Tasso, Gerusalemme liberata
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CANTO I
1.1.1 Canto l' arme pietose e 'l capitano
1.1.2 che 'l gran sepolcro liberò di Cristo.
1.1.3 Molto egli oprò co 'l senno e con la mano,
1.1.4 molto soffrì nel glorioso acquisto;
1.1.5 e in van l' Inferno vi s' oppose, e in vano
1.1.6 s' armò d' Asia e di Libia il popol misto.
1.1.7 Il Ciel gli diè favore, e sotto a i santi
1.1.8 segni ridusse i suoi compagni erranti.
1.2.1 O Musa, tu che di caduchi allori
1.2.2 non circondi la fronte in Elicona,
1.2.3 ma su nel cielo infra i beati cori
1.2.4 hai di stelle immortali aurea corona,
1.2.5 tu spira al petto mio celesti ardori,
1.2.6 tu rischiara il mio canto, e tu perdona
1.2.7 s' intesso fregi al ver, s' adorno in parte
1.2.8 d' altri diletti, che de' tuoi, le carte.
1.3.1 Sai che là corre il mondo ove più versi
1.3.2 di sue dolcezze il lusinghier Parnaso,
1.3.3 e che 'l vero, condito in molli versi,
1.3.4 i più schivi allettando ha persuaso.
1.3.5 Così a l' egro fanciul porgiamo aspersi
1.3.6 di soavi licor gli orli del vaso:
1.3.7 succhi amari ingannato intanto ei beve,
1.3.8 e da l' inganno suo vita riceve.
1.4.1 Tu, magnanimo Alfonso, il qual ritogli
1.4.2 al furor di fortuna e guidi in porto
1.4.3 me peregrino errante, e fra gli scogli
1.4.4 e fra l' onde agitato e quasi absorto,
1.4.5 queste mie carte in lieta fronte accogli,
1.4.6 che quasi in voto a te sacrate i' porto.
1.4.7 Forse un dì fia che la presaga penna
1.4.8 osi scriver di te quel ch' or n' accenna.
1.5.1 È ben ragion, s' egli averrà ch' in pace
1.5.2 il buon popol di Cristo unqua si veda,
1.5.3 e con navi e cavalli al fero Trace
1.5.4 cerchi ritòr la grande ingiusta preda,
1.5.5 ch' a te lo scettro in terra o, se ti piace,
1.5.6 l' alto imperio de' mari a te conceda.
1.5.7 Emulo di Goffredo, i nostri carmi
1.5.8 intanto ascolta, e t' apparecchia a l' armi.
1.6.1 Già 'l sesto anno volgea, ch' in oriente
1.6.2 passò il campo cristiano a l' alta impresa;
1.6.3 e Nicea per assalto, e la potente
1.6.4 Antiochia con arte avea già presa.
1.6.5 L' avea poscia in battaglia incontra gente
1.6.6 di Persia innumerabile difesa,
1.6.7 e Tortosa espugnata; indi a la rea
1.6.8 stagion diè loco, e 'l novo anno attendea.
1.7.1 E 'l fine omai di quel piovoso inverno,
1.7.2 che fea l' arme cessar, lunge non era;
1.7.3 quando da l' alto soglio il Padre eterno,
1.7.4 ch' è ne la parte più del ciel sincera,
1.7.5 e quanto è da le stelle al basso inferno,
1.7.6 tanto è più in su de la stellata spera,
1.7.7 gli occhi in giù volse, e in un sol punto e in una
1.7.8 vista mirò ciò ch' in sé il mondo aduna.
1.8.1 Mirò tutte le cose, ed in Soria
1.8.2 s' affisò poi ne' principi cristiani;
1.8.3 e con quel guardo suo ch' a dentro spia
1.8.4 nel più secreto lor gli affetti umani,
1.8.5 vide Goffredo che scacciar desia
1.8.6 de la santa città gli empi pagani,
1.8.7 e pien di fé, di zelo, ogni mortale
1.8.8 gloria, imperio, tesor mette in non cale.
1.9.1 Ma vede in Baldovin cupido ingegno,
1.9.2 ch' a l' umane grandezze intento aspira:
1.9.3 vede Tancredi aver la vita a sdegno,
1.9.4 tanto un suo vano amor l' ange e martira:
1.9.5 e fondar Boemondo al novo regno
1.9.6 suo d' Antiochia alti princìpi mira,
1.9.7 e leggi imporre, ed introdur costume
1.9.8 ed arti e culto di verace nume;
1.10.1 e cotanto internarsi in tal pensiero,
1.10.2 ch' altra impresa non par che più rammenti:
1.10.3 scorge in Rinaldo e animo guerriero
1.10.4 e spirti di riposo impazienti;
1.10.5 non cupidigia in lui d' oro o d' impero,
1.10.6 ma d' onor brame immoderate, ardenti:
1.10.7 scorge che da la bocca intento pende
1.10.8 di Guelfo, e i chiari antichi essempi apprende.
1.11.1 Ma poi ch' ebbe di questi e d' altri cori
1.11.2 scòrti gl' intimi sensi il Re del mondo,
1.11.3 chiama a sé da gli angelici splendori
1.11.4 Gabriel, che ne' primi era secondo.
1.11.5 È tra Dio questi e l' anime migliori
1.11.6 interprete fedel, nunzio giocondo:
1.11.7 giù i decreti del Ciel porta, ed al Cielo
1.11.8 riporta de' mortali i preghi e 'l zelo.
1.12.1 Disse al suo nunzio Dio:-- Goffredo trova,
1.12.2 e in mio nome di' lui: perché si cessa?
1.12.3 perché la guerra omai non si rinova
1.12.4 a liberar Gierusalemme oppressa?
1.12.5 Chiami i duci a consiglio, e i tardi mova
1.12.6 a l' alta impresa: ei capitan fia d' essa.
1.12.7 Io qui l' eleggo; e 'l faran gli altri in terra,
1.12.8 già suoi compagni, or suoi ministri in guerra. --
1.13.1 Così parlogli, e Gabriel s' accinse
1.13.2 veloce ad esseguir l' imposte cose:
1.13.3 la sua forma invisibil d' aria cinse
1.13.4 ed al senso mortal la sottopose.
1.13.5 Umane membra, aspetto uman si finse,
1.13.6 ma di celeste maestà il compose;
1.13.7 tra giovene e fanciullo età confine
1.13.8 prese, ed ornò di raggi il biondo crine.
1.14.1 Ali bianche vestì, c' han d' or le cime,
1.14.2 infaticabilmente agili e preste.
1.14.3 Fende i venti e le nubi, e va sublime
1.14.4 sovra la terra e sovra il mar con queste.
1.14.5 Così vestito, indirizzossi a l' ime
1.14.6 parti del mondo il messaggier celeste:
1.14.7 pria sul Libano monte ei si ritenne,
1.14.8 e si librò su l' adeguate penne;
1.15.1 e vèr le piaggie di Tortosa poi
1.15.2 drizzò precipitando il volo in giuso.
1.15.3 Sorgeva il novo sol da i lidi eoi,
1.15.4 parte già fuor, ma 'l più ne l' onde chiuso;
1.15.5 e porgea matutini i preghi suoi
1.15.6 Goffredo a Dio, come egli avea per uso;
1.15.7 quando a paro co 'l sol, ma più lucente,
1.15.8 l' angelo gli apparì da l' oriente;
1.16.1 e gli disse:-- Goffredo, ecco opportuna
1.16.2 già la stagion ch' al guerreggiar s' aspetta;
1.16.3 perché dunque trapor dimora alcuna
1.16.4 a liberar Gierusalem soggetta?
1.16.5 Tu i principi a consiglio omai raguna,
1.16.6 tu al fin de l' opra i neghittosi affretta.
1.16.7 Dio per lor duce già t' elegge, ed essi
1.16.8 sopporran volontari a te se stessi.
1.17.1 Dio messaggier mi manda: io ti rivelo
1.17.2 la sua mente in suo nome. Oh quanta spene
1.17.3 aver d' alta vittoria, oh quanto zelo
1.17.4 de l' oste a te commessa or ti conviene!--
1.17.5 Tacque; e, sparito, rivolò del cielo
1.17.6 a le parti più eccelse e più serene.
1.17.7 Resta Goffredo a i detti, a lo splendore,
1.17.8 d' occhi abbagliato, attonito di core.
1.18.1 Ma poi che si riscote, e che discorre
1.18.2 chi venne, chi mandò, che gli fu detto,
1.18.3 se già bramava, or tutto arde d' imporre
1.18.4 fine a la guerra ond' egli è duce eletto.
1.18.5 Non che 'l vedersi a gli altri in Ciel preporre
1.18.6 d' aura d' ambizion gli gonfi il petto,
1.18.7 ma il suo voler più nel voler s' infiamma
1.18.8 del suo Signor, come favilla in fiamma.
1.19.1 Dunque gli eroi compagni, i quai non lunge
1.19.2 erano sparsi, a ragunarsi invita;
1.19.3 lettere a lettre, e messi a messi aggiunge,
1.19.4 sempre al consiglio è la preghiera unita;
1.19.5 ciò ch' alma generosa alletta e punge,
1.19.6 ciò che può risvegliar virtù sopita,
1.19.7 tutto par che ritrovi, e in efficace
1.19.8 modo l' adorna sì che sforza e piace.
1.20.1 Vennero i duci, e gli altri anco seguiro,
1.20.2 e Boemondo sol qui non convenne.
1.20.3 Parte fuor s' attendò, parte nel giro
1.20.4 e tra gli alberghi suoi Tortosa tenne.
1.20.5 I grandi de l' essercito s' uniro
1.20.6 (glorioso senato) in dì solenne.
1.20.7 Qui il pio Goffredo incominciò tra loro,
1.20.8 augusto in volto ed in sermon sonoro:
1.21.1 -- Guerrier di Dio, ch' a ristorar i danni
1.21.2 de la sua fede il Re del Cielo elesse,
1.21.3 e securi fra l' arme e fra gl' inganni
1.21.4 de la terra e del mar vi scòrse e resse,
1.21.5 sì ch' abbiam tante e tante in sì pochi anni
1.21.6 ribellanti provincie a lui sommesse,
1.21.7 e fra le genti debellate e dome
1.21.8 stese l' insegne sue vittrici e 'l nome,
1.22.1 già non lasciammo i dolci pegni e 'l nido
1.22.2 nativo noi (se 'l creder mio non erra),
1.22.3 né la vita esponemmo al mare infido
1.22.4 ed a i perigli di lontana guerra,
1.22.5 per acquistar di breve suono un grido
1.22.6 vulgare e posseder barbara terra,
1.22.7 ché proposto ci avremmo angusto e scarso
1.22.8 premio, e in danno de l' alme il sangue sparso.
1.23.1 Ma fu de' pensier nostri ultimo segno
1.23.2 espugnar di Sion le nobil mura,
1.23.3 e sottrarre i cristiani al giogo indegno
1.23.4 di servitù così spiacente e dura,
1.23.5 fondando in Palestina un novo regno,
1.23.6 ov' abbia la pietà sede secura;
1.23.7 né sia chi neghi al peregrin devoto
1.23.8 d' adorar la gran tomba e sciòrre il voto.
1.24.1 Dunque il fatto sin ora al rischio è molto,
1.24.2 più che molto al travaglio, a l' onor poco,
1.24.3 nulla al disegno, ove o si fermi o vòlto
1.24.4 sia l' impeto de l' armi in altro loco.
1.24.5 Che gioverà l' aver d' Europa accolto
1.24.6 sì grande sforzo, e posto in Asia il foco,
1.24.7 quando sia poi di sì gran moti il fine
1.24.8 non fabriche di regni, ma ruine?
1.25.1 Non edifica quei che vuol gl' imperi
1.25.2 su fondamenti fabricar mondani,
1.25.3 ove ha pochi di patria e fé stranieri
1.25.4 fra gl' infiniti popoli pagani,
1.25.5 ove ne' Greci non conven che speri,
1.25.6 e i favor d' Occidente ha sì lontani;
1.25.7 ma ben move ruine, ond' egli oppresso
1.25.8 sol construtto un sepolcro abbia a se stesso.
1.26.1 Turchi, Persi, Antiochia (illustre suono
1.26.2 e di nome magnifico e di cose)
1.26.3 opre nostre non già, ma del Ciel dono
1.26.4 furo, e vittorie fur meravigliose.
1.26.5 Or se da noi rivolte e torte sono
1.26.6 contra quel fin che 'l donator dispose,
1.26.7 temo ce 'n privi, e favola a le genti
1.26.8 quel sì chiaro rimbombo al fin diventi.
1.27.1 Ah non sia alcun, per Dio, che sì graditi
1.27.2 doni in uso sì reo perda e diffonda!
1.27.3 A quei che sono alti princìpi orditi
1.27.4 di tutta l' opra il filo e 'l fin risponda.
1.27.5 Ora che i passi liberi e spediti,
1.27.6 ora che la stagione abbiam seconda,
1.27.7 ché non corriamo a la città ch' è mèta
1.27.8 d' ogni nostra vittoria? e che più 'l vieta?
1.28.1 Principi, io vi protesto (i miei protesti
1.28.2 udrà il mondo presente, udrà il futuro,
1.28.3 l' odono or su nel Cielo anco i Celesti):
1.28.4 il tempo de l' impresa è già maturo;
1.28.5 men diviene opportun più che si resti,
1.28.6 incertissimo fia quel ch' è securo.
1.28.7 Presago son, s' è lento il nostro corso,
1.28.8 avrà d' Egitto il Palestin soccorso. --
1.29.1 Disse, e a i detti seguì breve bisbiglio;
1.29.2 ma sorse poscia il solitario Piero,
1.29.3 che privato fra' principi a consiglio
1.29.4 sedea, del gran passaggio autor primiero:
1.29.5 -- Ciò ch' essorta Goffredo, ed io consiglio,
1.29.6 né loco a dubbio v' ha, sì certo è il vero
1.29.7 e per sé noto: ei dimostrollo a lungo,
1.29.8 voi l' approvate, io questo sol v' aggiungo:
1.30.1 se ben raccolgo le discordie e l' onte
1.30.2 quasi a prova da voi fatte e patite,
1.30.3 i ritrosi pareri, e le non pronte
1.30.4 e in mezzo a l' esseguire opre impedite,
1.30.5 reco ad un' altra originaria fonte
1.30.6 la cagion d' ogni indugio e d' ogni lite,
1.30.7 a quella autorità che, in molti e vari
1.30.8 d' opinion quasi librata, è pari.
1.31.1 Ove un sol non impera, onde i giudìci
1.31.2 pendano poi de' premi e de le pene,
1.31.3 onde sian compartite opre ed uffici,
1.31.4 ivi errante il governo esser conviene.
1.31.5 Deh! fate un corpo sol de' membri amici,
1.31.6 fate un capo che gli altri indrizzi e frene,
1.31.7 date ad un sol lo scettro e la possanza,
1.31.8 e sostenga di re vece e sembianza. --
1.32.1 Qui tacque il veglio. Or quai pensier, quai petti
1.32.2 son chiusi a te, sant' Aura e divo Ardore?
1.32.3 Inspiri tu de l' Eremita i detti,
1.32.4 e tu gl' imprimi a i cavalier nel core;
1.32.5 sgombri gl' inserti, anzi gl' innati affetti
1.32.6 di sovrastar, di libertà, d' onore,
1.32.7 sì che Guglielmo e Guelfo, i più sublimi,
1.32.8 chiamàr Goffredo per lor duce i primi.
1.33.1 L' approvàr gli altri: esser sue parti denno
1.33.2 deliberare e comandar altrui.
1.33.3 Imponga a i vinti legge egli a suo senno,
1.33.4 porti la guerra e quando vòle e a cui;
1.33.5 gli altri, già pari, ubidienti al cenno
1.33.6 siano or ministri de gl' imperii sui.
1.33.7 Concluso ciò, fama ne vola, e grande
1.33.8 per le lingue de gli uomini si spande.
1.34.1 Ei si mostra a i soldati, e ben lor pare
1.34.2 degno de l' alto grado ove l' han posto,
1.34.3 e riceve i saluti e 'l militare
1.34.4 applauso, in volto placido e composto.
1.34.5 Poi ch' a le dimostranze umili e care
1.34.6 d' amor, d' ubidienza ebbe risposto,
1.34.7 impon che 'l dì seguente in un gran campo
1.34.8 tutto si mostri a lui schierato il campo.
1.35.1 Facea ne l' oriente il sol ritorno,
1.35.2 sereno e luminoso oltre l' usato,
1.35.3 quando co' raggi uscì del novo giorno
1.35.4 sotto l' insegne ogni guerriero armato,
1.35.5 e si mostrò quanto poté più adorno
1.35.6 al pio Buglion, girando il largo prato.
1.35.7 S' era egli fermo, e si vedea davanti
1.35.8 passar distinti i cavalieri e i fanti.
1.36.1 Mente, de gli anni e de l' oblio nemica,
1.36.2 de le cose custode e dispensiera,
1.36.3 vagliami tua ragion, sì ch' io ridica
1.36.4 di quel campo ogni duce ed ogni schiera:
1.36.5 suoni e risplenda la lor fama antica,
1.36.6 fatta da gli anni omai tacita e nera;
1.36.7 tolto da' tuoi tesori, orni mia lingua
1.36.8 ciò ch' ascolti ogni età, nulla l' estingua.
1.37.1 Prima i Franchi mostràrsi: il duce loro
1.37.2 Ugone esser solea, del re fratello.
1.37.3 Ne l' Isola di Francia eletti foro,
1.37.4 fra quattro fiumi, ampio paese e bello.
1.37.5 Poscia ch' Ugon morì, de' gigli d' oro
1.37.6 seguì l' usata insegna il fer drapello
1.37.7 sotto Clotareo, capitano egregio,
1.37.8 a cui, se nulla manca, è il nome regio.
1.38.1 Mille son di gravissima armatura,
1.38.2 sono altrettanti i cavalier seguenti,
1.38.3 di disciplina a i primi e di natura
1.38.4 e d' arme e di sembianza indifferenti;
1.38.5 normandi tutti, e gli ha Roberto in cura,
1.38.6 che principe nativo è de le genti.
1.38.7 Poi duo pastor de' popoli spiegaro
1.38.8 le squadre lor, Guglielmo ed Ademaro.
1.39.1 L' uno e l' altro di lor, che ne' divini
1.39.2 uffici già trattò pio ministero,
1.39.3 sotto l' elmo premendo i lunghi crini,
1.39.4 essercita de l' arme or l' uso fero.
1.39.5 Da la città d' Orange e da i confini
1.39.6 quattrocento guerrier scelse il primiero;
1.39.7 ma guida quei di Poggio in guerra l' altro,
1.39.8 numero egual, né men ne l' arme scaltro.
1.40.1 Baldovin poscia in mostra addur si vede
1.40.2 co' Bolognesi suoi quei del germano,
1.40.3 ché le sue genti il pio fratel gli cede
1.40.4 or ch' ei de' capitani è capitano.
1.40.5 Il conte di Carnuti indi succede,
1.40.6 potente di consiglio e pro' di mano;
1.40.7 van con lui quattrocento, e triplicati
1.40.8 conduce Baldovino in sella armati.
1.41.1 Occupa Guelfo il campo a lor vicino,
1.41.2 uom ch' a l' alta fortuna agguaglia il merto;
1.41.3 conta costui per genitor latino
1.41.4 de gli avi Estensi un lungo ordine e certo.
1.41.5 Ma german di cognome e di domino,
1.41.6 ne la gran casa de' Guelfoni è inserto:
1.41.7 regge Carinzia, e presso l' Istro e 'l Reno
1.41.8 ciò che i prischi Suevi e i Reti avièno.
1.42.1 A questo, che retaggio era materno,
1.42.2 acquisti ei giunse gloriosi e grandi.
1.42.3 Quindi gente traea che prende a scherno
1.42.4 d' andar contra la morte, ov' ei comandi:
1.42.5 usa a temprar ne' caldi alberghi il verno,
1.42.6 e celebrar con lieti inviti i prandi.
1.42.7 Fur cinquemila a la partenza, e a pena
1.42.8 (de' Persi avanzo) il terzo or qui ne mena.
1.43.1 Seguia la gente poi candida e bionda
1.43.2 che tra i Franchi e i Germani e 'l mar si giace,
1.43.3 ove la Mosa ed ove il Reno inonda,
1.43.4 terra di biade e d' animai ferace;
1.43.5 e gl' insulani lor, che d' alta sponda
1.43.6 riparo fansi a l' ocean vorace:
1.43.7 l' ocean che non pur le merci e i legni,
1.43.8 ma intere inghiotte le cittadi e i regni.
1.44.1 Gli uni e gli altri son mille, e tutti vanno
1.44.2 sotto un altro Roberto insieme a stuolo.
1.44.3 Maggior alquanto è lo squadron britanno;
1.44.4 Guglielmo il regge, al re minor figliuolo.
1.44.5 Sono gl' Inglesi sagittari, ed hanno
1.44.6 gente con lor ch' è più vicina al polo:
1.44.7 questi da l' alte selve irsuti manda
1.44.8 la divisa dal mondo ultima Irlanda.
1.45.1 Vien poi Tancredi, e non è alcun fra tanti
1.45.2 (tranne Rinaldo) o feritor maggiore,
1.45.3 o più bel di maniere e di sembianti,
1.45.4 o più eccelso ed intrepido di core.
1.45.5 S' alcun' ombra di colpa i suoi gran vanti
1.45.6 rende men chiari, è sol follia d' amore:
1.45.7 nato fra l' arme, amor di breve vista,
1.45.8 che si nutre d' affanni, e forza acquista.
1.46.1 È fama che quel dì che glorioso
1.46.2 fe' la rotta de' Persi il popol franco,
1.46.3 poi che Tancredi al fin vittorioso
1.46.4 i fuggitivi di seguir fu stanco,
1.46.5 cercò di refrigerio e di riposo
1.46.6 a l' arse labbia, al travagliato fianco,
1.46.7 e trasse ove invitollo al rezzo estivo
1.46.8 cinto di verdi seggi un fonte vivo.
1.47.1 Quivi a lui d' improviso una donzella
1.47.2 tutta, fuor che la fronte, armata apparse:
1.47.3 era pagana, e là venuta anch' ella
1.47.4 per l' istessa cagion di ristorarse.
1.47.5 Egli mirolla, ed ammirò la bella
1.47.6 sembianza, e d' essa si compiacque, e n' arse.
1.47.7 Oh meraviglia! Amor, ch' a pena è nato,
1.47.8 già grande vola, e già trionfa armato.
1.48.1 Ella d' elmo coprissi, e se non era
1.48.2 ch' altri quivi arrivàr, ben l' assaliva.
1.48.3 Partì dal vinto suo la donna altera,
1.48.4 ch' è per necessità sol fuggitiva;
1.48.5 ma l' imagine sua bella e guerriera
1.48.6 tale ei serbò nel cor, qual essa è viva;
1.48.7 e sempre ha nel pensiero e l' atto e 'l loco
1.48.8 in che la vide, esca continua al foco.
1.49.1 E ben nel volto suo la gente accorta
1.49.2 legger potria: --Questi arde, e fuor di spene--;
1.49.3 così vien sospiroso, e così porta
1.49.4 basse le ciglia e di mestizia piene.
1.49.5 Gli ottocento a cavallo, a cui fa scorta,
1.49.6 lasciàr le piaggie di Campagna amene,
1.49.7 pompa maggior de la natura, e i colli
1.49.8 che vagheggia il Tirren fertili e molli.
1.50.1 Venian dietro ducento in Grecia nati,
1.50.2 che son quasi di ferro in tutto scarchi:
1.50.3 pendon spade ritorte a l' un de' lati,
1.50.4 suonano al tergo lor faretre ed archi;
1.50.5 asciutti hanno i cavalli, al corso usati,
1.50.6 a la fatica invitti, al cibo parchi:
1.50.7 ne l' assalir son pronti e nel ritrarsi,
1.50.8 e combatton fuggendo erranti e sparsi.
1.51.1 Tatin regge la schiera, e sol fu questi
1.51.2 che, greco, accompagnò l' arme latine.
1.51.3 Oh vergogna! oh misfatto! or non avesti
1.51.4 tu, Grecia, quelle guerre a te vicine?
1.51.5 E pur quasi a spettacolo sedesti,
1.51.6 lenta aspettando de' grand' atti il fine.
1.51.7 Or, se tu se' vil serva, è il tuo servaggio
1.51.8 (non ti lagnar) giustizia, e non oltraggio.
1.52.1 Squadra d' ordine estrema ecco vien poi
1.52.2 ma d' onor prima e di valor e d' arte.
1.52.3 Son qui gli aventurieri, invitti eroi,
1.52.4 terror de l' Asia e folgori di Marte.
1.52.5 Taccia Argo i Mini, e taccia Artù que' suoi
1.52.6 erranti, che di sogni empion le carte;
1.52.7 ch' ogni antica memoria appo costoro
1.52.8 perde: or qual duce fia degno di loro?
1.53.1 Dudon di Consa è il duce; e perché duro
1.53.2 fu il giudicar di sangue e di virtute,
1.53.3 gli altri sopporsi a lui concordi furo,
1.53.4 ch' avea più cose fatte e più vedute.
1.53.5 Ei di virilità grave e maturo,
1.53.6 mostra in fresco vigor chiome canute;
1.53.7 mostra, quasi d' onor vestigi degni,
1.53.8 di non brutte ferite impressi segni.
1.54.1 Eustazio è poi fra i primi; e i propri pregi
1.54.2 illustre il fanno, e più il fratel Buglione.
1.54.3 Gernando v' è, nato di re norvegi,
1.54.4 che scettri vanta e titoli e corone.
1.54.5 Ruggier di Balnavilla infra gli egregi
1.54.6 la vecchia fama ed Engerlan ripone;
1.54.7 e celebrati son fra' più gagliardi
1.54.8 un Gentonio, un Rambaldo e duo Gherardi.
1.55.1 Son fra' lodati Ubaldo anco, e Rosmondo
1.55.2 del gran ducato di Lincastro erede;
1.55.3 non fia ch' Obizzo il Tosco aggravi al fondo
1.55.4 chi fa de le memorie avare prede,
1.55.5 né i tre frati lombardi al chiaro mondo
1.55.6 involi, Achille, Sforza e Palamede,
1.55.7 o 'l forte Otton, che conquistò lo scudo
1.55.8 in cui da l' angue esce il fanciullo ignudo.
1.56.1 Né Guasco né Ridolfo a dietro lasso,
1.56.2 né l' un né l' altro Guido, ambo famosi,
1.56.3 non Eberardo e non Gernier trapasso
1.56.4 sotto silenzio ingratamente ascosi.
1.56.5 Ove voi me, di numerar già lasso,
1.56.6 Gildippe ed Odoardo, amanti e sposi,
1.56.7 rapite? o ne la guerra anco consorti,
1.56.8 non sarete disgiunti ancor che morti!
1.57.1 Ne le scole d' Amor che non s' apprende?
1.57.2 Ivi si fe' costei guerriera ardita:
1.57.3 va sempre affissa al caro fianco, e pende
1.57.4 da un fato solo l' una e l' altra vita.
1.57.5 Colpo che ad un sol noccia unqua non scende,
1.57.6 ma indiviso è il dolor d' ogni ferita;
1.57.7 e spesso è l' un ferito, e l' altro langue,
1.57.8 e versa l' alma quel, se questa il sangue.
1.58.1 Ma il fanciullo Rinaldo, e sovra questi
1.58.2 e sovra quanti in mostra eran condutti,
1.58.3 dolcemente feroce alzar vedresti
1.58.4 la regal fronte, e in lui mirar sol tutti.
1.58.5 L' età precorse e la speranza, e presti
1.58.6 pareano i fior quando n' usciro i frutti;
1.58.7 se 'l miri fulminar ne l' arme avolto,
1.58.8 Marte lo stimi; Amor, se scopre il volto.
1.59.1 Lui ne la riva d' Adige produsse
1.59.2 a Bertoldo Sofia, Sofia la bella
1.59.3 a Bertoldo il possente; e pria che fusse
1.59.4 tolto quasi il bambin da la mammella,
1.59.5 Matilda il volse, e nutricollo, e instrusse
1.59.6 ne l' arti regie; e sempre ei fu con ella,
1.59.7 sin ch' invaghì la giovanetta mente
1.59.8 la tromba che s' udia da l' oriente.
1.60.1 Allor (né pur tre lustri avea forniti)
1.60.2 fuggì soletto, e corse strade ignote;
1.60.3 varcò l' Egeo, passò di Grecia i liti,
1.60.4 giunse nel campo in region remote.
1.60.5 Nobilissima fuga, e che l' imìti
1.60.6 ben degna alcun magnanimo nepote.
1.60.7 Tre anni son che è in guerra, e intempestiva
1.60.8 molle piuma del mento a pena usciva.
1.61.1 Passati i cavalieri, in mostra viene
1.61.2 la gente a piede, ed è Raimondo inanti.
1.61.3 Regea Tolosa, e scelse infra Pirene
1.61.4 e fra Garona e l' ocean suoi fanti.
1.61.5 Son quattromila, e ben armati e bene
1.61.6 instrutti, usi al disagio e toleranti;
1.61.7 buona è la gente, e non può da più dotta
1.61.8 o da più forte guida esser condotta.
1.62.1 Ma cinquemila Stefano d' Ambuosa
1.62.2 e di Blesse e di Turs in guerra adduce.
1.62.3 Non è gente robusta o faticosa,
1.62.4 se ben tutta di ferro ella riluce.
1.62.5 La terra molle, lieta e dilettosa,
1.62.6 simili a sé gli abitator produce.
1.62.7 Impeto fan ne le battaglie prime,
1.62.8 ma di leggier poi langue, e si reprime.
1.63.1 Alcasto il terzo vien, qual presso a Tebe
1.63.2 già Capaneo, con minaccioso volto:
1.63.3 seimila Elvezi, audace e fera plebe,
1.63.4 da gli alpini castelli avea raccolto,
1.63.5 che 'l ferro uso a far solchi, a franger glebe,
1.63.6 in nove forme e in più degne opre ha vòlto;
1.63.7 e con la man, che guardò rozzi armenti,
1.63.8 par ch' i regni sfidar nulla paventi.
1.64.1 Vedi appresso spiegar l' alto vessillo
1.64.2 co 'l diadema di Piero e con le chiavi.
1.64.3 Qui settemila aduna il buon Camillo
1.64.4 pedoni, d' arme rilucenti e gravi,
1.64.5 lieto ch' a tanta impresa il Ciel sortillo,
1.64.6 ove rinovi il prisco onor de gli avi,
1.64.7 o mostri almen ch' a la virtù latina
1.64.8 o nulla manca, o sol la disciplina.
1.65.1 Ma già tutte le squadre eran con bella
1.65.2 mostra passate, e l' ultima fu questa,
1.65.3 quando Goffredo i maggior duci appella,
1.65.4 e la sua mente a lor fa manifesta:
1.65.5 -- Come appaia diman l' alba novella
1.65.6 vuo' che l' oste s' invii leggiera e presta,
1.65.7 sì ch' ella giunga a la città sacrata,
1.65.8 quanto è possibil più, meno aspettata.
1.66.1 Preparatevi dunque ed al viaggio
1.66.2 ed a la pugna e a la vittoria ancora.--
1.66.3 Questo ardito parlar d' uom così saggio
1.66.4 sollecita ciascuno e l' avvalora.
1.66.5 Tutti d' andar son pronti al novo raggio,
1.66.6 e impazienti in aspettar l' aurora.
1.66.7 Ma 'l provido Buglion senza ogni tema
1.66.8 non è però, benché nel cor la prema.
1.67.1 Perch' egli avea certe novelle intese
1.67.2 che s' è d' Egitto il re già posto in via
1.67.3 inverso Gaza, bello e forte arnese
1.67.4 da fronteggiare i regni di Soria.
1.67.5 Né creder può che l' uomo a fere imprese
1.67.6 avezzo sempre, or lento in ozio stia;
1.67.7 ma, d' averlo aspettando aspro nemico,
1.67.8 parla al fedel suo messaggiero Enrico:
1.68.1 -- Sovra una lieve saettia tragitto
1.68.2 vuo' che tu faccia ne la greca terra.
1.68.3 Ivi giunger dovea (così m' ha scritto
1.68.4 chi mai per uso in avisar non erra)
1.68.5 un giovene regal, d' animo invitto,
1.68.6 ch' a farsi vien nostro compagno in guerra:
1.68.7 prence è de' Dani, e mena un grande stuolo
1.68.8 sin da i paesi sottoposti al polo.
1.69.1 Ma perché 'l greco imperator fallace
1.69.2 seco forse userà le solite arti,
1.69.3 per far ch' o torni indietro o 'l corso audace
1.69.4 torca in altre da noi lontane parti,
1.69.5 tu, nunzio mio, tu, consiglier verace,
1.69.6 in mio nome il disponi a ciò che parti
1.69.7 nostro e suo bene, e di' che tosto vegna,
1.69.8 ché di lui fòra ogni tardanza indegna.
1.70.1 Non venir seco tu, ma resta appresso
1.70.2 al re de' Greci a procurar l' aiuto,
1.70.3 che già più d' una volta a noi promesso
1.70.4 e per ragion di patto anco è dovuto. --
1.70.5 Così parla e l' informa, e poi che 'l messo
1.70.6 le lettre ha di credenza e di saluto,
1.70.7 toglie, affrettando il suo partir, congedo,
1.70.8 e tregua fa co' suoi pensier Goffredo.
1.71.1 Il dì seguente, allor ch' aperte sono
1.71.2 del lucido oriente al sol le porte,
1.71.3 di trombe udissi e di tamburi un suono,
1.71.4 ond' al camino ogni guerrier s' essorte.
1.71.5 Non è sì grato a i caldi giorni il tuono
1.71.6 che speranza di pioggia al mondo apporte,
1.71.7 come fu caro a le feroci genti
1.71.8 l' altero suon de' bellici instrumenti.
1.72.1 Tosto ciascun, da gran desio compunto,
1.72.2 veste le membra de l' usate spoglie,
1.72.3 e tosto appar di tutte l' arme in punto,
1.72.4 tosto sotto i suoi duci ogn' uom s' accoglie,
1.72.5 e l' ordinato essercito congiunto
1.72.6 tutte le sue bandiere al vento scioglie:
1.72.7 e nel vessillo imperiale e grande
1.72.8 la trionfante Croce al ciel si spande.
1.73.1 Intanto il sol, che de' celesti campi
1.73.2 va più sempre avanzando e in alto ascende,
1.73.3 l' arme percote e ne trae fiamme e lampi
1.73.4 tremuli e chiari, onde le viste offende.
1.73.5 L' aria par di faville intorno avampi,
1.73.6 e quasi d' alto incendio in forma splende,
1.73.7 e co' feri nitriti il suono accorda
1.73.8 del ferro scosso e le campagne assorda.
1.74.1 Il capitan, che da' nemici aguati
1.74.2 le schiere sue d' assecurar desia,
1.74.3 molti a cavallo leggiermente armati
1.74.4 a scoprire il paese intorno invia;
1.74.5 e inanzi i guastatori avea mandati,
1.74.6 da cui si debbe agevolar la via,
1.74.7 e i vòti luoghi empire e spianar gli erti,
1.74.8 e da cui siano i chiusi passi aperti.
1.75.1 Non è gente pagana insieme accolta,
1.75.2 non muro cinto di profonda fossa,
1.75.3 non gran torrente, o monte alpestre, o folta
1.75.4 selva, che 'l lor viaggio arrestar possa.
1.75.5 Così de gli altri fiumi il re tal volta,
1.75.6 quando superbo oltra misura ingrossa,
1.75.7 sovra le sponde ruinoso scorre,
1.75.8 né cosa è mai che gli s' ardisca opporre.
1.76.1 Sol di Tripoli il re, che 'n ben guardate
1.76.2 mura, genti, tesori ed arme serra,
1.76.3 forse le schiere franche avria tardate,
1.76.4 ma non osò di provocarle in guerra.
1.76.5 Lor con messi e con doni anco placate
1.76.6 ricettò volontario entro la terra,
1.76.7 e ricevé condizion di pace,
1.76.8 sì come imporle al pio Goffredo piace.
1.77.1 Qui del monte Seir, ch' alto e sovrano
1.77.2 da l' oriente a la cittade è presso,
1.77.3 gran turba scese de' fedeli al piano
1.77.4 d' ogni età mescolata e d' ogni sesso:
1.77.5 portò suoi doni al vincitor cristiano,
1.77.6 godea in mirarlo e in ragionar con esso,
1.77.7 stupia de l' arme pellegrine; e guida
1.77.8 ebbe da lor Goffredo amica e fida.
1.78.1 Conduce ei sempre a le maritime onde
1.78.2 vicino il campo per diritte strade,
1.78.3 sapendo ben che le propinque sponde
1.78.4 l' amica armata costeggiando rade,
1.78.5 la qual può far che tutto il campo abonde
1.78.6 de' necessari arnesi e che le biade
1.78.7 ogni isola de' Greci a lui sol mieta,
1.78.8 e Scio pietrosa gli vendemmi e Creta.
1.79.1 Geme il vicino mar sotto l' incarco
1.79.2 de l' alte navi e de' più levi pini,
1.79.3 sì che non s' apre omai securo varco
1.79.4 nel mar Mediterraneo a i saracini;
1.79.5 ch' oltra quei c' ha Georgio armati e Marco
1.79.6 ne' veneziani e liguri confini,
1.79.7 altri Inghilterra e Francia ed altri Olanda,
1.79.8 e la fertil Sicilia altri ne manda.
1.80.1 E questi, che son tutti insieme uniti
1.80.2 con saldissimi lacci in un volere,
1.80.3 s' eran carchi e provisti in vari liti
1.80.4 di ciò ch' è d' uopo a le terrestri schiere,
1.80.5 le quai, trovando liberi e sforniti
1.80.6 i passi de' nemici a le frontiere,
1.80.7 in corso velocissimo se 'n vanno
1.80.8 là 've Cristo soffrì mortale affanno.
1.81.1 Ma precorsa è la fama, apportatrice
1.81.2 de' veraci romori e de' bugiardi,
1.81.3 ch' unito è il campo vincitor felice,
1.81.4 che già s' è mosso e che non è chi 'l tardi;
1.81.5 quante e quai sian le squadre ella ridice,
1.81.6 narra il nome e 'l valor de' più gagliardi,
1.81.7 narra i lor vanti, e con terribil faccia
1.81.8 gli usurpatori di Sion minaccia.
1.82.1 E l' aspettar del male è mal peggiore,
1.82.2 forse, che non parrebbe il mal presente;
1.82.3 pende ad ogn' aura incerta di romore
1.82.4 ogni orecchia sospesa ed ogni mente;
1.82.5 e un confuso bisbiglio entro e di fore
1.82.6 trascorre i campi e la città dolente.
1.82.7 Ma il vecchio re ne' già vicin perigli
1.82.8 volge nel dubbio cor feri consigli.
1.83.1 Aladin detto è il re, che, di quel regno
1.83.2 novo signor, vive in continua cura:
1.83.3 uom già crudel, ma 'l suo feroce ingegno
1.83.4 pur mitigato avea l' età matura.
1.83.5 Egli, che de' Latini udì il disegno
1.83.6 c' han d' assalir di sua città le mura,
1.83.7 giunge al vecchio timor novi sospetti,
1.83.8 e de' nemici pave e de' soggetti.
1.84.1 Però che dentro a una città commisto
1.84.2 popolo alberga di contraria fede:
1.84.3 la debil parte e la minore in Cristo,
1.84.4 la grande e forte in Macometto crede.
1.84.5 Ma quando il re fe' di Sion l' acquisto,
1.84.6 e vi cercò di stabilir la sede,
1.84.7 scemò i publici pesi a' suoi pagani,
1.84.8 ma più gravonne i miseri cristiani.
1.85.1 Questo pensier la ferità nativa,
1.85.2 che da gli anni sopita e fredda langue,
1.85.3 irritando inasprisce, e la ravviva
1.85.4 sì ch' assetata è più che mai di sangue.
1.85.5 Tal fero torna a la stagione estiva
1.85.6 quel che parve nel gel piacevol angue,
1.85.7 così leon domestico riprende
1.85.8 l' innato suo furor, s' altri l' offende.
1.86.1 --Veggio-- dicea --de la letizia nova
1.86.2 veraci segni in questa turba infida;
1.86.3 il danno universal solo a lei giova,
1.86.4 sol nel pianto comun par ch' ella rida;
1.86.5 e forse insidie e tradimenti or cova,
1.86.6 rivolgendo fra sé come m' uccida,
1.86.7 o come al mio nemico, e suo consorte
1.86.8 popolo, occultamente apra le porte.
1.87.1 Ma no 'l farà: prevenirò questi empi
1.87.2 disegni loro, e sfogherommi a pieno.
1.87.3 Gli ucciderò, faronne acerbi scempi,
1.87.4 svenerò i figli a le lor madri in seno,
1.87.5 arderò loro alberghi e insieme i tèmpi,
1.87.6 questi i debiti roghi a i morti fièno;
1.87.7 e su quel lor sepolcro in mezzo a i voti
1.87.8 vittime pria farò de' sacerdoti.--
1.88.1 Così l' iniquo fra suo cor ragiona,
1.88.2 pur non segue pensier sì mal concetto;
1.88.3 ma s' a quegli innocenti egli perdona,
1.88.4 è di viltà, non di pietade effetto,
1.88.5 ché s' un timor a incrudelir lo sprona,
1.88.6 il ritien più potente altro sospetto:
1.88.7 troncar le vie d' accordo, e de' nemici
1.88.8 troppo teme irritar l' arme vittrici.
1.89.1 Tempra dunque il fellon la rabbia insana,
1.89.2 anzi altrove pur cerca ove la sfoghi;
1.89.3 i rustici edifici abbatte e spiana,
1.89.4 e dà in preda a le fiamme i culti luoghi;
1.89.5 parte alcuna non lascia integra o sana
1.89.6 ove il Franco si pasca, ove s' alloghi;
1.89.7 turba le fonti e i rivi, e le pure onde
1.89.8 di veneni mortiferi confonde.
1.90.1 Spietatamente è cauto, e non oblia
1.90.2 di rinforzar Gierusalem fra tanto.
1.90.3 Da tre lati fortissima era pria,
1.90.4 sol verso Borea è men secura alquanto;
1.90.5 ma da' primi sospetti ei le munia
1.90.6 d' alti ripari il suo men forte canto,
1.90.7 e v' accogliea gran quantitade in fretta
1.90.8 di gente mercenaria e di soggetta.
CANTO II
2.1.1 Mentre il tiranno s' apparecchia a l' armi,
2.1.2 soletto Ismeno un dì gli s' appresenta,
2.1.3 Ismen che trar di sotto a i chiusi marmi
2.1.4 può corpo estinto, e far che spiri e senta,
2.1.5 Ismen che al suon de' mormoranti carmi
2.1.6 sin ne la reggia sua Pluton spaventa,
2.1.7 e i suoi demon ne gli empi uffici impiega
2.1.8 pur come servi, e gli discioglie e lega.
2.2.1 Questi or Macone adora, e fu cristiano,
2.2.2 ma i primi riti anco lasciar non pote;
2.2.3 anzi sovente in uso empio e profano
2.2.4 confonde le due leggi a sé mal note,
2.2.5 ed or da le spelonche, ove lontano
2.2.6 dal vulgo essercitar suol l' arti ignote,
2.2.7 vien nel publico rischio al suo signore:
2.2.8 a re malvagio consiglier peggiore.
2.3.1 -- Signor, -- dicea -- senza tardar se 'n viene
2.3.2 il vincitor essercito temuto,
2.3.3 ma facciam noi ciò che a noi far conviene:
2.3.4 darà il Ciel, darà il mondo a i forti aiuto.
2.3.5 Ben tu di re, di duce hai tutte piene
2.3.6 le parti, e lunge hai visto e proveduto.
2.3.7 S' empie in tal guisa ogn' altro i propri uffici,
2.3.8 tomba fia questa terra a' tuoi nemici.
2.4.1 Io, quanto a me, ne vegno, e del periglio
2.4.2 e de l' opre compagno, ad aiutarte:
2.4.3 ciò che può dar di vecchia età consiglio,
2.4.4 tutto prometto, e ciò che magica arte.
2.4.5 Gli angeli che dal Cielo ebbero essiglio
2.4.6 constringerò de le fatiche a parte.
2.4.7 Ma dond' io voglia incominciar gl' incanti
2.4.8 e con quai modi, or narrerotti avanti.
2.5.1 Nel tempio de' cristiani occulto giace
2.5.2 un sotterraneo altare, e quivi è il volto
2.5.3 di Colei che sua diva e madre face
2.5.4 quel vulgo del suo Dio nato e sepolto.
2.5.5 Dinanzi al simulacro accesa face
2.5.6 continua splende; egli è in un velo avolto.
2.5.7 Pendono intorno in lungo ordine i voti
2.5.8 che vi portano i creduli devoti.
2.6.1 Or questa effigie lor, di là rapita,
2.6.2 voglio che tu di propria man trasporte
2.6.3 e la riponga entro la tua meschita:
2.6.4 io poscia incanto adoprerò sì forte
2.6.5 ch' ognor, mentre ella qui fia custodita,
2.6.6 sarà fatal custodia a queste porte;
2.6.7 tra mura inespugnabili il tuo impero
2.6.8 securo fia per novo alto mistero. --
2.7.1 Sì disse, e 'l persuase; e impaziente
2.7.2 il re se 'n corse a la magion di Dio,
2.7.3 e sforzò i sacerdoti, e irreverente
2.7.4 il casto simulacro indi rapio;
2.7.5 e portollo a quel tempio ove sovente
2.7.6 s' irrita il Ciel co 'l folle culto e rio.
2.7.7 Nel profan loco e su la sacra imago
2.7.8 susurrò poi le sue bestemmie il mago.
2.8.1 Ma come apparse in ciel l' alba novella,
2.8.2 quel cui l' immondo tempio in guardia è dato
2.8.3 non rivide l' imagine dov' ella
2.8.4 fu posta, e invan cerconne in altro lato.
2.8.5 Tosto n' avisa il re, ch' a la novella
2.8.6 di lui si mostra feramente irato,
2.8.7 ed imagina ben ch' alcun fedele
2.8.8 abbia fatto quel furto, e che se 'l cele.
2.9.1 O fu di man fedele opra furtiva,
2.9.2 o pur il Ciel qui sua potenza adopra,
2.9.3 che di Colei ch' è sua regina e diva
2.9.4 sdegna che loco vil l' imagin copra:
2.9.5 ch' incerta fama è ancor se ciò s' ascriva
2.9.6 ad arte umana od a mirabil opra;
2.9.7 ben è pietà che, la pietade e 'l zelo
2.9.8 uman cedendo, autor se 'n creda il Cielo.
