciata la via. 25.201.1 E poi che l' ebbe da presso veduto, 25.201.2 perch' e' gli fece molto fiero sguardo, 25.201.3 sorrise e disse: «Tu sia il benvenuto»; 25.201.4 e poi chiamava Guicciardo ed Alardo 25.201.5 e domandò se l' avean cognosciuto. 25.201.6 Ma Farferel, che non v' ebbe riguardo, 25.201.7 apparì intanto in una forma oscura, 25.201.8 tanto che a tutti faceva paura. 25.202.1 Ricciardetto era a contemplar rimaso 25.202.2 una certa piramida, che avea 25.202.3 un cerchio d' oro, e nol fe' Chemi a caso, 25.202.4 ché tutto il corso del ciel vi vedea. 25.202.5 L' altra di Mucerin, di Armeo, d' Amaso 25.202.6 non così bella o degna gli parea; 25.202.7 forse la prima gli pareva brutta, 25.202.8 da quei dodici satrapi construtta. 25.203.1 Ma poi che tutto da Rinaldo intese, 25.203.2 pargli mill' anni di vedere Orlando, 25.203.3 e così tosto il partito si prese: 25.203.4 Guicciardo, Alardo ne vadin trottando 25.203.5 a Montalban per qualche altro paese; 25.203.6 e poi Rinaldo venìa domandando: 25.203.7 «Sarebbe, dimmi, Astarotte, possibile 25.203.8 che pel cammin tu ci porti invisibile?». 25.204.1 Disse Astaroth: «E' fia per certo: aspetta 25.204.2 tanto ch' io mandi insino in Etïopia, 25.204.3 e porteratti uno spirto una erbetta 25.204.4 che può far questo, e non pure elitropia; 25.204.5 e basta sol ch' addosso te la metta, 25.204.6 ché così è la sua natura propia; 25.204.7 e dove manca ragione o scïenzia, 25.204.8 basta al savio veder la sperïenzia». 25.205.1 E poi si volse a un certo scudiere, 25.205.2 e disse: «Va per questa erba, Milusse». 25.205.3 Rinaldo guarda e non seppe vedere 25.205.4 con chi quel parli e paura gl' indusse. 25.205.5 Disse Astaroth: «Io intendo il tuo tacere: 25.205.6 non chiamerei se qualcun non ci fusse: 25.205.7 sappi ch' io ho mille demòn qui intorno, 25.205.8 che m' accompagnon di notte e di giorno». 25.206.1 Disse Rinaldo: «Adunque io son nel gagno 25.206.2 de' dïavoli! Orsù, qui siam: che fia?». 25.206.3 Disse Astaroth: «Ognun fia buon compagno 25.206.4 o buon briccon, tu il vedrai per la via; 25.206.5 ed ogni dì qualche convito magno 25.206.6 vedrai sempre e parata l' osteria 25.206.7 e chiederai tu stesso le vivande, 25.206.8 ch' io ti darò mangiare altro che ghiande. 25.207.1 Noi abbiam come voi principe e duce 25.207.2 giù nell' inferno e 'l primo è Belzebùe: 25.207.3 chi una cosa, chi altra conduce, 25.207.4 ognuno attende alle faccende sue; 25.207.5 ma tutto a Belzebù poi si riduce, 25.207.6 perché Lucifer religato fue 25.207.7 ultimo a tutti e nel centro più imo, 25.207.8 poi ch' egli 'ntese esser nel Ciel su primo. 25.208.1 E se vuoi pur che il ver presto ti dica, 25.208.2 non ti fidar di noi se non col pegno, 25.208.3 perché alla vostra natura è nimica 25.208.4 la nostra per invidia e per isdegno. 25.208.5 Tu mi dài di portar questa fatica: 25.208.6 io fui già serafin più di te degno; 25.208.7 or, per piacere al nostro Malagigi, 25.208.8 vedi ch' io fo di bastagio i servigi. 25.209.1 Ma perch' io so che tu farai macello 25.209.2 in Roncisvalle, volentier ti porto, 25.209.3 e così Ricciardetto Farferello, 25.209.4 ch' io vedrò certo molto popol morto 25.209.5 e correrà di sangue ogni ruscello; 25.209.6 ché sai ch' egli è de' miseri conforto 25.209.7 di veder come lor qualch' altro afflitto: 25.209.8 però ti traggo volentier d' Egitto». 25.210.1 Venne Milusse e portò l' erba seco 25.210.2 e déttela a Rinaldo in un sacchetto. 25.210.3 e disse: «Dagli Antipodi l' arreco». 25.210.4 Disse Astarotte: «Dàlla a Ricciardetto». 25.210.5 Rinaldo guarda e rimase alfin cieco, 25.210.6 e disse: «Il vero, Astarotte, m' hai detto; 25.210.7 pertanto andianne»; e saltò in su Baiardo, 25.210.8 che questa volta gli parrà gagliardo. 25.211.1 Quando Baiardo il dïavol sentiva, 25.211.2 perch' altra volta di questi alloggiòe, 25.211.3 intese ben come la cosa giva 25.211.4 e come un drago a soffiar cominciòe; 25.211.5 e così l' altro cavallo anitriva 25.211.6 e raspa e salta e 'l cammin suo pigliòe 25.211.7 con tanta furia, e così Astarotte, 25.211.8 che l' uno e l' altro non sente di gotte. 25.212.1 Lasciate le piramide, accadea 25.212.2 di Miride passar la gran palude; 25.212.3 per che Astaroth a Rinaldo dicea: 25.212.4 «Che vuoi ch' io facci?»; e Rinaldo conclude: 25.212.5 «Parmi tu salti»; e così si facea. 25.212.6 Ma Ricciardetto pur gli occhi si chiude 25.212.7 per non veder quanto il caval vadi alto: 25.212.8 tanto è che questa si spaccia in un salto. 25.213.1 Poi cavalcando e già per Libia entrato, 25.213.2 trovato ha il fiume ovver palude o lago 25.213.3 il qual Triton da Tritonia è chiamato; 25.213.4 e poi più oltre, lasciata Cartago, 25.213.5 a destra il fiume Bagrade ha trovato, 25.213.6 dove uccise il serpente Attilio, o 'l drago, 25.213.7 onde e' si dice ancor tante novelle 25.213.8 e come a Roma quel mandò la pelle. 25.214.1 Ma vogliàn noi che Rinaldo cavalchi 25.214.2 e non si facci però collezione, 25.214.3 benché la fretta del cammin c' incalchi? 25.214.4 Ben sai che no, ché non sare' ragione. 25.214.5 Disse Astaroth: «Orsù, qua tutti, scalchi! 25.214.6 Apparecchiate la nostra magione». 25.214.7 Disse Rinaldo: «E che il becco s' immolli! 25.214.8 E poi cantando ce n' andren satolli». 25.215.1 In questo in su 'n un prato è apparito 25.215.2 un padiglion che parea tutto d' oro, 25.215.3 ed ordinato subito un convito 25.215.4 (dunque da beffe non fanno costoro!), 25.215.5 le mense acconce e chi abbi servito, 25.215.6 e tanti camerier già intorno loro 25.215.7 con reverenzie ed abiti sì destri, 25.215.8 che parean tutti di nozze maestri: 25.216.1 chi butta alla lombarda il pannisello, 25.216.2 ed acqua lanfa è trovata alle mani. 25.216.3 Posti a sedere, ecco giunto un piattello 25.216.4 di beccafichi e di grassi ortolani. 25.216.5 Vedi che anticamente questo uccello 25.216.6 era e non pur ne' paesi toscani! 25.216.7 E perché qui non se ne crede altrove, 25.216.8 ambrosia o nèttar non s' invidia a Giove; 25.217.1 e come un dice: «Gli ortolan», di botto 25.217.2 par che si lievi in tanta boria Prato; 25.217.3 e però disse già il piovano Arlotto 25.217.4 ch' avea più volte in su questo pensato 25.217.5 perché e' sapeva e' v' è misterio sotto, 25.217.6 e finalmente or l' avia ritrovato: 25.217.7 cioè che Cristo a Maddalena apparve 25.217.8 in ortolan, che buon sozio gli parve. 25.218.1 Vennon tante vivande in un baleno, 25.218.2 che mai convito si fe' più solenne, 25.218.3 e d' ogni cosa si missono in seno: 25.218.4 e' vi fu insino a' pavon con le penne; 25.218.5 i cavalli hanno dell' orzo e del fieno. 25.218.6 Rinaldo quasi per le risa svenne, 25.218.7 e dice: «Questi mi paion miracoli! 25.218.8 Facciam qui sei, non che tre tabernacoli!». 25.219.1 E Ricciardetto diceva: «Fratello, 25.219.2 a me par che noi siàn bene alloggiati 25.219.3 da poi che c' è buon oste e buon piattello 25.219.4 e vernacce e razzesi dilicati». 25.219.5 Ed Astaroth è intorno e Farferello, 25.219.6 col grembiul come l' oste apparecchiati, 25.219.7 e dicean pur, così, piacevolmente: 25.219.8 «Messer, che dite? Màncavi nïente?». 25.220.1 Disse Rinaldo: «Qui sta: buon ostiere; 25.220.2 venghin poi le vivande dell' inferno, 25.220.3 ch' io avea voglia di mangiare e bere! 25.220.4 E so che, per un tratto io mi governo, 25.220.5 ch' io potrò cavalcare a mio piacere». 25.220.6 E finalmente buono scotto ferno. 25.220.7 Poi domandorno onde l' oste abbi avute 25.220.8 queste vivande che son lor venute. 25.221.1 Disse il dïavol: «Questa collezione 25.221.2 e le vivande che mangiate avete, 25.221.3 apparecchiava il re Marsilïone; 25.221.4 e giunti in Runcisvalle lo saprete, 25.221.5 ché i servi insieme ne fecion quistione. 25.221.6 E se del vostro imperator volete 25.221.7 ch' io facci qui venir lesso o arrosto, 25.221.8 comanda pur, ch' e' ci sarà tantosto». 25.222.1 «Andiam via presto pel nostro cammino», 25.222.2 dicea Rinaldo, «ché il desio mi sprona 25.222.3 di rivedere il mio gentil cugino. 25.222.4 Ogni cosa, Astaroth, è stata buona». 25.222.5 E mentre questo dice il paladino, 25.222.6 il padiglion non veggon né persona; 25.222.7 per la qual cosa a caval rimontorno. 25.222.8 ch' era passato più che mezzo il giorno. 25.223.1 E perché il fiume Bagrade è pur grande 25.223.2 e per la pioggia sette rami avea 25.223.3 fatti e per tutto il paese si spande, 25.223.4 con Ricciardetto Rinaldo dicea: 25.223.5 «Noi smaltirem qui forse le vivande», 25.223.6 però che il mar questo fiume parea. 25.223.7 «E' ci convien saltar, questo è l' effetto». 25.223.8 «Saltian pur tosto», dicea Ricciardetto. 25.224.1 Disse Rinaldo: «O mio gentil Baiardo, 25.224.2 tu non avesti ancor già mai vergogna: 25.224.3 or ti cognosco se sarai gagliardo. 25.224.4 O Astaroth, andar qui ci bisogna 25.224.5 di salto in salto come il leopardo, 25.224.6 che forse ancor fia scritto per menzogna». 25.224.7 Disse Astarotte: «Non temer, Rinaldo, 25.224.8 attienti in sulla sella e sta pur saldo». 25.225.1 Era Baiardo fier di sua natura, 25.225.2 e se non fusse anco Astaroth in quello, 25.225.3 saltato arebbe e non are' paura 25.225.4 a trattar l' aria come lieve uccello; 25.225.5 e cominciò quanto la terra è dura, 25.225.6 come gru per levarsi o altro uccello, 25.225.7 a trottar; poi si chiudea di gualoppo; 25.225.8 poi si levò, che non pareva zoppo. 25.226.1 Vedes' tu mai, lettor, di salto in salto 25.226.2 il pesce in mar per ischifare il gurro? 25.226.3 Così questo caval; ma va su alto, 25.226.4 da dir: «Fetonte più basso ebbe il curro»; 25.226.5 da creder, prima che torni allo smalto, 25.226.6 che tocchi l' aïr dove e' pare azurro. 25.226.7 Credo che Giuno ebbe paura e sdegno 25.226.8 e dubitassi del suo scettro o regno. 25.227.1 Passato il fiume Bagrade ch' io dico, 25.227.2 presso allo stretto son di Giubilterra, 25.227.3 dove pose i suoi segni il Greco antico, 25.227.4 Abila e Calpe; a dimostrar ch' egli erra, 25.227.5 non per iscogli o per vento nimico 25.227.6 ma perché il globo cala della terra, 25.227.7 chi va più oltre, e non truova poi fondo, 25.227.8 tanto che cade, giù nel basso mondo. 25.228.1 Rinaldo allor, ricognosciuto il loco, 25.228.2 perché altra volta l' aveva veduto, 25.228.3 dicea con Astarotte: «Dimmi un poco 25.228.4 a quel che questo segno ha proveduto». 25.228.5 Disse Astaroth: «Un error lungo e fioco 25.228.6 per molti secol non ben cognosciuto 25.228.7 fa che si dice "d' Ercul le colonne" 25.228.8 e che più là molti periti sonne. 25.229.1 Sappi che questa oppinïone è vana, 25.229.2 perché più oltre navicar si puote, 25.229.3 però che l' acqua in ogni parte è piana, 25.229.4 benché la terra abbi forma di ruote. 25.229.5 Era più grossa allor la gente umana, 25.229.6 tal che potrebbe arrossirne le gote 25.229.7 Ercule ancor d' aver posti que' segni, 25.229.8 perché più oltre passeranno i legni. 25.230.1 E puossi andar giù nell' altro emisperio, 25.230.2 però che al centro ogni cosa reprime, 25.230.3 sì che la terra per divin misterio 25.230.4 sospesa sta fra le stelle sublime; 25.230.5 e laggiù son città, castella e imperio; 25.230.6 ma nol cognobbon quelle gente prime. 25.230.7 Vedi che il sol di camminar s' affretta 25.230.8 dove io ti dico, ché laggiù s' aspetta; 25.231.1 e come un segno surge in orïente, 25.231.2 un altro cade con mirabile arte, 25.231.3 come si vede qua nell' occidente; 25.231.4 però che il ciel giustamente comparte. 25.231.5 Antipodi appellata è quella gente; 25.231.6 adora il sole e Iuppiter e Marte, 25.231.7 e piante ed animal come voi hanno 25.231.8 e spesso insieme gran battaglie fanno». 25.232.1 Disse Rinaldo: «Poi che a questo siamo, 25.232.2 dimmi, Astaroth, un' altra cosa ancora: 25.232.3 se questi son della stirpe d' Adamo; 25.232.4 e perché vane cose vi s' adora, 25.232.5 se si posson salvar qual noi possiamo». 25.232.6 Disse Astarotte: «Non tentar più, ora, 25.232.7 perché più oltre dichiarar non posso, 25.232.8 e par che tu domandi come uom grosso. 25.233.1 Dunque sarebbe partigiano stato 25.233.2 in questa parte il vostro Redentore, 25.233.3 che Adam per voi quassù fussi formato 25.233.4 e crucifisso Lui per vostro amore? 25.233.5 Sappi ch' ognun per la croce è salvato; 25.233.6 forse che il ver, dopo pur lungo errore, 25.233.7 adorerete tutti di concordia 25.233.8 e troverrete ognun misericordia. 25.234.1 Basta che sol la vostra fede è certa 25.234.2 e la Virgine è in Ciel glorificata; 25.234.3 ma nota che la porta è sempre aperta 25.234.4 e insino a quel gran dì non fia serrata 25.234.5 e chi farà col cor giusta l' offerta 25.234.6 sarà questa olocaüsta accettata, 25.234.7 ché molto piace al Ciel la obbedïenzia, 25.234.8 e timore, osservanzia e reverenzia. 25.235.1 Mentre lor ceremonie e devozione 25.235.2 con timore osservorono i Romani, 25.235.3 benché Marte adorassino e Iunone 25.235.4 e Giuppiter e gli altri idoli vani, 25.235.5 piaceva al Cielo questa religione, 25.235.6 che discerne le bestie dagli umani; 25.235.7 tanto che sempre alcun tempo inalzorno, 25.235.8 e così pel contrario rovinorno. 25.236.1 Dico così che quella gente crede, 25.236.2 adorando i pianeti, adorar bene; 25.236.3 e la giustizia sai così concede 25.236.4 al buon remunerazio, al tristo pene: 25.236.5 sì che non debbe disperar merzede 25.236.6 chi rettamente la sua legge tiene: 25.236.7 la mente è quella che vi salva e danna, 25.236.8 se la troppa ignoranzia non v' inganna. 25.237.1 Nota ch' egli è certa ignoranzia ottusa 25.237.2 o crassa o pigra, accidïosa e trista, 25.237.3 che, la porta al veder tenendo chiusa, 25.237.4 ricevette invan l' anima e la vista: 25.237.5 però questa nel Ciel non truova scusa: 25.237.6 "Noluit intelligere" il salmista 25.237.7 dice d' alcun tanto ignorante e folle, 25.237.8 che per bene operar saper non volle. 25.238.1 Tanto è chi serverà ben la sua legge 25.238.2 potrebbe ancora aver redenzïone, 25.238.3 come de' Padri del Limbo si legge; 25.238.4 e che nulla non fe' sanza cagione 25.238.5 quel primo Padre ch' ogni cosa regge: 25.238.6 sì che il mondo non fe' sanza persone 25.238.7 dove tu vedi andar laggiù le stelle, 25.238.8 pianeti e segni e tante cose belle. 25.239.1 Non fu quello emisperio fatto a caso, 25.239.2 né il sol tanta fatica indarno dura 25.239.3 la notte, il dì, dall' uno all' altro occaso; 25.239.4 ché il sommo Giove non n' arebbe cura 25.239.5 se fussi colaggiù vòto rimaso. 25.239.6 E nota che l' angelica natura, 25.239.7 poi ch' a te piace di saper più a dentro, 25.239.8 da quella parte rovinòe nel centro. 25.240.1 Vera è la fede sola de' cristiani 25.240.2 e giusta legge e ben fondata e santa; 25.240.3 tutti i vostri dottor son giusti e piani, 25.240.4 e ciò che appunto la Scrittura canta; 25.240.5 e tutti i Giudei perfidi e i pagani, 25.240.6 se la grazia del Ciel qui non rammanta, 25.240.7 dannati sono e le lor legge tutte 25.240.8 dell' Alcoran de' matti e del Talmutte. 25.241.1 Vedi quanto gridato hanno i profeti 25.241.2 della Virgin, dell' alto Emanuello, 25.241.3 e da quel tempo in qua son tutti cheti 25.241.4 che il Verbo santo si congiunse a quello; 25.241.5 tante Sibille, insin vostri poeti 25.241.6 disson che il secol si dovea far bello: 25.241.7 leggi Eritrea, del signor nazzareno, 25.241.8 che dice insin che e' giacerà nel fieno. 25.242.1 E se la prava oppinione de' matti 25.242.2 aspetta altro Messia che il vostro ancora 25.242.3 e confessa i miracol ch' Egli ha fatti 25.242.4 e come E' disse a Lazzer: "Veni fora" 25.242.5 e muti e ciechi sanava ed attratti, 25.242.6 che negar non si può, certo ella ignora 25.242.7 che liberassi gli uomini e le donne 25.242.8 per la virtù del Tetragramatonne. 25.243.1 Ed altro argumentar non vi bisogna 25.243.2 contra a' Giudei, d' Eliseo o d' Elia: 25.243.3 che s' Egli avessi detto in ciò menzogna, 25.243.4 come Egli era mandato il ver Messia 25.243.5 dal Padre il qual sol veritate agogna 25.243.6 perché Egli è vita e verità e via, 25.243.7 potèsta non arebbe in quella vece 25.243.8 di far le cose mirabil che e' fece. 25.244.1 Io ho queste parole ritrattate, 25.244.2 ch' io dissi (e forse Malgigi m' appunta), 25.244.3 che molte cose non son rivelate 25.244.4 al Figliuol quanto alla natura assunta; 25.244.5 sì ch' io parlavo della umanitate; 25.244.6 ma la natura divina congiunta, 25.244.7 perch' ella è solo la somma sapienzia, 25.244.8 ogni cosa ab initio ha in sua presenzia». 25.245.1 Disse Rinaldo: «Orsù, troviam Orlando. 25.245.2 Poi, perché di' colaggiù si fa guerra, 25.245.3 io voglio andar que' paesi cercando 25.245.4 e passar questo mar dove Ercul erra, 25.245.5 ché vivere e morir vuolsi apparando. 25.245.6 Ma or passar ci convien Giubilterra. 25.245.7 Lasciami un poco smontar dell' arcione». 25.245.8 Poi scese e fe' questa breve orazione: 25.246.1 «Se tu se', Signor mio, deliberato 25.246.2 ch' io vadi in Runcisvalle, abbi merzé 25.246.3 di me, che son da' nimici portato 25.246.4 per soccorrere Orlando e la tua fé: 25.246.5 ricòrdati che il mare fu allargato, 25.246.6 per salvar la tua gente, a Moïsè; 25.246.7 spira in me quel ch' io per me non intendo: 25.246.8 in manus tuas me valde commendo». 25.247.1 Come Baiardo alla riva fu presso, 25.247.2 parve che tutto di fuoco sfavilli; 25.247.3 poi prese il salto ed in air si fu messo, 25.247.4 ma così alto non saltono i grilli; 25.247.5 e non è tempo di segnarsi adesso, 25.247.6 ché non piace al demòn nostri sigilli. 25.247.7 O potenzia del Ciel, poi ch' a te piacque, 25.247.8 maraviglia non fia saltar queste acque! 25.248.1 Ricciardetto ebbe paura e riprezzo, 25.248.2 perché tanto alto si vide di botto 25.248.3 che si trovò con Farferello al rezzo, 25.248.4 e dubitò, ché si vide il sol sotto 25.248.5 come s' e' fussi tra 'l cielo e lui in mezzo; 25.248.6 e ricordossi di Icaro del botto, 25.248.7 per confidarsi alle incerate penne; 25.248.8 e con fatica alla sella s' attenne. 25.249.1 Rinaldo arebbe voluto in quel salto 25.249.2 potere al sole aggiugnere alla chioma, 25.249.3 ma non potea, ché si truova più alto, 25.249.4 perché quel già sotto l' acque giù toma. 25.249.5 Baiardo, quando cascò in su lo smalto, 25.249.6 anche non parve la sua forza doma, 25.249.7 e poco cura il salto ch' egli ha fatto 25.249.8 e cadde in terra lieve come un gatto. 25.250.1 Diceva Ricciardetto a Farferello, 25.250.2 come e' giunse alla riva: «Io ti confesso 25.250.3 che questa volta io non son buon uccello, 25.250.4 però che il sol non mi parea più desso 25.250.5 quand' io mi vidi volar sopra a quello: 25.250.6 credo ch' io ero al Zodïaco appresso. 25.250.7 Troppo gran salto a questa volta fue: 25.250.8 io non mi vanterei di farne piùe». 25.251.1 Il caval si sentì di Ricciardetto 25.251.2 in un modo anitrir che par che rida, 25.251.3 ché quel dïavol ne prese diletto 25.251.4 delle parole, che colui si sfida; 25.251.5 e poi diceva: «Non aver sospetto, 25.251.6 o Ricciardetto, tu hai buona guida». 25.251.7 Dicea Rinaldo: «Facciàn questo patto, 25.251.8 che in Runcisvalle si salti in un tratto». 25.252.1 Rispose Ricciardetto: «Adagio un poco! 25.252.2 Volgi pur largo, Farferello, a' canti. 25.252.3 Tu non ti curi come vadi il giuoco; 25.252.4 o drento o fuor; poi te ne ridi e vanti. 25.252.5 Io sono ancor per la paura fioco 25.252.6 e sento i sensi tremar tutti quanti, 25.252.7 e parmi i panni in capo aver rovesci 25.252.8 e cader giù nell' acqua in bocca a' pesci». 25.253.1 Era la notte appunto cominciata 25.253.2 quando costoro hanno passato Calpe 25.253.3 e poi la Spagna Betica trovata, 25.253.4 e vanno attraversando i piani e l' alpe; 25.253.5 e così costeggiando la Granata 25.253.6 si ritruovano al buio come talpe; 25.253.7 e di dormir per certo avean bisogno, 25.253.8 ma non è tempo a caminare in sogno. 25.254.1 E capitorno al fiume detto Beti, 25.254.2 presso a Corduba antica, in un momento, 25.254.3 ove dicon gli storici e i poeti 25.254.4 nacque Avicenna e quel che il sentimento 25.254.5 intese d' Aristotile e i segreti, 25.254.6 Averroìs che fece il gran comento. 25.254.7 Ma questo all' uno ed all' altro cavallo 25.254.8 credo che fussi un saltellin da ballo. 25.255.1 Egli avevon disposto di saltare: 25.255.2 orsù; noi salteremo anche Guadiana, 25.255.3 un altro fiume che s' avea a passare, 25.255.4 che dagli antichi appellato fu Ana, 25.255.5 là dove Castulon posson mirare, 25.255.6 città famosa, in quel tempo pagana; 25.255.7 ed anche il Tago più oltre saltorno 25.255.8 presso a Tolletto al cominciar del giorno. 25.256.1 Che dirai tu, lettor, che un nigromante, 25.256.2 sendo in Tolletto, avea chiamato a caso 25.256.3 quello spirto ch' io dissi, Rubicante? 25.256.4 Il qual verso lo Egitto era rimaso 25.256.5 a tentar quel signore o amirante; 25.256.6 e sendo dal maestro persüaso 25.256.7 di saper quel che Marsilio facea, 25.256.8 molte cose di lui dette gli avea. 25.257.1 E mentre col maestro suo favella, 25.257.2 vede Rinaldo e vede Ricciardetto 25.257.3 che fuor della città passano in quella; 25.257.4 e perché e' sa di costoro ogni effetto, 25.257.5 disse: «Marsilio arà trista novella, 25.257.6 tanto ch' io ho del suo regno sospetto, 25.257.7 ché di qua passa, mentre io ti rispondo, 25.257.8 il miglior paladin ch' abbi oggi il mondo; 25.258.1 ed ha con seco un suo gentil fratello 25.258.2 che Ricciardetto per nome è chiamato, 25.258.3 e portagli Astaroth e Farferello, 25.258.4 ché così Malagigi ha ordinato. 25.258.5 Rinaldo, il paladin ch' i' dico, è quello, 25.258.6 che in Runcisvalle ne va difilato, 25.258.7 e farà de' pagan crudel governo, 25.258.8 sì che doman trïunferà lo 'nferno». 25.259.1 Questa città di Tolletto solea 25.259.2 tenere studio di nigromanzia: 25.259.3 quivi di magica arte si leggea 25.259.4 publicamente e di piromanzia, 25.259.5 e molti geomanti sempre avea 25.259.6 e sperimenti assai di idromanzia 25.259.7 e d' altre false oppinione di sciocchi, 25.259.8 come è fatture o spesso batter gli occhi. 25.260.1 Dicea quel nigromante: «Sai tu chiaro 25.260.2 che questo sia il signor di Montalbano? 25.260.3 Se così fusse, e' non ci fia riparo». 25.260.4 Disse lo spirto: «Egli attraversa il piano, 25.260.5 ché que' dïavol ne' cavalli entraro, 25.260.6 e van per bricche e d' ogni luogo strano 25.260.7 sempre attraverso e folgor par che sieno, 25.260.8 e domattina in Runcisvalle fìeno». 25.261.1 Disse il maestro: «Sai tu ignun rimedio 25.261.2 che si potessi impedire il cammino 25.261.3 in qualche modo, e di tenergli a tedio?». 25.261.4 Rispose Rubicante: «Io m' indovino 25.261.5 che presto aranno dalla sete assedio 25.261.6 i lor cavalli a un certo confino 25.261.7 dove bisogna attraversare un monte 25.261.8 sopra il qual nella cima è una fonte. 25.262.1 Credo che a questa si riposeranno 25.262.2 ed aràn voglia di mangiare e bere, 25.262.3 però che molto affannati saranno: 25.262.4 io posso adunque loro persuadere 25.262.5 di dar bere a' cavalli, e se beranno, 25.262.6 quasi a piè questi vedrai rimanere 25.262.7 e non saranno in Runcisvalle a tempo, 25.262.8 ché la battaglia fia doman per tempo: 25.263.1 perché quel santo che Galizia onora 25.263.2 arrivòe una volta a quella fonte 25.263.3 tutto affannato (come fìen questi ora), 25.263.4 e riposossi e lavossi la fronte; 25.263.5 onde un pastor, che nol cognosce e ignora, 25.263.6 che guardava le capre in su quel monte, 25.263.7 gli disse: "Peregrin, mal se' venuto 25.263.8 a questa fonte, se tu v' hai beuto. 25.264.1 Sappi che ognun che v' ha beuto mai, 25.264.2 subito par che spiritato sia: 25.264.3 però, se tu bevesti, in corpo l' hai". 25.264.4 Rispose il santo: "Per la fede mia, 25.264.5 che questa volta tu non t' apporrai, 25.264.6 perch' io farò che pel contrario fia 25.264.7 che quanti indemoniati qua beranno, 25.264.8 gli spiriti da dosso fuggiranno; 25.265.1 e però, bestia, ritorna nel gagno"; 25.265.2 e così doppia grazia render volle. 25.265.3 Io manderò là presto un mio compagno, 25.265.4 prima che sien montati in su quel colle, 25.265.5 Squarciaferro, uno spirito mascagno: 25.265.6 vedren se ignun di lor fia tanto folle 25.265.7 che e' creda a questo all' abito e la voce. 25.265.8 Tu sai il proverbio, che il tentar non nuoce». 25.266.1 Rispose il nigromante: «Or ferma il punto: 25.266.2 pensa ch' ognuno abbi la sua malizia: 25.266.3 questo Astarotte sa la birba appunto 25.266.4 della fonte e del santo di Galizia; 25.266.5 guarda che qui tu non resti poi giunto, 25.266.6 però che c' è de' cattivi dovizia; 25.266.7 grattugia con grattugia non guadagna: 25.266.8 altro cacio bisogna a tal lasagna!». 25.267.1 «Non so quel che Astaroth o Farferello», 25.267.2 rispose Rubicante, «facci o dica; 25.267.3 ma spesso par serrato un chiavistello, 25.267.4 il qual tu non tentasti per fatica, 25.267.5 che non era chiavato il buncinello; 25.267.6 e così, per non legger la rubrica, 25.267.7 la poca diligenzia paga il frodo; 25.267.8 perde il punto il sartor che non fa il nodo. 25.268.1 Solo una cosa contrappesa qui: 25.268.2 che se Rinaldo in Runcisvalle va, 25.268.3 molti pagan per lui morranno il dì, 25.268.4 sì che l' inferno in gran festa sarà, 25.268.5 però che verisimil par così; 25.268.6 ed Astaroth il suo conto farà, 25.268.7 che Belzebù non lo possi riprendere; 25.268.8 e so ch' egli ha del cattivo da vendere. 25.269.1 Ora io t' ho detto d' ogni cosa il vero: 25.269.2 lasciami andare alla faccenda mia, 25.269.3 ch' io non posso chiarirti il suo pensiero, 25.269.4 ma, sì o no, tutto in suo arbitrio fia. 25.269.5 Ecco qui in punto un gentil messaggiero. 25.269.6 Nota che il tempo fugge tuttavia». 25.269.7 Intanto Squarciaferro si dimostra 25.269.8 (per non tediar tanto la istoria nostra). 25.270.1 «Or oltre Squarciaferro, e' ti bisogna 25.270.2 adoperar qui tutte le tue arti», 25.270.3 disse il maestro, «e dir qualche menzogna. 25.270.4 Io posso in molti modi ristorarti. 25.270.5 So che tu sai quel che 'l mio core agogna; 25.270.6 non bisogna le cose replicarti, 25.270.7 se non ch' una parola sol ti dico: 25.270.8 ch' io ti sarò ancor forse buono amico». 25.271.1 Già era al monte Rinaldo salito, 25.271.2 e l' uno e l' altro cavallo affannato; 25.271.3 e 'l messaggiero è a tempo apparito 25.271.4 allato all' acque ed aresti giurato 25.271.5 che fusse un santo e devoto eremito, 25.271.6 con un baston, con un viso intagliato, 25.271.7 la barba, i paternostri, col mantello 25.271.8 di frate Lupo, ma parea d' agnello; 25.272.1 e stava allato alla fonte a sedere 25.272.2 e facea bao bao e pissi pissi 25.272.3 che par che venga da un Miserere 25.272.4 o che dal vespro di poco partissi; 25.272.5 e poi dicea: «Ben vegnate, messere! 25.272.6 Per carità vi ricordo non gissi 25.272.7 più oltre un passo a cavarvi la sete, 25.272.8 perché più acqua oggi non troverrete. 25.273.1 Questa è la migliore acqua che sia al mondo 25.273.2 e non fa male a bestie né persone; 25.273.3 questi cavalli ognun par sitibondo: 25.273.4 pigliate alquanto di refezïone»; 25.273.5 ed accostossi, frate Ciullo Biondo, 25.273.6 all' acqua, che parea la devozione, 25.273.7 e guazza quella come uno anitrino 25.273.8 e faceva a' cavalli il zufolino. 25.274.1 Or gusta qui, lettor, ben quel ch' io dico: 25.274.2 che sempre in ogni parte si vorrebbe 25.274.3 aver, giusta suo possa, ognuno amico, 25.274.4 ché nessun sa dove capitar debbe. 25.274.5 Parea questo eremito un uomo antico, 25.274.6 tal che Rinaldo creduto gli arebbe; 25.274.7 e più, ch' io credo Rinaldo credessi 25.274.8 che sol per santità colui il vedessi, 25.275.1 perch' egli era invisibil, come è detto; 25.275.2 pertanto, uditor mio, ti dico, nota 25.275.3 che Astarotte non era constretto 25.275.4 di scoprire a Rinaldo questa nuota; 25.275.5 e non sia ignun che si fidi in effetto, 25.275.6 quando egli è bene in colmo della ruota, 25.275.7 di non condursi a ogni cosa estrema 25.275.8 ed ognun prezzi e d' ogni cosa tema. 25.276.1 Ognun sa quasi sempre dove e' nasce, 25.276.2 ma nessun sa dove e' debbe morire. 25.276.3 Quanti son già felici morti in fasce, 25.276.4 pe' casi avversi che posson venire! 25.276.5 Quanti n' uccide la speranza e pasce! 25.276.6 Quanti gran legni si vede perire, 25.276.7 disse il Poeta, all' entrar della foce! 25.276.8 Benché foco né ferro a virtù nuoce. 25.277.1 Talvolta a discrezion d' un zolfanello 25.277.2 si ritruova in un bosco, e di poca esca; 25.277.3 e spesso un uom mendico e poverello 25.277.4 ti può salvar, pur che di te gl' incresca. 25.277.5 Potea dunque Astarotte come fello 25.277.6 lasciar Baiardo andar per l' acqua fresca; 25.277.7 ma perché e' gli era Rinaldo piaciuto, 25.277.8 l' ammaestrò che non abbi beuto; 25.278.1 e disse: «Posa, posa, Squarciaferro! 25.278.2 Non ti bisogna l' acque diguazzalle, 25.278.3 ché le tue maliziette sai non erro; 25.278.4 e Malagigi, perché tutte salle, 25.278.5 ti metterà la coda in qualche cerro. 25.278.6 Ma se tu vuoi venire in Runcisvalle, 25.278.7 vienne con meco e vedremo un bel fiocco; 25.278.8 o tu ritorna al tuo maestro sciocco, 25.279.1 e di' ch' io fui cattivo insin nel Cielo: 25.279.2 pensi quel ch' io son fatto negli abbissi! 25.279.3 e che m' avea molto tondo di pelo, 25.279.4 a creder che il suo inganno rïuscissi. 25.279.5 E tu credevi abbagliarmi col velo 25.279.6 e che Baiardo al tuo fischio venissi! 25.279.7 Tra furbo e furbo sai non si camuffa. 25.279.8 Vienne tu, dico, a veder questa zuffa». 25.280.1 Rinaldo quando intese il parlar, subito 25.280.2 si fermò col caval, turbato e presto, 25.280.3 ch' era presso alla fonte a men d' un cubito; 25.280.4 e disse: «Dimmi quel che vuol dir questo, 25.280.5 o Astaroth: a questa volta io dubito 25.280.6 e non intendo la chiosa né il testo; 25.280.7 e perch' io so che l' uno e l' altro io erro, 25.280.8 vorrei saper che cosa è Squarciaferro». 25.281.1 Disse Astaroth: «Or vuoi tu confessarti? 25.281.2 Sappi che questo è un romito santo 25.281.3 che veniva la sete a ricordarti, 25.281.4 come tu vedi; e quel devoto ammanto 25.281.5 non è fatto per man de' vostri sarti». 25.281.6 Rinaldo lo squadrava tutto quanto, 25.281.7 poi disse: «Frate, tu sei pur de' nostri. 25.281.8 Chi non ti crederebbe a' paternostri?». 25.282.1 E poi ch' egli ebbe ogni cosa saputo, 25.282.2 disse: «Astarotte, tu se' pure amico, 25.282.3 ed io ti son veramente tenuto, 25.282.4 e tanto in verità t' affermo e dico: 25.282.5 se mai per grazia sarà conceduto 25.282.6 che il Ciel rimuti il suo decreto antico, 25.282.7 sua legge, sua sentenzia o suo giudicio, 25.282.8 ricorderommi d' un tal benificio. 25.283.1 Altro certo offerir non ti posso ora: 25.283.2 l' anima, Chi la diè, credo sua fia; 25.283.3 il resto tutto sai convien che mora. 25.283.4 O sommo amore, o nuova cortesia!» 25.283.5 (Vedi che forse ognun si crede ancora 25.283.6 che questo verso del Petrarca sia, 25.283.7 ed è già tanto e' lo disse Rinaldo; 25.283.8 ma chi non ruba è chiamato rubaldo). 25.284.1 Disse Astaroth: «Il buon volere accetto; 25.284.2 per noi fìen sempre perdute le chiavi: 25.284.3 Maestà lesa, infinito è il defetto. 25.284.4 O felici cristian, voi par che lavi 25.284.5 una lacrima sol col pugno al petto, 25.284.6 e dir: "Signor, tibi soli peccavi!". 25.284.7 Noi peccamo una volta, e in sempiterno 25.284.8 religati siàn tutti nello inferno: 25.285.1 che pur se dopo un milïone e mille 25.285.2 di secol noi sperassin rivedere 25.285.3 di quello Amor le minime faville, 25.285.4 ancor sarebbe ogni peso leggiere. 25.285.5 Ma che bisogna far queste postille? 25.285.6 Se non si può, non si debbe volere; 25.285.7 ond' io ti prego che tu sia contento 25.285.8 che noi mutiamo altro ragionamento». 25.286.1 «Or oltre, padre santo! E' non bisogna», 25.286.2 disse Rinaldo, «arrossir però in volto». 25.286.3 Rispose Squarciaferro in la vergogna: 25.286.4 «Non t' accostar. Ma s' io t' avessi còlto!». 25.286.5 Disse Astaroth: «O Malagigi in gogna 25.286.6 ti metterà prima che passi molto, 25.286.7 o tutti in Runcisvalle insieme andremo; 25.286.8 poi nello inferno ci ritorneremo. 25.287.1 E so che vi sarà faccenda assai 25.287.2 per la virtù di questi paladini, 25.287.3 e come ghezzo staffier ne verrai 25.287.4 e fa che allato a Rinaldo cammini». 25.287.5 Rispose Squarciaferro: «Or lo vedrai»; 25.287.6 e poi in un tratto apparirono i crini 25.287.7 neri, arricciati, e gli occhi come fuoco, 25.287.8 e trasmutossi in ghezzo a poco a poco. 25.288.1 E poi rivolse a Rinaldo lo sguardo, 25.288.2 e disse: «Andianne, ch' io sono indïano 25.288.3 e non son più quel romito bugiardo: 25.288.4 la pace è fatta»; e toccògli la mano. 25.288.5 Allor Rinaldo moveva Baiardo, 25.288.6 e monti e balzi, ogni cosa era piano, 25.288.7 sì che di poco si mostrava il giorno, 25.288.8 che presso a Siragozza capitorno. 25.289.1 Rinaldo, quando vide Siragozza 25.289.2 e 'l fiume Iber, pargli una cosa strana 25.289.3 che così tosto la via fussi mozza, 25.289.4 e ricordossi pure di Luciana 25.289.5 (non so se questa volta parrà sozza), 25.289.6 e come e' giunse sopra alla fiumana, 25.289.7 disse: «Astarotte, poi che presso siamo, 25.289.8 io vo' per mezzo la terra passiamo 25.290.1 e squadrar le fortezze d' ogni banda: 25.290.2 però di questo mi contenterai; 25.290.3 e quel che facci or la reina Blanda 25.290.4 dimmi, ti priego, ch' ogni cosa sai». 25.290.5 Disse Astaroth: «In punto è la vivanda; 25.290.6 e se con essa desinar vorrai, 25.290.7 appiè della sua mensa ci porremo. 25.290.8 Non domandar se noi trïonferemo!». 25.291.1 «Or m' ha' tu il gorgozzul grattato e l' occhio», 25.291.2 disse Rinaldo, «ch' io veggo la fame; 25.291.3 e non è tempo a indugiarsi al finocchio: 25.291.4 noi ci staremo un poco con le dame 25.291.5 e gratteren col piè loro il ginocchio 25.291.6 ed udirem dir mille belle trame 25.291.7 di Runcisvalle e forse il tradimento». 25.291.8 Disse il dïavol: «Tu sarai contento». 25.292.1 E come e' furno in Siragozza entrati, 25.292.2 non vi si vede bestie né persone, 25.292.3 ché solo i moricini eron restati, 25.292.4 e non si truova un uom per testimone, 25.292.5 ché tutti alla battaglia sono andati 25.292.6 in Runcisvalle con Marsilïone. 25.292.7 Dunque al palagio in corte dismontorno; 25.292.8 la prima cosa e' destrier governorno; 25.293.1 e Farferello il famiglio facea 25.293.2 ed orzo e fien traboccava a' cavalli, 25.293.3 per che il maestro di stalla dicea: 25.293.4 «Chi è costui?», a certi suoi vassalli; 25.293.5 ognun risponde che nol cognoscea. 25.293.6 Ma Farferel due occhi rossi e gialli 25.293.7 gli strabuzzò, poi gli fece paura 25.293.8 con un baston che è di lunga misura; 25.294.1 e disse: «L' arcifànfan di Baldacco 25.294.2 è venuto madonna a vicitare. 25.294.3 Questo baston, se addosso te l' attacco, 25.294.4 ti farà d' altro linguaggio parlare»; 25.294.5 ed attendeva a dar dell' orzo a macco, 25.294.6 sì che e' faceva colui disperare; 25.294.7 e perché ignun non uscissi del guscio, 25.294.8 e' s' arrecava col bastone all' uscio. 25.295.1 Rinaldo e Ricciardetto in su la sala 25.295.2 ed Astaroth intanto è comparito; 25.295.3 vede che quivi si fa buona gala 25.295.4 e non è né veduto né sentito, 25.295.5 perché la turba dintorno cicala 25.295.6 e cominciava a bollire il convito; 25.295.7 e Lucïana ancor parea pur bella 25.295.8 (però che allato alla reina è quella). 25.296.1 Posonsi appiè della mensa a sedere. 25.296.2 Ecco un piattello: Astarotte lo ciuffa; 25.296.3 onde e' si volge a un altro scudiere 25.296.4 colui che il porta e con esso s' azzuffa. 25.296.5 Intanto la reina volea bere 25.296.6 mentre che sono in su questa baruffa, 25.296.7 e Ricciardetto s' accosta pian piano 25.296.8 e poi gli lieva la tazza di mano. 25.297.1 Rinaldo intanto attende a pettinarsi, 25.297.2 e d' ogni cosa che lo scalco manda 25.297.3 e' faceva la parte sua recarsi: 25.297.4 i servi a chi tolta era la vivanda 25.297.5 cominciavon tra lor tutti azzuffarsi; 25.297.6 e intanto grida la reina Blanda: 25.297.7 «Che cosa è questa? E dove è la mia tazza? 25.297.8 Voi mi parete qualche ciurma pazza». 25.298.1 Ognun con la reina facea scusa, 25.298.2 tanto che infine ella si maraviglia. 25.298.3 Rinaldo star non voleva alla musa, 25.298.4 e del tagliere di Luciana piglia, 25.298.5 e Lucïana pareva confusa 25.298.6 e in qua e in là rivolgeva le ciglia 25.298.7 e non sapeva fra sé che si dire, 25.298.8 che la vivanda vedeva sparire. 25.299.1 Egli era il dì dinanzi un lupo entrato 25.299.2 nella città per mezzo della turba, 25.299.3 e fu per mal augurio interpetrato, 25.299.4 ché non sanza cagion lupo si inurba; 25.299.5 e la reina la notte ha sognato 25.299.6 ch' un gran leon la sua casa conturba; 25.299.7 e non sapea che 'l leone era appresso, 25.299.8 cioè che quel di Rinaldo era desso; 25.300.1 sì che ell' aveva questo sogno detto, 25.300.2 e poi, veggendo questi effetti strani, 25.300.3 conturbato gli avien la mente e 'l petto, 25.300.4 dicendo: «Egli è mal segno pe' pagani; 25.300.5 e certo qualche spirito folletto, 25.300.6 da poi che son con Orlando alle mani, 25.300.7 annunzïar ci vien trista novella»; 25.300.8 e così tutta avviluppata è quella. 25.301.1 Isquarciaferro per piacevolezza 25.301.2 tra le gambe per sala s' attraversa 25.301.3 a questo e quello, onde e' cadeva e spezza 25.301.4 o vetro o vaso o qualche cosa versa; 25.301.5 e tutto la reina raccapezza 25.301.6 e dubitava d' ogni cosa avversa; 25.301.7 e così tutti i baron suoi dintorno 25.301.8 di queste cose si maravigliorno. 25.302.1 Rinaldo un pome che si chiama musa, 25.302.2 a un buffon, che gli pareva sciocco, 25.302.3 trasse e con esso la bocca gli ha chiusa; 25.302.4 onde e' si volge dintorno, lo ignocco, 25.302.5 e la reina e Lucïana accusa; 25.302.6 ma Ricciardetto gli détte un barnocco 25.302.7 nel capo, e come una pera è caduto; 25.302.8 ma ogni cosa guastò lo starnuto: 25.303.1 ché mentre scompigliato era il convito, 25.303.2 non si poté Ricciardetto tenere, 25.303.3 ch' un tratto, e due, e tre, ha starnutito; 25.303.4 e non potendo chi fusse vedere, 25.303.5 comunque questo romor fu sentito, 25.303.6 a furia ognun si lieva da sedere, 25.303.7 sì che in un punto si vòta la sala 25.303.8 e beato è chi ritruova la scala. 25.304.1 Rinaldo tempo gli parve accostarsi 25.304.2 a Lucïana che volea fuggire, 25.304.3 e fu tentato a costei palesarsi, 25.304.4 ma dubitò di non farla stupire. 25.304.5 Ella gridava e voleva levarsi, 25.304.6 ma non poté tanto destro partire 25.304.7 ch' e' gli appiccò due baci alla franciosa 25.304.8 ed ogni volta rimase la rosa. 25.305.1 Già erano i cavalli apparecchiati 25.305.2 e lo staffiere è ritornato ghezzo. 25.305.3 Rinaldo e Ricciardetto, rimontati, 25.305.4 si dipartiron, trastullati un pezzo, 25.305.5 e lascion color tutti spaventati, 25.305.6 che per fuggir non s' aspettava il sezzo, 25.305.7 e tutti quanti d' accordo diciéno 25.305.8 come il palagio di demòni è pieno. 25.306.1 Rinaldo pel cammin poi ragionando, 25.306.2 diceva: «Ancora è Lucïana bella. 25.306.3 O Astaroth, io mi ricordo quando, 25.306.4 giovane, un tratto innamorai di quella, 25.306.5 a Siragozza per caso arrivando: 25.306.6 questa fu alcun tempo la mia stella, 25.306.7 e venne insino in Persia a ritrovarmi 25.306.8 con Balugante e con gran gente d' armi; 25.307.1 ed arrecommi un padiglion sì bello 25.307.2 che sempre per suo amor l' ho riservato, 25.307.3 però che molto artificioso è quello: 25.307.4 il foco è d' una banda figurato; 25.307.5 dall' altra, l' aria con ciascuno uccello; 25.307.6 poi nella terra ogni animal notato; 25.307.7 nell' acqua, i pesci; ma qui déi comprendere 25.307.8 che il ver di tutti non si possi intendere». 25.308.1 Disse Astarotte: «Questo padiglione, 25.308.2 io il veggo come e' mi fusse presente, 25.308.3 però che al nostro veder non si oppone 25.308.4 o monti o mura: spirto è una mente 25.308.5 che vede ove e' rivolge sua intenzione: 25.308.6 tu hai cercato il Levante e 'l Ponente: 25.308.7 ora all' occhio mentale è conceduto 25.308.8 di riveder ciò che tu hai veduto. 25.309.1 Ma perché di' che tutti gli animali 25.309.2 vi si veggon dell' aria e della terra, 25.309.3 sappi che manca assai de' principali 25.309.4 di quei che l' emisperio vostro serra: 25.309.5 però fia buon rimettersi gli occhiali; 25.309.6 e perché vegga Astarotte non erra, 25.309.7 a Montalban nella tua zambra è quello 25.309.8 padiglion, certo, come detto hai, bello». 25.310.1 Disse Rinaldo: «Tu m' hai punto il core, 25.310.2 o Astarotte, con sì dolce ortica, 25.310.3 che se pur Lucïana prese errore 25.310.4 nel padiglione, io vo' che tu mel dica; 25.310.5 ed io v' aggiugnerò per lo suo amore, 25.310.6 ch' io sento ancor della mia fiamma antica; 25.310.7 e ragionar di qualche bella cosa 25.310.8 fa la via breve, piana e men sassosa». 25.311.1 Disse Astarotte: «La gran Libia mena 25.311.2 molti animali incogniti alle genti, 25.311.3 de' quali alcun si dice anfisibena, 25.311.4 e innanzi e indrieto van questi serpenti 25.311.5 che in mezzo di due capi hanno la schiena; 25.311.6 altri in bocca hanno tre filar di denti, 25.311.7 con volto d' uom, manticore appellati; 25.311.8 poi son pegàsi cornuti ed alati: 25.312.1 da questi è detto il fonte di Pegàso. 25.312.2 Un altro, il qual rinoceronte è detto, 25.312.3 offende con un corno ch' egli ha al naso, 25.312.4 perché molto ha l' elefante in dispetto, 25.312.5 e se con esso si riscontra a caso, 25.312.6 convien che l' un resti morto in effetto; 25.312.7 e callirafio il dosso ha maculato; 25.312.8 e crocuta è di lupo e di can nato. 25.313.1 Leucrocuta è un altro animale: 25.313.2 groppa ha di cervio, e collo e petto e coda 25.313.3 di leon tutto, e bocca da far male, 25.313.4 che fessa insino agli orecchi la snoda, 25.313.5 e contraffà la voce naturale 25.313.6 alcuna volta per malizia e froda; 25.313.7 ed assi un' altra fera è nominata, 25.313.8 molto crudel, di bianco indanaiata. 25.314.1 Ed un serpente è detto catoblepa, 25.314.2 che va col capo in terra e con la bocca 25.314.3 per sua pigrizia e par col corpo repa; 25.314.4 secca le biade e l' erba e ciò che tocca, 25.314.5 tal che col fiato il sasso scoppia e crepa, 25.314.6 tanto caldo velen da questo fiocca; 25.314.7 col guardo uccide periglioso e fello; 25.314.8 ma poi la donnoletta uccide quello. 25.315.1 Icneümone, poco animal noto, 25.315.2 con l' aspido combatte e l' armadura 25.315.3 prima si fa tuffandosi nel loto; 25.315.4 dormendo il coccodrillo, il tempo fura 25.315.5 e in corpo gli entra come in vaso vòto, 25.315.6 però ch' e' tiene aperta per natura 25.315.7 la bocca quando di sonno ha capriccio, 25.315.8 e lascia addormentarsi dallo scriccio. 25.316.1 Un' altra bestia che si chiama eale, 25.316.2 la coda ha d' elefante e nero e giallo 25.316.3 il dosso tutto e dente di cinghiale; 25.316.4 il resto è quasi forma di cavallo; 25.316.5 ed ha due corni, e non par naturale, 25.316.6 ché può qual vuole a sua posta piegallo, 25.316.7 come ogni fera talvolta dirizza 25.316.8 gli orecchi e piega per paura o stizza. 25.317.1 Ippotamo, animal molto discreto, 25.317.2 quasi cavallo o di mare o di fiume, 25.317.3 entra ne' campi per malizia a drieto; 25.317.4 e se di sangue soperchio presume, 25.317.5 cercando va dove fusse canneto 25.317.6 tagliato, e pugne, come è suo costume, 25.317.7 la vena e purga l' omor tristo allotta; 25.317.8 poi risalda con loto ov' ella è rotta. 25.318.1 E non ti paia oppinione qui folle 25.318.2 che da quel tratto è la flobotomia, 25.318.3 perché natura benigna ci volle 25.318.4 insegnar tutto per sua cortesia. 25.318.5 Non si passa di questo, se non molle, 25.318.6 il cuoio, tanto duro par che sia; 25.318.7 co' denti quasi di verro ferisce 25.318.8 e con la lingua forcuta anitrisce. 25.319.1 Leontofono è poco cognosciuto, 25.319.2 che del leone è pasto velenoso; 25.319.3 tragelafo è come becco barbuto; 25.319.4 toos, il qual non è sempre piloso, 25.319.5 la state è nudo e di verno velluto; 25.319.6 licaon è come lupo famoso; 25.319.7 altri animali appellati sono alci, 25.319.8 cavai silvestri, e traggon di gran calci. 25.320.1 Poi son bissonti, buoi silvestri ancora, 25.320.2 che nascon molto in Iscizia e in Germania, 25.320.3 ed un serpente che si chiama bora; 25.320.4 e macli è bestia, ch' a dir pare insania, 25.320.5 che con le giunte nïente lavora, 25.320.6 sì che dormendo rimane alla pania, 25.320.7 perché appoggiato a un alber s' accosta, 25.320.8 e chi quel taglia lo piglia a sua posta. 25.321.1 E cefi sono altri animali strani, 25.321.2 che nascon nelle parti d' Etïopia, 25.321.3 c' hanno le gambe di drieto e le mani 25.321.4 dinanzi, come forma umana propia: 25.321.5 questi vide ne' giuochi pompeani 25.321.6 prima già Roma e poi non n' ebbe copia. 25.321.7 E Gano a questi giorni a Carlo scrisse 25.321.8 e come falso di questi promisse. 25.322.1 Ed una fera tarando è chiamata, 25.322.2 la qual, dov' ella giace, il color piglia 25.322.3 di quella cosa che ella è circundata, 25.322.4 sì che a vederla la vista assottiglia; 25.322.5 un' altra ancora è salpiga appellata, 25.322.6 che nuoce assai sanza muover le ciglia; 25.322.7 e spettafico, arunduco e molti angue, 25.322.8 che pur Medusa non creò col sangue. 25.323.1 Poi son celidri, serpenti famosi, 25.323.2 e dipsa, emorroìs e caferaco, 25.323.3 saüre e prèster, tutti velenosi; 25.323.4 e non pur nota una spezie di draco, 25.323.5 ed animali incogniti e nascosi, 25.323.6 che stanno in mare e chi in padule o laco; 25.323.7 e molti nomi stran di basilischi 25.323.8 si truova ancor, con vari effetti e fischi; 25.324.1 dracopopode, armene e calcatrice, 25.324.2 irundo, alsordio, arache, altinanite, 25.324.3 centupede e cornude e rimatrice; 25.324.4 naderos molto è solitario, immite, 25.324.5 berus e boa e passer e natrice, 25.324.6 che Lucïana non avea sentite, 25.324.7 ed andrio edisimon ed arbatraffa; 25.324.8 e non si ricordò della giraffa. 25.325.1 E de li uccelli, ibìs, che par cicogna, 25.325.2 perché e' si pasce d' uova di serpente, 25.325.3 fassi il cristeo al tempo che bisogna 25.325.4 con l' acqua salsa, chi v' ha posto mente, 25.325.5 rivolto al culo il becco per zampogna: 25.325.6 che la natura sagace e prudente 25.325.7 intese medïante questo uccello 25.325.8 apparare poi i fisici da quello. 25.326.1 Agotile, appellato caprimulgo, 25.326.2 poppa le capre sì che il latte secca; 25.326.3 e chite, uccello ignorato dal vulgo, 25.326.4 la madre e 'l padre in senettute imbecca; 25.326.5 un altro è appellato cinamulgo, 25.326.6 del qual chi mangia, le dita si lecca: 25.326.7 e non ispari il ghiotto questo uccello, 25.326.8 perché di spezierie si pasce quello. 25.327.1 Meonide ancor son famosi uccelli 25.327.2 che fanno appena creder quel che è scritto, 25.327.3 però ch' ogni cinque anni vengon quelli 25.327.4 di Meon al sepulcro insin d' Egitto; 25.327.5 combatton quivi (o gran misteri e belli!), 25.327.6 mostrando pianto naturale afflitto, 25.327.7 come facessin l' essequie e 'l mortoro, 25.327.8 poi si ritornon nel paese loro. 25.328.1 Ed ardea quasi l' aghiron simiglia, 25.328.2 che fugge sopra i nugol la tempesta; 25.328.3 coredul, ciò che per ventura piglia, 25.328.4 del cor si pasce e l' avanzo si resta; 25.328.5 carita vola, e parrà maraviglia, 25.328.6 per mezzo il foco e non incende questa. 25.328.7 Né so se ancora uno uccel cognoscete, 25.328.8 nimico al corbo, appellato corete. 25.329.1 Ed uno uccel che di state si vede 25.329.2 dopo la pioggia, si chiama drïaca, 25.329.3 che la natura creò sanza piede; 25.329.4 ed atilon, che gridando s' indraca 25.329.5 drieto alla volpe, se l' asino vede, 25.329.6 amico il segue e con esso si placa; 25.329.7 bistarda è grave, e dir non ne bisogna, 25.329.8 ché, come vil, si pasce di carogna. 25.330.1 Non so se del caladrio udito hai dire, 25.330.2 il qual, posto all' infermo per obietto, 25.330.3 si volge a drieto se quel dée morire, 25.330.4 così al contrario pel contrario effetto; 25.330.5 ibor come caval s' ode anitrire; 25.330.6 luce licidia, un pulito ugelletto, 25.330.7 tanto che quasi carbonchio par sia, 25.330.8 sì che di notte dimostra la via. 25.331.1 Incendula, col gufo combattendo, 25.331.2 vince il dì lei e il gufo poi la notte. 25.331.3 Ma sopra tutto porfirio commendo, 25.331.4 un certo uccel che non teme di gotte; 25.331.5 che ciò che piglia lo mangia bevendo, 25.331.6 sì che e' vuol presso la madia e la botte; 25.331.7 l' un piè par d' oca, perché e' nuota spesso, 25.331.8 e l' altro con che e' mangia, è tutto fesso. 25.332.1 Or s' io volessi de' pesci contare 25.332.2 e tante forme diverse narralle, 25.332.3 sarebbe come in Puglia annumerare 25.332.4 le mosche, le zenzare e le farfalle. 25.332.5 Io veggo la battaglia apparecchiare, 25.332.6 e non saremo a tempo in Runcisvalle». 25.332.7 Or lasciàn questi così ragionando. 25.332.8 Cristo ci scampi, se si può, Orlando.
CANTO XXVI
26.1.1 Benigno Padre, a questa volta sia 26.1.2 la tua somma pietà più che mai fosse: 26.1.3 manda il tuo arcangel con sua compagnia, 26.1.4 che le spade del Ciel sien fatte rosse! 26.1.5 ché tanto sangue in Runcisvalle fia 26.1.6 che correrà pe' fiumi e per le fosse, 26.1.7 poi che l' ultimo giorno è pur venuto 26.1.8 che Malagigi ha più tempo temuto. 26.2.1 O Carlo, omè! quanto sarai meschino, 26.2.2 quando vedrai de' nuovi casi avversi 26.2.3 e morto il tuo nipote e paladino! 26.2.4 O tristi, afflitti, o lamentabil versi! 26.2.5 O traditor Marsilio saracino, 26.2.6 or potranno i tuoi inganni alfin vedersi! 26.2.7 O Ganellon, tosto sarai contento 26.2.8 d' aver condotto il sezzo tradimento! 26.3.1 Avea colui che ancor Prometeo piange 26.3.2 cavato il capo fuor dell' orizonte 26.3.3 di fuoco e sangue, onde e' parea che Gange 26.3.4 mostrassi de' cristian le future onte; 26.3.5 quando appresso si scuopron le falange 26.3.6 del re Marsilio e de' pagan già a fronte 26.3.7 ed apparivan sopra una montagna 26.3.8 a poco a poco le turbe di Spagna. 26.4.1 Or chi vedessi al vento gli stendardi 26.4.2 bianchi, azurri, vermigli e neri e gialli, 26.4.3 e serpenti e leon, cervieri e pardi, 26.4.4 e sentissi il tumulto de' cavalli 26.4.5 e l' anitrir, per le tube, gagliardi, 26.4.6 istupefatto sarebbe a guardalli, 26.4.7 tanti stormenti e vari segni e strani 26.4.8 si sentiva e scorgeva de' pagani. 26.5.1 Ma Guottibuoffi che ne dubitava, 26.5.2 ch' era un famoso vecchio borgognone, 26.5.3 ogni dì con Orlando ricordava 26.5.4 che si facessi altra provisïone 26.5.5 e tuttavolta il campo rafforzava. 26.5.6 Orlando, qual si fusse la cagione, 26.5.7 a questa volta non ci ponea cura 26.5.8 e non parea che conosca paura. 26.6.1 Ulivieri avea il dì dinanzi detto 26.6.2 che fatto avea molto terribil sogno, 26.6.3 tanto che messo gli aveva sospetto, 26.6.4 per che di Danïello avea bisogno. 26.6.5 Orlando disse: «Chi fa col barletto, 26.6.6 pensa quel che farebbe con un cogno!», 26.6.7 ed avea detto in suo linguaggio, e tosto, 26.6.8 onestamente, che sognava il mosto. 26.7.1 Credo che Orlando, come antico e saggio, 26.7.2 cognosceva il suo mal già presso, alfine, 26.7.3 ma non mostrava nel volto il coraggio: 26.7.4 ed aspettava corona di spine 26.7.5 omai di Spagna e 'l tributo e l' omaggio; 26.7.6 e poco vaglion le nostre dottrine, 26.7.7 però che, quando un gran periglio è presso, 26.7.8 difficil molto è consigliar se stesso. 26.8.1 La mattina Ulivier per tempo è ito 26.8.2 in su 'n un monte, e Guottibuoffi v' era, 26.8.3 che sempre stava la notte assentito 26.8.4 ed ordinava le guardie ogni sera. 26.8.5 Intanto, com' io dissi, è comparito 26.8.6 del re Marsilio già la prima schiera, 26.8.7 e cognobbe gl' inganni de' pagani 26.8.8 che cominciavon già a calare a' piani; 26.9.1 e disse: «O Guottibuoffi, egli è venuto 26.9.2 l' ultimo dì per la gloria di Carlo! 26.9.3 E 'l conte nostro non t' ha mai creduto 26.9.4 che si voleva, il campo, rafforzarlo. 26.9.5 Questo è Marsilio traditore astuto, 26.9.6 che a tradimento viene a ritrovarlo; 26.9.7 però che segno di pace non parmi, 26.9.8 ch' io veggo a tutti rilucer qua l' armi. 26.10.1 Or son le profezie di Malagigi 26.10.2 adempiute per sempre a questa volta! 26.10.3 Io sento insin di qua tremar Parigi. 26.10.4 O Ganellon, tu hai pur fatto còlta 26.10.5 e ristorato Carlo de' servigi!». 26.10.6 E detto questo, al caval détte volta 26.10.7 e scese presto, gualoppando, il monte, 26.10.8 e ritornò dove lasciato ha il conte. 26.11.1 Aveva Orlando strana fantasia 26.11.2 quella mattina, e veggendo venire 26.11.3 Ulivier che correva tuttavia, 26.11.4 gridò da lungi: «Questo che vuol dire?». 26.11.5 Disse Ulivier: «Mal, per la fede mia! 26.11.6 Non mi volesti ier sera appena udire: 26.11.7 Marsilio è qua che t' arreca il tributo 26.11.8 con l' arme, e 'l mondo è con seco venuto». 26.12.1 Tutti i baroni a Orlando dintorno 26.12.2 furno in un tratto ed ognun confortava 26.12.3 che si dovessi sonar presto il corno. 26.12.4 Orlando presto in sul caval montava, 26.12.5 e Sansonetto, e in sul monte n' andorno; 26.12.6 e come e' giunse, dintorno guardava 26.12.7 e ben cognobbe che Marsilio viene 26.12.8 per dar tributo di future pene. 26.13.1 E poi si volse inverso Runcisvalle 26.13.2 e pianse la sua gente dolorosa, 26.13.3 e disse: «O trista, o infortunata valle, 26.13.4 oggi sarai per sempre sanguinosa!». 26.13.5 Quivi eran molti già intorno, alle spalle, 26.13.6 e tutti consigliavano una cosa: 26.13.7 da poi che pure il caso è qui transcorso, 26.13.8 che si chiamassi col corno soccorso. 26.14.1 Era salito in su questa montagna 26.14.2 Astolfo e Berlinghier, presto, ed Avino, 26.14.3 e ragguardando ognun per la campagna, 26.14.4 veggendo tanto popol saracino: 26.14.5 «Abbi pietà della tua gente magna», 26.14.6 dicevan tutti, «o franco paladino: 26.14.7 va' suona il corno quanto puoi più forte, 26.14.8 ch' ogni cosa è men dura che la morte!». 26.15.1 Rispose Orlando: «Se venissi adesso 26.15.2 Cesare, Scipio, Anibale e Marcello 26.15.3 e Dario e Serse ed Alessandro appresso 26.15.4 e Nabucco con tutto il suo drappello 26.15.5 e vedessi la Morte innanzi esplesso 26.15.6 colla falce affilata o col coltello, 26.15.7 non sonerò perché e' m' aiuti Carlo. 26.15.8 ché per viltà mai non volli sonarlo». 26.16.1 Tornossi adunque con sue gente Orlando 26.16.2 e 'l campo fece con gran furia armare: 26.16.3 per tutto Runcisvalle è ito il bando 26.16.4 ch' ognun presto a caval debbi montare; 26.16.5 e Turpin va con la croce segnando, 26.16.6 e cominciava tutti a confortare 26.16.7 ch' ognun morissi volentier per Cristo, 26.16.8 e ricordare la passion di Cristo. 26.17.1 Or chi vedessi il campo armare in fretta, 26.17.2 certo pietà gliene verrebbe al core. 26.17.3 Come ogni cosa, a chi il contrario aspetta, 26.17.4 par che più porti dolcezza o terrore! 26.17.5 E risonava più d' una trombetta 26.17.6 per Runcisvalle con certo clangore 26.17.7 che parea proprio al Giudicio chiamassi 26.17.8 in Giusaffà, sì che i morti destassi. 26.18.1 Pensa ch' ognun con gran furore assetti 26.18.2 quivi i cavalli e sue armi raggruppi, 26.18.3 e chi gridava e batteva paggetti, 26.18.4 e tutti sieno occupati i gualuppi, 26.18.5 ed alcun l' armi al contrario si metti, 26.18.6 e le parole co' fatti avviluppi, 26.18.7 sì come avvien nelle gran cose spesso, 26.18.8 gridando: «Arme! Arme! I nimici son presso!». 26.19.1 Già eran tutti i paladini insieme 26.19.2 ristretti con Orlando a consigliare 26.19.3 della battaglia che ciascun qui teme, 26.19.4 come e' si debba le gente ordinare. 26.19.5 Orlando per dolor sospira e geme, 26.19.6 e non poteva a gnun modo parlare, 26.19.7 d' aver condotto sì miseramente 26.19.8 in Runcisvalle a morir la sua gente. 26.20.1 Ed Ulivier dicea: «Caro cognato, 26.20.2 meglio era, omè, tu m' avessi creduto! 26.20.3 Già è più tempo ch' io t' ho predicato 26.20.4 ch' io avevo Marsilio cognosciuto 26.20.5 traditor prima che fussi creato; 26.20.6 e tu credevi e' mandassi il tributo! 26.20.7 E Carlo aspetta le mummie a San Gianni! 26.20.8 Di Gan, non credo che nessun s' inganni, 26.21.1 salvo che lui, poi che gli crede ancora, 26.21.2 ed ha condotti a questa morte tutti. 26.21.3 Ma quel Marsilio, se nessun lo ignora, 26.21.4 fra molti vizii tutti osceni e brutti 26.21.5 una invidia ha nell' ossa che il divora, 26.21.6 che si cognosce finalmente a' frutti: 26.21.7 io l' ho sempre veduto in uno specchio 26.21.8 un tristo, un doppio, un vil traditor vecchio. 26.22.1 Malgigi è quel che lo cognosce appunto 26.22.2 e mille volte pur te l' ha già detto; 26.22.3 e che e' dovessi il campo stare in punto 26.22.4 gridato ho tanto, ch' io n' avea sospetto. 26.22.5 Non m' hai creduto: ora è quel tempo giunto 26.22.6 che tanti annunzii tristi hanno predetto; 26.22.7 ora hai tanto bramato (or mi perdona!) 26.22.8 come nespola in capo la corona». 26.23.1 Orlando non rispose a quel che disse 26.23.2 Ulivier, perché il ver non ha risposta; 26.23.3 e benché la risposta pur venisse, 26.23.4 le parole non vengono a sua posta. 26.23.5 Il campo intanto a ordine si misse, 26.23.6 e per fare alto a Orlando s' accosta, 26.23.7 che fece a tutti ordinar collezione; 26.23.8 poi disse pur questa ultima orazione: 26.24.1 «S' io avessi pensato il traditore 26.24.2 Marsilio in questo modo a vicitarmi 26.24.3 venissi come ingiusto e peccatore, 26.24.4 io arei preparato i cori e l' armi; 26.24.5 ma perché sempre gli portai amore, 26.24.6 credea che così lui dovessi amarmi 26.24.7 e che fussi sepolto ogni odio antico, 26.24.8 ché qualche volta ognun pur torna amico; 26.25.1 salvo che lui, che per viltà perdona 26.25.2 e resta pur la mente acerba e cruda. 26.25.3 Pertanto io gli confermo la corona 26.25.4 de' traditori e scuso or Gano e Giuda; 26.25.5 ch' io non truovo in lui cosa che sia buona, 26.25.6 ma fa come sparvier che in selva muda, 26.25.7 che t' assicura e par che e' sia la fede, 26.25.8 poi, se tu il lasci un tratto, mai non riede. 26.26.1 Ecco la fede or di Melchisedec, 26.26.2 un uom che è di più lingue che Babel, 26.26.3 da dirgli Alecsalam Salamalec, 26.26.4 proprio un altro Cain che invidi Abel. 26.26.5 Ma forse sarò io nuovo Lamec; 26.26.6 forse lo spirto è quel d' Achitofel; 26.26.7 forse di Marsia, che s' asconde al cielo 26.26.8 di corpo in corpo anzi al signor di Delo. 26.27.1 Or pur chi inganna ognun, anche sé inganna, 26.27.2 e non sia ignun che a se stesso si celi, 26.27.3 perché pur sé medesimo alfin danna. 26.27.4 Se voi sarete alla morte fedeli, 26.27.5 ristoreravvi con la dolce manna 26.27.6 il Signor vostro degli amari feli; 26.27.7 e se il pan del dolor mangiato avete, 26.27.8 stasera in paradiso cenerete, 26.28.1 come disse quel greco anticamente 26.28.2 lieto a' suoi già; ma disse: "nello inferno". 26.28.3 Vedete in su la grata pazïente 26.28.4 Lorenzo, per fruir quel gaudio etterno: 26.28.5 "Volgi quest' altro!". O giusto amor, sì ardente 26.28.6 che non sentia d' altro foco lo scherno! 26.28.7 Ché dolce cosa è voluntaria morte 26.28.8 quando l' anima è in Dio constante e forte. 26.29.1 Quant' io per me, qual mansüeto agnello 26.29.2 me ne vo come Isac al sacrificio, 26.29.3 bench' io vegga già fuor tutto il coltello; 26.29.4 ch' io sento già quello etterno giudicio 26.29.5 dove fia giudicato il buono e il fello; 26.29.6 tosto fia ministrato il grande oficio: 26.29.7 "Venite, benedicti patris mei", 26.29.8 e nell' inferno discacciati i rei. 26.30.1 Però mentre di vita ancor ci avanza, 26.30.2 perché il fine è quel ch' ogni cosa onora, 26.30.3 ognun di paladin mostri possanza, 26.30.4 acciò che il corpo solamente mora; 26.30.5 ed abbiate buon cor sanza speranza, 26.30.6 perch' io non so quel che si fia ancora, 26.30.7 e spesso ove i rimedii sono scarsi, 26.30.8 fu a molti salute il desperarsi. 26.31.1 E' m' incresce che Carlo in sua vecchiezza 26.31.2 vedrà forse pur fine posto al regno 26.31.3 di Francia bella e d' ogni gentilezza, 26.31.4 perch' egli è stato imperator pur degno. 26.31.5 Ma ciò che sale, alfin vien poi in bassezza; 26.31.6 tutte cose mortal vanno a un segno; 26.31.7 mentre l' una sormonta, un' altra cade: 26.31.8 così fia forse di cristianitade. 26.32.1 E increscemi del mio fratel Rinaldo, 26.32.2 ch' io non lo vegga innanzi alla mia morte 26.32.3 a punir questo traditor ribaldo; 26.32.4 e come cosa immaginata forte, 26.32.5 non posso in un proposito star saldo; 26.32.6 e par che nella mente mi conforte 26.32.7 un pensier che mi dica: "Egli è qui presso", 26.32.8 e guardo ognun ch' io veggo s' egli è desso. 26.33.1 La cagion perché il corno io non sonai, 26.33.2 è per veder quel che sa far Fortuna; 26.33.3 non vo' che ignun se ne vanti già mai 26.33.4 ch' io lo sonassi per viltà nessuna: 26.33.5 prima fìen tenebrosi in cielo i rai, 26.33.6 prima il sole arà lume dalla luna; 26.33.7 forse a Marsilio pria trarrò l' orgoglio, 26.33.8 e con questo pensier sol morir voglio. 26.34.1 Ed oltra questo, e' nol concede il loco, 26.34.2 perché da noi a Carlo è tanto spazio 26.34.3 che il suo soccorso gioverebbe poco. 26.34.4 Io vo' che Ganellon si facci sazio: 26.34.5 ma innanzi che partiti siàn da giuoco 26.34.6 noi faren di costor sì fatto strazio, 26.34.7 che essemplo sarà al mondo quanto e' dura; 26.34.8 sì ch' io non ho della morte paura. 26.35.1 La morte è da temere o la partita, 26.35.2 quando l' anima e 'l corpo muore insieme; 26.35.3 ma se da cosa finita a infinita 26.35.4 si va qui in Cielo fra tante diademe, 26.35.5 questo è cambiar la vita a miglior vita. 26.35.6 Ora abbiate in Gesù perfetta speme 26.35.7 e vita e morte rimettete in Quello 26.35.8 che salvò da' leoni già Daniello. 26.36.1 Un filosofo antico, detto Tale, 26.36.2 la prima cosa ringraziava Iddio 26.36.3 che fatto l' aveva uom, non animale; 26.36.4 però, se così fusti e voi ed io, 26.36.5 consegue or che l' effetto sia mortale; 26.36.6 dunque è proprio dell' uomo, al parer mio, 26.36.7 amar quanto conviensi il breve mondo, 26.36.8 ma sopra tutto il suo Signor giocondo. 26.37.1 Ricordatevi ognun di que' buon Deci 26.37.2 c' hanno sol per la patria fatto tanto, 26.37.3 e molti altri Roman famosi e Greci, 26.37.4 per lasciar poi nel mondo un piccol vanto: 26.37.5 del qual fo poco conto e sempre feci, 26.37.6 respetto a conseguir quel regno santo 26.37.7 dove è Colui che sparse il giusto sangue 26.37.8 per liberarci dal mortifero angue. 26.38.1 Non crediate d' Orazio o Curzio sia 26.38.2 felice il nome come il vostro, certo, 26.38.3 perché quello a salute al mondo fia, 26.38.4 ma l' anima non ha qui premio o merto. 26.38.5 Mentre ch' io parlo con voi, tuttavia 26.38.6 mi par tutto veder già il Cielo aperto 26.38.7 e gli angeli apparar su con gran fretta 26.38.8 il loco che perdé la ingrata setta. 26.39.1 Io veggo un nuvoletto in aire, un nembo 26.39.2 che certo vien per voi di paradiso, 26.39.3 e già di Miccael si scuopre un lembo 26.39.4 tal ch' io non posso contemplarlo fiso; 26.39.5 parmi vedervi giubilare in grembo 26.39.6 di quello Amor che tutto applaude in riso, 26.39.7 come que' padri già nel sen d' Abramo, 26.39.8 e che tutti già in Ciel felici siamo. 26.40.1 Però vi do la mia benedizione; 26.40.2 e, come tutti assolverà Turpino, 26.40.3 è fatta in Ciel la nostra assoluzione». 26.40.4 E detto questo, pigliò Vegliantino 26.40.5 e saltò della terra in su l' arcione, 26.40.6 e disse: «Andianne al popol saracino!», 26.40.7 e pianse in sul cavallo amaramente 26.40.8 quando e' rivide tutta la sua gente, 26.41.1 e disse un' altra volta: «O dolorosa 26.41.2 valle, che presto i nostri casi avversi 26.41.3 faran per molti secoli famosa, 26.41.4 tanto sangue convien sopra te versi, 26.41.5 tu sarai recordata in rima e in prosa. 26.41.6 Ma se preghi mortal mai giusti fêrsi, 26.41.7 Virgine, i servi tuoi ti raccomando, 26.41.8 e non guardare al peccatore Orlando». 26.42.1 Intanto l' arcivescovo segnava 26.42.2 e tutta quella gente benedisse, 26.42.3 e dice: «Io vi perdono», e confortava 26.42.4 ch' ognun pel suo Gesù lieto morisse. 26.42.5 Così piangendo l' un l' altro abbracciava 26.42.6 e poi la lancia alla coscia si misse; 26.42.7 e la bandiera innanzi era d' Almonte, 26.42.8 la qual fue acquistata in Aspramonte. 26.43.1 Ora ecco la gran ciurma de' pagani 26.43.2 che Falserone ha presso i suoi stendardi, 26.43.3 ch' eran tutti calati giù ne' piani. 26.43.4 E dicea: «Questi Franciosi e Piccardi, 26.43.5 quando in su' campi saremo alle mani, 26.43.6 tosto vedren se saranno gagliardi! 26.43.7 Oggi fia vendicato il mio figliuolo!», 26.43.8 e minacciava il conte Orlando solo. 26.44.1 «Io v' ho pur, cavalieri, a tutti detto 26.44.2 (ognun di questo ammaestrato sia) 26.44.3 che come Orlando si muove in effetto, 26.44.4 e' non sia ignun che mi tagli la via: 26.44.5 io gli trarrò per forza il cuor del petto; 26.44.6 ognun si scosti, la vendetta è mia, 26.44.7 ché Ferraù, s' io non ne sono errato, 26.44.8 degno fu certo d' esser vendicato». 26.45.1 E' si sentiva i più stran naccheroni 26.45.2 e tante busne e corni alla moresca, 26.45.3 che rimbombava per tutti i valloni, 26.45.4 e par che degli abissi quel suono esca; 26.45.5 tanti pennacchi, tanti stran pennoni, 26.45.6 tante divise, la più nuova tresca, 26.45.7 era cosa a veder per certo oscura, 26.45.8 e fatto arebbe ' Alessandro paura. 26.46.1 L' anitrir de' cavalli e il mormorare 26.46.2 de' pagan che venivan minacciando 26.46.3 ch' ognun voleva e' cristian trangugiare 26.46.4 (e sopra tutto Falserone Orlando), 26.46.5 parea quando più forte freme il mare, 26.46.6 Scilla e Cariddi co' mostri abbaiando; 26.46.7 e tutta l' aria di polvere è piena, 26.46.8 come si dice del mar della rena. 26.47.1 Quivi eran Zingani, Arbi e Sorïani, 26.47.2 dello Egitto e dell' India e d' Etïopia, 26.47.3 e sopra tutto di molti marrani 26.47.4 che non avevon fede ignuna propia, 26.47.5 di Barberia, d' altri luoghi lontani; 26.47.6 ed Alcuïn che questa istoria copia, 26.47.7 dice che gente di Guascogna v' era: 26.47.8 pensa che ciurma è questa prima schiera! 26.48.1 Ed avean pur le più strane armadure 26.48.2 e i più stran cappellacci quelle genti: 26.48.3 certe pellacce sopra 'l dosso, dure, 26.48.4 di pesci, coccodrilli e di serpenti, 26.48.5 e mazzafrusti e crave, accette e scure; 26.48.6 e molti i colpi commettono a' vènti 26.48.7 con dardi ed archi e spuntoni e stambecchi 26.48.8 e catapulte che cavon gli stecchi. 26.49.1 Quivi, già i campi l' uno all' altro accosto, 26.49.2 da ogni parte si gridava forte: 26.49.3 chi vuol lesso Macon, chi l' altro arrosto; 26.49.4 ognun volea del nimico far tórte. 26.49.5 Dunque vegnamo alla battaglia tosto, 26.49.6 sì ch' io non tenga in disagio la Morte, 26.49.7 che con la falce minaccia ed accenna 26.49.8 ch' io muova presto le lance e la penna. 26.50.1 Orlando aveva alla sua gente detto: 26.50.2 «Della battaglia ognun libero sia: 26.50.3 qui non è cavalier se non perfetto; 26.50.4 e Miccael vi farà compagnia». 