2.10.1 Il re ne fa con importuna inchiesta
2.10.2 ricercar ogni chiesa, ogni magione,
2.10.3 ed a chi gli nasconde o manifesta
2.10.4 il furto o il reo, gran pene e premi impone.
2.10.5 Il mago di spiarne anco non resta
2.10.6 con tutte l' arti il ver; ma non s' appone,
2.10.7 ché 'l Cielo, opra sua fosse o fosse altrui,
2.10.8 celolla ad onta de gl' incanti a lui.
2.11.1 Ma poi che 'l re crudel vide occultarse
2.11.2 quel che peccato de' fedeli ei pensa,
2.11.3 tutto in lor d' odio infellonissi, ed arse
2.11.4 d' ira e di rabbia immoderata immensa.
2.11.5 Ogni rispetto oblia, vuol vendicarse,
2.11.6 segua che pote, e sfogar l' alma accensa.
2.11.7 -- Morrà, -- dicea -- non andrà l' ira a vòto,
2.11.8 ne la strage comune il ladro ignoto.
2.12.1 Pur che 'l reo non si salvi, il giusto pèra
2.12.2 e l' innocente; ma qual giusto io dico?
2.12.3 è colpevol ciascun, né in loro schiera
2.12.4 uom fu giamai del nostro nome amico.
2.12.5 S' anima v' è nel novo error sincera,
2.12.6 basti a novella pena un fallo antico.
2.12.7 Su su, fedeli miei, su via prendete
2.12.8 le fiamme e 'l ferro, ardete ed uccidete. --
2.13.1 Così parla a le turbe, e se n' intese
2.13.2 la fama tra' fedeli immantinente,
2.13.3 ch' attoniti restàr, sì gli sorprese
2.13.4 il timor de la morte omai presente;
2.13.5 e non è chi la fuga o le difese,
2.13.6 lo scusar o 'l pregare ardisca o tente.
2.13.7 Ma le timide genti e irrisolute
2.13.8 donde meno speraro ebber salute.
2.14.1 Vergine era fra lor di già matura
2.14.2 verginità, d' alti pensieri e regi,
2.14.3 d' alta beltà; ma sua beltà non cura,
2.14.4 o tanto sol quant' onestà se 'n fregi.
2.14.5 È il suo pregio maggior che tra le mura
2.14.6 d' angusta casa asconde i suoi gran pregi,
2.14.7 e de' vagheggiatori ella s' invola
2.14.8 a le lodi, a gli sguardi, inculta e sola.
2.15.1 Pur guardia esser non può ch' in tutto celi
2.15.2 beltà degna ch' appaia e che s' ammiri;
2.15.3 né tu il consenti, Amor, ma la riveli
2.15.4 d' un giovenetto a i cupidi desiri.
2.15.5 Amor, ch' or cieco, or Argo, ora ne veli
2.15.6 di benda gli occhi, ora ce gli apri e giri,
2.15.7 tu per mille custodie entro a i più casti
2.15.8 verginei alberghi il guardo altrui portasti.
2.16.1 Colei Sofronia, Olindo egli s' appella,
2.16.2 d' una cittate entrambi e d' una fede.
2.16.3 Ei che modesto è sì com' essa è bella,
2.16.4 brama assai, poco spera, e nulla chiede;
2.16.5 né sa scoprirsi, o non ardisce; ed ella
2.16.6 o lo sprezza, o no 'l vede, o non s' avede.
2.16.7 Così fin ora il misero ha servito
2.16.8 o non visto, o mal noto, o mal gradito.
2.17.1 S' ode l' annunzio intanto, e che s' appresta
2.17.2 miserabile strage al popol loro.
2.17.3 A lei, che generosa è quanto onesta,
2.17.4 viene in pensier come salvar costoro.
2.17.5 Move fortezza il gran pensier, l' arresta
2.17.6 poi la vergogna e 'l verginal decoro;
2.17.7 vince fortezza, anzi s' accorda e face
2.17.8 sé vergognosa e la vergogna audace.
2.18.1 La vergine tra 'l vulgo uscì soletta,
2.18.2 non coprì sue bellezze, e non l' espose,
2.18.3 raccolse gli occhi, andò nel vel ristretta,
2.18.4 con ischive maniere e generose.
2.18.5 Non sai ben dir s' adorna o se negletta,
2.18.6 se caso od arte il bel volto compose.
2.18.7 Di natura, d' Amor, de' cieli amici
2.18.8 le negligenze sue sono artifici.
2.19.1 Mirata da ciascun passa, e non mira
2.19.2 l' altera donna, e innanzi al re se 'n viene.
2.19.3 Né, perché irato il veggia, il piè ritira,
2.19.4 ma il fero aspetto intrepida sostiene.
2.19.5 -- Vengo, signor, -- gli disse -- e 'ntanto l' ira
2.19.6 prego sospenda e 'l tuo popolo affrene:
2.19.7 vengo a scoprirti, e vengo a darti preso
2.19.8 quel reo che cerchi, onde sei tanto offeso.--
2.20.1 A l' onesta baldanza, a l' improviso
2.20.2 folgorar di bellezze altere e sante,
2.20.3 quasi confuso il re, quasi conquiso,
2.20.4 frenò lo sdegno, e placò il fer sembiante.
2.20.5 S' egli era d' alma o se costei di viso
2.20.6 severa manco, ei diveniane amante;
2.20.7 ma ritrosa beltà ritroso core
2.20.8 non prende, e sono i vezzi esca d' Amore.
2.21.1 Fu stupor, fu vaghezza, e fu diletto,
2.21.2 s' amor non fu, che mosse il cor villano.
2.21.3 -- Narra -- ei le dice -- il tutto; ecco, io commetto
2.21.4 che non s' offenda il popol tuo cristiano. --
2.21.5 Ed ella:-- Il reo si trova al tuo cospetto:
2.21.6 opra è il furto, signor, di questa mano;
2.21.7 io l' imagine tolsi, io son colei
2.21.8 che tu ricerchi, e me punir tu déi. --
2.22.1 Così al publico fato il capo altero
2.22.2 offerse, e 'l volse in sé sola raccòrre.
2.22.3 Magnanima menzogna, or quand' è il vero
2.22.4 sì bello che si possa a te preporre?
2.22.5 Riman sospeso, e non sì tosto il fero
2.22.6 tiranno a l' ira, come suol, trascorre.
2.22.7 Poi la richiede: -- I' vuo' che tu mi scopra
2.22.8 chi diè consiglio, e chi fu insieme a l' opra.
2.23.1 -- Non volsi far de la mia gloria altrui
2.23.2 né pur minima parte; -- ella gli dice
2.23.3 -- sol di me stessa io consapevol fui,
2.23.4 sol consigliera, e sola essecutrice.
2.23.5 --Dunque in te sola -- ripigliò colui
2.23.6 -- caderà l' ira mia vendicatrice.--
2.23.7 Diss' ella:-- È giusto: esser a me conviene,
2.23.8 se fui sola a l' onor, sola a le pene.--
2.24.1 Qui comincia il tiranno a risdegnarsi;
2.24.2 poi le dimanda: -- Ov' hai l' imago ascosa?
2.24.3 -- Non la nascosi, -- a lui risponde -- io l' arsi,
2.24.4 e l' arderla stimai laudabil cosa;
2.24.5 così almen non potrà più violarsi
2.24.6 per man di miscredenti ingiuriosa.
2.24.7 Signore, o chiedi il furto, o 'l ladro chiedi:
2.24.8 quel no 'l vedrai in eterno, e questo il vedi.
2.25.1 Benché né furto è il mio, né ladra i' sono:
2.25.2 giust' è ritòr ciò ch' a gran torto è tolto.--
2.25.3 Or, quest' udendo, in minaccievol suono
2.25.4 freme il tiranno, e 'l fren de l' ira è sciolto.
2.25.5 Non speri più di ritrovar perdono
2.25.6 cor pudico, alta mente e nobil volto;
2.25.7 e 'ndarno Amor contr' a lo sdegno crudo
2.25.8 di sua vaga bellezza a lei fa scudo.
2.26.1 Presa è la bella donna, e 'ncrudelito
2.26.2 il re la danna entr' un incendio a morte.
2.26.3 Già 'l velo e 'l casto manto a lei rapito,
2.26.4 stringon le molli braccia aspre ritorte.
2.26.5 Ella si tace, e in lei non sbigottito,
2.26.6 ma pur commosso alquanto è il petto forte;
2.26.7 e smarrisce il bel volto in un colore
2.26.8 che non è pallidezza, ma candore.
2.27.1 Divulgossi il gran caso, e quivi tratto
2.27.2 già 'l popol s' era: Olindo anco v' accorse.
2.27.3 Dubbia era la persona e certo il fatto;
2.27.4 venia, che fosse la sua donna in forse.
2.27.5 Come la bella prigionera in atto
2.27.6 non pur di rea, ma di dannata ei scorse,
2.27.7 come i ministri al duro ufficio intenti
2.27.8 vide, precipitoso urtò le genti.
2.28.1 Al re gridò:-- Non è, non è già rea
2.28.2 costei del furto, e per follia se 'n vanta.
2.28.3 Non pensò, non ardì, né far potea
2.28.4 donna sola e inesperta opra cotanta.
2.28.5 Come ingannò i custodi? e de la Dea
2.28.6 con qual arti involò l' imagin santa?
2.28.7 Se 'l fece, il narri. Io l' ho, signor, furata.--
2.28.8 Ahi! tanto amò la non amante amata.
2.29.1 Soggiunse poscia:-- Io là, donde riceve
2.29.2 l' alta vostra meschita e l' aura e 'l die,
2.29.3 di notte ascesi, e trapassai per breve
2.29.4 fóro tentando inaccessibil vie.
2.29.5 A me l' onor, la morte a me si deve:
2.29.6 non usurpi costei le pene mie.
2.29.7 Mie son quelle catene, e per me questa
2.29.8 fiamma s' accende, e 'l rogo a me s' appresta.--
2.30.1 Alza Sofronia il viso, e umanamente
2.30.2 con occhi di pietade in lui rimira.
2.30.3 -- A che ne vieni, o misero innocente?
2.30.4 qual consiglio o furor ti guida o tira?
2.30.5 Non son io dunque senza te possente
2.30.6 a sostener ciò che d' un uom può l' ira?
2.30.7 Ho petto anch' io, ch' ad una morte crede
2.30.8 di bastar solo, e compagnia non chiede.--
2.31.1 Così parla a l' amante; e no 'l dispone
2.31.2 sì ch' egli si disdica, e pensier mute.
2.31.3 Oh spettacolo grande, ove a tenzone
2.31.4 sono Amore e magnanima virtute!
2.31.5 ove la morte al vincitor si pone
2.31.6 in premio, e 'l mal del vinto è la salute!
2.31.7 Ma più s' irrita il re quant' ella ed esso
2.31.8 è più costante in incolpar se stesso.
2.32.1 Pargli che vilipeso egli ne resti,
2.32.2 e ch' in disprezzo suo sprezzin le pene.
2.32.3 -- Credasi -- dice -- ad ambo; e quella e questi
2.32.4 vinca, e la palma sia qual si conviene.--
2.32.5 Indi accenna a i sergenti, i quai son presti
2.32.6 a legar il garzon di lor catene.
2.32.7 Sono ambo stretti al palo stesso; e vòlto
2.32.8 è il tergo al tergo, e 'l volto ascoso al volto.
2.33.1 Composto è lor d' intorno il rogo omai,
2.33.2 e già le fiamme il mantice v' incita,
2.33.3 quand' il fanciullo in dolorosi lai
2.33.4 proruppe, e disse a lei ch' è seco unita:
2.33.5 -- Quest' è dunque quel laccio ond' io sperai
2.33.6 teco accoppiarmi in compagnia di vita?
2.33.7 questo è quel foco ch' io credea ch' i cori
2.33.8 ne dovesse infiammar d' eguali ardori?
2.34.1 Altre fiamme, altri nodi Amor promise,
2.34.2 altri ce n' apparecchia iniqua sorte.
2.34.3 Troppo, ahi! ben troppo, ella già noi divise,
2.34.4 ma duramente or ne congiunge in morte.
2.34.5 Piacemi almen, poich' in sì strane guise
2.34.6 morir pur déi, del rogo esser consorte,
2.34.7 se del letto non fui; duolmi il tuo fato,
2.34.8 il mio non già, poich' io ti moro a lato.
2.35.1 Ed oh mia sorte aventurosa a pieno!
2.35.2 oh fortunati miei dolci martìri!
2.35.3 s' impetrarò che, giunto seno a seno,
2.35.4 l' anima mia ne la tua bocca io spiri;
2.35.5 e venendo tu meco a un tempo meno,
2.35.6 in me fuor mandi gli ultimi sospiri.--
2.35.7 Così dice piangendo. Ella il ripiglia
2.35.8 soavemente, e 'n tai detti il consiglia:
2.36.1 -- Amico, altri pensieri, altri lamenti,
2.36.2 per più alta cagione il tempo chiede.
2.36.3 Ché non pensi a tue colpe? e non rammenti
2.36.4 qual Dio prometta a i buoni ampia mercede?
2.36.5 Soffri in suo nome, e fian dolci i tormenti,
2.36.6 e lieto aspira a la superna sede.
2.36.7 Mira 'l ciel com' è bello, e mira il sole
2.36.8 ch' a sé par che n' inviti e ne console.--
2.37.1 Qui il vulgo de' pagani il pianto estolle:
2.37.2 piange il fedel, ma in voci assai più basse.
2.37.3 Un non so che d' inusitato e molle
2.37.4 par che nel duro petto al re trapasse.
2.37.5 Ei presentillo, e si sdegnò; né volle
2.37.6 piegarsi, e gli occhi torse, e si ritrasse.
2.37.7 Tu sola il duol comun non accompagni,
2.37.8 Sofronia; e pianta da ciascun, non piagni.
2.38.1 Mentre sono in tal rischio, ecco un guerriero
2.38.2 (ché tal parea) d' alta sembianza e degna;
2.38.3 e mostra, d' arme e d' abito straniero,
2.38.4 che di lontan peregrinando vegna.
2.38.5 La tigre, che su l' elmo ha per cimiero,
2.38.6 tutti gli occhi a sé trae, famosa insegna,
2.38.7 insegna usata da Clorinda in guerra;
2.38.8 onde la credon lei, né 'l creder erra.
2.39.1 Costei gl' ingegni feminili e gli usi
2.39.2 tutti sprezzò sin da l' età più acerba:
2.39.3 a i lavori d' Aracne, a l' ago, a i fusi
2.39.4 inchinar non degnò la man superba.
2.39.5 Fuggì gli abiti molli e i lochi chiusi,
2.39.6 ché ne' campi onestate anco si serba;
2.39.7 armò d' orgoglio il volto, e si compiacque
2.39.8 rigido farlo, e pur rigido piacque.
2.40.1 Tenera ancor con pargoletta destra
2.40.2 strinse e lentò d' un corridore il morso;
2.40.3 trattò l' asta e la spada, ed in palestra
2.40.4 indurò i membri ed allenogli al corso.
2.40.5 Poscia o per via montana o per silvestra
2.40.6 l' orme seguì di fer leone e d' orso;
2.40.7 seguì le guerre, e 'n esse e fra le selve
2.40.8 fèra a gli uomini parve, uomo a le belve.
2.41.1 Viene or costei da le contrade perse
2.41.2 perch' a i cristiani a suo poter resista,
2.41.3 bench' altre volte ha di lor membra asperse
2.41.4 le piaggie, e l' onda di lor sangue ha mista.
2.41.5 Or quivi in arrivando a lei s' offerse
2.41.6 l' apparato di morte a prima vista.
2.41.7 Di mirar vaga e di saper qual fallo
2.41.8 condanni i rei, sospinge oltre il cavallo.
2.42.1 Cedon le turbe, e i duo legati insieme
2.42.2 ella si ferma a riguardar da presso.
2.42.3 Mira che l' una tace e l' altro geme,
2.42.4 e più vigor mostra il men forte sesso.
2.42.5 Pianger lui vede in guisa d' uom cui preme
2.42.6 pietà, non doglia, o duol non di se stesso;
2.42.7 e tacer lei con gli occhi al ciel sì fisa
2.42.8 ch' anzi 'l morir par di qua giù divisa.
2.43.1 Clorinda intenerissi, e si condolse
2.43.2 d' ambeduo loro e lagrimonne alquanto.
2.43.3 Pur maggior sente il duol per chi non duolse,
2.43.4 più la move il silenzio e meno il pianto.
2.43.5 Senza troppo indugiare ella si volse
2.43.6 ad un uom che canuto avea da canto:
2.43.7 -- Deh! dimmi: chi son questi? ed al martoro
2.43.8 qual gli conduce o sorte o colpa loro?--
2.44.1 Così pregollo, e da colui risposto
2.44.2 breve ma pieno a le dimande fue.
2.44.3 Stupissi udendo, e imaginò ben tosto
2.44.4 ch' egualmente innocenti eran que' due.
2.44.5 Già di vietar lor morte ha in sé proposto,
2.44.6 quanto potranno i preghi o l' armi sue.
2.44.7 Pronta accorre a la fiamma, e fa ritrarla,
2.44.8 che già s' appressa, ed a i ministri parla:
2.45.1 -- Alcun non sia di voi che 'n questo duro
2.45.2 ufficio oltra seguire abbia baldanza,
2.45.3 sin ch' io non parli al re: ben v' assecuro
2.45.4 ch' ei non v' accuserà de la tardanza.--
2.45.5 Ubidiro i sergenti, e mossi furo
2.45.6 da quella grande sua regal sembianza.
2.45.7 Poi verso il re si mosse, e lui tra via
2.45.8 ella trovò che 'ncontra lei venia.
2.46.1 -- Io son Clorinda: -- disse -- hai forse intesa
2.46.2 talor nomarmi; e qui, signor, ne vegno
2.46.3 per ritrovarmi teco a la difesa
2.46.4 de la fede comune e del tuo regno.
2.46.5 Son pronta, imponi pure, ad ogni impresa:
2.46.6 l' alte non temo, e l' umili non sdegno;
2.46.7 voglimi in campo aperto, o pur tra 'l chiuso
2.46.8 de le mura impiegar, nulla ricuso. --
2.47.1 Tacque; e rispose il re:-- Qual sì disgiunta
2.47.2 terra è da l' Asia, o dal camin del sole,
2.47.3 vergine gloriosa, ove non giunta
2.47.4 sia la tua fama, e l' onor tuo non vóle?
2.47.5 Or che s' è la tua spada a me congiunta,
2.47.6 d' ogni timor m' affidi e mi console:
2.47.7 non, s' essercito grande unito insieme
2.47.8 fosse in mio scampo, avrei più certa speme.
2.48.1 Già già mi par ch' a giunger qui Goffredo
2.48.2 oltra il dover indugi; or tu dimandi
2.48.3 ch' impieghi io te: sol di te degne credo
2.48.4 l' imprese malagevoli e le grandi.
2.48.5 Sovr' a i nostri guerrieri a te concedo
2.48.6 lo scettro, e legge sia quel che comandi. --
2.48.7 Così parlava. Ella rendea cortese
2.48.8 grazie per lodi, indi il parlar riprese:
2.49.1 -- Nova cosa parer dovrà per certo
2.49.2 che preceda a i servigi il guiderdone;
2.49.3 ma tua bontà m' affida: i' vuo' ch' in merto
2.49.4 del futuro servir que' rei mi done.
2.49.5 In don gli chieggio; e pur, se 'l fallo è incerto,
2.49.6 gli danna inclementissima ragione;
2.49.7 ma taccio questo, e taccio i segni espressi
2.49.8 onde argomento l' innocenza in essi.
2.50.1 E dirò sol ch' è qui comun sentenza
2.50.2 che i cristiani togliessero l' imago;
2.50.3 ma discordo io da voi, né però senza
2.50.4 alta ragion del mio parer m' appago.
2.50.5 Fu de le nostre leggi irriverenza
2.50.6 quell' opra far che persuase il mago:
2.50.7 ché non convien ne' nostri tèmpi a nui
2.50.8 gl' idoli avere, e men gl' idoli altrui.
2.51.1 Dunque suso a Macon recar mi giova
2.51.2 il miracol de l' opra, ed ei la fece
2.51.3 per dimostrar ch' i tèmpi suoi con nova
2.51.4 religion contaminar non lece.
2.51.5 Faccia Ismeno incantando ogni sua prova,
2.51.6 egli a cui le malie son d' arme in vece;
2.51.7 trattiamo il ferro pur noi cavalieri:
2.51.8 quest' arte è nostra, e 'n questa sol si speri.--
2.52.1 Tacque, ciò detto; e 'l re, bench' a pietade
2.52.2 l' irato cor difficilmente pieghi,
2.52.3 pur compiacer la volle; e 'l persuade
2.52.4 ragione, e 'l move autorità di preghi.
2.52.5 -- Abbian vita -- rispose -- e libertade,
2.52.6 e nulla a tanto intercessor si neghi.
2.52.7 Siasi questa o giustizia over perdono,
2.52.8 innocenti gli assolvo, e rei gli dono. --
2.53.1 Così furon disciolti. Aventuroso
2.53.2 ben veramente fu d' Olindo il fato,
2.53.3 ch' atto poté mostrar che 'n generoso
2.53.4 petto al fine ha d' amore amor destato.
2.53.5 Va dal rogo a le nozze; ed è già sposo
2.53.6 fatto di reo, non pur d' amante amato.
2.53.7 Volse con lei morire: ella non schiva,
2.53.8 poi che seco non muor, che seco viva.
2.54.1 Ma il sospettoso re stimò periglio
2.54.2 tanta virtù congiunta aver vicina;
2.54.3 onde, com' egli volse, ambo in essiglio
2.54.4 oltra i termini andàr di Palestina.
2.54.5 Ei, pur seguendo il suo crudel consiglio,
2.54.6 bandisce altri fedeli, altri confina.
2.54.7 Oh come lascian mesti i pargoletti
2.54.8 figli, e gli antichi padri e i dolci letti!
2.55.1 Dura division! scaccia sol quelli
2.55.2 di forte corpo e di feroce ingegno;
2.55.3 ma il mansueto sesso, e gli anni imbelli
2.55.4 seco ritien, sì come ostaggi, in pegno.
2.55.5 Molti n' andaro errando, altri rubelli
2.55.6 fèrsi, e più che 'l timor poté lo sdegno.
2.55.7 Questi unìrsi co' Franchi, e gl' incontraro
2.55.8 a punto il dì che 'n Emaùs entraro.
2.56.1 Emaus è città cui breve strada
2.56.2 da la regal Gierusalem disgiunge,
2.56.3 ed uom che lento a suo diporto vada,
2.56.4 se parte matutino, a nona giunge.
2.56.5 Oh quant' intender questo a i Franchi aggrada!
2.56.6 Oh quanto più 'l desio gli affretta e punge!
2.56.7 Ma perch' oltra il meriggio il sol già scende,
2.56.8 qui fa spiegare il capitan le tende.
2.57.1 L' avean già tese, e poco era remota
2.57.2 l' alma luce del sol da l' oceano,
2.57.3 quando duo gran baroni in veste ignota
2.57.4 venir son visti, e 'n portamento estrano.
2.57.5 Ogni atto lor pacifico dinota
2.57.6 che vengon come amici al capitano.
2.57.7 Del gran re de l' Egitto eran messaggi,
2.57.8 e molti intorno avean scudieri e paggi.
2.58.1 Alete è l' un, che da principio indegno
2.58.2 tra le brutture de la plebe è sorto;
2.58.3 ma l' inalzaro a i primi onor del regno
2.58.4 parlar facondo e lusinghiero e scòrto,
2.58.5 pieghevoli costumi e vario ingegno
2.58.6 al finger pronto, a l' ingannare accorto:
2.58.7 gran fabro di calunnie, adorne in modi
2.58.8 novi, che sono accuse, e paion lodi.
2.59.1 L' altro è il circasso Argante, uom che straniero
2.59.2 se 'n venne a la regal corte d' Egitto;
2.59.3 ma de' satrapi fatto è de l' impero,
2.59.4 e in sommi gradi a la milizia ascritto:
2.59.5 impaziente, inessorabil, fero,
2.59.6 ne l' arme infaticabile ed invitto,
2.59.7 d' ogni dio sprezzatore, e che ripone
2.59.8 ne la spada sua legge e sua ragione.
2.60.1 Chieser questi udienza ed al cospetto
2.60.2 del famoso Goffredo ammessi entraro,
2.60.3 e in umil seggio e in un vestire schietto
2.60.4 fra' suoi duci sedendo il ritrovaro;
2.60.5 ma verace valor, benché negletto,
2.60.6 è di se stesso a sé fregio assai chiaro.
2.60.7 Picciol segno d' onor gli fece Argante,
2.60.8 in guisa pur d' uom grande e non curante.
2.61.1 Ma la destra si pose Alete al seno,
2.61.2 e chinò il capo, e piegò a terra i lumi,
2.61.3 e l' onorò con ogni modo a pieno
2.61.4 che di sua gente portino i costumi.
2.61.5 Cominciò poscia, e di sua bocca uscièno
2.61.6 più che mèl dolci d' eloquenza i fiumi;
2.61.7 e perché i Franchi han già il sermone appreso
2.61.8 de la Soria, fu ciò ch' ei disse inteso.
2.62.1 -- O degno sol cui d' ubidire or degni
2.62.2 questa adunanza di famosi eroi,
2.62.3 che per l' adietro ancor le palme e i regni
2.62.4 da te conobbe e da i consigli tuoi,
2.62.5 il nome tuo, che non riman tra i segni
2.62.6 d' Alcide, omai risuona anco fra noi,
2.62.7 e la fama d' Egitto in ogni parte
2.62.8 del tuo valor chiare novelle ha sparte.
2.63.1 Né v' è fra tanti alcun che non le ascolte
2.63.2 come egli suol le meraviglie estreme,
2.63.3 ma dal mio re con istupore accolte
2.63.4 sono non sol, ma con diletto insieme;
2.63.5 e s' appaga in narrarle anco a le volte,
2.63.6 amando in te ciò ch' altri invidia e teme:
2.63.7 ama il valore, e volontario elegge
2.63.8 teco unirsi d' amor, se non di legge.
2.64.1 Da sì bella cagion dunque sospinto,
2.64.2 l' amicizia e la pace a te richiede,
2.64.3 e 'l mezzo onde l' un resti a l' altro avinto
2.64.4 sia la virtù s' esser non può la fede.
2.64.5 Ma perché inteso avea che t' eri accinto
2.64.6 per iscacciar l' amico suo di sede,
2.64.7 volse, pria ch' altro male indi seguisse,
2.64.8 ch' a te la mente sua per noi s' aprisse.
2.65.1 E la sua mente è tal, che s' appagarti
2.65.2 vorrai di quanto hai fatto in guerra tuo,
2.65.3 né Giudea molestar, né l' altre parti
2.65.4 che ricopre il favor del regno suo,
2.65.5 ei promette a l' incontro assecurarti
2.65.6 il non ben fermo stato. E se voi duo
2.65.7 sarete uniti, or quando i Turchi e i Persi
2.65.8 potranno unqua sperar di riaversi?
2.66.1 Signor, gran cose in picciol tempo hai fatte
2.66.2 che lunga età porre in oblio non pote:
2.66.3 esserciti, città, vinti, disfatte,
2.66.4 superati disagi e strade ignote,
2.66.5 sì ch' al grido o smarrite o stupefatte
2.66.6 son le provincie intorno e le remote;
2.66.7 e se ben acquistar puoi novi imperi,
2.66.8 acquistar nova gloria indarno speri.
2.67.1 Giunta è tua gloria al sommo, e per l' inanzi
2.67.2 fuggir le dubbie guerre a te conviene,
2.67.3 ch' ove tu vinca, sol di stato avanzi,
2.67.4 né tua gloria maggior quinci diviene;
2.67.5 ma l' imperio acquistato e preso inanzi
2.67.6 e l' onor perdi, se 'l contrario aviene.
2.67.7 Ben gioco è di fortuna audace e stolto
2.67.8 por contra il poco e incerto il certo e 'l molto.
2.68.1 Ma il consiglio di tal cui forse pesa
2.68.2 ch' altri gli acquisti a lungo ancor conserve,
2.68.3 e l' aver sempre vinto in ogni impresa,
2.68.4 e quella voglia natural, che ferve
2.68.5 e sempre è più ne' cor più grandi accesa,
2.68.6 d' aver le genti tributarie e serve,
2.68.7 faran per aventura a te la pace
2.68.8 fuggir, più che la guerra altri non face.
2.69.1 T' essorteranno a seguitar la strada
2.69.2 che t' è dal fato largamente aperta,
2.69.3 a non depor questa famosa spada,
2.69.4 al cui valore ogni vittoria è certa,
2.69.5 sin che la legge di Macon non cada,
2.69.6 sin che l' Asia per te non sia deserta:
2.69.7 dolci cose ad udir e dolci inganni
2.69.8 ond' escon poi sovente estremi danni.
2.70.1 Ma s' animosità gli occhi non benda,
2.70.2 né il lume oscura in te de la ragione,
2.70.3 scorgerai, ch' ove tu la guerra prenda,
2.70.4 hai di temer, non di sperar cagione,
2.70.5 ché fortuna qua giù varia a vicenda
2.70.6 mandandoci venture or triste or buone,
2.70.7 ed a i voli troppo alti e repentini
2.70.8 sogliono i precipizi esser vicini.
2.71.1 Dimmi: s' a' danni tuoi l' Egitto move,
2.71.2 d' oro e d' arme potente e di consiglio,
2.71.3 e s' avien che la guerra anco rinove
2.71.4 il Perso e 'l Turco e di Cassano il figlio,
2.71.5 quai forze opporre a sì gran furia o dove
2.71.6 ritrovar potrai scampo al tuo periglio?
2.71.7 T' affida forse il re malvagio greco
2.71.8 il qual da i sacri patti unito è teco?
2.72.1 La fede greca a chi non è palese?
2.72.2 Tu da un sol tradimento ogni altro impara,
2.72.3 anzi da mille, perché mille ha tese
2.72.4 insidie a voi la gente infida, avara.
2.72.5 Dunque chi dianzi il passo a voi contese,
2.72.6 per voi la vita esporre or si prepara?
2.72.7 chi le vie che comuni a tutti sono
2.72.8 negò, del proprio sangue or farà dono?
2.73.1 Ma forse hai tu riposta ogni tua speme
2.73.2 in queste squadre ond' ora cinto siedi.
2.73.3 Quei che sparsi vincesti, uniti insieme
2.73.4 di vincer anco agevolmente credi,
2.73.5 se ben son le tue schiere or molto sceme
2.73.6 tra le guerre e i disagi, e tu te 'l vedi;
2.73.7 se ben novo nemico a te s' accresce
2.73.8 e co' Persi e co' Turchi Egizi mesce.
2.74.1 Or quando pure estimi esser fatale
2.74.2 che non ti possa il ferro vincer mai,
2.74.3 siati concesso, e siati a punto tale
2.74.4 il decreto del Ciel qual tu te 'l fai;
2.74.5 vinceratti la fame: a questo male
2.74.6 che rifugio, per Dio, che schermo avrai?
2.74.7 Vibra contra costei la lancia, e stringi
2.74.8 la spada, e la vittoria anco ti fingi.
2.75.1 Ogni campo d' intorno arso e distrutto
2.75.2 ha la provida man de gli abitanti,
2.75.3 e 'n chiuse mura e 'n alte torri il frutto
2.75.4 riposto, al tuo venir più giorni inanti.
2.75.5 Tu ch' ardito sin qui ti sei condutto,
2.75.6 onde speri nutrir cavalli e fanti?
2.75.7 Dirai: --L' armata in mar cura ne prende.--
2.75.8 Da i venti dunque il viver tuo dipende?
2.76.1 Comanda forse tua fortuna a i venti,
2.76.2 e gli avince a sua voglia e gli dislega?
2.76.3 e 'l mar ch' a i preghi è sordo ed a i lamenti,
2.76.4 te sol udendo, al tuo voler si piega?
2.76.5 O non potranno pur le nostre genti,
2.76.6 e le perse e le turche unite in lega,
2.76.7 così potente armata in un raccòrre
2.76.8 ch' a questi legni tuoi si possa opporre?
2.77.1 Doppia vittoria a te, signor, bisogna,
2.77.2 s' hai de l' impresa a riportar l' onore.
2.77.3 Una perdita sola alta vergogna
2.77.4 può cagionarti e danno anco maggiore:
2.77.5 ch' ove la nostra armata in rotta pogna
2.77.6 la tua, qui poi di fame il campo more;
2.77.7 e se tu sei perdente, indarno poi
2.77.8 saran vittoriosi i legni tuoi.
2.78.1 Ora se in tale stato anco rifiuti
2.78.2 co 'l gran re de l' Egitto e pace e tregua,
2.78.3 (diasi licenza al ver) l' altre virtuti
2.78.4 questo consiglio tuo non bene adegua.
2.78.5 Ma voglia il Ciel che 'l tuo pensier si muti,
2.78.6 s' a guerra è vòlto, e che 'l contrario segua,
2.78.7 sì che l' Asia respiri omai da i lutti,
2.78.8 e goda tu de la vittoria i frutti.
2.79.1 Né voi che del periglio e de gli affanni
2.79.2 e de la gloria a lui sète consorti,
2.79.3 il favor di fortuna or tanto inganni
2.79.4 che nove guerre a provocar v' essorti.
2.79.5 Ma qual nocchier che da i marini inganni
2.79.6 ridutti ha i legni a i desiati porti,
2.79.7 raccòr dovreste omai le sparse vele,
2.79.8 né fidarvi di novo al mar crudele.--
2.80.1 Qui tacque Alete, e 'l suo parlar seguiro
2.80.2 con basso mormorar que' forti eroi;
2.80.3 e ben ne gli atti disdegnosi apriro
2.80.4 quanto ciascun quella proposta annoi.
2.80.5 Il capitan rivolse gli occhi in giro
2.80.6 tre volte e quattro, e mirò in fronte i suoi,
2.80.7 e poi nel volto di colui gli affisse
2.80.8 ch' attendea la risposta, e così disse:
2.81.1 -- Messaggier, dolcemente a noi sponesti
2.81.2 ora cortese, or minaccioso invito.
2.81.3 Se 'l tuo re m' ama e loda i nostri gesti,
2.81.4 è sua mercede, e m' è l' amor gradito.
2.81.5 A quella parte poi dove protesti
2.81.6 la guerra a noi del paganesmo unito,
2.81.7 risponderò, come da me si suole,
2.81.8 liberi sensi in semplici parole.
2.82.1 Sappi che tanto abbiam sin or sofferto
2.82.2 in mare, in terra, a l' aria chiara e scura,
2.82.3 solo acciò che ne fosse il calle aperto
2.82.4 a quelle sacre e venerabil mura,
2.82.5 per acquistarne appo Dio grazia e merto
2.82.6 togliendo lor di servitù sì dura,
2.82.7 né mai grave ne fia per fin sì degno
2.82.8 esporre onor mondano e vita e regno;
2.83.1 ché non ambiziosi avari affetti
2.83.2 ne spronaro a l' impresa, e ne fur guida
2.83.3 (sgombri il Padre del Ciel da i nostri petti
2.83.4 peste sì rea, s' in alcun pur s' annida;
2.83.5 né soffra che l' asperga, e che l' infetti
2.83.6 di venen dolce che piacendo ancida),
2.83.7 ma la sua man ch' i duri cor penètra
2.83.8 soavemente, e gli ammollisce e spetra.
2.84.1 Questa ha noi mossi e questa ha noi condutti,
2.84.2 tratti d' ogni periglio e d' ogni impaccio;
2.84.3 questa fa piani i monti e i fiumi asciutti,
2.84.4 l' ardor toglie a la state, al verno il ghiaccio;
2.84.5 placa del mare i tempestosi flutti,
2.84.6 stringe e rallenta questa a i venti il laccio;
2.84.7 quindi son l' alte mura aperte ed arse,
2.84.8 quindi l' armate schiere uccise e sparse;
2.85.1 quindi l' ardir, quindi la speme nasce,
2.85.2 non da le frali nostre forze e stanche,
2.85.3 non da l' armata, e non da quante pasce
2.85.4 genti la Grecia e non da l' arme franche.
2.85.5 Pur ch' ella mai non ci abbandoni e lasce,
2.85.6 poco dobbiam curar ch' altri ci manche.
2.85.7 Chi sa come difende e come fère,
2.85.8 soccorso a i suoi perigli altro non chere.
2.86.1 Ma quando di sua aita ella ne privi,
2.86.2 per gli error nostri o per giudizi occulti,
2.86.3 chi fia di noi ch' esser sepulto schivi
2.86.4 ove i membri di Dio fur già sepulti?
2.86.5 Noi morirem, né invidia avremo a i vivi;
2.86.6 noi morirem, ma non morremo inulti,
2.86.7 né l' Asia riderà di nostra sorte,
2.86.8 né pianta fia da noi la nostra morte.
2.87.1 Non creder già che noi fuggiam la pace
2.87.2 come guerra mortal si fugge e pave,
2.87.3 ché l' amicizia del tuo re ne piace,
2.87.4 né l' unirci con lui ne sarà grave;
2.87.5 ma s' al suo impero la Giudea soggiace,
2.87.6 tu 'l sai; perché tal cura ei dunque n' have?
2.87.7 De' regni altrui l' acquisto ei non ci vieti,
2.87.8 e regga in pace i suoi tranquilli e lieti.--
2.88.1 Così rispose, e di pungente rabbia
2.88.2 la risposta ad Argante il cor trafisse;
2.88.3 né 'l celò già, ma con enfiate labbia
2.88.4 si trasse avanti al capitano e disse:
2.88.5 -- Chi la pace non vuol, la guerra s' abbia,
2.88.6 ché penuria giamai non fu di risse;
2.88.7 e ben la pace ricusar tu mostri,
2.88.8 se non t' acqueti a i primi detti nostri.--
2.89.1 Indi il suo manto per lo lembo prese,
2.89.2 curvollo e fenne un seno; e 'l seno sporto,
2.89.3 così pur anco a ragionar riprese
2.89.4 via più che prima dispettoso e torto:
2.89.5 -- O sprezzator de le più dubbie imprese,
2.89.6 e guerra e pace in questo sen t' apporto:
2.89.7 tua sia l' elezione; or ti consiglia
2.89.8 senz' altro indugio, e qual più vuoi ti piglia.--
2.90.1 L' atto fero e 'l parlar tutti commosse
2.90.2 a chiamar guerra in un concorde grido,
2.90.3 non attendendo che risposto fosse
2.90.4 dal magnanimo lor duce Goffrido.
2.90.5 Spiegò quel crudo il seno e 'l manto scosse,
2.90.6 ed: -- A guerra mortal -- disse -- vi sfido --;
2.90.7 e 'l disse in atto sì feroce ed empio
2.90.8 che parve aprir di Giano il chiuso tempio.
2.91.1 Parve ch' aprendo il seno indi traesse
2.91.2 il Furor pazzo e la Discordia fera,
2.91.3 e che ne gli occhi orribili gli ardesse
2.91.4 la gran face d' Aletto e di Megera.
2.91.5 Quel grande già che 'ncontra il cielo eresse
2.91.6 l' alta mole d' error, forse tal era;
2.91.7 e in cotal atto il rimirò Babelle
2.91.8 alzar la fronte e minacciar le stelle.
2.92.1 Soggiunse allor Goffredo:-- Or riportate
2.92.2 al vostro re che venga, e che s' affretti,
2.92.3 che la guerra accettiam che minacciate;
2.92.4 e s' ei non vien, fra 'l Nilo suo n' aspetti.--
2.92.5 Accommiatò lor poscia in dolci e grate
2.92.6 maniere, e gli onorò di doni eletti.
2.92.7 Ricchissimo ad Alete un elmo diede
2.92.8 ch' a Nicea conquistò fra l' altre prede.
2.93.1 Ebbe Argante una spada; e 'l fabro egregio
2.93.2 l' else e 'l pomo le fe' gemmato e d' oro,
2.93.3 con magistero tal che perde il pregio
2.93.4 de la ricca materia appo il lavoro.
2.93.5 Poi che la tempra e la ricchezza e 'l fregio
2.93.6 sottilmente da lui mirati foro,
2.93.7 disse Argante al Buglion:-- Vedrai ben tosto
2.93.8 come da me il tuo dono in uso è posto.--
2.94.1 Indi tolto il congedo, è da lui ditto
2.94.2 al suo compagno.-- Or ce n' andremo omai,
2.94.3 io a Gierusalem, tu verso Egitto,
2.94.4 tu co 'l sol novo, io co' notturni rai,
2.94.5 ch' uopo o di mia presenza, o di mio scritto
2.94.6 esser non può colà dove tu vai.
2.94.7 Reca tu la risposta, io dilungarmi
2.94.8 quinci non vuo', dove si trattan l' armi.--
2.95.1 Così di messaggier fatto è nemico,
2.95.2 sia fretta intempestiva o sia matura:
2.95.3 la ragion de le genti e l' uso antico
2.95.4 s' offenda o no, né 'l pensa egli, né 'l cura.
2.95.5 Senza risposta aver, va per l' amico
2.95.6 silenzio de le stelle a l' alte mura,
2.95.7 d' indugio impaziente, ed a chi resta
2.95.8 già non men la dimora anco è molesta.
2.96.1 Era la notte allor ch' alto riposo
2.96.2 han l' onde e i venti, e parea muto il mondo.
2.96.3 Gli animai lassi, e quei che 'l mar ondoso
2.96.4 o de' liquidi laghi alberga il fondo,
2.96.5 e chi si giace in tana o in mandra ascoso,
2.96.6 e i pinti augelli, ne l' oblio profondo
2.96.7 sotto il silenzio de' secreti orrori
2.96.8 sopian gli affanni e raddolciano i cori.
2.97.1 Ma né 'l campo fedel, né 'l franco duca
2.97.2 si discioglie nel sonno, o almen s' accheta,
2.97.3 tanta in lor cupidigia è che riluca
2.97.4 omai nel ciel l' alba aspettata e lieta,
2.97.5 perché il camin lor mostri, e li conduca
2.97.6 a la città ch' al gran passaggio è mèta.
2.97.7 Mirano ad or ad or se raggio alcuno
2.97.8 spunti, o si schiari de la notte il bruno.
CANTO III
3.1.1 Già l' aura messaggiera erasi desta
3.1.2 a nunziar che se ne vien l' aurora;
3.1.3 ella intanto s' adorna, e l' aurea testa
3.1.4 di rose colte in paradiso infiora,
3.1.5 quando il campo, ch' a l' arme omai s' appresta,
3.1.6 in voce mormorava alta e sonora,
3.1.7 e prevenia le trombe; e queste poi
3.1.8 dièr più lieti e canori i segni suoi.
3.2.1 Il saggio capitan con dolce morso
3.2.2 i desideri lor guida e seconda,
3.2.3 ché più facil saria svolger il corso
3.2.4 presso Cariddi a la volubil onda,
3.2.5 o tardar Borea allor che scote il dorso
3.2.6 de l' Apennino, e i legni in mare affonda.
3.2.7 Gli ordina, gl' incamina, e 'n suon gli regge
3.2.8 rapido sì, ma rapido con legge.
3.3.1 Ali ha ciascuno al core ed ali al piede,
3.3.2 né del suo ratto andar però s' accorge;
3.3.3 ma quando il sol gli aridi campi fiede
3.3.4 con raggi assai ferventi e in alto sorge,
3.3.5 ecco apparir Gierusalem si vede,
3.3.6 ecco additar Gierusalem si scorge,
3.3.7 ecco da mille voci unitamente
3.3.8 Gierusalemme salutar si sente.
3.4.1 Così di naviganti audace stuolo,
3.4.2 che mova a ricercar estranio lido,
3.4.3 e in mar dubbioso e sotto ignoto polo
3.4.4 provi l' onde fallaci e 'l vento infido,
3.4.5 s' al fin discopre il desiato suolo,
3.4.6 il saluta da lunge in lieto grido,
3.4.7 e l' uno a l' altro il mostra, e intanto oblia
3.4.8 la noia e 'l mal de la passata via.
3.5.1 Al gran piacer che quella prima vista
3.5.2 dolcemente spirò ne l' altrui petto,
3.5.3 alta contrizion successe, mista
3.5.4 di timoroso e riverente affetto.
3.5.5 Osano a pena d' inalzar la vista
3.5.6 vèr la città, di Cristo albergo eletto,
3.5.7 dove morì, dove sepolto fue,
3.5.8 dove poi rivestì le membra sue.
3.6.1 Sommessi accenti e tacite parole,
3.6.2 rotti singulti e flebili sospiri
3.6.3 de la gente ch' in un s' allegra e duole,
3.6.4 fan che per l' aria un mormorio s' aggiri
3.6.5 qual ne le folte selve udir si suole
3.6.6 s' avien che tra le frondi il vento spiri,
3.6.7 o quale infra gli scogli o presso a i lidi
3.6.8 sibila il mar percosso in rauchi stridi.
3.7.1 Nudo ciascuno il piè calca il sentiero,
3.7.2 ché l' essempio de' duci ogn' altro move,
3.7.3 serico fregio o d' or, piuma o cimiero
3.7.4 superbo dal suo capo ognun rimove;
3.7.5 ed insieme del cor l' abito altero
3.7.6 depone, e calde e pie lagrime piove.
3.7.7 Pur quasi al pianto abbia la via rinchiusa,
3.7.8 così parlando ognun se stesso accusa:
3.8.1 -- Dunque ove tu, Signor, di mille rivi
3.8.2 sanguinosi il terren lasciasti asperso,
3.8.3 d' amaro pianto almen duo fonti vivi
3.8.4 in sì acerba memoria oggi io non verso?
3.8.5 Agghiacciato mio cor, ché non derivi
3.8.6 per gli occhi e stilli in lagrime converso?
3.8.7 Duro mio cor, ché non ti spetri e frangi?
3.8.8 Pianger ben merti ognor, s' ora non piangi.--
3.9.1 De la cittade intanto un ch' a la guarda
3.9.2 sta d' alta torre, e scopre i monti e i campi,
3.9.3 colà giuso la polve alzarsi guarda,
3.9.4 sì che par che gran nube in aria stampi:
3.9.5 par che baleni quella nube ed arda,
3.9.6 come di fiamme gravida e di lampi;
3.9.7 poi lo splendor de' lucidi metalli
3.9.8 distingue, e scerne gli uomini e i cavalli.
3.10.1 Allor gridava:-- Oh qual per l' aria stesa
3.10.2 polvere i' veggio! oh come par che splenda!