26.50.5 Astolfo il primo si mosse in effetto; 26.50.6 vennegli incontra Arlotto di Soria, 26.50.7 e l' uno e l' altro abbassò la sua lancia, 26.50.8 e «Siragozza!» si sentiva, e «Francia!». 26.51.1 Or non ci far questa volta vergogna; 26.51.2 pòrtati, Astolfo, come paladino; 26.51.3 attienti al legno forte, e se bisogna, 26.51.4 abbraccia quel come un tuo nipotino, 26.51.5 però che Arlotto sorïan non sogna, 26.51.6 che vien di verso il campo saracino; 26.51.7 e con sopportazion tutto sia detto, 26.51.8 ché invero Astolfo n' aveva difetto; 26.52.1 tanto che come la lancia ebbe in resta, 26.52.2 ed Ulivieri a Orlando dicea: 26.52.3 «Che sì che Astolfo farà bella festa!». 26.52.4 In questo tempo allo scudo giugnea 26.52.5 il saracin con sì fatta tempesta, 26.52.6 che mancò poco che non s' apponea 26.52.7 a questa volta d' Astolfo, il marchese; 26.52.8 se non che a schembo la lancia lo prese. 26.53.1 Astolfo ferì lui discretamente, 26.53.2 perché la lancia alla vista gli appicca; 26.53.3 e fu quel colpo per modo possente 26.53.4 ch' un palmo e mezzo di ferro gli ficca 26.53.5 e mandò presto fra la morta gente 26.53.6 l' anima, e 'l corpo di sella gli spicca. 26.53.7 Adunque Astolfo ha fatto il suo dovuto, 26.53.8 poi che il pagano e non lui è caduto. 26.54.1 Allora il franco Angiolin di Baiona 26.54.2 diceva: «Orlando, io vo' il colpo secondo»; 26.54.3 e detto questo, un suo giannetto sprona, 26.54.4 che miglior corridor non avea il mondo. 26.54.5 Vennegli appetto un gran sir di corona, 26.54.6 molto crudel, di sangue sitibondo, 26.54.7 Malducco detto, del regno di Frasse; 26.54.8 e caloron le lance ambo giù basse 26.55.1 e l' uno e l' altro poneva al baucco, 26.55.2 ché l' uno e l' altro di porre è maestro; 26.55.3 ed Angiolin pel colpo di Malducco 26.55.4 se n' andò quasi in sul lato sinestro, 26.55.5 ma non pertanto è il suo valor ristucco; 26.55.6 e perché e' pose al pagan molto destro, 26.55.7 gli fe' toccar coll' elmetto la groppa, 26.55.8 tanto che ruppe del cimier la coppa, 26.56.1 e se non fusse che trasse il cavallo 26.56.2 quando e' sentì che il pennacchio lo tocca, 26.56.3 sì che traendo aiutava rizzallo, 26.56.4 era la corda rasente alla cocca. 26.56.5 Avino intanto saltava nel ballo, 26.56.6 la lancia abbassa e 'l corridor suo brocca, 26.56.7 «Chi meco vuol giostrar», gridando forte, 26.56.8 «venga a trovarmi e troverrà la morte!». 26.57.1 Partissi della schiera de' pagani 26.57.2 re Mazzarigi, un uom molto superbo, 26.57.3 che confessò la legge de' cristiani 26.57.4 e rinnegò poi Cristo e 'l Padre e 'l Verbo; 26.57.5 e come e' furno ristretti alle mani, 26.57.6 il colpo del pagan fu molto acerbo; 26.57.7 pure Avin gli rispose con la lancia, 26.57.8 ma questa volta della morte ciancia. 26.58.1 Ulivier si fe' innanzi con Rondello, 26.58.2 ché non potea più star saldo alle mosse. 26.58.3 Il re Malprimo, come e' vide quello, 26.58.4 dall' altra parte a ricontra si mosse. 26.58.5 Or qui sanza operare altro pennello 26.58.6 si cominciono a far le lance rosse, 26.58.7 e gli scudi e le falde e le corazze 26.58.8 e le barde a dipigner paonazze. 26.59.1 Il saracin percoteva il marchese 26.59.2 e nello scudo la lancia gli attacca, 26.59.3 tal che più oltre la punta si stese 26.59.4 ed una costa del petto gli ammacca, 26.59.5 ché la corazza o 'l giubbon nol difese; 26.59.6 ma pur la lancia alla fine si fiacca, 26.59.7 ed Ulivier di cader consigliossi 26.59.8 e in qua ed in là molte volte piegossi. 26.60.1 Pur la sua gagliardia, la sua fierezza 26.60.2 non si nascose a questa volta certo, 26.60.3 ché la sua lancia non si piega o spezza, 26.60.4 ma tutto quanto lo scudo gli ha aperto 26.60.5 e la corazza gli parve una rezza, 26.60.6 sì che Malprimo si truova deserto, 26.60.7 ché gli misse nel cor proprio la lancia 26.60.8 e mostrò pur le prodezze di Francia. 26.61.1 Falseron quando ha veduto cadere, 26.61.2 così subito morto, del cavallo 26.61.3 un tal campion, cominciava a temere: 26.61.4 «Questo è», disse, «un miracol sanza fallo; 26.61.5 qui non si giostra a diminò o viere. 26.61.6 O Macon, come lasciasti cascallo?»; 26.61.7 e molto fu di tal caso turbato, 26.61.8 perché Malprimo era il primo stimato. 26.62.1 Ulivier non si misse nella pressa 26.62.2 de' saracin, ch' ancor gli duole il petto. 26.62.3 Intanto in resta la lancia avea messa 26.62.4 Turpino e salta che pare un capretto, 26.62.5 ché non è tempo a cantar or la messa. 26.62.6 Vennegli incontra Turchion maladetto 26.62.7 con la sua lancia con superbia e furia, 26.62.8 per vendicar di Malprimo la ingiuria, 26.63.1 e nello scudo alla treccia gli colse 26.63.2 e ruppel come bambola di specchio, 26.63.3 sì che dal petto fatica gli tolse. 26.63.4 Ma Turpin sa ancor l' arte, così vecchio, 26.63.5 e perché il saracin civettar volse, 26.63.6 e' gli accoccòe la lancia a un orecchio 26.63.7 e schiacciò l' elmo e 'l capo come al tordo 26.63.8 e in questo modo lo guarì del sordo. 26.64.1 Orlando aveva nel suo colonnello 26.64.2 di Normandia quel possente Riccardo 26.64.3 e Guottibuoffi e 'l conte Anselmo, quello 26.64.4 che tanto fu questo giorno gagliardo, 26.64.5 Avolio, Avin, Berlinghieri e 'l fratello 26.64.6 e Sansonetto e 'l buon duca Egibardo 26.64.7 e tutti gli altri paladin di Francia, 26.64.8 gente ch' ognun porterà ben sua lancia. 26.65.1 Or quando Orlando e la schiera si mosse, 26.65.2 pensi chi legge che il furore e 'l rombo 26.65.3 di Vulcan parve la fucina fosse, 26.65.4 tanto ch' a Giove n' andò su il rimbombo 26.65.5 e Marte credo nel ciel si riscosse; 26.65.6 e tante lance si calorno a piombo, 26.65.7 ch' un vento par ch' ogni cosa abbattessi 26.65.8 e il cielo e 'l mondo e l' abbisso cadessi. 26.66.1 Falseron, ch' avea tanto desïato 26.66.2 di ritrovarsi alle man con Orlando, 26.66.3 fu d' un altro proposito mutato 26.66.4 quando e' lo vide venir furïando 26.66.5 che Lucifer pareva scatenato: 26.66.6 «Apollin», disse, «io mi ti raccomando: 26.66.7 non mi lasciar così morire in fretta; 26.66.8 lasciami far del mio figliuol vendetta!». 26.67.1 Ma come Orlando a Falseron fu presso: 26.67.2 «O traditor», gridò di lunge forte, 26.67.3 «questo non è quel che mi fu promesso, 26.67.4 di perdonar di Ferraù la morte! 26.67.5 Or si cognosce traditore esplesso 26.67.6 il tuo Marsilio e tutta la sua corte, 26.67.7 che si vorrebbe con teco impiccarlo! 26.67.8 Questo è il tributo che s' aspetta a Carlo? 26.68.1 Non ti vergogni d' avermi tradito 26.68.2 e dato il bacio come Scarïotto 26.68.3 quando di Francia ti fusti partito?». 26.68.4 E non si vide mai crucciato o rotto 26.68.5 Orlando, quanto quel dì fu sentito. 26.68.6 Poi lasciava la lancia andar di botto 26.68.7 e prese Falserone appunto al petto, 26.68.8 gridando: «Or chiama il tuo can Macometto!». 26.69.1 Maraviglia fu grande, al parer mio, 26.69.2 che gli passò lo scudo, ch' era d' osso 26.69.3 d' un certo pesce, come piacque a Dio, 26.69.4 e 'l piastron sotto, molto duro e grosso; 26.69.5 e benché Falseron presto morìo, 26.69.6 nïente della sella si fu mosso, 26.69.7 tanto che gnun del suo caso s' accorse. 26.69.8 Orlando col cavallo oltre transcorse, 26.70.1 poi ritornò, ché volea pur vedere 26.70.2 di Falseron come la cosa vada, 26.70.3 ché nel passar non lo vide cadere; 26.70.4 ma, come questo toccòe con la spada, 26.70.5 subito cadde fra' morti a giacere; 26.70.6 e maraviglia non fu perché e' cada, 26.70.7 ma perché, come alla terra fu giunto, 26.70.8 dicon che il corpo disparì in un punto. 26.71.1 Or hai tu, Falseron, la tua vendetta 26.71.2 fatta e condotto a Siragozza Gano! 26.71.3 La gente sua vi corse con gran fretta, 26.71.4 e scesi in terra e distesa la mano, 26.71.5 l' arme trovoron come quando getta 26.71.6 il guscio il granchio, ché drento era vano. 26.71.7 O nuovo caso, o segno, o gran portento, 26.71.8 quanto Iddio abbi in odio il tradimento! 26.72.1 Quando i pagan Falseron vidon morto, 26.72.2 ognuno spazzerebbe la campagna, 26.72.3 tanto ne preson terrore e sconforto; 26.72.4 ma d' ogni parte era tesa la ragna, 26.72.5 ché il re Marsilio, per veder più scorto, 26.72.6 recato s' era in su l' alta montagna 26.72.7 e circundava tutta quella valle, 26.72.8 sì che voltar non potevon le spalle. 26.73.1 Fecesi innanzi quel corbacchion nero 26.73.2 che si chiamava tra lor Finadusto, 26.73.3 con un baston che non era leggiero; 26.73.4 e sette braccia il pagano era giusto. 26.73.5 Berlinghier vide venir questo cero, 26.73.6 e non guardò perché e' fusse gran fusto 26.73.7 e 'l baston grave e mazzocchiuto e grosso, 26.73.8 ma con la lancia gli correva addosso. 26.74.1 Egli aveva una scoglia di testudo, 26.74.2 questo ghiottone, adattata a suo modo, 26.74.3 e porta quella al petto per iscudo: 26.74.4 la lancia il passa, benché e' fussi sodo, 26.74.5 e tanto il ferro temperato è crudo, 26.74.6 che gli sbarrò della piastra ogni nodo 26.74.7 ed un giubbon sì grosso di catarzo, 26.74.8 che non pareva per quello anche scarzo, 26.75.1 e cacciògli nel petto più che mezzo 26.75.2 il ferro; benché e' non fusse mortale 26.75.3 il colpo, pure e' gli détte riprezzo 26.75.4 e se non fusse che il caval misse ale, 26.75.5 e' non sentia mai più caldo né rezzo; 26.75.6 ma così tosto non fugge uno strale 26.75.7 che si diparta da corda di noce, 26.75.8 come quel presto il portò via veloce. 26.76.1 Era venuto intanto Gallerano 26.76.2 con molta gente ed ha seco Fidasso. 26.76.3 Or qui comincia a insanguinar più il piano 26.76.4 e nuove lance rovinano in basso 26.76.5 e fassi innanzi ogni buon capitano. 26.76.6 Orlando fa come un vento fracasso 26.76.7 ed avea sempre appresso il conte Anselmo, 26.76.8 che facea spesso risonar qualch' elmo. 26.77.1 Ulivieri Altachiara avea ristretta 26.77.2 e ritornato è già nella battaglia. 26.77.3 Gualtieri da Mulion quivi si getta 26.77.4 e Baldovin come un leon si scaglia. 26.77.5 Avino, Avolio, Ottone, ognun affetta 26.77.6 come le rape di questa canaglia, 26.77.7 Angiolin di Bellanda e Guottibuoffi, 26.77.8 dando e togliendo di maturi ingoffi. 26.78.1 Marco e Matteo, ch' ognun dice del Piano 26.78.2 di San Michele ed io truovo del Monte, 26.78.3 per Runcisvalle con la spada in mano 26.78.4 a molti avevon frappata la fronte. 26.78.5 Il duca Astolfo non si stava invano 26.78.6 e Turpin caccia le pecore al monte. 26.78.7 Angiolin di Bordea solo era morto 26.78.8 de' paladin, ma gli fu fatto torto. 26.79.1 Or lasciam così il campo insieme stretto. 26.79.2 Non vogliàn noi che ne venga Rinaldo 26.79.3 alla battaglia col suo Ricciardetto? 26.79.4 Che ne venìa con un desio sì caldo, 26.79.5 ch' a ogni passo ha domandato e detto 26.79.6 quel che faceva Marsilio ribaldo; 26.79.7 ed Astaroth ogni cosa dicea, 26.79.8 ché la battaglia tuttavia vedea. 26.80.1 E Ricciardetto si consuma e rode, 26.80.2 quando sentia la battaglia rinforza, 26.80.3 e d' Ulivieri e d' Orlando alte lode 26.80.4 e come il campo de' pagan va ad orza; 26.80.5 e benché pur dall' un canto ne gode, 26.80.6 pargli mill' anni mostrar la sua forza 26.80.7 e ritrovarsi nel mezzo alle busse, 26.80.8 e gittò l' erba che détte Milusse. 26.81.1 E come presso a Runcisvalle sono 26.81.2 calati giù da' monti Pirenei, 26.81.3 onde s' udia della battaglia il tuono, 26.81.4 del suon dell' arme e degli spessi omèi, 26.81.5 dicea Rinaldo: «Io credo che sia buono 26.81.6 (dico così quel ch' io per me farei) 26.81.7 che s' assaltassi il campo saracino 26.81.8 in mezzo dove è quaggiù Bianciardino». 26.82.1 Disse Astarotte: «Bianciardino è quello 26.82.2 che attorno va con quella sopravvesta. 26.82.3 Noi ce n' andremo ora io e Farferello 26.82.4 tra le campane e soneremo a festa 26.82.5 quando vedren che tu farai macello; 26.82.6 e Squarciaferro ti si manifesta 26.82.7 ( rogatus rogo, intendi quel ch' io dico) 26.82.8 che in ogni modo vuole esser tuo amico. 26.83.1 Non creder nello inferno anche fra noi 26.83.2 gentilezza non sia: sai che si dice, 26.83.3 che in qualche modo (un proverbio fra voi) 26.83.4 serba ogni pianta della sua radice 26.83.5 benché sia tralignato il frutto poi. 26.83.6 Or non parliam di quel tempo felice... 26.83.7 Quivi è Marsilio e qua combatte Orlando. 26.83.8 Valete in pace: a te mi raccomando». 26.84.1 Rinaldo non sapea formar parole 26.84.2 alla risposta accommodate a quello, 26.84.3 e ringraziare Astarotte suo vuole, 26.84.4 e così Squarciaferro e Farferello; 26.84.5 poi gli rispose: «Astaroth, e' mi duole 26.84.6 il tuo partir quanto fussi fratello; 26.84.7 e nell' inferno ti credo che sia 26.84.8 gentilezza, amicizia e cortesia. 26.85.1 E se lecito t' è quel ch' io dico ora, 26.85.2 qualche volta mi torna a rivedere, 26.85.3 e Squarciaferro e Farferello ancora, 26.85.4 ch' io penso sol di potervi piacere; 26.85.5 e quel Signor che la mia legge adora, 26.85.6 prego, se il prego dovessi valere, 26.85.7 che vi perdoni e che ciascun si penti, 26.85.8 ché ristorar non vi posso altrimenti». 26.86.1 Disse Astarotte: «Se vuoi ch' io domandi, 26.86.2 una grazia sol chieggio, qual puoi farmi, 26.86.3 e poi contento da te me ne mandi: 26.86.4 tu facci a Malagigi liberarmi 26.86.5 e in qualche modo me gli raccomandi; 26.86.6 però che sempre potrai comandarmi, 26.86.7 ché di servirti non mi fia fatica; 26.86.8 e basta solo "Astarotte" tu dica, 26.87.1 ed io ti sentirò fin dello inferno, 26.87.2 e verrà per mio amor qui Farferello». 26.87.3 «Io ti sono obligato in sempiterno», 26.87.4 disse Rinaldo «e così il mio fratello; 26.87.5 però, non ch' una lettera, un quaderno 26.87.6 iscriverrò di buono inchiostro a quello, 26.87.7 e farà ciò che vorrai Malagigi. 26.87.8 Pensa s' io posso farti altri servigi. 26.88.1 E manderògli un messaggier volando 26.88.2 e scriverrò della tua cortesia, 26.88.3 e così farò scrivere a Orlando, 26.88.4 sì dolce è stata la tua compagnia». 26.88.5 Disse Astaroth: «A te mi raccomando»; 26.88.6 e disparì co' suoi compagni via, 26.88.7 che parve proprio un baleno sparissi 26.88.8 e che la terra di sotto s' aprissi. 26.89.1 In Runcisvalle una certa chiesetta 26.89.2 era in quel tempo, ch' avea due campane: 26.89.3 quivi stetton coloro alla veletta 26.89.4 per ciuffar di quelle anime pagane, 26.89.5 come sparvier tra ramo e ramo aspetta; 26.89.6 e bisognòe che menassin le mane 26.89.7 e che battessin tutto 'l giorno l' ali, 26.89.8 a presentarle a' giudici infernali. 26.90.1 Pensa quel dì se menoron la coda 26.90.2 Eaco, il gran Minòs e Rodomanta; 26.90.3 e quel Satàn, se tu credi che e' goda; 26.90.4 e se Caron nella sua cimba canta, 26.90.5 rassetta i remi e la vela rannoda 26.90.6 col mataffione e le vele rammanta; 26.90.7 e se si fece più d' una moresca 26.90.8 giù nello inferno e taferugia e tresca! 26.91.1 E così in Ciel si faceva apparecchio 26.91.2 d' ambrosia e nèttar con celeste manna; 26.91.3 e perché Pietro alla porta è pur vecchio, 26.91.4 credo che molto quel giorno s' affanna; 26.91.5 e converrà ch' egli abbi buono orecchio, 26.91.6 tanto gridavan quelle anime «Osanna» 26.91.7 ch' eran portate dagli angeli in Cielo, 26.91.8 sì che la barba gli sudava e 'l pelo. 26.92.1 Or ritorniamo a Rinaldo che assalta 26.92.2 il campo in mezzo, e come e' détte drento, 26.92.3 subito rossa si fece la malta; 26.92.4 ed arà fatto buono scaltrimento, 26.92.5 ché, non sapendo Marsilio la falta, 26.92.6 dubitò nel suo cor di tradimento, 26.92.7 che non fussi tra lor congiura o setta, 26.92.8 ché non si può sempre esser savio in fretta. 26.93.1 Avea Marsilio il suo popol pagano 26.93.2 e 'l campo ben diviso, ed ordinato 26.93.3 chi dovessi ferir di mano in mano; 26.93.4 Rinaldo, ch' ancor questo avea pensato, 26.93.5 sapea il pericol d' ogni capitano, 26.93.6 che guasto non gli sia l' ordine dato; 26.93.7 perché e' si vede per esperïenzia 26.93.8 che la battaglia è solo obedïenzia: 26.94.1 «Non ti partir di qui se a te non torno, 26.94.2 cioè ch' io ti ci truovi o vivo o morto!». 26.94.3 «Fa che tu sia alla bocca del corno 26.94.4 a tramontana, o nave surta in porto!». 26.94.5 E perché molti già prevaricorno, 26.94.6 l' un più che l' altro capitano accorto 26.94.7 cognobbe del nimico qui il periglio 26.94.8 e come savio fe' nuovo consiglio. 26.95.1 Parve a Marsilio, che stava a vedere, 26.95.2 che i pagan combattessin co' pagani, 26.95.3 ché non potea di Rinaldo sapere, 26.95.4 e bisognò che calassi giù a' piani; 26.95.5 perché e' vedeva abbaruffar le schiere 26.95.6 e non v' è contrassegni di cristiani; 26.95.7 e disse: «Gano è un malvagio gatto; 26.95.8 e Bianciardin chi sa quel che s' ha fatto?». 26.96.1 E dubitò che non sonassi a doppio, 26.96.2 perché pure era stato in Francia a Carlo, 26.96.3 che non avessi arrecato qualche oppio 26.96.4 e volessi con esso addormentarlo; 26.96.5 e già sentir gli pareva lo scoppio, 26.96.6 tanto forte comincia a imaginarlo 26.96.7 che tradimento nel campo non fosse: 26.96.8 per la qual cosa a gran furia si mosse. 26.97.1 Rinaldo, quando Marsilio ha veduto, 26.97.2 diceva a Ricciardetto: «E' cala il monte. 26.97.3 Lo star qui, tutto sarebbe perduto: 26.97.4 tempo fia ora a ritrovare il conte»; 26.97.5 e perché egli era molto combattuto 26.97.6 da ogni parte, e dinanzi e da fronte, 26.97.7 e Ricciardetto in qua e in là si scaglia 26.97.8 ed urta e rompe la calca e sbaraglia. 26.98.1 Rinaldo aspetta che il cerchio sia fatto, 26.98.2 e come e' vede tondo il rigoletto, 26.98.3 Baiardo fece girare in un tratto 26.98.4 e volle un colpo fare a suo diletto 26.98.5 e trasse in modo un rovescio di piatto 26.98.6 che il capo spicca dal busto di netto 26.98.7 a venti o più, se chi scrive non erra, 26.98.8 e caddon tutti i mozziconi in terra. 26.99.1 E quando e' furon veduti cadere, 26.99.2 ognun si scosta per la maraviglia, 26.99.3 e dicevano, alzate le visiere: 26.99.4 «Chi è costui ch' ogni cosa scompiglia?». 26.99.5 Rinaldo Orlando voleva vedere 26.99.6 e inverso il campo girava la briglia 26.99.7 dove combatte la gente di Francia, 26.99.8 e tolse a un ch' era appresso la lancia. 26.100.1 Orlando, quando lo vide venire 26.100.2 con tanta furia, come e' fu più presso 26.100.3 giurato arebbe, al cavallo, allo ardire, 26.100.4 che fussi certo (come egli era) desso; 26.100.5 intanto vede il lïone scoprire 26.100.6 e non capea d' allegrezza in se stesso; 26.100.7 e fu tanto il desio che il cor disserra, 26.100.8 che cadde quasi del cavallo in terra. 26.101.1 E Ricciardetto il suo segno ha scoperto 26.101.2 ed Ulivieri intanto è quivi giunto, 26.101.3 e poi che questi ha cognosciuti certo, 26.101.4 tanto gaudio nel cor sente in un punto, 26.101.5 che gli spirti vital, quel sendo aperto 26.101.6 e già per l' artarìa di sangue munto, 26.101.7 usciron quasi della ròcca fora, 26.101.8 ché spesso avvien ch' uom d' allegrezza mora. 26.102.1 Gran festa Orlando alla fine facea, 26.102.2 ritornato in se stesso, al suo cugino, 26.102.3 e domandava, e Rinaldo dicea 26.102.4 de' suoi processi e del lungo cammino 26.102.5 e ciò che Malagigi fatto avea; 26.102.6 ed Ulivier, tornato in suo domìno, 26.102.7 istupefatto ancor tutto e smarrito, 26.102.8 Lazzer pareva del sepulcro uscito. 26.103.1 Il campo de' pagan s' era scostato, 26.103.2 ché i paladin ristretti erano insieme 26.103.3 e molto avevon questo danneggiato, 26.103.4 tanto ch' ognun di lor forza pur teme. 26.103.5 Orlando mille volte ha rabbracciato 26.103.6 Rinaldo pure e d' allegrezza geme 26.103.7 e spera ancor di salvar la sua gente, 26.103.8 quando e' ragguarda il suo cugin possente. 26.104.1 E fece il campo rinfrescare intanto 26.104.2 e rassettar, ché n' aveva bisogno; 26.104.3 e poi dicea con Rinaldo da canto: 26.104.4 «O fratel mio, tanto vederti agogno, 26.104.5 che quando io t' ho ben rimirato alquanto, 26.104.6 io penso pur s' io ti parlo qui in sogno. 26.104.7 Ringrazio il Cielo e più altro non chieggio, 26.104.8 ché innanzi alla mia morte io ti riveggio. 26.105.1 Vorrei che tu m' avessi in altro modo 26.105.2 trovato, a venir qua fin dello Egitto; 26.105.3 pur tuttavolta di vederti godo 26.105.4 e par che e' fugga ogni pensiero afflitto; 26.105.5 e benché io non mi dolga, anche non lodo 26.105.6 che tu non m' abbi, è tanto tempo, scritto: 26.105.7 quantunque doppio sia questo conforto, 26.105.8 vederti vivo ove io pensavo morto». 26.106.1 «Sappi ch' io t' ho più lettere mandate». 26.106.2 disse Rinaldo, «e così Ricciardetto; 26.106.3 ma non sono a buon porto capitate, 26.106.4 ed ogni cosa quel demòne ha detto. 26.106.5 Or lasciàn le parole addentellate, 26.106.6 ché tutto il mondo qua ti veggo appetto. 26.106.7 Dimmi, cugin, quel che tu vuoi ch' i' faccia, 26.106.8 ché il tempo è breve e fortuna minaccia». 26.107.1 «Quel traditor, non dico di Maganza, 26.107.2 anzi Marsilio, anzi altro Scarïotto», 26.107.3 rispose Orlando, «ci détte speranza 26.107.4 di far la pace e inganno v' era sotto: 26.107.5 così con questa pitetta leanza 26.107.6 Carlo aspetta a San Gianni, il sempliciotto, 26.107.7 ed io qui venni per certo tributo, 26.107.8 il qual tu vedi in che modo è venuto. 26.108.1 Poi che tu ti partisti ed io rimasi, 26.108.2 par che il Ciel sopra me disfoghi ogni ira, 26.108.3 e mi sono avvenuti i più stran casi, 26.108.4 che la Fortuna, che in più modi gira, 26.108.5 tanti non credo che ne intenda quasi; 26.108.6 onde l' anima mia sempre sospira, 26.108.7 ch' io so che mi persegue un gran peccato, 26.108.8 del qual più tempo è ch' io ho dubitato. 26.109.1 Da poi in qua ch' io uccisi Don Chiaro 26.109.2 non mi pote' mai più bene incontrare; 26.109.3 né creder tu che mi fusse già caro; 26.109.4 ma il mio signor mi potea comandare: 26.109.5 forse quel sangue innocente sì claro 26.109.6 vendetta debbe or nel Cielo esclamare, 26.109.7 il qual con Carlo ha conceputo sdegno, 26.109.8 ché assai dato gli avea d' onore e regno. 26.110.1 Credo, Rinaldo mio, s' io non m' inganno, 26.110.2 ch' oggi tutti morremo in questa valle; 26.110.3 benché tanti pagan prima morranno, 26.110.4 che sempre si dirà di Runcisvalle». 26.110.5 Disse Rinaldo: «Non ti dar più affanno. 26.110.6 Ecco Marsilio che t' è già alle spalle 26.110.7 con tutto il popol di Serse e di Dario: 26.110.8 non c' è più tempo a tanto correlario». 26.111.1 Marsilio a Bianciardino aveva detto, 26.111.2 poi ch' egli scese con sua gente al piano: 26.111.3 «O Bianciardin, tu m' hai messo sospetto; 26.111.4 io non lo intendo questo caso strano: 26.111.5 Orlando è là con la mia gente appetto; 26.111.6 Rinaldo so ch' è in paese lontano 26.111.7 ed al presente si truova in Egitto 26.111.8 con Ricciardetto: così Gan m' ha scritto». 26.112.1 Rispose Bianciardin: «Qua son venuti 26.112.2 due cavalier valenti e bene armati, 26.112.3 e benché molto gli abbiam combattuti, 26.112.4 per forza son tra la schiera passati 26.112.5 e dispariti, e poi non gli ho veduti: 26.112.6 credo che sieno diavoli incantati, 26.112.7 ché l' uno e l' altro è paruto invisibile 26.112.8 e fatto han quel che non parea possibile. 26.113.1 E' si vedea sempre in alto le mane 26.113.2 e in modo le percosse spesseggiare, 26.113.3 che sonavano a doppio due campane. 26.113.4 Io vidi intorno a questi un cerchio fare 26.113.5 e seguir cose che non sono umane, 26.113.6 ché si sentì una spada fischiare 26.113.7 d' un certo marrovescio tondo e giusto 26.113.8 ch' a venti il capo levò dallo imbusto». 26.114.1 Per che Marsilio rispondeva allotta: 26.114.2 «Questi son masnadier di Malagigi. 26.114.3 Parmi la nostra schiera mal condotta, 26.114.4 ché innanzi vien la gente di Parigi: 26.114.5 veggo che il campo fugge in volta rotta». 26.114.6 Intanto vien gridando Mazzarigi: 26.114.7 «Aiuto, presto! Noi siamo a mal porto! 26.114.8 Il campo è rotto e Falserone è morto!». 26.115.1 Quando Marsilio udì queste parole, 26.115.2 si fece a Mazzarigi incontra presto 26.115.3 perché di Falseron troppo gli duole, 26.115.4 e domandava pur: «Che vuol dir questo?». 26.115.5 Rispose Mazzarigi: «Così vuole 26.115.6 Macon, che a questa volta è disonesto; 26.115.7 e per tagliar più le parole corte, 26.115.8 sappi ch' io fuggo ed ho drieto la morte. 26.116.1 Orlando a Falseron tolse la vita 26.116.2 e Ricciardetto è venuto e Rinaldo, 26.116.3 e spezza il ferro e l' ossa e' nervi trita: 26.116.4 pensa se 'l campo si può tener saldo! 26.116.5 Però tutta la gente s' è fuggita». 26.116.6 Disse Marsilio: «Becco, can ribaldo, 26.116.7 o Macon crudelaccio e sanza fede, 26.116.8 maladetto sia tu e chi ti crede! 26.117.1 Io non t' adorerò più in Pagania, 26.117.2 traditor, ghiotto, pien d' ogni magagna! 26.117.3 Può fare il Ciel che qua Rinaldo sia? 26.117.4 Tu se' venuto per ogni campagna 26.117.5 accompagnarlo, come quel Tobia. 26.117.6 Ora aren noi rïavuta la Spagna! 26.117.7 Or sarà vendicato Ferraùe! 26.117.8 Maladetto sia egli e il Cielo e tue!». 26.118.1 Era Marsilio un uom che in suo segreto 26.118.2 credea manco nel Ciel che negli abissi: 26.118.3 bestemmiator, ma bestemmiava cheto; 26.118.4 pur questa volta volle ognuno udissi; 26.118.5 e se fu anche gentile e discreto, 26.118.6 come in altro cantar già dissi e scrissi, 26.118.7 io il dico un' altra volta, e parlo retto, 26.118.8 ché questo non emenda altro defetto: 26.119.1 ché e' sapeva anche simulare e fignere 26.119.2 castità, santimonia e devozione 26.119.3 e la sua vita per modo dipignere, 26.119.4 che il popol n' ebbe un tempo espettazione. 26.119.5 Ma perch' io sento la battaglia strignere, 26.119.6 diciàn che si dolea di Falserone 26.119.7 e bestemmiava il Ciel devotamente, 26.119.8 pur come io dissi, in modo ch' ognun sente: 26.120.1 «Sia maladetto il dì che il conte Gano 26.120.2 a Siragozza, quel malvagio, venne, 26.120.3 che mi mostrò di porre il cielo in mano, 26.120.4 dov' io credetti volar sanza penne; 26.120.5 che e' mi rendea la Spagna Carlo Mano 26.120.6 d' accordo, in pace. Oh, quante volte avvenne 26.120.7 che si ricorda un detto savio antico, 26.120.8 che l' uomo ha solo il meglio per nimico! 26.121.1 O Bianciardin, tu mi dicesti tanto, 26.121.2 allor ch' io vidi la fonte turbare: 26.121.3 ch' io mi dovessi confortare alquanto, 26.121.4 però che quel dovea significare 26.121.5 de' cristian solo il loro ultimo pianto; 26.121.6 dicesti ch' era il sangue che versare 26.121.7 e sparger si dovea de' cor cristiani: 26.121.8 ma pure alfin sarà quel de' pagani! 26.122.1 Ed io pur semplicetto fui e folle 26.122.2 e non credetti a tanti strani augùri, 26.122.3 che qualche deïtà benigna volle 26.122.4 ammaestrarmi de' casi futuri 26.122.5 sanza chiamar gli spirti nelle ampolle 26.122.6 e i nigromanti, a interpetrare oscuri. 26.122.7 Omè, che 'l ver m' apparve in chiaro specchio, 26.122.8 ma troppo a quel ch' i' volli posi orecchio! 26.123.1 Ed or tra male branche son condotto, 26.123.2 e Falserone è morto e più non posso; 26.123.3 il campo al primo assalto è quasi rotto, 26.123.4 e so che Carlo a furia sarà mosso 26.123.5 che il tradimento sentirà di botto, 26.123.6 tanto che tosto Ibero sarà rosso; 26.123.7 che e' mi par già veder di sangue sozza 26.123.8 e in pianti e strida ed urla Siragozza». 26.124.1 Intanto il gran tumulto de' cristiani 26.124.2 innanzi s' avea, messo a saccomanno, 26.124.3 il campo che fuggiva de' pagani, 26.124.4 come innanzi a' leon gli armenti fanno 26.124.5 o spesso in parco i cavrïuoli e i dani; 26.124.6 tal che le grida a' nugoli su vanno; 26.124.7 e sopra tutto Rinaldo gli caccia 26.124.8 e mentre uccide l' un, l' altro minaccia. 26.125.1 Quando Marsilio ha veduto venire 26.125.2 il campo suo così miseramente, 26.125.3 riprese, come disperato, ardire 26.125.4 e innanzi pinse tutta la sua gente, 26.125.5 e disse: «Io so che mi convien morire; 26.125.6 ma qualcun altro sarà ancor dolente!»; 26.125.7 sì che le schiere ambo scontrate sono 26.125.8 e rimbombava in ogni parte il suono. 26.126.1 Rinaldo quando e' fu nella battaglia, 26.126.2 gli parve essere in Ciel tra' cherubini 26.126.3 tra suoni e canti, e nel mezzo si scaglia 26.126.4 e minacciava que' can saracini: 26.126.5 «Tutti sarete straziati, canaglia!». 26.126.6 e cominciava a far de' moncherini 26.126.7 e mozziconi e uomini da sarti 26.126.8 e spesso appunto faceva due quarti. 26.127.1 E così dalla parte de' pagani 26.127.2 eran venuti con Marsilio innanzi 26.127.3 uomini degni e tanti capitani, 26.127.4 ch' io non credo con lor molto s' avanzi; 26.127.5 e faranno ben contro a' lor sovrani 26.127.6 e insegneranno a' Franciosi i romanzi, 26.127.7 forse la solfa della Margherita, 26.127.8 ch' ognuno alfin ci lascerà la vita. 26.128.1 Bianciardino avea seco Chiarïello 26.128.2 di Portogallo, un re famoso e forte, 26.128.3 Fieramonte di Balzia e il re Fiorello 26.128.4 e Balsamin, che è peggio che la morte, 26.128.5 che sarà pe' cristian mortal flagello; 26.128.6 e s' io non l' ho più detto, Buiaforte 26.128.7 v' era, figliuol già del famoso Veglio, 26.128.8 che facea forse, a non venirvi, il meglio. 26.129.1 Brusbacca v' era e il re Margheritonne 26.129.2 e Mattafirro, un feroce pagano, 26.129.3 che non si fe' più strazio d' Ateonne 26.129.4 quanto costui farà d' ogni cristiano; 26.129.5 e non sì lasci indrieto Sirïonne, 26.129.6 che porta un bastonaccio sconcio in mano: 26.129.7 questi eran tutti sotto una bandiera, 26.129.8 di Bianciardin nella seconda schiera. 26.130.1 E nella terza schiera vien davante, 26.130.2 sotto l' insegna dello iddio Macone, 26.130.3 Grandonio e l' Arcaliffa e Balugante 26.130.4 in compagnia del re Marsilïone 26.130.5 e Zambuger, che ancora è piccol fante 26.130.6 e vuol trovarsi al marzïale agone, 26.130.7 e molti gran baron là della Spagna, 26.130.8 tanto che molto è questa schiera magna. 26.131.1 E' si vedeva in manco d' un baleno 26.131.2 tante lance abbassate che e' parea 26.131.3 che tremi sotto a' cavalli il terreno, 26.131.4 tanta gente in un tratto si movea. 26.131.5 Taccia chi scrisse Canni o Transimeno, 26.131.6 ché Marte credo paura n' avea, 26.131.7 e Giuppitèr alla ròcca sua cresca 26.131.8 a questa volta più d' una bertesca. 26.132.1 Orlando disse: «Con Marsilïone 26.132.2 lasciate a me la battaglia, perch' io 26.132.3 lo tratterò come il suo Falserone 26.132.4 e pagherà de' suoi peccati il fio, 26.132.5 ché non crede il ribaldo anche in Macone 26.132.6 e speriurato ha nel Cielo ogni Iddio 26.132.7 come vero marran malvagio e fello»; 26.132.8 e tuttavolta va cercando quello. 26.133.1 Baldovin, che di Gano era figliuolo, 26.133.2 nella battaglia è con la spada entrato 26.133.3 e transcorreva a suo modo lo stuolo 26.133.4 de' saracin, ch' ognun s' era allargato, 26.133.5 tanto che spesso si ritruova solo: 26.133.6 della qual cosa e' s' è maravigliato 26.133.7 e non sapeva interpetrare il testo, 26.133.8 ché sua prodezza non dovea far questo. 26.134.1 Or chi vedessi il conte Anselmo il giorno, 26.134.2 cose vedrebbe inaüdite e nuove: 26.134.3 egli avea sempre assai pagan dintorno, 26.134.4 ma poi in un tratto gli mandava altrove; 26.134.5 a Sansonetto si faceva adorno 26.134.6 per la battaglia di mirabil pruove; 26.134.7 e Terigi anche venìa punzecchiando, 26.134.8 che si pascea de' rilievi d' Orlando. 26.135.1 Ulivier con la spada suona spesso 26.135.2 qualche bacino o qualche cemmamella, 26.135.3 e quanti saracin vengono appresso, 26.135.4 non portavan più oltre le cervella, 26.135.5 ché tutte saltan fuor del capo fesso; 26.135.6 tanto ch' a molti avanza briglia e sella 26.135.7 ed ognun fugge la furia di Vienna, 26.135.8 che con la spada quel dì non accenna. 26.136.1 Il valoroso duca d' Inghilterra 26.136.2 fece quel dì quel che in molti anni ferno 26.136.3 già molti cavalier mastri di guerra. 26.136.4 Oh, quanti saracin manda all' inferno! 26.136.5 Le strette schiere a sua posta disserra; 26.136.6 non si fe' mai di bestie tanto scherno. 26.136.7 E Berlinghier ritrovò Finadusto 26.136.8 con quel bastone all' usato pur giusto, 26.137.1 e benché molto con lui sia pitetto, 26.137.2 si ricordò della eccellenzia antica 26.137.3 e non potendo ferirlo all' elmetto, 26.137.4 perché e' gli aggiugne allo scudo a fatica, 26.137.5 alzò la spada insino al gorzaretto; 26.137.6 e se tu vuoi, lettor, che il ver si dica, 26.137.7 vedrai ch' io non ci levo e non ci abborro: 26.137.8 e' levò il capo che parve d' un porro. 26.138.1 Era il sangue alto insino alle ginocchia, 26.138.2 che correa già per la valle meschina; 26.138.3 e Ricciardetto col brando non crocchia 26.138.4 e molte volte a traverso sciorina, 26.138.5 e spicca i capi come una pannocchia 26.138.6 di panìco o di miglio o di saggina, 26.138.7 e non poteva a gnun modo star saldo. 26.138.8 Pensa quel dì quel che facea Rinaldo! 26.139.1 Del Monte a San Michel pose Matteo 26.139.2 la lancia alla visiera al re Fiorello 26.139.3 e prese appunto ove egli aveva un neo 26.139.4 e rïuscì di drieto pel cervello: 26.139.5 are' quel colpo atterrato anche Anteo; 26.139.6 pensa se cadde in su la terra quello! 26.139.7 Non si poteva por più appunto a sesta, 26.139.8 benché a molti altri forerà la testa. 26.140.1 Aveva il conte Anselmo il giorno seco 26.140.2 appresso sempre il buon duca Egibardo, 26.140.3 ch' a molti détte percosse di cieco 26.140.4 e spesso corse insino allo stendardo, 26.140.5 e disse: «Che di' tu, s' io te lo reco?». 26.140.6 e molto fu reputato gagliardo, 26.140.7 tanto che il campo in modo spaventava, 26.140.8 ch' ognun lo fugge come fera brava. 26.141.1 E' si vedea, dove combatte Orlando, 26.141.2 prima che il busso agli orecchi pervegna 26.141.3 della percossa, in su tornato il brando, 26.141.4 come avvien dell' accetta a qualche legna. 26.141.5 E Turpin più non veniva segnando 26.141.6 col granchio in man, ma con la spada segna, 26.141.7 ché non è tempo la croce or si mostri, 26.141.8 e infilza saracin per paternostri. 26.142.1 Gualtieri da Mulion pareva un drago 26.142.2 e Guottibuoffi non volea fuggire, 26.142.3 ma con la spada va crescendo il lago 26.142.4 e cerca sol come e' possi morire. 26.142.5 Ognun più che 'l tafàn di sangue è vago, 26.142.6 sì che quel verso si poteva dire, 26.142.7 per la battaglia e pel crudele scempio, 26.142.8 "Sangue sitisti, ed io di sangue t' empio". 26.143.1 Angiolin di Baiona e di Bellanda, 26.143.2 ognun feriva molto ardito e franco; 26.143.3 Ottone il campo scorrea d' ogni banda; 26.143.4 Avin non si tenea la spada al fianco; 26.143.5 Rinaldo tanti a Astarotte ne manda, 26.143.6 ch' egli è già tutto trafelato e stanco; 26.143.7 Avolio e Marco e 'l possente Riccardo 26.143.8 ognun parea, come egli era, gagliardo. 26.144.1 La battaglia veniva rinforzando 26.144.2 e in ogni parte apparisce la morte. 26.144.3 E mentre in qua ed in là combatte, Orlando 26.144.4 un tratto a caso trovò Buiaforte 26.144.5 e in su la testa gli détte col brando; 26.144.6 e perché l' elmo è temperato forte, 26.144.7 o forse incantato era, al colpo ha retto, 26.144.8 ma della testa gli balzò di netto. 26.145.1 Orlando prese costui per le chiome 26.145.2 e disse: «Dimmi, se non ch' io t' uccido, 26.145.3 di questo tradimento appunto e come; 26.145.4 e se tu il di', della morte ti fido; 26.145.5 e vo' che tu mi dica presto il nome». 26.145.6 Onde il pagan rispose con gran grido: 26.145.7 «Aspetta! Buiaforte (io te lo dico) 26.145.8 della Montagna, del Veglio tuo amico». 26.146.1 Orlando, quando intese il giovinetto, 26.146.2 subito al padre suo raffigurollo: 26.146.3 lasciò la chioma e poi l' abbracciò stretto 26.146.4 per tenerezza e coll' elmo baciollo, 26.146.5 e disse: «O Buiaforte, il vero hai detto: 26.146.6 il Veglio mio!», e da canto tirollo: 26.146.7 «Di questo tradimento dimmi appunto, 26.146.8 poi che così la fortuna m' ha giunto. 26.147.1 Ma ben ti dico, per la fede mia, 26.147.2 che di combatter con mia gente hai torto, 26.147.3 e so che il padre tuo, dovunque sia, 26.147.4 non ti perdona questo, così morto». 26.147.5 Buiaforte piangeva tuttavia; 26.147.6 poi disse: «Orlando mio, datti conforto! 26.147.7 Il mio signore a forza qua mi manda, 26.147.8 ed obbedir convien quel ch' e' comanda. 26.148.1 Io son della mia patria sbandeggiato; 26.148.2 Marsilio in corte sua m' ha ritenuto 26.148.3 e promesso rimettermi in istato: 26.148.4 io vo cercando consiglio ed aiuto, 26.148.5 poi ch' io sono da ognuno abandonato, 26.148.6 e per questa cagion qua son venuto; 26.148.7 e bench' i' mostri far grande schermaglia, 26.148.8 non ho morto nessun nella battaglia. 26.149.1 Io t' ho tanto per fama ricordare 26.149.2 sentito a tutto il mondo, che nel core 26.149.3 sempre poi t' ebbi e mi puoi comandare; 26.149.4 e so del padre mio l' antico amore. 26.149.5 Del tradimento, tu tel puoi pensare: 26.149.6 sai che Gano e Marsilio è traditore; 26.149.7 e so per discrezion tu intendi bene 26.149.8 che tanta gente per tua morte viene. 26.150.1 E Baldovin di Marsilio ha la vesta, 26.150.2 ché così il vostro Gano ha ordinato: 26.150.3 vedi che ignun non gli pon lancia in resta, 26.150.4 ché il signor nostro ce l' ha comandato». 26.150.5 Disse Orlando: «Rimetti l' elmo in testa 26.150.6 e torna alla battaglia al modo usato. 26.150.7 Vedren che seguirà; tanto ti dico: 26.150.8 ch' io t' arò sempre, come il Veglio, amico». 26.151.1 Poi disse: «Aspetta un poco: intendi saldo, 26.151.2 ché non ti punga qualche strana ortica: 26.151.3 sappi ch' egli è nella zuffa Rinaldo: 26.151.4 guarda che il nome per nulla non dica, 26.151.5 che non dicessi in quella furia caldo: 26.151.6 "Dunque tu se' dalla parte nimica?", 26.151.7 sì che tu giuochi netto, destro e largo, 26.151.8 che ti bisogna aver qui gli occhi d' Argo». 26.152.1 Rispose Buiaforte: «Bene hai detto. 26.152.2 Se la battaglia passerà a tuo modo, 26.152.3 ti mosterrò che amico son perfetto 26.152.4 come fu il padre mio, ch' ancor ne godo». 26.152.5 Ma perché il tempo a tante cose è stretto, 26.152.6 noi faren punto alla materia e nodo, 26.152.7 che sarà piena d' angoscia e di pianto, 26.152.8 con l' aiuto del Ciel, nell' altro canto.