3.10.3 Su, suso, o cittadini, a la difesa
3.10.4 s' armi ciascun veloce, e i muri ascenda:
3.10.5 già presente è il nemico. -- E poi, ripresa
3.10.6 la voce:-- Ognun s' affretti, e l' arme prenda;
3.10.7 ecco, il nemico è qui: mira la polve
3.10.8 che sotto orrida nebbia il ciel involve.--
3.11.1 I semplici fanciulli, e i vecchi inermi,
3.11.2 e 'l vulgo de le donne sbigottite,
3.11.3 che non sanno ferir né fare schermi,
3.11.4 traean supplici e mesti a le meschite.
3.11.5 Gli altri di membra e d' animo più fermi
3.11.6 già frettolosi l' arme avean rapite.
3.11.7 Accorre altri a le porte, altri a le mura;
3.11.8 il re va intorno, e 'l tutto vede e cura.
3.12.1 Gli ordini diede, e poscia ei si ritrasse
3.12.2 ove sorge una torre infra due porte,
3.12.3 sì ch' è presso al bisogno; e son più basse
3.12.4 quindi le piaggie e le montagne scorte.
3.12.5 Volle che quivi seco Erminia andasse,
3.12.6 Erminia bella, ch' ei raccolse in corte
3.12.7 poi ch' a lei fu da le cristiane squadre
3.12.8 presa Antiochia, e morto il re suo padre.
3.13.1 Clorinda intanto incontra a i Franchi è gita:
3.13.2 molti van seco, ed ella a tutti è inante;
3.13.3 ma in altra parte, ond' è secreta uscita,
3.13.4 sta preparato a le riscosse Argante.
3.13.5 La generosa i suoi seguaci incita
3.13.6 co' detti e con l' intrepido sembiante:
3.13.7 -- Ben con alto principio a noi conviene--
3.13.8 dicea -- fondar de l' Asia oggi la spene.--
3.14.1 Mentre ragiona a i suoi, non lunge scorse
3.14.2 un franco stuol addur rustiche prede,
3.14.3 che, com' è l' uso, a depredar precorse;
3.14.4 or con greggie ed armenti al campo riede.
3.14.5 Ella vèr lor, e verso lei se 'n corse
3.14.6 il duce lor, ch' a sé venir la vede.
3.14.7 Gardo il duce è nomato, uom di gran possa,
3.14.8 ma non già tal ch' a lei resister possa.
3.15.1 Gardo a quel fero scontro è spinto a terra
3.15.2 in su gli occhi de' Franchi e de' pagani,
3.15.3 ch' allor tutti gridàr, di quella guerra
3.15.4 lieti augùri prendendo, i quai fur vani.
3.15.5 Spronando adosso a gli altri ella si serra,
3.15.6 e val la destra sua per cento mani.
3.15.7 Seguìrla i suoi guerrier per quella strada
3.15.8 che spianàr gli urti, e che s' aprì la spada.
3.16.1 Tosto la preda al predator ritoglie;
3.16.2 cede lo stuol de' Franchi a poco a poco,
3.16.3 tanto ch' in cima a un colle ei si raccoglie,
3.16.4 ove aiutate son l' arme dal loco.
3.16.5 Allor, sì come turbine si scioglie
3.16.6 e cade da le nubi aereo fuoco,
3.16.7 il buon Tancredi, a cui Goffredo accenna,
3.16.8 sua squadra mosse, ed arrestò l' antenna.
3.17.1 Porta sì salda la gran lancia, e in guisa
3.17.2 vien feroce e leggiadro il giovenetto,
3.17.3 che veggendolo d' alto il re s' avisa
3.17.4 che sia guerriero infra gli scelti eletto.
3.17.5 Onde dice a colei ch' è seco assisa,
3.17.6 e che già sente palpitarsi il petto:
3.17.7 -- Ben conoscer déi tu per sì lungo uso
3.17.8 ogni cristian, benché ne l' arme chiuso.
3.18.1 Chi è dunque costui, che così bene
3.18.2 s' adatta in giostra, e fero in vista è tanto?--
3.18.3 A quella, in vece di risposta, viene
3.18.4 su le labra un sospir, su gli occhi il pianto.
3.18.5 Pur gli spirti e le lagrime ritiene,
3.18.6 ma non così che lor non mostri alquanto:
3.18.7 ché gli occhi pregni un bel purpureo giro
3.18.8 tinse, e roco spuntò mezzo il sospiro.
3.19.1 Poi gli dice infingevole, e nasconde
3.19.2 sotto il manto de l' odio altro desio:
3.19.3 -- Oimè! bene il conosco, ed ho ben donde
3.19.4 fra mille riconoscerlo deggia io,
3.19.5 ché spesso il vidi i campi e le profonde
3.19.6 fosse del sangue empir del popol mio.
3.19.7 Ahi quanto è crudo nel ferire! a piaga
3.19.8 ch' ei faccia, erba non giova od arte maga.
3.20.1 Egli è il prence Tancredi: oh prigioniero
3.20.2 mio fosse un giorno! e no 'l vorrei già morto;
3.20.3 vivo il vorrei, perch' in me desse al fero
3.20.4 desio dolce vendetta alcun conforto.--
3.20.5 Così parlava, e de' suoi detti il vero
3.20.6 da chi l' udiva in altro senso è torto;
3.20.7 e fuor n' uscì con le sue voci estreme
3.20.8 misto un sospir che 'ndarno ella già preme.
3.21.1 Clorinda intanto ad incontrar l' assalto
3.21.2 va di Tancredi, e pon la lancia in resta.
3.21.3 Ferìrsi a le visiere, e i tronchi in alto
3.21.4 volaro e parte nuda ella ne resta;
3.21.5 ché, rotti i lacci a l' elmo suo, d' un salto
3.21.6 (mirabil colpo!) ei le balzò di testa;
3.21.7 e le chiome dorate al vento sparse,
3.21.8 giovane donna in mezzo 'l campo apparse.
3.22.1 Lampeggiàr gli occhi, e folgoràr gli sguardi,
3.22.2 dolci ne l' ira; or che sarian nel riso?
3.22.3 Tancredi, a che pur pensi? a che pur guardi?
3.22.4 non riconosci tu l' altero viso?
3.22.5 Quest' è pur quel bel volto onde tutt' ardi;
3.22.6 tuo core il dica, ov' è il suo essempio inciso.
3.22.7 Questa è colei che rinfrescar la fronte
3.22.8 vedesti già nel solitario fonte.
3.23.1 Ei ch' al cimiero ed al dipinto scudo
3.23.2 non badò prima, or lei veggendo impètra;
3.23.3 ella quanto può meglio il capo ignudo
3.23.4 si ricopre, e l' assale; ed ei s' arretra.
3.23.5 Va contra gli altri, e rota il ferro crudo;
3.23.6 ma però da lei pace non impetra,
3.23.7 che minacciosa il segue, e:-- Volgi -- grida;
3.23.8 e di due morti in un punto lo sfida.
3.24.1 Percosso, il cavalier non ripercote,
3.24.2 né sì dal ferro a riguardarsi attende,
3.24.3 come a guardar i begli occhi e le gote
3.24.4 ond' Amor l' arco inevitabil tende.
3.24.5 Fra sé dicea: --Van le percosse vote
3.24.6 talor, che la sua destra armata stende;
3.24.7 ma colpo mai del bello ignudo volto
3.24.8 non cade in fallo, e sempre il cor m' è colto.--
3.25.1 Risolve al fin, benché pietà non spere,
3.25.2 di non morir tacendo occulto amante.
3.25.3 Vuol ch' ella sappia ch' un prigion suo fère
3.25.4 già inerme, e supplichevole e tremante;
3.25.5 onde le dice:-- O tu, che mostri avere
3.25.6 per nemico me sol fra turbe tante,
3.25.7 usciam di questa mischia, ed in disparte
3.25.8 i' potrò teco, e tu meco provarte.
3.26.1 Così me' si vedrà s' al tuo s' agguaglia
3.26.2 il mio valore. -- Ella accettò l' invito:
3.26.3 e come esser senz' elmo a lei non caglia,
3.26.4 gìa baldanzosa, ed ei seguia smarrito.
3.26.5 Recata s' era in atto di battaglia
3.26.6 già la guerriera, e già l' avea ferito,
3.26.7 quand' egli:-- Or ferma,-- disse-- e siano fatti
3.26.8 anzi la pugna de la pugna i patti.--
3.27.1 Fermossi, e lui di pauroso audace
3.27.2 rendé in quel punto il disperato amore.
3.27.3 -- I patti sian, -- dicea -- poi che tu pace
3.27.4 meco non vuoi, che tu mi tragga il core.
3.27.5 Il mio cor, non più mio, s' a te dispiace
3.27.6 ch' egli più viva, volontario more:
3.27.7 è tuo gran tempo, e tempo è ben che trarlo
3.27.8 omai tu debbia, e non debb' io vietarlo.
3.28.1 Ecco io chino le braccia, e t' appresento
3.28.2 senza difesa il petto: or ché no 'l fiedi?
3.28.3 vuoi ch' agevoli l' opra? i' son contento
3.28.4 trarmi l' usbergo or or, se nudo il chiedi.--
3.28.5 Distinguea forse in più duro lamento
3.28.6 i suoi dolori il misero Tancredi,
3.28.7 ma calca l' impedisce intempestiva
3.28.8 de' pagani e de' suoi che soprarriva.
3.29.1 Cedean cacciati da lo stuol cristiano
3.29.2 i Palestini, o sia temenza od arte.
3.29.3 Un de' persecutori, uomo inumano,
3.29.4 videle sventolar le chiome sparte,
3.29.5 e da tergo in passando alzò la mano
3.29.6 per ferir lei ne la sua ignuda parte;
3.29.7 ma Tancredi gridò, che se n' accorse,
3.29.8 e con la spada a quel gran colpo occorse.
3.30.1 Pur non gì tutto in vano, e ne' confini
3.30.2 del bianco collo il bel capo ferille.
3.30.3 Fu levissima piaga, e i biondi crini
3.30.4 rosseggiaron così d' alquante stille,
3.30.5 come rosseggia l' or che di rubini
3.30.6 per man d' illustre artefice sfaville.
3.30.7 Ma il prence infuriato allor si strinse
3.30.8 adosso a quel villano, e 'l ferro spinse.
3.31.1 Quel si dilegua, e questi acceso d' ira
3.31.2 il segue, e van come per l' aria strale.
3.31.3 Ella riman sospesa, ed ambo mira
3.31.4 lontani molto, né seguir le cale,
3.31.5 ma co' suoi fuggitivi si ritira:
3.31.6 talor mostra la fronte e i Franchi assale;
3.31.7 or si volge or rivolge, or fugge or fuga,
3.31.8 né si può dir la sua caccia né fuga.
3.32.1 Tal gran tauro talor ne l' ampio agone,
3.32.2 se volge il corno a i cani ond' è seguito,
3.32.3 s' arretran essi; e s' a fuggir si pone,
3.32.4 ciascun ritorna a seguitarlo ardito.
3.32.5 Clorinda nel fuggir da tergo oppone
3.32.6 alto lo scudo, e 'l capo è custodito.
3.32.7 Così coperti van ne' giochi mori
3.32.8 da le palle lanciate i fuggitori.
3.33.1 Già questi seguitando e quei fuggendo
3.33.2 s' erano a l' alte mura avicinati,
3.33.3 quando alzaro i pagani un grido orrendo
3.33.4 e indietro si fur subito voltati;
3.33.5 e fecero un gran giro, e poi volgendo
3.33.6 ritornaro a ferir le spalle e i lati.
3.33.7 E intanto Argante giù movea dal monte
3.33.8 la schiera sua per assalirgli a fronte.
3.34.1 Il feroce circasso uscì di stuolo,
3.34.2 ch' esser vols' egli il feritor primiero,
3.34.3 e quegli in cui ferì fu steso al suolo,
3.34.4 e sossopra in un fascio il suo destriero;
3.34.5 e pria che l' asta in tronchi andasse a volo,
3.34.6 molti cadendo compagnia gli fèro.
3.34.7 Poi stringe il ferro, e quando giunge a pieno
3.34.8 sempre uccide od abbatte o piaga almeno.
3.35.1 Clorinda, emula sua, tolse di vita
3.35.2 il forte Ardelio, uom già d' età matura,
3.35.3 ma di vecchiezza indomita, e munita
3.35.4 di duo gran figli, e pur non fu secura,
3.35.5 ch' Alcandro, il maggior figlio, aspra ferita
3.35.6 rimosso avea da la paterna cura,
3.35.7 e Poliferno, che restogli appresso,
3.35.8 a gran pena salvar poté se stesso.
3.36.1 Ma Tancredi, dapoi ch' egli non giunge
3.36.2 quel villan che destriero ha più corrente,
3.36.3 si mira a dietro, e vede ben che lunge
3.36.4 troppo è trascorsa la sua audace gente.
3.36.5 Vedela intorniata, e 'l corsier punge
3.36.6 volgendo il freno, e là s' invia repente;
3.36.7 ned egli solo i suoi guerrier soccorre,
3.36.8 ma quello stuol ch' a tutt' i rischi accorre:
3.37.1 quel di Dudon aventurier drapello,
3.37.2 fior de gli eroi, nerbo e vigor del campo.
3.37.3 Rinaldo, il più magnanimo e il più bello,
3.37.4 tutti precorre, ed è men ratto il lampo.
3.37.5 Ben tosto il portamento e 'l bianco augello
3.37.6 conosce Erminia nel celeste campo,
3.37.7 e dice al re, che 'n lui fisa lo sguardo:
3.37.8 --Eccoti il domator d' ogni gagliardo.
3.38.1 Questi ha nel pregio de la spada eguali
3.38.2 pochi, o nessuno; ed è fanciullo ancora.
3.38.3 Se fosser tra' nemici altri sei tali,
3.38.4 già Soria tutta vinta e serva fòra;
3.38.5 e già dómi sarebbono i più australi
3.38.6 regni, e i regni più prossimi a l' aurora;
3.38.7 e forse il Nilo occultarebbe in vano
3.38.8 dal giogo il capo incognito e lontano.
3.39.1 Rinaldo ha nome; e la sua destra irata
3.39.2 teman più d' ogni machina le mura.
3.39.3 Or volgi gli occhi ov' io ti mostro, e guata
3.39.4 colui che d' oro e verde ha l' armatura.
3.39.5 Quegli è Dudone, ed è da lui guidata
3.39.6 questa schiera, che schiera è di ventura:
3.39.7 è guerrier d' alto sangue e molto esperto,
3.39.8 che d' età vince e non cede di merto.
3.40.1 Mira quel grande, ch' è coperto a bruno:
3.40.2 è Gernando, il fratel del re norvegio;
3.40.3 non ha la terra uom più superbo alcuno,
3.40.4 questo sol de' suoi fatti oscura il pregio.
3.40.5 E son que' duo che van sì giunti in uno,
3.40.6 e c' han bianco il vestir, bianco ogni fregio,
3.40.7 Gildippe ed Odoardo, amanti e sposi,
3.40.8 in valor d' arme e in lealtà famosi.--
3.41.1 Così parlava, e già vedean là sotto
3.41.2 come la strage più e più s' ingrosse,
3.41.3 ché Tancredi e Rinaldo il cerchio han rotto
3.41.4 benché d' uomini denso e d' armi fosse;
3.41.5 e poi lo stuol, ch' è da Dudon condotto,
3.41.6 vi giunse, ed aspramente anco il percosse.
3.41.7 Argante, Argante stesso, ad un grand' urto
3.41.8 di Rinaldo abbattuto, a pena è surto.
3.42.1 Né sorgea forse, ma in quel punto stesso
3.42.2 al figliuol di Bertoldo il destrier cade;
3.42.3 e restandogli sotto il piede oppresso,
3.42.4 convien ch' indi a ritrarlo alquanto bade.
3.42.5 Lo stuol pagan fra tanto, in rotta messo,
3.42.6 si ripara fuggendo a la cittade.
3.42.7 Soli Argante e Clorinda argine e sponda
3.42.8 sono al furor che lor da tergo inonda.
3.43.1 Ultimi vanno, e l' impeto seguente
3.43.2 in lor s' arresta alquanto, e si reprime,
3.43.3 sì che potean men perigliosamente
3.43.4 quelle genti fuggir che fuggean prime.
3.43.5 Segue Dudon ne la vittoria ardente
3.43.6 i fuggitivi, e 'l fer Tigrane opprime
3.43.7 con l' urto del cavallo, e con la spada
3.43.8 fa che scemo del capo a terra cada.
3.44.1 Né giova ad Algazarre il fino usbergo,
3.44.2 ned a Corban robusto il forte elmetto,
3.44.3 ché 'n guisa lor ferì la nuca e 'l tergo
3.44.4 che ne passò la piaga al viso, al petto.
3.44.5 E per sua mano ancor del dolce albergo
3.44.6 l' alma uscì d' Amurate e di Meemetto,
3.44.7 e del crudo Almansor; né 'l gran circasso
3.44.8 può securo da lui mover un passo.
3.45.1 Freme in se stesso Argante, e pur tal volta
3.45.2 si ferma e volge, e poi cede pur anco.
3.45.3 Al fin così improviso a lui si volta,
3.45.4 e di tanto rovescio il coglie al fianco,
3.45.5 che dentro il ferro vi s' immerge, e tolta
3.45.6 è dal colpo la vita al duce franco.
3.45.7 Cade; e gli occhi, ch' a pena aprir si ponno,
3.45.8 dura quiete preme e ferreo sonno.
3.46.1 Gli aprì tre volte, e i dolci rai del cielo
3.46.2 cercò fruire e sovra un braccio alzarsi,
3.46.3 e tre volte ricadde, e fosco velo
3.46.4 gli occhi adombrò, che stanchi al fin serràrsi.
3.46.5 Si dissolvono i membri, e 'l mortal gelo
3.46.6 inrigiditi e di sudor gli ha sparsi.
3.46.7 Sovra il corpo già morto il fero Argante
3.46.8 punto non bada, e via trascorre inante.
3.47.1 Con tutto ciò, se ben d' andar non cessa,
3.47.2 si volge a i Franchi, e grida:-- O cavalieri,
3.47.3 questa sanguigna spada è quella stessa
3.47.4 che 'l signor vostro mi donò pur ieri;
3.47.5 ditegli come in uso oggi l' ho messa,
3.47.6 ch' udirà la novella ei volentieri.
3.47.7 E caro esser gli dée che 'l suo bel dono
3.47.8 sia conosciuto al paragon sì buono.
3.48.1 Ditegli che vederne omai s' aspetti
3.48.2 ne le viscere sue più certa prova;
3.48.3 e quando d' assalirne ei non s' affretti,
3.48.4 verrò non aspettato ove si trova.--
3.48.5 Irritati i cristiani a i feri detti,
3.48.6 tutti vèr lui già si moveano a prova;
3.48.7 ma con gli altri esso è già corso in securo
3.48.8 sotto la guardia de l' amico muro.
3.49.1 I difensori a grandinar le pietre
3.49.2 da l' alte mura in guisa incominciaro,
3.49.3 e quasi innumerabili faretre
3.49.4 tante saette a gli archi ministraro,
3.49.5 che forza è pur che 'l franco stuol s' arretre;
3.49.6 e i saracin ne la cittade entraro.
3.49.7 Ma già Rinaldo, avendo il piè sottratto
3.49.8 al giacente destrier, s' era qui tratto.
3.50.1 Venia per far nel barbaro omicida
3.50.2 de l' estinto Dudone aspra vendetta,
3.50.3 e fra' suoi giunto alteramente grida:
3.50.4 -- Or qual indugio è questo? e che s' aspetta?
3.50.5 poi ch' è morto il signor che ne fu guida,
3.50.6 ché non corriamo a vendicarlo in fretta?
3.50.7 Dunque in sì grave occasion di sdegno
3.50.8 esser può fragil muro a noi ritegno?
3.51.1 Non, se di ferro doppio o d' adamante
3.51.2 questa muraglia impenetrabil fosse,
3.51.3 colà dentro securo il fero Argante
3.51.4 s' appiatteria da le vostr' alte posse:
3.51.5 andiam pure a l' assalto!-- Ed egli inante
3.51.6 a tutti gli altri in questo dir si mosse,
3.51.7 ché nulla teme la secura testa
3.51.8 o di sasso o di strai nembo o tempesta.
3.52.1 Ei crollando il gran capo, alza la faccia
3.52.2 piena di sì terribile ardimento,
3.52.3 che sin dentro a le mura i cori agghiaccia
3.52.4 a i difensor d' insolito spavento.
3.52.5 Mentre egli altri rincora, altri minaccia,
3.52.6 sopravien chi reprime il suo talento;
3.52.7 ché Goffredo lor manda il buon Sigiero
3.52.8 de' gravi imperii suoi nunzio severo.
3.53.1 Questi sgrida in suo nome il troppo ardire,
3.53.2 e incontinente il ritornar impone:
3.53.3 -- Tornatene, -- dicea -- ch' a le vostr' ire
3.53.4 non è il loco opportuno o la stagione;
3.53.5 Goffredo il vi comanda.-- A questo dire
3.53.6 Rinaldo si frenò, ch' altrui fu sprone,
3.53.7 benché dentro ne frema, e in più d' un segno
3.53.8 dimostri fuore il mal celato sdegno.
3.54.1 Tornàr le schiere indietro, e da i nemici
3.54.2 non fu il ritorno lor punto turbato;
3.54.3 né in parte alcuna de gli estremi uffici
3.54.4 il corpo di Dudon restò fraudato.
3.54.5 Su le pietose braccia i fidi amici
3.54.6 portàrlo, caro peso ed onorato.
3.54.7 Mira intanto il Buglion d' eccelsa parte
3.54.8 de la forte cittade il sito e l' arte.
3.55.1 Gierusalem sovra duo colli è posta
3.55.2 d' impari altezza, e vòlti fronte a fronte.
3.55.3 Va per lo mezzo suo valle interposta,
3.55.4 che lei distingue, e l' un da l' altro monte.
3.55.5 Fuor da tre lati ha malagevol costa,
3.55.6 per l' altro vassi, e non par che si monte;
3.55.7 ma d' altissime mura è più difesa
3.55.8 la parte piana, e 'ncontra Borea è stesa.
3.56.1 La città dentro ha lochi in cui si serba
3.56.2 l' acqua che piove, e laghi e fonti vivi;
3.56.3 ma fuor la terra intorno è nuda d' erba,
3.56.4 e di fontane sterile e di rivi.
3.56.5 Né si vede fiorir lieta e superba
3.56.6 d' alberi, e fare schermo a i raggi estivi,
3.56.7 se non se in quanto oltra sei miglia un bosco
3.56.8 sorge d' ombre nocenti orrido e fosco.
3.57.1 Ha da quel lato donde il giorno appare
3.57.2 del felice Giordan le nobil onde;
3.57.3 e da la parte occidental, del mare
3.57.4 Mediterraneo l' arenose sponde.
3.57.5 Verso Borea è Betèl, ch' alzò l' altare
3.57.6 al bue de l' oro, e la Samaria; e donde
3.57.7 Austro portar le suol piovoso nembo,
3.57.8 Betelèm che 'l gran parto ascose in grembo.
3.58.1 Or mentre guarda e l' alte mura e 'l sito
3.58.2 de la città Goffredo e del paese,
3.58.3 e pensa ove s' accampi, onde assalito
3.58.4 sia il muro ostil più facile a l' offese,
3.58.5 Erminia il vide, e dimostrollo a dito
3.58.6 al re pagano, e così a dir riprese:
3.58.7 -- Goffredo è quel, che nel purpureo ammanto
3.58.8 ha di regio e d' augusto in sé cotanto.
3.59.1 Veramente è costui nato a l' impero,
3.59.2 sì del regnar, del comandar sa l' arti,
3.59.3 e non minor che duce è cavaliero,
3.59.4 ma del doppio valor tutte ha le parti;
3.59.5 né fra turba sì grande uom più guerriero
3.59.6 o più saggio di lui potrei mostrarti.
3.59.7 Sol Raimondo in consiglio, ed in battaglia
3.59.8 sol Rinaldo e Tancredi a lui s' agguaglia.--
3.60.1 Risponde il re pagan:-- Ben ho di lui
3.60.2 contezza, e 'l vidi a la gran corte in Francia,
3.60.3 quand' io d' Egitto messaggier vi fui,
3.60.4 e 'l vidi in nobil giostra oprar la lancia;
3.60.5 e se ben gli anni giovenetti sui
3.60.6 non gli vestian di piume ancor la guancia,
3.60.7 pur dava a i detti, a l' opre, a le sembianze,
3.60.8 presagio omai d' altissime speranze;
3.61.1 presagio ahi troppo vero!-- E qui le ciglia
3.61.2 turbate inchina, e poi l' inalza e chiede:
3.61.3 -- Dimmi chi sia colui c' ha pur vermiglia
3.61.4 la sopravesta, e seco a par si vede.
3.61.5 Oh quanto di sembianti a lui somiglia!
3.61.6 se ben alquanto di statura cede.
3.61.7 --È Baldovin,-- risponde-- e ben si scopre
3.61.8 nel volto a lui fratel, ma più ne l' opre.
3.62.1 Or rimira colui che, quasi in modo
3.62.2 d' uom che consigli, sta da l' altro fianco:
3.62.3 quegli è Raimondo, il qual tanto ti lodo
3.62.4 d' accorgimento, uom già canuto e bianco.
3.62.5 Non è chi tesser me' bellico frodo
3.62.6 di lui sapesse, o sia latino o franco;
3.62.7 ma quell' altro più in là, ch' orato ha l' elmo,
3.62.8 del re britanno è il buon figliuol Guglielmo.
3.63.1 V' è Guelfo seco, e gli è d' opre leggiadre
3.63.2 emulo, e d' alto sangue e d' alto stato:
3.63.3 ben il conosco a le sue spalle quadre,
3.63.4 ed a quel petto colmo e rilevato.
3.63.5 Ma 'l gran nemico mio tra queste squadre
3.63.6 già riveder non posso, e pur vi guato;
3.63.7 io dico Boemondo il micidiale,
3.63.8 distruggitor del sangue mio reale.--
3.64.1 Così parlavan questi; e 'l capitano,
3.64.2 poi ch' intorno ha mirato, a i suoi discende;
3.64.3 e perché crede che la terra in vano
3.64.4 s' oppugneria dov' il più erto ascende,
3.64.5 contra la porta Aquilonar, nel piano
3.64.6 che con lei si congiunge, alza le tende;
3.64.7 e quinci procedendo infra la torre
3.64.8 che chiamano Angolar gli altri fa porre.
3.65.1 Da quel giro del campo è contenuto
3.65.2 de la cittade il terzo, o poco meno,
3.65.3 che d' ogn' intorno non avria potuto
3.65.4 (cotanto ella volgea) cingerla a pieno;
3.65.5 ma le vie tutte ond' aver pote aiuto
3.65.6 tenta Goffredo d' impedirle almeno,
3.65.7 ed occupar fa gli opportuni passi
3.65.8 onde da lei si viene ed a lei vassi.
3.66.1 Impon che sian le tende indi munite
3.66.2 e di fosse profonde e di trinciere,
3.66.3 che d' una parte a cittadine uscite,
3.66.4 da l' altra oppone a correrie straniere.
3.66.5 Ma poi che fur quest' opere fornite,
3.66.6 vols' egli il corpo di Dudon vedere,
3.66.7 e colà trasse ove il buon duce estinto
3.66.8 da mesta turba e lagrimosa è cinto.
3.67.1 Di nobil pompa i fidi amici ornaro
3.67.2 il gran ferètro ove sublime ei giace.
3.67.3 Quando Goffredo entrò, le turbe alzaro
3.67.4 la voce assai più flebile e loquace;
3.67.5 ma con volto né torbido né chiaro
3.67.6 frena il suo affetto il pio Buglione, e tace.
3.67.7 E poi che 'n lui pensando alquanto fisse
3.67.8 le luci ebbe tenute, al fin sì disse:
3.68.1 --Già non si deve a te doglia né pianto,
3.68.2 ché se mori nel mondo, in Ciel rinasci;
3.68.3 e qui dove ti spogli il mortal manto
3.68.4 di gloria impresse alte vestigia lasci.
3.68.5 Vivesti qual guerrier cristiano e santo,
3.68.6 e come tal sei morto; or godi, e pasci
3.68.7 in Dio gli occhi bramosi, o felice alma,
3.68.8 ed hai del bene oprar corona e palma.
3.69.1 Vivi beata pur, ché nostra sorte,
3.69.2 non tua sventura, a lagrimar n' invita,
3.69.3 poscia ch' al tuo partir sì degna e forte
3.69.4 parte di noi fa co 'l tuo piè partita.
3.69.5 Ma se questa, che 'l vulgo appella morte,
3.69.6 privati ha noi d' una terrena aita,
3.69.7 celeste aita ora impetrar ne puoi
3.69.8 che 'l Ciel t' accoglie infra gli eletti suoi.
3.70.1 E come a nostro pro veduto abbiamo
3.70.2 ch' usavi, uom già mortal, l' arme mortali,
3.70.3 così vederti oprare anco speriamo,
3.70.4 spirto divin, l' arme del Ciel fatali.
3.70.5 Impara i voti omai, ch' a te porgiamo,
3.70.6 raccòrre, e dar soccorso a i nostri mali:
3.70.7 indi vittoria annunzio; a te devoti
3.70.8 solverem trionfando al tempio i voti. --
3.71.1 Così diss' egli; e già la notte oscura
3.71.2 avea tutti del giorno i raggi spenti,
3.71.3 e con l' oblio d' ogni noiosa cura
3.71.4 ponea tregua a le lagrime, a i lamenti.
3.71.5 Ma il capitan, ch' espugnar mai le mura
3.71.6 non crede senza i bellici tormenti,
3.71.7 pensa ond' abbia le travi, ed in quai forme
3.71.8 le machine componga; e poco dorme.
3.72.1 Sorse a pari co 'l sole, ed egli stesso
3.72.2 seguir la pompa funeral poi volle.
3.72.3 A Dudon d' odorifero cipresso
3.72.4 composto hanno un sepolcro a piè d' un colle,
3.72.5 non lunge a gli steccati; e sovra ad esso
3.72.6 un' altissima palma i rami estolle.
3.72.7 Or qui fu posto, e i sacerdoti intanto
3.72.8 quiete a l' alma gli pregàr co 'l canto.
3.73.1 Quinci e quindi fra i rami erano appese
3.73.2 insegne e prigioniere arme diverse,
3.73.3 già da lui tolte in più felici imprese
3.73.4 a le genti di Siria ed a le perse.
3.73.5 De la corazza sua, de l' altro arnese,
3.73.6 in mezzo il grosso tronco si coperse.
3.73.7 --Qui-- vi fu scritto poi --giace Dudone:
3.73.8 onorate l' altissimo campione.--
3.74.1 Ma il pietoso Buglion, poi che da questa
3.74.2 opra si tolse dolorosa e pia,
3.74.3 tutti i fabri del campo a la foresta
3.74.4 con buona scorta di soldati invia.
3.74.5 Ella è tra valli ascosa, e manifesta
3.74.6 l' avea fatta a i Francesi uom di Soria.
3.74.7 Qui per troncar le machine n' andaro,
3.74.8 a cui non abbia la città riparo.
3.75.1 L' un l' altro essorta che le piante atterri,
3.75.2 e faccia al bosco inusitati oltraggi.
3.75.3 Caggion recise da i pungenti ferri
3.75.4 le sacre palme e i frassini selvaggi,
3.75.5 i funebri cipressi e i pini e i cerri,
3.75.6 l' elci frondose e gli alti abeti e i faggi,
3.75.7 gli olmi mariti, a cui talor s' appoggia
3.75.8 la vite, e con piè torto al ciel se 'n poggia.
3.76.1 Altri i tassi, e le quercie altri percote,
3.76.2 che mille volte rinovàr le chiome,
3.76.3 e mille volte ad ogni incontro immote
3.76.4 l' ire de' venti han rintuzzate e dome;
3.76.5 ed altri impone a le stridenti rote
3.76.6 d' orni e di cedri l' odorate some.
3.76.7 Lasciano al suon de l' arme, al vario grido,
3.76.8 e le fère e gli augei la tana e 'l nido.
CANTO IV
4.1.1 Mentre son questi a le bell' opre intenti,
4.1.2 perché debbiano tosto in uso porse,
4.1.3 il gran nemico de l' umane genti
4.1.4 contra i cristiani i lividi occhi torse;
4.1.5 e scorgendogli omai lieti e contenti,
4.1.6 ambo le labra per furor si morse,
4.1.7 e qual tauro ferito il suo dolore
4.1.8 versò mugghiando e sospirando fuore.
4.2.1 Quinci, avendo pur tutto il pensier vòlto
4.2.2 a recar ne' cristiani ultima doglia,
4.2.3 che sia, comanda, il popol suo raccolto
4.2.4 (concilio orrendo!) entro la regia soglia;
4.2.5 come sia pur leggiera impresa, ahi stolto!,
4.2.6 il repugnare a la divina voglia:
4.2.7 stolto, ch' al Ciel s' agguaglia, e in oblio pone
4.2.8 come di Dio la destra irata tuone.
4.3.1 Chiama gli abitator de l' ombre eterne
4.3.2 il rauco suon de la tartarea tromba.
4.3.3 Treman le spaziose atre caverne,
4.3.4 e l' aer cieco a quel romor rimbomba;
4.3.5 né sì stridendo mai da le superne
4.3.6 regioni del cielo il folgor piomba,
4.3.7 né sì scossa giamai trema la terra
4.3.8 quando i vapori in sen gravida serra.
4.4.1 Tosto gli dèi d' Abisso in varie torme
4.4.2 concorron d' ogn' intorno a l' alte porte.
4.4.3 Oh come strane, oh come orribil forme!
4.4.4 quant' è ne gli occhi lor terrore e morte!
4.4.5 Stampano alcuni il suol di ferine orme,
4.4.6 e 'n fronte umana han chiome d' angui attorte,
4.4.7 e lor s' aggira dietro immensa coda
4.4.8 che quasi sferza si ripiega e snoda.
4.5.1 Qui mille immonde Arpie vedresti e mille
4.5.2 Centauri e Sfingi e pallide Gorgoni,
4.5.3 molte e molte latrar voraci Scille,
4.5.4 e fischiar Idre e sibilar Pitoni,
4.5.5 e vomitar Chimere atre faville,
4.5.6 e Polifemi orrendi e Gerioni;
4.5.7 e in novi mostri, e non più intesi o visti,
4.5.8 diversi aspetti in un confusi e misti.
4.6.1 D' essi parte a sinistra e parte a destra
4.6.2 a seder vanno al crudo re davante.
4.6.3 Siede Pluton nel mezzo, e con la destra
4.6.4 sostien lo scettro ruvido e pesante;
4.6.5 né tanto scoglio in mar, né rupe alpestra,
4.6.6 né pur Calpe s' inalza o 'l magno Atlante,
4.6.7 ch' anzi lui non paresse un picciol colle,
4.6.8 sì la gran fronte e le gran corna estolle.
4.7.1 Orrida maestà nel fero aspetto
4.7.2 terrore accresce, e più superbo il rende:
4.7.3 rosseggian gli occhi, e di veneno infetto
4.7.4 come infausta cometa il guardo splende,
4.7.5 gl' involve il mento e su l' irsuto petto
4.7.6 ispida e folta la gran barba scende,
4.7.7 e in guisa di voragine profonda
4.7.8 s' apre la bocca d' atro sangue immonda.
4.8.1 Qual i fumi sulfurei ed infiammati
4.8.2 escon di Mongibello e 'l puzzo e 'l tuono,
4.8.3 tal de la fera bocca i negri fiati,
4.8.4 tale il fetore e le faville sono.
4.8.5 Mentre ei parlava, Cerbero i latrati
4.8.6 ripresse, e l' Idra si fe' muta al suono;
4.8.7 restò Cocito, e ne tremàr gli abissi,
4.8.8 e in questi detti il gran rimbombo udissi:
4.9.1 -- Tartarei numi, di seder più degni
4.9.2 là sovra il sole, ond' è l' origin vostra,
4.9.3 che meco già da i più felici regni
4.9.4 spinse il gran caso in questa orribil chiostra,
4.9.5 gli antichi altrui sospetti e i feri sdegni
4.9.6 noti son troppo, e l' alta impresa nostra;
4.9.7 or Colui regge a suo voler le stelle,
4.9.8 e noi siam giudicate alme rubelle.
4.10.1 Ed in vece del dì sereno e puro,
4.10.2 de l' aureo sol, de gli stellati giri,
4.10.3 n' ha qui rinchiusi in questo abisso oscuro,
4.10.4 né vuol ch' al primo onor per noi s' aspiri;
4.10.5 e poscia (ahi quanto a ricordarlo è duro!
4.10.6 quest' è quel che più inaspra i miei martìri)
4.10.7 ne' bei seggi celesti ha l' uom chiamato,
4.10.8 l' uom vile e di vil fango in terra nato.
4.11.1 Né ciò gli parve assai; ma in preda a morte,
4.11.2 sol per farne più danno, il figlio diede.
4.11.3 Ei venne e ruppe le tartaree porte,
4.11.4 e porre osò ne' regni nostri il piede,
4.11.5 e trarne l' alme a noi dovute in sorte,
4.11.6 e riportarne al Ciel sì ricche prede,
4.11.7 vincitor trionfando, e in nostro scherno
4.11.8 l' insegne ivi spiegar del vinto Inferno.
4.12.1 Ma che rinovo i miei dolor parlando?
4.12.2 Chi non ha già l' ingiurie nostre intese?
4.12.3 Ed in qual parte si trovò, né quando,
4.12.4 ch' egli cessasse da l' usate imprese?
4.12.5 Non più déssi a l' antiche andar pensando,
4.12.6 pensar dobbiamo a le presenti offese.
4.12.7 Deh! non vedete omai com' egli tenti
4.12.8 tutte al suo culto richiamar le genti?
4.13.1 Noi trarrem neghittosi i giorni e l' ore,
4.13.2 né degna cura fia che 'l cor n' accenda?
4.13.3 e soffrirem che forza ognor maggiore
4.13.4 il suo popol fedele in Asia prenda?
4.13.5 e che Giudea soggioghi? e che 'l suo onore,
4.13.6 che 'l nome suo più si dilati e stenda?
4.13.7 che suoni in altre lingue, e in altri carmi
4.13.8 si scriva, e incida in novi bronzi e marmi?
4.14.1 Che sian gl' idoli nostri a terra sparsi?
4.14.2 ch' i nostri altari il mondo a lui converta?
4.14.3 ch' a lui sospesi i voti, a lui sol arsi
4.14.4 siano gl' incensi, ed auro e mirra offerta?
4.14.5 ch' ove a noi tempio non solea serrarsi,
4.14.6 or via non resti a l' arti nostre aperta?
4.14.7 che di tant' alme il solito tributo
4.14.8 ne manchi, e in vòto regno alberghi Pluto?
4.15.1 Ah! non fia ver, ché non sono anco estinti
4.15.2 gli spirti in voi di quel valor primiero,
4.15.3 quando di ferro e d' alte fiamme cinti
4.15.4 pugnammo già contra il celeste impero.
4.15.5 Fummo, io no 'l nego, in quel conflitto vinti,
4.15.6 pur non mancò virtute al gran pensiero.
4.15.7 Diede che che si fosse a lui vittoria:
4.15.8 rimase a noi d' invitto ardir la gloria.
4.16.1 Ma perché più v' indugio? Itene, o miei
4.16.2 fidi consorti, o mia potenza e forze:
4.16.3 ite veloci, ed opprimete i rei
4.16.4 prima che 'l lor poter più si rinforze;
4.16.5 pria che tutt' arda il regno de gli Ebrei,
4.16.6 questa fiamma crescente omai s' ammorze;
4.16.7 fra loro entrate, e in ultimo lor danno
4.16.8 or la forza s' adopri ed or l' inganno.
4.17.1 Sia destin ciò ch' io voglio: altri disperso
4.17.2 se 'n vada errando, altri rimanga ucciso,
4.17.3 altri in cure d' amor lascive immerso
4.17.4 idol si faccia un dolce sguardo e un riso.
4.17.5 Sia il ferro incontra 'l suo rettor converso
4.17.6 da lo stuol ribellante e 'n sé diviso:
4.17.7 pèra il campo e ruini, e resti in tutto
4.17.8 ogni vestigio suo con lui distrutto.--
4.18.1 Non aspettàr già l' alme a Dio rubelle
4.18.2 che fosser queste voci al fin condotte;
4.18.3 ma fuor volando a riveder le stelle
4.18.4 già se n' uscian da la profonda notte,
4.18.5 come sonanti e torbide procelle
4.18.6 che vengan fuor de le natie lor grotte
4.18.7 ad oscurar il cielo, a portar guerra
4.18.8 a i gran regni del mar e de la terra.
4.19.1 Tosto, spiegando in vari lati i vanni,
4.19.2 si furon questi per lo mondo sparti,
4.19.3 e 'ncominciaro a fabricar inganni
4.19.4 diversi e novi, e ad usar lor arti.
4.19.5 Ma di' tu, Musa, come i primi danni
4.19.6 mandassero a i cristiani e di quai parti;
4.19.7 tu 'l sai, e di tant' opra a noi sì lunge
4.19.8 debil aura di fama a pena giunge.
4.20.1 Reggea Damasco e le città vicine
4.20.2 Idraote, famoso e nobil mago,
4.20.3 che fin da' suoi prim' anni a l' indovine
4.20.4 arti si diede, e ne fu ognor più vago.
4.20.5 Ma che giovàr, se non poté del fine
4.20.6 di quella incerta guerra esser presago?
4.20.7 Ned aspetto di stelle erranti o fisse,
4.20.8 né risposta d' inferno il ver predisse.
4.21.1 Giudicò questi (ahi, cieca umana mente,
4.21.2 come i giudizi tuoi son vani e torti!)
4.21.3 ch' a l' essercito invitto d' Occidente
4.21.4 apparecchiasse il Ciel ruine e morti;
4.21.5 però, credendo che l' egizia gente
4.21.6 la palma de l' impresa al fin riporti,
4.21.7 desia che 'l popol suo ne la vittoria
4.21.8 sia de l' acquisto a parte e de la gloria.
4.22.1 Ma perché il valor franco ha in grande stima,
4.22.2 di sanguigna vittoria i danni teme;
4.22.3 e va pensando con qual arte in prima
4.22.4 il poter de' cristiani in parte sceme,
4.22.5 sì che più agevolmente indi s' opprima
4.22.6 da le sue genti e da l' egizie insieme:
4.22.7 in questo suo pensier il sovragiunge
4.22.8 l' angelo iniquo, e più l' instiga e punge.
4.23.1 Esso il consiglia, e gli ministra i modi
4.23.2 onde l' impresa agevolar si pote.
4.23.3 Donna a cui di beltà le prime lodi
4.23.4 concedea l' Oriente, è sua nepote:
4.23.5 gli accorgimenti e le più occulte frodi
4.23.6 ch' usi o femina o maga a lei son note.
4.23.7 Questa a sé chiama e seco i suoi consigli
4.23.8 comparte, e vuol che cura ella ne pigli.
4.24.1 Dice:-- O diletta mia, che sotto biondi
4.24.2 capelli e fra sì tenere sembianze
4.24.3 canuto senno e cor virile ascondi,
4.24.4 e già ne l' arti mie me stesso avanze,
4.24.5 gran pensier volgo; e se tu lui secondi,
4.24.6 seguiteran gli effetti a le speranze.
4.24.7 Tessi la tela ch' io ti mostro ordita,
4.24.8 di cauto vecchio essecutrice ardita.
4.25.1 Vanne al campo nemico: ivi s' impieghi
4.25.2 ogn' arte feminil ch' amore alletti.
4.25.3 Bagna di pianto e fa' melati i preghi,
4.25.4 tronca e confondi co' sospiri i detti:
4.25.5 beltà dolente e miserabil pieghi
4.25.6 al tuo volere i più ostinati petti.
4.25.7 Vela il soverchio ardir con la vergogna,
4.25.8 e fa' manto del vero a la menzogna.
4.26.1 Prendi, s' esser potrà, Goffredo a l' esca
4.26.2 de' dolci sguardi e de' be' detti adorni,
4.26.3 sì ch' a l' uomo invaghito omai rincresca
4.26.4 l' incominciata guerra, e la distorni.
4.26.5 Se ciò non puoi, gli altri più grandi adesca:
4.26.6 menagli in parte ond' alcun mai non torni. --
4.26.7 Poi distingue i consigli; al fin le dice:
4.26.8 -- Per la fé, per la patria il tutto lice.--
4.27.1 La bella Armida, di sua forma altera
4.27.2 e de' doni del sesso e de l' etate,
4.27.3 l' impresa prende, e in su la prima sera
4.27.4 parte e tiene sol vie chiuse e celate;
4.27.5 e 'n treccia e 'n gonna feminile spera
4.27.6 vincer popoli invitti e schiere armate.
4.27.7 Ma son del suo partir tra 'l vulgo ad arte
4.27.8 diverse voci poi diffuse e sparte.
4.28.1 Dopo non molti dì vien la donzella
4.28.2 dove spiegate i Franchi avean le tende.
4.28.3 A l' apparir de la beltà novella
4.28.4 nasce un bisbiglio e 'l guardo ognun v' intende
4.28.5 sì come là dove cometa o stella,
4.28.6 non più vista di giorno, in ciel risplende;
4.28.7 e traggon tutti per veder chi sia
4.28.8 sì bella peregrina, e chi l' invia.
4.29.1 Argo non mai, non vide Cipro o Delo
4.29.2 d' abito o di beltà forme sì care:
4.29.3 d' auro ha la chioma, ed or dal bianco velo
4.29.4 traluce involta, or discoperta appare.
4.29.5 Così, qualor si rasserena il cielo,
4.29.6 or da candida nube il sol traspare,
4.29.7 or da la nube uscendo i raggi intorno
4.29.8 più chiari spiega e ne raddoppia il giorno.
4.30.1 Fa nove crespe l' aura al crin disciolto,
4.30.2 che natura per sé rincrespa in onde;
4.30.3 stassi l' avaro sguardo in sé raccolto,
4.30.4 e i tesori d' amore e i suoi nasconde.
4.30.5 Dolce color di rose in quel bel volto
4.30.6 fra l' avorio si sparge e si confonde,
4.30.7 ma ne la bocca, onde esce aura amorosa,
4.30.8 sola rosseggia e semplice la rosa.
4.31.1 Mostra il bel petto le sue nevi ignude,
4.31.2 onde il foco d' Amor si nutre e desta.
4.31.3 Parte appar de le mamme acerbe e crude,
4.31.4 parte altrui ne ricopre invida vesta:
4.31.5 invida, ma s' a gli occhi il varco chiude,
4.31.6 l' amoroso pensier già non arresta,
4.31.7 ché non ben pago di bellezza esterna
4.31.8 ne gli occulti secreti anco s' interna.
4.32.1 Come per acqua o per cristallo intero
4.32.2 trapassa il raggio, e no 'l divide o parte,
4.32.3 per entro il chiuso manto osa il pensiero
4.32.4 sì penetrar ne la vietata parte.
4.32.5 Ivi si spazia, ivi contempla il vero
4.32.6 di tante meraviglie a parte a parte;
4.32.7 poscia al desio le narra e le descrive,
4.32.8 e ne fa le sue fiamme in lui più vive.
4.33.1 Lodata passa e vagheggiata Armida
4.33.2 fra le cupide turbe, e se n' avede.
4.33.3 No 'l mostra già, benché in suo cor ne rida,
4.33.4 e ne disegni alte vittorie e prede.
4.33.5 Mentre, sospesa alquanto, alcuna guida
4.33.6 che la conduca al capitan richiede,
4.33.7 Eustazio occorse a lei, che del sovrano
4.33.8 principe de le squadre era germano.
4.34.1 Come al lume farfalla, ei si rivolse
4.34.2 a lo splendor de la beltà divina,
4.34.3 e rimirar da presso i lumi volse
4.34.4 che dolcemente atto modesto inchina;
4.34.5 e ne trasse gran fiamma e la raccolse
4.34.6 come da foco suole esca vicina,
4.34.7 e disse verso lei, ch' audace e baldo
4.34.8 il fea de gli anni e de l' amore il caldo:
4.35.1 -- Donna, se pur tal nome a te conviensi,
4.35.2 ché non somigli tu cosa terrena,
4.35.3 né v' è figlia d' Adamo in cui dispensi
4.35.4 cotanto il Ciel di sua luce serena,
4.35.5 che da te si ricerca? ed onde viensi?
4.35.6 qual tua ventura o nostra or qui ti mena?
4.35.7 Fa' che sappia chi sei, fa' ch' io non erri
4.35.8 ne l' onorarti; e s' è ragion, m' atterri.--
4.36.1 Risponde:-- Il tuo lodar troppo alto sale,
4.36.2 né tanto in suso il merto nostro arriva.
4.36.3 Cosa vedi, signor, non pur mortale,
4.36.4 ma già morta a i diletti, al duol sol viva;
4.36.5 mia sciagura mi spinge in loco tale,
4.36.6 vergine peregrina e fuggitiva.
4.36.7 Ricovro al pio Goffredo, e in lui confido,
4.36.8 tal va di sua bontate intorno il grido.
4.37.1 Tu l' adito m' impetra al capitano,
4.37.2 s' hai, come pare, alma cortese e pia.--
4.37.3 Ed egli:-- È ben ragion ch' a l' un germano
4.37.4 l' altro ti guidi, e intercessor ti sia.
4.37.5 Vergine bella, non ricorri in vano,
4.37.6 non è vile appo lui la grazia mia;
4.37.7 spender tutto potrai, come t' aggrada,
4.37.8 ciò che vaglia il suo scettro o la mia spada.--
4.38.1 Tace, e la guida ove tra i grandi eroi
4.38.2 allor dal vulgo il pio Buglion s' invola.
4.38.3 Essa inchinollo riverente, e poi
4.38.4 vergognosetta non facea parola.
4.38.5 Ma quei rossor, ma quei timori suoi
4.38.6 rassecura il guerriero e riconsola,
4.38.7 sì che i pensati inganni al fine spiega
4.38.8 in suon che di dolcezza i sensi lega.
4.39.1 -- Principe invitto,-- disse -- il cui gran nome
4.39.2 se 'n vola adorno di sì ricchi fregi
4.39.3 che l' esser da te vinte e in guerra dome
4.39.4 recansi a gloria le provincie e i regi,
4.39.5 noto per tutto è il tuo valor; e come
4.39.6 sin da i nemici avien che s' ami e pregi,
4.39.7 così anco i tuoi nemici affida, e invita
4.39.8 di ricercarti e d' impetrarne aita.
4.40.1 Ed io, che nacqui in sì diversa fede
4.40.2 che tu abbassasti e ch' or d' opprimer tenti,
4.40.3 per te spero acquistar la nobil sede
4.40.4 e lo scettro regal de' miei parenti;
4.40.5 e s' altri aita a i suoi congiunti chiede
4.40.6 contra il furor de le straniere genti,
4.40.7 io, poi che 'n lor non ha pietà più loco,
4.40.8 contra il mio sangue il ferro ostile invoco.
4.41.1 Io te chiamo, in te spero; e in quella altezza
4.41.2 puoi tu sol pormi onde sospinta io fui,
4.41.3 né la tua destra esser dée meno avezza
4.41.4 di sollevar che d' atterrar altrui,
4.41.5 né meno il vanto di pietà si prezza
4.41.6 che 'l trionfar de gl' inimici sui;
4.41.7 e s' hai potuto a molti il regno tòrre,
4.41.8 fia gloria egual nel regno or me riporre.
4.42.1 Ma se la nostra fé varia ti move
4.42.2 a disprezzar forse i miei preghi onesti,
4.42.3 la fé, c' ho certa in tua pietà, mi giove,
4.42.4 né dritto par ch' ella delusa resti.
4.42.5 Testimone è quel Dio ch' a tutti è Giove
4.42.6 ch' altrui più giusta aita unqua non désti.
4.42.7 Ma perché il tutto a pieno intenda, or odi
4.42.8 le mie sventure insieme e l' altrui frodi.
4.43.1 Figlia i' son d' Arbilan, che 'l regno tenne
4.43.2 del bel Damasco e in minor sorte nacque,
4.43.3 ma la bella Cariclia in sposa ottenne,
4.43.4 cui farlo erede del suo imperio piacque.
4.43.5 Costei co 'l suo morir quasi prevenne
4.43.6 il nascer mio, ch' in tempo estinta giacque
4.43.7 ch' io fuori uscia de l' alvo; e fu il fatale
4.43.8 giorno ch' a lei diè morte, a me natale.
4.44.1 Ma il primo lustro a pena era varcato
4.44.2 dal dì ch' ella spogliossi il mortal velo,
4.44.3 quando il mio genitor, cedendo al fato,
4.44.4 forse con lei si ricongiunse in Cielo,
4.44.5 di me cura lassando e de lo stato
4.44.6 al fratel, ch' egli amò con tanto zelo
4.44.7 che, se in petto mortal pietà risiede,
4.44.8 esser certo dovea de la sua fede.
4.45.1 Preso dunque di me questi il governo,
4.45.2 vago d' ogni mio ben si mostrò tanto
4.45.3 che d' incorrotta fé, d' amor paterno
4.45.4 e d' immensa pietade ottenne il vanto,
4.45.5 o che 'l maligno suo pensiero interno
4.45.6 celasse allor sotto contrario manto,
4.45.7 o che sincere avesse ancor le voglie,
4.45.8 perch' al figliuol mi destinava in moglie.
4.46.1 Io crebbi, e crebbe il figlio; e mai né stile
4.46.2 di cavalier, né nobil arte apprese,
4.46.3 nulla di pellegrino o di gentile
4.46.4 gli piacque mai, né mai troppo alto intese;
4.46.5 sotto diforme aspetto animo vile,
4.46.6 e in cor superbo avare voglie accese:
4.46.7 ruvido in atti, ed in costumi è tale
4.46.8 ch' è sol ne' vizi a se medesmo eguale.
4.47.1 Ora il mio buon custode ad uom sì degno
4.47.2 unirmi in matrimonio in sé prefisse,
4.47.3 e farlo del mio letto e del mio regno
4.47.4 consorte; e chiaro a me più volte il disse.
4.47.5 Usò la lingua e l' arte, usò l' ingegno
4.47.6 perché 'l bramato effetto indi seguisse,
4.47.7 ma promessa da me non trasse mai,
4.47.8 anzi ritrosa ognor tacqui o negai.
4.48.1 Partissi alfin con un sembiante oscuro,
4.48.2 onde l' empio suo cor chiaro trasparve;
4.48.3 e ben l' istoria del mio mal futuro
4.48.4 leggergli scritta in fronte allor mi parve.
4.48.5 Quinci i notturni miei riposi furo
4.48.6 turbati ognor da strani sogni e larve,
4.48.7 ed un fatale orror ne l' alma impresso
4.48.8 m' era presagio de' miei danni espresso.
4.49.1 Spesso l' ombra materna a me s' offria,
4.49.2 pallida imago e dolorosa in atto,
4.49.3 quanto diversa, oimè!, da quel che pria
4.49.4 visto altrove il suo volto avea ritratto!
4.49.5 --Fuggi, figlia,-- dicea --morte sì ria
4.49.6 che ti sovrasta omai, pàrtiti ratto,
4.49.7 già veggio il tòsco e 'l ferro in tuo sol danno
4.49.8 apparecchiar dal perfido tiranno.--
4.50.1 Ma che giovava, oimè!, che del periglio
4.50.2 vicino omai fosse presago il core,
4.50.3 s' irresoluta in ritrovar consiglio
4.50.4 la mia tenera età rendea il timore?
4.50.5 Prender fuggendo volontario essiglio,
4.50.6 e ignuda uscir del patrio regno fuore,
4.50.7 grave era sì ch' io fea minore stima
4.50.8 di chiuder gli occhi ove gli apersi in prima.
4.51.1 Temea, lassa!, la morte, e non avea
4.51.2 (chi 'l crederia?) poi di fuggirla ardire;
4.51.3 e scoprir la mia tema anco temea,
4.51.4 per non affrettar l' ore al mio morire.
4.51.5 Così inquieta e torbida traea
4.51.6 la vita in un continuo martìre,
4.51.7 qual uom ch' aspetti che su 'l collo ignudo
4.51.8 ad or ad or gli caggia il ferro crudo.
4.52.1 In tal mio stato, o fosse amica sorte
4.52.2 o ch' a peggio mi serbi il mio destino,
4.52.3 un de' ministri de la regia corte,
4.52.4 che 'l re mio padre s' allevò bambino,
4.52.5 mi scoperse che 'l tempo a la mia morte
4.52.6 dal tiranno prescritto era vicino,
4.52.7 e ch' egli a quel crudele avea promesso
4.52.8 di porgermi il venen quel giorno stesso.
4.53.1 E mi soggiunse poi ch' a la mia vita,
4.53.2 sol fuggendo, allungar poteva il corso;
4.53.3 e poi ch' altronde io non sperava aita,
4.53.4 pronto offrì se medesmo al mio soccorso,
4.53.5 e confortando mi rendé sì ardita
4.53.6 che del timor non mi ritenne il morso,
4.53.7 sì ch' io non disponessi a l' aer cieco,
4.53.8 la patria e 'l zio fuggendo, andarne seco.
4.54.1 Sorse la notte oltra l' usato oscura,
4.54.2 che sotto l' ombre amiche ne coperse,
4.54.3 onde con due donzelle uscii secura,
4.54.4 compagne elette a le fortune averse;
4.54.5 ma pure indietro a le mie patrie mura
4.54.6 le luci io rivolgea di pianto asperse,
4.54.7 né de la vista del natio terreno
4.54.8 potea, partendo, saziarle a pieno.
4.55.1 Fea l' istesso camin l' occhio e 'l pensiero,
4.55.2 e mal suo grado il piede inanzi giva,
4.55.3 sì come nave ch' improviso e fero
4.55.4 turbine scioglia da l' amata riva.
4.55.5 La notte andammo e 'l dì seguente intero
4.55.6 per lochi ov' orma altrui non appariva;
4.55.7 ci ricovrammo in un castello al fine
4.55.8 che siede del mio regno in su 'l confine.
4.56.1 È d' Aronte il castel, ch' Aronte fue
4.56.2 quel che mi trasse di periglio e scòrse.
4.56.3 Ma poiché me fuggito aver le sue
4.56.4 mortali insidie il traditor s' accorse,
4.56.5 acceso di furor contr' ambedue,
4.56.6 le sue colpe medesme in noi ritorse;
4.56.7 ed ambo fece rei di quell' eccesso
4.56.8 che commetter in me volse egli stesso.
4.57.1 Disse ch' Aronte i' avea con doni spinto
4.57.2 fra sue bevande a mescolar veneno
4.57.3 per non aver, poi ch' egli fosse estinto,
4.57.4 chi legge mi prescriva o tenga a freno;
4.57.5 e ch' io, seguendo un mio lascivo instinto,
4.57.6 volea raccòrmi a mille amanti in seno.
4.57.7 Ahi, che fiamma del cielo anzi in me scenda,
4.57.8 santa onestà, ch' io le tue leggi offenda!
4.58.1 Ch' avara fame d' oro e sete insieme
4.58.2 del mio sangue innocente il crudo avesse,
4.58.3 grave m' è sì; ma via più il cor mi preme
4.58.4 che 'l mio candido onor macchiar volesse.
4.58.5 L' empio, che i popolari impeti teme,
4.58.6 così le sue menzogne adorna e tesse
4.58.7 che la città, del ver dubbia e sospesa,
4.58.8 sollevata non s' arma a mia difesa.
4.59.1 Nè, perch' or sieda nel mio seggio e 'n fronte
4.59.2 già gli risplenda la regal corona,
4.59.3 pone alcun fine a i miei gran danni, a l' onte,
4.59.4 sì la sua feritate oltra lo sprona.
4.59.5 Arder minaccia entro 'l castello Aronte,
4.59.6 se di proprio voler non s' imprigiona;
4.59.7 ed a me, lassa!, e 'nsieme a i miei consorti
4.59.8 guerra annunzia non pur, ma strazi e morti.
4.60.1 Ciò dice egli di far perché dal volto
4.60.2 così lavarsi la vergogna crede,
4.60.3 e ritornar nel grado, ond' io l' ho tolto,
4.60.4 l' onor del sangue e de la regia sede;
4.60.5 ma il timor n' è cagion che non ritolto
4.60.6 gli sia lo scettro ond' io son vera erede,
4.60.7 ché sol s' io caggio por fermo sostegno
4.60.8 con le ruine mie pote al suo regno.
4.61.1 E ben quel fine avrà l' empio desire
4.61.2 che già il tiranno ha stabilito in mente,
4.61.3 e saran nel mio sangue estinte l' ire
4.61.4 che dal mio lagrimar non fiano spente,
4.61.5 se tu no 'l vieti. A te rifuggo, o sire,
4.61.6 io misera fanciulla, orba, innocente;
4.61.7 e questo pianto, ond' ho i tuoi piedi aspersi,
4.61.8 vagliami sì che 'l sangue io poi non versi.
4.62.1 Per questi piedi ond' i superbi e gli empi
4.62.2 calchi, per questa man che 'l dritto aita,
4.62.3 per l' alte tue vittorie, e per que' tèmpi
4.62.4 sacri cui désti e cui dar cerchi aita,
4.62.5 il mio desir, tu che puoi solo, adempi
4.62.6 e in un co 'l regno a me serbi la vita
4.62.7 la tua pietà; ma pietà nulla giove,
4.62.8 s' anco te il dritto e la ragion non move.
4.63.1 Tu, cui concesse il Cielo e dielti in fato
4.63.2 voler il giusto e poter ciò che vuoi,
4.63.3 a me salvar la vita, a te lo stato
4.63.4 (ché tuo fia s' io 'l ricovro) acquistar puoi.
4.63.5 Fra numero sì grande a me sia dato
4.63.6 diece condur de' tuoi più forti eroi,
4.63.7 ch' avendo i padri amici e 'l popol fido,
4.63.8 bastan questi a ripormi entro al mio nido.
4.64.1 Anzi un de' primi, a la cui fé commessa
4.64.2 è la custodia di secreta porta,
4.64.3 promette aprirla e ne la reggia stessa
4.64.4 pórci di notte tempo, e sol m' essorta
4.64.5 ch' io da te cerchi alcuna aita; e in essa,
4.64.6 per picciola che sia, si riconforta
4.64.7 più che s' altronde avesse un grande stuolo,
4.64.8 tanto l' insegne estima e 'l nome solo.--
4.65.1 Ciò detto, tace; e la risposta attende
4.65.2 con atto che 'n silenzio ha voce e preghi.
4.65.3 Goffredo il dubbio cor volve e sospende
4.65.4 fra pensier vari, e non sa dove il pieghi.
4.65.5 Teme i barbari inganni, e ben comprende
4.65.6 che non è fede in uom ch' a Dio la neghi.
4.65.7 Ma d' altra parte in lui pietoso affetto
4.65.8 si desta, che non dorme in nobil petto.
4.66.1 Né pur l' usata sua pietà natia
4.66.2 vuol che costei de la sua grazia degni,
4.66.3 ma il move util ancor, ch' util gli fia
4.66.4 che ne l' imperio di Damasco regni
4.66.5 chi da lui dipendendo apra la via
4.66.6 ed agevoli il corso a i suoi disegni,
4.66.7 e genti ed arme gli ministri ed oro
4.66.8 contra gli Egizi e chi sarà con loro.
4.67.1 Mentre ei così dubbioso a terra vòlto
4.67.2 lo sguardo tiene, e 'l pensier volve e gira,
4.67.3 la donna in lui s' affisa, e dal suo volto
4.67.4 intenta pende e gli atti osserva e mira;
4.67.5 e perché tarda oltra 'l suo creder molto
4.67.6 la risposta, ne teme e ne sospira.
4.67.7 Quegli la chiesta grazia al fin negolle,
4.67.8 ma diè risposta assai cortese e molle:
4.68.1 -- S' in servigio di Dio, ch' a ciò n' elesse,
4.68.2 non s' impiegasser qui le nostre spade,
4.68.3 ben tua speme fondar potresti in esse
4.68.4 e soccorso trovar, non che pietade;
4.68.5 ma se queste sue greggie e queste oppresse
4.68.6 mura non torniam prima in libertade,
4.68.7 giusto non è, con iscemar le genti,
4.68.8 che di nostra vittoria il corso allenti.
4.69.1 Ben ti prometto (e tu per nobil pegno
4.69.2 mia fé ne prendi, e vivi in lei secura)
4.69.3 che se mai sottrarremo al giogo indegno
4.69.4 queste sacre e dal Ciel dilette mura,
4.69.5 di ritornarti al tuo perduto regno,
4.69.6 come pietà n' essorta, avrem poi cura.
4.69.7 Or mi farebbe la pietà men pio,
4.69.8 s' anzi il suo dritto io non rendessi a Dio.--
4.70.1 A quel parlar chinò la donna e fisse
4.70.2 le luci a terra, e stette immota alquanto;
4.70.3 poi sollevolle rugiadose e disse,
4.70.4 accompagnando i flebil atti al pianto:
4.70.5 -- Misera! ed a qual altra il Ciel prescrisse
4.70.6 vita mai grave ed immutabil tanto,
4.70.7 che si cangia in altrui mente e natura
4.70.8 pria che si cangi in me sorte sì dura?
4.71.1 Nulla speme più resta, in van mi doglio:
4.71.2 non han più forza in uman petto i preghi.
4.71.3 Forse lece sperar che 'l mio cordoglio,
4.71.4 che te non mosse, il reo tiranno pieghi?
4.71.5 Né già te d' inclemenza accusar voglio
4.71.6 perché 'l picciol soccorso a me si neghi,
4.71.7 ma il Cielo accuso, onde il mio mal discende,
4.71.8 che 'n te pietate innessorabil rende.
4.72.1 Non tu, signor, né tua bontade è tale,
4.72.2 ma 'l mio destino è che mi nega aita.
4.72.3 Crudo destino, empio destin fatale,
4.72.4 uccidi omai questa odiosa vita.
4.72.5 L' avermi priva, oimè!, fu picciol male
4.72.6 de' dolci padri in loro età fiorita,
4.72.7 se non mi vedi ancor, del regno priva,
4.72.8 qual vittima al coltello andar cattiva.
4.73.1 Ché, poi che legge d' onestate e zelo
4.73.2 non vuol che qui sì lungamente indugi,
4.73.3 a cui ricovro intanto? ove mi celo?
4.73.4 o quai contra il tiranno avrò rifugi?
4.73.5 Nessun loco sì chiuso è sotto il cielo
4.73.6 ch' a l' òr non s' apra: or perché tanti indugi?
4.73.7 Veggio la morte, e se 'l fuggirla è vano,
4.73.8 incontro a lei n' andrò con questa mano.--
4.74.1 Qui tacque, e parve ch' un regale sdegno
4.74.2 e generoso l' accendesse in vista;
4.74.3 e 'l piè volgendo di partir fea segno,
4.74.4 tutta ne gli atti dispettosa e trista.
4.74.5 Il pianto si spargea senza ritegno,
4.74.6 com' ira suol produrlo a dolor mista,
4.74.7 e le nascenti lagrime a vederle
4.74.8 erano a i rai del sol cristallo e perle.
4.75.1 Le guancie asperse di que' vivi umori
4.75.2 che giù cadean sin de la veste al lembo,
4.75.3 parean vermigli insieme e bianchi fiori,
4.75.4 se pur gli irriga un rugiadoso nembo,
4.75.5 quando su l' apparir de' primi albori
4.75.6 spiegano a l' aure liete il chiuso grembo;
4.75.7 e l' alba, che li mira e se n' appaga,
4.75.8 d' adornarsene il crin diventa vaga.
4.76.1 Ma il chiaro umor, che di sì spesse stille
4.76.2 le belle gote e 'l seno adorno rende,
4.76.3 opra effetto di foco, il qual in mille
4.76.4 petti serpe celato e vi s' apprende.
4.76.5 O miracol d' Amor, che le faville
4.76.6 tragge del pianto, e i cor ne l' acqua accende!
4.76.7 Sempre sovra natura egli ha possanza,
4.76.8 ma in virtù di costei se stesso avanza.
4.77.1 Questo finto dolor da molti elice
4.77.2 lagrime vere, e i cor più duri spetra.
4.77.3 Ciascun con lei s' affligge, e fra sé dice:
4.77.4 --Se mercé da Goffredo or non impetra,
4.77.5 ben fu rabbiosa tigre a lui nutrice,
4.77.6 e 'l produsse in aspr' alpe orrida pietra
4.77.7 o l' onda che nel mar si frange e spuma:
4.77.8 crudel, che tal beltà turba e consuma.--
4.78.1 Ma il giovenetto Eustazio, in cui la face
4.78.2 di pietade e d' amore è più fervente,
4.78.3 mentre bisbiglia ciascun altro, e tace,
4.78.4 si tragge avanti e parla audacemente:
4.78.5 --O germano e signor, troppo tenace
4.78.6 del suo primo proposto è la tua mente,
4.78.7 s' al consenso comun, che brama e prega,
4.78.8 arrendevole alquanto or non si piega.
4.79.1 Non dico io già che i principi, ch' a cura
4.79.2 si stanno qui de' popoli soggetti,
4.79.3 torcano il piè da l' oppugnate mura,
4.79.4 e sian gli uffici lor da lor negletti;
4.79.5 ma fra noi, che guerrier siam di ventura,
4.79.6 senz' alcun proprio peso e meno astretti
4.79.7 a le leggi de gli altri, elegger diece
4.79.8 difensori del giusto a te ben lece;
4.80.1 ch' al servigio di Dio già non si toglie
4.80.2 l' uom ch' innocente vergine difende,
4.80.3 ed assai care al Ciel son quelle spoglie
4.80.4 che d' ucciso tiranno altri gli appende.
4.80.5 Quando dunque a l' impresa or non m' invoglie
4.80.6 quell' util certo che da lei s' attende,
4.80.7 mi ci move il dover, ch' a dar tenuto
4.80.8 è l' ordin nostro a le donzelle aiuto.
4.81.1 Ah! non sia ver, per Dio, che si ridica
4.81.2 in Francia, o dove in pregio è cortesia,
4.81.3 che si fugga da noi rischio o fatica
4.81.4 per cagion così giusta e così pia.
4.81.5 Io per me qui depongo elmo e lorica,
4.81.6 qui mi scingo la spada, e più non fia
4.81.7 ch' adopri indegnamente arme o destriero,
4.81.8 o 'l nome usurpi mai di cavaliero.--
4.82.1 Così favella; e seco in chiaro suono
4.82.2 tutto l' ordine suo concorde freme,
4.82.3 e chiamando il consiglio utile e buono
4.82.4 co' preghi il capitan circonda e preme.
4.82.5 --Cedo, -- egli disse allora -- e vinto sono
4.82.6 al concorso di tanti uniti insieme;
4.82.7 abbia, se parvi, il chiesto don costei,
4.82.8 da i vostri sì, non da i consigli miei.
4.83.1 Ma se Goffredo di credenza alquanto
4.83.2 pur trova in voi, temprate i vostri affetti.--
4.83.3 Tanto ei sol disse, e basta lor ben tanto
4.83.4 perché ciascun quel che concede accetti.
4.83.5 Or che non può di bella donna il pianto,
4.83.6 ed in lingua amorosa i dolci detti?
4.83.7 Esce da vaghe labra aurea catena
4.83.8 che l' alme a suo voler prende ed affrena.
4.84.1 Eustazio lei richiama, e dice:-- Omai
4.84.2 cessi, vaga donzella, il tuo dolore,
4.84.3 ché tal da noi soccorso in breve avrai
4.84.4 qual par che più 'l richieggia il tuo timore.--
4.84.5 Serenò allora i nubilosi rai
4.84.6 Armida, e sì ridente apparve fuore
4.84.7 ch' innamorò di sue bellezze il cielo
4.84.8 asciugandosi gli occhi co 'l bel velo.
4.85.1 Rendé lor poscia, in dolci e care note,
4.85.2 grazie per l' alte grazie a lei concesse,
4.85.3 mostrando che sariano al mondo note
4.85.4 mai sempre, e sempre nel suo core impresse;
4.85.5 e ciò che lingua esprimer ben non pote,
4.85.6 muta eloquenza ne' suoi gesti espresse,
4.85.7 e celò sì sotto mentito aspetto
4.85.8 il suo pensier ch' altrui non diè sospetto.
4.86.1 Quinci vedendo che fortuna arriso
4.86.2 al gran principio di sue frodi avea,
4.86.3 prima che 'l suo pensier le sia preciso,
4.86.4 dispon di trarre al fin opra sì rea,
4.86.5 e far con gli atti dolci e co 'l bel viso
4.86.6 più che con l' arti lor Circe o Medea,
4.86.7 e in voce di sirena a i suoi concenti
4.86.8 addormentar le più svegliate menti.
4.87.1 Usa ogn' arte la donna, onde sia colto
4.87.2 ne la sua rete alcun novello amante;
4.87.3 né con tutti, né sempre un stesso volto
4.87.4 serba, ma cangia a tempo atti e sembiante.
4.87.5 Or tien pudica il guardo in sé raccolto,
4.87.6 or lo rivolge cupido e vagante:
4.87.7 la sferza in quegli, il freno adopra in questi,
4.87.8 come lor vede in amar lenti o presti.
4.88.1 Se scorge alcun che dal suo amor ritiri
4.88.2 l' alma, e i pensier per diffidenza affrene,
4.88.3 gli apre un benigno riso, e in dolci giri
4.88.4 volge le luci in lui liete e serene;
4.88.5 e così i pigri e timidi desiri
4.88.6 sprona, ed affida la dubbiosa spene,
4.88.7 ed infiammando l' amorose voglie
4.88.8 sgombra quel gel che la paura accoglie.
4.89.1 Ad altri poi, ch' audace il segno varca
4.89.2 scòrto da cieco e temerario duce,
4.89.3 de' cari detti e de' begli occhi è parca,
4.89.4 e in lui timore e riverenza induce.
4.89.5 Ma fra lo sdegno, onde la fronte è carca,
4.89.6 pur anco un raggio di pietà riluce,
4.89.7 sì ch' altri teme ben, ma non dispera,
4.89.8 e più s' invoglia quanto appar più altera.
4.90.1 Stassi tal volta ella in disparte alquanto
4.90.2 e 'l volto e gli atti suoi compone e finge
4.90.3 quasi dogliosa, e in fin su gli occhi il pianto
4.90.4 tragge sovente e poi dentro il respinge;
4.90.5 e con quest' arti a lagrimar intanto
4.90.6 seco mill' alme semplicette astringe,
4.90.7 e in foco di pietà strali d' amore
4.90.8 tempra, onde pèra a sì fort' arme il core.
4.91.1 Poi, sì come ella a quei pensier s' invole
4.91.2 e novella speranza in lei si deste,
4.91.3 vèr gli amanti il piè drizza e le parole,
4.91.4 e di gioia la fronte adorna e veste;
4.91.5 e lampeggiar fa, quasi un doppio sole,
4.91.6 il chiaro sguardo e 'l bel riso celeste
4.91.7 su le nebbie del duolo oscure e folte,
4.91.8 ch' avea lor prima intorno al petto accolte.
4.92.1 Ma mentre dolce parla e dolce ride,
4.92.2 e di doppia dolcezza inebria i sensi,
4.92.3 quasi dal petto lor l' alma divide,
4.92.4 non prima usata a quei diletti immensi.
4.92.5 Ahi crudo Amor, ch' egualmente n' ancide
4.92.6 l' assenzio e 'l mèl che tu fra noi dispensi,
4.92.7 e d' ogni tempo egualmente mortali
4.92.8 vengon da te le medicine e i mali!
4.93.1 Fra sì contrarie tempre, in ghiaccio e in foco,
4.93.2 in riso e in pianto, e fra paura e spene,
4.93.3 inforsa ogni suo stato, e di lor gioco
4.93.4 l' ingannatrice donna a prender viene;
4.93.5 e s' alcun mai con suon tremante e fioco
4.93.6 osa parlando d' accennar sue pene,
4.93.7 finge, quasi in amor rozza e inesperta,
4.93.8 non veder l' alma ne' suoi detti aperta.
4.94.1 O pur le luci vergognose e chine
4.94.2 tenendo, d' onestà s' orna e colora,
4.94.3 sì che viene a celar le fresche brine
4.94.4 sotto le rose onde il bel viso infiora,
4.94.5 qual ne l' ore più fresche e matutine
4.94.6 del primo nascer suo veggiam l' aurora;
4.94.7 e 'l rossor de lo sdegno insieme n' esce
4.94.8 con la vergogna, e si confonde e mesce.
4.95.1 Ma se prima ne gli atti ella s' accorge
4.95.2 d' uom che tenti scoprir l' accese voglie,
4.95.3 or gli s' invola e fugge, ed or gli porge
4.95.4 modo onde parli e in un tempo il ritoglie;
4.95.5 così il dì tutto in vano error lo scorge
4.95.6 stanco, e deluso poi di speme il toglie.
4.95.7 Ei si riman qual cacciator ch' a sera
4.95.8 perda al fin l' orma di seguita fèra.
4.96.1 Queste fur l' arti onde mill' alme e mille
4.96.2 prender furtivamente ella poteo,
4.96.3 anzi pur furon l' arme onde rapille
4.96.4 ed a forza d' Amor serve le feo.
4.96.5 Qual meraviglia or fia s' il fero Achille
4.96.6 d' Amor fu preda, ed Ercole e Teseo,
4.96.7 s' ancor chi per Giesù la spada cinge
4.96.8 l' empio ne' lacci suoi talora stringe?
CANTO V
5.1.1 Mentre in tal guisa i cavalieri alletta
5.1.2 ne l' amor suo l' insidiosa Armida,
5.1.3 né solo i diece a lei promessi aspetta
5.1.4 ma di furto menarne altri confida,
5.1.5 volge tra sé Goffredo a cui commetta
5.1.6 la dubbia impresa ov' ella esser dée guida,
5.1.7 ché de gli aventurier la copia e 'l merto
5.1.8 e 'l desir di ciascuno il fanno incerto.
5.2.1 Ma con provido aviso al fin dispone
5.2.2 ch' essi un di loro scelgano a sua voglia,
5.2.3 che succeda al magnanimo Dudone
5.2.4 e quella elezion sovra sé toglia.
5.2.5 Così non averrà ch' ei dia cagione
5.2.6 ad alcun d' essi che di lui si doglia,
5.2.7 e insieme mostrerà d' aver nel pregio,
5.2.8 in cui deve a ragion, lo stuolo egregio.
5.3.1 A sé dunque li chiama, e lor favella:
5.3.2 -- Stata è da voi la mia sentenza udita,
5.3.3 ch' era non di negare a la donzella,
5.3.4 ma di darle in stagion matura aita.
5.3.5 Di novo or la propongo, e ben pote ella
5.3.6 esser dal parer vostro anco seguita,
5.3.7 ché nel mondo mutabile e leggiero
5.3.8 costanza è spesso il variar pensiero.
5.4.1 Ma se stimate ancor che mal convegna
5.4.2 al vostro grado il rifiutar periglio,
5.4.3 e se pur generoso ardire sdegna
5.4.4 quel che troppo gli par cauto consiglio,
5.4.5 non sia ch' involontari io vi ritegna,
5.4.6 né quel che già vi diedi or mi ripiglio;
5.4.7 ma sia con esso voi, com' esser deve,
5.4.8 il fren del nostro imperio lento e leve.
5.5.1 Dunque lo starne o 'l girne i' son contento
5.5.2 che dal vostro piacer libero penda:
5.5.3 ben vuo' che pria facciate al duce spento
5.5.4 successor novo, e di voi cura ei prenda,
5.5.5 e tra voi scelga i diece a suo talento;
5.5.6 non già di diece il numero trascenda,
5.5.7 ch' in questo il sommo imperio a me riservo:
5.5.8 non fia l' arbitrio suo per altro servo.--
5.6.1 Così disse Goffredo; e 'l suo germano,
5.6.2 consentendo ciascun, risposta diede:
5.6.3 -- Sì come a te conviensi, o capitano,
5.6.4 questa lenta virtù che lunge vede,
5.6.5 così il vigor del core e de la mano,
5.6.6 quasi debito a noi, da noi si chiede.
5.6.7 E saria la matura tarditate,
5.6.8 ch' in altri è providenza, in noi viltate.
5.7.1 E poi che 'l rischio è di sì leve danno
5.7.2 posto in lance co 'l pro che 'l contrapesa,
5.7.3 te permettente, i diece eletti andranno
5.7.4 con la donzella a l' onorata impresa.--
5.7.5 Così conclude, e con sì adorno inganno
5.7.6 cerca di ricoprir la mente accesa
5.7.7 sotto altro zelo; e gli altri anco d' onore
5.7.8 fingon desio quel ch' è desio d' amore.
5.8.1 Ma il più giovin Buglione, il qual rimira
5.8.2 con geloso occhio il figlio di Sofia,
5.8.3 la cui virtute invidiando ammira
5.8.4 che 'n sì bel corpo più cara venia,
5.8.5 no 'l vorrebbe compagno, e al cor gli inspira
5.8.6 cauti pensier l' astuta gelosia,
5.8.7 onde, tratto il rivale a sé in disparte,
5.8.8 ragiona a lui con lusinghevol arte:
5.9.1 -- O di gran genitor maggior figliuolo,
5.9.2 che 'l sommo pregio in arme hai giovenetto,
5.9.3 or chi sarà del valoroso stuolo,
5.9.4 di cui parte noi siamo, in duce eletto?
5.9.5 Io, ch' a Dudon famoso a pena, e solo
5.9.6 per l' onor de l' età, vivea soggetto;
5.9.7 io, fratel di Goffredo, a chi più deggio
5.9.8 cedere omai? se tu non sei, no 'l veggio.
5.10.1 Te, la cui nobiltà tutt' altre agguaglia,
5.10.2 gloria e merito d' opre a me prepone,
5.10.3 né sdegnerebbe in pregio di battaglia
5.10.4 minor chiamarsi anco il maggior Buglione.
5.10.5 Te dunque in duce bramo, ove non caglia
5.10.6 a te di questa sira esser campione,
5.10.7 né già cred' io che quell' onor tu curi
5.10.8 che da' fatti verrà notturni e scuri;
5.11.1 né mancherà qui loco ove s' impieghi
5.11.2 con più lucida fama il tuo valore.
5.11.3 Or io procurerò, se tu no 'l neghi,
5.11.4 ch' a te concedan gli altri il sommo onore;
5.11.5 ma perché non so ben dove si pieghi
5.11.6 l' irresoluto mio dubbioso core,
5.11.7 impetro or io da te, ch' a voglia mia
5.11.8 o segua poscia Armida o teco stia.--
5.12.1 Qui tacque Eustazio, e questi estremi accenti
5.12.2 non proferì senza arrossarsi in viso,
5.12.3 e i mal celati suoi pensier ardenti
5.12.4 l' altro ben vide, e mosse ad un sorriso;
5.12.5 ma perch' a lui colpi d' amor più lenti
5.12.6 non hanno il petto oltra la scorza inciso,
5.12.7 né molto impaziente è di rivale,
5.12.8 né la donzella di seguir gli cale
5.13.1 ben altamente ha nel pensier tenace
5.13.2 l' acerba morte di Dudon scolpita,
5.13.3 e si reca a disnor ch' Argante audace
5.13.4 gli soprastia lunga stagion in vita;
5.13.5 e parte di sentir anco gli piace
5.13.6 quel parlar ch' al dovuto onor l' invita,
5.13.7 e 'l giovenetto cor s' appaga e gode
5.13.8 del dolce suon de la verace lode.
5.14.1 Onde così rispose: -- I gradi primi
5.14.2 più meritar che conseguir desio,
5.14.3 né, pur che me la mia virtù sublimi,
5.14.4 di scettri altezza invidiar degg' io;
5.14.5 ma s' a l' onor mi chiami, e che lo stimi
5.14.6 debito a me, non ci verrò restio,
5.14.7 e caro esser mi dée che sia dimostro
5.14.8 sì bel segno da voi del valor nostro.
5.15.1 Dunque io no 'l chiedo e no 'l rifiuto; e quando
5.15.2 duce io pur sia, sarai tu de gli eletti.--
5.15.3 Allora il lascia Eustazio, e va piegando
5.15.4 de' suoi compagni al suo voler gli affetti;
5.15.5 ma chiede a prova il principe Gernando
5.15.6 quel grado, e bench' Armida in lui saetti,
5.15.7 men può nel cor superbo amor di donna
5.15.8 ch' avidità d' onor che se n' indonna.
5.16.1 Sceso Gernando è da' gran re norvegi,
5.16.2 che di molte provincie ebber l' impero;
5.16.3 e le tante corone e' scettri regi
5.16.4 e del padre e de gli avi il fanno altero.
5.16.5 Altero è l' altro de' suoi propri pregi
5.16.6 più che de l' opre che i passati fèro,
5.16.7 ancor che gli avi suoi cento e più lustri
5.16.8 stati sian chiari in pace e 'n guerra illustri.
5.17.1 Ma il barbaro signor, che sol misura
5.17.2 quanto l' oro o 'l domino oltre si stenda,
5.17.3 e per sé stima ogni virtute oscura
5.17.4 cui titolo regal chiara non renda,
5.17.5 non può soffrir che 'n ciò ch' egli procura
5.17.6 seco di merto il cavalier contenda,
5.17.7 e se ne cruccia sì ch' oltra ogni segno
5.17.8 di ragione il trasporta ira e disdegno.
5.18.1 Tal che 'l maligno spirito d' Averno,
5.18.2 ch' in lui strada sì larga aprir si vede,
5.18.3 tacito in sen gli serpe ed al governo
5.18.4 de' suoi pensieri lusingando siede.
5.18.5 E qui più sempre l' ira e l' odio interno
5.18.6 inacerbisce, e 'l cor stimola e fiede;
5.18.7 e fa che 'n mezzo a l' alma ognor risuona
5.18.8 una voce ch' a lui così ragiona:
5.19.1 --Teco giostra Rinaldo: or tanto vale
5.19.2 quel suo numero van d' antichi eroi?
5.19.3 Narri costui, ch' a te vuol farsi eguale,
5.19.4 le genti serve e i tributari suoi;
5.19.5 mostri gli scettri, e in dignità regale
5.19.6 paragoni i suoi morti a i vivi tuoi.
5.19.7 Ah quanto osa un signor d' indegno stato,
5.19.8 signor che ne la serva Italia è nato!
5.20.1 Vinca egli o perda omai, ché vincitore
5.20.2 fu insino allor ch' emulo tuo divenne,
5.20.3 che dirà il mondo? (e ciò fia sommo onore):
5.20.4 "Questi già con Gernando in gara venne."
5.20.5 Poteva a te recar gloria e splendore
5.20.6 il nobil grado che Dudon pria tenne;
5.20.7 ma già non meno esso da te n' attese:
5.20.8 costui scemò suo pregio allor che 'l chiese.
5.21.1 E se, poi ch' altri più non parla o spira,
5.21.2 de' nostri affari alcuna cosa sente,
5.21.3 come credi che 'n Ciel di nobil ira
5.21.4 il buon vecchio Dudon si mostri ardente,
5.21.5 mentre in questo superbo i lumi gira
5.21.6 ed al suo temerario ardir pon mente,
5.21.7 che seco ancor, l' età sprezzando e 'l merto,
5.21.8 fanciullo osa agguagliarsi ed inesperto?
5.22.1 E l' osa pure e 'l tenta, e ne riporta
5.22.2 in vece di castigo onor e laude,
5.22.3 e v' è chi ne 'l consiglia e ne l' essorta
5.22.4 (o vergogna comune!) e chi gli applaude.
5.22.5 Ma se Goffredo il vede, e gli comporta
5.22.6 che di ciò ch' a te déssi egli ti fraude,
5.22.7 no 'l soffrir tu; né già soffrirlo déi,
5.22.8 ma ciò che puoi dimostra e ciò che sei.--
5.23.1 Al suon di queste voci arde lo sdegno
5.23.2 e cresce in lui quasi commossa face;
5.23.3 né capendo nel cor gonfiato e pregno,
5.23.4 per gli occhi n' esce e per la lingua audace.
5.23.5 Ciò che di riprensibile e d' indegno
5.23.6 crede in Rinaldo, a suo disnor non tace;
5.23.7 superbo e vano il finge, e 'l suo valore
5.23.8 chiama temerità pazza e furore.
5.24.1 E quanto di magnanimo e d' altero
5.24.2 e d' eccelso e d' illustre in lui risplende,
5.24.3 tutto adombrando con mal arti il vero,
5.24.4 pur come vizio sia, biasma e riprende,
5.24.5 e ne ragiona sì che 'l cavaliero,
5.24.6 emulo suo, publico il suon n' intende;
5.24.7 non però sfoga l' ira o si raffrena
5.24.8 quel cieco impeto in lui ch' a morte il mena,
5.25.1 ché 'l reo demon che la sua lingua move
5.25.2 di spirto in vece, e forma ogni suo detto,
5.25.3 fa che gl' ingiusti oltraggi ognor rinove,
5.25.4 esca aggiungendo a l' infiammato petto.
5.25.5 Loco è nel campo assai capace, dove
5.25.6 s' aduna sempre un bel drapello eletto,
5.25.7 e quivi insieme in torneamenti e in lotte
5.25.8 rendon le membra vigorose e dotte.
5.26.1 Or quivi, allor che v' è turba più folta,
5.26.2 pur, com' è suo destin, Rinaldo accusa,
5.26.3 e quasi acuto strale in lui rivolta
5.26.4 la lingua, del venen d' Averno infusa;
5.26.5 e vicino è Rinaldo e i detti ascolta,
5.26.6 né pote l' ira omai tener più chiusa,
5.26.7 ma grida:-- Menti --, e adosso a lui si spinge,
5.26.8 e nudo ne la destra il ferro stringe.
5.27.1 Parve un tuono la voce, e 'l ferro un lampo
5.27.2 che di folgor cadente annunzio apporte.
5.27.3 Tremò colui, né vide fuga o scampo
5.27.4 da la presente irreparabil morte;
5.27.5 pur, tutto essendo testimonio il campo,
5.27.6 fa sembianti d' intrepido e di forte,
5.27.7 e 'l gran nemico attende, e 'l ferro tratto
5.27.8 fermo si reca di difesa in atto.
5.28.1 Quasi in quel punto mille spade ardenti
5.28.2 furon vedute fiammeggiar insieme,
5.28.3 ché varia turba di mal caute genti
5.28.4 d' ogn' intorno v' accorre, e s' urta e preme.
5.28.5 D' incerte voci e di confusi accenti
5.28.6 un suon per l' aria si raggira e freme,
5.28.7 qual s' ode in riva al mare, ove confonda
5.28.8 il vento i suoi co' mormorii de l' onda.
5.29.1 Ma per le voci altrui già non s' allenta
5.29.2 ne l' offeso guerrier l' impeto e l' ira.
5.29.3 Sprezza i gridi e i ripari e ciò che tenta
5.29.4 chiudergli il varco, ed a vendetta aspira;
5.29.5 e fra gli uomini e l' armi oltre s' aventa,
5.29.6 e la fulminea spada in cerchio gira,
5.29.7 sì che le vie si sgombra e solo, ad onta
5.29.8 di mille difensor, Gernando affronta.
5.30.1 E con la man, ne l' ira anco maestra,
5.30.2 mille colpi vèr lui drizza e comparte:
5.30.3 or al petto, or al capo, or a la destra
5.30.4 tenta ferirlo, or a la manca parte,
5.30.5 e impetuosa e rapida la destra
5.30.6 è in guisa tal che gli occhi inganna e l' arte,
5.30.7 tal ch' improvisa e inaspettata giunge
5.30.8 ove manco si teme, e fère e punge.
5.31.1 Né cessò mai sin che nel seno immersa
5.31.2 gli ebbe una volta e due la fera spada.
5.31.3 Cade il meschin su la ferita, e versa
5.31.4 gli spirti e l' alma fuor per doppia strada.
5.31.5 L' arme ripone ancor di sangue aspersa
5.31.6 il vincitor, né sovra lui più bada;
5.31.7 ma si rivolge altrove, e insieme spoglia
5.31.8 l' animo crudo e l' adirata voglia.
5.32.1 Tratto al tumulto il pio Goffredo intanto,
5.32.2 vede fero spettacolo improviso:
5.32.3 steso Gernando, il crin di sangue e 'l manto
5.32.4 sordido e molle, e pien di morte il viso;
5.32.5 ode i sospiri e le querele e 'l pianto
5.32.6 che molti fan sovra il guerrier ucciso.
5.32.7 Stupido chiede:-- Or qui, dove men lece,
5.32.8 chi fu ch' ardì cotanto e tanto fece?--
5.33.1 Arnalto, un de' più cari al prence estinto,
5.33.2 narra (e 'l caso in narrando aggrava molto)
5.33.3 che Rinaldo l' uccise e che fu spinto
5.33.4 da leggiera cagion d' impeto stolto,
5.33.5 e che quel ferro, che per Cristo è cinto,
5.33.6 ne' campioni di Cristo avea rivolto,
5.33.7 e sprezzato il suo impero e quel divieto
5.33.8 che fe' pur dianzi e che non è secreto;
5.34.1 e che per legge è reo di morte e deve,
5.34.2 come l' editto impone, esser punito,
5.34.3 sì perché il fallo in se medesmo è greve,
5.34.4 sì perché 'n loco tale egli è seguito;
5.34.5 che se de l' error suo perdon riceve,
5.34.6 fia ciascun altro per l' essempio ardito,
5.34.7 e che gli offesi poi quella vendetta
5.34.8 vorranno far ch' a i giudici s' aspetta;
5.35.1 onde per tal cagion discordie e risse
5.35.2 germoglieran fra quella parte e questa.