CANTO XXVII
27.1.1 Come posso io cantar più rime o versi, 27.1.2 Signor, che m' hai condotto a scriver cose 27.1.3 che per pietà il sol par lacrime versi 27.1.4 e già son le sue luce tenebrose? 27.1.5 Tu vedrai tutti i tuoi cristian dispersi 27.1.6 e tante lance e spade sanguinose, 27.1.7 che s' altro aiuto qui non si dimostra, 27.1.8 sarà pur tragedìa la istoria nostra. 27.2.1 Ed io pur comedìa pensato avea 27.2.2 iscriver del mio Carlo finalmente, 27.2.3 ed Alcuïn così mi promettea; 27.2.4 ma la battaglia crudele al presente, 27.2.5 che s' apparecchia impetüosa e rea, 27.2.6 mi fa pur dubitar drento alla mente, 27.2.7 e vo con la ragion qui dubitando, 27.2.8 perch' io non veggo da salvare Orlando. 27.3.1 E benché e' sia sopraggiunto Rinaldo 27.3.2 e Ricciardetto, tuttavolta io temo, 27.3.3 né posso ancor giudicio dar qui saldo, 27.3.4 ché non si vuol conducer mai in estremo. 27.3.5 Marsilio è tanto cattivo ribaldo, 27.3.6 che e' farà forza di vela e di remo, 27.3.7 ché vincere o morir qui gli bisogna, 27.3.8 se non che il danno abbraccia la vergogna. 27.4.1 Orlando poi che e' lasciò Buiaforte, 27.4.2 pargli mill' anni trovar Baldovino, 27.4.3 che cerca pure e non truova la morte, 27.4.4 e ricognobbe il caval Vegliantino 27.4.5 per la battaglia e va correndo forte 27.4.6 dove era Orlando, e diceva il meschino: 27.4.7 «Sappi ch' io ho fatto oggi il mio dovuto 27.4.8 e contra me nessun mai è venuto. 27.5.1 Molti pagani ho pur fatti morire: 27.5.2 però quel che ciò sia pensar non posso, 27.5.3 se non ch' io veggo la gente fuggire». 27.5.4 Rispose Orlando: «Tu ti fai ben grosso 27.5.5 di questo fatto! S' tu ti vuoi chiarire, 27.5.6 la sopravvesta ti cava di dosso: 27.5.7 vedrai che Gan, come tu te la cavi, 27.5.8 ci ha venduti a Marsilio per ischiavi». 27.6.1 Rispose Baldovin: «Se il padre mio 27.6.2 ci ha qui condotti come traditore, 27.6.3 s' i' posso oggi campar, pel nostro Iddio, 27.6.4 con questa spada passerògli il core! 27.6.5 Ma traditore, Orlando, non sono io, 27.6.6 ch' io t' ho seguìto con perfetto amore. 27.6.7 Non mi potesti dir maggiore ingiuria». 27.6.8 Poi si stracciò la vesta con gran furia, 27.7.1 e disse: «Io tornerò nella battaglia, 27.7.2 poi che tu m' hai per traditore scorto. 27.7.3 Io non son traditor, se Dio mi vaglia! 27.7.4 Non mi vedrai più oggi se non morto». 27.7.5 E inverso l' oste de' pagan si scaglia, 27.7.6 dicendo sempre: «Tu m' hai fatto torto». 27.7.7 Orlando si pentea d' aver ciò detto, 27.7.8 ché disperato vide il giovinetto. 27.8.1 Per la battaglia correa Baldovino 27.8.2 e riscontrò quel crudel Mazzarigi, 27.8.3 e disse: «Tu se' qui, can saracino, 27.8.4 per distrugger la gente di Parigi? 27.8.5 O marran rinnegato paterino, 27.8.6 tu sarai presto giù ne' bassi Stigi»; 27.8.7 e trasse con la spada in modo a questo, 27.8.8 che lo mandò dove egli disse, presto. 27.9.1 Fece Marsilio, come dotto e saggio, 27.9.2 uno squadron ristretto di pagani, 27.9.3 uomini tutti ch' avevon coraggio, 27.9.4 e cominciorno a strignere i cristiani, 27.9.5 sì che del campo piglioron vantaggio. 27.9.6 Quivi eran tutti quanti i capitani 27.9.7 e sopra tutti un infernal demonio, 27.9.8 ch' io dissi prima appellato Grandonio. 27.10.1 E per ventura trovò Sansonetto 27.10.2 che combatteva al conte Orlando appresso 27.10.3 e cavògli la muffa dall' elmetto, 27.10.4 ché il capo gli ha come una zucca fesso; 27.10.5 e come e' cadde in terra il giovinetto, 27.10.6 Gualtieri da Mulion quivi s' è messo 27.10.7 per vendicar, se potea, la sua morte; 27.10.8 ma non potea, ché non è tanto forte. 27.11.1 Ulivier s' accostòe con Altachiara 27.11.2 e trasse al saracin di molte botte, 27.11.3 che col bastone ogni cosa ripara, 27.11.4 ed aveva a Gualtier le spalle rotte, 27.11.5 tanto che e' cadde per la pena amara 27.11.6 e innanzi vespro gli parve di notte: 27.11.7 sì che Grandonio col baston fa fiacco, 27.11.8 che par quel d' Ercul quando uccise Cacco. 27.12.1 Orlando in altra parte combatteva 27.12.2 e Sansonetto non avea veduto; 27.12.3 ed Ulivieri alla fine ne leva 27.12.4 tal, che bisogna a questa volta aiuto 27.12.5 perché la scrima nïente valeva. 27.12.6 Intanto quivi Marsilio è venuto, 27.12.7 e mentre innanzi il suo cavallo sprona, 27.12.8 si riscontrò col signor di Baiona. 27.13.1 Angiolin non aveva in man la lancia, 27.13.2 sì che Marsilio allo scudo gli porse 27.13.3 un colpo tal che gli passa la pancia. 27.13.4 Orlando, poi che in più luoghi soccorse, 27.13.5 di qua, di là, la sua gente di Francia, 27.13.6 di Sansonetto alla fine s' accorse 27.13.7 e domandò Terigi ove sia quello, 27.13.8 né sa che morto è questo meschinello. 27.14.1 Disse Terigi: «E' combatteva dianzi 27.14.2 dove tu vedi quella gente stretta». 27.14.3 Orlando sprona Vegliantino innanzi 27.14.4 e dove e' vede il marchese si getta, 27.14.5 ch' era già al resto, all' ultimo e gli avanzi, 27.14.6 però che v' era corso con gran fretta 27.14.7 Marsilio e l' Arcaliffa e Zambugeri, 27.14.8 e tutti son dintorno a Ulivieri. 27.15.1 Quando Orlando Ulivier vide soletto, 27.15.2 maravigliossi che e' si difendea; 27.15.3 e Vegliantin gli metteva sospetto, 27.15.4 perché più oltre passar non volea 27.15.5 per non porre i pie' addosso a Sansonetto. 27.15.6 Ma quando Orlando lo ricognoscea, 27.15.7 gridò: «Fortuna, tu m' hai fatto torto!». 27.15.8 Disse Ulivier: «Questo ghiotton l' ha morto». 27.16.1 Quando Grandonio questo gergo intese, 27.16.2 e' si fuggì che non fuggì mai vento; 27.16.3 Marsilio e gli altri lasciorno il marchese, 27.16.4 perché tutti d' Orlando hanno spavento. 27.16.5 Orlando, poi che del cavallo scese, 27.16.6 di Sansonetto facea gran lamento; 27.16.7 poi lo cavò tra quella gente morta, 27.16.8 sì che Terigi al padiglion nel porta. 27.17.1 Astolfo andava pel campo scorrendo 27.17.2 e riscontrossi con re Balsamino, 27.17.3 e finalmente, l' un l' altro ferendo, 27.17.4 un colpo trasse quel can saracino 27.17.5 un tratto ' Astolfo, non se n' avvedendo, 27.17.6 che la spada gli entrò pel gorzarino 27.17.7 e rïuscì di drieto per la nuca, 27.17.8 tanto che morto lo mandò alla buca. 27.18.1 Poi riscontrò quel pagan maladetto 27.18.2 nella battaglia Angiolin di Bellanda 27.18.3 e con un colpo gl' intronò l' elmetto 27.18.4 e come morto per terra lo manda. 27.18.5 Intanto quivi giugnea Ricciardetto 27.18.6 ed Angiolino a lui si raccomanda 27.18.7 e per l' angoscia a fatica favella, 27.18.8 e Ricciardetto lo ripose in sella. 27.19.1 Orlando aveva morto Chiarïello 27.19.2 in questo tempo, re di Portogallo, 27.19.3 e Fieramonte accompagnato ha quello; 27.19.4 e in quella parte rivolse il cavallo. 27.19.5 Astolfo giacea morto, il meschinello; 27.19.6 Avino aveva veduto cascallo 27.19.7 e veniva a cercar di far vendetta, 27.19.8 ma non poteva aprir la calca stretta. 27.20.1 Orlando giunse e con gran furia aprilla 27.20.2 e fe' de' saracin di sangue un golfo, 27.20.3 ché Durlindana ogni volta sfavilla, 27.20.4 tanto che acceso si sarebbe il zolfo; 27.20.5 e parve un toro bravo quando assilla, 27.20.6 quando e' vedeva in su la terra Astolfo, 27.20.7 ché sempre amato assai l' aveva in vita, 27.20.8 e pensa pur come la cosa è ita; 27.21.1 e ben cognobbe come Balsamino 27.21.2 ucciso aveva il duca d' Inghilterra. 27.21.3 Intanto si fe' incontra il saracino 27.21.4 ed una punta per modo disserra 27.21.5 ch' egli arebbe forato il serpentino; 27.21.6 ma questa volta la scrima sua erra, 27.21.7 però che Orlando nella prima giunta 27.21.8 con Durlindana gli levò la punta. 27.22.1 E non gli aveva Chiron insegnato 27.22.2 tanto che basti, ch' ogni scrima è invano: 27.22.3 Orlando aveva l' occhio in ogni lato 27.22.4 e terminò di tagliargli la mano, 27.22.5 e trasse un colpo in modo misurato, 27.22.6 che Balsamin non se lo truova sano: 27.22.7 perché le dita gli tagliava tutte, 27.22.8 salvo che al primo resta il gammautte; 27.23.1 e non potrà, se volessi fare ora, 27.23.2 levar più d' un con la mano o dir sette 27.23.3 al giuoco delle corna o della mora 27.23.4 o nasconder più in quella le buschette. 27.23.5 Avin soggiunse e con la spada ancora 27.23.6 un vecchio colpo all' elmetto gli détte, 27.23.7 tanto che in terra se n' andòe cadavero, 27.23.8 ché il capo gli spiccò come un papavero. 27.24.1 Rinaldo ritrovò quel Buiaforte; 27.24.2 al mio parer ch' e' sarebbe scoppiato 27.24.3 se non avessi trovato la morte; 27.24.4 e come e' gli ebbe a parlar cominciato 27.24.5 del re Marsilio e di stare in sua corte, 27.24.6 Rinaldo gli rispose infurïato: 27.24.7 «Chi non è meco, avverso me sia detto!» 27.24.8 e cominciògli a trassinar l' elmetto; 27.25.1 e trasse un mandiritto e due e tre 27.25.2 con tanta furia, e quattro e cinque e sei, 27.25.3 ch' e' non ebbe agio a domandar merzé 27.25.4 e morto cadde sanza dire «Omèi»: 27.25.5 e così Buiaforte il peggio fe'; 27.25.6 e Squarciaferro co' suoi farisei, 27.25.7 come l' anima uscì del corpo fore, 27.25.8 parve che un pollo ciuffassi un astore. 27.26.1 Ricciardetto era a Rinaldo daccanto 27.26.2 e non si potre' dir quel ch' egli ha fatto, 27.26.3 e dove e' crede acquistar gloria o vanto, 27.26.4 e' si chiudea come un uccel di ratto, 27.26.5 benché le starne gli dànno nel guanto. 27.26.6 E Turpino ancor salta come un gatto 27.26.7 e non si può tener con cento strambe 27.26.8 e spicca nasi, orecchi e mane e gambe. 27.27.1 Grandonio aveva trovato un bel giuoco: 27.27.2 egli aveva un baston come una trave, 27.27.3 tanto che l' arme e' le stimava poco; 27.27.4 e chi l' aspetta per natura grave, 27.27.5 un vespro canta che rimanea fioco 27.27.6 e muto e sordo e smarrisce la chiave. 27.27.7 Ma tanto infine poi s' andò aggirando, 27.27.8 ch' un tratto pur l' ha ritrovato Orlando; 27.28.1 e gridò: «Guârti, ghiotton maladetto, 27.28.2 ché d' aver morto non ti vanterai 27.28.3 il mio più caro amico, Sansonetto; 27.28.4 ma nello inferno la istoria dirai. 27.28.5 Non mi potevi far maggior dispetto! 27.28.6 Can, fi' di can, tu te ne penterai! 27.28.7 Volgiti a me; dunque tu vuoi fuggire? 27.28.8 Cocchin pagliardo, e' ti convien morire». 27.29.1 Grandonio, perché Orlando avea veduto, 27.29.2 volse fuggir, ché morto giudicossi, 27.29.3 e per paura ogni orgoglio è caduto. 27.29.4 Ma innanzi a Vegliantin fuggir non puossi, 27.29.5 ché tigre o pardo, anzi un uccel pennuto 27.29.6 non credo a tempo a questa volta fossi; 27.29.7 parea che il suo signor quello intendessi, 27.29.8 che Sansonetto vendicar volessi. 27.30.1 E se fussi in quel punto lo iddio Marte 27.30.2 per aiutar Grandonio in terra sceso 27.30.3 armato in sul caval da ogni parte, 27.30.4 e' non l' arebbe alla fine difeso 27.30.5 né per sua deïtà, né forza o arte: 27.30.6 tanto si tien di Sansonetto offeso 27.30.7 Orlando, che la spada aveva stretta, 27.30.8 gridando forte ancor: «Malfusso, aspetta!». 27.31.1 E come il saracin fermo si volse, 27.31.2 alzò la spada in alto quanto e' puote 27.31.3 e sopra l' elmo a traverso gli colse, 27.31.4 tanto che tutte divide le gote 27.31.5 e 'l petto e 'l corpo, onde l' anima sciolse; 27.31.6 e poi la spada la sella percuote, 27.31.7 sì che pel mezzo ricise il cavallo. 27.31.8 Ma Vegliantin fe' questa volta fallo; 27.32.1 perché la spada con tal forza viene, 27.32.2 che bisognòe per forza inginocchiarsi, 27.32.3 tanto che quasi si ruppe le rene; 27.32.4 e non poteva alla fine rizzarsi, 27.32.5 ché Durlindana confitta lo tiene, 27.32.6 ch' un braccio e mezzo si vide ficcarsi 27.32.7 in su 'n un sasso che sotterra truova: 27.32.8 per la qual cosa Vegliantin giù cova. 27.33.1 E con fatica Orlando la ritrasse, 27.33.2 e gridòe: «Vegliantin, che hai tu fatto?», 27.33.3 tal che e' parve il caval si vergognasse 27.33.4 e saltò in quattro destro come un gatto. 27.33.5 Credo che il Cielo Orlando suo aiutasse 27.33.6 per grazia come e' fe' già più d' un tratto, 27.33.7 ch' aiuta sempre i buon, quando e' bisogna: 27.33.8 però non sia, quel ch' io dico, menzogna. 27.34.1 Orlando fe' da Grandonio partita 27.34.2 per la battaglia, sospirando forte, 27.34.3 ché non aveva renduto la vita 27.34.4 a Sansonetto però la sua morte; 27.34.5 e parea quando l' orsacchia accanita 27.34.6 abbatte i rami e sforza le ritorte 27.34.7 ed ogni cosa si reca in dispetto; 27.34.8 e gran vendetta fe' di Sansonetto. 27.35.1 E per ventura Marsilio vedea, 27.35.2 ed una lancia a un pagano arrappa, 27.35.3 ché il cor con essa passar gli volea. 27.35.4 Ma intanto un altro dinanzi gl' incappa, 27.35.5 sì che la lancia nel petto giugnea, 27.35.6 tal che di drieto rïesce la nappa, 27.35.7 e passa il corpo a un altro e la milza, 27.35.8 e così fece di due una filza. 27.36.1 Poi disse al re Marsilio: «Il tempo è giunto 27.36.2 a punir te dell' opere tue ladre, 27.36.3 perché tu meritasti un capresto unto 27.36.4 mentre tu eri in corpo di tua madre». 27.36.5 Ma Zambuger, che intese il caso appunto, 27.36.6 volle coprir con lo scudo il suo padre; 27.36.7 ma Durlindana il trattò come ghiaccio, 27.36.8 sì che lo scudo gli tagliava e il braccio. 27.37.1 Zambuger cadde per la pena in terra 27.37.2 e calpestato fu poi, meschinello; 27.37.3 il qual, nuovo tiron, questa volta erra, 27.37.4 però ch' egli era un semplicetto agnello 27.37.5 con un bravo leon ch' ognuno atterra. 27.37.6 Marsilio sparì via come un uccello 27.37.7 o come cervio spaventato in caccia; 27.37.8 e Zambuger non farà più alle braccia. 27.38.1 Fece Marsilio del braccio cercare, 27.38.2 acciò che questa reliquia devota 27.38.3 per le moschee si potessi mostrare 27.38.4 (non so s' ognun che legge intende e nota), 27.38.5 e comincia Fortuna a bestemmiare, 27.38.6 che non volgeva a suo modo la ruota, 27.38.7 Apollin, Belfagor e la sua setta, 27.38.8 e minacciava di farne vendetta. 27.39.1 Ma non so come e' sarà vendicato, 27.39.2 ché poco il dì si partì poi da bomba, 27.39.3 tanto era ancor d' Orlando impaürato: 27.39.4 credo più tosto vorrebbe una fromba 27.39.5 (come disse Trason già col suo Gnato) 27.39.6 per trar discosto al sicuro la romba; 27.39.7 perché quanto è più il traditor sottile, 27.39.8 tanto più sempre per natura è vile. 27.40.1 Un cerchio immaginato ci bisogna 27.40.2 a voler ben la spera contemplare: 27.40.3 così, chi intender questa istoria agogna, 27.40.4 conviensi altro per altro immaginare, 27.40.5 perché qui non si canta e finge e sogna: 27.40.6 venuto è il tempo da filosofare; 27.40.7 non passerà la mia barchetta Lete, 27.40.8 che forse su Misen vi sentirete. 27.41.1 Ma perché e' c' è d' una ragion cicale, 27.41.2 ch' io l' ho proprio agguagliate all' indïane, 27.41.3 che cantan d' ogni tempo e dicon male, 27.41.4 voi che leggete queste cose strane, 27.41.5 andate drieto al senso litterale 27.41.6 e troverretel per le strade piane: 27.41.7 ch' io non m' intendo di vostro anagogico, 27.41.8 o morale, o le more, o tropologico. 27.42.1 In questo tempo il re Margheritonne 27.42.2 con la sua scimitarra non ischerza; 27.42.3 ed avea seco quel gran Sirïonne 27.42.4 con un baston ch' ognun fugge alla terza; 27.42.5 per che i cristiani impaüriti sonne 27.42.6 come il cane al sonaglio della sferza, 27.42.7 ché si sentia le catene e le palle 27.42.8 sempre quel dì sopra gli elmi sonalle. 27.43.1 Uccise questo Angiolin di Bellanda 27.43.2 d' una percossa che fu sì crudele 27.43.3 che 'l capo gli schiacciò come una ghianda, 27.43.4 e Marco e il suo fratel da San Michele. 27.43.5 Rinaldo è capitato in quella banda 27.43.6 per aiutare il suo popol fedele: 27.43.7 vede costui che menava la mazza 27.43.8 e molta gente crudelmente ammazza, 27.44.1 e grida: «Ah saracin, che vuoi tu fare? 27.44.2 Se' tu venuto qua con una antenna 27.44.3 per voler nostre gente mazzicare? 27.44.4 Volgiti a me, ché la Morte t' accenna»: 27.44.5 poi lasciava Frusberta scaricare 27.44.6 e spezza l' elmo e truova la cotenna 27.44.7 e parte il teschio e 'l collo e passa l' omero 27.44.8 e divise costui come un cocomero. 27.45.1 Margheriton con gran furor si getta 27.45.2 addosso al prenze e credette aiutallo; 27.45.3 Rinaldo il capo pel mezzo gli affetta 27.45.4 come si parte una noce col mallo, 27.45.5 poi rovina la spada con gran fretta 27.45.6 e trovava la testa del cavallo, 27.45.7 tanto che morto col signor suo cade, 27.45.8 perché Frusberta non taglia, anzi rade. 27.46.1 Bianciardin con gran gente venne avante, 27.46.2 e Galleran, Mattafirro e Fidasso, 27.46.3 l' Arcaliffa famoso e Balugante, 27.46.4 Brusbacca il sire e Malducco di Frasso 27.46.5 ed alcun capitano ed amirante; 27.46.6 e cominciossi avvïare un fracasso, 27.46.7 che par che caggi o ruini la torre 27.46.8 di Babel già, sì ch' ognun quivi corre. 27.47.1 Orlando corse alle grida e 'l romore 27.47.2 e trovò Baldovino, il poveretto, 27.47.3 ch' era già presso all' ultime sue ore 27.47.4 e da due lance avea passato il petto; 27.47.5 e disse: «Or non sono io più traditore!», 27.47.6 e cadde in terra morto, così detto: 27.47.7 della qual cosa duolsi Orlando forte, 27.47.8 e pianse esser cagion della sua morte. 27.48.1 E fece al padiglion portarlo via; 27.48.2 poi si scagliò dove Rinaldo vide 27.48.3 che con la spada gran cose facìa 27.48.4 e dove il popol de' pagan più stride 27.48.5 per la battaglia sanguinosa e ria, 27.48.6 benché la parte de' cristian non ride. 27.48.7 Chi grida: «Carne!», e chi grida: «Vendetta!»: 27.48.8 verso questo tumulto ognun si getta. 27.49.1 Quivi correva il buon duca Egibardo, 27.49.2 Anselmo, Avino, Avolio e Guottibuoffi 27.49.3 e Berlinghieri ed Ottone e Riccardo: 27.49.4 ognun vuol la sua parte degl' ingoffi; 27.49.5 e Ricciardetto par tanto gagliardo, 27.49.6 che i miglior cavalier parevon goffi; 27.49.7 e sopra tutto il buon Turpin di Rana 27.49.8 i saracin come i mattoni spiana. 27.50.1 E' si vedeva tante spade e mane, 27.50.2 tante lance cader sopra la resta, 27.50.3 e' si sentia tante urle e cose strane, 27.50.4 che si poteva il mar dire in tempesta. 27.50.5 Tutto il dì tempelloron le campane, 27.50.6 sanza saper chi suoni a morto o festa; 27.50.7 sempre tuon sordi con baleni a secco 27.50.8 e per le selve rimbombar poi Ecco. 27.51.1 E' si sentiva in terra e in aria zuffa, 27.51.2 perché Astarotte, non ti dico come, 27.51.3 e Farferello ognun l' anime ciuffa: 27.51.4 e' n' avean sempre un mazzo per le chiome 27.51.5 e facean pur la più strana baruffa, 27.51.6 e spesso fu d' alcun sentito il nome: 27.51.7 «Lascia a me il tale; a Belzebù lo porto». 27.51.8 L' altro diceva: «È Marsilio ancor morto? 27.52.1 E' ci farà stentar prima che muoia. 27.52.2 Non gli ha Rinaldo ancor forbito il muso, 27.52.3 che noi portian giù l' anima e le cuoia». 27.52.4 O Ciel, tu par' questa volta confuso! 27.52.5 O battaglia crudel, qual Roma o Troia! 27.52.6 Questa è certo più là che al mondano uso. 27.52.7 Il sol pareva di fuoco sanguigno 27.52.8 e così l' aire d' un color maligno. 27.53.1 Credo ch' egli era più bello a vedere 27.53.2 certo gli abissi il dì, che Runcisvalle; 27.53.3 ch' e' saracin cadevon come pere 27.53.4 e Squarciaferro gli portava a balle; 27.53.5 tanto che tutte l' infernal bufere 27.53.6 occupan questi, ogni roccia, ogni calle 27.53.7 e le bolge e gli spaldi e le meschite, 27.53.8 e tutta in festa è la città di Dite. 27.54.1 Lucifero avea aperte tante bocche 27.54.2 che pareva quel giorno i corbacchini 27.54.3 alla imbeccata e trangugiava a ciocche 27.54.4 l' anime che piovean de' saracini, 27.54.5 che par che neve monachina fiocche 27.54.6 come cade la manna a' pesciolini: 27.54.7 non domandar se raccoglieva i bioccoli 27.54.8 e se ne fece gozzi d' anitroccoli! 27.55.1 E' si faceva tante chiarentane, 27.55.2 che ciò ch' io dico è disopra una zacchera; 27.55.3 e non dura la festa mademane, 27.55.4 crai e postcrai e postcrigno e postquacchera, 27.55.5 come spesso alla vigna le Romane; 27.55.6 e chi sonava tamburo e chi nacchera, 27.55.7 baldosa e cicutrenna e zufoletti, 27.55.8 e tutti affusolati gli scambietti. 27.56.1 E Runcisvalle pareva un tegame 27.56.2 dove fussi di sangue un gran mortito, 27.56.3 di capi e di peducci e d' altro ossame 27.56.4 un certo guazzabuglio ribollito, 27.56.5 che pareva d' inferno il bulicame 27.56.6 che innanzi a Nesso non fusse sparito; 27.56.7 e 'l vento par certi sprazzi avviluppi 27.56.8 di sangue in aria con nodi e con gruppi. 27.57.1 La battaglia era tutta paonazza, 27.57.2 sì che il Mar Rosso pareva in travaglio, 27.57.3 ch' ognun per parer vivo si diguazza: 27.57.4 e si poteva gittar lo scandaglio 27.57.5 per tutto, in modo nel sangue si guazza, 27.57.6 e poi guardar, come e' suol l' ammiraglio 27.57.7 ovver nocchier, se cognosce la fonda, 27.57.8 ché della valle trabocca ogni sponda. 27.58.1 Credo che Marte di sangue ristucco 27.58.2 a questa volta chiamar si potea; 27.58.3 e sopra tutto Rinaldo era il cucco, 27.58.4 ché con la spada a suo modo facea. 27.58.5 Orlando intanto ha trovato Malducco, 27.58.6 che Berlinghieri ed Otton morto avea; 27.58.7 ma questa morte gli saprà di lezzo, 27.58.8 ché Durlindana lo tagliò pel mezzo. 27.59.1 Ed Ulivier riscontrava Brusbacca, 27.59.2 che per lo stormo combatteva forte, 27.59.3 e 'l capo e l' elmo a un tratto gli fiacca; 27.59.4 ma non sapea ch' egli ha presso la morte, 27.59.5 ché l' Arcaliffa, intanto, di Baldacca 27.59.6 lo sopraggiunse, per disgrazia o sorte, 27.59.7 a tradimento e la spada gli mise 27.59.8 nel fianco sì che alla fine l' uccise. 27.60.1 Ulivier, come ardito, invitto e franco, 27.60.2 si volse indrieto e vide il traditore 27.60.3 che ferito l' avea dal lato manco, 27.60.4 e gridò forte: «O crudel peccatore, 27.60.5 a tradimento mi désti nel fianco 27.60.6 per riportar come tu suoli onore: 27.60.7 questa sia sempiterna egregia lalde 27.60.8 del re Marsilio e sue gente ribalde»; 27.61.1 e trasse d' Altachiara con tanta ira, 27.61.2 che gli spezzò l' elmetto e le cervella, 27.61.3 sì che del saracin l' anima spira, 27.61.4 ché tutto il fésse insino in su la sella; 27.61.5 e come cieco pel campo s' aggira 27.61.6 e con la spada percuote e martella, 27.61.7 ma non sapea dove e' si meni il brando, 27.61.8 e non vorrebbe anche saperlo Orlando. 27.62.1 Orlando aveva il marchese sentito 27.62.2 e come il veltro alle grida si mosse. 27.62.3 Ulivier tanto sangue gli era uscito, 27.62.4 che non vedeva in che luogo e' si fosse; 27.62.5 tanto che Orlando in su l' elmo ha ferito, 27.62.6 che non sentì mai più simil percosse, 27.62.7 e disse: «Che fai tu, cognato mio? 27.62.8 Ora hai tu rinnegato il nostro Iddio?». 27.63.1 Disse Ulivier: «Perdonanza ti chieggio, 27.63.2 s' io t' ho ferito, o mio signore Orlando: 27.63.3 sappi che più nïente lume veggio, 27.63.4 sì ch' io non so dove io mi meni il brando, 27.63.5 se non che presso alla morte vaneggio, 27.63.6 tanto sangue ho versato e vo versando; 27.63.7 ché l' Arcaliffa m' ha ferito a torto, 27.63.8 quel traditor; ma di mia man l' ho morto». 27.64.1 Gran pianto Orlando di questo facea, 27.64.2 perché molto Ulivier gli era nel core, 27.64.3 e la battaglia perduta vedea 27.64.4 e maladiva il pagan traditore. 27.64.5 Ed Ulivier, così orbo, dicea: 27.64.6 «Se tu mi porti, come suoli, amore, 27.64.7 menami ancor tra la gente più stretta: 27.64.8 non mi lasciar morir sanza vendetta». 27.65.1 Rispose Orlando: «Sanza te non voglio 27.65.2 viver quel poco che di vita avanza: 27.65.3 io ho perduto ogni ardir, ogni orgoglio, 27.65.4 sì ch' io non ho più di nulla speranza; 27.65.5 e perch' io t' amo, Ulivier, come io soglio, 27.65.6 vienne con meco a mostrar tua possanza, 27.65.7 una morte, una fede, un voler solo». 27.65.8 Poi lo menò nel mezzo dello stuolo. 27.66.1 Ulivier sendo nella pressa entrato, 27.66.2 come e' soleva la gente rincalcia 27.66.3 e par che tagli dell' erba del prato 27.66.4 da ogni parte menando la falcia, 27.66.5 ché combatteva come disperato 27.66.6 e pota e tonda e scapezzava e stralcia 27.66.7 e in ogni luogo faceva una piazza, 27.66.8 ché come gli orbi girava la mazza. 27.67.1 E tanto insieme per lo stormo vanno 27.67.2 Orlando ed Ulivier ferendo forte, 27.67.3 che molti saracin traboccar fanno. 27.67.4 Ma Ulivier già presso era alla morte; 27.67.5 e poi che il padiglion ritrovato hanno, 27.67.6 diceva Orlando: «Io vo' che ti conforte: 27.67.7 aspetta, Ulivier mio, che a te ritorno, 27.67.8 ché in su quel poggio vo a sonare il corno». 27.68.1 Disse Ulivieri: «Omai non ti bisogna: 27.68.2 l' anima mia da me già vuol partire, 27.68.3 ché ritornare al suo Signore agogna». 27.68.4 E non poté le parole espedire, 27.68.5 come chi parla molte volte e sogna, 27.68.6 e bisognòe quel che e' voleva dire 27.68.7 per discrezion intender: che Alda bella 27.68.8 raccomandar volea, la sua sorella. 27.69.1 Orlando, sendo spirato il marchese, 27.69.2 parvegli tanto solo esser rimaso, 27.69.3 che di sonar per partito pur prese, 27.69.4 acciò che Carlo sentissi il suo caso; 27.69.5 e sonò tanto forte, che lo intese, 27.69.6 e 'l sangue uscì per la bocca e pel naso, 27.69.7 dice Turpino, e che il corno si fésse 27.69.8 la terza volta ch' a bocca sel messe. 27.70.1 Il caval d' Ulivier nïente aspetta 27.70.2 e ritornò nel campo tra' pagani 27.70.3 come chi fa del suo signor vendetta, 27.70.4 e morde per tre lupi e per sei cani 27.70.5 e molta gente co' calci rassetta 27.70.6 e con le zampe s' arrosta i tafani. 27.70.7 Ma Ricciardetto, come vide questo, 27.70.8 giudicò d' Ulivieri il caso presto. 27.71.1 Rinaldo la battaglia ancor teneva: 27.71.2 Balugante e Marsilio era fuggito, 27.71.3 il qual con Bianciardin fece alto leva 27.71.4 come il corno d' Orlando ebbe sentito, 27.71.5 e drento nella mente si rodeva, 27.71.6 che del suo Zambugeri nulla ha udito, 27.71.7 qual per febbre leon si rode in gabbia: 27.71.8 dunque giusto martìr par la sua rabbia. 27.72.1 Era tanto il terror ch' avean d' Orlando 27.72.2 i saracin, che assai fuggiti sono 27.72.3 per la campagna e per le selve, quando 27.72.4 sentito fu questo terribil suono. 27.72.5 Dice Turpin che per l' aria volando 27.72.6 molti uccelli stordirono a quel tuono, 27.72.7 e maraviglia non fu Carlo udissi, 27.72.8 che si pensò che la terra s' aprissi. 27.73.1 Or quel che fece allo estremo Rinaldo 27.73.2 non ardisce narrar più la mia penna, 27.73.3 ché pareva un serpente irato in caldo 27.73.4 e questo e l' altro e poi quello scotenna 27.73.5 e ributtava quel popol ribaldo 27.73.6 (e non sapea del marchese di Vienna) 27.73.7 e rompe e fiacca e sdruce e smaglia e straccia 27.73.8 e con gran furia innanzi se gli caccia. 27.74.1 Baiardo ritto le zampe menava 27.74.2 e come l' orso fa scostare i cani; 27.74.3 talvolta un braccio o la coscia ciuffava, 27.74.4 e sgretola quelle ossa de' pagani 27.74.5 come pan fresco che allotta si cava: 27.74.6 non fur tanto crudel mai tigri ircani; 27.74.7 con tanta rabbia mordeva e dimembra, 27.74.8 tanto che Ecùba forsennata sembra. 27.75.1 E Ricciardetto facea cose ancora, 27.75.2 che l' aüttor, che le vide, nol crede: 27.75.3 egli avea fatto pel campo una gora; 27.75.4 beato a chi potea studiare il piede, 27.75.5 ché non uccide, anzi proprio divora: 27.75.6 non fe' pirrato di bestie mai prede 27.75.7 qual fa costui de' saracini il giorno, 27.75.8 tanto ch' ognun gli spariva dintorno. 27.76.1 Dicemi alcun che la istoria compila, 27.76.2 tra Rinaldo e Baiardo e Ricciardetto 27.76.3 che n' uccison quel dì ben trenta mila: 27.76.4 non so s' è vero o falso: io l' ho pur detto. 27.76.5 Pensa che Orlando n' uccise una fila, 27.76.6 ed Ulivieri, Anselmo e Sansonetto. 27.76.7 Ma la spada del Ciel qui mi bisogna, 27.76.8 ché a torto il ver non riporti vergogna. 27.77.1 Chi sa se Miccael qui scognosciuto, 27.77.2 come altra volta là a Gerusalemme, 27.77.3 n' uccise il dì quanti egli arà voluto, 27.77.4 ch' a ogni colpo può segnare un emme? 27.77.5 Forse che e' venne a' cristiani in adiuto 27.77.6 da quel Signor che nacque in Betleemme, 27.77.7 il qual tien sempre degli amici cura; 27.77.8 e la forza del Ciel non ha misura. 27.78.1 E bisognava e' vi ponga le mani, 27.78.2 ché i cristian son ventimilasecento 27.78.3 contra secento migliaia di pagani: 27.78.4 tanto è ch' io ci ho trovato fondamento, 27.78.5 tutti degni aüttor, modesti e piani, 27.78.6 che non iscaglion le parole al vento; 27.78.7 e so che il nostro Turpino ed Ormanno 27.78.8 iscrivon quel che è vero e quel che sanno. 27.79.1 E s' alcun dice che Turpin morisse 27.79.2 in Runcisvalle, mente per la strozza, 27.79.3 ch' io proverrò il contrario e come e' visse 27.79.4 insin che Carlo prese Siragozza, 27.79.5 e questa istoria di sua mano scrisse; 27.79.6 ed Alcuin con lui poi si raccozza 27.79.7 e scrive insino alla morte di Carlo 27.79.8 e molto fu discreto ad onorarlo. 27.80.1 Dopo costui venne il famoso Arnaldo, 27.80.2 che molto diligentemente ha scritto 27.80.3 e investigòe dell' opre di Rinaldo, 27.80.4 delle gran cose che fece in Egitto, 27.80.5 e va pel fil della sinopia saldo 27.80.6 sanza uscir punto mai del segno ritto 27.80.7 (grazie che date son prima che in culla), 27.80.8 che non direbbe una bugia per nulla. 