5.35.3 Rammentò i merti de l' estinto, e disse
5.35.4 tutto ciò ch' o pietate o sdegno desta.
5.35.5 Ma s' oppose Tancredi e contradisse,
5.35.6 e la causa del reo dipinse onesta.
5.35.7 Goffredo ascolta, e in rigida sembianza
5.35.8 porge più di timor che di speranza.
5.36.1 Soggiunse allor Tancredi:-- Or ti sovegna,
5.36.2 saggio signor, chi sia Rinaldo e quale:
5.36.3 qual per se stesso onor gli si convegna,
5.36.4 e per la stirpe sua chiara e regale,
5.36.5 e per Guelfo suo zio. Non dée chi regna
5.36.6 nel castigo con tutti esser eguale:
5.36.7 vario è l' istesso error ne' gradi vari,
5.36.8 e sol l' egualità giusta è co' pari.--
5.37.1 Risponde il capitan:-- Da i più sublimi
5.37.2 ad ubidire imparino i più bassi.
5.37.3 Mal, Tancredi, consigli e male stimi
5.37.4 se vuoi ch' i grandi in sua licenza io lassi.
5.37.5 Qual fòra imperio il mio s' a vili ed imi,
5.37.6 sol duce de la plebe, io commandassi?
5.37.7 Scettro impotente e vergognoso impero:
5.37.8 se con tal legge è dato, io più no 'l chero.
5.38.1 Ma libero fu dato e venerando,
5.38.2 né vuo' ch' alcun d' autorità lo scemi.
5.38.3 E so ben io come si deggia e quando
5.38.4 ora diverse impor le pene e i premi,
5.38.5 ora, tenor d' egualità serbando,
5.38.6 non separar da gli infimi i supremi.--
5.38.7 Così dicea; né rispondea colui,
5.38.8 vinto da riverenza, a i detti sui.
5.39.1 Raimondo, imitator de la severa
5.39.2 rigida antichità, lodava i detti.
5.39.3 --Con quest' arti -- dicea -- chi bene impera
5.39.4 si rende venerabile a i soggetti,
5.39.5 ché già non è la disciplina intera
5.39.6 ov' uom perdono e non castigo aspetti.
5.39.7 Cade ogni regno, e ruinosa è senza
5.39.8 la base del timor ogni clemenza.--
5.40.1 Tal ei parlava, e le parole accolse
5.40.2 Tancredi, e più fra lor non si ritenne,
5.40.3 ma vèr Rinaldo immantinente volse
5.40.4 un suo destrier che parve aver le penne.
5.40.5 Rinaldo, poi ch' al fer nemico tolse
5.40.6 l' orgoglio e l' alma, al padiglion se 'n venne.
5.40.7 Qui Tancredi trovollo, e de le cose
5.40.8 dette e risposte a pien la somma espose.
5.41.1 Soggiunse poi: -- Bench' io sembianza esterna
5.41.2 del cor non stimi testimon verace,
5.41.3 ché 'n parte troppo cupa e troppo interna
5.41.4 il pensier de' mortali occulto giace,
5.41.5 pur ardisco affermar, a quel ch' io scerna
5.41.6 nel capitan ch' in tutto anco no 'l tace,
5.41.7 ch' egli ti voglia a l' obligo soggetto
5.41.8 de' rei comune e in suo poter ristretto.--
5.42.1 Sorrise allor Rinaldo, e con un volto
5.42.2 in cui tra 'l riso lampeggiò lo sdegno:
5.42.3 --Difenda sua ragion ne' ceppi involto
5.42.4 chi servo è -- disse -- o d' esser servo è degno.
5.42.5 Libero i' nacqui e vissi, e morrò sciolto
5.42.6 pria che man porga o piede a laccio indegno:
5.42.7 usa a la spada è questa destra ed usa
5.42.8 a le palme, e vil nodo ella ricusa.
5.43.1 Ma s' a i meriti miei questa mercede
5.43.2 Goffredo rende e vuol impregionarme
5.43.3 pur com' io fosse un uom del vulgo, e crede
5.43.4 a carcere plebeo legato trarme,
5.43.5 venga egli o mandi, io terrò fermo il piede.
5.43.6 Giudici fian tra noi la sorte e l' arme:
5.43.7 fera tragedia vuol che s' appresenti
5.43.8 per lor diporto a le nemiche genti.--
5.44.1 Ciò detto, l' armi chiede; e 'l capo e 'l busto
5.44.2 di finissimo acciaio adorno rende
5.44.3 e fa del grande scudo il braccio onusto,
5.44.4 e la fatale spada al fianco appende,
5.44.5 e in sembiante magnanimo ed augusto,
5.44.6 come folgore suol, ne l' arme splende.
5.44.7 Marte, e' rassembra te qualor dal quinto
5.44.8 cielo di ferro scendi e d' orror cinto.
5.45.1 Tancredi intanto i feri spirti e 'l core
5.45.2 insuperbito d' ammollir procura.
5.45.3 -- Giovene invitto, -- dice -- al tuo valore
5.45.4 so che fia piana ogn' erta impresa e dura,
5.45.5 so che fra l' arme sempre e fra 'l terrore
5.45.6 la tua eccelsa virtute è più secura;
5.45.7 ma non consenta Dio ch' ella si mostri
5.45.8 oggi sì crudelmente a' danni nostri.
5.46.1 Dimmi, che pensi far? vorrai le mani
5.46.2 del civil sangue tuo dunque bruttarte?
5.46.3 e con le piaghe indegne de' cristiani
5.46.4 trafigger Cristo, ond' ei son membra e parte?
5.46.5 Di transitorio onor rispetti vani,
5.46.6 che qual onda del mar se 'n viene e parte,
5.46.7 potranno in te più che la fede e 'l zelo
5.46.8 di quella gloria che n' eterna in Cielo?
5.47.1 Ah non, per Dio!, vinci te stesso e spoglia
5.47.2 questa feroce tua mente superba.
5.47.3 Cedi! non fia timor, ma santa voglia,
5.47.4 ch' a questo ceder tuo palma si serba.
5.47.5 E se pur degna ond' altri essempio toglia
5.47.6 è la mia giovenetta etate acerba,
5.47.7 anch' io fui provocato, e pur non venni
5.47.8 co' fedeli in contesa e mi contenni;
5.48.1 ch' avend' io preso di Cilicia il regno,
5.48.2 e l' insegne spiegatevi di Cristo,
5.48.3 Baldovin sopragiunse, e con indegno
5.48.4 modo occupollo e ne fe' vile acquisto;
5.48.5 ché, mostrandosi amico ad ogni segno,
5.48.6 del suo avaro pensier non m' era avisto.
5.48.7 Ma con l' arme però di ricovrarlo
5.48.8 non tentai poscia, e forse i' potea farlo.
5.49.1 E se pur anco la prigion ricusi
5.49.2 e i lacci schivi, quasi ignobil pondo,
5.49.3 e seguir vuoi l' opinioni e gli usi
5.49.4 che per leggi d' onore approva il mondo,
5.49.5 lascia qui me ch' al capitan ti scusi,
5.49.6 e 'n Antiochia tu vanne a Boemondo,
5.49.7 ché né soppórti in questo impeto primo
5.49.8 a' suoi giudizi assai securo stimo.
5.50.1 Ben tosto fia, se pur qui contra avremo
5.50.2 l' arme d' Egitto o d' altro stuol pagano,
5.50.3 ch' assai più chiaro il tuo valore estremo
5.50.4 n' apparirà mentre sarai lontano;
5.50.5 e senza te parranne il campo scemo,
5.50.6 quasi corpo cui tronco è braccio o mano.--
5.50.7 Qui Guelfo sopragiunge e i detti approva,
5.50.8 e vuol che senza indugio indi si mova.
5.51.1 A i lor consigli la sdegnosa mente
5.51.2 de l' audace garzon si volge e piega,
5.51.3 tal ch' egli di partirsi immantinente
5.51.4 fuor di quell' oste a i fidi suoi non nega.
5.51.5 Molta intanto è concorsa amica gente,
5.51.6 e seco andarne ognun procura e prega;
5.51.7 egli tutti ringrazia e seco prende
5.51.8 sol duo scudieri, e su 'l cavallo ascende.
5.52.1 Parte, e porta un desio d' eterna ed alma
5.52.2 gloria ch' a nobil core è sferza e sprone;
5.52.3 a magnanime imprese intent' ha l' alma,
5.52.4 ed insolite cose oprar dispone:
5.52.5 gir fra i nemici, ivi o cipresso o palma
5.52.6 acquistar per la fede ond' è campione,
5.52.7 scorrer l' Egitto, e penetrar sin dove
5.52.8 fuor d' incognito fonte il Nilo move.
5.53.1 Ma Guelfo, poi che 'l giovene feroce
5.53.2 affrettato al partir preso ha congedo,
5.53.3 quivi non bada, e se ne va veloce
5.53.4 ove egli stima ritrovar Goffredo,
5.53.5 il qual, come lui vede, alza la voce:
5.53.6 --Guelfo, -- dicendo -- a punto or te richiedo,
5.53.7 e mandato ho pur ora in varie parti
5.53.8 alcun de' nostri araldi a ricercarti.--
5.54.1 Poi fa ritrarre ogn' altro, e in basse note
5.54.2 ricomincia con lui grave sermone:
5.54.3 -- Veracemente, o Guelfo, il tuo nepote
5.54.4 troppo trascorre, ov' ira il cor gli sprone,
5.54.5 e male addursi a mia credenza or pote
5.54.6 di questo fatto suo giusta cagione.
5.54.7 Ben caro avrò ch' ella ci rechi tale,
5.54.8 ma Goffredo con tutti è duce eguale;
5.55.1 e sarà del legitimo e del dritto
5.55.2 custode in ogni caso e difensore,
5.55.3 serbando sempre al giudicare invitto
5.55.4 da le tiranne passioni il core.
5.55.5 Or se Rinaldo a violar l' editto
5.55.6 e de la disciplina il sacro onore
5.55.7 costretto fu, come alcun dice, a i nostri
5.55.8 giudizi venga ad inchinarsi, e 'l mostri.
5.56.1 A sua retenzion libero vegna:
5.56.2 questo, ch' io posso, a i merti suoi consento.
5.56.3 Ma s' egli sta ritroso e se ne sdegna
5.56.4 (conosco quel suo indomito ardimento),
5.56.5 tu di condurlo a proveder t' ingegna
5.56.6 ch' ei non isforzi uom mansueto e lento
5.56.7 ad esser de le leggi e de l' impero
5.56.8 vendicator, quanto è ragion, severo.--
5.57.1 Così disse egli; e Guelfo a lui rispose:
5.57.2 --Anima non potea d' infamia schiva
5.57.3 voci sentir di scorno ingiuriose,
5.57.4 e non farne repulsa ove l' udiva.
5.57.5 E se l' oltraggiatore a morte ei pose,
5.57.6 chi è che meta a giust' ira prescriva?
5.57.7 chi conta i colpi o la dovuta offesa,
5.57.8 mentre arde la tenzon, misura e pesa?
5.58.1 Ma quel che chiedi tu, ch' al tuo soprano
5.58.2 arbitrio il garzon venga a sottoporse,
5.58.3 duolmi ch' esser non può, ch' egli lontano
5.58.4 da l' oste immantinente il passo torse.
5.58.5 Ben m' offro io di provar con questa mano
5.58.6 a lui ch' a torto in falsa accusa il morse,
5.58.7 o s' altri v' è di sì maligno dente,
5.58.8 ch' ei punì l' onta ingiusta giustamente.
5.59.1 A ragion, dico, al tumido Gernando
5.59.2 fiaccò le corna del superbo orgoglio.
5.59.3 Sol, s' egli errò, fu ne l' oblio del bando;
5.59.4 ciò ben mi pesa, ed a lodar no 'l toglio.--
5.59.5 Tacque, e disse Goffredo:-- Or vada errando,
5.59.6 e porti risse altrove; io qui non voglio
5.59.7 che sparga seme tu di nove liti:
5.59.8 deh, per Dio, sian gli sdegni anco forniti.--
5.60.1 Di procurare il suo soccorso intanto
5.60.2 non cessò mai l' ingannatrice rea.
5.60.3 Pregava il giorno, e ponea in uso quanto
5.60.4 l' arte e l' ingegno e la beltà potea;
5.60.5 ma poi, quando stendendo il fosco manto
5.60.6 la notte in occidente il dì chiudea,
5.60.7 tra duo suoi cavalieri e due matrone
5.60.8 ricovrava in disparte al padiglione.
5.61.1 Ma benché sia mastra d' inganni, e i suoi
5.61.2 modi gentili e le maniere accorte,
5.61.3 e bella sì che 'l ciel prima né poi
5.61.4 altrui non diè maggior bellezza in sorte,
5.61.5 tal che del campo i più famosi eroi
5.61.6 ha presi d' un piacer tenace e forte;
5.61.7 non è però ch' a l' esca de' diletti
5.61.8 il pio Goffredo lusingando alletti.
5.62.1 In van cerca invaghirlo, e con mortali
5.62.2 dolcezze attrarlo a l' amorosa vita,
5.62.3 ché qual saturo augel, che non si cali
5.62.4 ove il cibo mostrando altri l' invita,
5.62.5 tal ei sazio del mondo i piacer frali
5.62.6 sprezza, e se 'n poggia al Ciel per via romita,
5.62.7 e quante insidie al suo bel volo tende
5.62.8 l' infido amor, tutte fallaci rende.
5.63.1 Né impedimento alcun torcer da l' orme
5.63.2 pote, che Dio ne segna, i pensier santi.
5.63.3 Tentò ella mill' arti, e in mille forme
5.63.4 quasi Proteo novel gli apparse inanti,
5.63.5 e desto Amor, dove più freddo ei dorme,
5.63.6 avrian gli atti dolcissimi e i sembianti,
5.63.7 ma qui (grazie divine) ogni sua prova
5.63.8 vana riesce, e ritentar non giova.
5.64.1 La bella donna, ch' ogni cor più casto
5.64.2 arder credeva ad un girar di ciglia,
5.64.3 oh come perde or l' alterezza e 'l fasto!
5.64.4 e quale ha di ciò sdegno e meraviglia!
5.64.5 Rivolger le sue forze ove contrasto
5.64.6 men duro trovi al fin si riconsiglia,
5.64.7 qual capitan ch' inespugnabil terra
5.64.8 stanco abbandoni, e porti altrove guerra.
5.65.1 Ma contra l' arme di costei non meno
5.65.2 si mostrò di Tancredi invitto il core,
5.65.3 però ch' altro desio gli ingombra il seno,
5.65.4 né vi può loco aver novello ardore;
5.65.5 ché sì come da l' un l' altro veneno
5.65.6 guardar ne suol, tal l' un da l' altro amore.
5.65.7 Questi soli non vinse: o molto o poco
5.65.8 avampò ciascun altro al suo bel foco.
5.66.1 Ella, se ben si duol che non succeda
5.66.2 sì pienamente il suo disegno e l' arte,
5.66.3 pur fatto avendo così nobil preda
5.66.4 di tanti eroi, si riconsola in parte.
5.66.5 E pria che di sue frodi altri s' aveda,
5.66.6 pensa condurgli in più secura parte,
5.66.7 ove gli stringa poi d' altre catene
5.66.8 che non son quelle ond' or presi li tiene.
5.67.1 E sendo giunto il termine che fisse
5.67.2 il capitano a darle alcun soccorso,
5.67.3 a lui se 'n venne riverente e disse:
5.67.4 -- Sire, il dì stabilito è già trascorso,
5.67.5 e se per sorte il reo tiranno udisse
5.67.6 ch' i' abbia fatto a l' arme tue ricorso,
5.67.7 prepareria sue forze a la difesa,
5.67.8 né così agevol poi fòra l' impresa.
5.68.1 Dunque, prima ch' a lui tal nova apporti
5.68.2 voce incerta di fama o certa spia,
5.68.3 scelga la tua pietà fra i tuoi più forti
5.68.4 alcuni pochi, e meco or or gli invia,
5.68.5 ché se non mira il Ciel con occhi torti
5.68.6 l' opre mortali o l' innocenza oblia,
5.68.7 sarò riposta in regno, e la mia terra
5.68.8 sempre avrai tributaria in pace e in guerra.--
5.69.1 Così diceva, e 'l capitano a i detti
5.69.2 quel che negar non si potea concede,
5.69.3 se ben, ov' ella il suo partir affretti,
5.69.4 in sé tornar l' elezion ne vede;
5.69.5 ma nel numero ognun de' diece eletti
5.69.6 con insolita instanza esser richiede,
5.69.7 e l' emulazion che 'n lor si desta
5.69.8 più importuni li fa ne la richiesta.
5.70.1 Ella, che 'n essi mira aperto il core,
5.70.2 prende vedendo ciò novo argomento,
5.70.3 e su 'l lor fianco adopra il rio timore
5.70.4 di gelosia per ferza e per tormento;
5.70.5 sapendo ben ch' al fin s' invecchia Amore
5.70.6 senza quest' arti e divien pigro e lento,
5.70.7 quasi destrier che men veloce corra
5.70.8 se non ha chi lui segua e chi 'l precorra.
5.71.1 E in tal modo comparte i detti sui
5.71.2 e 'l guardo lusinghiero e 'l dolce riso,
5.71.3 ch' alcun non è che non invidii altrui,
5.71.4 né il timor de la speme è in lor diviso.
5.71.5 La folle turba de gli amanti, a cui
5.71.6 stimolo è l' arte d' un fallace viso,
5.71.7 senza fren corre, e non li tien vergogna,
5.71.8 e loro indarno il capitan rampogna.
5.72.1 Ei ch' egualmente satisfar desira
5.72.2 ciascuna de le parti e in nulla pende,
5.72.3 se ben alquanto or di vergogna or d' ira
5.72.4 al vaneggiar de' cavalier s' accende,
5.72.5 poi ch' ostinati in quel desio li mira,
5.72.6 novo consiglio in accordarli prende:
5.72.7 -- Scrivansi i vostri nomi ed in un vaso
5.72.8 pongansi, -- disse -- e sia giudice il caso.--
5.73.1 Subito il nome di ciascun si scrisse,
5.73.2 e in picciol' urna posti e scossi foro,
5.73.3 e tratti a sorte; e 'l primo che n' uscisse
5.73.4 fu il conte di Pembrozia Artemidoro.
5.73.5 Legger poi di Gherardo il nome udisse,
5.73.6 ed uscì Vincilao dopo costoro:
5.73.7 Vincilao che, sì grave e saggio inante,
5.73.8 canuto or pargoleggia e vecchio amante.
5.74.1 Oh come il volto han lieto, e gli occhi pregni
5.74.2 di quel piacer che dal cor pieno inonda,
5.74.3 questi tre primi eletti, i cui disegni
5.74.4 la fortuna in amor destra seconda!
5.74.5 D' incerto cor, di gelosia dan segni
5.74.6 gli altri il cui nome avien che l' urna asconda,
5.74.7 e da la bocca pendon di colui
5.74.8 che spiega i brevi e legge i nomi altrui.
5.75.1 Guasco quarto fuor venne, a cui successe
5.75.2 Ridolfo ed a Ridolfo indi Olderico,
5.75.3 quinci Guglielmo Ronciglion si lesse,
5.75.4 e 'l bavaro Eberardo, e 'l franco Enrico.
5.75.5 Rambaldo ultimo fu, che farsi elesse
5.75.6 poi, fé cangiando, di Giesù nemico
5.75.7 (tanto pote Amor dunque?); e questi chiuse
5.75.8 il numero de' diece, e gli altri escluse.
5.76.1 D' ira, di gelosia, d' invidia ardenti,
5.76.2 chiaman gli altri Fortuna ingiusta e ria,
5.76.3 a te accusano, Amor, che le consenti
5.76.4 che ne l' imperio tuo giudice sia.
5.76.5 Ma perché instinto è de l' umane genti
5.76.6 che ciò che più si vieta uom più desia,
5.76.7 dispongon molti ad onta di fortuna
5.76.8 seguir la donna come il ciel s' imbruna.
5.77.1 Voglion sempre seguirla a l' ombra al sole,
5.77.2 e per lei combattendo espor la vita.
5.77.3 Ella fanne alcun motto, e con parole
5.77.4 tronche e dolci sospir a ciò gli invita,
5.77.5 ed or con questo ed or con quel si duole
5.77.6 che far convienle senza lui partita.
5.77.7 S' erano armati intanto, e da Goffredo
5.77.8 toglieano i diece cavalier congedo.
5.78.1 Gli ammonisce quel saggio a parte a parte
5.78.2 come la fé pagana è incerta e leve,
5.78.3 e mal securo pegno; e con qual arte
5.78.4 l' insidie e i casi aversi uom fuggir deve;
5.78.5 ma son le sue parole al vento sparte,
5.78.6 né consiglio d' uom sano Amor riceve.
5.78.7 Lor dà commiato al fine, e la donzella
5.78.8 non aspetta al partir l' alba novella.
5.79.1 Parte la vincitrice, e quei rivali
5.79.2 quasi prigioni al suo trionfo inanti
5.79.3 seco n' adduce, e tra infiniti mali
5.79.4 lascia la turba poi de gli altri amanti.
5.79.5 Ma come uscì la notte, e sotto l' ali
5.79.6 menò il silenzio e i levi sogni erranti,
5.79.7 secretamente, com' Amor gl' informa,
5.79.8 molti d' Armida seguitaron l' orma.
5.80.1 Segue Eustazio il primiero, e pote a pena
5.80.2 aspettar l' ombre che la notte adduce;
5.80.3 vassene frettoloso ove ne 'l mena
5.80.4 per le tenebre cieche un cieco duce.
5.80.5 Errò la notte tepida e serena;
5.80.6 ma poi ne l' apparir de l' alma luce
5.80.7 gli apparse insieme Armida e 'l suo drapello,
5.80.8 dove un borgo lor fu notturno ostello.
5.81.1 Ratto ei vèr lei si move, ed a l' insegna
5.81.2 tosto Rambaldo il riconosce, e grida
5.81.3 che ricerchi fra loro e perché vegna.
5.81.4 -- Vengo -- risponde -- a seguitarne Armida,
5.81.5 ned ella avrà da me, se non la sdegna,
5.81.6 men pronta aita o servitù men fida.--
5.81.7 Replica l' altro:-- Ed a cotanto onore,
5.81.8 di', chi t' elesse? -- Egli soggiunge:-- Amore.
5.82.1 Me scelse Amor, te la Fortuna: or quale
5.82.2 da più giusto elettore eletto parti?--
5.82.3 Dice Rambaldo allor:-- Nulla ti vale
5.82.4 titolo falso, ed usi inutil arti;
5.82.5 né potrai de la vergine regale
5.82.6 fra i campioni legitimi meschiarti,
5.82.7 illegitimo servo.-- E chi -- riprende
5.82.8 cruccioso il giovenetto -- a me il contende?
5.83.1 --Io te 'l difenderò -- colui rispose,
5.83.2 e feglisi a l' incontro in questo dire,
5.83.3 e con voglie egualmente in lui sdegnose
5.83.4 l' altro si mosse e con eguale ardire;
5.83.5 ma qui stese la mano, e si frapose
5.83.6 la tiranna de l' alme in mezzo a l' ire,
5.83.7 ed a l' uno dicea: -- Deh! non t' incresca
5.83.8 ch' a te compagno, a me campion s' accresca.
5.84.1 S' ami che salva i' sia, perché mi privi
5.84.2 in sì grand' uopo de la nova aita?--
5.84.3 Dice a l' altro: -- Opportuno e grato arrivi
5.84.4 difensor di mia fama e di mia vita;
5.84.5 né vuol ragion, né sarà mai ch' io schivi
5.84.6 compagnia nobil tanto e sì gradita.--
5.84.7 Così parlando, ad or ad or tra via
5.84.8 alcun novo campion le sorvenia.
5.85.1 Chi di là giunge e chi di qua, né l' uno
5.85.2 sapea de l' altro, e il mira bieco e torto.
5.85.3 Essa lieta gli accoglie, ed a ciascuno
5.85.4 mostra del suo venir gioia e conforto.
5.85.5 Ma già ne lo schiarir de l' aer bruno
5.85.6 s' era del lor partir Goffredo accorto,
5.85.7 e la mente, indovina de' lor danni,
5.85.8 d' alcun futuro mal par che s' affanni.
5.86.1 Mentre a ciò pur ripensa, un messo appare
5.86.2 polveroso, anelante, in vista afflitto,
5.86.3 in atto d' uom ch' altrui novelle amare
5.86.4 porti, e mostri il dolore in fronte scritto.
5.86.5 Disse costui:-- Signor, tosto nel mare
5.86.6 la grande armata apparirà d' Egitto;
5.86.7 e l' aviso Guglielmo, il qual comanda
5.86.8 a i liguri navigli, a te ne manda.--
5.87.1 Soggiunse a questo poi che, da le navi
5.87.2 sendo condotta vettovaglia al campo,
5.87.3 i cavalli e i cameli onusti e gravi
5.87.4 trovato aveano a mezza strada inciampo,
5.87.5 e ch' i lor difensori uccisi o schiavi
5.87.6 restàr pugnando, e nessun fece scampo,
5.87.7 da i ladroni d' Arabia in una valle
5.87.8 assaliti a la fronte ed a le spalle;
5.88.1 e che l' insano ardire e la licenza
5.88.2 di que' barbari erranti è omai sì grande
5.88.3 ch' in guisa d' un diluvio intorno senza
5.88.4 alcun contrasto si dilata e spande,
5.88.5 onde convien ch' a porre in lor temenza
5.88.6 alcuna squadra di guerrier si mande,
5.88.7 ch' assecuri la via che da l' arene
5.88.8 del mar di Palestina al campo viene.
5.89.1 D' una in un' altra lingua in un momento
5.89.2 ne trapassa la fama e si distende,
5.89.3 e 'l vulgo de' soldati alto spavento
5.89.4 ha de la fame che vicina attende.
5.89.5 Il saggio capitan, che l' ardimento
5.89.6 solito loro in essi or non comprende,
5.89.7 cerca con lieto volto e con parole
5.89.8 come li rassecuri e riconsole:
5.90.1 -- O per mille perigli e mille affanni
5.90.2 meco passati in quelle parti e in queste,
5.90.3 campion di Dio, ch' a ristorare i danni
5.90.4 de la cristiana sua fede nasceste;
5.90.5 voi, che l' arme di Persia e i greci inganni,
5.90.6 e i monti e i mari e 'l verno e le tempeste,
5.90.7 de la fame i disagi e de la sete
5.90.8 superaste, voi dunque ora temete?
5.91.1 Dunque il Signor che v' indirizza e move,
5.91.2 già conosciuto in caso assai più rio,
5.91.3 non v' assecura, quasi or volga altrove
5.91.4 la man de la clemenza e 'l guardo pio?
5.91.5 Tosto un dì fia che rimembrar vi giove
5.91.6 gli scorsi affanni, e sciòrre i voti a Dio.
5.91.7 Or durate magnanimi, e voi stessi
5.91.8 serbate, prego, a i prosperi successi.--
5.92.1 Con questi detti le smarrite menti
5.92.2 consola e con sereno e lieto aspetto,
5.92.3 ma preme mille cure egre e dolenti
5.92.4 altamente riposte in mezzo al petto.
5.92.5 Come possa nutrir sì varie genti
5.92.6 pensa fra la penuria e tra 'l difetto,
5.92.7 come a l' armata in mar s' opponga, e come
5.92.8 gli Arabi predatori affreni e dome.
CANTO VI
6.1.1 Ma d' altra parte l' assediate genti
6.1.2 speme miglior conforta e rassecura,
6.1.3 ch' oltra il cibo raccolto altri alimenti
6.1.4 son lor dentro portati a notte oscura,
6.1.5 ed han munite d' arme e d' instrumenti
6.1.6 di guerra verso l' Aquilon le mura,
6.1.7 che d' altezza accresciute e sode e grosse
6.1.8 non mostran di temer d' urti o di scosse.
6.2.1 E 'l re pur sempre queste parti e quelle
6.2.2 lor fa inalzare e rafforzare i fianchi,
6.2.3 o l' aureo sol risplenda od a le stelle
6.2.4 ed a la luna il fosco ciel s' imbianchi;
6.2.5 e in far continuamente arme novelle
6.2.6 sudano i fabri affaticati e stanchi.
6.2.7 In sì fatto apparecchio intolerante
6.2.8 a lui se 'n venne, e ragionolli Argante:
6.3.1 -- E insino a quando ci terrai prigioni
6.3.2 fra queste mura in vile assedio e lento?
6.3.3 Odo ben io stridere incudi, e suoni
6.3.4 d' elmi e di scudi e di corazze sento,
6.3.5 ma non veggio a qual uso; e quei ladroni
6.3.6 scorrono i campi e i borghi a lor talento,
6.3.7 né v' è di noi chi mai lor passo arresti,
6.3.8 né tromba che dal sonno almen gli desti.
6.4.1 A lor né i prandi mai turbati e rotti,
6.4.2 né molestate son le cene liete,
6.4.3 anzi egualmente i dì lunghi e le notti
6.4.4 traggon con securezza e con quiete.
6.4.5 Voi da i disagi e da la fame indotti
6.4.6 a darvi vinti a lungo andar sarete
6.4.7 od a morirne qui, come codardi,
6.4.8 quando d' Egitto pur l' aiuto tardi.
6.5.1 Io per me non vuo' già ch' ignobil morte
6.5.2 i giorni miei d' oscuro oblio ricopra,
6.5.3 né vuo' ch' al novo dì fra queste porte
6.5.4 l' alma luce del sol chiuso mi scopra.
6.5.5 Di questo viver mio faccia la sorte
6.5.6 quel che già stabilito è là di sopra;
6.5.7 non farà già che senza oprar la spada
6.5.8 inglorioso e invendicato io cada.
6.6.1 Ma quando pur del valor vostro usato
6.6.2 così non fosse in voi spento ogni seme,
6.6.3 non di morir pugnando ed onorato,
6.6.4 ma di vita e di palma anco avrei speme.
6.6.5 A incontrare i nemici e 'l nostro fato
6.6.6 andianne pur deliberati insieme,
6.6.7 ché spesso avien che ne' maggior perigli
6.6.8 sono i più audaci gli ottimi consigli.
6.7.1 Ma se nel troppo osar tu non isperi,
6.7.2 né sei d' uscir con ogni squadra ardito,
6.7.3 procura almen che sia per duo guerrieri
6.7.4 questo tuo gran litigio or difinito.
6.7.5 E perch' accetti ancor più volentieri
6.7.6 il capitan de' Franchi il nostro invito,
6.7.7 l' arme egli scelga e 'l suo vantaggio toglia,
6.7.8 e le condizion formi a sua voglia.
6.8.1 Ché se 'l nemico avrà due mani ed una
6.8.2 anima solo, ancor ch' audace e fera,
6.8.3 temer non déi, per isciagura alcuna,
6.8.4 che la ragion da me difesa pèra.
6.8.5 Pote in vece di fato e di fortuna
6.8.6 darti la destra mia vittoria intera,
6.8.7 ed a te se medesma or porge in pegno
6.8.8 che se 'l confidi in lei salvo è il tuo regno.--
6.9.1 Tacque, e rispose il re:-- Giovene ardente,
6.9.2 se ben me vedi in grave età senile,
6.9.3 non sono al ferro queste man sì lente,
6.9.4 né sì quest' alma è neghittosa e vile
6.9.5 ch' anzi morir volesse ignobilmente
6.9.6 che di morte magnanima e gentile,
6.9.7 quando io temenza avessi o dubbio alcuno
6.9.8 de' disagi ch' annunzii e del digiuno.
6.10.1 Cessi Dio tanta infamia! Or quel ch' ad arte
6.10.2 nascondo altrui, vuo' ch' a te sia palese.
6.10.3 Soliman di Nicea, che brama in parte
6.10.4 di vendicar le ricevute offese,
6.10.5 de gli Arabi le schiere erranti e sparte
6.10.6 raccolte ha fin dal libico paese,
6.10.7 e i nemici assalendo a l' aria nera
6.10.8 darne soccorso e vettovaglia spera.
6.11.1 Tosto fia che qui giunga; or se fra tanto
6.11.2 son le nostre castella oppresse e serve,
6.11.3 non ce ne caglia, pur che 'l regal manto
6.11.4 e la mia nobil reggia io mi conserve.
6.11.5 Tu l' ardimento e questo ardore alquanto
6.11.6 tempra, per Dio, che 'n te soverchio ferve,
6.11.7 ed opportuna la stagione aspetta
6.11.8 a la tua gloria ed a la mia vendetta.--
6.12.1 Forte sdegnossi il saracino audace,
6.12.2 ch' era di Solimano emulo antico,
6.12.3 sì amaramente ora d' udir gli spiace
6.12.4 che tanto se 'n prometta il rege amico.
6.12.5 -- A tuo senno -- risponde -- e guerra e pace
6.12.6 farai, signor: nulla di ciò più dico.
6.12.7 S' indugi pure, e Soliman s' attenda;
6.12.8 ei, che perdé il suo regno, il tuo difenda.
6.13.1 Vengane a te quasi celeste messo,
6.13.2 liberator del popolo pagano,
6.13.3 ch' io, quanto a me, bastar credo a me stesso,
6.13.4 e sol vuo' libertà da questa mano.
6.13.5 Or nel riposo altrui siami concesso
6.13.6 ch' io ne discenda a guerreggiar nel piano:
6.13.7 privato cavalier, non tuo campione,
6.13.8 verrò co' Franchi a singolar tenzone.--
6.14.1 Replica il re:-- Se ben l' ire e la spada
6.14.2 dovresti riserbare a migliore uso,
6.14.3 che tu sfidi però, se ciò t' aggrada,
6.14.4 alcun guerrier nemico, io non ricuso.--
6.14.5 Così gli disse, ed ei punto non bada:
6.14.6 -- Va' -- dice ad un araldo -- or colà giuso,
6.14.7 ed al duce de' Franchi, udendo l' oste,
6.14.8 fa' queste mie non picciole proposte:
6.15.1 ch' un cavalier, che d' appiattarsi in questo
6.15.2 forte cinto di muri a sdegno prende,
6.15.3 brama di far con l' armi or manifesto
6.15.4 quanto la sua possanza oltra si stende;
6.15.5 e ch' a duello di venirne è presto
6.15.6 nel pian ch' è fra le mura e l' alte tende
6.15.7 per prova di valore, e che disfida
6.15.8 qual più de' Franchi in sua virtù si fida;
6.16.1 e che non solo è di pugnare accinto
6.16.2 e con uno e con duo del campo ostile,
6.16.3 ma dopo il terzo, il quarto accetta e 'l quinto,
6.16.4 sia di vulgare stirpe o di gentile:
6.16.5 dia, se vuol, la franchigia, e serva il vinto
6.16.6 al vincitor come di guerra è stile.--
6.16.7 Così gli impose, ed ei vestissi allotta
6.16.8 la purpurea de l' arme aurata cotta.
6.17.1 E poi che giunse a la regal presenza
6.17.2 del principe Goffredo e de' baroni,
6.17.3 chiese:-- O signore, a i messaggier licenza
6.17.4 dassi tra voi di liberi sermoni?--
6.17.5 --Dassi,-- rispose il capitano -- e senza
6.17.6 alcun timor la tua proposta esponi.--
6.17.7 Riprese quegli:-- Or si parrà se grata
6.17.8 o formidabil fia l' alta ambasciata.--
6.18.1 E seguì poscia, e la disfida espose
6.18.2 con parole magnifiche ed altere.
6.18.3 Fremer s' udiro, e si mostràr sdegnose
6.18.4 al suo parlar quelle feroci schiere;
6.18.5 e senza indugio il pio Buglion rispose:
6.18.6 -- Dura impresa intraprende il cavaliere;
6.18.7 e tosto io creder vuo' che glie ne incresca
6.18.8 sì che d' uopo non fia che 'l quinto n' esca.
6.19.1 Ma venga in prova pur, che d' ogn' oltraggio
6.19.2 gli offero campo libero e securo;
6.19.3 e seco pugnerà senza vantaggio
6.19.4 alcun de' miei campioni, e così giuro.--
6.19.5 Tacque, e tornò il re d' arme al suo viaggio
6.19.6 per l' orme ch' al venir calcate furo,
6.19.7 e non ritenne il frettoloso passo
6.19.8 sin che non diè risposta al fier circasso.
6.20.1 -- Àrmati, -- dice -- alto signor; che tardi?
6.20.2 la disfida accettata hanno i cristiani,
6.20.3 e d' affrontarsi teco i men gagliardi
6.20.4 mostran desio, non che i guerrier soprani.
6.20.5 E mille i' vidi minacciosi sguardi,
6.20.6 e mille al ferro apparecchiate mani:
6.20.7 loco securo il duce a te concede.--
6.20.8 Così gli dice; e l' arme esso richiede,
6.21.1 e se ne cinge intorno e impaziente
6.21.2 di scenderne s' affretta a la campagna.
6.21.3 Disse a Clorinda il re, ch' era presente:
6.21.4 -- Giusto non è ch' ei vada e tu rimagna.
6.21.5 Mille dunque con te di nostra gente
6.21.6 prendi in sua securezza, e l' accompagna;
6.21.7 ma vada inanzi a giusta pugna ei solo,
6.21.8 tu lunge alquanto a lui ritien lo stuolo.--
6.22.1 Tacque ciò detto; e poi che furo armati,
6.22.2 quei del chiuso n' uscivano a l' aperto,
6.22.3 e giva inanzi Argante e de gli usati
6.22.4 arnesi in su 'l cavallo era coperto.
6.22.5 Loco fu tra le mura e gli steccati
6.22.6 che nulla avea di diseguale e d' erto:
6.22.7 ampio e capace, e parea fatto ad arte
6.22.8 perch' egli fosse altrui campo di Marte.
6.23.1 Ivi solo discese, ivi fermosse
6.23.2 in vista de' nemici il fero Argante,
6.23.3 per gran cor, per gran corpo e per gran posse
6.23.4 superbo e minaccievole in sembiante,
6.23.5 qual Encelado in Flegra, o qual mostrosse
6.23.6 ne l' ima valle il filisteo gigante;
6.23.7 ma pur molti di lui tema non hanno,
6.23.8 ch' anco quanto sia forte a pien non sanno.
6.24.1 Alcun però, dal pio Goffredo eletto
6.24.2 come il miglior, ancor non è fra molti.
6.24.3 Ben si vedean con desioso affetto
6.24.4 tutti gli occhi in Tancredi esser rivolti,
6.24.5 e dichiarato infra i miglior perfetto
6.24.6 dal favor manifesto era de' volti;
6.24.7 e s' udia non oscuro anco il bisbiglio,
6.24.8 e l' approvava il capitan co 'l ciglio.
6.25.1 Già cedea ciascun altro, e non secreto
6.25.2 era il volere omai del pio Buglione:
6.25.3 -- Vanne,-- a lui disse -- a te l' uscir non vieto,
6.25.4 e reprimi il furor di quel fellone.--
6.25.5 E tutto in volto baldanzoso e lieto
6.25.6 per sì alto giudizio, il fer garzone
6.25.7 a lo scudier chiedea l' elmo e 'l cavallo,
6.25.8 poi seguito da molti uscia del vallo.
6.26.1 Ed a quel largo pian fatto vicino,
6.26.2 ov' Argante l' attende, anco non era,
6.26.3 quando in leggiadro aspetto e pellegrino
6.26.4 s' offerse a gli occhi suoi l' alta guerriera.
6.26.5 Bianche via più che neve in giogo alpino
6.26.6 avea le sopraveste, e la visiera
6.26.7 alta tenea dal volto; e sovra un' erta,
6.26.8 tutta, quanto ella è grande, era scoperta.
6.27.1 Già non mira Tancredi ove il circasso
6.27.2 la spaventosa fronte al cielo estolle,
6.27.3 ma move il suo destrier con lento passo,
6.27.4 volgendo gli occhi ov' è colei su 'l colle;
6.27.5 poscia immobil si ferma, e pare un sasso:
6.27.6 gelido tutto fuor, ma dentro bolle.
6.27.7 Sol di mirar s' appaga, e di battaglia
6.27.8 sembiante fa che poco or più gli caglia.
6.28.1 Argante, che non vede alcun ch' in atto
6.28.2 dia segno ancor d' apparecchiarsi in giostra:
6.28.3 -- Da desir di contesa io qui fui tratto;--
6.28.4 grida -- or chi viene inanzi, e meco giostra?--
6.28.5 L' altro, attonito quasi e stupefatto,
6.28.6 pur là s' affissa e nulla udir ben mostra.
6.28.7 Ottone inanzi allor spinse il destriero,
6.28.8 e ne l' arringo vòto entrò primiero.
6.29.1 Questi un fu di color cui dianzi accese
6.29.2 di gir contra il pagano alto desio;
6.29.3 pur cedette a Tancredi, e 'n sella ascese
6.29.4 fra gli altri che seguìrlo e seco uscio.
6.29.5 Or veggendo sue voglie altrove intese
6.29.6 e starne lui quasi al pugnar restio,
6.29.7 prende, giovene audace e impaziente,
6.29.8 l' occasione offerta avidamente;
6.30.1 e veloce così che tigre o pardo
6.30.2 va men ratto talor per la foresta,
6.30.3 corre a ferire il saracin gagliardo,
6.30.4 che d' altra parte la gran lancia arresta.
6.30.5 Si scote allor Tancredi, e dal suo tardo
6.30.6 pensier, quasi da un sonno, al fin si desta,
6.30.7 e grida ei ben:-- La pugna è mia; rimanti.--
6.30.8 Ma troppo Ottone è già trascorso inanti.
6.31.1 Onde si ferma; e d' ira e di dispetto
6.31.2 avampa dentro, e fuor qual fiamma è rosso,
6.31.3 perch' ad onta si reca ed a difetto
6.31.4 ch' altri si sia primiero in giostra mosso.
6.31.5 Ma intanto a mezzo il corso in su l' elmetto
6.31.6 dal giovin forte è il saracin percosso;
6.31.7 egli a l' incontro a lui co 'l ferro nudo
6.31.8 fende l' usbergo, e pria rompe lo scudo.
6.32.1 Cade il cristiano, e ben è il colpo acerbo,
6.32.2 poscia ch' avien che da l' arcion lo svella.
6.32.3 Ma il pagan di più forza e di più nerbo
6.32.4 non cade già, né pur si torce in sella;
6.32.5 indi con dispettoso atto superbo
6.32.6 sovra il caduto cavalier favella:
6.32.7 -- Renditi vinto, e per tua gloria basti
6.32.8 che dir potrai che contra me pugnasti.--
6.33.1 -- No, -- gli risponde Otton -- fra noi non s' usa
6.33.2 così tosto depor l' arme e l' ardire;
6.33.3 altri del mio cader farà la scusa,
6.33.4 io vuo' far la vendetta o qui morire.--
6.33.5 In sembianza d' Aletto e di Medusa
6.33.6 freme il circasso, e par che fiamma spire:
6.33.7 -- Conosci or -- dice -- il mio valor a prova,
6.33.8 poi che la cortesia sprezzar ti giova.--
6.34.1 Spinge il destrier in questo, e tutto oblia
6.34.2 quanto virtù cavaleresca chiede.
6.34.3 Fugge il franco l' incontro e si desvia,
6.34.4 e 'l destro fianco nel passar gli fiede,
6.34.5 ed è sì grave la percossa e ria
6.34.6 che 'l ferro sanguinoso indi ne riede;
6.34.7 ma che pro, se la piaga al vincitore
6.34.8 forza non toglie e giunge ira e furore?
6.35.1 Argante il corridor dal corso affrena,
6.35.2 e indietro il volge; e così tosto è vòlto,
6.35.3 che se n' accorge il suo nemico a pena,
6.35.4 e d' un grand' urto a l' improviso è colto.
6.35.5 Tremar le gambe, indebolir la lena,
6.35.6 sbigottir l' alma e impallidir il volto
6.35.7 fègli l' aspra percossa, e frale e stanco
6.35.8 sovra il duro terren battere il fianco.
6.36.1 Ne l' ira Argante infellonisce, e strada
6.36.2 sovra il petto del vinto al destrier face;
6.36.3 e: -- Così-- grida-- ogni superbo vada,
6.36.4 come costui che sotto i piè mi giace.--
6.36.5 Ma l' invitto Tancredi allor non bada,
6.36.6 ché l' atto crudelissimo gli spiace,
6.36.7 e vuol che 'l suo valor con chiara emenda
6.36.8 copra il suo fallo e, come suol, risplenda.
6.37.1 Fassi inanzi gridando: -- Anima vile,
6.37.2 che ancor ne le vittorie infame sei,
6.37.3 qual titolo di laude alto e gentile
6.37.4 da modi attendi sì scortesi e rei?
6.37.5 Fra i ladroni d' Arabia o fra simìle
6.37.6 barbara turba avezzo esser tu déi.
6.37.7 Fuggi la luce, e va' con l' altre belve
6.37.8 a incrudelir ne' monti e tra le selve. --
6.38.1 Tacque; e 'l pagano, al sofferir poco uso,
6.38.2 morde le labra e di furor si strugge.
6.38.3 Risponder vuol, ma il suono esce confuso
6.38.4 sì come strido d' animal che rugge;
6.38.5 o come apre le nubi ond' egli è chiuso
6.38.6 impetuoso il fulmine, e se 'n fugge,
6.38.7 così pareva a forza ogni suo detto
6.38.8 tonando uscir da l' infiammato petto.
6.39.1 Ma poi ch' in ambo il minacciar feroce
6.39.2 a vicenda irritò l' orgoglio e l' ira,
6.39.3 l' un come l' altro rapido e veloce,
6.39.4 spazio al corso prendendo, il destrier gira.
6.39.5 Or qui, Musa, rinforza in me la voce,
6.39.6 e furor pari a quel furor m' inspira,
6.39.7 sì che non sian de l' opre indegni i carmi
6.39.8 ed esprima il mio canto il suon de l' armi.
6.40.1 Posero in resta e dirizzaro in alto
6.40.2 i duo guerrier le noderose antenne;
6.40.3 né fu di corso mai, né fu di salto,
6.40.4 né fu mai tal velocità di penne,
6.40.5 né furia eguale a quella ond' a l' assalto
6.40.6 quinci Tancredi e quindi Argante venne.
6.40.7 Rupper l' aste su gli elmi, e volàr mille
6.40.8 tronconi e scheggie e lucide faville.
6.41.1 Sol de i colpi il rimbombo intorno mosse
6.41.2 l' immobil terra, e risonàrne i monti;
6.41.3 ma l' impeto e 'l furor de le percosse
6.41.4 nulla piegò de le superbe fronti.
6.41.5 L' uno e l' altro cavallo in guisa urtosse
6.41.6 che non fur poi cadendo a sorger pronti.
6.41.7 Tratte le spade, i gran mastri di guerra
6.41.8 lasciàr le staffe e i piè fermaro in terra.
6.42.1 Cautamente ciascuno a i colpi move
6.42.2 la destra, a i guardi l' occhio, a i passi il piede;
6.42.3 si reca in atti vari, in guardie nove:
6.42.4 or gira intorno, or cresce inanzi, or cede,
6.42.5 or qui ferire accenna e poscia altrove,
6.42.6 dove non minacciò ferir si vede,
6.42.7 or di sé discoprire alcuna parte
6.42.8 e tentar di schernir l' arte con l' arte.
6.43.1 De la spada Tancredi e de lo scudo
6.43.2 mal guardato al pagan dimostra il fianco;
6.43.3 corre egli per ferirlo, e intanto nudo
6.43.4 di riparo si lascia il lato manco.
6.43.5 Tancredi con un colpo il ferro crudo
6.43.6 del nemico ribatte, e lui fère anco;
6.43.7 né poi, ciò fatto, in ritirarsi tarda,
6.43.8 ma si raccoglie e si ristringe in guarda.
6.44.1 Il fero Argante, che se stesso mira
6.44.2 del proprio sangue suo macchiato e molle,
6.44.3 con insolito orror freme e sospira,
6.44.4 di cruccio e di dolor turbato e folle;
6.44.5 e portato da l' impeto e da l' ira,
6.44.6 con la voce la spada insieme estolle,
6.44.7 e torna per ferire, ed è di punta
6.44.8 piagato ov' è la spalla al braccio giunta.
6.45.1 Qual ne l' alpestri selve orsa, che senta
6.45.2 duro spiedo nel fianco, in rabbia monta,
6.45.3 e contra l' arme se medesma aventa
6.45.4 e i perigli e la morte audace affronta,
6.45.5 tale il circasso indomito diventa:
6.45.6 giunta or piaga a la piaga, ed onta a l' onta,
6.45.7 e la vendetta far tanto desia
6.45.8 che sprezza i rischi e le difese oblia.
6.46.1 E congiungendo a temerario ardire
6.46.2 estrema forza e infaticabil lena,
6.46.3 vien che sì impetuoso il ferro gire
6.46.4 che ne trema la terra e 'l ciel balena;
6.46.5 né tempo ha l' altro ond' un sol colpo tire,
6.46.6 onde si copra, onde respiri a pena,
6.46.7 né schermo v' è ch' assecurar il possa
6.46.8 da la fretta d' Argante e da la possa.
6.47.1 Tancredi, in sé raccolto, attende in vano
6.47.2 che de' gran colpi la tempesta passi.
6.47.3 Or v' oppon le difese, ed or lontano
6.47.4 se 'n va co' giri e co' veloci passi;
6.47.5 ma poi che non s' allenta il fer pagano,
6.47.6 è forza al fin che trasportar si lassi,
6.47.7 e cruccioso egli ancor con quanta pote
6.47.8 violenza maggior la spada rote.
6.48.1 Vinta da l' ira è la ragione e l' arte,
6.48.2 e le forze il furor ministra e cresce.
6.48.3 Sempre che scende, il ferro o fóra o parte
6.48.4 o piastra o maglia, e colpo in van non esce.
6.48.5 Sparsa è d' arme la terra, e l' arme sparte
6.48.6 di sangue, e 'l sangue co 'l sudor si mesce.
6.48.7 Lampo nel fiammeggiar, nel romor tuono,
6.48.8 fulmini nel ferir le spade sono.
6.49.1 Questo popolo e quello incerto pende
6.49.2 da sì novo spettacolo ed atroce,
6.49.3 e fra tema e speranza il fin n' attende,
6.49.4 mirando or ciò che giova, or ciò che noce;
6.49.5 e non si vede pur, né pur s' intende
6.49.6 picciol cenno fra tanti o bassa voce,
6.49.7 ma se ne sta ciascun tacito e immoto,
6.49.8 se non se in quanto ha il cor tremante in moto.
6.50.1 Già lassi erano entrambi, e giunti forse
6.50.2 sarian pugnando ad immaturo fine,
6.50.3 ma sì oscura la notte intanto sorse
6.50.4 che nascondea le cose anco vicine.
6.50.5 Quinci un araldo e quindi un altro accorse
6.50.6 per dipartirli, e li partiro al fine.
6.50.7 L' uno è il franco Arideo, Pindoro è l' altro,
6.50.8 che portò la disfida, uom saggio e scaltro.
6.51.1 I pacifici scettri osàr costoro
6.51.2 fra le spade interpor de' combattenti,
6.51.3 con quella securtà che porgea loro
6.51.4 l' antichissima legge de le genti.
6.51.5 -- Sète, o guerrieri, -- incominciò Pindoro --
6.51.6 con pari onor, di pari ambo possenti;
6.51.7 dunque cessi la pugna, e non sian rotte
6.51.8 le ragioni e 'l riposo de la notte.
6.52.1 Tempo è da travagliar mentre il sol dura,
6.52.2 ma ne la notte ogni animale ha pace,
6.52.3 e generoso cor non molto cura
6.52.4 notturno pregio che s' asconde e tace.--
6.52.5 Risponde Argante:-- A me per ombra oscura
6.52.6 la mia battaglia abbandonar non piace,
6.52.7 ben avrei caro il testimon del giorno!
6.52.8 Ma che giuri costui di far ritorno!--
6.53.1 Soggiunse l' altro allora: -- E tu prometti
6.53.2 di tornar rimenando il tuo prigione,
6.53.3 perch' altrimenti non fia mai ch' aspetti
6.53.4 per la nostra contesa altra stagione.--
6.53.5 Così giuraro; e poi gli araldi, eletti
6.53.6 a prescriver il tempo a la tenzone,
6.53.7 per dare spazio a le lor piaghe onesto,
6.53.8 stabiliro il mattin del giorno sesto.
6.54.1 Lasciò la pugna orribile nel core
6.54.2 de' saracini e de' fedeli impressa
6.54.3 un' alta meraviglia ed un orrore
6.54.4 che per lunga stagione in lor non cessa.
6.54.5 Sol de l' ardir si parla e del valore
6.54.6 che l' un guerriero e l' altro ha mostro in essa,
6.54.7 ma qual si debbia di lor due preporre,
6.54.8 vario e discorde il vulgo in sé discorre;
6.55.1 e sta sospeso in aspettando quale
6.55.2 avrà la fera lite avenimento,
6.55.3 e se 'l furore a la virtù prevale
6.55.4 o se cede l' audacia a l' ardimento.
6.55.5 Ma più di ciascun altro a cui ne cale,
6.55.6 la bella Erminia n' ha cura e tormento,
6.55.7 che da i giudizi de l' incerto Marte
6.55.8 vede pender di sé la miglior parte.
6.56.1 Costei, che figlia fu del re Cassano
6.56.2 che d' Antiochia già l' imperio tenne,
6.56.3 preso il suo regno, al vincitor cristiano
6.56.4 fra l' altre prede anch' ella in poter venne.
6.56.5 Ma fulle in guisa allor Tancredi umano
6.56.6 che nulla ingiuria in sua balia sostenne;
6.56.7 ed onorata fu, ne la ruina
6.56.8 de l' alta patria sua, come reina.
6.57.1 L' onorò, la servì, di libertate
6.57.2 dono le fece il cavaliero egregio,
6.57.3 e le furo da lui tutte lasciate
6.57.4 le gemme e gli ori e ciò ch' avea di pregio.
6.57.5 Ella vedendo in giovanetta etate
6.57.6 e in leggiadri sembianti animo regio,
6.57.7 restò presa d' Amor, che mai non strinse
6.57.8 laccio di quel più fermo onde lei cinse.
6.58.1 Così se 'l corpo libertà riebbe,
6.58.2 fu l' alma sempre in servitute astretta.
6.58.3 Ben molto a lei d' abbandonar increbbe
6.58.4 il signor caro e la prigion diletta;
6.58.5 ma l' onestà regal, che mai non debbe
6.58.6 da magnanima donna esser negletta,
6.58.7 la constrinse a partirsi, e con l' antica
6.58.8 madre a ricoverarsi in terra amica.
6.59.1 Venne a Gierusalemme, e quivi accolta
6.59.2 fu dal tiranno del paese ebreo;
6.59.3 ma tosto pianse in nere spoglie avolta
6.59.4 de la sua genitrice il fato reo.
6.59.5 Pur né 'l duol che le sia per morte tolta,
6.59.6 né l' essiglio infelice, unqua poteo
6.59.7 l' amoroso desio sveller dal core,
6.59.8 né favilla ammorzar di tanto ardore.
6.60.1 Ama ed arde la misera, e sì poco
6.60.2 in tale stato che sperar le avanza
6.60.3 che nudrisce nel sen l' occulto foco
6.60.4 di memoria via più che di speranza;
6.60.5 e quanto è chiuso in più secreto loco,
6.60.6 tanto ha l' incendio suo maggior possanza.
6.60.7 Tancredi al fine a risvegliar sua spene
6.60.8 sovra Gierusalemme ad oste viene.
6.61.1 Sbigottìr gli altri a l' apparir di tante
6.61.2 nazioni, e sì indomite e sì fere;
6.61.3 fe' sereno ella il torbido sembiante
6.61.4 e lieta vagheggiò le squadre altere,
6.61.5 e con avidi sguardi il caro amante
6.61.6 cercando gio fra quelle armate schiere.
6.61.7 Cercollo in van sovente ed anco spesso:
6.61.8 -- Eccolo -- disse, e 'l riconobbe espresso.
6.62.1 Nel palagio regal sublime sorge
6.62.2 antica torre assai presso a le mura,
6.62.3 da la cui sommità tutta si scorge
6.62.4 l' oste cristiana, e 'l monte e la pianura.
6.62.5 Quivi, da che il suo lume il sol ne porge
6.62.6 in sin che poi la notte il mondo oscura,
6.62.7 s' asside, e gli occhi verso il campo gira
6.62.8 e co' pensieri suoi parla e sospira.
6.63.1 Quinci vide la pugna, e 'l cor nel petto
6.63.2 sentì tremarsi in quel punto sì forte
6.63.3 che parea che dicesse: --Il tuo diletto
6.63.4 è quegli là ch' in rischio è de la morte.--
6.63.5 Così d' angoscia piena e di sospetto
6.63.6 mirò i successi de la dubbia sorte,
6.63.7 e sempre che la spada il pagan mosse,
6.63.8 sentì ne l' alma il ferro e le percosse.
6.64.1 Ma poi ch' il vero intese, e intese ancora
6.64.2 che dée l' aspra tenzon rinovellarsi,
6.64.3 insolito timor così l' accora
6.64.4 che sente il sangue suo di ghiaccio farsi.
6.64.5 Talor secrete lagrime e talora
6.64.6 sono occulti da lei gemiti sparsi:
6.64.7 pallida, essangue e sbigottita in atto,
6.64.8 lo spavento e 'l dolor v' avea ritratto.
6.65.1 Con orribile imago il suo pensiero
6.65.2 ad or ad or la turba e la sgomenta,
6.65.3 e via più che la morte il sonno è fero,
6.65.4 sì strane larve il sogno le appresenta.
6.65.5 Parle veder l' amato cavaliero
6.65.6 lacero e sanguinoso, e par che senta
6.65.7 ch' egli aita le chieda; e desta intanto,
6.65.8 si trova gli occhi e 'l sen molle di pianto.
6.66.1 Né sol la tema di futuro danno
6.66.2 con sollecito moto il cor le scote,
6.66.3 ma de le piaghe ch' egli avea l' affanno
6.66.4 è cagion che quetar l' alma non pote;
6.66.5 e i fallaci romor, ch' intorno vanno,
6.66.6 crescon le cose incognite e remote,
6.66.7 sì ch' ella avisa che vicino a morte
6.66.8 giaccia oppresso languendo il guerrier forte.
6.67.1 E però ch' ella da la madre apprese
6.67.2 qual più secreta sia virtù de l' erbe,
6.67.3 e con quai carmi ne le membra offese
6.67.4 sani ogni piaga e 'l duol si disacerbe
6.67.5 (arte che per usanza in quel paese
6.67.6 ne le figlie de i re par che si serbe),
6.67.7 vorria di sua man propria a le ferute
6.67.8 del suo caro signor recar salute.
6.68.1 Ella l' amato medicar desia,
6.68.2 e curar il nemico a lei conviene;
6.68.3 pensa talor d' erba nocente e ria
6.68.4 succo sparger in lui che l' avelene,
6.68.5 ma schiva poi la man vergine e pia
6.68.6 trattar l' arti maligne, e se n' astiene.
6.68.7 Brama ella almen ch' in uso tal sia vòta
6.68.8 di sua virtude ogn' erba ed ogni nota.
6.69.1 Né già d' andar fra la nemica gente
6.69.2 temenza avria, ché peregrina era ita,
6.69.3 e viste guerre e stragi avea sovente,
6.69.4 e scorsa dubbia e faticosa vita,
6.69.5 sì che per l' uso la feminea mente
6.69.6 sovra la sua natura è fatta ardita,
6.69.7 e di leggier non si conturba e pave
6.69.8 ad ogni imagin di terror men grave.
6.70.1 Ma più ch' altra cagion, dal molle seno
6.70.2 sgombra Amor temerario ogni paura,
6.70.3 e crederia fra l' ugne e fra 'l veneno
6.70.4 de l' africane belve andar secura;
6.70.5 pur se non de la vita, avere almeno
6.70.6 de la sua fama dée temenza e cura,
6.70.7 e fan dubbia contesa entro al suo core
6.70.8 duo potenti nemici, Onore e Amore.
6.71.1 L' un così le ragiona: --O verginella,
6.71.2 che le mie leggi insino ad or serbasti,
6.71.3 io mentre ch' eri de' nemici ancella
6.71.4 ti conservai la mente e i membri casti;
6.71.5 e tu libera or vuoi perder la bella
6.71.6 verginità ch' in prigionia guardasti?
6.71.7 Ahi! nel tenero cor questi pensieri
6.71.8 chi svegliar può? che pensi, oimè? che speri?
6.72.1 Dunque il titolo tu d' esser pudica
6.72.2 sì poco stimi, e d' onestate il pregio,
6.72.3 che te n' andrai fra nazion nemica,
6.72.4 notturna amante, a ricercar dispregio?
6.72.5 Onde il superbo vincitor ti dica:
6.72.6 "Perdesti il regno, e in un l' animo regio;
6.72.7 non sei di me tu degna", e ti conceda
6.72.8 vulgare a gli altri e mal gradita preda.--
6.73.1 Da l' altra parte, il consiglier fallace
6.73.2 con tai lusinghe al suo piacer l' alletta:
6.73.3 --Nata non sei tu già d' orsa vorace,
6.73.4 né d' aspro e freddo scoglio, o giovanetta,
6.73.5 ch' abbia a sprezzar d' Amor l' arco e la face
6.73.6 ed a fuggir ognor quel che diletta,
6.73.7 né petto hai tu di ferro o di diamante
6.73.8 che vergogna ti sia l' esser amante.
6.74.1 Deh! vanne omai dove il desio t' invoglia.
6.74.2 Ma qual ti fingi vincitor crudele?
6.74.3 Non sai com' egli al tuo doler si doglia,
6.74.4 come compianga al pianto, a le querele?
6.74.5 Crudel sei tu, che con sì pigra voglia
6.74.6 movi a portar salute al tuo fedele.
6.74.7 Langue, o fera ed ingrata, il pio Tancredi,
6.74.8 e tu de l' altrui vita a cura siedi!
6.75.1 Sana tu pur Argante, acciò che poi
6.75.2 il tuo liberator sia spinto a morte:
6.75.3 così disciolti avrai gli oblighi tuoi,
6.75.4 e sì bel premio fia ch' ei ne riporte.
6.75.5 È possibil però che non t' annoi
6.75.6 quest' empio ministero or così forte
6.75.7 che la noia non basti e l' orror solo
6.75.8 a far che tu di qua te 'n fugga a volo?
6.76.1 Deh! ben fòra, a l' incontra, ufficio umano,
6.76.2 e ben n' avresti tu gioia e diletto,
6.76.3 se la pietosa tua medica mano
6.76.4 avicinassi al valoroso petto;
6.76.5 ché per te fatto il tuo signor poi sano
6.76.6 colorirebbe il suo smarrito aspetto,
6.76.7 e le bellezze sue, che spente or sono,
6.76.8 vagheggiaresti in lui quasi tuo dono.
6.77.1 Parte ancor poi ne le sue lodi avresti,
6.77.2 e ne l' opre ch' ei fèsse alte e famose,
6.77.3 ond' egli te d' abbracciamenti onesti
6.77.4 faria lieta, e di nozze aventurose.
6.77.5 Poi mostra a dito ed onorata andresti
6.77.6 fra le madri latine e fra le spose
6.77.7 là ne la bella Italia, ov' è la sede
6.77.8 del valor vero e de la vera fede.--
6.78.1 Da tai speranze lusingata (ahi stolta!)
6.78.2 somma felicitate a sé figura;
6.78.3 ma pur si trova in mille dubbi avolta
6.78.4 come partir si possa indi secura,
6.78.5 perché vegghian le guardie e sempre in volta
6.78.6 van di fuori al palagio e su le mura,
6.78.7 né porta alcuna, in tal rischio di guerra,
6.78.8 senza grave cagion mai si disserra.
6.79.1 Soleva Erminia in compagnia sovente
6.79.2 de la guerriera far lunga dimora.
6.79.3 Seco la vide il sol da l' occidente,
6.79.4 seco la vide la novella aurora;
6.79.5 e quando son del dì le luci spente,
6.79.6 un sol letto le accolse ambe talora:
6.79.7 e null' altro pensier che l' amoroso
6.79.8 l' una vergine a l' altra avrebbe ascoso.
6.80.1 Questo sol tiene Erminia a lei secreto
6.80.2 e s' udita da lei talor si lagna,
6.80.3 reca ad altra cagion del cor non lieto
6.80.4 gli affetti, e par che di sua sorte piagna.
6.80.5 Or in tanta amistà senza divieto
6.80.6 venir sempre ne pote a la compagna,
6.80.7 né stanza al giunger suo giamai si serra,
6.80.8 siavi Clorinda, o sia in consiglio o 'n guerra.
6.81.1 Vennevi un giorno ch' ella in altra parte
6.81.2 si ritrovava, e si fermò pensosa,
6.81.3 pur tra sé rivolgendo i modi e l' arte
6.81.4 de la bramata sua partenza ascosa.
6.81.5 Mentre in vari pensier divide e parte
6.81.6 l' incerto animo suo che non ha posa,
6.81.7 sospese di Clorinda in alto mira
6.81.8 l' arme e le sopraveste: allor sospira.
6.82.1 E tra sé dice sospirando: --O quanto
6.82.2 beata è la fortissima donzella!
6.82.3 quant' io la invidio! e non l' invidio il vanto
6.82.4 o 'l feminil onor de l' esser bella.
6.82.5 A lei non tarda i passi il lungo manto,
6.82.6 né 'l suo valor rinchiude invida cella,
6.82.7 ma veste l' armi, e se d' uscirne agogna,
6.82.8 vassene e non la tien tema o vergogna.
6.83.1 Ah perché forti a me natura e 'l cielo
6.83.2 altrettanto non fèr le membra e 'l petto,
6.83.3 onde potessi anch' io la gonna e 'l velo
6.83.4 cangiar ne la corazza e ne l' elmetto?
6.83.5 Ché sì non riterrebbe arsura o gelo,
6.83.6 non turbo o pioggia il mio infiammato affetto,
6.83.7 ch' al sol non fossi ed al notturno lampo,
6.83.8 accompagnata o sola, armata in campo.
6.84.1 Già non avresti, o dispietato Argante,
6.84.2 co 'l mio signor pugnato tu primiero,
6.84.3 ch' io sarei corsa ad incontrarlo inante;
6.84.4 e forse or fòra qui mio prigionero
6.84.5 e sosterria da la nemica amante
6.84.6 giogo di servitù dolce e leggiero,
6.84.7 e già per li suoi nodi i' sentirei
6.84.8 fatti soavi e alleggeriti i miei.
6.85.1 O vero a me da la sua destra il fianco
6.85.2 sendo percosso, e riaperto il core,
6.85.3 pur risanata in cotal guisa almanco
6.85.4 colpo di ferro avria piaga d' Amore;
6.85.5 ed or la mente in pace e 'l corpo stanco
6.85.6 riposariansi, e forse il vincitore
6.85.7 degnato avrebbe il mio cenere e l' ossa
6.85.8 d' alcun onor di lagrime e di fossa.
6.86.1 Ma lassa! i' bramo non possibil cosa,
6.86.2 e tra folli pensier in van m' avolgo;
6.86.3 io mi starò qui timida e dogliosa
6.86.4 com' una pur del vil femineo volgo.
6.86.5 Ah! non starò: cor mio, confida ed osa.
6.86.6 Perch' una volta anch' io l' arme non tolgo?
6.86.7 perché per breve spazio non potrolle
6.86.8 sostener, benché sia debile e molle?
6.87.1 Sì potrò, sì, ché mi farà possente
6.87.2 a tolerarne il peso Amor tiranno,
6.87.3 da cui spronati ancor s' arman sovente
6.87.4 d' ardire i cervi imbelli e guerra fanno.
6.87.5 Io guerreggiar non già, vuo' solamente
6.87.6 far con quest' armi un ingegnoso inganno:
6.87.7 finger mi vuo' Clorinda; e ricoperta
6.87.8 sotto l' imagin sua, d' uscir son certa.
6.88.1 Non ardirieno a lei far i custodi
6.88.2 de l' alte porte resistenza alcuna.
6.88.3 Io pur ripenso, e non veggio altri modi:
6.88.4 aperta è, credo, questa via sol una.
6.88.5 Or favorisca l' innocenti frodi
6.88.6 Amor che le m' inspira e la Fortuna.
6.88.7 E ben al mio partir commoda è l' ora,
6.88.8 mentre co 'l re Clorinda anco dimora.--
6.89.1 Così risolve; e stimolata e punta
6.89.2 da le furie d' Amor, più non aspetta,
6.89.3 ma da quella a la sua stanza congiunta
6.89.4 l' arme involate di portar s' affretta.
6.89.5 E far lo può, ché quando ivi fu giunta,
6.89.6 diè loco ogn' altro, e si restò soletta;
6.89.7 e la notte i suoi furti ancor copria,
6.89.8 ch' a i ladri amica ed a gli amanti uscia.
6.90.1 Essa veggendo il ciel d' alcuna stella
6.90.2 già sparso intorno divenir più nero,
6.90.3 senza fraporvi alcuno indugio appella
6.90.4 secretamente un suo fedel scudiero
6.90.5 ed una sua leal diletta ancella,
6.90.6 e parte scopre lor del suo pensiero.
6.90.7 Scopre il disegno de la fuga, e finge
6.90.8 ch' altra cagion a dipartir l' astringe.
6.91.1 Lo scudiero fedel sùbito appresta
6.91.2 ciò ch' al lor uopo necessario crede.
6.91.3 Erminia intanto la pomposa vesta
6.91.4 si spoglia, che le scende insino al piede,
6.91.5 e in ischietto vestir leggiadra resta
6.91.6 e snella sì ch' ogni credenza eccede;
6.91.7 né, trattane colei ch' a la partita
6.91.8 scelta s' avea, compagna altra l' aita.
6.92.1 Co 'l durissimo acciar preme ed offende
6.92.2 il delicato collo e l' aurea chioma,
6.92.3 e la tenera man lo scudo prende,
6.92.4 pur troppo grave e insopportabil soma.
6.92.5 Così tutta di ferro intorno splende,
6.92.6 e in atto militar se stessa doma.
6.92.7 Gode Amor ch' è presente, e tra sé ride,
6.92.8 come allor già ch' avolse in gonna Alcide.
6.93.1 Oh! con quanta fatica ella sostiene
6.93.2 l' inegual peso e move lenti i passi,
6.93.3 ed a la fida compagnia s' attiene
6.93.4 che per appoggio andar dinanzi fassi.
6.93.5 Ma rinforzan gli spirti Amore e spene
6.93.6 e ministran vigore a i membri lassi,
6.93.7 sì che giungono al loco ove le aspetta
6.93.8 lo scudiero, e in arcion sagliono in fretta.
6.94.1 Travestiti ne vanno, e la più ascosa
6.94.2 e più riposta via prendono ad arte,
6.94.3 pur s' avengono in molti e l' aria ombrosa
6.94.4 veggon lucer di ferro in ogni parte;
6.94.5 ma impedir lor viaggio alcun non osa,
6.94.6 e cedendo il sentier ne va in disparte,
6.94.7 ché quel candido ammanto e la temuta
6.94.8 insegna anco ne l' ombra è conosciuta.
6.95.1 Erminia, benché quinci alquanto sceme
6.95.2 del dubbio suo, non va però secura,
6.95.3 ché d' essere scoperta a la fin teme
6.95.4 e del suo troppo ardir sente or paura;
6.95.5 ma pur, giunta a la porta, il timor preme
6.95.6 ed inganna colui che n' ha la cura.
6.95.7 -- Io son Clorinda, -- disse -- apri la porta,
6.95.8 ché 'l re m' invia dove l' andare importa.--
6.96.1 La voce feminil sembiante a quella
6.96.2 de la guerriera agevola l' inganno
6.96.3 (chi crederia veder armata in sella
6.96.4 una de l' altre ch' arme oprar non sanno?),
6.96.5 sì che 'l portier tosto ubidisce, ed ella
6.96.6 n' esce veloce e i duo che seco vanno;
6.96.7 e per lor securezza entro le valli
6.96.8 calando prendon lunghi obliqui calli.
6.97.1 Ma poi ch' Erminia in solitaria ed ima
6.97.2 parte si vede, alquanto il corso allenta,
6.97.3 ch' i primi rischi aver passati estima,
6.97.4 né d' esser ritenuta omai paventa.
6.97.5 Or pensa a quello a che pensato in prima
6.97.6 non bene aveva; ed or le s' appresenta
6.97.7 difficil più ch' a lei non fu mostrata
6.97.8 dal frettoloso suo desir, l' entrata.
6.98.1 Vede or che sotto il militar sembiante
6.98.2 ir tra feri nemici è gran follia;
6.98.3 né d' altra parte palesarsi, inante
6.98.4 ch' al suo signor giungesse, altrui vorria.
6.98.5 A lui secreta ed improvisa amante
6.98.6 con secura onestà giunger desia;
6.98.7 onde si ferma, e da miglior pensiero
6.98.8 fatta più cauta parla al suo scudiero:
6.99.1 -- Essere, o mio fedele, a te conviene
6.99.2 mio precursor, ma sii pronto e sagace.
6.99.3 Vattene al campo, e fa' ch' alcun ti mene
6.99.4 e t' introduca ove Tancredi giace,
6.99.5 a cui dirai che donna a lui ne viene
6.99.6 che gli apporta salute e chiede pace:
6.99.7 pace, poscia ch' Amor guerra mi move,
6.99.8 ond' ei salute, io refrigerio trove;
6.100.1 e ch' essa ha in lui sì certa e viva fede
6.100.2 ch' in suo poter non teme onta né scorno.
6.100.3 Di' sol questo a lui solo; e s' altro ei chiede,
6.100.4 di' non saperlo e affretta il tuo ritorno.
6.100.5 Io (ché questa mi par secura sede)
6.100.6 in questo mezzo qui farò soggiorno.--
6.100.7 Così disse la donna, e quel leale
6.100.8 gìa veloce così come avesse ale.
6.101.1 E 'n guisa oprar sapea, ch' amicamente
6.101.2 entro a i chiusi ripari era raccolto,
6.101.3 e poi condotto al cavalier giacente,
6.101.4 che l' ambasciata udia con lieto volto;
6.101.5 e già lasciando ei lui, che ne la mente
6.101.6 mille dubbi pensier avea rivolto,
6.101.7 ne riportava a lei dolce risposta:
6.101.8 ch' entrar potrà, quanto più lice, ascosta.
6.102.1 Ma ella intanto impaziente, a cui
6.102.2 troppo ogni indugio par noioso e greve,
6.102.3 numera fra se stessa i passi altrui
6.102.4 e pensa: --or giunge, or entra, or tornar deve--.
6.102.5 E già le sembra, e se ne duol, colui
6.102.6 men del solito assai spedito e leve.
6.102.7 Spingesi al fine inanti, e 'n parte ascende
6.102.8 onde comincia a discoprir le tende.
6.103.1 Era la notte, e 'l suo stellato velo
6.103.2 chiaro spiegava e senza nube alcuna,
6.103.3 e già spargea rai luminosi e gelo
6.103.4 di vive perle la sorgente luna.
6.103.5 L' innamorata donna iva co 'l cielo
6.103.6 le sue fiamme sfogando ad una ad una,
6.103.7 e secretari del suo amore antico
6.103.8 fea i muti campi e quel silenzio amico.
6.104.1 Poi rimirando il campo ella dicea:
6.104.2 -- O belle a gli occhi miei tende latine!
6.104.3 Aura spira da voi che mi ricrea
6.104.4 e mi conforta pur che m' avicine;
6.104.5 così a mia vita combattuta e rea
6.104.6 qualche onesto riposo il Ciel destine,
6.104.7 come in voi solo il cerco, e solo parmi
6.104.8 che trovar pace io possa in mezzo a l' armi.
6.105.1 Raccogliete me dunque, e in voi si trove
6.105.2 quella pietà che mi promise Amore
6.105.3 e ch' io già vidi, prigioniera altrove,
6.105.4 nel mansueto mio dolce signore.
6.105.5 Né già desio di racquistar mi move
6.105.6 co 'l favor vostro il mio regale onore;
6.105.7 quando ciò non avenga, assai felice
6.105.8 io mi terrò se 'n voi servir mi lice.--
6.106.1 Così parla costei, che non prevede
6.106.2 qual dolente fortuna a lei s' appreste.
6.106.3 Ella era in parte ove per dritto fiede
6.106.4 l' armi sue terse il bel raggio celeste,
6.106.5 sì che da lunge il lampo lor si vede
6.106.6 co 'l bel candor che le circonda e veste,
6.106.7 e la gran tigre ne l' argento impressa
6.106.8 fiammeggia sì ch' ognun direbbe: --È dessa.--
6.107.1 Come volle sua sorte, assai vicini
6.107.2 molti guerrier disposti avean gli aguati;
6.107.3 e n' eran duci duo fratei latini,
6.107.4 Alcandro e Poliferno, e fur mandati
6.107.5 per impedir che dentro a i saracini
6.107.6 greggie non siano e non sian buoi menati;
6.107.7 e se 'l servo passò, fu perché torse
6.107.8 più lunge il passo e rapido trascorse.
6.108.1 Al giovin Poliferno, a cui fu il padre
6.108.2 su gli occhi suoi già da Clorinda ucciso,
6.108.3 viste le spoglie candide e leggiadre,
6.108.4 fu di veder l' alta guerriera aviso,
6.108.5 e contra le irritò l' occulte squadre;
6.108.6 né frenando del cor moto improviso
6.108.7 (com' era in suo furor sùbito e folle)
6.108.8 gridò:-- Sei morta --, e l' asta in van lanciolle.
6.109.1 Sì come cerva ch' assetata il passo
6.109.2 mova a cercar d' acque lucenti e vive,
6.109.3 ove un bel fonte distillar da un sasso
6.109.4 o vide un fiume tra frondose rive,
6.109.5 s' incontra i cani allor che 'l corpo lasso
6.109.6 ristorar crede a l' onde, a l' ombre estive,
6.109.7 volge indietro fuggendo, e la paura
6.109.8 la stanchezza obliar face e l' arsura;
6.110.1 così costei, che de l' amor la sete,
6.110.2 onde l' infermo core è sempre ardente,
6.110.3 spegner ne l' accoglienze oneste e liete
6.110.4 credeva, e riposar la stanca mente,
6.110.5 or che contra gli vien chi glie 'l diviete,
6.110.6 e 'l suon del ferro e le minaccie sente,
6.110.7 se stessa e 'l suo desir primo abbandona,
6.110.8 e 'l veloce destrier timida sprona.
6.111.1 Fugge Erminia infelice, e 'l suo destriero
6.111.2 con prontissimo piede il suol calpesta.
6.111.3 Fugge ancor l' altra donna, e lor quel fero
6.111.4 con molti armati di seguir non resta.
6.111.5 Ecco che da le tende il buon scudiero
6.111.6 con la tarda novella arriva in questa,
6.111.7 e l' altrui fuga ancor dubbio accompagna,
6.111.8 e gli sparge il timor per la campagna.
6.112.1 Ma il più saggio fratello, il quale anch' esso
6.112.2 la non vera Clorinda avea veduto,
6.112.3 non la volle seguir, ch' era men presso,
6.112.4 ma ne l' insidie sue s' è ritenuto;
6.112.5 e mandò con l' aviso al campo un messo
6.112.6 che non armento od animal lanuto,
6.112.7 né preda altra simìl, ma ch' è seguita
6.112.8 dal suo german Clorinda impaurita;
6.113.1 e ch' ei non crede già, né 'l vuol ragione,
6.113.2 ch' ella, ch' è duce e non è sol guerriera,
6.113.3 elegga a l' uscir suo tale stagione
6.113.4 per opportunità che sia leggiera;
6.113.5 ma giudichi e comandi il pio Buglione,
6.113.6 egli farà ciò che da lui s' impera.
6.113.7 Giunge al campo tal nova, e se ne intende
6.113.8 il primo suon ne le latine tende.
6.114.1 Tancredi, cui dinanzi il cor sospese
6.114.2 quell' aviso primiero, udendo or questo,
6.114.3 pensa: --Deh! forse a me venia cortese,
6.114.4 e 'n periglio è per me--, né pensa al resto.
6.114.5 E parte prende sol del grave arnese,
6.114.6 monta a cavallo e tacito esce e presto;
6.114.7 e seguendo gli indizi e l' orme nove,
6.114.8 rapidamente a tutto corso il move.
CANTO VII
7.1.1 Intanto Erminia infra l' ombrose piante
7.1.2 d' antica selva dal cavallo è scòrta,
7.1.3 né più governa il fren la man tremante,
7.1.4 e mezza quasi par tra viva e morta.
7.1.5 Per tante strade si raggira e tante
7.1.6 il corridor ch' in sua balia la porta,
7.1.7 ch' al fin da gli occhi altrui pur si dilegua,
7.1.8 ed è soverchio omai ch' altri la segua.
7.2.1 Qual dopo lunga e faticosa caccia
7.2.2 tornansi mesti ed anelanti i cani
7.2.3 che la fèra perduta abbian di traccia,
7.2.4 nascosa in selva da gli aperti piani,
7.2.5 tal pieni d' ira e di vergogna in faccia
7.2.6 riedono stanchi i cavalier cristiani.
7.2.7 Ella pur fugge, e timida e smarrita
7.2.8 non si volge a mirar s' anco è seguita.
7.3.1 Fuggì tutta la notte, e tutto il giorno
7.3.2 errò senza consiglio e senza guida,
7.3.3 non udendo o vedendo altro d' intorno,
7.3.4 che le lagrime sue, che le sue strida.
7.3.5 Ma ne l' ora che 'l sol dal carro adorno
7.3.6 scioglie i corsieri e in grembo al mar s' annida,
7.3.7 giunse del bel Giordano a le chiare acque
7.3.8 e scese in riva al fiume, e qui si giacque.
7.4.1 Cibo non prende già, ché de' suoi mali
7.4.2 solo si pasce e sol di pianto ha sete;
7.4.3 ma 'l sonno, che de' miseri mortali
7.4.4 è co 'l suo dolce oblio posa e quiete,
7.4.5 sopì co' sensi i suoi dolori, e l' ali
7.4.6 dispiegò sovra lei placide e chete;
7.4.7 né però cessa Amor con varie forme
7.4.8 la sua pace turbar mentre ella dorme.
7.5.1 Non si destò fin che garrir gli augelli
7.5.2 non sentì lieti e salutar gli albori,
7.5.3 e mormorar il fiume e gli arboscelli,
7.5.4 e con l' onda scherzar l' aura e co i fiori.
7.5.5 Apre i languidi lumi e guarda quelli
7.5.6 alberghi solitari de' pastori,
7.5.7 e parle voce udir tra l' acqua e i rami
7.5.8 ch' a i sospiri ed al pianto la richiami.
7.6.1 Ma son, mentr' ella piange, i suoi lamenti
7.6.2 rotti da un chiaro suon ch' a lei ne viene,
7.6.3 che sembra ed è di pastorali accenti
7.6.4 misto e di boscareccie inculte avene.
7.6.5 Risorge, e là s' indrizza a passi lenti,
7.6.6 e vede un uom canuto a l' ombre amene
7.6.7 tesser fiscelle a la sua greggia a canto
7.6.8 ed ascoltar di tre fanciulli il canto.
7.7.1 Vedendo quivi comparir repente
7.7.2 l' insolite arme, sbigottìr costoro;
7.7.3 ma li saluta Erminia e dolcemente
7.7.4 gli affida, e gli occhi scopre e i bei crin d' oro:
7.7.5 --Seguite, -- dice -- aventurosa gente
7.7.6 al Ciel diletta, il bel vostro lavoro,
7.7.7 ché non portano già guerra quest' armi
7.7.8 a l' opre vostre, a i vostri dolci carmi.--
7.8.1 Soggiunse poscia: -- O padre, or che d' intorno
7.8.2 d' alto incendio di guerra arde il paese,
7.8.3 come qui state in placido soggiorno
7.8.4 senza temer le militari offese?
7.8.5 --Figlio, -- ei rispose-- d' ogni oltraggio e scorno
7.8.6 la mia famiglia e la mia greggia illese
7.8.7 sempre qui fur, né strepito di Marte
7.8.8 ancor turbò questa remota parte.
7.9.1 O sia grazia del Ciel che l' umiltade
7.9.2 d' innocente pastor salvi e sublime,
7.9.3 o che, sì come il folgore non cade
7.9.4 in basso pian ma su l' eccelse cime,
7.9.5 così il furor di peregrine spade
7.9.6 sol de' gran re l' altere teste opprime,
7.9.7 né gli avidi soldati a preda alletta
7.9.8 la nostra povertà vile e negletta.
7.10.1 Altrui vile e negletta, a me sì cara
7.10.2 che non bramo tesor né regal verga,
7.10.3 né cura o voglia ambiziosa o avara
7.10.4 mai nel tranquillo del mio petto alberga.
7.10.5 Spengo la sete mia ne l' acqua chiara,
7.10.6 che non tem' io che di venen s' asperga,
7.10.7 e questa greggia e l' orticel dispensa
7.10.8 cibi non compri a la mia parca mensa.
7.11.1 Ché poco è il desiderio, e poco è il nostro
7.11.2 bisogno onde la vita si conservi.
7.11.3 Son figli miei questi ch' addito e mostro,
7.11.4 custodi de la mandra, e non ho servi.
7.11.5 Così me 'n vivo in solitario chiostro,
7.11.6 saltar veggendo i capri snelli e i cervi,
7.11.7 ed i pesci guizzar di questo fiume
7.11.8 e spiegar gli augelletti al ciel le piume.
7.12.1 Tempo già fu, quando più l' uom vaneggia
7.12.2 ne l' età prima, ch' ebbi altro desio
7.12.3 e disdegnai di pasturar la greggia;
7.12.4 e fuggii dal paese a me natio,
7.12.5 e vissi in Menfi un tempo, e ne la reggia
7.12.6 fra i ministri del re fui posto anch' io,
7.12.7 e benché fossi guardian de gli orti
7.12.8 vidi e conobbi pur l' inique corti.
7.13.1 Pur lusingato da speranza ardita
7.13.2 soffrii lunga stagion ciò che più spiace;
7.13.3 ma poi ch' insieme con l' età fiorita
7.13.4 mancò la speme e la baldanza audace,
7.13.5 piansi i riposi di quest' umil vita
7.13.6 e sospirai la mia perduta pace,
7.13.7 e dissi: --O corte, a Dio.-- Così, a gli amici
7.13.8 boschi tornando, ho tratto i dì felici.--
7.14.1 Mentre ei così ragiona, Erminia pende
7.14.2 da la soave bocca intenta e cheta;
7.14.3 e quel saggio parlar, ch' al cor le scende,
7.14.4 de' sensi in parte le procelle acqueta.
7.14.5 Dopo molto pensar, consiglio prende
7.14.6 in quella solitudine secreta
7.14.7 insino a tanto almen farne soggiorno
7.14.8 ch' agevoli fortuna il suo ritorno.
7.15.1 Onde al buon vecchio dice: -- O fortunato,
7.15.2 ch' un tempo conoscesti il male a prova,
7.15.3 se non t' invidii il Ciel sì dolce stato,
7.15.4 de le miserie mie pietà ti mova;
7.15.5 e me teco raccogli in così grato
7.15.6 albergo ch' abitar teco mi giova.
7.15.7 Forse fia che 'l mio core infra quest' ombre
7.15.8 del suo peso mortal parte disgombre.
7.16.1 Ché se di gemme e d' or, che 'l vulgo adora
7.16.2 sì come idoli suoi, tu fossi vago,
7.16.3 potresti ben, tante n' ho meco ancora,
7.16.4 renderne il tuo desio contento e pago.--
7.16.5 Quinci, versando da' begli occhi fora
7.16.6 umor di doglia cristallino e vago,
7.16.7 parte narrò di sue fortune, e intanto
7.16.8 il pietoso pastor pianse al suo pianto.
7.17.1 Poi dolce la consola e sì l' accoglie
7.17.2 come tutt' arda di paterno zelo,
7.17.3 e la conduce ov' è l' antica moglie
7.17.4 che di conforme cor gli ha data il Cielo.
7.17.5 La fanciulla regal di rozze spoglie
7.17.6 s' ammanta, e cinge al crin ruvido velo;
7.17.7 ma nel moto de gli occhi e de le membra
7.17.8 non già di boschi abitatrice sembra.
7.18.1 Non copre abito vil la nobil luce
7.18.2 e quanto è in lei d' altero e di gentile,
7.18.3 e fuor la maestà regia traluce
7.18.4 per gli atti ancor de l' essercizio umile.
7.18.5 Guida la greggia a i paschi e la riduce
7.18.6 con la povera verga al chiuso ovile,
7.18.7 e da l' irsute mamme il latte preme
7.18.8 e 'n giro accolto poi lo stringe insieme.
7.19.1 Sovente, allor che su gli estivi ardori
7.19.2 giacean le pecorelle a l' ombra assise,
7.19.3 ne la scorza de' faggi e de gli allori
7.19.4 segnò l' amato nome in mille guise,
7.19.5 e de' suoi strani ed infelici amori
7.19.6 gli aspri successi in mille piante incise,
7.19.7 e in rileggendo poi le proprie note
7.19.8 rigò di belle lagrime le gote.
7.20.1 Indi dicea piangendo: -- In voi serbate
7.20.2 questa dolente istoria, amiche piante;
7.20.3 perché se fia ch' a le vostr' ombre grate
7.20.4 giamai soggiorni alcun fedele amante,
7.20.5 senta svegliarsi al cor dolce pietate
7.20.6 de le sventure mie sì varie e tante,
7.20.7 e dica: --Ah troppo ingiusta empia mercede
7.20.8 diè Fortuna ed Amore a sì gran fede!--
7.21.1 Forse averrà, se 'l Ciel benigno ascolta
7.21.2 affettuoso alcun prego mortale,
7.21.3 che venga in queste selve anco tal volta
7.21.4 quegli a cui di me forse or nulla cale;
7.21.5 e rivolgendo gli occhi ove sepolta
7.21.6 giacerà questa spoglia inferma e frale,
7.21.7 tardo premio conceda a i miei martìri
7.21.8 di poche lagrimette e di sospiri;
7.22.1 onde se in vita il cor misero fue,
7.22.2 sia lo spirito in morte almen felice,
7.22.3 e 'l cener freddo de le fiamme sue
7.22.4 goda quel ch' or godere a me non lice.--
7.22.5 Così ragiona a i sordi tronchi, e due
7.22.6 fonti di pianto da' begli occhi elice.
7.22.7 Tancredi intanto, ove fortuna il tira
7.22.8 lunge da lei, per lei seguir, s' aggira.
7.23.1 Egli, seguendo le vestigia impresse,
7.23.2 rivolse il corso a la selva vicina;
7.23.3 ma quivi da le piante orride e spesse
7.23.4 nera e folta così l' ombra dechina
7.23.5 che più non può raffigurar tra esse
7.23.6 l' orme novelle, e 'n dubbio oltre camina,
7.23.7 porgendo intorno pur l' orecchie intente
7.23.8 se calpestio, se romor d' armi sente.
7.24.1 E se pur la notturna aura percote
7.24.2 tenera fronde mai d' olmo o di faggio,
7.24.3 o se fèra od augello un ramo scote,
7.24.4 tosto a quel picciol suon drizza il viaggio.
7.24.5 Esce al fin de la selva, e per ignote
7.24.6 strade il conduce de la luna il raggio
7.24.7 verso un romor che di lontano udiva,
7.24.8 insin che giunse al loco ond' egli usciva.
7.25.1 Giunse dove sorgean da vivo sasso
7.25.2 in molta copia chiare e lucide onde,
7.25.3 e fattosene un rio volgeva a basso
7.25.4 lo strepitoso piè tra verdi sponde.
7.25.5 Quivi egli ferma addolorato il passo
7.25.6 e chiama, e sola a i gridi Ecco risponde;
7.25.7 e vede intanto con serene ciglia
7.25.8 sorger l' aurora candida e vermiglia.
7.26.1 Geme cruccioso, e 'ncontra il Ciel si sdegna
7.26.2 che sperata gli neghi alta ventura;
7.26.3 ma de la donna sua, quand' ella vegna
7.26.4 offesa pur, far la vendetta giura.
7.26.5 Di rivolgersi al campo al fin disegna,
7.26.6 benché la via trovar non s' assecura,
7.26.7 ché gli sovien che presso è il dì prescritto
7.26.8 che pugnar dée co 'l cavalier d' Egitto.
7.27.1 Partesi, e mentre va per dubbio calle
7.27.2 ode un corso appressar ch' ognor s' avanza,
7.27.3 ed al fine spuntar d' angusta valle
7.27.4 vede uom che di corriero avea sembianza.