27.81.1 Tornossi Orlando sbigottito in tutto 27.81.2 al campo, poi che il marchese fu morto, 27.81.3 come chi torna dal funereo lutto 27.81.4 alla sua famigliuola a dar conforto; 27.81.5 o come nave, sperando alcun frutto, 27.81.6 con gran giattura è ritornata in porto; 27.81.7 e duolsi ben di sua fortuna acerva, 27.81.8 ma molto ancor più della sua conserva. 27.82.1 Non v' ha trovato il buon duca Egibardo 27.82.2 e Guottibuoffi è morto in su la terra, 27.82.3 Avolio, Avino e Gualtieri e Riccardo: 27.82.4 però tanto dolor lo strigne e serra, 27.82.5 che si fe' più che l' usato gagliardo, 27.82.6 e disse: «Omai questa è l' ultima guerra; 27.82.7 fammi, Signore, tu allo estremo forte, 27.82.8 ch' io ti sarò fedele insino a morte». 27.83.1 Restava Anselmo e Ricciardetto allora, 27.83.2 Turpin, Rinaldo, e de' pagan pur molta 27.83.3 gente, la qual si difendeva ancora, 27.83.4 benché per tutto è sonato a raccolta. 27.83.5 Orlando trasse Durlindana fora: 27.83.6 non so se questa fia l' ultima volta 27.83.7 (credo che sì, per non tener qui a bada) 27.83.8 che trarrà fuor questa onorata spada. 27.84.1 Gran pianto fecion que' pochi cristiani 27.84.2 d' Ulivier che restati erano al campo 27.84.3 e cominciorno a straziare i pagani 27.84.4 e far gran cose all' ultimo lor vampo; 27.84.5 tal che fuggìen que' miseri profani 27.84.6 sanza trovar misericordia o scampo 27.84.7 e non è tempo da dire al cul: «Vienne». 27.84.8 Ma la battaglia è già presso all' amenne. 27.85.1 E' si vedea cader tante cervella, 27.85.2 che le cornacchie faran taferugia; 27.85.3 chi avea men forate le budella, 27.85.4 pareva il corpo come una grattugia 27.85.5 o da far le bruciate la padella, 27.85.6 tanto che falsa sarà la minugia; 27.85.7 e perché Orlando per grande ira scoppia, 27.85.8 sempre la furia e la forza raddoppia. 27.86.1 E' si cacciava innanzi quelle torme, 27.86.2 ch' un superbo leon parea foresto 27.86.3 che fa tremar con la voce e con l' orme; 27.86.4 e dice: «In ogni modo fia pel resto 27.86.5 a questa volta!», e fa svegliar chi dorme, 27.86.6 anzi forse dormir chi era desto: 27.86.7 ché viver non volea più con dispetto, 27.86.8 poi che Ulivieri è morto e Sansonetto. 27.87.1 Egli arebbe il dì Cesare in Tessaglia 27.87.2 rotto e il Barchino a Transimeno o Canni: 27.87.3 e' si sentia rugghiar per la battaglia, 27.87.4 tanto che un verro par ch' ognuno azzanni 27.87.5 e braccia e capi e mani in aria scaglia 27.87.6 per finir con onor questi ultimi anni; 27.87.7 ché il tempo è breve e pur la voglia pronta 27.87.8 e dolce cosa è vendicar giusta onta. 27.88.1 E dove e' vede la gente s' aggruppa, 27.88.2 come aquila gentil si chiude e serra, 27.88.3 sì che la schiera sbaraglia e sviluppa 27.88.4 e tutti gli stendardi caccia in terra. 27.88.5 Pensa, lettor, come il campo s' inzuppa! 27.88.6 Alla turchesca si facea la guerra: 27.88.7 abbatte ed urta e spezza e sbrana e strugge, 27.88.8 tanto che solo sperar può chi fugge. 27.89.1 E' si vedeva ora a poggia, ora a orza 27.89.2 la battaglia venirsi travagliando: 27.89.3 il campo de' cristian facea gran forza, 27.89.4 tanto l' alto valor, l' ardir d' Orlando 27.89.5 folgore par che nulla cosa ammorza; 27.89.6 ed ogni volta che menava il brando 27.89.7 e' rimanea del maestro la stampa, 27.89.8 tanto che pochi di sua man ne scampa. 27.90.1 E non pareva né sorda né cieca 27.90.2 certo quel dì quella vecchia scagnarda, 27.90.3 che spesso affila la falce sua bieca, 27.90.4 po' raschia l' unghia e d' Orlando pur guarda; 27.90.5 talvolta drieto a Rinaldo si reca 27.90.6 e fassi quivi a suo modo gagliarda, 27.90.7 ch' ognun s' appicca ove e' vede guadagno; 27.90.8 e Ricciardetto anche fu buon compagno. 27.91.1 Rinaldo fece al crudel Gallerano 27.91.2 un tratto a caso il più bel moncherino, 27.91.3 perché e' parea sopra il popol cristiano 27.91.4 un lupo in selva arrabbiato menino; 27.91.5 ché gli trovò con Frusberta la mano 27.91.6 e lo incanto gli fe' del mal del pino 27.91.7 e dell' abete e del faggio e del leccio, 27.91.8 e non vi venne poi su il patereccio. 27.92.1 E benché i saracin fugghino all' erta, 27.92.2 un macco ne facea da Filistei, 27.92.3 e quante volte calava Frusberta, 27.92.4 non ne faceva cader men che sei, 27.92.5 tanto che fia più d' una tomba aperta, 27.92.6 ché, come dice Benedetto Dei, 27.92.7 e' se n' andranno in qualche buco strano 27.92.8 a sentir sotto come nasce il grano. 27.93.1 Mostrava, ancor tutto affannato e stanco, 27.93.2 Anselmo pur la sua virtù perfetta; 27.93.3 ma Mattafirro gli venne dal fianco 27.93.4 e détte al suo caval con una accetta, 27.93.5 tanto che in terra il fece venir manco, 27.93.6 e poi gli corse addosso con gran fretta 27.93.7 e finalmente gli cavò fuor l' elmo, 27.93.8 e in questo modo uccise il conte Anselmo. 27.94.1 Rimontò a caval quel Mattafirro, 27.94.2 colpi menando disperati e forti; 27.94.3 Rinaldo lo sgridòe poi come un birro, 27.94.4 dicendo: «Fama a tuo modo riporti 27.94.5 non altrimenti che Marcello o Pirro: 27.94.6 uccider sanza elmetto uomini morti!». 27.94.7 E trasse un tondo di maestro vecchio, 27.94.8 che il capo portò via sopra l' orecchio. 27.95.1 E poi trovò nella zuffa Fidasso, 27.95.2 che faceva il leprone e 'l piccinaco 27.95.3 tra gente e gente e va col capo basso 27.95.4 per la battaglia diguazzando il laco, 27.95.5 perché e' sentia di Rinaldo il fracasso, 27.95.6 che par per Libia indiavolato un draco; 27.95.7 ma pure un tratto Fidasso fidossi, 27.95.8 tanto che in terra per sempre acquattossi. 27.96.1 Il caval si rizzò di Ricciardetto, 27.96.2 indrieto sì che e' convien che rovesci, 27.96.3 e con l' arcion se gli posa in sul petto; 27.96.4 e' pagan sotto frugavano a' pesci 27.96.5 con lance e dardi, e restava in effetto 27.96.6 morto, ch' un tratto non potea dir: «Mesci!»; 27.96.7 se non che Orlando le cinghie e 'l cavallo 27.96.8 tagliò in un colpo e poi fece rizzallo; 27.97.1 e gridòe: «Ricciardetto, hai tu paura? 27.97.2 Piglia un altro caval, ché ce n' avanza». 27.97.3 E Ricciardetto a saltar s' assicura, 27.97.4 come de' paladin sempre era usanza, 27.97.5 sopra un caval con tutta l' armadura. 27.97.6 Ma qui resta il valor sanza speranza, 27.97.7 benché il cor generoso si conforti, 27.97.8 perché tutti i cristian quasi eran morti. 27.98.1 E' saracin pochi restati sono, 27.98.2 benché Rinaldo e Turpin gli persegua. 27.98.3 Ah, Turpin vecchio, ah, Turpin nostro buono! 27.98.4 Qui non si ragionava or della triegua! 27.98.5 Bianciardin fuggito era come un tuono, 27.98.6 Marsilio e Balugante si dilegua 27.98.7 e vorrebbon trovar qualche via mozza 27.98.8 che gli guidi in due passi a Siragozza. 27.99.1 Terigi era rimasto per un piede 27.99.2 in terra avviluppato in certa stretta, 27.99.3 e il suo signore Orlando non lo vede, 27.99.4 sì che nel sangue si storce e gambetta 27.99.5 che pareva un tocchetto di lamprede; 27.99.6 ma la gente pagana maladetta, 27.99.7 come io dissi disopra, è già sparita, 27.99.8 sì che per questo pur campò la vita. 27.100.1 Orlando per lo affanno ricevuto 27.100.2 non potea sostener più l' elmo in testa, 27.100.3 tanto aveva quel giorno combattuto; 27.100.4 e perché molto la sete il molesta, 27.100.5 si ricordòe dove egli avea beuto 27.100.6 a una fonte e va cercando questa; 27.100.7 e ritrovata a piè della montagna, 27.100.8 quivi soletto si riposa e bagna. 27.101.1 Vegliantin, come Orlando in terra scese, 27.101.2 a' piè del suo signor caduto è morto 27.101.3 e inginocchiossi e licenzia gli chiese, 27.101.4 quasi dicessi: «Io t' ho condotto a porto». 27.101.5 Orlando presto le braccia distese 27.101.6 all' acqua e cerca di dargli conforto; 27.101.7 ma poi che pure il caval non si sente, 27.101.8 si condolea molto pietosamente: 27.102.1 «O Vegliantin, tu m' hai servito tanto! 27.102.2 O Vegliantin, dove è la tua prodezza? 27.102.3 O Vegliantin, nessun si dia più vanto. 27.102.4 O Vegliantin, venuta è l' ora sezza. 27.102.5 O Vegliantin, tu m' hai cresciuto il pianto. 27.102.6 O Vegliantin, tu non vuoi più cavezza. 27.102.7 O Vegliantin, s' io ti feci mai torto. 27.102.8 perdonami, ti priego, così morto». 27.103.1 Dice Turpin (che mi par maraviglia) 27.103.2 che come Orlando: «Perdonami» disse, 27.103.3 quel caval parve ch' aprissi le ciglia 27.103.4 e col capo e co' gesti acconsentisse; 27.103.5 tanto che Orlando riprese la briglia, 27.103.6 forse pensando che si risentisse: 27.103.7 dunque Pirramo e Tisbe al gelso o fonte 27.103.8 a questa volta è Vegliantino e 'l conte. 27.104.1 Ma poi che Orlando si vide soletto, 27.104.2 si volse e guarda inverso la pianura 27.104.3 e non vede Rinaldo o Ricciardetto, 27.104.4 tanto che' morti gli fanno paura, 27.104.5 ché il sangue aveva trovato ricetto 27.104.6 e Runcisvalle era una cosa oscura; 27.104.7 e pensi ognun quanto dolor quel porta, 27.104.8 quando e' vedeva tanta gente morta; 27.105.1 e disse: «O terque quaterque beati» 27.105.2 (come disse il troian famoso ancora), 27.105.3 «e miseri color che son restati, 27.105.4 come sono io, insino all' ultima ora! 27.105.5 ché, benché i corpi sien per terra armati, 27.105.6 l' anime son dove Gesù s' onora. 27.105.7 O felice Ulivier! Voi siete in vita: 27.105.8 pregate or tutti per la mia partita! 27.106.1 Or sarà ricordato Malagigi; 27.106.2 or sarà tutta Francia in bruna vesta; 27.106.3 or sarà in pianti e lacrime Parigi; 27.106.4 or sarà la mia sposa afflitta e mesta; 27.106.5 or sarà quasi inculto San Dionigi; 27.106.6 or sarà spenta la cristiana gesta; 27.106.7 or sarà Carlo e il suo regno distrutto; 27.106.8 or sarà Ganellon contento in tutto». 27.107.1 Intanto vede Terigi apparito, 27.107.2 che come il tordo pur s' era spaniato 27.107.3 e tanto il suo signor cercando è ito, 27.107.4 che finalmente l' avea ritrovato; 27.107.5 e domandò quel che fusse seguìto 27.107.6 e dove sia Rinaldo capitato. 27.107.7 Disse Terigi: «Io non v' ho posto cura»; 27.107.8 e raccontò poi ben la sua sciagura. 27.108.1 Dice la istoria che Orlando percosse 27.108.2 in su 'n un sasso Durlindana bella 27.108.3 più e più volte con tutte sue posse, 27.108.4 né romper né piegar non poté quella 27.108.5 e 'l sasso aprì come una scheggia fosse; 27.108.6 e tutti i peregrin questa novella 27.108.7 riportan di Galizia ancora esplesso, 27.108.8 d' aver veduto il sasso e 'l corno fesso. 27.109.1 Orlando disse: «O Durlindana forte, 27.109.2 se io t' avessi cognosciuta prima, 27.109.3 com' io t' ho cognosciuta ora alla morte, 27.109.4 di tutto il mondo facea poca stima 27.109.5 e non sarei condotto a questa sorte. 27.109.6 Io t' ho più volte, operando ogni scrima, 27.109.7 per non saper quanta virtù in te regna, 27.109.8 riguardata, o mia spada tanto degna». 27.110.1 Or ritorniamo a Rinaldo, che scaccia 27.110.2 i saracini e non truova più intoppo, 27.110.3 che si ritorna, finita la caccia, 27.110.4 come il can richiamato, di gualoppo, 27.110.5 ovver segugio indietro per la traccia 27.110.6 talvolta, stanco, faticato e zoppo, 27.110.7 per la fatica e pel sudore ansando; 27.110.8 tanto che truova a quella fonte Orlando. 27.111.1 Gran festa Orlando al suo cugin facea, 27.111.2 e domandò come la cosa è ita: 27.111.3 Rinaldo tutto affannato dicea 27.111.4 come la gente pagana è fuggita; 27.111.5 e Ricciardetto e Turpin poi giugnea. 27.111.6 E per far più la nostra istoria trita, 27.111.7 dice Turpin che il dì di San Michele, 27.111.8 di maggio, fu la battaglia crudele. 27.112.1 L' anno correva ottocentesmo sesto, 27.112.2 dominante il pianeta che vuol guerra; 27.112.3 e bisognòe che sia mezzo bisesto, 27.112.4 perché un dì natural sopra la terra 27.112.5 istette il sole (ond' io non so per questo 27.112.6 se forse ancor lo astrolago qui erra), 27.112.7 cioè, la terra, lo emisperio nostro 27.112.8 (ch' i' non iscriva anch' io con bianco inchiostro). 27.113.1 Non so chi leggerà, come e' consente 27.113.2 che tanta gente però morta sia; 27.113.3 ma perch' io ho quella parola a mente: 27.113.4 «E Miccael vi farà compagnia», 27.113.5 io non credo che Orlando veramente 27.113.6 avessi simulata la bugia, 27.113.7 ma che e' vi fusse il campion benedetto: 27.113.8 e poi, che fu di maggio sia ridetto. 27.114.1 Sai che si dice: «Noi non siàn di maggio», 27.114.2 e non si fa così degli altri mesi, 27.114.3 perché e' canta ogni uccel nel suo linguaggio 27.114.4 e l' asin fa que' suoi ragghi distesi, 27.114.5 sì che la cosa ridire è vantaggio; 27.114.6 ma non son tutti i proverbi compresi; 27.114.7 come a dir che alla mensa non s' invecchia, 27.114.8 ché poco vive chi molto sparecchia. 27.115.1 E per tornare alla materia mia, 27.115.2 o vero o no, con pace si comporti: 27.115.3 se Michel venne, il ben venuto sia; 27.115.4 se non vi venne, e' basta che son morti: 27.115.5 colui che scrive istoria o comedìa, 27.115.6 convien che alla scrittura si rapporti, 27.115.7 o grido o fama, e quel ch' e' truova dica, 27.115.8 in ogni cosa moderna o antica. 27.116.1 Or qui incomincian le pietose note! 27.116.2 Orlando essendo in terra ginocchione, 27.116.3 bagnate tutte di pianto le gote, 27.116.4 domandava a Turpino remissione; 27.116.5 e cominciò con parole devote 27.116.6 a dirgli in atto di confessïone 27.116.7 tutte sue colpe e chieder penitenzia, 27.116.8 ché facea di tre cose conscïenzia. 27.117.1 Disse Turpin: «Quale è la prima cosa?». 27.117.2 Rispose Orlando: «Maiestatis laesae, 27.117.3 idest in Carlo verba iniuriosa; 27.117.4 e l' altra è la sorella del marchese 27.117.5 menata non aver come mia sposa: 27.117.6 queste son verso Iddio le prime offese; 27.117.7 l' altra, un peccato che mi costa amaro, 27.117.8 come ognun sa: ch' io uccisi Don Chiaro». 27.118.1 Disse Turpino: «E' ti fu comandato, 27.118.2 e piace tanto a Dio la obbedïenzia, 27.118.3 che ti fia facilmente perdonato. 27.118.4 Di Carlo e della poca riverenzia, 27.118.5 io so che lui se l' ha sempre cercato. 27.118.6 D' Alda la bella, se in tua conscïenzia 27.118.7 sono state tue opre e pensier casti, 27.118.8 credo che questo appresso a Dio ti basti. 27.119.1 Ha'mi tu altro a dir che ti ricordi?». 27.119.2 Rispose Orlando: «Noi siàn tutti umani, 27.119.3 superbi, invidïosi, irosi, ingordi, 27.119.4 accidiosi, golosi e in pensier vani 27.119.5 al peccar pronti, al ben far ciechi e sordi; 27.119.6 e così ho, de' peccati mondani, 27.119.7 non aver per pigrizia o mia secordia 27.119.8 l' opere usate di misericordia. 27.120.1 Altro non so, che sien peccati gravi». 27.120.2 Disse Turpino: «E' basta un paternostro 27.120.3 e dir sol "Miserere" o vuoi "peccavi", 27.120.4 ed io t' assolvo per lo uficio nostro 27.120.5 dal gran Cefàs, che apparecchia le chiavi 27.120.6 per collocarti nello etterno chiostro»; 27.120.7 e poi gli détte la benedizione. 27.120.8 Allora Orlando fe' questa orazione: 27.121.1 «O Redentor de' miseri mortali, 27.121.2 il qual tanto per noi t' umilïasti, 27.121.3 che, non guardando a' nostri tanti mali, 27.121.4 in quella unica Virgine incarnasti 27.121.5 quel dì che Gabrïel aperse l' ali, 27.121.6 e la umana natura rilevasti, 27.121.7 dimetti il servo tuo, come a te piace; 27.121.8 lasciami a te, Signor, venire in pace. 27.122.1 Io dico pace dopo lunga guerra, 27.122.2 ch' io son per gli anni pur defesso e stanco: 27.122.3 rendi il misero corpo a questa terra 27.122.4 il qual tu vedi già canuto e bianco, 27.122.5 mentre che la ragion meco non erra, 27.122.6 la carne è inferma e l' animo ancor franco; 27.122.7 sì che al tempo accettabil tu m' accetti, 27.122.8 ché molti son chiamati e pochi eletti. 27.123.1 Io ho per la tua fede combattuto, 27.123.2 come tu sai, Signor, sanza ch' io il dica, 27.123.3 mentre che al mondo son quaggiù vivuto: 27.123.4 io non posso oramai questa fatica; 27.123.5 però l' arme ti rendo, ché è dovuto; 27.123.6 e tu perdona a questa chioma antica, 27.123.7 ch' a contemplare omai suo uficio parmi 27.123.8 la gloria tua e porre in posa l' armi. 27.124.1 Porgi, Signore, al tuo servo la mano, 27.124.2 tra'mi di questo laberinto fòri, 27.124.3 perché tu se' quel nostro pellicano 27.124.4 che pregasti pe' tuoi crucifissori; 27.124.5 perch' io cognosco il nostro viver vano, 27.124.6 vanitas vanitatum, pien d' errori, 27.124.7 ché quanto io ho nel mondo adoperato, 27.124.8 non ne riporto alfin se non peccato; 27.125.1 salvo se mai fu nella tua concordia 27.125.2 di dover col tuo segno militare: 27.125.3 per questo io spero pur misericordia, 27.125.4 bench' io non possi Don Chiaro scusare, 27.125.5 che forse or prega per la mia discordia; 27.125.6 ma perché tu sol mi puoi perdonare, 27.125.7 benché a Turpino il dissi genuflesso, 27.125.8 di nuovo a te, Signor, mi riconfesso. 27.126.1 Quando tu ci creasti, Signor, prima, 27.126.2 perché tu se magnalmo e molto pio, 27.126.3 credo che tu facesti questa stima, 27.126.4 che noi fussin figliuol tutti di Dio. 27.126.5 Se quel serpente con sua sorda lima 27.126.6 Adam tentò, tu hai pagato il fio, 27.126.7 come magno Signor, non obligato, 27.126.8 poi che pure era di tua man plasmato; 27.127.1 e perdonasti a tutta la natura 27.127.2 quando tu perdonasti al primo padre; 27.127.3 e poi degnasti farti sua fattura 27.127.4 quando tu assumesti in terra madre 27.127.5 (non so s' io entro in valle troppo oscura): 27.127.6 dunque proprio i cristian son le tue squadre. 27.127.7 Io ho sempre difese quelle al mondo: 27.127.8 aiuta or me tu, mio Signor giocondo. 27.128.1 Le legge che in sul monte Sinaì 27.128.2 tu désti anticamente a Moïsè, 27.128.3 io l' ho tutte obedite insino a qui 27.128.4 ed osservata la tua vera fé: 27.128.5 però, giusto Signor, s' egli è così, 27.128.6 giustizia fa pur con la tua merzé, 27.128.7 perché a giusto Signor così conviensi 27.128.8 che le sue petizion giuste ognun pensi. 27.129.1 Non entrare in iudicio, Signor, meco, 27.129.2 ché nel cospetto tuo giustificato 27.129.3 non sarà alcun, se tu non vuoi già teco, 27.129.4 perché tutti nascemo con peccato, 27.129.5 e ciò che nasce al mondo nasce cieco, 27.129.6 se non sol tu nascesti alluminato: 27.129.7 abbi pietà della mia senettute; 27.129.8 non mi negare il porto di salute. 27.130.1 Alda la bella mia ti raccomando, 27.130.2 la qual presto per me fia in veste bruna, 27.130.3 che, s' altro sposo mai torrà che Orlando, 27.130.4 sia maritata con miglior fortuna. 27.130.5 E poi che molte cose ti domando, 27.130.6 Signor, se vuoi ch' io ne chiegga ancor una, 27.130.7 ricòrdati del tuo buon Carlo vecchio 27.130.8 e di questi tuoi servi in ch' io mi specchio». 27.131.1 Poi che Orlando ebbe dette le parole 27.131.2 con molte amare lacrime e sospiri, 27.131.3 parve tre corde o tre linee dal sole 27.131.4 venissin giù come mosse da Iri. 27.131.5 Rinaldo e gli altri stavan come suole 27.131.6 chi padre o madre ragguarda che spiri, 27.131.7 ed ognun tanta contrizione avea, 27.131.8 che Francesco alle stimite parea. 27.132.1 Intanto giù per quel lampo apparito, 27.132.2 un certo dolce mormorio suave, 27.132.3 come vento talvolta, fu sentito 27.132.4 venire in giù, non qual materia grave. 27.132.5 Orlando stava attonito e contrito. 27.132.6 Ecco quell' angel che a Maria disse «Ave», 27.132.7 che vien per grazia de' superni Iddei 27.132.8 e disse un tratto: «Viri Galilei». 27.133.1 Poi prese umana forma e in aria stette 27.133.2 e innanzi al conte Orlando inginocchiato 27.133.3 disse queste parole benedette: 27.133.4 «Messaggio sono a te da Dio mandato, 27.133.5 e son colui che venni in Nazzarette 27.133.6 quando il vostro Gesù fu incarnato 27.133.7 nella Virgine santa, che dimostra 27.133.8 quant' ella è in Ciel sempre avvocata vostra. 27.134.1 E perch' io amo assai la umana prole, 27.134.2 come piace a Chi fece quel pianeta, 27.134.3 ti porterò lassù sopra quel sole, 27.134.4 dove l' anima tua fia sempre lieta, 27.134.5 e sentirai cantar nostre carole; 27.134.6 perché tu se' di Dio nel mondo atleta, 27.134.7 vero campion, perfetto archimandrita 27.134.8 della sua gregge, sanza te smarrita. 27.135.1 Sappi che in Ciel fu bene essaminata 27.135.2 la tua giusta devota orazion latria, 27.135.3 ch' a tutti i santi e gli angeli fu grata, 27.135.4 sendo tu cittadin di quella patria; 27.135.5 e perché la sua insegna hai onorata 27.135.6 e spento quasi in terra ogni idolatria, 27.135.7 Iddio t' essaudirà pe' tuoi gran meriti, 27.135.8 ché scritti son tutti i tempi preteriti; 27.136.1 però che t' ha veduto giovinetto 27.136.2 a Sutri ove più volte perturbasti 27.136.3 la corte del tuo Carlo a tuo diletto; 27.136.4 e ciò che in Aspramonte adoperasti, 27.136.5 e in Francia e poi in Ispagna; e Sansonetto 27.136.6 e tanti nella Mecche battezzasti 27.136.7 e reducesti al figliuol di Maria 27.136.8 Gerusalem e Persia e la Soria; 27.137.1 e poi che Carlo intorno a Pampalona 27.137.2 più tempo s' era indarno affaticato, 27.137.3 venisti, e bisognòe la tua persona, 27.137.4 ché così era già pronosticato 27.137.5 come a Troia d' Acchille si ragiona; 27.137.6 e poi che e' fu da Maccario ingannato, 27.137.7 in Francia andò come fu tuo disegno 27.137.8 e racquistòe la sposa insieme e il regno. 27.138.1 E Pantalisse e 'l superbo Troiano, 27.138.2 e ciò che tu facesti per antico, 27.138.3 Ferraù, Serpentin, di mano in mano 27.138.4 notato è tutto; Adastro, il gran nimico, 27.138.5 e ciò che già nel corno egizïano 27.138.6 facesti come a Dio perfetto amico 27.138.7 mentre ch' egli era il tuo Morgante teco, 27.138.8 forse lo spirto del quale è qui meco; 27.139.1 il qual nel Ciel ti farà compagnia 27.139.2 come soleva un tempo fare al mondo, 27.139.3 perché tu il dirizzasti per la via 27.139.4 che lo condusse al suo stato giocondo. 27.139.5 E perch' io intendo la tua fantasia 27.139.6 poi ch' io dissi "Morgante", io ti rispondo: 27.139.7 tu vuoi saper di Margutte il ribaldo: 27.139.8 sappi che egli è di Belzebù giù araldo 27.140.1 e ride ancora e riderà in etterno 27.140.2 come solea (ma tu nol cognoscesti), 27.140.3 ed è quanto sollazzo è nello inferno. 27.140.4 Or perché a Dio la morte tu chiedesti, 27.140.5 come que' santi màrtiri già ferno, 27.140.6 non so se onestamente ti dolesti: 27.140.7 ché per provarti nella pazïenzia 27.140.8 ha di te fatta ultima esperienzia. 27.141.1 Vuolsi a Dio inclinar le spalle gobbe 27.141.2 e dir: "Signor, fammi constante e forte 27.141.3 a patire ogni pena", come Iobbe, 27.141.4 "sì ch' io sia obedente insino a morte"; 27.141.5 il qual, poi che il voler di Dio cognobbe, 27.141.6 contento fu d' ogni sua afflitta sorte: 27.141.7 né cosa alcuna più gli era rimasa, 27.141.8 quando e' gli fece rovinar la casa; 27.142.1 e perché pur la moglie si dolea, 27.142.2 e' disse: "Donna mia, ora m' ascolta: 27.142.3 Dominus dedit: lui data l' avea; 27.142.4 Dominus abstulit: lui l' ha ritolta; 27.142.5 sicut Domino placuit, in ea 27.142.6 factum est: così fatto è questa volta"; 27.142.7 e poi: "Sit nomen Domini" ebbe detto: 27.142.8 "il nome del Signor sia benedetto". 27.143.1 Ma se tu vuogli ancor nel mondo stare, 27.143.2 Iddio ti darà ben di nuovo gente 27.143.3 e tremerrà di te la terra e 'l mare. 27.143.4 Ma perché il nostro Signor non si pente, 27.143.5 que' che son morti non posson tornare, 27.143.6 ché tutti son mescolati al presente 27.143.7 tra gli angeli e tra' santi benedetti 27.143.8 e nel numero assunti degli eletti. 27.144.1 Non creder che color che son nel Cielo 27.144.2 volessin ritornar più quaggiù in terra 27.144.3 e ripor le lor membra al caldo e 'l gelo; 27.144.4 però che quivi è pace sanza guerra 27.144.5 e non si muta più cogli anni il pelo. 27.144.6 Ma quel Signor che 'l suo voler non erra, 27.144.7 ti manderà, poi che tu vuoi, la morte, 27.144.8 com' io su torno nella eccelsa corte. 27.145.1 Alda la bella che hai raccomandata, 27.145.2 tu la vedrai nel Ciel felice ancora, 27.145.3 appresso a quella sponsa collocata 27.145.4 che il monte santo Sinaì onora, 27.145.5 e di gigli e di rose coronata 27.145.6 che non creò vostro Arïete o Flora; 27.145.7 e serverà la vesta oscura e 'l velo 27.145.8 insin che a te si rimariti in Cielo. 27.146.1 Carlo pe' merti suoi devoti e giusti 27.146.2 confirmato è nel corno della Croce 27.146.3 con Iosüè, con tutti i suoi robusti, 27.146.4 d' accordo tutti in Cielo a una voce, 27.146.5 e tu sarai con lui qual sempre fusti. 27.146.6 Vedi quel sol, che parea sì veloce, 27.146.7 che non si cala all' occeàn giù in fretta 27.146.8 e già venti ore il tuo signore aspetta. 27.147.1 E perché Carlo sarà qui di corto, 27.147.2 il popol tuo fia tutto seppellito, 27.147.3 ché e' si partì da San Gianni di Porto 27.147.4 come il suon tanto rubesto ha sentito. 27.147.5 Al traditor che la tua gente ha morto, 27.147.6 perdona pur, ché sarà ben punito. 27.147.7 E perché Iddio nel Ciel ti benedica, 27.147.8 piglia la terra, la tua madre antica, 27.148.1 però che Iddio Adam plasmòe di questa, 27.148.2 sì che e' ti basta per comunïone. 27.148.3 Rinaldo dopo a te nel mondo resta 27.148.4 per difender di Cristo il gonfalone; 27.148.5 e tosto faran su gli angeli festa 27.148.6 di Turpin vostro pien d' affezïone, 27.148.7 e Ricciardetto anche al Signor mio piace. 27.148.8 Rimanetevi, o servi di Dio, in pace». 27.149.1 Così posto in silenzio le parole, 27.149.2 si dipartì questo messaggio santo. 27.149.3 Ognun piangeva e d' Orlando gli duole. 27.149.4 Orlando si levò su con gran pianto 27.149.5 ed abbracciò Rinaldo quanto e' vuole, 27.149.6 Turpino e gli altri; ed adorato alquanto, 27.149.7 parea proprio Geronimo quel fosse, 27.149.8 tante volte nel petto si percosse. 27.150.1 Era a vedere una venerazione 27.150.2 «Nunc dimittis» mormorando seco, 27.150.3 come disse nel tempio il buon vecchione, 27.150.4 «O Signor mio, quando sarò io teco? 27.150.5 L' anima è in carcer di confusïone: 27.150.6 libera me da questo mondo cieco, 27.150.7 non per merito già, per grazia intendo; 27.150.8 nelle tue man lo spirto mio commendo». 27.151.1 Rinaldo l' avea molto combattuto 27.151.2 e Turpino e Terigi e Ricciardetto, 27.151.3 dicendo: «Io son dello Egitto venuto; 27.151.4 dove mi lasci, o cugin mio, soletto?». 27.151.5 Ma poi che tempo era tutto perduto, 27.151.6 inteso quel che Gabrïello ha detto, 27.151.7 per reverenzia alla fine ognun tacque, 27.151.8 ché quel che piace a Dio, sempre a' buon piacque. 27.152.1 Orlando ficcòe in terra Durlindana, 27.152.2 poi l' abbracciava e dicea: «Fammi degno, 27.152.3 Signor, ch' io ricognosca la via piana; 27.152.4 questa sia in luogo di quel santo legno 27.152.5 dove patì la giusta carne umana 27.152.6 sì che il cielo e la terra ne fe' segno, 27.152.7 e non sanza alto misterio gridasti 27.152.8 "Elì, Elì", tanto martìr portasti». 27.153.1 Così tutto serafico al ciel fisso, 27.153.2 una cosa parea transfigurata 27.153.3 e che parlassi col suo Crucifisso. 27.153.4 O dolce fine, o anima ben nata, 27.153.5 o santo vecchio, o ben nel mondo visso! 27.153.6 E finalmente, la testa inclinata, 27.153.7 prese la terra come gli fu detto 27.153.8 e l' anima ispirò del casto petto. 27.154.1 Ma prima il corpo compose alla spada, 27.154.2 le braccia in croce e 'l petto al pome fitto. 27.154.3 Poi si sentì un tuon, che par che cada 27.154.4 il ciel, che certo allor s' aperse al gitto; 27.154.5 e come nuvoletta che in su vada, 27.154.6 «In exitu Israël» cantar «de Egitto» 27.154.7 sentito fu dagli angeli solenne, 27.154.8 che si cognobbe al tremolar le penne. 27.155.1 Poi apparì molte altre cose belle, 27.155.2 perché quel santo nimbo a poco a poco 27.155.3 tanti lumi scoprì, tante fiammelle, 27.155.4 che tutta l' aria pareva di fuoco, 27.155.5 e sempre raggi cadean dalle stelle; 27.155.6 poi si sentì con un suon dolce e roco 27.155.7 certa armonia con sì soavi accenti 27.155.8 che ben parea d' angelici instrumenti. 27.156.1 Turpino e gli altri accesi d' un fervore 27.156.2 eran, che ignun già non parea più desso: 27.156.3 perché quel foco dello etterno amore, 27.156.4 quando per grazia ci si fa sì presso, 27.156.5 conforta e scalda sì l' anima e 'l core, 27.156.6 che ci dà forza d' oblïar se stesso; 27.156.7 e pensi ognun quanto fussi il lor zelo, 27.156.8 veder portarne quella anima in cielo. 27.157.1 E dopo lunga e dolce salmodia, 27.157.2 ad alta voce udîr cantar «Te Deo», 27.157.3 «Salve Regina», «Virgo alma Maria»; 27.157.4 e guardavano in su come Eliseo 27.157.5 quando il carro innalzar vide d' Elia, 27.157.6 o come tutto stupido si feo 27.157.7 Moïsè quando il gran rubo gli apparse; 27.157.8 insin ch' alfine ogni cosa disparse, 27.158.1 sì che di nuovo un altro tuon rimbomba, 27.158.2 che fu proprio la porta in sul serralla. 27.158.3 Poi si sentì come un rombar di fromba, 27.158.4 e pareva di lungi una farfalla: 27.158.5 ecco apparire una bianca colomba, 27.158.6 e posossi a Turpino in su la spalla, 27.158.7 a Rinaldo, a Terigi, a Ricciardetto. 27.158.8 Or qui di gaudio ben traboccòe il petto; 27.159.1 donde Turpino oppinïon qui tenne 27.159.2 che questa fusse l' anima d' Orlando 27.159.3 e ch' e' la vide con tutte le penne 27.159.4 in bocca entrargli veramente quando 27.159.5 Carlo quel dì poi in Runcisvalle venne 27.159.6 e che e' richiese l' onorato brando; 27.159.7 e bisognòe che Orlando vivo fossi 27.159.8 ché innanzi a lui ridendo inginocchiossi. 27.160.1 E poi che e' son così soli rimasi, 27.160.2 Rinaldo e gli altri, dopo lungo pianto, 27.160.3 e' s' accordorno i dolorosi casi 27.160.4 Carlo sentissi, benché e' venga intanto; 27.160.5 ma Terigi era come morto quasi 27.160.6 per gran dolor; pur, riposato alquanto, 27.160.7 a tutti parve che montassi in sella 27.160.8 e che portassi la trista novella. 27.161.1 Dunque Terigi da lor s' è partito 27.161.2 e lascia il suo signore Orlando morto. 27.161.3 Or ritorniam, ch' io non paia smarrito, 27.161.4 a Carlo e la sua gente a Piè di Porto; 27.161.5 che, come il corno sonare ha sentito, 27.161.6 subito parve del suo danno accorto, 27.161.7 e disse a Namo ed agli altri dintorno: 27.161.8 «Udite voi com' io, sonare il corno?». 27.162.1 Questa parola fe' ch' ognuno ascolta. 27.162.2 Gan si turbò, ché gli parve sentire. 27.162.3 Orlando suona la seconda volta. 27.162.4 Carlo dicea pur: «Questo che vuol dire?». 27.162.5 Rispose Gan: «Suona forse a raccolta, 27.162.6 perché la caccia sarà in sul finire. 27.162.7 Da poi ch' ognun qui tace, io ti rispondo. 27.162.8 Che pensi tu? Che rovini là il mondo? 27.163.1 E' par che ancor tu non cognosca Orlando, 27.163.2 tanto che quasi ci hai messo sospetto, 27.163.3 ch' ogni dì debbe ir pe' boschi cacciando 27.163.4 con Ulivieri e col suo Sansonetto. 27.163.5 Non ti ricorda un' altra volta, quando 27.163.6 in Agrismonte, sendo giovinetto, 27.163.7 ogni dì era o con orsi alle mani, 27.163.8 o porci o cervi o cavrïuoli o dani?». 27.164.1 Ma poi che Orlando alla terza risuona, 27.164.2 perché e' sonòe tanto terribilmente 27.164.3 che fe' maravigliare ogni persona, 27.164.4 Carlo, il quale era a sua posta prudente: 27.164.5 «Quel corno», disse alla fine, «m' intruona 27.164.6 l' anima e 'l cuore e fa tremar la mente, 27.164.7 ed altra caccia mi par che di bosco: 27.164.8 duolmi che tardi i miei danni cognosco. 27.165.1 Io mi son risvegliato d' un gran sogno, 27.165.2 o Gano, o Gano, o Gan!», tre volte disse. 27.165.3 «Di me stesso e non d' altro mi vergogno, 27.165.4 a non creder che questo m' avvenisse. 27.165.5 D' aiuto e di consiglio è qui bisogno, 27.165.6 ché s' apparecchian dolorose risse. 27.165.7 Voi siete, dico, mondi, ma non tutti, 27.165.8 e parmi or tempo a giudicare a' frutti. 27.166.1 Pigliate adunque questo traditore. 27.166.2 Meglio era al mondo e' non fussi mai suto. 27.166.3 O scelerato, o crudel peccatore! 27.166.4 Misero a me, che son tanto vivuto! 27.166.5 O quanto ha forza uno ostinato errore! 27.166.6 O Malagigi, or t' avess' io creduto! 27.166.7 Omè, tu eri pur del ver pronostico! 27.166.8 Ed è ragion se il duol mi par più ostico». 27.167.1 Disse il Danese: «O quante volte, Carlo, 27.167.2 tel disse pure, e Salamone e Namo, 27.167.3 ch' a Siragozza non dovei mandarlo, 27.167.4 che si vedea quasi scoperto l' amo! 27.167.5 Ed Ulivier, quando io vidi baciarlo, 27.167.6 io dissi: "O Giuda, noi ti conosciamo! 27.167.7 O infamia del mondo e di natura, 27.167.8 tu sarai infin la nostra sepultura!". 27.168.1 Ma tu non fusti da noi consigliato 27.168.2 come si conveniva in questo caso, 27.168.3 perché tu eri in quel tempo ostinato». 27.168.4 Intanto Gan si truova sanza naso, 27.168.5 e come volpe da' cani è straziato 27.168.6 e 'l capo e 'l ciglio pareva già raso, 27.168.7 e chi gli pela la barba a furore 27.168.8 «Crucifiggi» gridando «il traditore!». 27.169.1 Ma finalmente consigliato fu 27.169.2 che incarcerato in una torre sia, 27.169.3 dove si va per molti errori in giù 27.169.4 e come un laberinto par che stia. 27.169.5 E perché tempo non è da star più, 27.169.6 Carlo partì con la sua baronia 27.169.7 e serra l' uscio ricevuto il danno: 27.169.8 e così inverso Runcisvalle vanno. 27.170.1 E ben cognobbe che Marsilïone 27.170.2 era venuto con le squadre armate 27.170.3 come aveva ordinato Ganellone, 27.170.4 e la sua gente è in gran calamitate; 27.170.5 ch' Orlando non sonòe sanza cagione, 27.170.6 però che in caso di necessitate, 27.170.7 quando il suon troppo non fussi discosto, 27.170.8 avea con Carlo quel segno composto. 27.171.1 Avea già il sol mezzo passato il giorno 27.171.2 e cominciava a calare al Murrocco, 27.171.3 quando Carlo sentì sonare il corno, 27.171.4 e dipartissi dopo al terzo tocco, 27.171.5 ché così Namo e gli altri consigliorno 27.171.6 e tutti i lor pensieri furno a un brocco; 27.171.7 e perché il tempo parea scarso forse, 27.171.8 Carlo al suo Cristo all' usato ricorse: 27.172.1 «O Crucifisso, il qual già, sendo in croce, 27.172.2 oscurasti quel sol, contra natura, 27.172.3 io ti priego, Signor, con umil voce, 27.172.4 insin ch' io giunga in quella valle oscura, 27.172.5 che tu raffreni il suo corso veloce 27.172.6 acciò che al popol tuo dia sepultura 27.172.7 e che non vadi sì tosto all' occaso: 27.172.8 non mi lasciare in così estremo caso. 27.173.1 Non pe' meriti miei, che non son tali 27.173.2 che come Iosüè meriti questo, 27.173.3 ma perché al volo mio son corte l' ali, 27.173.4 acciò che in Runcisvalle io vadi presto, 27.173.5 vinchino i preghi giusti de' mortali, 27.173.6 sì che più il tuo poter sia manifesto, 27.173.7 l' ordine dato delle etterne rote, 27.173.8 tanto ch' io truovi il mio caro nipote». 27.174.1 Fermossi il sol, ch' era turbato prima 27.174.2 per la pietà del suo popol cristiano 27.174.3 per tutto l' universo in ogni clima; 27.174.4 e dice alcun (ma par supervacano, 27.174.5 benché e' sia aüttor da farne stima) 27.174.6 che le montagne diventorno piano, 27.174.7 ché Carlo aggiunse al suo prego ancor questo 27.174.8 ma io qui danno l' aüttore e 'l testo. 27.175.1 Io me n' andrò con un mio carro a vela 27.175.2 e giugnerò le lepre e' leopardi, 27.175.3 ché in picciol tempo la fama si cela 27.175.4 degli scrittor quando e' son pur bugiardi, 27.175.5 e rimangonsi al lume di candela 27.175.6 la sera al fuoco annighittosi e tardi; 27.175.7 e gente son prosuntüose quelle, 27.175.8 tanto che Marsia ne perdé la pelle. 27.176.1 Basta che Carlo, dette le parole, 27.176.2 subito il prego suo fu essaudito, 27.176.3 sanza servar più l' ordine che suole 27.176.4 quel bel pianeta etterno stabilito. 27.176.5 O clemenzia del Ciel, tu fermi il sole 27.176.6 a Carlo tuo! O amore infinito! 27.176.7 O chiaro essemplo che quel dì ci mostra, 27.176.8 quanto Iddio ama la umanità nostra! 27.177.1 E cavalcando d' uno in altro monte, 27.177.2 ecco Terigi doloroso e mesto 27.177.3 che ne venìa diguazzando la fronte. 27.177.4 Ma come Carlo ha cognosciuto questo, 27.177.5 subito disse: «O mio famoso conte! 27.177.6 La sua loquela mi fa manifesto 27.177.7 ch' a nunzïar quel vien trista novella»; 27.177.8 perché e' pareva un uom di carta in sella. 27.178.1 Giunto Terigi a Carlo, inginocchiossi 27.178.2 e disse: «O signor mio, tarde venisti: 27.178.3 sappi ch' Orlando è morto e più non puossi, 27.178.4 e tutti i tuoi baron miseri e tristi». 27.178.5 Carlo, sentendol, con le man graffiossi. 27.178.6 Disse Terigi: «Se tu avessi visti 27.178.7 gli angeli i quali il portorno su in cielo, 27.178.8 non che graffiar, non torceresti un pelo. 27.179.1 Sappi che e' chiese la morte lui stesso 27.179.2 e nel morir tanta avea contrizione, 27.179.3 che dal ciel Gabrïel, quel santo messo, 27.179.4 venne e rispose alla sua orazïone; 27.179.5 ed ogni cosa sentavàn dappresso, 27.179.6 ché tutti savàn quivi ginocchione. 27.179.7 Pensi ciascun quanto parea soave 27.179.8 veder quell' angel che per noi disse: "Ave!". 27.180.1 Rinaldo era venuto insin d' Egitto, 27.180.2 e Ricciardetto; e fatto hanno oggi cose, 27.180.3 che il re Marsilio si fuggì sconfitto. 27.180.4 Tu vedrai le tue gente dolorose 27.180.5 per Runcisvalle, ognun nel sangue fitto, 27.180.6 ché son tutte le rive sanguinose: 27.180.7 non è ignun ch' a veder non lacrimassi, 27.180.8 e piangon l' erbe ancor, le piante e' sassi. 27.181.1 Io vidi Astolfo morto e Sansonetto, 27.181.2 che ti sare' paruto oggi gagliardo, 27.181.3 tanto che Orlando per questo dispetto 27.181.4 cacciò per terra a furia ogni stendardo; 27.181.5 e Berlinghier fu morto, il poveretto, 27.181.6 Anselmo tuo e 'l valente Egibardo, 27.181.7 Gualtieri da Mulione, Avolio, Avino; 27.181.8 non v' è, di tre, campato uno Angiolino. 27.182.1 L' Arcaliffa ribaldo di Baldacco 27.182.2 uccise Ulivier nostro a tradimento 27.182.3 e prima fe' della tua gente un macco, 27.182.4 tanto che molto ci détte spavento; 27.182.5 Riccardo cadde morto per istracco, 27.182.6 Ottone e Guottibuoffi ognun è spento, 27.182.7 Marco e Matteo del Monte a San Michele: 27.182.8 non fu battaglia mai tanto crudele. 27.183.1 E Baldovin con certa sopravvesta 27.183.2 oggi pel campo combatteva forte; 27.183.3 e come e' si cavòe di dosso questa, 27.183.4 da un pagan gli fu dato la morte, 27.183.5 ch' Orlando trasse l' elmetto di testa 27.183.6 a quel figliuol del Veglio, Buiaforte, 27.183.7 e intese appunto come il fatto era ito 27.183.8 e come Gan fu quel ch' avea tradito. 27.184.1 Turpin, Rinaldo e Ricciardetto solo 27.184.2 campati son di tutta la tua gente: 27.184.3 il resto è tutto morto dello stuolo, 27.184.4 e in Runcisvalle gli lasciai al presente; 27.184.5 però ch' io son venuto quasi a volo 27.184.6 per recarti novella sì dolente, 27.184.7 poi che stato non v' è, per mio dolore, 27.184.8 oggi una lancia che mi passi il core, 27.185.1 da poi ch' io ho perduto il signor mio. 27.185.2 Tanto è che più il tuo Gan non puoi scusarlo; 27.185.3 e commettesti un gran peccato e rio 27.185.4 quando a Marsilio lo mandasti, Carlo; 27.185.5 e se tu vuoi placar nel cielo Iddio, 27.185.6 fallo squartar. Ma mentre ch' io ti parlo, 27.185.7 sappi ch' io sento della morte il gelo», 27.185.8 disse Terigi, e poi se n' andò in cielo. 27.186.1 Carlo, ascoltata la trista novella 27.186.2 e Terigi vedendo a' suoi pie' morto, 27.186.3 per gran dolor fu per cader di sella, 27.186.4 e disse: «Ignun non mi dia più conforto. 27.186.5 O battaglia per me crudele e fella! 27.186.6 O re Marsilio, tu m' hai fatto torto, 27.186.7 ch' io avea fatto, come imperatore, 27.186.8 pace con teco con sincero core; 27.187.1 ma non credetti un re di tanta fama, 27.187.2 di tanto scettro e monarchia e regno, 27.187.3 sendo antico proverbio amar chi ama, 27.187.4 oscurassi così la gloria e 'l segno. 27.187.5 O Ganellon ch' ordinasti la trama 27.187.6 e conducesti il mio nipote degno 27.187.7 in Runcisvalle aspettar la sua morte, 27.187.8 maladetto sia il dì ch' io t' ebbi in corte! 27.188.1 Che faren noi, o Salamone, o Namo? 27.188.2 O mia fortuna, ove mi guidi o meni? 27.188.3 In Runcisvalle, ove meschini andiamo 27.188.4 come ciechi smarriti sanza freni! 27.188.5 O morte, vieni a me, vien', ch' i' ti chiamo, 27.188.6 ché tu se' più crudel se tu non vieni; 27.188.7 ma se tu vieni a mia vita dogliosa, 27.188.8 tu sarai detta ancor per me pietosa». 27.189.1 Namo diceva, e Salamone ancora: 27.189.2 «Maraviglia non è se Orlando è morto: 27.189.3 con questi patti della terra fora 27.189.4 trasse Iddio Adamo e non gli è fatto torto; 27.189.5 tanto un legno il gran mar solca per prora, 27.189.6 che a qualche scoglio si conduce o porto: 27.189.7 questa sentenzia è data pria che in fasce, 27.189.8 che morte è il fin d' ogni cosa che nasce. 27.190.1 Veggiam se in questo tempo che ci resta 27.190.2 qualche cosa ancor far siamo obligati, 27.190.3 la qual sia proprio all' uom da Dio richiesta, 27.190.4 ché per bene operar tutti siàn nati 27.190.5 e d' ogni savio la sentenzia è questa. 27.190.6 Tu sai ch' io ci ho quattro figliuol lasciati: 27.190.7 facciàn che' morti non restino al vento, 27.190.8 però che il Ciel non ne sare' contento». 27.191.1 Disse il Danese: «In Runcisvalle andremo, 27.191.2 la prima cosa a ritrovare Orlando, 27.191.3 e tutti i morti poi seppelliremo, 27.191.4 sì che alle fiere non restino in bando; 27.191.5 poi con Rinaldo ci consiglieremo». 27.191.6 E così Carlo venien consolando 27.191.7 e cavalcavan via d' un buon gualoppo, 27.191.8 quando e' trovorno altro cattivo intoppo. 27.192.1 Aveva Orlando pel tempo passato, 27.192.2 come altra volta in molte istorie è detto, 27.192.3 il Sepulcro di Cristo racquistato, 27.192.4 ed Ansuïgi, nobil giovinetto, 27.192.5 con molta gente a guardar fu lasciato, 27.192.6 sì che dieci anni lo tenne in effetto; 27.192.7 poi gli fu tolto per forza di lancia, 27.192.8 ed al presente si tornava in Francia; 27.193.1 e riscontrossi nello imperatore. 27.193.2 Carlo, veggendo la gente venire, 27.193.3 dubitòe di Marsilio nel suo core 27.193.4 che nol venissi di nuovo assalire; 27.193.5 ma non istette molto in questo errore, 27.193.6 che la bandiera si vide scoprire 27.193.7 nel campo bianco con la croce negra, 27.193.8 per dimostrar vittoria poco allegra. 27.194.1 Giunto Ansuïgi (per abbrevïare), 27.194.2 gli disse come i Mori della Mec 27.194.3 Gerusalemme vennono a scalare 27.194.4 di notte, sanza dir «Salamalec», 27.194.5 sì che il Sepulcro bisognòe lasciare 27.194.6 a guardia d' altro che Melchisedec; 27.194.7 e ch' avea ferma oppinïon che Gano 27.194.8 a questo fatto tenessi la mano. 27.195.1 Disse Carlo: «Tu, Iddio, fa la vendetta, 27.195.2 poi che il Sepulcro in tal modo si ruba! 27.195.3 Sarebbe mai quel dì che il mondo aspetta, 27.195.4 quando e' verrà quella terribil tuba?». 27.195.5 E ricordossi della poveretta 27.195.6 afflitta, vecchia e sventurata Eccùba, 27.195.7 che dopo al pianto d' ogni suo martoro 27.195.8 ultimamente pianse Polidoro; 27.196.1 e disse: «Pazïenzia!», come Giobbe. 27.196.2 «Or oltre! in Runcisvalle andar si vuole», 27.196.3 ché come savio il partito cognobbe, 27.196.4 per non tenere in disagio più il sole, 27.196.5 il qual non va per le orbite sue gobbe 27.196.6 per lo eccentrico, il dì, come far suole, 27.196.7 per obbedire il suo Signore e Carlo, 27.196.8 perché Chi il fece anche potea disfarlo. 27.197.1 E poi che in Runcisvalle andar vogliamo, 27.197.2 e perché il sole aspetta come è detto, 27.197.3 dove era Orlando alla fonte arriviamo, 27.197.4 e Turpino e Rinaldo e Ricciardetto, 27.197.5 ch' ognun piangeva doloroso e gramo 27.197.6 e guardavan quel corpo benedetto. 27.197.7 Ma come Carlo in Runcisvalle è giunto, 27.197.8 parve che il cor si schiantassi in un punto. 27.198.1 E ragguardava i cavalieri armati 27.198.2 l' un sopra l' altro in su la terra rossa, 27.198.3 gli uomini co' cavalli attraversati; 27.198.4 e molti son caduti in qualche fossa, 27.198.5 nel fango in terra fitti arrovesciati; 27.198.6 chi mostra sanguinosa la percossa, 27.198.7 chi 'l capo avea quattro braccia discosto, 27.198.8 da non trovargli in Giusaffà sì tosto; 27.199.1 tanti squartati, smozzicati e monchi, 27.199.2 tante intestine fuor, tante cervella; 27.199.3 parean gli uomini fatti schegge e bronchi, 27.199.4 rimasi in istran modi in su la sella; 27.199.5 tanti scudi per terra e lance in tronchi. 27.199.6 O quanta gente parea meschinella! 27.199.7 O quanto fia scontento più d' un padre! 27.199.8 E misera colei che sarà madre! 27.200.1 Carlo piangeva e per la maraviglia 27.200.2 gli trema il core e 'l capo se gli arriccia, 27.200.3 e Salamone strabuzza le ciglia, 27.200.4 Uggieri e Namo ognun si raccapriccia, 27.200.5 perché la terra si vede vermiglia 27.200.6 e tutta l' erba sanguinosa arsiccia; 27.200.7 gli arbori, i sassi gocciolavan sangue, 27.200.8 sì che ogni cosa si potea dir langue. 27.201.1 Ma po' che Carlo ebbe guardato tutto, 27.201.2 si volse, e disse inverso Runcisvalle: 27.201.3 «Po' che in te il pregio d' ogni gloria è strutto, 27.201.4 maladetta sia tu, dolente valle! 27.201.5 che non ci facci più ignun seme frutto, 27.201.6 co' monti intorno e le superbe spalle! 27.201.7 Venga l' ira del Cielo in sempiterno 27.201.8 sopra te, bolgia o Caina d' inferno!». 27.202.1 Ma poi che e' giunse appiè della montagna 27.202.2 a quella fonte ove Rinaldo aspetta, 27.202.3 di più misere lacrime si bagna 27.202.4 e come morto da caval si getta; 27.202.5 abbraccia Orlando e quanto può si lagna, 27.202.6 e dice: «Anima giusta e benedetta, 27.202.7 ascolta almen dal Ciel quel ch' io ti dico, 27.202.8 perché pur ero il tuo signor già antico. 27.203.1 Io benedico il dì che tu nascesti; 27.203.2 io benedico la tua giovinezza: 27.203.3 io benedico i tuoi concetti onesti; 27.203.4 io benedico la tua gentilezza; 27.203.5 io benedico ciò che mai facesti; 27.203.6 io benedico la tua gran prodezza; 27.203.7 io benedico l' opre alte e leggiadre; 27.203.8 io benedico il seme del tuo padre. 27.204.1 E chieggo a te perdon se mi bisogna, 27.204.2 perché di Francia tu sai ch' io ti scrissi, 27.204.3 quando tu eri crucciato in Guascogna, 27.204.4 che in Runcisvalle a Marsilio venissi 27.204.5 col conte Anselmo e 'l signor di Borgogna. 27.204.6 Ma non pensavo, omè, che tu morissi; 27.204.7 quantunque giusto guidardon riporto, 27.204.8 ché tu se' vivo ed io son più che morto. 27.205.1 Ma dimmi, o figliuol mio, dove è la fede 27.205.2 al tempo lieto già data ed accetta? 27.205.3 O se tu hai di me nel Ciel merzede 27.205.4 come solevi al mondo, alma diletta, 27.205.5 rendimi, se Dio tanto ti concede, 27.205.6 ridendo, quella spada benedetta, 27.205.7 come tu mi giurasti in Aspramonte 27.205.8 quando ti feci cavaliere e conte». 27.206.1 Come a Dio piacque, intese le parole, 27.206.2 Orlando sorridendo in piè rizzossi 27.206.3 con quella reverenzia che far suole, 27.206.4 e innanzi al suo signore inginocchiossi 27.206.5 (e non sia maraviglia, poi che il sole 27.206.6 oltre al corso del ciel per lui fermossi), 27.206.7 e poi distese ridendo la mana 27.206.8 e rendégli la spada Durlindana. 27.207.1 Carlo tremar si sentì tutto quanto 27.207.2 per maraviglia e per affezïone, 27.207.3 ed a fatica la strinse col guanto. 27.207.4 Orlando si rimase ginocchione, 27.207.5 l' anima si tornò nel regno santo. 27.207.6 Carlo cognobbe la sua salvazione; 27.207.7 che se non fussi questo sol conforto, 27.207.8 dice Turpin che certo e' sare' morto. 27.208.1 Quivi era ognuno in terra inginocchiato 27.208.2 e tremava d' orrore e di paura 27.208.3 quando vidono Orlando in piè rizzato, 27.208.4 come avvien d' ogni cosa oltre a natura; 27.208.5 però ch' egli era in parte ancora armato 27.208.6 e molto fiero nella guardatura; 27.208.7 ma perché poi ridendo inginocchiossi 27.208.8 dinanzi a Carlo, ognun rassicurossi. 27.209.1 Poi abbracciâr molto pietosamente 27.209.2 Carlo e tutti, Rinaldo e Ricciardetto, 27.209.3 e ragionorno pur succintamente 27.209.4 della battaglia e d' ogni loro effetto, 27.209.5 ed ordinossi per la morta gente 27.209.6 dove fussi il sepulcro e il lor ricetto. 27.209.7 Ma Carlo un corpo era colmo d' angosce, 27.209.8 ché tanta gente non si ricognosce; 27.210.1 e disse: «O Signor mio, fammi ancor degno, 27.210.2 fra tante grazie che tu mi concedi, 27.210.3 ch' io ricognosca in qualche modo o segno 27.210.4 la gente mia, che quaggiù morta vedi, 27.210.5 ch' io non so dove io sia né donde i' vegno; 27.210.6 e come in Giusaffà, le mane e' piedi 27.210.7 e l' altre membra insieme accozza e mostra 27.210.8 per carità qual sia la gente nostra». 27.211.1 E poi che furon nella valle entrati, 27.211.2 trovoron tutti i cristian c' hanno insieme 27.211.3 i membri appresso e i volti al ciel levati, 27.211.4 perché questo era d' Adamo il buon seme. 27.211.5 O Dio, quanti miracoli hai mostrati! 27.211.6 Quanto è felice chi in te pon sua speme! 27.211.7 E tutti i corpi di que' saracini 27.211.8 dispersi son co' volti a terra chini. 27.212.1 Ringraziò Carlo Iddio devotamente, 27.212.2 che tante grazie gli avea conceduto. 27.212.3 Or qui comincia un mar tanto frangente 27.212.4 di pianto e duol, che non sare' creduto: 27.212.5 chi truova il figliuol morto e chi 'l parente, 27.212.6 amico o frate; e quel ricognosciuto, 27.212.7 abbraccia il corpo e l' elmo gli dilaccia 27.212.8 e mille volte poi lo bacia in faccia. 27.213.1 Carlo si pose per dolor la mano 27.213.2 agli occhi quando Astolfo morto vide, 27.213.3 e se potessi, come il pellicano 27.213.4 quando la serpe i suoi nati gli uccide, 27.213.5 lo sanerebbe col suo sangue umano. 27.213.6 Così per tutto quel campo si stride: 27.213.7 Rinaldo piange, Ricciardetto plora; 27.213.8 pensa se Namo anche piangeva allora! 27.214.1 Qui ci bisogna più d' una carretta 27.214.2 e tempo non è più tener quel sole 27.214.3 che per servire al suo Fattore aspetta. 27.214.4 «O fidanza gentil, chi Iddio ben cole 27.214.5 (o del nostro Ancisan parola eletta!), 27.214.6 il ciel tener con semplici parole!». 27.214.7 O sicuri cristian, gran parte è questa 27.214.8 di quella fede che v' è manifesta. 27.215.1 Credo che quegli Antipodi di sotto 27.215.2 dubitassin fra lor più volte, il giorno, 27.215.3 che non fussi del ciel l' ordine rotto, 27.215.4 ché il bel pianeta non facea ritorno; 27.215.5 o che e' fussi quel dì l' ultimo botto 27.215.6 e ritornassi all' antico soggiorno 27.215.7 prima che fussi il gran caòs aperto 27.215.8 e in dubbio stessi lo emisperio incerto. 27.216.1 E' se n' andò pure all' altro orizzonte, 27.216.2 finito un giorno naturale appunto: 27.216.3 forse la terra pensò che Fetonte 27.216.4 avessi il carro nuovamente assunto. 27.216.5 Carlo si stette con sua gente al monte 27.216.6 la notte insin che il mattin poi fu giunto, 27.216.7 ed ordinò che la gente cristiana 27.216.8 portata fussi in parte in Aquisgrana. 27.217.1 E molti corpi furno imbalsimati, 27.217.2 massime tutti que' de' paladini, 27.217.3 ed alcun furno a Parigi mandati 27.217.4 e per la Francia e per tutti i confini; 27.217.5 e tanti padri furno sconsolati 27.217.6 e tante donne si stracciano i crini, 27.217.7 e chi la faccia e chi il petto s' infranse, 27.217.8 ch' Affrica tanto o Grecia mai non pianse. 27.218.1 E sopra tutto pianse Alda la bella, 27.218.2 chiamando sé fra l' altre, dolorosa 27.218.3 d' Ulivieri e d' Orlando, meschinella, 27.218.4 dicendo: «Omè, quanto felice sposa 27.218.5 del più degn' uom che mai montassi in sella 27.218.6 fui alcun tempo, or misera angosciosa! 27.218.7 Già non invidio sua felice sorte, 27.218.8 ma increscemi di me insino alla morte. 27.219.1 O dolce sposo mio, signore e padre, 27.219.2 or non ti vedrò io più, fiero ed ardito, 27.219.3 quando tu eri armato fra le squadre! 27.219.4 Non creder che mai prenda altro marito; 27.219.5 ma sopra il corpo e tue membra leggiadre, 27.219.6 ché sento in Aquisgran se' seppellito, 27.219.7 giurerà come Dido Alda la bella». 27.219.8 E così fece a luogo e tempo quella. 27.220.1 Carlo fece il sepulcro al suo nipote 27.220.2 in Aquisgrana e 'l corpo quivi misse, 27.220.3 ed onorar lo fece quanto e' puote 27.220.4 prima che inverso Siragozza gisse, 27.220.5 dove poi furon le dolente note; 27.220.6 e nel sepulcro lettere si scrisse, 27.220.7 e conteneva in latino idïoma: 27.220.8 «Uno Iddio, uno Orlando ed una Roma». 27.221.1 E tutta Francia pianse il suo campione, 27.221.2 e spezialmente il popol di Parigi, 27.221.3 che non pianse più Roma Scipïone; 27.221.4 e fatte furno essequie in San Dionigi, 27.221.5 vestite a nero tutte le persone 27.221.6 (ch' usavan prima a' morti i panni bigi 27.221.7 come Pericle fe' vestir già Atene), 27.221.8 e parve annunzio di future pene. 27.222.1 Astolfo in Inghilterra fu mandato 27.222.2 (e dice alcun che Ottone era già morto), 27.222.3 e molto fu nella patria onorato. 27.222.4 Né Sansonetto gli fu fatto torto, 27.222.5 anzi un ricco sepulcro ha ordinato 27.222.6 Carlo a San Gianni, per lui, Piè di Porto; 27.222.7 e Berlinghieri e gli altri sua fratelli 27.222.8 ebbon tutti sepulcri antichi e belli. 27.223.1 Ulivier fu seppellito in Borgogna 27.223.2 e tutto il popol fe' di pianger roco. 27.223.3 Ma perché molte cose dir bisogna, 27.223.4 a Balugante torneremo un poco, 27.223.5 che va cercando trovare altra rogna: 27.223.6 non so se poi il grattar gli parrà giuoco. 27.223.7 E ritrovò la sua gente smarrita, 27.223.8 ch' era per boschi e montagne fuggita, 27.224.1 e terminò tornare in Runcisvalle, 27.224.2 ché non sapea s' Orlando fussi morto 27.224.3 e volea le sue gente sotterralle. 27.224.4 E come e' fu in su la montagna scorto, 27.224.5 che voleva calar giù nella valle, 27.224.6 Rinaldo, come astuto e molto accorto, 27.224.7 a Carlo disse: «Balugante viene: 27.224.8 io lo cognosco a' contrassegni bene. 27.225.1 Parmi che in punto tua gente si metta, 27.225.2 da poi che Iddio per grazia ce lo manda, 27.225.3 per cominciare a far nostra vendetta». 27.225.4 Il perché Carlo subito comanda 27.225.5 che si dovessi armare ognuno in fretta. 27.225.6 Era apparita l' alba a randa a randa, 27.225.7 quando la schiera de' pagan vien giùe, 27.225.8 il terzo dì che la battaglia fue. 27.226.1 E consiglioron Salamone e Namo 27.226.2 e Ricciardetto e Turpino e 'l Danese: 27.226.3 «O Carlo, poi che condotti qui siamo, 27.226.4 e piacque sempre a Dio le giuste imprese, 27.226.5 Balugante e sua gente seguitiamo 27.226.6 tanto che alfine sien le fiamme accese 27.226.7 e che si metta a sacco Siragozza 27.226.8 e Marsilio s' impicchi per la strozza. 27.227.1 E come fe' Vespasïano e Tito, 27.227.2 venderen per ischiavi que' marrani 27.227.3 a corsari o pirrati in qualche lito, 27.227.4 perché e' son peggio che porci o che cani». 27.227.5 E così presto si prese partito; 27.227.6 e com' egli hanno scontrati i pagani, 27.227.7 e' cominciorno a gridar: «Carne, carne!» 27.227.8 e «Morte!» e «Sangue!», ed ogni strazio a farne. 27.228.1 Rinaldo il primo calò giù la lancia 27.228.2 e grida a Balugante: «Ah, traditore, 27.228.3 già non è spenta la gloria di Francia!», 27.228.4 e morto in terra il metteva a furore, 27.228.5 se non che il ferro gli striscia la guancia 27.228.6 e truova un altro pagan peccatore, 27.228.7 sì che la lancia gli caccia per gli occhi 27.228.8 e bisognò che giù morto trabocchi. 27.229.1 Carlo aveva quel giorno Durlindana 27.229.2 e vendicar volea con essa Orlando, 27.229.3 e dice: «Ben che la mia forza è vana 27.229.4 respetto al signor tuo, famoso brando, 27.229.5 non perdonare alla gente pagana, 27.229.6 ché teco insieme lo vo vendicando; 27.229.7 e poi che e' t' ha ridendo a me renduto, 27.229.8 non è sanza cagion per certo suto». 27.230.1 O gloria al secol prisco, o luce, o specchio, 27.230.2 o difensor della cristiana fede, 27.230.3 o santo Carlo, o ben vivuto vecchio, 27.230.4 dell' alta fama di tua stirpe erede, 27.230.5 tu taglieresti a Malco l' altro orecchio! 27.230.6 Così fa chi in Gesù si fida e crede; 27.230.7 e bisognava al mondo tu venissi, 27.230.8 per cavarci di nuovo degli abissi. 27.231.1 Balugante trascorse tra' cristiani 27.231.2 perché il cavallo a forza lo transporta. 27.231.3 Carlo, che il vide, con ambo le mani 27.231.4 alzò la spada e tanto sdegno il porta, 27.231.5 che disse: «Tu n' andrai fra gli altri cani», 27.231.6 tanto che cadde come cosa morta; 27.231.7 e come Balugante in terra cade, 27.231.8 subito addosso gli fur cento spade. 27.232.1 E' non si vide mai più spade a Roma 27.232.2 addosso a qualche toro, quando in caccia 27.232.3 isciolto giù dal plaüstro quel toma, 27.232.4 quando si fa la festa di Testaccia; 27.232.5 tanto che infine la barba e la chioma 27.232.6 gli pela alcun, che l' elmo gli dilaccia; 27.232.7 e chi voleva pur cavargli il core, 27.232.8 ma non poteva, tanto era il furore. 27.233.1 E come Balugante morto fu, 27.233.2 i saracin fuggivon d' ogni banda; 27.233.3 e s' io non l' ho qui ricordato più, 27.233.4 il valoroso Arnaldo di Bellanda 27.233.5 molti pagani il dì in Cafarnaù, 27.233.6 anzi più tosto allo inferno giù manda. 27.233.7 E così fu questa nuova battaglia 27.233.8 di Balugante un gran fuoco di paglia. 27.234.1 Furon costor presto abbattuti tutti, 27.234.2 o fuggiron per boschi e per campagne; 27.234.3 e Balugante andò cercando frutti 27.234.4 che il punson più che ricci di castagne. 27.234.5 E poi che Carlo gli vide distrutti, 27.234.6 diterminò di passar le montagne, 27.234.7 e inverso Siragozza cavalcorno 27.234.8 e in ogni luogo i paesi guastorno 27.235.1 a fuoco, a sacco; a morte, in preda, in fuga 27.235.2 le donne, i moricini e le fanciulle, 27.235.3 sanza trovare ignun dove e' rifuga: 27.235.4 ammazzavano insin drento alle culle. 27.235.5 Carlo dicea ch' ogni cosa si struga, 27.235.6 pur che Marsilio e 'l suo regno s' annulle. 27.235.7 E così sempre per tutto il vïaggio 27.235.8 parean corsari in terra a far carnaggio. 27.236.1 Hai tu veduto innanzi alla tempesta 27.236.2 fuggir pastor con le lor pecorelle? 27.236.3 Così fuggìen la morte manifesta 27.236.4 quelle gente cacciate meschinelle; 27.236.5 e insino a Siragozza ignun non resta, 27.236.6 la notte e 'l giorno sempre in su le selle; 27.236.7 e passan valle e piagge e colli e monti, 27.236.8 e in ogni parte fêr tagliare i ponti. 27.237.1 Era la Spagna in parte battezzata; 27.237.2 e inteso di Marsilio i tradimenti, 27.237.3 e così tutti i mori di Granata, 27.237.4 molti signor ne furon mal contenti 27.237.5 e Siragozza è quasi abbandonata. 27.237.6 Marsilio v' avea drento poche genti, 27.237.7 ché in Runcisvalle rimase eran morte, 27.237.8 tanto che Carlo s' accostòe alle porte. 27.238.1 Re Bianciardin che la novella sente, 27.238.2 disse a Marsilio: «E' fia Rinaldo questo»; 27.238.3 ma non potevon creder per nïente 27.238.4 che Carlo fussi venuto sì presto 27.238.5 ed avessi condotta tanta gente; 27.238.6 e quel che più diventerà molesto, 27.238.7 ch' e' non sapean di Balugante il caso, 27.238.8 che pel cammino indrieto era rimaso. 27.239.1 Atteson tutti a rafforzar le mura. 27.239.2 Rinaldo a una porta appiccò il fuoco: 27.239.3 or questo fece alla terra paura, 27.239.4 tanto che drento entrorno a poco a poco. 27.239.5 Era la notte nebulosa oscura 27.239.6 (pensa, lettor, come egli andava il giuoco!) 27.239.7 e vento e pioggia e tempesta e furore 27.239.8 e tutto il popol levato al romore. 27.240.1 Il fuoco era appiccato in molte strade 27.240.2 e 'l vento certe fiamme in alto leva 27.240.3 e qualche tetto alle volte giù cade 27.240.4 e le moschee ed ogni cosa ardeva 27.240.5 e luccicar si vedea tante spade, 27.240.6 che Siragozza uno inferno pareva. 27.240.7 Marsilïone non sapea che farsi 27.240.8 e certo i suoi partiti erano scarsi. 27.241.1 E quando e' sente gridar «Francia, Francia!» 27.241.2 e «Carlo, Carlo!», gli parve che il core 27.241.3 gli passassi un coltello, anzi una lancia, 27.241.4 tanto ne prese nel petto terrore, 27.241.5 perché e' cognobbe in su 'n una bilancia 27.241.6 aver la vita e lo stato e l' onore, 27.241.7 e Bianciardin, tanto mascagna volpe, 27.241.8 a questa volta purgar le sue colpe. 27.242.1 Eran saliti sopra certe torri, 27.242.2 gridando forte, alcun talacimanno, 27.242.3 come dicessi: «Accorri! accorri! accorri! 27.242.4 Aiuta il popol, Macon, mussurmanno!». 27.242.5 Ma tutte alfine eran bucce di porri, 27.242.6 ch' ogni cosa n' andava a saccomanno 27.242.7 ed urla e strida per tutto si sente 27.242.8 e pianti assai commiserabilmente. 27.243.1 Rinaldo aveva sbarrata la piazza. 27.243.2 Le donne e le tosette scapigliate 27.243.3 correvan tutte come cosa pazza 27.243.4 ed eran dalle gente calpestate; 27.243.5 ed ognun grida: «Ammazza, ammazza, ammazza 27.243.6 queste gente ribalde rinnegate!»; 27.243.7 e così tutti parean di concordia 27.243.8 sanza pietà, sanza misericordia. 27.244.1 Carlo aveva con seco uno squadrone 27.244.2 e Durlindana sanguinosa in mano. 27.244.3 Corse al palazzo di Marsilïone, 27.244.4 gridando: «Ove è quel malvagio marrano?»; 27.244.5 e dismontato in sul primo scaglione, 27.244.6 la scala combatté di mano in mano, 27.244.7 e come Orazio gran punta sostenne, 27.244.8 tanto che insino in su la sala venne. 27.245.1 Era apparita quasi l' aürora, 27.245.2 quando il palagio di Marsilio è preso 27.245.3 e non si truova il traditore ancora; 27.245.4 ma poi che 'l fuoco per tutto era acceso, 27.245.5 alfin convenne ch' egli sbuchi fora, 27.245.6 e funne a Carlo portato di peso. 27.245.7 Carlo lo prese in quella furia pazza 27.245.8 e d' un veron lo gittò in su la piazza; 27.246.1 e cadde quasi addosso a Ricciardetto; 27.246.2 e Ricciardetto, come in terra il vede, 27.246.3 gridò: «Ribaldo!», e presel pel ciuffetto 27.246.4 e poi gli pose in su la gola il piede 27.246.5 e scannar lo volea come un cavretto; 27.246.6 se non ch' e' disse: «Abbi di me merzede 27.246.7 tanto che Carlo da basso giù vegni 27.246.8 e Bianciardin, che è nascoso, gl' insegni». 27.247.1 Or chi volessi la città meschina 27.247.2 in fuoco e in preda assimigliar la notte, 27.247.3 imaginar conviensi una fucina 27.247.4 giù nell' inferno in le più scure grotte: 27.247.5 ognuno aveva una rabbia canina, 27.247.6 che il sangue parea zuccher di tre cotte. 27.247.7 O giustizia di Dio, tu eri appresso! 27.247.8 Tu se' pur giusto, e in Ciel tu se' pur desso! 27.248.1 Credo Turpin con le sue mani uccise 27.248.2 dugento o più, a non parer bugiardo: 27.248.3 non domandar se nel sangue s' intrise! 27.248.4 E' parea più rubizzo e più gagliardo 27.248.5 che que' che avean le schiappe e le divise, 27.248.6 come se fussi la notte col cardo 27.248.7 renduto il pelo alla sua giovinezza, 27.248.8 perché tener non si potea in cavezza. 27.249.1 In questo tempo la reina Blanda 27.249.2 era con Lucïana strascinata: 27.249.3 ella non ha più d' oro la grillanda; 27.249.4 ella era dalla furia traportata; 27.249.5 ella gridava, ella si raccomanda 27.249.6 ch' almen come regina sia ammazzata 27.249.7 e che non era in questo modo onore 27.249.8 d' un tanto degno e magno imperatore; 27.250.1 e pareva la furia di Ericonne, 27.250.2 per modo eran le chiome scompigliate; 27.250.3 e' drappi ricchi e le purporee gonne 27.250.4 eran tutte per terra scalpitate. 27.250.5 O infortunata più che l' altre donne, 27.250.6 venuta al fin d' ogni calamitate! 27.250.7 Tanto ch' io credo questo essemplo basta 27.250.8 della antica miseria di Iocasta. 27.251.1 Rinaldo già nel palazzo era entrato, 27.251.2 e quando e' vide Lucïana bella, 27.251.3 come Corebo parve infurïato, 27.251.4 per Cassandra, la notte, meschinella; 27.251.5 e comandò ch' ognun fussi scostato, 27.251.6 tanto che porse la sua mano a quella 27.251.7 e liberolla da sì stretta furia 27.251.8 e non sofferse e' gli sia fatto ingiuria. 27.252.1 E poi ch' ognun fu ritirato addietro: 27.252.2 «O Carlo», disse, «io vo' che mi conceda 27.252.3 (se mai grazia da te nessuna impetro), 27.252.4 sì che tu sia di maggior gloria ereda 27.252.5 (perché a tanto signor, tanto alto scetro, 27.252.6 femina pare alla fine vil preda), 27.252.7 che la reina e Lucïana sia 27.252.8 libera data nella mia balìa». 27.253.1 Carlo rispose: «O figliuol mio diletto, 27.253.2 come poss' io negar le cose oneste? 27.253.3 Io vo' che il fatto sia prima che il detto. 27.253.4 Veggo che amore ancor ti sforza e investe». 27.253.5 E per venire, uditore, allo effetto, 27.253.6 e' perdonoron solamente a queste, 27.253.7 di tanta gente, in tutta la cittade; 27.253.8 il resto, al fuoco e 'l taglio delle spade. 27.254.1 Era a veder la notte Siragozza 27.254.2 a fuoco come Soddoma e Gomorra, 27.254.3 e tanto più ch' ella è pel sangue sozza 27.254.4 che par per tutto insino al fiume corra, 27.254.5 però che alla franciosa qui si sgozza; 27.254.6 e così arde, come al vento forra 27.254.7 di secche piante insino alle radice, 27.254.8 questa città che fu già sì felice. 27.255.1 Parea talvolta che si dividessi 27.255.2 l' una fiamma dall' altra (come è detto 27.255.3 de' due teban già in una pira messi), 27.255.4 e poi saltava d' uno in altro tetto, 27.255.5 come se un fuoco distinato ardessi; 27.255.6 e che Tesifo e Megera ed Aletto 27.255.7 vi fusse e Cerber latrassi, il gran cane, 27.255.8 e vendicassin le ingiurie cristiane. 27.256.1 Già si vedevan per terra le case 27.256.2 dirute ed arse e desolate tutte, 27.256.3 che pietra sopra pietra non rimase. 27.256.4 Quante magne ricchezze eran distrutte! 27.256.5 Quante colonne, piramide e base 27.256.6 eran cadute! Quanto parean brutte 27.256.7 a veder, sotto rimase, la notte, 27.256.8 quelle gente arrostite come botte! 27.257.1 Fammi Turpin maravigliar talvolta 27.257.2 (se non ch' io veggo poi che e' dice il vero, 27.257.3 quand' io ho questa istoria ben raccolta), 27.257.4 che molte madre drento al fiume Ibero 27.257.5 i propri figli in quella furia stolta 27.257.6 gittâr la notte con istran pensiero, 27.257.7 ché il furor tutto ministrava e guida 27.257.8 e non si scorge altro romor che strida; 27.258.1 ed altre in mezzo gli gittâr del foco, 27.258.2 per non venire alle man de' cristiani, 27.258.3 ne' pozzi e nelle fogne e in ogni loco; 27.258.4 altre gli uccison con lor proprie mani. 27.258.5 O vendetta di Dio, qui sare' poco 27.258.6 agguagliar la miseria de' Troiani 27.258.7 a tante afflitte e sventurate donne, 27.258.8 quando e' mentì del gran caval Sinonne! 27.259.1 Credo che Tito con Vespasïano 27.259.2 non fêr de' Giudei tanto, s' io non erro, 27.259.3 quanto costor di quel popol profano: 27.259.4 pensa che insino a Turpin pare sgherro! 27.259.5 Qual Sagunto, o Cartagin da Affricano, 27.259.6 la cosa va tra l' acqua e 'l fuoco e 'l ferro, 27.259.7 e 'l foco par, com' io dissi, penace: 27.259.8 pigli ciascun qual de' tre più gli piace. 27.260.1 E s' alcun pur si fuggiva, meschino, 27.260.2 in ogni parte la morte rintoppa, 27.260.3 ché Ricciardetto e il Danese e Turpino 27.260.4 ed Ansuïgi per tutto gualoppa. 27.260.5 Intanto è ritrovato Bianciardino, 27.260.6 ch' era nascoso in un sacco di stoppa. 27.260.7 Rinaldo far gli volea pure il giuoco 27.260.8 ed appiccarvi con sua mano il fuoco. 