7.27.5 Scotea mobile sferza, e da le spalle
7.27.6 pendea il corno su 'l fianco a nostra usanza.
7.27.7 Chiede Tancredi a lui per quale strada
7.27.8 al campo de' cristiani indi si vada.
7.28.1 Quegli italico parla:-- Or là m' invio
7.28.2 dove m' ha Boemondo in fretta spinto.--
7.28.3 Segue Tancredi lui che del gran zio
7.28.4 messaggio stima, e crede al parlar finto.
7.28.5 Giungono al fin là dove un sozzo e rio
7.28.6 lago impaluda, ed un castel n' è cinto,
7.28.7 ne la stagion che 'l sol par che s' immerga
7.28.8 ne l' ampio nido ove la notte alberga.
7.29.1 Suona il corriero in arrivando il corno,
7.29.2 e tosto giù calar si vede un ponte:
7.29.3 -- Quando latin sia tu, qui far soggiorno
7.29.4 potrai -- gli dice -- in fin che 'l sol rimonte,
7.29.5 ché questo loco, e non è il terzo giorno,
7.29.6 tolse a i pagani di Cosenza il conte.--
7.29.7 Mira il loco il guerrier, che d' ogni parte
7.29.8 inespugnabil fanno il sito e l' arte.
7.30.1 Dubita alquanto poi ch' entro sì forte
7.30.2 magione alcuno inganno occulto giaccia;
7.30.3 ma come avezzo a i rischi de la morte,
7.30.4 motto non fanne, e no 'l dimostra in faccia,
7.30.5 ch' ovunque il guidi elezione o sorte,
7.30.6 vuol che securo la sua destra il faccia.
7.30.7 Pur l' obligo ch' egli ha d' altra battaglia
7.30.8 fa che di nova impresa or non gli caglia;
7.31.1 sì ch' incontra al castello, ove in un prato
7.31.2 il curvo ponte si distende e posa,
7.31.3 ritiene alquanto il passo, ed invitato
7.31.4 non segue la sua scorta insidiosa.
7.31.5 Su 'l ponte intanto un cavaliero armato
7.31.6 con sembianza apparia fera e sdegnosa,
7.31.7 ch' avendo ne la destra il ferro ignudo
7.31.8 in suon parlava minaccioso e crudo:
7.32.1 -- O tu, che (siasi tua fortuna o voglia)
7.32.2 al paese fatal d' Armida arrive,
7.32.3 pensi indarno al fuggir; or l' arme spoglia
7.32.4 e porgi a i lacci suoi le man cattive,
7.32.5 ed entra pur ne la guardata soglia
7.32.6 con queste leggi ch' ella altrui prescrive,
7.32.7 né più sperar di riveder il cielo
7.32.8 per volger d' anni o per cangiar di pelo,
7.33.1 se non giuri d' andar con gli altri sui
7.33.2 contra ciascun che da Giesù s' appella.--
7.33.3 S' affisa a quel parlar Tancredi in lui
7.33.4 e riconosce l' arme e la favella.
7.33.5 Rambaldo di Guascogna era costui
7.33.6 che partì con Armida, e sol per ella
7.33.7 pagan si fece e difensor divenne
7.33.8 di quell' usanza rea ch' ivi si tenne.
7.34.1 Di santo sdegno il pio guerrier si tinse
7.34.2 nel volto, e gli rispose: -- Empio fellone,
7.34.3 quel Tancredi son io che 'l ferro cinse
7.34.4 per Cristo sempre, e fui di lui campione;
7.34.5 e in sua virtute i suoi rubelli vinse,
7.34.6 come vuo' che tu vegga al paragone,
7.34.7 ché da l' ira del Ciel ministra eletta
7.34.8 è questa destra a far in te vendetta.--
7.35.1 Turbossi udendo il glorioso nome
7.35.2 l' empio guerriero, e scolorissi in viso.
7.35.3 Pur celando il timor, gli disse: -- Or come,
7.35.4 misero, vieni ove rimanga ucciso?
7.35.5 Qui saran le tue forze oppresse e dome,
7.35.6 e questo altero tuo capo reciso;
7.35.7 e manderollo a i duci franchi in dono,
7.35.8 s' altro da quel che soglio oggi non sono.--
7.36.1 Così dicea il pagano; e perché il giorno
7.36.2 spento era omai sì che vedeasi a pena,
7.36.3 apparìr tante lampade d' intorno
7.36.4 che ne fu l' aria lucida e serena.
7.36.5 Splende il castel come in teatro adorno
7.36.6 suol fra notturne pompe altera scena,
7.36.7 ed in eccelsa parte Armida siede,
7.36.8 onde senz' esser vista e ode e vede.
7.37.1 Il magnanimo eroe fra tanto appresta
7.37.2 a la fera tenzon l' arme e l' ardire,
7.37.3 né su 'l debil cavallo assiso resta
7.37.4 già veggendo il nemico a piè venire.
7.37.5 Vien chiuso ne lo scudo e l' elmo ha in testa,
7.37.6 la spada nuda, e in atto è di ferire.
7.37.7 Gli move incontra il principe feroce
7.37.8 con occhi torvi e con terribil voce.
7.38.1 Quegli con larghe rote aggira i passi
7.38.2 stretto ne l' arme, e colpi accenna e finge;
7.38.3 questi, se ben ha i membri infermi e lassi,
7.38.4 va risoluto e gli s' appressa e stringe,
7.38.5 e là donde Rambaldo a dietro fassi
7.38.6 velocissimamente egli si spinge,
7.38.7 e s' avanza e l' incalza, e fulminando
7.38.8 spesso a la vista gli dirizza il brando.
7.39.1 E più ch' altrove impetuoso fère
7.39.2 ove più di vital formò natura,
7.39.3 a le percosse le minaccie altere
7.39.4 accompagnando, e 'l danno a la paura.
7.39.5 Di qua di là si volge, e sue leggiere
7.39.6 membra il presto guascone a i colpi fura,
7.39.7 e cerca or con lo scudo or con la spada
7.39.8 che 'l nemico furore indarno cada;
7.40.1 ma veloce a lo schermo ei non è tanto
7.40.2 che più l' altro non sia pronto a l' offese.
7.40.3 Già spezzato lo scudo e l' elmo infranto
7.40.4 e forato e sanguigno avea l' arnese,
7.40.5 e colpo alcun de' suoi che tanto o quanto
7.40.6 impiagasse il nemico anco non scese;
7.40.7 e teme, e gli rimorde insieme il core
7.40.8 sdegno, vergogna, conscienza, amore.
7.41.1 Disponsi al fin con disperata guerra
7.41.2 far prova omai de l' ultima fortuna.
7.41.3 Gitta lo scudo, e a due mani afferra
7.41.4 la spada ch' è di sangue ancor digiuna;
7.41.5 e co 'l nemico suo si stringe e serra
7.41.6 e cala un colpo, e non v' è piastra alcuna
7.41.7 che gli resista sì che grave angoscia
7.41.8 non dia piagando a la sinistra coscia.
7.42.1 E poi su l' ampia fronte il ripercote
7.42.2 sì ch' il picchio rimbomba in suon di squilla;
7.42.3 l' elmo non fende già, ma lui ben scote,
7.42.4 tal ch' egli si rannicchia e ne vacilla.
7.42.5 Infiamma d' ira il principe le gote,
7.42.6 e ne gli occhi di foco arde e sfavilla;
7.42.7 e fuor de la visiera escono ardenti
7.42.8 gli sguardi, e insieme lo stridor de' denti.
7.43.1 Il perfido pagan già non sostiene
7.43.2 la vista pur di sì feroce aspetto.
7.43.3 Sente fischiare il ferro, e tra le vene
7.43.4 già gli sembra d' averlo e in mezzo al petto.
7.43.5 Fugge dal colpo, e 'l colpo a cader viene
7.43.6 dove un pilastro è contra il ponte eretto;
7.43.7 ne van le scheggie e le scintille al cielo,
7.43.8 e passa al cor del traditor un gelo,
7.44.1 onde al ponte rifugge, e sol nel corso
7.44.2 de la salute sua pone ogni speme.
7.44.3 Ma 'l seguita Tancredi, e già su 'l dorso
7.44.4 la man gli stende e 'l piè co 'l piè gli preme,
7.44.5 quando ecco (al fuggitivo alto soccorso)
7.44.6 sparir le faci ed ogni stella insieme,
7.44.7 né rimaner a l' orba notte alcuna,
7.44.8 sotto povero ciel, luce di luna.
7.45.1 Fra l' ombre de la notte e de gli incanti
7.45.2 il vincitor no 'l segue più né 'l vede,
7.45.3 né può cosa vedersi a lato o inanti,
7.45.4 e muove dubbio e mal securo il piede.
7.45.5 Su l' entrare d' un uscio i passi erranti
7.45.6 a caso mette, né d' entrar s' avede,
7.45.7 ma sente poi che suona a lui di dietro
7.45.8 la porta, e 'n loco il serra oscuro e tetro.
7.46.1 Come il pesce colà dove impaluda
7.46.2 ne i seni di Comacchio il nostro mare,
7.46.3 fugge da l' onda impetuosa e cruda
7.46.4 cercando in placide acque ove ripare,
7.46.5 e vien che da se stesso ei si rinchiuda
7.46.6 in palustre prigion né può tornare,
7.46.7 ché quel serraglio è con mirabil uso
7.46.8 sempre a l' entrare aperto, a l' uscir chiuso;
7.47.1 così Tancredi allor, qual che si fosse
7.47.2 de l' estrania prigion l' ordigno e l' arte,
7.47.3 entrò per se medesmo, e ritrovosse
7.47.4 poi là rinchiuso ov' uom per sé non parte.
7.47.5 Ben con robusta man la porta scosse,
7.47.6 ma fur le sue fatiche indarno sparte,
7.47.7 e voce intanto udì che:-- Indarno -- grida --
7.47.8 uscir procuri, o prigionier d' Armida.
7.48.1 Qui menerai (non temer già di morte)
7.48.2 nel sepolcro de' vivi i giorni e gli anni.--
7.48.3 Non risponde, ma preme il guerrier forte
7.48.4 nel cor profondo i gemiti e gli affanni,
7.48.5 e fra se stesso accusa Amor, la sorte,
7.48.6 la sua sciocchezza e gli altrui feri inganni;
7.48.7 e talor dice in tacite parole:
7.48.8 --Leve perdita fia perdere il sole,
7.49.1 ma di più vago sol più dolce vista,
7.49.2 misero! i' perdo, e non so già se mai
7.49.3 in loco tornerò che l' alma trista
7.49.4 si rassereni a gli amorosi rai.--
7.49.5 Poi gli sovien d' Argante, e più s' attrista
7.49.6 e: --Troppo-- dice --al mio dover mancai;
7.49.7 ed è ragion ch' ei mi disprezzi e scherna!
7.49.8 O mia gran colpa! o mia vergogna eterna!--
7.50.1 Così d' amor, d' onor cura mordace
7.50.2 quinci e quindi al guerrier l' animo rode.
7.50.3 Or mentre egli s' afflige, Argante audace
7.50.4 le molli piume di calcar non gode;
7.50.5 tanto è nel crudo petto odio di pace,
7.50.6 cupidigia di sangue, amor di lode,
7.50.7 che, de le piaghe sue non sano ancora,
7.50.8 brama che 'l sesto dì porti l' aurora.
7.51.1 La notte che precede, il pagan fero
7.51.2 a pena inchina per dormir la fronte;
7.51.3 e sorge poi che 'l cielo anco è sì nero
7.51.4 che non dà luce in su la cima al monte.
7.51.5 -- Recami -- grida -- l' arme -- al suo scudiero,
7.51.6 ed esso aveale apparecchiate e pronte:
7.51.7 non le solite sue, ma dal re sono
7.51.8 dategli queste, e prezioso è il dono.
7.52.1 Senza molto mirarle egli le prende
7.52.2 né dal gran peso è la persona onusta,
7.52.3 e la solita spada al fianco appende,
7.52.4 ch' è di tempra finissima e vetusta.
7.52.5 Qual con le chiome sanguinose orrende
7.52.6 splender cometa suol per l' aria adusta,
7.52.7 che i regni muta e i feri morbi adduce,
7.52.8 a i purpurei tiranni infausta luce;
7.53.1 tal ne l' arme ei fiammeggia, e bieche e torte
7.53.2 volge le luci ebre di sangue e d' ira.
7.53.3 Spirano gli atti feri orror di morte,
7.53.4 e minaccie di morte il volto spira.
7.53.5 Alma non è così secura e forte
7.53.6 che non paventi, ove un sol guardo gira.
7.53.7 Nuda ha la spada e la solleva e scote
7.53.8 gridando, e l' aria e l' ombre in van percote.
7.54.1 -- Ben tosto -- dice -- il predator cristiano,
7.54.2 ch' audace è sì ch' a me vuole agguagliarsi,
7.54.3 caderà vinto e sanguinoso al piano,
7.54.4 bruttando ne la polve i crini sparsi;
7.54.5 e vedrà vivo ancor da questa mano
7.54.6 ad onta del suo Dio l' arme spogliarsi,
7.54.7 né morendo impetrar potrà co' preghi
7.54.8 ch' in pasto a' cani le sue membra i' neghi.--
7.55.1 Non altramente il tauro, ove l' irriti
7.55.2 geloso amor co' stimuli pungenti,
7.55.3 orribilmente mugge, e co' muggiti
7.55.4 gli spirti in sé risveglia e l' ire ardenti,
7.55.5 e 'l corno aguzza a i tronchi, e par ch' inviti
7.55.6 con vani colpi a la battaglia i venti:
7.55.7 sparge co 'l piè l' arena, e 'l suo rivale
7.55.8 da lunge sfida a guerra aspra e mortale.
7.56.1 Da sì fatto furor commosso, appella
7.56.2 l' araldo; e con parlar tronco gli impone:
7.56.3 -- Vattene al campo, e la battaglia fella
7.56.4 nunzia a colui ch' è di Giesù campione.--
7.56.5 Quinci alcun non aspetta e monta in sella,
7.56.6 e fa condursi inanzi il suo prigione;
7.56.7 esce fuor de la terra, e per lo colle
7.56.8 in corso vien precipitoso e folle.
7.57.1 Dà fiato intanto al corno, e n' esce un suono
7.57.2 che d' ogn' intorno orribile s' intende
7.57.3 e 'n guisa pur di strepitoso tuono
7.57.4 gli orecchi e 'l cor de gli ascoltanti offende.
7.57.5 Già i principi cristiani accolti sono
7.57.6 ne la tenda maggior de l' altre tende:
7.57.7 qui fe' l' araldo sue disfide e incluse
7.57.8 Tancredi pria, né però gli altri escluse.
7.58.1 Goffredo intorno gli occhi gravi e tardi
7.58.2 volge con mente allor dubbia e sospesa,
7.58.3 né, perché molto pensi e molto guardi,
7.58.4 atto gli s' offre alcuno a tanta impresa.
7.58.5 Vi manca il fior de' suoi guerrier gagliardi:
7.58.6 di Tancredi non s' è novella intesa,
7.58.7 e lunge è Boemondo, ed ito è in bando
7.58.8 l' invitto eroe ch' uccise il fier Gernando.
7.59.1 Ed oltre i diece che fur tratti a sorte,
7.59.2 i migliori del campo e i più famosi
7.59.3 seguìr d' Armida le fallaci scorte,
7.59.4 sotto il silenzio de la notte ascosi.
7.59.5 Gli altri di mano e d' animo men forte
7.59.6 taciti se ne stanno e vergognosi,
7.59.7 né vi è chi cerchi in sì gran rischio onore,
7.59.8 ché vinta la vergogna è dal timore.
7.60.1 Al silenzio, a l' aspetto, ad ogni segno,
7.60.2 di lor temenza il capitan s' accorse,
7.60.3 e tutto pien di generoso sdegno
7.60.4 dal loco ove sedea repente sorse,
7.60.5 e disse: -- Ah! ben sarei di vita indegno
7.60.6 se la vita negassi or porre in forse,
7.60.7 lasciando ch' un pagan così vilmente
7.60.8 calpestasse l' onor di nostra gente!
7.61.1 Sieda in pace il mio campo, e da secura
7.61.2 parte miri ozioso il mio periglio.
7.61.3 Su su, datemi l' arme--; e l' armatura
7.61.4 gli fu recata in un girar di ciglio.
7.61.5 Ma il buon Raimondo, che in età matura
7.61.6 parimente maturo avea il consiglio,
7.61.7 e verdi ancor le forze a par di quanti
7.61.8 erano quivi, allor si trasse avanti,
7.62.1 e disse a lui rivolto:-- Ah non sia vero
7.62.2 ch' in un capo s' arrischi il campo tutto!
7.62.3 Duce sei tu, non semplice guerriero:
7.62.4 publico fòra e non privato il lutto.
7.62.5 In te la fé s' appoggia e 'l santo impero,
7.62.6 per te fia il regno di Babèl distrutto.
7.62.7 Tu il senno sol, lo scettro solo adopra;
7.62.8 ponga altri poi l' ardire e 'l ferro in opra.
7.63.1 Ed io, bench' a gir curvo mi condanni
7.63.2 la grave età, non fia che ciò ricusi.
7.63.3 Schivino gli altri i marziali affanni,
7.63.4 me non vuo' già che la vecchiezza scusi.
7.63.5 Oh! foss' io pur su 'l mio vigor de gli anni
7.63.6 qual sète or voi, che qui temendo chiusi
7.63.7 vi state e non vi move ira o vergogna
7.63.8 contra lui che vi sgrida e vi rampogna,
7.64.1 e quale allora fui, quando al cospetto
7.64.2 di tutta la Germania, a la gran corte
7.64.3 del secondo Corrado, apersi il petto
7.64.4 al feroce Leopoldo e 'l posi a morte!
7.64.5 E fu d' alto valor più chiaro effetto
7.64.6 le spoglie riportar d' uom così forte,
7.64.7 che s' alcun or fugasse inerme e solo
7.64.8 di questa ignobil turba un grande stuolo.
7.65.1 Se fosse in me quella virtù, quel sangue,
7.65.2 di questo alter l' orgoglio avrei già spento.
7.65.3 Ma qualunque io mi sia, non però langue
7.65.4 il core in me, né vecchio anco pavento.
7.65.5 E s' io pur rimarrò nel campo essangue,
7.65.6 né il pagan di vittoria andrà contento.
7.65.7 Armarmi i' vuo': sia questo il dì ch' illustri
7.65.8 con novo onor tutti i miei scorsi lustri.--
7.66.1 Così parla il gran vecchio, e sproni acuti
7.66.2 son le parole, onde virtù si desta.
7.66.3 Quei che fur prima timorosi e muti
7.66.4 hanno la lingua or baldanzosa e presta.
7.66.5 Né sol non v' è chi la tenzon rifiuti,
7.66.6 ma ella omai da molti a prova è chiesta:
7.66.7 Baldovin la domanda, e con Ruggiero
7.66.8 Guelfo, i due Guidi, e Stefano e Gerniero,
7.67.1 e Pirro, quel che fe' il lodato inganno
7.67.2 dando Antiochia presa a Boemondo;
7.67.3 ed a prova richiesta anco ne fanno
7.67.4 Eberardo, Ridolfo e 'l pro' Rosmondo,
7.67.5 un di Scozia, un d' Irlanda, ed un britanno,
7.67.6 terre che parte il mar dal nostro mondo;
7.67.7 e ne son parimente anco bramosi
7.67.8 Gildippe ed Odoardo, amanti e sposi.
7.68.1 Ma sovra tutti gli altri il fero vecchio
7.68.2 se ne dimostra cupido ed ardente.
7.68.3 Armato è già; sol manca a l' apparecchio
7.68.4 de gli altri arnesi il fino elmo lucente.
7.68.5 A cui dice Goffredo:-- O vivo specchio
7.68.6 del valor prisco, in te la nostra gente
7.68.7 miri e virtù n' apprenda: in te di Marte
7.68.8 splende l' onor, la disciplina e l' arte.
7.69.1 Oh! pur avessi fra l' etade acerba
7.69.2 diece altri di valor al tuo simìle,
7.69.3 come ardirei vincer Babèl superba
7.69.4 e la Croce spiegar da Battro a Tile.
7.69.5 Ma cedi or, prego, e te medesmo serba
7.69.6 a maggior opre e di virtù senile.
7.69.7 Pongansi poi tutti i nomi in un vaso,
7.69.8 come è l' usanza, e sia giudice il caso;
7.70.1 anzi giudice Dio, de le cui voglie
7.70.2 ministra e serva è la fortuna e 'l fato.--
7.70.3 Ma non però dal suo pensier si toglie
7.70.4 Raimondo, e vuol anch' egli esser notato.
7.70.5 Ne l' elmo suo Goffredo i brevi accoglie;
7.70.6 e poi che l' ebbe scosso ed agitato,
7.70.7 nel primo breve che di là traesse,
7.70.8 del conte di Tolosa il nome lesse.
7.71.1 Fu il nome suo con lieto grido accolto,
7.71.2 né di biasmar la sorte alcun ardisce.
7.71.3 Ei di fresco vigor la fronte e 'l volto
7.71.4 riempie; e così allor ringiovenisce
7.71.5 qual serpe fier che in nove spoglie avolto
7.71.6 d' oro fiammeggi e 'ncontra il sol si lisce.
7.71.7 Ma più d' ogn' altro il capitan gli applaude
7.71.8 e gli annunzia vittoria, e gli dà laude.
7.72.1 E la spada togliendosi dal fianco,
7.72.2 e porgendola a lui, così dicea:
7.72.3 -- Questa è la spada che 'n battaglia il franco
7.72.4 rubello di Sassonia oprar solea,
7.72.5 ch' io già gli tolsi a forza, e gli tolsi anco
7.72.6 la vita allor di mille colpe rea;
7.72.7 questa, che meco ognor fu vincitrice,
7.72.8 prendi, e sia così teco ora felice.--
7.73.1 Di loro indugio intanto è quell' altero
7.73.2 impaziente, e li minaccia e grida:
7.73.3 -- O gente invitta, o popolo guerriero
7.73.4 d' Europa, un uomo solo è che vi sfida.
7.73.5 Venga Tancredi omai che par sì fero,
7.73.6 se ne la sua virtù tanto si fida;
7.73.7 o vuol, giacendo in piume, aspettar forse
7.73.8 la notte ch' altre volte a lui soccorse?
7.74.1 Venga altri, s' egli teme; a stuolo a stuolo
7.74.2 venite insieme, o cavalieri, o fanti,
7.74.3 poi che di pugnar meco a solo a solo
7.74.4 non v' è fra mille schiere uom che si vanti.
7.74.5 Vedete là il sepolcro ove il figliuolo
7.74.6 di Maria giacque: or ché non gite avanti?
7.74.7 ché non sciogliete i voti? Ecco la strada!
7.74.8 A qual serbate uopo maggior la spada?--
7.75.1 Con tali scherni il saracin atroce
7.75.2 quasi con dura sferza altrui percote,
7.75.3 ma più ch' altri Raimondo a quella voce
7.75.4 s' accende, e l' onte sofferir non pote.
7.75.5 La virtù stimolata è più feroce,
7.75.6 e s' aguzza de l' ira a l' aspra cote,
7.75.7 sì che tronca gli indugi e preme il dorso
7.75.8 del suo Aquilino, a cui diè 'l nome il corso.
7.76.1 Questo su 'l Tago nacque, ove talora
7.76.2 l' avida madre del guerriero armento,
7.76.3 quando l' alma stagion che n' innamora
7.76.4 nel cor le instiga il natural talento,
7.76.5 volta l' aperta bocca incontra l' òra,
7.76.6 raccoglie i semi del fecondo vento,
7.76.7 e de' tepidi fiati (oh meraviglia!)
7.76.8 cupidamente ella concipe e figlia.
7.77.1 E ben questo Aquilin nato diresti
7.77.2 di quale aura del ciel più lieve spiri,
7.77.3 o se veloce sì ch' orma non resti
7.77.4 stendere il corso per l' arena il miri,
7.77.5 o se 'l vedi addoppiar leggieri e presti
7.77.6 a destra ed a sinistra angusti giri.
7.77.7 Sovra tal corridore il conte assiso
7.77.8 move a l' assalto, e volge al cielo il viso:
7.78.1 -- Signor, tu che drizzasti incontra l' empio
7.78.2 Golia l' arme inesperte in Terebinto,
7.78.3 sì ch' ei ne fu, che d' Israel fea scempio,
7.78.4 al primo sasso d' un garzone estinto;
7.78.5 tu fa' ch' or giaccia (e fia pari l' essempio)
7.78.6 questo fellon da me percosso e vinto,
7.78.7 e debil vecchio or la superbia opprima
7.78.8 come debil fanciul l' oppresse in prima.--
7.79.1 Così pregava il conte, e le preghiere
7.79.2 mosse da la speranza in Dio secura
7.79.3 s' alzàr volando a le celesti spere,
7.79.4 come va foco al ciel per sua natura.
7.79.5 L' accolse il Padre eterno, e fra le schiere
7.79.6 de l' essercito suo tolse a la cura
7.79.7 un che 'l difenda, e sano e vincitore
7.79.8 da le man di quell' empio il tragga fuore.
7.80.1 L' angelo, che fu già custode eletto
7.80.2 da l' alta Providenza al buon Raimondo
7.80.3 insin dal primo dì che pargoletto
7.80.4 se 'n venne a farsi peregrin del mondo,
7.80.5 or che di novo il Re del Ciel gli ha detto
7.80.6 che prenda in sé de la difesa il pondo,
7.80.7 ne l' alta rocca ascende, ove de l' oste
7.80.8 divina tutte son l' arme riposte.
7.81.1 Qui l' asta si conserva onde il serpente
7.81.2 percosso giacque, e i gran fulminei strali,
7.81.3 e quegli ch' invisibili a la gente
7.81.4 portan l' orride pesti e gli altri mali;
7.81.5 e qui sospeso è in alto il gran tridente,
7.81.6 primo terror de' miseri mortali
7.81.7 quando egli avien che i fondamenti scota
7.81.8 de l' ampia terra, e le città percota.
7.82.1 Si vedea fiammeggiar fra gli altri arnesi
7.82.2 scudo di lucidissimo diamante,
7.82.3 grande che può coprir genti e paesi
7.82.4 quanti ve n' ha fra il Caucaso e l' Atlante;
7.82.5 e sogliono da questo esser difesi
7.82.6 principi giusti e città caste e sante.
7.82.7 Questo l' angelo prende, e vien con esso
7.82.8 occultamente al suo Raimondo appresso.
7.83.1 Piene intanto le mura eran già tutte
7.83.2 di varia turba, e 'l barbaro tiranno
7.83.3 manda Clorinda e molte genti instrutte,
7.83.4 che ferme a mezzo il colle oltre non vanno.
7.83.5 Da l' altro lato in ordine ridutte
7.83.6 alcune schiere di cristiani stanno,
7.83.7 e largamente a' duo campioni il campo
7.83.8 vòto riman fra l' uno e l' altro campo.
7.84.1 Mirava Argante, e non vedea Tancredi,
7.84.2 ma d' ignoto campion sembianze nove.
7.84.3 Fecesi il conte inanzi, e:-- Quel che chiedi,
7.84.4 è -- disse a lui -- per tua ventura altrove.
7.84.5 Non superbir però, ché me qui vedi
7.84.6 apparecchiato a riprovar tue prove,
7.84.7 ch' io di lui posso sostener la vice
7.84.8 o venir come terzo a me qui lice.--
7.85.1 Ne sorride il superbo, e gli risponde:
7.85.2 --Che fa dunque Tancredi? e dove stassi?
7.85.3 Minaccia il ciel con l' arme, e poi s' asconde
7.85.4 fidando sol ne' suoi fugaci passi;
7.85.5 ma fugga pur nel centro e 'n mezzo l' onde,
7.85.6 ché non fia loco ove securo il lassi.
7.85.7 -- Menti -- replica l' altro -- a dir ch' uom tale
7.85.8 fugga da te, ch' assai di te più vale.--
7.86.1 Freme il circasso irato, e dice:-- Or prendi
7.86.2 del campo tu, ch' in vece sua t' accetto;
7.86.3 e tosto e' si parrà come difendi
7.86.4 l' alta follia del temerario detto.--
7.86.5 Così mossero in giostra, e i colpi orrendi
7.86.6 parimente drizzaro ambi a l' elmetto;
7.86.7 e 'l buon Raimondo ove mirò scontrollo,
7.86.8 né dar gli fece ne l' arcion pur crollo.
7.87.1 Da l' altra parte il fero Argante corse
7.87.2 (fallo insolito a lui) l' arringo in vano,
7.87.3 ché 'l difensor celeste il colpo torse
7.87.4 dal custodito cavalier cristiano.
7.87.5 Le labra il crudo per furor si morse,
7.87.6 e ruppe l' asta bestemmiando al piano.
7.87.7 Poi tragge il ferro, e va contra Raimondo
7.87.8 impetuoso al paragon secondo.
7.88.1 E 'l possente corsiero urta per dritto,
7.88.2 quasi monton ch' al cozzo il capo abbassa.
7.88.3 Schiva Raimondo l' urto, al lato dritto
7.88.4 piegando il corso, e 'l fère in fronte e passa.
7.88.5 Torna di novo il cavalier d' Egitto,
7.88.6 ma quegli pur di novo a destra il lassa,
7.88.7 e pur su l' elmo il coglie, e 'ndarno sempre
7.88.8 ché l' elmo adamantine avea le tempre.
7.89.1 Ma il feroce pagan, che seco vòle
7.89.2 più stretta zuffa, a lui s' aventa e serra.
7.89.3 L' altro, ch' al peso di sì vasta mole
7.89.4 teme d' andar co 'l suo destriero a terra,
7.89.5 qui cede, ed indi assale, e par che vóle,
7.89.6 intorniando con girevol guerra,
7.89.7 e i lievi imperii il rapido cavallo
7.89.8 segue del freno, e non pone orma in fallo.
7.90.1 Qual capitan ch' oppugni eccelsa torre
7.90.2 infra paludi posta o in alto monte,
7.90.3 mille aditi ritenta, e tutte scorre
7.90.4 l' arti e le vie, cotal s' aggira il conte;
7.90.5 e poi che non può scaglia d' arme tòrre
7.90.6 ch' armano il petto e la superba fronte,
7.90.7 fère i men forti arnesi, ed a la spada
7.90.8 cerca tra ferro e ferro aprir la strada.
7.91.1 Ed in due parti o in tre forate e fatte
7.91.2 l' arme nemiche ha già tepide e rosse,
7.91.3 ed egli ancor le sue conserva intatte,
7.91.4 né di cimier, né d' un sol fregio scosse.
7.91.5 Argante indarno arrabbia, a vòto batte
7.91.6 e spande senza pro l' ire e le posse;
7.91.7 non si stanca però, ma raddoppiando
7.91.8 va tagli e punte e si rinforza errando.
7.92.1 Al fin tra mille colpi il saracino
7.92.2 cala un fendente, e 'l conte è così presso
7.92.3 che forse il velocissimo Aquilino
7.92.4 non sottraggeasi e rimaneane oppresso;
7.92.5 ma l' aiuto invisibile vicino
7.92.6 non mancò lui di quel superno messo,
7.92.7 che stese il braccio e tolse il ferro crudo
7.92.8 sovra il diamante del celeste scudo.
7.93.1 Fragile è il ferro allor (ché non resiste
7.93.2 di fucina mortal tempra terrena
7.93.3 ad armi incorrottibili ed immiste
7.93.4 d' eterno fabro) e cade in su l' arena.
7.93.5 Il circasso, ch' andarne a terra ha viste
7.93.6 minutissime parti, il crede a pena;
7.93.7 stupisce poi, scorta la mano inerme,
7.93.8 ch' arme il campion nemico abbia sì ferme;
7.94.1 e ben rotta la spada aver si crede
7.94.2 su l' altro scudo, onde è colui difeso,
7.94.3 e 'l buon Raimondo ha la medesma fede,
7.94.4 ché non sa già chi sia dal ciel disceso.
7.94.5 Ma però ch' egli disarmata vede
7.94.6 la man nemica, si riman sospeso,
7.94.7 ché stima ignobil palma e vili spoglie
7.94.8 quelle ch' altrui con tal vantaggio toglie.
7.95.1 -- Prendi -- volea già dirgli -- un' altra spada--,
7.95.2 quando novo pensier nacque nel core,
7.95.3 ch' alto scorno è de' suoi dove egli cada,
7.95.4 che di publica causa è difensore.
7.95.5 Così né indegna a lui vittoria aggrada,
7.95.6 né in dubbio vuol porre il comune onore.
7.95.7 Mentre egli dubbio stassi, Argante lancia
7.95.8 il pomo e l' else a la nemica guancia,
7.96.1 e in quel tempo medesmo il destrier punge
7.96.2 e per venirne a lotta oltra si caccia.
7.96.3 La percossa lanciata a l' elmo giunge,
7.96.4 sì che ne pesta al tolosan la faccia;
7.96.5 ma però nulla sbigottisce, e lunge
7.96.6 ratto si svia da le robuste braccia,
7.96.7 ed impiaga la man ch' a dar di piglio
7.96.8 venia più fera che ferino artiglio.
7.97.1 Poscia gira da questa a quella parte,
7.97.2 e rigirasi a questa indi da quella;
7.97.3 e sempre, e dove riede e donde parte,
7.97.4 fère il pagan d' aspra percossa e fella.
7.97.5 Quanto avea di vigor, quanto avea d' arte,
7.97.6 quanto può sdegno antico, ira novella,
7.97.7 a danno del circasso or tutto aduna,
7.97.8 e seco il Ciel congiura e la fortuna.
7.98.1 Quei di fine arme e di se stesso armato,
7.98.2 a i gran colpi resiste e nulla pave;
7.98.3 e par senza governo in mar turbato,
7.98.4 rotte vele ed antenne, eccelsa nave,
7.98.5 che pur contesto avendo ogni suo lato
7.98.6 tenacemente di robusta trave,
7.98.7 sdrusciti i fianchi al tempestoso flutto
7.98.8 non mostra ancor, né si dispera in tutto.
7.99.1 Argante, il tuo periglio allor tal era,
7.99.2 quando aiutarti Belzebù dispose.
7.99.3 Questi di cava nube ombra leggiera
7.99.4 (mirabil mostro) in forma d' uom compose;
7.99.5 e la sembianza di Clorinda altera
7.99.6 gli finse, e l' arme ricche e luminose:
7.99.7 diegli il parlare e senza mente il noto
7.99.8 suon de la voce, e 'l portamento e 'l moto.
7.100.1 Il simulacro ad Oradin, esperto
7.100.2 sagittario famoso, andonne e disse:
7.100.3 --O famoso Oradin, ch' a segno certo,
7.100.4 come a te piace, le quadrella affisse,
7.100.5 ah! gran danno saria s' uom di tal merto,
7.100.6 difensor di Giudea, così morisse,
7.100.7 e di sue spoglie il suo nemico adorno
7.100.8 securo ne facesse a i suoi ritorno.
7.101.1 Qui fa' prova de l' arte, e le saette
7.101.2 tingi nel sangue del ladron francese,
7.101.3 ch' oltra il perpetuo onor vuo' che n' aspette
7.101.4 premio al gran fatto egual dal re cortese.--
7.101.5 Così parlò, né quegli in dubbio stette,
7.101.6 tosto che 'l suon de le promesse intese;
7.101.7 da la grave faretra un quadrel prende
7.101.8 e su l' arco l' adatta, e l' arco tende.
7.102.1 Sibila il teso nervo, e fuore spinto
7.102.2 vola il pennuto stral per l' aria e stride,
7.102.3 ed a percoter va dove del cinto
7.102.4 si congiungon le fibbie e le divide;
7.102.5 passa l' usbergo, e in sangue a pena tinto
7.102.6 qui su si ferma e sol la pelle incide,
7.102.7 ché 'l celeste guerrier soffrir non volse
7.102.8 ch' oltra passasse, e forza al colpo tolse.
7.103.1 Da l' usbergo lo stral si tragge il conte
7.103.2 ed ispicciarne fuori il sangue vede;
7.103.3 e con parlar pien di minaccie ed onte
7.103.4 rimprovera al pagan la rotta fede.
7.103.5 Il capitan, che non torcea la fronte
7.103.6 da l' amato Raimondo, allor s' avede
7.103.7 che violato è il patto, e perché grave
7.103.8 stima la piaga, ne sospira e pave;
7.104.1 e con la fronte le sue genti altere
7.104.2 e con la lingua a vendicarlo desta.
7.104.3 Vedi tosto inchinar giù le visiere,
7.104.4 lentare i freni e por le lancie in resta,
7.104.5 e quasi in un sol punto alcune schiere
7.104.6 da quella parte moversi e da questa.
7.104.7 Sparisce il campo, e la minuta polve
7.104.8 con densi globi al ciel s' inalza e volve.
7.105.1 D' elmi e scudi percossi e d' aste infrante
7.105.2 ne' primi scontri un gran romor s' aggira.
7.105.3 Là giacere un cavallo, e girne errante
7.105.4 un altro là senza rettor si mira;
7.105.5 qui giace un guerrier morto, e qui spirante
7.105.6 altri singhiozza e geme, altri sospira.
7.105.7 Fera è la pugna, e quanto più si mesce
7.105.8 e stringe insieme, più s' inaspra e cresce.
7.106.1 Salta Argante nel mezzo agile e sciolto,
7.106.2 e toglie ad un guerrier ferrata mazza;
7.106.3 e rompendo lo stuol calcato e folto,
7.106.4 la rota intorno e si fa larga piazza.
7.106.5 E sol cerca Raimondo, e in lui sol vòlto
7.106.6 ha il ferro e l' ira impetuosa e pazza,
7.106.7 e quasi avido lupo ei par che brame
7.106.8 ne le viscere sue pascer la fame.
7.107.1 Ma duro ad impedir viengli il sentiero
7.107.2 e fero intoppo, acciò che 'l corso ei tardi.
7.107.3 Si trova incontra Ormanno, e con Ruggiero
7.107.4 di Balnavilla un Guido e duo Gherardi.
7.107.5 Non cessa, non s' allenta, anzi è più fero
7.107.6 quanto ristretto è più da que' gagliardi,
7.107.7 sì come a forza da rinchiuso loco
7.107.8 se n' esce e move alte ruine il foco.
7.108.1 Uccide Ormanno, piaga Guido, atterra
7.108.2 Ruggiero infra gli estinti egro e languente,
7.108.3 ma contra lui crescon le turbe, e 'l serra
7.108.4 d' uomini e d' arme cerchio aspro e pungente.
7.108.5 Mentre in virtù di lui pari la guerra
7.108.6 si mantenea fra l' una e l' altra gente,
7.108.7 il buon duce Buglion chiama il fratello,
7.108.8 ed a lui dice:-- Or movi il tuo drapello,
7.109.1 e là dove battaglia è più mortale
7.109.2 vattene ad investir nel lato manco.--
7.109.3 Quegli si mosse, e fu lo scontro tale
7.109.4 ond' egli urtò de gli nemici al fianco,
7.109.5 che parve il popol d' Asia imbelle e frale,
7.109.6 né poté sostener l' impeto franco,
7.109.7 che gli ordini disperde, e co' destrieri
7.109.8 l' insegne insieme abbatte e i cavalieri.
7.110.1 Da l' impeto medesmo in fuga è vòlto
7.110.2 il destro corno; e non v' è alcun che faccia
7.110.3 fuor ch' Argante difesa, a freno sciolto
7.110.4 così il timor precipiti li caccia.
7.110.5 Egli sol ferma il passo e mostra il volto,
7.110.6 né chi con mani cento e cento braccia
7.110.7 cinquanta scudi insieme ed altrettante
7.110.8 spade movesse, or più faria d' Argante.
7.111.1 Ei gli stocchi e le mazze, egli de l' aste
7.111.2 e de' corsieri l' impeto sostenta;
7.111.3 e solo par che 'ncontra tutti baste,
7.111.4 ed ora a questo ed ora a quel s' aventa.
7.111.5 Peste ha le membra e rotte l' arme e guaste,
7.111.6 e sudor versa e sangue, e par no 'l senta.
7.111.7 Ma così l' urta il popol denso e 'l preme
7.111.8 ch' al fin lo svolge e seco il porta insieme.
7.112.1 Volge il tergo a la forza ed al furore
7.112.2 di quel diluvio che 'l rapisce e 'l tira;
7.112.3 ma non già d' uom che fugga ha i passi e 'l core,
7.112.4 s' a l' opre de la mano il cor si mira.
7.112.5 Serbano ancora gli occhi il lor terrore
7.112.6 e le minaccie de la solita ira;
7.112.7 e cerca ritener con ogni prova
7.112.8 la fuggitiva turba, e nulla giova.
7.113.1 Non può far quel magnanimo ch' almeno
7.113.2 sia lor fuga più tarda e più raccolta,
7.113.3 ché non ha la paura arte né freno,
7.113.4 né pregar qui né comandar s' ascolta.
7.113.5 Il pio Buglion, ch' i suoi pensieri a pieno
7.113.6 vede fortuna a favorir rivolta,
7.113.7 segue de la vittoria il lieto corso
7.113.8 e invia novello a i vincitor soccorso.
7.114.1 E se non che non era il dì che scritto
7.114.2 Dio ne gli eterni suoi decreti avea,
7.114.3 quest' era forse il dì che 'l campo invitto
7.114.4 de le sante fatiche al fin giungea.
7.114.5 Ma la schiera infernal, ch' in quel conflitto
7.114.6 la tirannide sua cader vedea,
7.114.7 sendole ciò permesso, in un momento
7.114.8 l' aria in nube ristrinse e mosse il vento.
7.115.1 Da gli occhi de' mortali un negro velo
7.115.2 rapisce il giorno e 'l sole, e par ch' avampi
7.115.3 negro via più ch' orror d' inferno il cielo,
7.115.4 così fiammeggia infra baleni e lampi.
7.115.5 Fremono i tuoni, e pioggia accolta in gelo
7.115.6 si versa, e i paschi abbatte e inonda i campi.
7.115.7 Schianta i rami il gran turbo, e par che crolli
7.115.8 non pur le quercie ma le rocche e i colli.
7.116.1 L' acqua in un tempo, il vento e la tempesta
7.116.2 ne gli occhi a i Franchi impetuosa fère,
7.116.3 e l' improvisa violenza arresta
7.116.4 con un terror quasi fatal le schiere.
7.116.5 La minor parte d' esse accolta resta
7.116.6 (ché veder non le puote) a le bandiere.
7.116.7 Ma Clorinda, che quindi alquanto è lunge,
7.116.8 prende opportuno il tempo e 'l destrier punge.
7.117.1 Ella gridava a i suoi:-- Per noi combatte,
7.117.2 compagni, il Cielo, e la giustizia aita;
7.117.3 da l' ira sua le faccie nostre intatte
7.117.4 sono, e non è la destra indi impedita,
7.117.5 e ne la fronte solo irato ei batte
7.117.6 de la nemica gente impaurita,
7.117.7 e la scote de l' arme, e de la luce
7.117.8 la priva: andianne pur, ché 'l fato è duce.--
7.118.1 Così spinge le genti, e ricevendo
7.118.2 sol nelle spalle l' impeto d' inferno,
7.118.3 urta i Francesi con assalto orrendo,
7.118.4 e i vani colpi lor si prende a scherno.
7.118.5 Ed in quel tempo Argante anco volgendo
7.118.6 fa de' già vincitor aspro governo,
7.118.7 e quei lasciando il campo a tutto corso
7.118.8 volgono al ferro, a le procelle il dorso.
7.119.1 Percotono le spalle a i fuggitivi
7.119.2 l' ire immortali e le mortali spade,
7.119.3 e 'l sangue corre e fa, commisto a i rivi
7.119.4 de la gran pioggia, rosseggiar le strade.
7.119.5 Qui tra 'l vulgo de' morti e de' mal vivi
7.119.6 e Pirro e 'l buon Ridolfo estinto cade;
7.119.7 e toglie a questo il fier circasso l' alma,
7.119.8 e Clorinda di quello ha nobil palma.
7.120.1 Così fuggiano i Franchi, e di lor caccia
7.120.2 non rimaneano i Siri anco o i demoni.
7.120.3 Sol contra l' arme e contra ogni minaccia
7.120.4 di gragnuole, di turbini e di tuoni
7.120.5 volgea Goffredo la secura faccia,
7.120.6 rampognando aspramente i suoi baroni;
7.120.7 e, fermo anzi la porta il gran cavallo,
7.120.8 le genti sparse raccogliea nel vallo.
7.121.1 E ben due volte il corridor sospinse
7.121.2 contra il feroce Argante e lui ripresse,
7.121.3 ed altrettante il nudo ferro spinse
7.121.4 dove le turbe ostili eran più spesse;
7.121.5 al fin con gli altri insieme ei si ristrinse
7.121.6 dentro a i ripari, e la vittoria cesse.
7.121.7 Tornano allora i saracini, e stanchi
7.121.8 restan nel vallo e sbigottiti i Franchi.
7.122.1 Né quivi ancor de l' orride procelle
7.122.2 ponno a pieno schivar la forza e l' ira,
7.122.3 ma sono estinte or queste faci or quelle,
7.122.4 e per tutto entra l' acqua e 'l vento spira.
7.122.5 Squarcia le tele e spezza i pali, e svelle
7.122.6 le tende intere e lunge indi le gira;
7.122.7 la pioggia a i gridi, a i venti, a i tuon s' accorda
7.122.8 d' orribile armonia che 'l mondo assorda.
CANTO VIII
8.1.1 Già cheti erano i tuoni e le tempeste
8.1.2 e cessato il soffiar d' Austro e di Coro,
8.1.3 e l' alba uscia de la magion celeste
8.1.4 con la fronte di rose e co' piè d' oro.
8.1.5 Ma quei che le procelle avean già deste
8.1.6 non rimaneansi ancor da l' arti loro,
8.1.7 anzi l' un d' essi, ch' Astragorre è detto,
8.1.8 così parlava a la compagna Aletto:
8.2.1 -- Mira, Aletto, venirne (ed impedito
8.2.2 esser non può da noi) quel cavaliero
8.2.3 che da le fere mani è vivo uscito
8.2.4 del sovran difensor del nostro impero.
8.2.5 Questi, narrando del suo duce ardito
8.2.6 e de' compagni a i Franchi il caso fero,
8.2.7 paleserà gran cose; onde è periglio
8.2.8 che si richiami di Bertoldo il figlio.
8.3.1 Sai quanto ciò rilevi e se conviene
8.3.2 a i gran princìpi oppor forza ed inganno.
8.3.3 Scendi tra i Franchi adunque, e ciò ch' a bene
8.3.4 colui dirà tutto rivolgi in danno:
8.3.5 spargi le fiamme e 'l tòsco entro le vene
8.3.6 del Latin, de l' Elvezio e del Britanno,
8.3.7 movi l' ire e i tumulti e fa' tal opra
8.3.8 che tutto vada il campo al fin sossopra.