27.261.1 Carlo gli disse: «Io lo riserbo a peggio». 27.261.2 Marsilio intanto in sala era legato 27.261.3 come un can per la gola, allato al seggio 27.261.4 dove e' fu già da sua gente onorato. 27.261.5 E non poteva ignun pigliar pileggio, 27.261.6 ché il palazzo era per tutto guardato. 27.261.7 acciò che cosa nessuna si fugga, 27.261.8 sì che la roba e la gente si strugga. 27.262.1 Aveva Carlo un suo certo schiavone 27.262.2 lungo tempo tenuto, detto l' Orco, 27.262.3 che godeva la notte, il rubaldone, 27.262.4 nel sangue imbrodolato come un porco; 27.262.5 e stava all' uscio con un gran bastone 27.262.6 ch' egli avea fatto d' un certo biforco; 27.262.7 e chi voleva fuggir dalle poste, 27.262.8 convien che prima contassi con l' oste. 27.263.1 Non si potea qui dir come Bïante: 27.263.2 «Io me ne porto ogni mia cosa meco»: 27.263.3 più tosto molto ben le rene infrante 27.263.4 da quel baston se ne portava seco; 27.263.5 e s' alcun pur gli scappava davante, 27.263.6 «Calò, calò» si potea dire in greco, 27.263.7 perché e' faceva le persone destre, 27.263.8 e bisognava calar le finestre. 27.264.1 E' pareva ogni cosa vetro o ghiaccio 27.264.2 dove e' giugnevan quelle sconce botte. 27.264.3 E scrive alcun di questo ribaldaccio, 27.264.4 ch' egli arrostì de' moricin la notte, 27.264.5 che gl' infilzava in quel suo bastonaccio, 27.264.6 poi gli mangiò come porchette cotte; 27.264.7 ma perché il caso non mi pare onesto, 27.264.8 credo che Carlo non sapessi questo. 27.265.1 E così fu questa città dolente 27.265.2 con fuoco e sacco rovinata tutta, 27.265.3 sì che a veder la rovina e la gente, 27.265.4 una cosa pareva schifa e brutta. 27.265.5 E non è maraviglia veramente 27.265.6 che così in una notte sia distrutta, 27.265.7 ché le moschee rovinavano a ciocca, 27.265.8 tanto l' ira del Ciel sopra trabocca! 27.266.1 Avea già Anselmo e poi Chiron mandato 27.266.2 Carlo a Marsilio, per quel ch' io ne 'ntendo; 27.266.3 e fu ferito l' un, l' altro ammazzato, 27.266.4 cioè Chiron, indrieto poi venendo; 27.266.5 e Carlo aveva molto minacciato, 27.266.6 «Gerusalem, Gerusalem» dicendo, 27.266.7 «tu piangerai, Siragozza ribalda, 27.266.8 né pietra sopra pietra in te fia salda». 27.267.1 Ora ecco il re Marsilio innanzi a Carlo, 27.267.2 e tutto il popol: «Crucifiggi!» grida: 27.267.3 altri diceva e' dovessi impalarlo; 27.267.4 ognun volea ch' a suo modo l' uccida. 27.267.5 Carlo rispose che volea impiccarlo 27.267.6 (ché il traditore al capresto si fida) 27.267.7 a quel carubbo, come Scarïotto, 27.267.8 dove egli aveva ogni cosa condotto; 27.268.1 e disse: «Io vo', Marsilio, che tu muoia 27.268.2 dove tu ordinasti il tradimento, 27.268.3 e Bianciardin, che è padre d' ogni soia, 27.268.4 allato a te farà crucciare il vento». 27.268.5 Disse Turpino: «Io voglio essere il boia». 27.268.6 Carlo rispose: «Ed io son ben contento 27.268.7 che sia trattato di questi due cani 27.268.8 l' opere sante con le sante mani». 27.269.1 E poi che furon drento al parco entrati, 27.269.2 Carlo, veggendo intorno a quella fonte 27.269.3 arsa la terra e gli arbori abbruciati, 27.269.4 maravigliossi e cambiossi la fronte, 27.269.5 e disse: «O Bianciardin, quanti peccati 27.269.6 commessi hai qui con tue malizie pronte! 27.269.7 O scelerato, abominevol mostro! 27.269.8 O caso orrendo, o infamia al viver nostro!». 27.270.1 E quando e' vide quel carubbo secco 27.270.2 e quello allòr fulminato dal cielo, 27.270.3 parve che 'l cor gli passassi uno stecco 27.270.4 e che per tutto se gli arricci il pelo, 27.270.5 e disse: «O traditor Marsilio, ora ecco 27.270.6 dove tu commettesti il grande scelo! 27.270.7 Ah, crudel terra che lo consentisti, 27.270.8 e come Curzio, lor non inghiottisti! 27.271.1 Ecco ch' io ho pur ritrovate l' orme: 27.271.2 però nessun con la coda le copra, 27.271.3 ché la divina giustizia non dorme 27.271.4 e pure il fine è il testimon dell' opra; 27.271.5 pensi ciascun, quando e' fa cose inorme, 27.271.6 che la spada del Ciel sia sempre sopra, 27.271.7 e s' alcun tempo una cosa si cela, 27.271.8 nihil occultum, tutto si rivela. 27.272.1 O Falseron, io ho pur finalmente 27.272.2 qui ritrovati tutti i tuoi vestigi: 27.272.3 l' anima forse or del tuo error si pente, 27.272.4 tanti segni son qui, tanti prodigi! 27.272.5 Tu abbracciasti come fraudolente, 27.272.6 quando tu ti partisti da Parigi, 27.272.7 oïmè lasso, il mio degno nipote, 27.272.8 poi gli baciasti, ribaldo, le gote. 27.273.1 O Bianciardin, qui non bisogna essordia, 27.273.2 però ch' egli è da corda e da capresti 27.273.3 venuto il tempo e non misericordia; 27.273.4 ed è ragion che, come voi facesti 27.273.5 a questa fonte insieme di concordia 27.273.6 il tradimento, ognun l' aria calpesti, 27.273.7 poi ve n' andiate nello inferno a coppia: 27.273.8 ché la giustizia e la malizia è doppia». 27.274.1 Quando Marsilio si vede condotto 27.274.2 dove il peccato suo l' avea pur giunto 27.274.3 e che si truova a quel carrubbo sotto, 27.274.4 si ricordò come il suo caso appunto 27.274.5 predetto aveva un nigromante dotto, 27.274.6 tanto che fu più di dolor compunto; 27.274.7 perché e' gli disse: «Non tagliar quel legno, 27.274.8 che qualche volta sarà il tuo sostegno». 27.275.1 E poi pregò, come malvagio e rio, 27.275.2 che voleva una grazia chieder sola, 27.275.3 cioè di battezzarsi al vero Iddio. 27.275.4 Disse Turpin: «Tu menti per la gola; 27.275.5 ribaldo, appunto qui t' aspettavo io». 27.275.6 Rinaldo gli rispose: «Mai, cò'la! 27.275.7 Non vo' che tanta allegrezza tu abbi 27.275.8 che in vita e in morte il nostro Iddio tu gabbi. 27.276.1 Sai che si dice cinque acque perdute: 27.276.2 con che si lava all' asino la testa; 27.276.3 l' altra, una cosa che infine pur pute; 27.276.4 la terza è quella che in mar piove e resta; 27.276.5 e dove gente tedesche son sute 27.276.6 a mensa, sempre anche perduta è questa; 27.276.7 la quinta è quella ch' io mi perderei 27.276.8 a battezzare o marrani o giudei. 27.277.1 Io non credo che l' acqua di Giordano, 27.277.2 dove fu battezzato Gesù nostro, 27.277.3 ti potessi lavar come cristiano, 27.277.4 non che questa acqua, che mi pare inchiostro, 27.277.5 di questa fonte, o d' un color più strano, 27.277.6 pel miracolo ancor che Iddio ci ha mostro. 27.277.7 Dunque tu pensi con questa malizia 27.277.8 che non si satisfaccia alla giustizia?». 27.278.1 «Con Bianciardino e col tuo Falserone 27.278.2 giù nello inferno ti battezzerai», 27.278.3 disse Carlo, «in quelle acque di Carone, 27.278.4 quando la sua barchetta passerai. 27.278.5 E manderotti presto Ganellone; 27.278.6 e qualche tradimento ancor farai, 27.278.7 acciò che l' arte non ispenta sia, 27.278.8 ché so che tu n' hai in punto tuttavia. 27.279.1 E poi che Iddio ha per te riserbato 27.279.2 questo arbor secco che ci è qui davante, 27.279.3 dove ancor Giuda si fu attaccato, 27.279.4 ci mostrerrai di colassù le piante». 27.279.5 Disse Marsilio: «Io mi son ricordato 27.279.6 di quel che già previde un nigromante 27.279.7 (ma non lo intesi, omè!), che questo legno 27.279.8 disse ch' ancor mi sarebbe sostegno. 27.280.1 Io ti confesso d' averti tradito 27.280.2 in molte cose già pel tempo antico: 27.280.3 ma poi ch' io sono alla fine punito, 27.280.4 solo una grazia ti domando, e dico 27.280.5 che gentilezza è d' avere essaudito 27.280.6 l' ultimo prego d' ogni reo nimico: 27.280.7 abbi pietà della mia afflitta moglie, 27.280.8 ché morte ogn' odio, ogni cosa discioglie; 27.281.1 perché, quando tu eri giovinetto, 27.281.2 che tu togliesti poi la mia sorella, 27.281.3 Galafro, il padre mio, n' avea sospetto, 27.281.4 e sempre Blanda dicea, meschinella: 27.281.5 "O re, che vuoi tu far del Maïnetto? 27.281.6 Che colpa ha lui, se la tua figlia è bella 27.281.7 e per piacergli abbatte ognun in giostra? 27.281.8 Ben sai ch' egli ama Gallerana nostra. 27.282.1 E sommene avveduta in mille cose, 27.282.2 ch' egli è tanto infiammato di costei 27.282.3 che non può contra le fiamme amorose 27.282.4 resister, che son date dagli iddei". 27.282.5 E così sempre in tuo favor rispose, 27.282.6 tanto che pure se' obligato a lei; 27.282.7 e mentre, in verità, tu eri in corte, 27.282.8 per molte vie già ti campò la morte. 27.283.1 Galafro fe' mille volte disegno 27.283.2 di gastigarti de' peccati tuoi, 27.283.3 ma tanto adoperò questa il suo ingegno, 27.283.4 che finalmente lo ritenne poi; 27.283.5 e perch' io so, come gentile e degno, 27.283.6 questo peccato all' anima non vuoi, 27.283.7 per la corona che tu porti in testa 27.283.8 ti raccomando e Gallerana e questa. 27.284.1 Del corpo mio fa tu quel che ti pare; 27.284.2 l' anima so nell' inferno è dannata». 27.284.3 Disse Turpin: «Non tanto cicalare! 27.284.4 Questa è stata una lunga intemerata». 27.284.5 E cominciava il cappio a disegnare 27.284.6 e la cappa o la tonica avea alzata; 27.284.7 ed accostossi a quel carrubbio presto 27.284.8 ed attaccollo a un santo capresto. 27.285.1 Poi Bianciardin con le sue mani assetta, 27.285.2 che pareva il maestro lui quel giorno, 27.285.3 ed appostò con l' occhio per giubbetta 27.285.4 un nespol ch' era alla fonte dintorno; 27.285.5 e l' uno e l' altro si storce e gambetta. 27.285.6 Così Marsilio al carrubbo lasciorno 27.285.7 e Bianciardino attaccato a quel nespolo, 27.285.8 e Turpin gli levò di sotto il trespolo. 27.286.1 Poi ordinò che la reina Blanda, 27.286.2 Carlo, al suo padre fussi rimenata, 27.286.3 e molti in compagnia con essa manda, 27.286.4 perch' ella era del regno di Granata. 27.286.5 E poi che Siragozza d' ogni banda 27.286.6 era per terra tutta disolata, 27.286.7 rassettò il campo e sua gente il Danese 27.286.8 e inverso Francia il suo cammin riprese. 27.287.1 E come e' fu l' alta vendetta e magna 27.287.2 vulgata e sparta per tutta Araona 27.287.3 e pe' paesi dintorno di Spagna, 27.287.4 laudava ognun di Carlo la Corona; 27.287.5 né creder ch' un sol principe rimagna, 27.287.6 che a vicitarla non venga in persona; 27.287.7 ed ognun par di tal cosa contento 27.287.8 e così biasimava il tradimento. 27.288.1 Vennon molti signor d' ogni linguaggio, 27.288.2 mentre che Carlo indrieto si tornava, 27.288.3 a giurar fede e tributo ed omaggio; 27.288.4 e così questa gente cavalcava. 27.288.5 Or per non fare a' miei lettori oltraggio, 27.288.6 ché spesso il troppo cantar lungo grava, 27.288.7 convien ch' io chiami pur l' aiuto santo 27.288.8 alla mia istoria nel seguente canto.
CANTO XXVIII
28.1.1 L' ultima grazia, o mio Signor benigno, 28.1.2 perché il fin mostra d' ogni cosa il tutto, 28.1.3 non mi negar, ché ancor si mostra arcigno, 28.1.4 innanzi al tempo, non maturo il frutto: 28.1.5 fa ch' io paia alla morte un bianco cigno 28.1.6 che dolce canta in su l' estremo lutto, 28.1.7 tanto ch' io ponga in terra il mortal velo 28.1.8 di Carlo in pace e l' anima a te in Cielo; 28.2.1 perché donna è costì, che forse ascolta, 28.2.2 che mi commisse questa istoria prima, 28.2.3 e se per grazia è or dal mondo sciolta, 28.2.4 so che tanto nel Ciel n' è fatto stima 28.2.5 ch' io me n' andrò con l' una e l' altra volta 28.2.6 con la barchetta mia, cantando in rima, 28.2.7 in porto, come io promissi già a quella, 28.2.8 che sarà ancor del nostro mare stella. 28.3.1 Infino a qui l' aiuto di Parnaso 28.3.2 non ho chiesto né chieggo, Signor mio, 28.3.3 o le Muse o le suore di Pegàso, 28.3.4 come alcun dice, o Caliopè o Clio: 28.3.5 questo ultimo cantar drieto rimaso 28.3.6 tanto mi sprona e la voglia e 'l desio, 28.3.7 che mentre io batto i marinai e sferzo, 28.3.8 alla mia vela aggiugnerò alcun ferzo. 28.4.1 Da Siragozza s' è Carlo partito, 28.4.2 arso la terra e vendicate l' onte, 28.4.3 e il traditor di Marsilio è punito 28.4.4 dove e' fece il peccato a quella fonte; 28.4.5 e cavalcando d' uno in altro lito, 28.4.6 in molti luoghi fe' rifare il ponte 28.4.7 ch' egli avea prima pel cammin tagliato 28.4.8 acciò che indrieto nessun sia tornato. 28.5.1 E ritornossi a San Gianni di Porto 28.5.2 e non sofferse a gnun modo passare 28.5.3 di Runcisvalle ove il nipote è morto, 28.5.4 e dicea sempre nel suo sospirare: 28.5.5 «Chi sarà quel che mi dia più conforto?», 28.5.6 tanto ch' ognun faceva lacrimare; 28.5.7 «Che farà più questa anima nel petto? 28.5.8 La vita mia omai fia sol despetto». 28.6.1 Or perché alcun qui dice, Ganellone 28.6.2 sendo con certa astuzia scarcerato, 28.6.3 che gli apparì sì gran confusïone 28.6.4 di nebbia, che l' avea tutto obumbrato, 28.6.5 e ritornossi smarrito in prigione, 28.6.6 ché così lo guidava il suo peccato; 28.6.7 dico io: non so se confirmar mi debbia, 28.6.8 per non parere un aüttore da nebbia. 28.7.1 Rinaldo intanto ha confortato Carlo, 28.7.2 e tutta insieme a un grido la corte, 28.7.3 che il traditor si dovessi straziarlo, 28.7.4 e pensa ognun della più crudel morte: 28.7.5 a molti par che si debba squartarlo, 28.7.6 altri dicea di tormento più forte, 28.7.7 e ruote e croce e con ogni vergogna, 28.7.8 e mitera e berlina e scopa e gogna. 28.8.1 E dopo molto disputar, fu Gano 28.8.2 menato in sala con gran grido e tuono, 28.8.3 incatenato come un cane alano; 28.8.4 e tanti farisei dintorno sono, 28.8.5 che pensan solo ognun d' averne un brano; 28.8.6 e mentre e' volea pur chieder perdono 28.8.7 e crede ancor forse Carlo gli creda, 28.8.8 Rinaldo il détte a quella turba in preda. 28.9.1 Carlo si stette a veder questa caccia: 28.9.2 e come in mezzo la volpe è de' cani, 28.9.3 ognun fa la sua presa, ognuno straccia; 28.9.4 chi lo mordea, chi gli storce le mani, 28.9.5 e chi per dilegion gli sputa in faccia, 28.9.6 chi gli dà certi sergozzoni strani, 28.9.7 chi per la gola alle volte lo ciuffa, 28.9.8 tanto che il cacio gli saprà di muffa; 28.10.1 chi con la man, chi col piè lo percuote, 28.10.2 chi fruga e chi sospigne e chi punzecchia, 28.10.3 chi gli ha con l' unghie scarnate le gote, 28.10.4 chi gli avea tutte mangiate l' orecchia, 28.10.5 chi lo 'ntronava e grida quanto e' puote, 28.10.6 chi il carro intanto col fuoco apparecchia, 28.10.7 chi gli avea tratto con le dita gli occhi, 28.10.8 chi il volea scorticar come i ranocchi. 28.11.1 E come e' fu sopra il carro il ribaldo, 28.11.2 il popol grida intorno: «Muoia, muoia!». 28.11.3 Intanto il ferro apparecchiato è caldo: 28.11.4 non domandar come e' lo concia il boia, 28.11.5 che non resta di carne un dito saldo, 28.11.6 ché tutte son ricamate le cuoia: 28.11.7 sì ch' egli era alle man di buon maestro, 28.11.8 perché e' facea molto l' uficio destro. 28.12.1 Egli aveva il capresto d' oro al collo 28.12.2 e la corona de' ribaldi in testa. 28.12.3 Rinaldo ancor non si chiama satollo 28.12.4 e 'l popol rugghia con molta tempesta 28.12.5 e chi gittava la gatta e chi il pollo 28.12.6 ed ogni volta lo imberciava a sesta: 28.12.7 non si dipigne Lucifer più brutto, 28.12.8 dal capo a' pie' come e' pareva tutto. 28.13.1 Fece quel carro la cerca maggiore, 28.13.2 e chi si cava pattìn, chi pianelle, 28.13.3 per vedere straziare il traditore, 28.13.4 sì che di can non si strazia più pelle. 28.13.5 Tanto tumulto, strepito e romore, 28.13.6 che rimbombava insin sopra le stelle, 28.13.7 «Crucifigge» gridando, «crucifigge!»; 28.13.8 e 'l manigoldo tuttavia trafigge. 28.14.1 E poi che il carro al palazzo è tornato, 28.14.2 Carlo ordinato avea quattro cavagli; 28.14.3 e come a questi il ribaldo è legato, 28.14.4 cominciano i fanciugli a scudisciàgli, 28.14.5 tanto che l' hanno alla fine squartato. 28.14.6 Poi fe' Rinaldo, que' quarti, gittàgli 28.14.7 per boschi e bricche e per balze e per macchie 28.14.8 a' lupi, a' cani, a' corvi, alle cornacchie. 28.15.1 Cotal fine ebbe il maladetto Gano, 28.15.2 ché lo etterno giudicio è sempre appresso, 28.15.3 quando tu credi che sia ben lontano. 28.15.4 Or forse tu, lettor, dirai adesso 28.15.5 come e' gli abbi creduto Carlo Mano. 28.15.6 Io ti rispondo: «Era così permesso; 28.15.7 era nato costui per ingannarlo 28.15.8 e convenia che gli credessi Carlo». 28.16.1 Nota che Carlo Magno era uom divino 28.16.2 e lungo tempo avea tenuto seco 28.16.3 un dotto antico chiamato Alcuïno 28.16.4 ed apparò da lui latino e greco 28.16.5 ed ordinò lo Studio parigino; 28.16.6 or par che sia dello intelletto cieco; 28.16.7 onde alcuno aüttor, come prudente, 28.16.8 di Ganellon non iscrive nïente. 28.17.1 Ed io meco medesimo dispùto, 28.17.2 quand' io ho ben raccolta la sua vita, 28.17.3 come egli abbi un error tanto tenuto; 28.17.4 ma la natura divina è tradita, 28.17.5 e non ha sanza misterio voluto, 28.17.6 ché la sua sapïenzia è infinita: 28.17.7 credo che Iddio a buon fine permette 28.17.8 l' opere sante, e così maladette; 28.18.1 però che Carlo per esperïenzia 28.18.2 dovea molto saper, perché ne' vecchi 28.18.3 accade, e non in giovane, prudenzia, 28.18.4 poi ch' ella è figurata con tre specchi; 28.18.5 avea buon natural, buona scïenzia; 28.18.6 e come il traditor gli era agli orecchi, 28.18.7 e' gli credeva ogni cosa a sua posta: 28.18.8 sì ch' io non fermo ancor la mia risposta. 28.19.1 Molte volte, anzi spesso, c' interviene 28.19.2 che tu t' arrechi un amico a fratello 28.19.3 e ciò che fa ti par che facci bene, 28.19.4 dipinto e colorito col pennello: 28.19.5 questo primo legame tanto tiene, 28.19.6 che s' altra volta ti dispiace quello 28.19.7 e qualche cosa ti farà molesta, 28.19.8 sempre la prima impressïon pur resta. 28.20.1 Avea già lungo tempo Carlo Magno 28.20.2 tenuto in corte sua Gan di Maganza; 28.20.3 ed oltre a questo vi vedea guadagno, 28.20.4 però che Gano avea molta possanza 28.20.5 e qualche volta gli fu buon compagno; 28.20.6 e perché molto può l' antica usanza, 28.20.7 l' abito fatto d' uno in altro errore, 28.20.8 facea che Carlo gli portava amore. 28.21.1 Altri direbbe: «Dimmi ancora un poco: 28.21.2 Gan sapea pur ch' egli aveva tradito 28.21.3 e che e' doveva alfine ardere il foco: 28.21.4 come e' non s' era di corte partito, 28.21.5 acciò che rïuscissi netto il giuoco, 28.21.6 sendo tanto mascagno e scalterito?». 28.21.7 Credo ch' io l' abbi in altro cantar detto, 28.21.8 ch' ogni cosa si fa per un despetto. 28.22.1 Quando Ulivier percosse il viso a Gano, 28.22.2 io dissi allor come e' si pose in core 28.22.3 di vendicarsi, ché gli parve strano, 28.22.4 sendo pur per natura traditore. 28.22.5 Ricòrdati, lettor, del Lampognano 28.22.6 e non cercar d' altro antico aüttore; 28.22.7 e sempre tien' la paura in corazza, 28.22.8 ché il disperato alfin mena la mazza. 28.23.1 Forse che Gano ancora avea speranza 28.23.2 di ricoprir con Carlo il tradimento; 28.23.3 ed avea tanta gente di Maganza, 28.23.4 che come il conte Orlando fussi spento, 28.23.5 si confidava nella sua possanza 28.23.6 di poter le bandiere alzare al vento 28.23.7 col favor di Marsilio e con la lancia 28.23.8 e coronarsi del regno di Francia. 28.24.1 Or lasciàn questo traditor pe' boschi, 28.24.2 com' io dissi, pe' balzi e per le fosse, 28.24.3 perch' io son pien di molti pensier foschi. 28.24.4 Non c' è il nocchier che la mia barca mosse 28.24.5 e bisogna che terra io ricognoschi 28.24.6 come se quella in alto mare or fosse 28.24.7 e rilevare il porto per aguglia, 28.24.8 perché la sonda alle volte ingarbuglia. 28.25.1 Morto è Turpino e seppellito e pianto, 28.25.2 tanto ch' io temo nella prima vista 28.25.3 di non uscir fuor del cammino alquanto, 28.25.4 ché mi bisogna scambiar timonista, 28.25.5 e nuova cetra s' apparecchia e canto; 28.25.6 ma perché volteggiando pur s' acquista, 28.25.7 forse che in porto condurrem la nave 28.25.8 di ricche merce ponderosa e grave: 28.26.1 sì ch' io ricorro al mio famoso Arnaldo, 28.26.2 che m' accompagni insino al fine e scorga 28.26.3 tanto ch' io ponga in quïete Rinaldo, 28.26.4 e la sua destra mano al timon porga: 28.26.5 che poi che Gano ha squartato, il ribaldo, 28.26.6 d' un zucchero candito è pieno in gorga 28.26.7 e riforbito s' ha gli artigli e 'l becco 28.26.8 e tratto fuor della mente lo stecco. 28.27.1 E perché egli ama ancora pur Luciana, 28.27.2 con molta gente la mandò a Parigi, 28.27.3 perch' ella era nipote a Gallerana; 28.27.4 e battezzossi drento a San Dionigi 28.27.5 ed accordossi alla fede cristiana; 28.27.6 e tanto piacque al gentile Ansuïgi, 28.27.7 perché pure era ancor giovane e bella, 28.27.8 che finalmente disponsata ha quella. 28.28.1 E Ricciardetto con lei fu mandato, 28.28.2 per piacere a Rinaldo, in compagnia; 28.28.3 e 'l padiglion ch' ella aveva donato, 28.28.4 Rinaldo volle renduto gli sia 28.28.5 per ristorarla del tempo passato 28.28.6 e rendé cortesia per cortesia, 28.28.7 e sempre il tenne poi sopra il suo letto; 28.28.8 e basti questo a lei e Ricciardetto. 28.29.1 Rinaldo a Carlo Magno un giorno disse 28.29.2 come e' voleva di corte partire 28.29.3 e cercar tutto il mondo come Ulisse. 28.29.4 Carlo di duol si credette morire, 28.29.5 ma finalmente poi lo benedisse 28.29.6 e non poteron nessun contraddire 28.29.7 che, poi che vendicato aveva Orlando, 28.29.8 volea pel mondo andar peregrinando. 28.30.1 Gran pianto fece la corte di Carlo; 28.30.2 Carlo gli parve rimaner sì solo, 28.30.3 che non poté mai più dimenticarlo: 28.30.4 credo che questo fu l' ultimo duolo; 28.30.5 e non voleva sentir ricordarlo, 28.30.6 come fa il padre che perde il figliuolo; 28.30.7 e tutta Francia ne fe' gran lamento, 28.30.8 poi ch' un tanto campion nel mondo è spento. 28.31.1 E credo in verità che così sia, 28.31.2 perché pur molte cose ho di lui scritto, 28.31.3 e per virtù della sua gagliardia 28.31.4 e' par ch' io sia come costor già afflitto; 28.31.5 e come peregrin rimaso in via 28.31.6 che va pur sempre al suo cammin diritto 28.31.7 col pensier, con la mente e col cervello, 28.31.8 così vo io pur seguitando quello. 28.32.1 E s' io credessi di piacere ancora 28.32.2 alla patria, a color che leggeranno, 28.32.3 come avvien chi per fama s' innamora, 28.32.4 io piglierei di questa istoria affanno, 28.32.5 però che al tutto chi ne scrive ignora; 28.32.6 ma se mie rime facultate aranno, 28.32.7 forse che il mondo ancor leggerà questo 28.32.8 fin che l' ultimo dì fia manifesto. 28.33.1 Ma l' aüttor disopra ov' io mi specchio 28.33.2 parmi che creda (e forse crede il vero) 28.33.3 che benché e' fusse Rinaldo già vecchio, 28.33.4 avea l' animo ancor robusto e fero 28.33.5 e quel suon d' Astarotte nello orecchio 28.33.6 come disotto in quell' altro emispero 28.33.7 erano e guerre e monarchie e regni, 28.33.8 e che e' passassi alfin d' Ercule i segni, 28.34.1 e, perché ancor di lui quell' angel disse: 28.34.2 «Ogni cosa esser può, quando Iddio vuole», 28.34.3 acciò che quelle gente convertisse 28.34.4 ch' adoravan pianeti e vane fole: 28.34.5 e se ancor vivo un giorno e' rïuscisse 28.34.6 dall' altra parte ove si lieva il sole, 28.34.7 come molti miracoli si vede, 28.34.8 qual maraviglia? Chi più sa, men crede. 28.35.1 Non si dice egli ancor del Vangelista? 28.35.2 benché ciò comparar par forse scelo. 28.35.3 Ma dove il punto o il misterio consista, 28.35.4 sallo Colui che fece il mondo e 'l cielo: 28.35.5 questa nostra mortal caduca vista 28.35.6 fasciata è sempre d' un oscuro velo 28.35.7 e spesso il vero scambia alla menzogna, 28.35.8 poi si risveglia come fa chi sogna. 28.36.1 E del Danese che ancor vivo sia, 28.36.2 perché tutto può far Chi fe' natura, 28.36.3 dicono alcun, ma non la istoria mia; 28.36.4 e che si truova in certa grotta oscura 28.36.5 e spesso armato a caval par che stia, 28.36.6 sì che, chi il vede, gli mette paura: 28.36.7 non so s' è vera oppinïone o vana; 28.36.8 e così della spada Durlindana 28.37.1 e come Carlo la gittò nel mare 28.37.2 e il dì della battaglia dolorosa 28.37.3 si vede sopra l' acqua galleggiare 28.37.4 e mostrasi ancor tutta sanguinosa 28.37.5 e s' alcun va per volerla pigliare, 28.37.6 subito sotto si torna nascosa. 28.37.7 Tutto esser può, ma come caso nuovo, 28.37.8 con la mia penna non l' affermo o pruovo. 28.38.1 Credo che al tempo di que' paladini, 28.38.2 perché la fede ampliasse di Cristo, 28.38.3 sendo molto potenti i saracini 28.38.4 molte cose a buon fin permisse Cristo; 28.38.5 ché se non fussi stato a' lor confini 28.38.6 Carlo a pugnar per la fede di Cristo, 28.38.7 forse saremo ognun maümettisti: 28.38.8 ergo, Carole, in tempore venisti. 28.39.1 Parmi Carlo e Domenico e Francesco 28.39.2 abbin tanto operato per la fede 28.39.3 con le dottrine e col valor francesco, 28.39.4 ch' io dirò forse che per lor si crede, 28.39.5 ché il popol de' cristiani stava fresco; 28.39.6 se non che Iddio a' buon servi concede, 28.39.7 perché ogni cosa è da lui preveduto, 28.39.8 sempre al tempo opportun debito aiuto. 28.40.1 Io mi confido ancor molto qui a Dante, 28.40.2 che non sanza cagion nel Ciel su misse 28.40.3 Carlo ed Orlando in quelle croce sante, 28.40.4 ché come diligente intese e scrisse; 28.40.5 e così incolpo il secolo ignorante 28.40.6 che mentre il nostro Carlo al mondo visse, 28.40.7 non ebbe un Livio, un Crispo, un Iustin seco, 28.40.8 o famoso scrittor latino o greco. 28.41.1 Ma perch' io dissi altra volta di questo 28.41.2 quando al principio cominciai la istoria, 28.41.3 forse tacere, uditor, fia onesto. 28.41.4 Poi ch' io ho collocato in tanta gloria 28.41.5 Carlo ed Orlando, or basti, sia per resto, 28.41.6 perché e' non paia vanitate o boria 28.41.7 a giudicar de' segreti di sopra, 28.41.8 quel che meriti ognun secondo l' opra. 28.42.1 Sempre i giusti son primi i lacerati. 28.42.2 Io non vo' ragionar più della fede, 28.42.3 ch' io me ne vo poi in bocca a questi frati, 28.42.4 dove vanno anche spesso le lamprede; 28.42.5 e certi scioperon pinzocorati 28.42.6 rapportano: «Il tal disse, il tal non crede», 28.42.7 donde tanto romor par che ci sia 28.42.8 se «in principio era buio, e buio fia». 28.43.1 In principio creò la terra e il cielo 28.43.2 Colui che tutto fe' qual sapïente, 28.43.3 e le tenebre al sol facevon velo; 28.43.4 non so quel che si fia poi finalmente 28.43.5 nella revoluzion del grande stelo: 28.43.6 basta che tutto giudica la Mente; 28.43.7 e se pur vane cose un tempo scrissi, 28.43.8 contra hipocritas tantum, pater, dissi. 28.44.1 Non in pergamo adunque, non in panca 28.44.2 reprendi il peccator, ma quando siedi 28.44.3 nella tua cameretta, se e' pur manca; 28.44.4 salite colassù col piombo a' piedi: 28.44.5 la fede mia come la tua è bianca, 28.44.6 e farotti vantaggio anche due Credi; 28.44.7 predicate e spianate l' Evangelio 28.44.8 con la dottrina del vostro Aürelio. 28.45.1 E s' alcun susurrone è che v' imbocchi, 28.45.2 palpate come Tomma, vi ricordo, 28.45.3 e giudicate alle man, non agli occhi, 28.45.4 come dice la favola del tordo; 28.45.5 e non sia ignun più ardito che mi tocchi, 28.45.6 ch' io toccherò poi forse un monacordo, 28.45.7 ch' io troverrò la solfa e' suoi vestigi: 28.45.8 io dico tanto a' neri quanto a' bigi. 28.46.1 Vostri argumenti e vostri sillogismi, 28.46.2 tanti maestri, tanti bacalari, 28.46.3 non faranno con loïca o sofismi 28.46.4 ch' alfin sien dolci i miei lupini amari, 28.46.5 e non si cercherà de' barbarismi, 28.46.6 ch' io troverrò ben testi che fìen chiari: 28.46.7 per carità per sempre vi sia detto, 28.46.8 e non si dirà poi più del sonetto. 28.47.1 Io mi parti' da San Gianni di Porto 28.47.2 dov' io lasciai il mio Carlo mal contento; 28.47.3 or, perché il fine è di venire a porto 28.47.4 sempre d' ognun che si commette al vento, 28.47.5 noi penserem qualche tragetto corto, 28.47.6 però che un' ora omai parrebbe cento; 28.47.7 tanto la voglia è in sé più desïosa, 28.47.8 quanto più presso al fine è ogni cosa. 28.48.1 Carlo, poi ch' ebbe Ganellon punito 28.48.2 e rimesso un dïavolo in inferno, 28.48.3 che l' ha più tempo tentato e tradito, 28.48.4 fe' come sempre i sapïenti ferno, 28.48.5 che d' ogni cosa pigliar san partito, 28.48.6 e redusse la corte e 'l suo governo 28.48.7 in Aquisgrana ove alcun tempo visse 28.48.8 e molte guerre fe' pria che morisse. 28.49.1 Ma perché morte a nessun mai perdona, 28.49.2 non riguardando a tanto imperatore, 28.49.3 poi ch' egli ebbe tenuta la corona 28.49.4 quaranzette anni con supremo onore, 28.49.5 l' anima sua il secolo abbandona 28.49.6 e ritornossi a quel lieto Fattore, 28.49.7 che si ricorda ristorare in Cielo 28.49.8 i giusti e' buon, come dice il Vangelo. 28.50.1 E benché tante cose ha fatte prima, 28.50.2 che non iscrisse Ormanno né Turpino, 28.50.3 riserberem con altra cetra e rima 28.50.4 a cantar le sue laude ad Alcuïno, 28.50.5 che canterà le cose di più stima, 28.50.6 dell' infanzia tacendo e di Pipino, 28.50.7 come solevan nei tempi discreti 28.50.8 cantar le laude de' morti i poeti. 28.51.1 Furon molto le essequie celebrate 28.51.2 e tutto il mondo quasi in vesta negra, 28.51.3 massime tutta la Cristianitate, 28.51.4 e Francia poi non si vide più allegra. 28.51.5 Or, perché molte cose ho pur lasciate, 28.51.6 acciò che io dica la sua istoria integra, 28.51.7 tanto che e' sia anche il dotto satollo, 28.51.8 convien ch' io invochi a questa volta Apollo. 28.52.1 E per Delo e per Delfo e pel tuo Cinto 28.52.2 ti priego che tu temperi la lira, 28.52.3 per la tua bella Danne e per Iacinto; 28.52.4 e quel furor che sentì già, respira, 28.52.5 Ismaro e Cirra, Pindo ed Arachinto, 28.52.6 tanto che quel temerario Tamira 28.52.7 e Marsia invidia abbia alla cetra nostra, 28.52.8 mentre che Carlo ancor vivo si mostra. 28.53.1 In Aquisgrana un certo citarista 28.53.2 era in quel tempo, Lattanzio appellato, 28.53.3 molto gentil, molto famoso artista, 28.53.4 per la qual cosa in alto fu montato: 28.53.5 raccolto molte cose a una lista, 28.53.6 della vita di Carlo ammaestrato, 28.53.7 e innanzi ad Alcuïn, cantando disse 28.53.8 ciò che Turpino ed Ormanno già scrisse. 28.54.1 E cominciossi a Carlo giovinetto, 28.54.2 come già, sendo del regno cacciato, 28.54.3 morto Pipino, il padre, poveretto, 28.54.4 con un pastore ha l' abito scambiato 28.54.5 e come e' fu chiamato il Maïnetto 28.54.6 in corte ove Galafro l' ha accettato 28.54.7 e come e' fussi a lui menato e quando, 28.54.8 da un suo balio chiamato Morando, 28.55.1 e come Gallerana innamorata 28.55.2 dopo alcun tempo a lui si fece sposa 28.55.3 e come in Francia l' aveva menata; 28.55.4 poi dimostrò la sua virtù nascosa, 28.55.5 quando egli ebbe la patria racquistata 28.55.6 e la corona in testa glorïosa, 28.55.7 perché Pipino, il suo padre, fu morto 28.55.8 da Oldorigi a tradimento, a torto; 28.56.1 e come, essendo in Italia venuto, 28.56.2 con molta gente il mar passò Agolante 28.56.3 per un buffone al quale ebbe creduto, 28.56.4 e disse le battaglie tutte quante; 28.56.5 e come, Carlo d' Almonte abbattuto, 28.56.6 Orlando, che ancora era un picciol fante, 28.56.7 uccise finalmente questo Almonte 28.56.8 con un troncon di lancia a una fonte; 28.57.1 e di Gerardo e Don Buoso e Don Chiaro, 28.57.2 di Risa di Riccier, tutto cantossi; 28.57.3 e come, poi che in Francia ritornaro, 28.57.4 perché più volte Spagna ribellossi, 28.57.5 l' ultima volta gli costò amaro, 28.57.6 e come quella guerra cominciossi 28.57.7 e Ferraù come morì in sul ponte 28.57.8 e Lazzera fu preso sopra il monte, 28.58.1 e come poi alla Stella Serpentino 28.58.2 venne fuori a combatter con Orlando 28.58.3 e come morto rimase, meschino; 28.58.4 sì che Carlo, la impresa seguitando, 28.58.5 riprese verso Navarra il cammino, 28.58.6 a Pampalona alla fine arrivando; 28.58.7 e della lunga e dispietata guerra, 28.58.8 mentre che tenne assediata la terra, 28.59.1 e come Orlando sdegnato è partito 28.59.2 e capitò nella Mech al Soldano 28.59.3 e come Machidante è alfin fuggito 28.59.4 e Sansonetto si fe' poi cristiano; 28.59.5 e inverso Gerosolima fu ito 28.59.6 e racquistò il Sepulcro con sua mano 28.59.7 e ricognobbe Ugon german fratello 28.59.8 e Sansonetto ne menòe e quello; 28.60.1 e ritornato a Carlo a Pampalona, 28.60.2 dove a campo era stato già molti anni, 28.60.3 intese che Maccario la corona 28.60.4 e la sua sposa togliea con inganni 28.60.5 e bisognava Carlo ire in persona 28.60.6 a racquistare i suoi reali scanni; 28.60.7 e Malachel lo portò finalmente 28.60.8 dove Maccario poi restò dolente; 28.61.1 così ripresa la sua signoria, 28.61.2 a Pampalona tornò come un vento; 28.61.3 e come Desiderio di Pavia 28.61.4 prese la terra con iscaltrimento 28.61.5 e poi mandò a Marsilio imbasceria 28.61.6 ove Chiron fu morto a tradimento; 28.61.7 e come Carlo con tutta sua setta 28.61.8 contra Marsilio giurò far vendetta 28.62.1 e finalmente si trattòe la pace; 28.62.2 e come Ganellon fu poi mandato 28.62.3 a Siragozza, il traditor fallace, 28.62.4 e come il tradimento ha ordinato 28.62.5 e come Iddio mostrò che gli dispiace; 28.62.6 e intanto Carlo a San Gianni è arrivato; 28.62.7 e come in Runcisvalle Orlando è giunto, 28.62.8 e la battaglia, com' io dissi appunto. 28.63.1 E ciò che addrieto nel Morgante è scritto, 28.63.2 ogni cosa Lattanzio in alto disse; 28.63.3 e come tutta la Persia e lo Egitto 28.63.4 alla fede di Cristo pervenisse: 28.63.5 e bisognòe qui andar pel segno ritto 28.63.6 (non so se troppa mazza altrove misse), 28.63.7 ché l' aüttor che Morgante compose 28.63.8 non direbbe bugie tra queste cose. 28.64.1 E del Danese, e come e' fu cristiano, 28.64.2 e del caval chiamato Duraforte, 28.64.3 e che in prigione il tenne Carlo Mano 28.64.4 quando quel détte a Carlotto la morte, 28.64.5 insin che venne quel Bravieri strano 28.64.6 che abbatté tutti i paladin di corte, 28.64.7 e come e' fu della Marca signore, 28.64.8 ogni cosa dicea quel cantatore: 28.65.1 e come poi Rinaldo giovinetto 28.65.2 con tre frategli a Carlo fu mandato, 28.65.3 che fu Guicciardo, Alardo e Ricciardetto, 28.65.4 e come Carlo l' aveva accettato; 28.65.5 e perché spesso gli facea despetto, 28.65.6 più volte l' ebbe di corte scacciato; 28.65.7 e come e' fe' per arte Malagigi 28.65.8 Montalban fare a quegli angeli bigi. 28.66.1 E disse finalmente tante cose 28.66.2 che fece tutto il popolo stupire, 28.66.3 insin che pur la cetera giù pose 28.66.4 e non poté di Carlo tanto dire 28.66.5 quanto l' opere sue son più famose. 28.66.6 Or pur la istoria ci convien finire, 28.66.7 ché Alcuïn, poi che Lattanzio ha detto, 28.66.8 la cetra ha in punto e 'l piè già in sul palchetto. 28.67.1 Era il popol di lacrime confuso, 28.67.2 tanto a ciascun del suo signore increbbe 28.67.3 (e veramente a questa volta io scuso 28.67.4 ognun che piange quel che pianger debbe), 28.67.5 quando Alcuïn, secondo l' antico uso 28.67.6 salito in alto, poi che guardato ebbe 28.67.7 la gente afflitta e lamentabil tanto, 28.67.8 la cetra accommodò col flebil canto; 28.68.1 e molto commendò colui che ha detto, 28.68.2 Lattanzio, e disse nello essordio prima: 28.68.3 «Io son fra molti dicitore eletto, 28.68.4 e me' di me ognun sa dire in rima: 28.68.5 però s' io commettessi alcun defetto, 28.68.6 populo mio, per discrezion istima 28.68.7 che come Filomena a cantar vegno 28.68.8 materia ove e' non basta uman ingegno. 28.69.1 Io canterò del magno imperatore 28.69.2 la vita e piangerò con voi la morte, 28.69.3 perché pure era mio padre e signore 28.69.4 e tanto tempo m' ha nutrito in Corte, 28.69.5 dove il pan de' sospiri e del dolore 28.69.6 convien ch' io mangi or, tanto duro e forte: 28.69.7 ma perch' io sono alla vita obligato, 28.69.8 non voglio anche alla morte esser ingrato. 28.70.1 Pipino, il padre suo famoso e degno, 28.70.2 tenne prima lo scettro e il nome regio 28.70.3 e governò per quindici anni il regno, 28.70.4 però che al gran prefetto del collegio 28.70.5 dinanzi a lui bastava il nome e 'l segno; 28.70.6 ma la corona e 'l real seggio e 'l fregio 28.70.7 tenne Pipin come di sopra è detto, 28.70.8 che per successïone era prefetto. 28.71.1 Morto Pipin, dopo il quindecimo anno 28.71.2 dalla sua promozion, rimase Carlo, 28.71.3 Carlo Magno appellato e Carlomanno, 28.71.4 un suo fratel; ma del signor mio parlo, 28.71.5 ché come il regno insieme partito hanno, 28.71.6 opera mia non è di raccontarlo: 28.71.7 io dirò tanto della sua eccellenzia 28.71.8 quant' io ebbi oculata esperïenzia. 28.72.1 La prima guerra fu con gli Aquitani» 28.72.2 (nota, lettor, che l' Aquitania è Ghienna, 28.72.3 acciò che i versi alcuna volta io spiani, 28.72.4 dov' io vedrò la discrezione accenna): 28.72.5 «Pipin v' avea prima messo le mani, 28.72.6 come scritto fu già con altra penna; 28.72.7 Carlo v' andò fino a guerra finita 28.72.8 e riportonne la palma fiorita. 28.73.1 E so che replicar non mi bisogna 28.73.2 cose tanto propinque alla memoria, 28.73.3 e come Unuldo si fuggì in Guascogna 28.73.4 e come doppia fu questa vittoria 28.73.5 da poi ch' egli ebbe il suo nimico in gogna; 28.73.6 però che Lupo, per maggior sua gloria, 28.73.7 il duca di Guascogna, fu prudente 28.73.8 e détte Unuldo e sé liberamente. 28.74.1 E perché intanto il bel paese Esperio 28.74.2 occupava il furor de' Longobardi 28.74.3 sotto l' insegne del re Desiderio, 28.74.4 uomini inculti, feroci e gagliardi, 28.74.5 sì che quel tenne di Italia lo imperio 28.74.6 ventiquattro anni sotto i suoi stendardi, 28.74.7 non si poteva alla fine cacciarlo, 28.74.8 se non giugneva il soccorso di Carlo. 28.75.1 Era venuto di verso Occeàno 28.75.2 questo popolo indomito, chiamato 28.75.3 da Narsete eünuco capitano; 28.75.4 onde il sommo pontefice oppressato, 28.75.5 ch' era in quel tempo il famoso Adriano, 28.75.6 a Carlo imbasciatore ebbe mandato 28.75.7 che dovessi in Italia venir quello 28.75.8 come Pipin già fece e 'l suo Martello. 28.76.1 Carlo, mosso da' prieghi santi e giusti, 28.76.2 partì di Francia co' suoi paladini 28.76.3 e bisognòe passar per luoghi angusti 28.76.4 onde Anibal passò co' suoi Barchini, 28.76.5 perché e' tenean que' populi robusti 28.76.6 i passi e' gioghi degli alti Apennini; 28.76.7 ma passi o sbarre non valsono o ponti, 28.76.8 ché finalmente e' trapassò que' monti. 28.77.1 E mandò prima imbasciadori a quelli 28.77.2 là dove Desiderio era attendato, 28.77.3 che dovessin partir co' lor drappelli 28.77.4 e come egli era in Italia chiamato 28.77.5 per discacciar della Chiesa i rebelli; 28.77.6 che si ricordin pel tempo passato 28.77.7 come altra volta con ispada e lancia 28.77.8 provato avevan le forze di Francia. 28.78.1 E finalmente alla battaglia venne 28.78.2 dove il pian vercellese par che sia; 28.78.3 il perché Desiderio non sostenne 28.78.4 e fu constretto fuggirsi in Pavia 28.78.5 dove Carlo assediato un tempo il tenne, 28.78.6 e intanto andò con la sua compagnia, 28.78.7 poi ch' egli avea la sua superbia doma, 28.78.8 a vicitare il pontefice a Roma. 28.79.1 Grande onor fece il sommo padre santo 28.79.2 a Carlo, lieto del suo avvenimento. 28.79.3 Restituïte le sue terre intanto 28.79.4 ed aggiunto Spoleti e Benevento, 28.79.5 e così in Roma dimorato alquanto 28.79.6 (per che molto Adrïan ne fu contento) 28.79.7 e satisfatto alla sua devozione, 28.79.8 si dipartì con gran benedizione. 28.80.1 E perché Desiderio avea lasciato, 28.80.2 com' io dissi, assediato in la sua terra, 28.80.3 come fùlgore indrieto ritornato, 28.80.4 tanto lo strinse finalmente e serra, 28.80.5 che bisognò che si fussi accordato: 28.80.6 e così fu terminata la guerra 28.80.7 e riportonne il trïunfo e le spoglie, 28.80.8 e in Francia lui co' figliuoli e la moglie. 28.81.1 Così la bella Italia liberata, 28.81.2 che da' Goti e da' Vandali prima era 28.81.3 e dagli Unni e dagli Eruli occupata, 28.81.4 gente bestial, molto crudele e fera, 28.81.5 e la Chiesa di Dio restaürata, 28.81.6 si ritornò con la santa bandiera, 28.81.7 e per più gloria de' famosi gigli 28.81.8 seco menò di Carlomanno i figli. 28.82.1 Io lascio molte cose egregie e degne, 28.82.2 ch' io non posso seguir con la memoria 28.82.3 e, in ogni parte ove fur, le sue insegne 28.82.4 accompagnar d' una in altra vittoria; 28.82.5 ma se morte anzi tempo non ispegne 28.82.6 il vero lume a mostrar questa istoria, 28.82.7 con altro stil, con altra cetra e verso 28.82.8 sarà ancor chiara a tutto l' universo. 28.83.1 Or, come avvien che il generoso core 28.83.2 cose magne ricerca insin se sogna, 28.83.3 così intervien che il nostro imperatore, 28.83.4 poi ch' egli ebbe Aquitania e la Guascogna 28.83.5 e liberata la Chiesa e 'l Pastore, 28.83.6 percosse nella eretica Sansogna 28.83.7 ch' era più ch' altra regïone allotta 28.83.8 dal culto falso de' demòn corrotta. 28.84.1 Questa guerra fu più laborïosa 28.84.2 che alcuna altra per gli uomini strani 28.84.3 a cui molto la nostra fede esosa 28.84.4 era, ingannati dagli idoli vani; 28.84.5 gente crudele e molto bellicosa, 28.84.6 che dannava ogni legge de' cristiani. 28.84.7 Carlo n' andò collo essercito a furia, 28.84.8 per vendicar del suo Cristo la ingiuria; 28.85.1 sì che più volte, alla fede redutti, 28.85.2 si ritornoron nello antico errore 28.85.3 poi che gl' idoli van furon distrutti 28.85.4 per la virtù del nostro imperatore; 28.85.5 pure alla fine, battezzati tutti, 28.85.6 ricognobbono il vero Redentore 28.85.7 e l' idolatria loro essere inganni: 28.85.8 e così combattêr trentatré anni. 28.86.1 Carlo poi per istatici domanda 28.86.2 diecimila di lor, come prudente, 28.86.3 ed ordinò che per tutto si spanda 28.86.4 pe' paesi di Francia quella gente 28.86.5 e pe' liti di Ilanda e di Silanda: 28.86.6 così, la lor perfidia finalmente 28.86.7 diradicata come falsa legge, 28.86.8 aggiunse nuova torma alla sua gregge. 28.87.1 O protettor del buon Cefas in terra, 28.87.2 o defensor delle cristiane squadre, 28.87.3 o santa spada a gastigar chi erra, 28.87.4 o Moïsè del popol di Dio padre, 28.87.5 o Papirio Cursor famoso in guerra, 28.87.6 o Scipio amico all' opere leggiadre, 28.87.7 o fido specchio ove ogni ben s' è mostro, 28.87.8 o fama, o pregio, o gloria al secol nostro! 28.88.1 Era in quel tempo medesimo Spagna 28.88.2 d' altra prava eresia più maculata, 28.88.3 quando l' alta Corona tanto magna 28.88.4 apparecchiò lo essercito e l' armata 28.88.5 e passa i fiumi e' colli e la montagna 28.88.6 con la santa bandiera dal Ciel data 28.88.7 e fa tremare ogni lito, ogni terra, 28.88.8 come in Ispagna è vulgata la guerra. 28.89.1 Furono adunque in su' campi alle mani 28.89.2 Carlo e sua gente, onde la fama suona; 28.89.3 ma non resson le forze degli Ispani. 28.89.4 Restava Augusta solo e Pampalona 28.89.5 a redurre alla fede de' cristiani: 28.89.6 il perché il magno re v' andò in persona, 28.89.7 e finalmente dopo lungo tedio 28.89.8 le conquistò con forza e con assedio. 28.90.1 E poi che Pampalona fu acquistata 28.90.2 dopo molte battaglie e molti omèi 28.90.3 e che tutta la Spagna è battezzata 28.90.4 e Macon rinnegato e i falsi iddei, 28.90.5 Carlo, tornando con la sua brigata, 28.90.6 poi che i salti rivide Pirenei, 28.90.7 non sanza danno dell' altrui vergogna, 28.90.8 nelle insidie percosse di Guascogna. 28.91.1 Quivi fu la battaglia sanguinosa 28.91.2 dove Anselmo morì col suo nipote 28.91.3 in Runcisvalle ancor tanto famosa. 28.91.4 Ma tutte queste cose vi son note: 28.91.5 che non fu la vittoria glorïosa, 28.91.6 però che il tradimento tutto puote, 28.91.7 e perché Carlo il tempo e 'l modo aspetta, 28.91.8 come sapete fe' crudel vendetta. 28.92.1 Così furon l' inganni de' Guasconi 28.92.2 puniti e prima battezzata Spagna. 28.92.3 E seguitò la guerra de' Brettóni; 28.92.4 e poi che fu ancor doma la Brettagna, 28.92.5 rivolse verso Italia i gonfaloni, 28.92.6 perché Roma d' Araïso si lagna, 28.92.7 il qual di Benevento era signore 28.92.8 e minacciava la Chiesa e 'l Pastore. 28.93.1 Carlo, giunto in Italia come io dico, 28.93.2 redusse alle sue voglie il folle duce 28.93.3 sì che quel fece al pontefice amico 28.93.4 e molti in Francia statici conduce. 28.93.5 O quante cose magne io non replico! 28.93.6 ché, come il sole in ogni parte luce, 28.93.7 a conseguir famose opere e degne 28.93.8 in ogni luogo apparîr le sue insegne, 28.94.1 sì che, più volte di Roma lo imperio 28.94.2 restaürato come il buon Camillo, 28.94.3 tornato in Francia, il gran duca baverio, 28.94.4 apparecchiato sua gente, Tassillo, 28.94.5 recordato del suocer Desiderio, 28.94.6 congiurato con gli Unni a un vessillo, 28.94.7 come mal consigliato dalla moglie 28.94.8 cercando andò le sue future doglie. 28.95.1 Lo imperator, che apparato già era, 28.95.2 non aspettò del nimico la insegna, 28.95.3 ma féssi incontra a lui con sua bandiera 28.95.4 insino al fiume che divide e segna 28.95.5 la Magna e le provincie di Baviera; 28.95.6 e bisognòe che alfin Tassillo vegna 28.95.7 a consentir ciò che Carlo gli chiede 28.95.8 e giurar servitù, tributo e fede. 28.96.1 I Velatabi intanto gli Abroditi 28.96.2 molestavan qual suoi confederati; 28.96.3 ma poi che il nostro re gli ebbe puniti, 28.96.4 in questo tempo gli Ungher congregati, 28.96.5 populi detti per l' addrieto Sciti, 28.96.6 gente dapprima in Pannonia arrivati 28.96.7 dalle estreme provincie della terra, 28.96.8 apparecchiavan contra Carlo guerra. 28.97.1 Questa guerra durò circa otto anni; 28.97.2 ma Carlo alfin, superati costoro 28.97.3 non sanza grande occisïone e danni, 28.97.4 ne riportò le ricchezze e 'l tesoro, 28.97.5 ch' egli avevon con forza e con inganni 28.97.6 in molte parte predato già loro, 28.97.7 in Francia bella con vittoria e fama, 28.97.8 sì che la gloria fiorì in ogni rama. 28.98.1 E poi che la gran guerra d' Ungheria 28.98.2 sedata fu, ridotta sotto il giglio 28.98.3 di Francia e la Boemia e Normandia 28.98.4 abbattuta da Carlo primo figlio, 28.98.5 mandò papa Leone imbasceria, 28.98.6 perch' egli era constretto e in gran periglio, 28.98.7 cacciato di sua sede, in Francia a Carlo, 28.98.8 che dovessi tornare a liberarlo. 28.99.1 Così la terza volta ritornato 28.99.2 Carlo in Italia, il pontefice santo 28.99.3 restituì dond' egli era cacciato, 28.99.4 nella sua sede col papale ammanto: 28.99.5 per che il sommo Pastor non sendo ingrato, 28.99.6 recordato del suo precessor tanto 28.99.7 quanto di sé, benemerito e giusto, 28.99.8 gli aggiunse al titol regio il nome agusto. 28.100.1 Dunque Carlo fu Magno e imperatore 28.100.2 di tutto l' universo e re di Roma, 28.100.3 ed aggiunse al suo segno, per più onore, 28.100.4 il grande uccel che di Giove si noma. 28.100.5 E licenziato dal santo Pastore, 28.100.6 poi ch' egli aveva ogni arroganza doma, 28.100.7 nel suo tornar, per più magnificenzia, 28.100.8 rifece e rinnovòe l' alma Florenzia, 28.101.1 e templi edificò per sua memoria 28.101.2 e détte a quella doni e privilegi, 28.101.3 e ritornò con gran trïunfo e gloria 28.101.4 in Francia, il nostro re degli altri regi. 28.101.5 E non è questa l' ultima vittoria 28.101.6 onde più splenda la corona e fregi: 28.101.7 tante altre cose ha fatto il signor nostro, 28.101.8 che manca il suon, la voce e carta e inchiostro. 28.102.1 Io non posso piangendo cantar versi, 28.102.2 tanto contrario è l' uno all' altro effetto; 28.102.3 e pur convien che il cor lacrime versi, 28.102.4 quando quell' è da giusto duol constretto, 28.102.5 Per tanti tempi e paesi diversi 28.102.6 ha fatto Carlo più che io non ho detto, 28.102.7 per la fede di Cristo e pel Vangelo: 28.102.8 ma tutto è scritto e rigistrato in Cielo. 28.103.1 Quivi i meriti suoi saranno tutti, 28.103.2 quivi tutto vedrà nel santo volto, 28.103.3 quivi corrà del suo ben fare i frutti, 28.103.4 quivi sarà dal buon Gesù suo accolto, 28.103.5 quivi in canti fia sempre sanza lutti, 28.103.6 quivi il seggio regal mai sarà tolto, 28.103.7 quivi il pan gusterà che sempre piace, 28.103.8 quivi impetri per noi della sua pace». 28.104.1 Volea più oltre dir, certo, Alcuïno, 28.104.2 e dello acquisto del Sepulcro santo 28.104.3 e come egli andò in Grecia a Gostantino; 28.104.4 ma non poté, ché le lacrime e 'l pianto 28.104.5 del popol, che piangea così meschino, 28.104.6 occupavan la cetera col canto, 28.104.7 e forse il braccio stanco era e l' archetto: 28.104.8 per la qual cosa sceso è del palchetto. 28.105.1 E come e' fu quel sapïente sceso, 28.105.2 il popol, ch' era prima stato attento, 28.105.3 un pianto seguitòe molto disteso; 28.105.4 come foco talvolta pare spento 28.105.5 e sanza fiamma si conserva acceso, 28.105.6 poi si dimostra o per esca o per vento, 28.105.7 così intervenne dopo il dolce canto, 28.105.8 che tutto il popol rinnovòe il pianto. 28.106.1 Quivi eran le pulzelle scapigliate, 28.106.2 quivi avean le matrone il peplo in testa, 28.106.3 quivi piangeva tutta la cittate, 28.106.4 quivi si straccia ognun l' oscura vesta, 28.106.5 quivi son l' alte cose replicate, 28.106.6 quivi si loda la sua vita onesta, 28.106.7 quivi si batte alcun le palme intanto, 28.106.8 quivi si grida: «Santo, santo, santo!». 28.107.1 O fortunato, o ben vissuto vecchio! 28.107.2 O felice quel giusto ch' ognuno ama! 28.107.3 O chiaro essemplo di ben fare e specchio! 28.107.4 O sanza invidia glorïosa fama! 28.107.5 O Ciel, tu porgi a' suoi merti l' orecchio! 28.107.6 O popol che il signor suo morto chiama! 28.107.7 O buon pastor, chi ben guarda sua gregge! 28.107.8 O tanto re, quanto ei ben guida e regge! 28.108.1 In Aquisgrana la chiesa maggiore, 28.108.2 nella Virgine santa titolata, 28.108.3 dallo eccelso e felice imperatore 28.108.4 era suta già prima edificata: 28.108.5 quivi meritamente a grande onore 28.108.6 fu la sua sepultura conlocata 28.108.7 e sopra a questa aggiunto un arco d' oro 28.108.8 nella santa basilica del coro. 28.109.1 E perché il mondo ancor possi ritrarlo, 28.109.2 il popol verso lui fu clementissimo 28.109.3 e nel sepulcro suo fece scultarlo, 28.109.4 e lo epitafio diceva brevissimo: 28.109.5 «Il corpo iace qui del magno Carlo 28.109.6 imperator de' Roman cristianissimo»: 28.109.7 ma molto importa, in sì breve idïoma, 28.109.8 «cristianissimo» e «Carlo» e «re di Roma». 28.110.1 L' anno ottocentoquindici correa 28.110.2 dalla salute della Incarnazione 28.110.3 (Carlo settantadue finiti avea, 28.110.4 e quaranzette dalla promozione, 28.110.5 de' quali ultimi, quindici tenea 28.110.6 con la corona da papa Leone): 28.110.7 nel vigesimoquarto dì spirato 28.110.8 del mese il quale a Gian fu consecrato. 28.111.1 E innanzi alla sua morte segni apparse: 28.111.2 ché, dove il bel pinnaculo si bilica, 28.111.3 fùlgore questo rovinòe e sparse, 28.111.4 un portico cascò della basilica 28.111.5 e 'l ponte ch' era appresso a Magonzia arse: 28.111.6 però, chi queste cose ben rivilica, 28.111.7 come a Cesare, il Ciel fece qui segno 28.111.8 d' altro cesare in terra assai più degno. 28.112.1 Fe' come savio prima testamento: 28.112.2 divise in molte terre il suo tesoro; 28.112.3 lasciò, tutti i suoi servi, ognun contento, 28.112.4 ché molte cose partiron fra loro; 28.112.5 e tre tavole ricche d' arïento, 28.112.6 tutte intagliate ed una di puro oro, 28.112.7 condotte e fatte con mirabile arte, 28.112.8 distribuì, com' io truovo, in tre parte: 28.113.1 la prima, ove era tutta disegnata 28.113.2 la gran città che Bisanzio si noma, 28.113.3 al santo altar di Pietro ha diputata; 28.113.4 e l' altra, ove era sculta l' alma Roma, 28.113.5 volle che fussi a Ravenna mandata. 28.113.6 O gran presente, o ricca, o degna soma! 28.113.7 O magnanimi don, memoria e segno, 28.113.8 che minor non conviensi a tanto uom degno! 28.114.1 La terza, fatta con maggior lavoro, 28.114.2 dove tutto descritto appare il mondo, 28.114.3 e quell' altra ch' io dissi, tutta d' oro, 28.114.4 a Lodovico suo figliuol giocondo 28.114.5 rimase, ultimo erede fra costoro, 28.114.6 morti Carlo e Pipin primo e secondo; 28.114.7 sì che Luigi era il terzo figliuolo, 28.114.8 che succedette alla corona solo. 28.115.1 Or poi che Carlo è seppellito e morto 28.115.2 e fruisce quel gaudio e quel giubillo 28.115.3 che s' aspetta a ognun che giugne al porto 28.115.4 di sua salute e suo stato tranquillo, 28.115.5 a me parrebbe alla istoria far torto 28.115.6 s' io non aggiungo qualche codicillo, 28.115.7 acciò ch' ognun che legge benedica 28.115.8 l' ultimo effetto della mia fatica. 28.116.1 Noi possiam per la istoria intender quasi 28.116.2 come all' unico figlio Lodovico 28.116.3 molti regni e paesi son rimasi 28.116.4 per virtù del suo padre, come io dico, 28.116.5 per molti tempi, effetti e vari casi: 28.116.6 insino al re di Persia è fatto amico, 28.116.7 tanto a sé il trasse come calamita 28.116.8 l' opere degne del suo padre in vita; 28.117.1 e la Francia e la Ghienna e la Borgogna 28.117.2 e Navarra, Araona con la Spagna, 28.117.3 la Fiandra e l' Inghilterra e la Guascogna, 28.117.4 la Dazia e la Germania e la Brettagna 28.117.5 e Pannonia e Boemia e la Sansogna 28.117.6 e tante gran provincie della Magna 28.117.7 e l' Istria e la Dalmazia e Lombardia 28.117.8 rimason sotto la sua monarchia. 28.118.1 E veramente dal suo genitore 28.118.2 non è questo figliuol degenerato; 28.118.3 ma perch' io serbo altrove a fargli onore, 28.118.4 in altro libro o libel cominciato, 28.118.5 ritorno al nostro primo imperatore 28.118.6 in alcun luogo, ché indrieto ho lasciato 28.118.7 de' costumi e de' modi di sua vita, 28.118.8 sì che la istoria dir possian finita. 28.119.1 Dicon molti aüttor di sua natura, 28.119.2 della sua qualità, s' io ho ben raccolto, 28.119.3 ch' egli aveva formosa la statura; 28.119.4 largo nel petto e nelle spalle molto; 28.119.5 ne' passi grave e nella guardatura; 28.119.6 nel parlar grazia, e maiestà nel volto; 28.119.7 la barba lunga e il naso alquanto giusto; 28.119.8 l' aspetto degno e tutto in sé venusto; 28.120.1 molto affabil, placabil, tutto magno, 28.120.2 molto savio, veril, molto discreto; 28.120.3 amico o servo o parente o compagno 28.120.4 partia sempre da lui contento e lieto; 28.120.5 non si sentia: «Del mio signor mi lagno»; 28.120.6 molto giusto in sua legge e suo decreto; 28.120.7 e perché gli uomin gli piacean modesti, 28.120.8 essemplo dava di costumi onesti. 28.121.1 Era al culto divin ceremonioso; 28.121.2 edificava per ogni paese 28.121.3 qualche magno palazzo glorïoso; 28.121.4 fece tanti spedal, badie e chiese, 28.121.5 ch' io credo il ver di molte sia nascoso; 28.121.6 come cor generoso all' alte imprese, 28.121.7 restaürava e città e castella, 28.121.8 come e' fece ancor già Fiorenza bella; 28.122.1 fece in sul Reno il ponte, com' io dissi, 28.122.2 di cinquecento passi per lunghezza, 28.122.3 che mostrò segno, innanzi ch' e' morissi, 28.122.4 come e' cadeva anche ogni gentilezza. 28.122.5 Mostrava, in ogni caso che avvenissi, 28.122.6 prudenzia e temperanza con fortezza; 28.122.7 grazie che Iddio rade volte concede 28.122.8 o per nostra salute o per la fede. 28.123.1 Dilettavasi a caccia andare spesso, 28.123.2 sempre l' ozio dannando, come i saggi, 28.123.3 sanza temer, dagli anni pur defesso, 28.123.4 di freddo o luoghi difficil, selvaggi; 28.123.5 tanto che, essendo a quel termine presso 28.123.6 dove più oltre ognun convien che caggi 28.123.7 perché non è più la natura forte, 28.123.8 sollicitòe per tal cagion la morte. 28.124.1 Pigliava spesso de' bagni diletto; 28.124.2 quivi soleva congregar gli amici, 28.124.3 come forse dal luogo era constretto 28.124.4 dove i monti son freddi e le pendici. 28.124.5 O signor giusto, o signor benedetto, 28.124.6 o quanto furon que' tempi felici! 28.124.7 Non sarà Francia mai sì bella o lieta 28.124.8 o per corso di stelle o di pianeta. 28.125.1 Reputavano i popoli dal Cielo 28.125.2 mandato fussi in terra un tal signore, 28.125.3 per carità, per giustizia e per zelo; 28.125.4 e se non fussi spento il vecchio errore, 28.125.5 adorato l' arebbon come Belo 28.125.6 per reverenzia e per antico amore; 28.125.7 tanto che alcuno, forse, auttor non falla 28.125.8 della croce incarnata in su la spalla. 28.126.1 Ammaestrò i figliuoli e le figliuole 28.126.2 d' ogni arte liberal, d' ogni dottrina; 28.126.3 né bisognava cercare altre scuole, 28.126.4 allor, che l' accademia parigina. 28.126.5 Voleva appresso tutta la sua prole, 28.126.6 se e' cavalcava da sera o mattina. 28.126.7 Talvolta per fuggir le sue donne ozio, 28.126.8 ministravan lanifero negozio. 28.127.1 La madre sua ch' era Berta chiamata, 28.127.2 sempre la tenne con debito onore, 28.127.3 acciò che fussi la legge osservata 28.127.4 di Moïsè da quel primo dottore; 28.127.5 era di Grecia di gran sangue nata, 28.127.6 figlia di Eraclio degno imperatore. 28.127.7 Or basti una parola, uditor mio: 28.127.8 ch' ogni cosa ben fa chi teme Iddio. 28.128.1 Dunque giusta la vita, retta e buona 28.128.2 è stata del mio Carlo veramente, 28.128.3 e tenuto lo imperio e la corona 28.128.4 come magno signor felicemente. 28.128.5 Ma perché intanto una tuba risuona 28.128.6 in altra parte e per tutto si sente, 28.128.7 benché la istoria sia degna e famosa, 28.128.8 convien che fine pure abbi ogni cosa. 28.129.1 E s' io non ho quanto conviensi a Carlo 28.129.2 satisfatto co' versi e col mio ingegno, 28.129.3 io non posso il mio arco più sbarrarlo 28.129.4 tanto ch' io passi il consueto segno; 28.129.5 e dicone mia colpa e ristorarlo 28.129.6 aspetto al tempo del figliuol suo degno, 28.129.7 ch' io farò in terra più che semideo, 28.129.8 dove sarà Ciriffo Calvaneo. 28.130.1 Io ho condotto in porto la mia barca: 28.130.2 non vo' più tentare ora Abila e Calpe; 28.130.3 per che più oltre il mio nocchier non varca, 28.130.4 per non trovarsi come spesso talpe 28.130.5 o come quel che entrò nella santa arca, 28.130.6 tanto che' monti si scuoprino o l' alpe, 28.130.7 pel tempo ancor pur nebuloso e torbo; 28.130.8 ed aspettar che ritorni a me il corbo. 28.131.1 Non ch' io pensi star, surto, sempre fermo, 28.131.2 ché s' io vorrò passar più là che Ulisse, 28.131.3 donna è nel Ciel che mi fia sempre schermo; 28.131.4 ma non pensai che innanzi al fin morisse. 28.131.5 Questa fia la mia stella e 'l mio santo Ermo; 28.131.6 e perché prima in alto mar mi misse, 28.131.7 come spirto beato tutto vede, 28.131.8 ricorderassi ancor della mia fede. 28.132.1 Sare' forse materia accomodata, 28.132.2 con la vita di Carlo tanto eletta 28.132.3 la vita di tal donna comparata, 28.132.4 Lucrezia Torna-buona, anzi perfetta, 28.132.5 nella sedia sua antica rivocata 28.132.6 dalla Virgine etterna benedetta 28.132.7 che riveder la sua devota applaude, 28.132.8 e canta or forse le sue sante laude. 28.133.1 Quivi si legge or della sua Maria 28.133.2 la vita, ove il suo libro è sempre aperto, 28.133.3 e di Esdram, di Iudit e di Tobia; 28.133.4 quivi si rende giusto premio e merto; 28.133.5 quivi s' intende or l' alta fantasia 28.133.6 a descriver Giovanni nel deserto; 28.133.7 quivi cantano or gli angeli i suoi versi, 28.133.8 dove il ver d' ogni cosa può vedersi. 28.134.1 Natura intese far quel ch' ella volle: 28.134.2 una donna famosa al secol nostro, 28.134.3 che per se stessa sé dall' altre estolle 28.134.4 tanto che manca ogni penna, ogni inchiostro. 28.134.5 Non la cognobbe il mondo cieco e folle, 28.134.6 benché il vero valor chiaro fu mostro, 28.134.7 come il Signor che colassù la serra; 28.134.8 ché adorata l' arebbe in Cielo e in terra. 28.135.1 Quanti beni ha commessi! A quanto male 28.135.2 ovvïato costei mentre era in vita! 28.135.3 Però con la sua veste nuzïale 28.135.4 l' anima in Cielo a Dio si rimarita 28.135.5 quel dì che il santo messo aperse l' ale 28.135.6 per la sua carità tanto infinita; 28.135.7 sì che ancor prego che lassù m' accetti 28.135.8 tra' servi suoi nel numer degli eletti. 28.136.1 E s' io ho satisfatto al suo desio, 28.136.2 basta a me tanto e son di ciò contento: 28.136.3 altro premio, altro onor non domando io, 28.136.4 altro piacer che di godermi drento. 28.136.5 E so ch' egli è lassù Morgante mio: 28.136.6 però s' alcun malivolo qui sento, 28.136.7 adatterà il battaglio ancor dal Cielo 28.136.8 in qualche modo a scardassargli il pelo. 28.137.1 Portin certi uccellacci un sasso in bocca, 28.137.2 come quelle oche al monte Taüreo 28.137.3 per non gracchiar, che poi il falcon le tocca; 28.137.4 ch' io gli farò girar come paleo, 28.137.5 ed ho sempre la sferza in su la scocca, 28.137.6 perch' io fu', prima ch' e' gigante, reo; 28.137.7 non morda ignun chi ha zanne non che denti, 28.137.8 dice il proverbio: io non dico altrimenti. 28.138.1 Io non domando grillande d' alloro 28.138.2 di che i Greci e' Latin chieggon corona; 28.138.3 io non chieggo altra penna, altro stil d' oro 28.138.4 a cantar d' Aganippe e d' Elicona: 28.138.5 io me ne vo pe' boschi puro e soro 28.138.6 con la mia zampognetta che pur suona, 28.138.7 e basta a me trovar Tirsi e Dameta; 28.138.8 ch' io non son buon pastor, non che poeta: 28.139.1 anzi non son prosuntüoso tanto 28.139.2 quanto quel folle antico citarista 28.139.3 a cui tolse già Apollo il vivo ammanto, 28.139.4 né tanto satir quant' io paio in vista. 28.139.5 Altri verrà con altro stile e canto, 28.139.6 con miglior cetra, e più sovrano artista; 28.139.7 io mi starò tra faggi e tra bifulci 28.139.8 che non disprezzin le muse de' Pulci. 28.140.1 Io me n' andrò con la barchetta mia 28.140.2 quanto l' acqua comporta un piccol legno; 28.140.3 e ciò ch' io penso con la fantasia, 28.140.4 di piacere a ognuno è il mio disegno. 28.140.5 Convien che varie cose al mondo sia, 28.140.6 come son varii volti e vario ingegno, 28.140.7 e piace all' uno il bianco, all' altro il perso, 28.140.8 o diverse materie in prosa o in verso. 28.141.1 Forse coloro ancor che leggeranno, 28.141.2 di questa tanto piccola favilla 28.141.3 la mente con poca esca accenderanno 28.141.4 de' monti o di Parnaso o di Sibilla; 28.141.5 e de' miei fior come ape piglieranno 28.141.6 i dotti, s' alcun dolce ne distilla; 28.141.7 il resto a molti pur darà diletto 28.141.8 e l' aüttore ancor fia benedetto. 28.142.1 Ben so che spesso, come già Morgante, 28.142.2 lasciato ho forse troppo andar la mazza; 28.142.3 ma dove sia poi giudice bastante, 28.142.4 materia c' è da camera e da piazza; 28.142.5 ed avvien che chi usa con gigante, 28.142.6 convien che se n' appicchi qualche sprazza; 28.142.7 sì ch' io ho fatto con altro battaglio 28.142.8 a mosca cieca o talvolta a sonaglio. 28.143.1 Non sien dati mia versi a Varo o Tucca; 28.143.2 e' basta il Bellincion che affermi e lodi, 28.143.3 che porge come amico e non pilucca. 28.143.4 I' guarderò in sul ghiaccio ir con buon chiodi; 28.143.5 io porterò in su gli omeri la zucca 28.143.6 nell' acqua, cinta con sicuri nodi; 28.143.7 e farò, tanto quanto i savi fanno, 28.143.8 di perdonare a color che non sanno. 28.144.1 Ed oltre a questo e' ne verrà il mio Antonio, 28.144.2 per cui la nostra cetra è glorïosa 28.144.3 del dolce verso materno aüsonio, 28.144.4 bench' e' si stia là in quella valle ombrosa, 28.144.5 che fia del vero lume testimonio. 28.144.6 Ognun so che riprende qualche cosa; 28.144.7 ma io non so s' e' si son corvi o cigni 28.144.8 i detrattori, o spiriti maligni. 28.145.1 Pertanto io non aspetto il baldacchino, 28.145.2 non aspetto co' pifferi l' ombrello, 28.145.3 non traggo fuori i nomi col verzino 28.145.4 com' io veggo talvolta ogni libello: 28.145.5 quand' io sarò con quel mio serafino, 28.145.6 io gli trarrò fuor forse col cervello, 28.145.7 perché questo agnol vi porrà la mano, 28.145.8 nato per gloria di Montepulciano. 28.146.1 Questo è quel divo e quel famoso Alceo 28.146.2 a cui sol si consente il plettro d' oro, 28.146.3 che non invidia Anfïone o Museo, 28.146.4 ma stassi all' ombra d' un famoso alloro 28.146.5 e i monti sforza come il tracio Orfeo 28.146.6 e sempre intorno ha di Parnaso il coro, 28.146.7 e l' acque ferma e i sassi muove e glebe, 28.146.8 ed a sua posta può richiuder Tebe. 28.147.1 Io seguirò la sua famosa lira, 28.147.2 tanto dolce, soave, armonizzante, 28.147.3 che come calamita a sé mi tira, 28.147.4 tanto che insieme troverren Pallante; 28.147.5 per che, sendo ambo messi in una pira, 28.147.6 segni farà del nostro amor constante, 28.147.7 d' una morte, un sepulcro, un epigramma, 28.147.8 per qualche effetto l' una e l' altra fiamma. 28.148.1 Noi ce n' andrem per le famose rive 28.148.2 d' Eürote e pe' gioghi là di Cinto, 28.148.3 dove le muse aüsonie ed argive 28.148.4 gli portan chi narciso e chi iacinto: 28.148.5 io sentirò cose alte e magne e dive 28.148.6 che non sentì mai Pindo o Arachinto; 28.148.7 io condurrò Pallante a Delfi e Delo, 28.148.8 poi se n' andrà come Quirino in cielo. 28.149.1 Questo sarà quel Pollïone in Roma, 28.149.2 questo sarà quel magno Mecenate 28.149.3 a cui sempre ogni musa è perizoma. 28.149.4 Pertanto, spirti degni, or vi svegliate, 28.149.5 perché fiorire farà nostro idioma, 28.149.6 tanto fìen le sue opre celebrate: 28.149.7 materia avete innanzi agli occhi degna, 28.149.8 che per se stessa sé laudare insegna. 28.150.1 Veggo tutte le Grazie a una a una, 28.150.2 veggo tutte le ninfe le più belle, 28.150.3 veggo che Palla con lor si rauna 28.150.4 a cantar le sue laude insieme quelle; 28.150.5 e non può contra opporsi la Fortuna, 28.150.6 ché il sapïente supera le stelle: 28.150.7 e la grazia del Ciel gran segni mostra 28.150.8 che questo è il vero onor della età nostra. 28.151.1 Surge d' un fresco e prezïoso lauro 28.151.2 certe piante gentil, certi rampolli, 28.151.3 che mi par già sentir dall' Indo al Mauro 28.151.4 tante cetre, Mercurii e tanti Apolli, 28.151.5 che certo e' sarà presto il mondo d' auro, 28.151.6 ch' era già presso agli ultimi suoi crolli: 28.151.7 tornano i tempi felici che furno 28.151.8 quando e' regnòe quel buon signor Saturno. 28.152.1 Benigni secul, che già lieti fêrsi, 28.152.2 tornate a modular le nostre lire; 28.152.3 ché la mia fantasia non può tenersi, 28.152.4 come ruota che mossa ancor vuol ire. 28.152.5 Chi negherebbe a Gallo già mai versi? 28.152.6 Pro re, paüca dixi al mio desire. 28.152.7 Or sia qui fine al nostro ultimo canto 28.152.8 con pace e gaudio e col saluto santo. 28.153.1 Salve, Regina, madre glorïosa, 28.153.2 vita e speranza sì dolce e soave; 28.153.3 a te per colpa della antica sposa 28.153.4 piangendo e sospirando gridiamo «Ave» 28.153.5 in questa valle tanto lacrimosa: 28.153.6 però tu, che per noi volgi la chiave, 28.153.7 deh, volgi i pietosi occhi al nostro essilio, 28.153.8 mostrandoci, Maria dolce, il tuo Filio. 28.154.1 Degnami, se 'l mio priego è giusto e degno, 28.154.2 ch' io possi te laudar, Virgo sacrata; 28.154.3 donami grazia e virtù pronta e ingegno 28.154.4 contra a' nimici tuoi, nostra avvocata; 28.154.5 e perché in porto hai condotto mio legno, 28.154.6 io ti ringrazio, Virgine beata: 28.154.7 con la tua grazia cominciai la istoria; 28.154.8 con la tua grazia alfin mi darai gloria. 28.155.1 Con la tua grazia, Virgine Maria, 28.155.2 conserva la devota alma e verace, 28.155.3 mona Lucrezia tua, benigna e pia, 28.155.4 con carità perfetta e vera pace; 28.155.5 anzi essaudir puoi ciò che lei desia, 28.155.6 che sempre chiederà quel che a te piace: 28.155.7 sì che lei prego per le sue virtute 28.155.8 che per me impetri grazia di salute.