8.4.1 L' opra è degna di te, tu nobil vanto
8.4.2 te 'n désti già dinanzi al signor nostro.--
8.4.3 Così le parla, e basta ben sol tanto
8.4.4 perché prenda l' impresa il fero mostro.
8.4.5 Giunto è su 'l vallo de' cristiani intanto
8.4.6 quel cavaliero il cui venir fu mostro,
8.4.7 e disse lor:-- Deh, sia chi m' introduca
8.4.8 per mercede, o guerrieri, al sommo duca.--
8.5.1 Molti scorta gli furo al capitano,
8.5.2 vaghi d' udir del peregrin novelle.
8.5.3 Egli inchinollo, e l' onorata mano
8.5.4 volea baciar che fa tremar Babelle;
8.5.5 -- Signor, -- poi dice -- che con l' oceano
8.5.6 termini la tua fama e con le stelle,
8.5.7 venirne a te vorrei più lieto messo.--
8.5.8 Qui sospirava, e soggiungeva appresso:
8.6.1 --Sveno, del re de' Dani unico figlio,
8.6.2 gloria e sostegno a la cadente etade,
8.6.3 esser tra quei bramò che 'l tuo consiglio
8.6.4 seguendo han cinto per Giesù le spade;
8.6.5 né timor di fatica o di periglio,
8.6.6 né vaghezza del regno, né pietade
8.6.7 del vecchio genitor, sì degno affetto
8.6.8 intepidìr nel generoso petto.
8.7.1 Lo spingeva un desio d' apprender l' arte
8.7.2 de la milizia faticosa e dura
8.7.3 da te, sì nobil mastro, e sentia in parte
8.7.4 sdegno e vergogna di sua fama oscura,
8.7.5 già di Rinaldo il nome in ogni parte
8.7.6 con gloria udendo in verdi anni matura;
8.7.7 ma più ch' altra cagione, il mosse il zelo
8.7.8 non del terren ma de l' onor del Cielo.
8.8.1 Precipitò dunque gli indugi, e tolse
8.8.2 stuol di scelti compagni audace e fero,
8.8.3 e dritto invèr la Tracia il camin volse
8.8.4 a la città che sede è de l' impero.
8.8.5 Qui il greco Augusto in sua magion l' accolse,
8.8.6 qui poi giunse in tuo nome un messaggiero.
8.8.7 Questi a pien gli narrò come già presa
8.8.8 fosse Antiochia, e come poi difesa;
8.9.1 difesa incontra al Perso, il qual con tanti
8.9.2 uomini armati ad assediarvi mosse,
8.9.3 che sembrava che d' arme e d' abitanti
8.9.4 vòto il gran regno suo rimaso fosse.
8.9.5 Di te gli disse, e poi narrò d' alquanti
8.9.6 sin ch' a Rinaldo giunse, e qui fermosse;
8.9.7 contò l' ardita fuga, e ciò che poi
8.9.8 fatto di glorioso avea tra voi.
8.10.1 Soggiunse al fin come già il popol franco
8.10.2 veniva a dar l' assalto a queste porte;
8.10.3 e invitò lui ch' egli volesse almanco
8.10.4 de l' ultima vittoria esser consorte.
8.10.5 Questo parlare al giovenetto fianco
8.10.6 del fero Sveno è stimolo sì forte,
8.10.7 ch' ogn' ora un lustro pargli infra pagani
8.10.8 rotar il ferro e insanguinar le mani.
8.11.1 Par che la sua viltà rimproverarsi
8.11.2 senta ne l' altrui gloria, e se ne rode;
8.11.3 e ch' il consiglia e ch' il prega a fermarsi,
8.11.4 o che non l' essaudisce o che non l' ode.
8.11.5 Rischio non teme, fuor che 'l non trovarsi
8.11.6 de' tuoi gran rischi a parte e di tua lode;
8.11.7 questo gli sembra sol periglio grave,
8.11.8 de gli altri o nulla intende o nulla pave.
8.12.1 Egli medesmo sua fortuna affretta,
8.12.2 fortuna che noi tragge e lui conduce,
8.12.3 però ch' a pena al suo partire aspetta
8.12.4 i primi rai de la novella luce.
8.12.5 È per miglior la via più breve eletta;
8.12.6 tale ei la stima, ch' è signor e duce,
8.12.7 né i passi più difficili o i paesi
8.12.8 schivar si cerca de' nemici offesi.
8.13.1 Or difetto di cibo, or camin duro
8.13.2 trovammo, or violenza ed or aguati;
8.13.3 ma tutti fur vinti i disagi, e furo
8.13.4 or uccisi i nemici ed or fugati.
8.13.5 Fatto avean ne' perigli ogn' uom securo
8.13.6 le vittorie e insolenti i fortunati,
8.13.7 quando un dì ci accampammo ove i confini
8.13.8 non lunge erano omai de' Palestini.
8.14.1 Quivi da i precursori a noi vien detto
8.14.2 ch' alto strepito d' arme avean sentito,
8.14.3 e viste insegne e indizi onde han sospetto
8.14.4 che sia vicino essercito infinito.
8.14.5 Non pensier, non color, non cangia aspetto,
8.14.6 non muta voce il signor nostro ardito,
8.14.7 benché molti vi sian ch' al fero aviso
8.14.8 tingan di bianca pallidezza il viso.
8.15.1 Ma dice: --Oh quale omai vicina abbiamo
8.15.2 corona o di martirio o di vittoria!
8.15.3 L' una spero io ben più, ma non men bramo
8.15.4 l' altra ove è maggior merto e pari gloria.
8.15.5 Questo campo, o fratelli, ove or noi siamo,
8.15.6 fia tempio sacro ad immortal memoria,
8.15.7 in cui l' età futura additi e mostri
8.15.8 le nostre sepolture e i trofei nostri.--
8.16.1 Così parla, e le guardie indi dispone
8.16.2 e gli uffici comparte e la fatica.
8.16.3 Vuol ch' armato ognun giaccia, e non depone
8.16.4 ei medesmo gli arnesi o la lorica.
8.16.5 Era la notte ancor ne la stagione
8.16.6 ch' è più del sonno e del silenzio amica,
8.16.7 allor che d' urli barbareschi udissi
8.16.8 romor che giunse al cielo ed a gli abissi.
8.17.1 Si grida --A l' armi! a l' armi!--, e Sveno involto
8.17.2 ne l' armi inanzi a tutti oltre si spinge,
8.17.3 e magnanimamente i lumi e 'l volto
8.17.4 di color d' ardimento infiamma e tinge.
8.17.5 Ecco siamo assaliti, e un cerchio folto
8.17.6 da tutti i lati ne circonda e stringe,
8.17.7 e intorno un bosco abbiam d' aste e di spade
8.17.8 e sovra noi di strali un nembo cade.
8.18.1 Ne la pugna inegual (però che venti
8.18.2 gli assalitori sono incontra ad uno)
8.18.3 molti d' essi piagati e molti spenti
8.18.4 son da cieche ferite a l' aer bruno;
8.18.5 ma il numero de gli egri e de' cadenti
8.18.6 fra l' ombre oscure non discerne alcuno:
8.18.7 copre la notte i nostri danni, e l' opre
8.18.8 de la nostra virtute insieme copre.
8.19.1 Pur sì fra gli altri Sveno alza la fronte
8.19.2 ch' agevol cosa è che veder si possa,
8.19.3 e nel buio le prove anco son conte
8.19.4 a chi vi mira, e l' incredibil possa.
8.19.5 Di sangue un rio, d' uomini uccisi un monte
8.19.6 d' ogni intorno gli fanno argine e fossa;
8.19.7 e dovunque ne va, sembra che porte
8.19.8 lo spavento ne gli occhi, e in man la morte.
8.20.1 Così pugnato fu sin che l' albore
8.20.2 rosseggiando nel ciel già n' apparia.
8.20.3 Ma poi che scosso fu il notturno orrore
8.20.4 che l' orror de le morti in sé copria,
8.20.5 la desiata luce a noi terrore
8.20.6 con vista accrebbe dolorosa e ria,
8.20.7 ché pien d' estinti il campo e quasi tutta
8.20.8 nostra gente vedemmo omai destrutta.
8.21.1 Duomila fummo, e non siam cento. Or quando
8.21.2 tanto sangue egli mira e tante morti,
8.21.3 non so se 'l cuor feroce al miserando
8.21.4 spettacolo si turbi e si sconforti;
8.21.5 ma già no 'l mostra, anzi la voce alzando:
8.21.6 --Seguiam-- ne grida --que' compagni forti
8.21.7 ch' al Ciel lunge da i laghi averni e stigi
8.21.8 n' han segnati co 'l sangue alti vestigi.--
8.22.1 Disse, e lieto (credo io) de la vicina
8.22.2 morte così nel cor come al sembiante,
8.22.3 incontra alla barbarica ruina
8.22.4 portonne il petto intrepido e costante.
8.22.5 Tempra non sosterrebbe, ancor che fina
8.22.6 fosse e d' acciaio no, ma di diamante,
8.22.7 i feri colpi, onde egli il campo allaga,
8.22.8 e fatto è il corpo suo solo una piaga.
8.23.1 La vita no, ma la virtù sostenta
8.23.2 quel cadavero indomito e feroce.
8.23.3 Ripercote percosso e non s' allenta,
8.23.4 ma quanto offeso è più tanto più noce.
8.23.5 Quando ecco furiando a lui s' aventa
8.23.6 uom grande, c' ha sembiante e guardo atroce;
8.23.7 e dopo lunga ed ostinata guerra,
8.23.8 con l' aita di molti al fin l' atterra.
8.24.1 Cade il garzone invitto (ahi caso amaro!),
8.24.2 né v' è fra noi chi vendicare il possa.
8.24.3 Voi chiamo in testimonio, o del mio caro
8.24.4 signor sangue ben sparso e nobil ossa,
8.24.5 ch' allor non fui de la mia vita avaro,
8.24.6 né schivai ferro né schivai percossa;
8.24.7 e se piaciuto pur fosse là sopra
8.24.8 ch' io vi morissi, il meritai con l' opra.
8.25.1 Fra gli estinti compagni io sol cadei
8.25.2 vivo, né vivo forse è chi mi pensi;
8.25.3 né de' nemici più cosa saprei
8.25.4 ridir, sì tutti avea sopiti i sensi.
8.25.5 Ma poi che tornò il lume a gli occhi miei,
8.25.6 ch' eran d' atra caligine condensi,
8.25.7 notte mi parve, ed a lo sguardo fioco
8.25.8 s' offerse il vacillar d' un picciol foco.
8.26.1 Non rimaneva in me tanta virtude
8.26.2 ch' a discerner le cose io fossi presto,
8.26.3 ma vedea come quei ch' or apre or chiude
8.26.4 gli occhi, mezzo tra 'l sonno e l' esser desto;
8.26.5 e 'l duolo omai de le ferite crude
8.26.6 più cominciava a farmisi molesto,
8.26.7 ché l' inaspria l' aura notturna e 'l gelo
8.26.8 in terra nuda e sotto aperto cielo.
8.27.1 Più e più ognor s' avicinava intanto
8.27.2 quel lume e insieme un tacito bisbiglio,
8.27.3 sì ch' a me giunse e mi si pose a canto.
8.27.4 Alzo allor, bench' a pena, il debil ciglio
8.27.5 e veggio due vestiti in lungo manto
8.27.6 tener due faci, e dirmi sento: --O figlio,
8.27.7 confida in quel Signor ch' a' pii soviene,
8.27.8 e con la grazia i preghi altrui previene.--
8.28.1 In tal guisa parlommi: indi la mano
8.28.2 benedicendo sovra me distese;
8.28.3 e susurrò con suon devoto e piano
8.28.4 voci allor poco udite e meno intese.
8.28.5 --Sorgi--, poi disse; ed io leggiero e sano
8.28.6 sorgo, e non sento le nemiche offese
8.28.7 (oh miracol gentile!), anzi mi sembra
8.28.8 piene di vigor novo aver le membra.
8.29.1 Stupido lor riguardo, e non ben crede
8.29.2 l' anima sbigottita il certo e il vero;
8.29.3 onde l' un d' essi a me: --Di poca fede,
8.29.4 che dubbii? o che vaneggia il tuo pensiero?
8.29.5 Verace corpo è quel che 'n noi si vede:
8.29.6 servi siam di Giesù, che 'l lusinghiero
8.29.7 mondo e 'l suo falso dolce abbiam fuggito,
8.29.8 e qui viviamo in loco erto e romito.
8.30.1 Me per ministro a tua salute eletto
8.30.2 ha quel Signor che 'n ogni parte regna,
8.30.3 ché per ignobil mezzo oprar effetto
8.30.4 meraviglioso ed alto egli non sdegna,
8.30.5 né men vorrà che sì resti negletto
8.30.6 quel corpo in cui già visse alma sì degna,
8.30.7 lo qual con essa ancor, lucido e leve
8.30.8 e immortal fatto, riunir si deve.
8.31.1 Dico il corpo di Sveno a cui fia data
8.31.2 tomba, a tanto valor conveniente,
8.31.3 la qual a dito mostra ed onorata
8.31.4 ancor sarà da la futura gente.
8.31.5 Ma leva omai gli occhi a le stelle, e guata
8.31.6 là splender quella, come un sol lucente;
8.31.7 questa co' vivi raggi or ti conduce
8.31.8 là dove è il corpo del tuo nobil duce.--
8.32.1 Allor vegg' io che da la bella face,
8.32.2 anzi dal sol notturno, un raggio scende
8.32.3 che dritto là dove il gran corpo giace,
8.32.4 quasi aureo tratto di pennel, si stende;
8.32.5 e sovra lui tal lume e tanto face
8.32.6 ch' ogni sua piaga ne sfavilla e splende,
8.32.7 e subito da me si raffigura
8.32.8 ne la sanguigna orribile mistura.
8.33.1 Giacea, prono non già, ma come vòlto
8.33.2 ebbe sempre a le stelle il suo desire,
8.33.3 dritto ei teneva inverso il cielo il volto
8.33.4 in guisa d' uom che pur là suso aspire.
8.33.5 Chiusa la destra e 'l pugno avea raccolto
8.33.6 e stretto il ferro, e in atto è di ferire;
8.33.7 l' altra su 'l petto in modo umile e pio
8.33.8 si posa, e par che perdon chieggia a Dio.
8.34.1 Mentre io le piaghe sue lavo co 'l pianto,
8.34.2 né però sfogo il duol che l' alma accora,
8.34.3 gli aprì la chiusa destra il vecchio santo,
8.34.4 e 'l ferro che stringea trattone fora:
8.34.5 --Questa-- a me disse --ch' oggi sparso ha tanto
8.34.6 sangue nemico, e n' è vermiglia ancora,
8.34.7 è come sai perfetta, e non è forse
8.34.8 altra spada che debba a lei preporse.
8.35.1 Onde piace là su che, s' or la parte
8.35.2 dal suo primo signor acerba morte,
8.35.3 oziosa non resti in questa parte,
8.35.4 ma di man passi in mano ardita e forte
8.35.5 che l' usi poi con egual forza ed arte,
8.35.6 ma più lunga stagion con lieta sorte;
8.35.7 e con lei faccia, perché a lei s' aspetta,
8.35.8 di chi Sveno le uccise aspra vendetta.
8.36.1 Soliman Sveno uccise, e Solimano
8.36.2 dée per la spada sua restarne ucciso.
8.36.3 Prendila dunque, e vanne ov' il cristiano
8.36.4 campo fia intorno a l' alte mura assiso;
8.36.5 e non temer che nel paese estrano
8.36.6 ti sia il sentier di novo anco preciso,
8.36.7 ché t' agevolerà per l' aspra via
8.36.8 l' alta destra di Lui ch' or là t' invia.
8.37.1 Quivi Egli vuol che da cotesta voce,
8.37.2 che viva in te servò, si manifesti
8.37.3 la pietate, il valor, l' ardir feroce
8.37.4 che nel diletto tuo signor vedesti,
8.37.5 perché a segnar de la purpurea Croce
8.37.6 l' arme con tale essempio altri si desti,
8.37.7 ed ora e dopo un corso anco di lustri
8.37.8 infiammati ne sian gli animi illustri.
8.38.1 Resta che sappia tu chi sia colui
8.38.2 che deve de la spada esser erede.
8.38.3 Questi è Rinaldo, il giovenetto a cui
8.38.4 il pregio di fortezza ogn' altro cede.
8.38.5 A lui la porgi, e di' che sol da lui
8.38.6 l' alta vendetta il Cielo e 'l mondo chiede.--
8.38.7 Or mentre io le sue voci intento ascolto,
8.38.8 fui da miracol novo a sé rivolto,
8.39.1 ché là dove il cadavero giacea
8.39.2 ebbi improviso un gran sepolcro scorto,
8.39.3 che sorgendo rinchiuso in sé l' avea,
8.39.4 come non so né con qual arte sorto;
8.39.5 e in brevi note altrui vi si sponea
8.39.6 il nome e la virtù del guerrier morto.
8.39.7 Io non sapea da tal vista levarmi,
8.39.8 mirando ora le lettre ed ora i marmi.
8.40.1 --Qui-- disse il vecchio --appresso a i fidi amici
8.40.2 giacerà del tuo duce il corpo ascoso,
8.40.3 mentre gli spirti amando in Ciel felici
8.40.4 godon perpetuo bene e glorioso.
8.40.5 Ma tu co 'l pianto omai gli estremi uffici
8.40.6 pagato hai loro, e tempo è di riposo.
8.40.7 Oste mio ne sarai sin ch' al viaggio
8.40.8 matutin ti risvegli il novo raggio.--
8.41.1 Tacque, e per lochi ora sublimi or cupi
8.41.2 mi scòrse onde a gran pena il fianco trassi,
8.41.3 sin ch' ove pende da selvaggie rupi
8.41.4 cava spelonca raccogliemmo i passi.
8.41.5 Questo è il suo albergo: ivi fra gli orsi e i lupi
8.41.6 co 'l discepolo suo securo stassi,
8.41.7 ché difesa miglior ch' usbergo e scudo
8.41.8 è la santa innocenza al petto ignudo.
8.42.1 Silvestre cibo e duro letto porse
8.42.2 quivi a le membra mie posa e ristoro.
8.42.3 Ma poi ch' accesi in oriente scorse
8.42.4 i raggi del mattin purpurei e d' oro,
8.42.5 vigilante ad orar subito sorse
8.42.6 l' uno e l' altro eremita, ed io con loro.
8.42.7 Dal santo vecchio poi congedo tolsi
8.42.8 e qui, dov' egli consigliò, mi volsi.--
8.43.1 Qui si tacque il tedesco, e gli rispose
8.43.2 il pio Buglione:-- O cavalier, tu porte
8.43.3 dure novelle al campo e dolorose
8.43.4 onde a ragion si turbi e si sconforte,
8.43.5 poi che genti sì amiche e valorose
8.43.6 breve ora ha tolte e poca terra absorte,
8.43.7 e in guisa d' un baleno il signor vostro
8.43.8 s' è in un sol punto dileguato e mostro.
8.44.1 Ma che? felice è cotal morte e scempio
8.44.2 via più ch' acquisto di provincie e d' oro,
8.44.3 né dar l' antico Campidoglio essempio
8.44.4 d' alcun può mai sì glorioso alloro.
8.44.5 Essi del ciel nel luminoso tempio
8.44.6 han corona immortal del vincer loro:
8.44.7 ivi credo io che le sue belle piaghe
8.44.8 ciascun lieto dimostri e se n' appaghe.
8.45.1 Ma tu, che a le fatiche ed al periglio
8.45.2 ne la milizia ancor resti del mondo,
8.45.3 devi gioir de' lor trionfi, e 'l ciglio
8.45.4 render quanto conviene omai giocondo;
8.45.5 e perché chiedi di Bertoldo il figlio,
8.45.6 sappi ch' ei fuor de l' oste è vagabondo,
8.45.7 né lodo io già che dubbia via tu prenda
8.45.8 pria che di lui certa novella intenda.--
8.46.1 Questo lor ragionar ne l' altrui mente
8.46.2 di Rinaldo l' amor desta e rinova,
8.46.3 e v' è chi dice: -- Ahi! fra pagana gente
8.46.4 il giovenetto errante or si ritrova.--
8.46.5 E non v' è quasi alcun che non rammente,
8.46.6 narrando al dano, i suoi gran fatti a prova;
8.46.7 e de l' opere sue la lunga tela
8.46.8 con istupor gli si dispiega e svela.
8.47.1 Or quando del garzon la rimembranza
8.47.2 avea gli animi tutti inteneriti,
8.47.3 ecco molti tornar, che per usanza
8.47.4 eran d' intorno a depredare usciti.
8.47.5 Conducean questi seco in abbondanza
8.47.6 e mandre di lanuti e buoi rapiti
8.47.7 e biade ancor, benché non molte, e strame
8.47.8 che pasca de' corsier l' avida fame.
8.48.1 E questi di sciagura aspra e noiosa
8.48.2 segno portàr che 'n apparenza è certo:
8.48.3 rotta del buon Rinaldo e sanguinosa
8.48.4 la sopravesta ed ogni arnese aperto.
8.48.5 Tosto si sparse (e chi potria tal cosa
8.48.6 tener celata?) un romor vario e incerto.
8.48.7 Corre il vulgo dolente a le novelle
8.48.8 del guerriero e de l' arme, e vuol vedelle.
8.49.1 Vede, e conosce ben l' immensa mole
8.49.2 del grand' usbergo e 'l folgorar del lume,
8.49.3 e l' arme tutte ove è l' augel ch' al sole
8.49.4 prova i suoi figli e mal crede a le piume;
8.49.5 ché di vederle già primiere o sole
8.49.6 ne le imprese più grandi ebbe in costume,
8.49.7 ed or non senza alta pietate ed ira
8.49.8 rotte e sanguigne ivi giacer le mira.
8.50.1 Mentre bisbiglia il campo, e la cagione
8.50.2 de la morte di lui varia si crede,
8.50.3 a sé chiama Aliprando il pio Buglione,
8.50.4 duce di quei che ne portàr le prede,
8.50.5 uom di libera mente e di sermone
8.50.6 veracissimo e schietto, ed a lui chiede:
8.50.7 -- Di' come e donde tu rechi quest' arme,
8.50.8 e di buono o di reo nulla celarme.--
8.51.1 Gli rispose colui: -- Di qui lontano
8.51.2 quanto in duo giorni un messaggiero andria,
8.51.3 verso il confin di Gaza un picciol piano
8.51.4 chiuso tra colli alquanto è fuor di via;
8.51.5 e in lui d' alto deriva e lento e piano
8.51.6 tra pianta e pianta un fiumicel s' invia,
8.51.7 e d' arbori e di macchie ombroso e folto
8.51.8 opportuno a l' insidie il loco è molto.
8.52.1 Qui greggia alcuna cercavam che fosse
8.52.2 venuta a i paschi de l' erbose sponde,
8.52.3 e in su l' erbe miriam di sangue rosse
8.52.4 giacerne un guerrier morto in riva a l' onde.
8.52.5 A l' arme ed a l' insegne ogn' uom si mosse,
8.52.6 che furon conosciute ancor che immonde.
8.52.7 Io m' appressai per discoprirgli il viso,
8.52.8 ma trovai ch' era il capo indi reciso.
8.53.1 Mancava ancor la destra, e 'l busto grande
8.53.2 molte ferite avea dal tergo al petto;
8.53.3 e non lontan, con l' aquila che spande
8.53.4 le candide ali, giacea il vòto elmetto.
8.53.5 Mentre cerco d' alcuno a cui dimande,
8.53.6 un villanel sopragiungea soletto
8.53.7 che 'ndietro il passo per fuggirne torse
8.53.8 subitamente che di noi s' accorse.
8.54.1 Ma seguitato e preso, a la richiesta
8.54.2 che noi gli facevamo, al fin rispose
8.54.3 che 'l giorno inanti uscir de la foresta
8.54.4 scorse molti guerrieri, onde ei s' ascose;
8.54.5 e ch' un d' essi tenea recisa testa
8.54.6 per le sue chiome bionde e sanguinose,
8.54.7 la qual gli parve, rimirando intento,
8.54.8 d' uom giovenetto e senza peli al mento;
8.55.1 e che 'l medesmo poco poi l' avolse
8.55.2 in un zendado da l' arcion pendente.
8.55.3 Soggiunse ancor ch' a l' abito raccolse
8.55.4 ch' erano i cavalier di nostra gente.
8.55.5 Io spogliar feci il corpo, e sì me 'n dolse
8.55.6 che piansi nel sospetto amaramente,
8.55.7 e portai meco l' arme e lasciai cura
8.55.8 ch' avesse degno onor di sepoltura.
8.56.1 Ma se quel nobil tronco è quel ch' io credo,
8.56.2 altra tomba, altra pompa egli ben merta.--
8.56.3 Così detto, Aliprando ebbe congedo,
8.56.4 però che cosa non avea più certa.
8.56.5 Rimase grave e sospirò Goffredo;
8.56.6 pur nel tristo pensier non si raccerta,
8.56.7 e con più chiari segni il monco busto
8.56.8 conoscer vuole e l' omicida ingiusto.
8.57.1 Sorgea la notte intanto, e sotto l' ali
8.57.2 ricopriva del cielo i campi immensi;
8.57.3 e 'l sonno, ozio de l' alme, oblio de' mali,
8.57.4 lusingando sopia le cure e i sensi.
8.57.5 Tu sol punto, Argillan, d' acuti strali
8.57.6 d' aspro dolor, volgi gran cose e pensi,
8.57.7 né l' agitato sen né gli occhi ponno
8.57.8 la quiete raccòrre o 'l molle sonno.
8.58.1 Costui pronto di man, di lingua ardito,
8.58.2 impetuoso e fervido d' ingegno,
8.58.3 nacque in riva del Tronto e fu nutrito
8.58.4 ne le risse civil d' odio e di sdegno;
8.58.5 poscia in essiglio spinto, i colli e 'l lito
8.58.6 empié di sangue e depredò quel regno,
8.58.7 sin che ne l' Asia a guerreggiar se 'n venne
8.58.8 e per fama miglior chiaro divenne.
8.59.1 Al fin questi su l' alba i lumi chiuse;
8.59.2 né già fu sonno il suo queto e soave,
8.59.3 ma fu stupor ch' Aletto al cor gl' infuse,
8.59.4 non men che morte sia profondo e grave.
8.59.5 Sono le interne sue virtù deluse
8.59.6 e riposo dormendo anco non have,
8.59.7 ché la furia crudel gli s' appresenta
8.59.8 sotto orribili larve e lo sgomenta.
8.60.1 Gli figura un gran busto, ond' è diviso
8.60.2 il capo e de la destra il braccio è mozzo,
8.60.3 e sostien con la manca il teschio inciso,
8.60.4 di sangue e di pallor livido e sozzo.
8.60.5 Spira e parla spirando il morto viso,
8.60.6 e 'l parlar vien co 'l sangue e co 'l singhiozzo:
8.60.7 -- Fuggi, Argillan; non vedi omai la luce?
8.60.8 Fuggi le tende infami e l' empio duce.
8.61.1 Chi dal fero Goffredo e da la frode
8.61.2 ch' uccise me, voi, cari amici, affida?
8.61.3 D' astio dentro il fellon tutto si rode,
8.61.4 e pensa sol come voi meco uccida.
8.61.5 Pur, se cotesta mano a nobil lode
8.61.6 aspira, e in sua virtù tanto si fida,
8.61.7 non fuggir, no; plachi il tiranno essangue
8.61.8 lo spirto mio co 'l suo maligno sangue.
8.62.1 Io sarò teco, ombra di ferro e d' ira
8.62.2 ministra, e t' armerò la destra e 'l seno.--
8.62.3 Così gli parla, e nel parlar gli spira
8.62.4 spirito novo di furor ripieno.
8.62.5 Si rompe il sonno, e sbigottito ei gira
8.62.6 gli occhi gonfi di rabbia e di veneno;
8.62.7 ed armato ch' egli è, con importuna
8.62.8 fretta i guerrier d' Italia insieme aduna.
8.63.1 Gli aduna là dove sospese stanno
8.63.2 l' arme del buon Rinaldo, e con superba
8.63.3 voce il furore e 'l conceputo affanno
8.63.4 in tai detti divulga e disacerba:
8.63.5 -- Dunque un popolo barbaro e tiranno,
8.63.6 che non prezza ragion, che fé non serba,
8.63.7 che non fu mai di sangue e d' or satollo,
8.63.8 ne terrà 'l freno in bocca e 'l giogo al collo?
8.64.1 Ciò che sofferto abbiam d' aspro e d' indegno
8.64.2 sette anni omai sotto sì iniqua soma,
8.64.3 è tal ch' arder di scorno, arder di sdegno
8.64.4 potrà da qui a mill' anni Italia e Roma.
8.64.5 Taccio che fu da l' arme e da l' ingegno
8.64.6 del buon Tancredi la Cilicia doma,
8.64.7 e ch' ora il Franco a tradigion la gode,
8.64.8 e i premi usurpa del valor la frode.
8.65.1 Taccio ch' ove il bisogno e 'l tempo chiede
8.65.2 pronta man, pensier fermo, animo audace,
8.65.3 alcuno ivi di noi primo si vede
8.65.4 portar fra mille morti o ferro o face;
8.65.5 quando le palme poi, quando le prede
8.65.6 si dispensan ne l' ozio e ne la pace,
8.65.7 nostri in parte non son, ma tutti loro
8.65.8 i trionfi, gli onor, le terre e l' oro.
8.66.1 Tempo forse già fu che gravi e strane
8.66.2 ne potevan parer sì fatte offese;
8.66.3 quasi lievi or le passo: orrenda, immane
8.66.4 ferità leggierissime l' ha rese.
8.66.5 Hanno ucciso Rinaldo, e con l' umane
8.66.6 l' alte leggi divine han vilipese.
8.66.7 E non fulmina il Cielo? e non l' inghiotte
8.66.8 la terra entro la sua perpetua notte?
8.67.1 Rinaldo han morto, il qual fu spada e scudo
8.67.2 di nostra fede; ed ancor giace inulto?
8.67.3 inulto giace, e su 'l terreno ignudo
8.67.4 lacerato il lasciaro ed insepulto.
8.67.5 Ricercate saper chi fosse il crudo?
8.67.6 A chi pote, o compagni, esser occulto?
8.67.7 Deh! chi non sa quanto al valor latino
8.67.8 portin Goffredo invidia e Baldovino?
8.68.1 Ma che cerco argomenti? Il Cielo io giuro
8.68.2 (il Ciel che n' ode e ch' ingannar non lice),
8.68.3 ch' allor che si rischiara il mondo oscuro,
8.68.4 spirito errante il vidi ed infelice.
8.68.5 Che spettacolo, oimè, crudele e duro!
8.68.6 Quai frode di Goffredo a noi predice!
8.68.7 Io 'l vidi, e non fu sogno; e ovunque or miri,
8.68.8 par che dinanzi a gli occhi miei s' aggiri.
8.69.1 Or che faremo noi? dée quella mano,
8.69.2 che di morte sì ingiusta è ancora immonda,
8.69.3 reggerci sempre? o pur vorrem lontano
8.69.4 girne da lei, dove l' Eufrate inonda,
8.69.5 dove a popolo imbelle in fertil piano
8.69.6 tante ville e città nutre e feconda,
8.69.7 anzi a noi pur? Nostre saranno, io spero,
8.69.8 né co' Franchi comune avrem l' impero.
8.70.1 Andianne, e resti invendicato il sangue
8.70.2 (se così parvi) illustre ed innocente,
8.70.3 benché, se la virtù che fredda langue
8.70.4 fosse ora in voi quanto dovrebbe ardente,
8.70.5 questo che divorò, pestifero angue,
8.70.6 il pregio e 'l fior de la latina gente,
8.70.7 daria con la sua morte e con lo scempio
8.70.8 a gli altri mostri memorando essempio.
8.71.1 Io, io vorrei, se 'l vostro alto valore,
8.71.2 quanto egli può, tanto voler osasse,
8.71.3 ch' oggi per questa man ne l' empio core,
8.71.4 nido di tradigion, la pena entrasse.--
8.71.5 Così parla agitato, e nel furore
8.71.6 e ne l' impeto suo ciascuno ei trasse.
8.71.7 -- Arme! arme! -- freme il forsennato, e insieme
8.71.8 la gioventù superba -- Arme! arme! -- freme.
8.72.1 Rota Aletto fra lor la destra armata,
8.72.2 e co 'l foco il venen ne' petti mesce.
8.72.3 Lo sdegno, la follia, la scelerata
8.72.4 sete del sangue ognor più infuria e cresce;
8.72.5 e serpe quella peste e si dilata,
8.72.6 e de gli alberghi italici fuor n' esce,
8.72.7 e passa fra gli Elvezi, e vi s' apprende,
8.72.8 e di là poscia a gli Inghilesi tende.
8.73.1 Né sol l' estrane genti avien che mova
8.73.2 il duro caso e 'l gran publico danno,
8.73.3 ma l' antiche cagioni a l' ira nova
8.73.4 materia insieme e nutrimento danno.
8.73.5 Ogni sopito sdegno or si rinova:
8.73.6 chiamano il popol franco empio e tiranno,
8.73.7 e in superbe minaccie esce diffuso
8.73.8 l' odio che non può starne omai più chiuso.
8.74.1 Così nel cavo rame umor che bolle
8.74.2 per troppo foco, entro gorgoglia e fuma;
8.74.3 né capendo in se stesso, al fin s' estolle
8.74.4 sovra gli orli del vaso, e inonda e spuma.
8.74.5 Non bastano a frenare il vulgo folle
8.74.6 que' pochi a cui la mente il vero alluma;
8.74.7 e Tancredi e Camillo eran lontani,
8.74.8 Guglielmo e gli altri in podestà soprani.
8.75.1 Corrono già precipitosi a l' armi
8.75.2 confusamente i popoli feroci,
8.75.3 e già s' odon cantar bellici carmi
8.75.4 sediziose trombe in fere voci.
8.75.5 Gridano intanto al pio Buglion che s' armi
8.75.6 molti di qua di là nunzi veloci,
8.75.7 e Baldovin inanzi a tutti armato
8.75.8 gli s' appresenta e gli si pone a lato.
8.76.1 Egli, ch' ode l' accusa, i lumi al cielo
8.76.2 drizza e pur come suole a Dio ricorre:
8.76.3 --Signor, tu che sai ben con quanto zelo
8.76.4 la destra mia del civil sangue aborre,
8.76.5 tu squarcia a questi de la mente il velo,
8.76.6 e reprimi il furor che sì trascorre;
8.76.7 e l' innocenza mia, che costà sopra
8.76.8 è nota, al mondo cieco anco si scopra.--
8.77.1 Tacque, e dal Cielo infuso ir fra le vene
8.77.2 sentissi un novo inusitato caldo.
8.77.3 Colmo d' alto vigor, d' ardita spene
8.77.4 che nel volto si sparge e 'l fa più baldo,
8.77.5 e da' suoi circondato, oltre se 'n viene
8.77.6 contra chi vendicar credea Rinaldo;
8.77.7 né, perché d' arme e di minaccie ei senta
8.77.8 fremito d' ogni intorno, il passo allenta.
8.78.1 Ha la corazza indosso, e nobil veste
8.78.2 riccamente l' adorna oltra 'l costume.
8.78.3 Nudo è le mani e 'l volto, e di celeste
8.78.4 maestà vi risplende un novo lume:
8.78.5 scote l' aurato scettro, e sol con queste
8.78.6 arme acquetar quegli impeti presume.
8.78.7 Tal si mostra a coloro e tal ragiona,
8.78.8 né come d' uom mortal la voce suona:
8.79.1 -- Quali stolte minaccie e quale or odo
8.79.2 vano strepito d' arme? e chi il commove?
8.79.3 Così qui riverito e in questo modo
8.79.4 noto son io, dopo sì lunghe prove,
8.79.5 ch' ancor v' è chi sospetti e chi di frodo
8.79.6 Goffredo accusi? e chi l' accuse approve?
8.79.7 Forse aspettate ancor ch' a voi mi pieghi,
8.79.8 e ragioni v' adduca e porga preghi?
8.80.1 Ah non sia ver che tanta indignitate
8.80.2 la terra piena del mio nome intenda.
8.80.3 Me questo scettro, me de l' onorate
8.80.4 opre mie la memoria e 'l ver difenda;
8.80.5 e per or la giustizia a la pietate
8.80.6 ceda, né sovra i rei la pena scenda.
8.80.7 A gli altri merti or questo error perdono,
8.80.8 ed al vostro Rinaldo anco vi dono.
8.81.1 Co 'l sangue suo lavi il comun difetto
8.81.2 solo Argillan, di tante colpe autore,
8.81.3 che, mosso a leggierissimo sospetto,
8.81.4 sospinti gli altri ha nel medesmo errore.--
8.81.5 Lampi e folgori ardean nel regio aspetto,
8.81.6 mentre ei parlò, di maestà, d' onore;
8.81.7 tal ch' Argillano attonito e conquiso
8.81.8 teme (chi 'l crederia?) l' ira d' un viso.
8.82.1 E 'l vulgo, ch' anzi irriverente, audace,
8.82.2 tutto fremer s' udia d' orgogli e d' onte,
8.82.3 e ch' ebbe al ferro, a l' aste ed a la face
8.82.4 che 'l furor ministrò, le man sì pronte,
8.82.5 non osa (e i detti alteri ascolta, e tace)
8.82.6 fra timor e vergogna alzar la fronte,
8.82.7 e sostien ch' Argillano, ancor che cinto
8.82.8 de l' arme lor, sia da' ministri avinto.
8.83.1 Così leon, ch' anzi l' orribil coma
8.83.2 con muggito scotea superbo e fero,
8.83.3 se poi vede il maestro onde fu doma
8.83.4 la natia ferità del core altero,
8.83.5 può del giogo soffrir l' ignobil soma
8.83.6 e teme le minaccie e 'l duro impero,
8.83.7 né i gran velli, i gran denti e l' ugne c' hanno
8.83.8 tanta in sé forza, insuperbire il fanno.
8.84.1 È fama che fu visto in volto crudo
8.84.2 ed in atto feroce e minacciante
8.84.3 un alato guerrier tener lo scudo
8.84.4 de la difesa al pio Buglion davante,
8.84.5 e vibrar fulminando il ferro ignudo
8.84.6 che di sangue vedeasi ancor stillante:
8.84.7 sangue era forse di città, di regni,
8.84.8 che provocàr del Cielo i tardi sdegni.
8.85.1 Così, cheto il tumulto, ognun depone
8.85.2 l' arme, e molti con l' arme il mal talento;
8.85.3 e ritorna Goffredo al padiglione,
8.85.4 a varie cose, a nove imprese intento,
8.85.5 ch' assalir la cittate egli dispone
8.85.6 pria che 'l secondo o 'l terzo dì sia spento;
8.85.7 e rivedendo va l' incise travi,
8.85.8 già in machine conteste orrende e gravi.
CANTO IX
9.1.1 Ma il gran mostro infernal, che vede queti
9.1.2 que' già torbidi cori e l' ire spente,
9.1.3 e cozzar contra 'l fato e i gran decreti
9.1.4 svolger non può de l' immutabil Mente,
9.1.5 si parte, e dove passa i campi lieti
9.1.6 secca, e pallido il sol si fa repente;
9.1.7 e d' altre furie ancora e d' altri mali
9.1.8 ministra, a nova impresa affretta l' ali.
9.2.1 Ella, che dall' essercito cristiano
9.2.2 per industria sapea de' suoi consorti
9.2.3 il figliuol di Bertoldo esser lontano,
9.2.4 Tancredi e gli altri più temuti e forti,
9.2.5 disse:-- Che più s' aspetta? or Solimano
9.2.6 inaspettato venga e guerra porti.
9.2.7 Certo (o ch' io spero) alta vittoria avremo
9.2.8 di campo mal concorde e in parte scemo.--
9.3.1 Ciò detto, vola ove fra squadre erranti,
9.3.2 fattosen duce, Soliman dimora,
9.3.3 quel Soliman di cui non fu tra quanti
9.3.4 ha Dio rubelli, uom più feroce allora
9.3.5 né se per nova ingiuria i suoi giganti
9.3.6 rinovasse la terra, anco vi fòra.
9.3.7 Questi fu re de' Turchi ed in Nicea
9.3.8 la sede de l' imperio aver solea,
9.4.1 e distendeva incontra a i greci lidi
9.4.2 dal Sangario al Meandro il suo confine,
9.4.3 ove albergàr già Misi e Frigi e Lidi,
9.4.4 e le genti di Ponto e le bitine;
9.4.5 ma poi che contra i Turchi e gli altri infidi
9.4.6 passàr ne l' Asia l' arme peregrine,
9.4.7 fur sue terre espugnate, ed ei sconfitto
9.4.8 ben fu due fiate in general conflitto.
9.5.1 Ma riprovata avendo in van la sorte
9.5.2 e spinto a forza dal natio paese,
9.5.3 ricoverò del re d' Egitto in corte,
9.5.4 ch' oste gli fu magnanimo e cortese;
9.5.5 ed ebbe a grado che guerrier sì forte
9.5.6 gli s' offrisse compagno a l' alte imprese,
9.5.7 proposto avendo già vietar l' acquisto
9.5.8 di Palestina a i cavalier di Cristo.
9.6.1 Ma prima ch' egli apertamente loro
9.6.2 la destinata guerra annunziasse,
9.6.3 volle che Solimano, a cui molto oro
9.6.4 diè per tal uso, gli Arabi assoldasse.
9.6.5 Or mentre ei d' Asia e dal paese moro
9.6.6 l' oste accogliea, Soliman venne e trasse
9.6.7 agevolmente a sé gli Arabi avari,
9.6.8 ladroni in ogni tempo o mercenari.
9.7.1 Così fatto lor duce, or d' ogni intorno
9.7.2 la Giudea scorre, e fa prede e rapine
9.7.3 sì che 'l venire è chiuso e 'l far ritorno
9.7.4 da l' essercito franco a le marine;
9.7.5 e rimembrando ognor l' antico scorno
9.7.6 e de l' imperio suo l' alte ruine,
9.7.7 cose maggior nel petto acceso volve,
9.7.8 ma non ben s' assecura o si risolve.
9.8.1 A costui viene Aletto, e da lei tolto
9.8.2 è 'l sembiante d' un uom d' antica etade:
9.8.3 vòta di sangue, empie di crespe il volto,
9.8.4 lascia barbuto il labro e 'l mento rade,
9.8.5 dimostra il capo in lunghe tele avolto,
9.8.6 la veste oltra 'l ginocchio al piè gli cade,
9.8.7 la scimitarra al fianco, e 'l tergo carco
9.8.8 de la faretra, e ne le mani ha l' arco.
9.9.1 -- Noi -- gli dice ella -- or trascorriam le vòte
9.9.2 piaggie e l' arene sterili e deserte,
9.9.3 ove né far rapina omai si pote,
9.9.4 né vittoria acquistar che loda merte.
9.9.5 Goffredo intanto la città percote,
9.9.6 e già le mura ha con le torri aperte;
9.9.7 e già vedrem, s' ancor si tarda un poco,
9.9.8 insin di qua le sue ruine e 'l foco.
9.10.1 Dunque accesi tuguri e greggie e buoi
9.10.2 gli alti trofei di Soliman saranno?
9.10.3 Così racquisti il regno? e così i tuoi
9.10.4 oltraggi vendicar ti credi e 'l danno?
9.10.5 Ardisci, ardisci; entro a i ripari suoi
9.10.6 di notte opprimi il barbaro tiranno.
9.10.7 Credi al tuo vecchio Araspe, il cui consiglio
9.10.8 e nel regno provasti e ne l' essiglio.
9.11.1 Non ci aspetta egli e non ci teme, e sprezza
9.11.2 gli Arabi ignudi in vero e timorosi,
9.11.3 né creder mai potrà che gente avezza
9.11.4 a le prede, a le fughe, or cotanto osi;
9.11.5 ma feri li farà la tua fierezza
9.11.6 contra un campo che giaccia inerme e posi.--
9.11.7 Così gli disse, e le sue furie ardenti
9.11.8 spirogli al seno, e si mischiò tra' venti.
9.12.1 Grida il guerrier, levando al ciel la mano:
9.12.2 -- O tu, che furor tanto al cor m' irriti
9.12.3 (ned uom sei già, se ben sembiante umano
9.12.4 mostrasti), ecco io ti seguo ove m' inviti.
9.12.5 Verrò, farò là monti ov' ora è piano,
9.12.6 monti d' uomini estinti e di feriti,
9.12.7 farò fiumi di sangue. Or tu sia meco,
9.12.8 e tratta l' armi mie per l' aer cieco.--
9.13.1 Tace, e senza indugiar le turbe accoglie
9.13.2 e rincora parlando il vile e 'l lento,
9.13.3 e ne l' ardor de le sue stesse voglie
9.13.4 accende il campo a seguitarlo intento.
9.13.5 Dà il segno Aletto de la tromba, e scioglie
9.13.6 di sua man propria il gran vessillo al vento.
9.13.7 Marcia il campo veloce, anzi sì corre
9.13.8 che de la fama il volo anco precorre.
9.14.1 Va seco Aletto, e poscia il lascia e veste,
9.14.2 d' uom che rechi novelle, abito e viso;
9.14.3 e ne l' ora che par che il mondo reste
9.14.4 fra la notte e fra 'l dì dubbio e diviso,
9.14.5 entra in Gierusalemme, e tra le meste
9.14.6 turbe passando al re dà l' alto aviso
9.14.7 del gran campo che giunge e del disegno,
9.14.8 e del notturno assalto e l' ora e 'l segno.
9.15.1 Ma già distendon l' ombre orrido velo
9.15.2 che di rossi vapor si sparge e tigne;
9.15.3 la terra in vece del notturno gelo
9.15.4 bagnan rugiade tepide e sanguigne;
9.15.5 s' empie di mostri e di prodigi il cielo,
9.15.6 s' odon fremendo errar larve maligne:
9.15.7 votò Pluton gli abissi, e la sua notte
9.15.8 tutta versò da le tartaree grotte.
9.16.1 Per sì profondo orror verso le tende
9.16.2 de gli inimici il fer Soldan camina;
9.16.3 ma quando a mezzo del suo corso ascende
9.16.4 la notte, onde poi rapida dechina,
9.16.5 a men d' un miglio, ove riposo prende
9.16.6 il securo Francese, ei s' avicina.
9.16.7 Qui fe' cibar le genti, e poscia d' alto
9.16.8 parlando confortolle al crudo assalto:
9.17.1 -- Vedete là di mille furti pieno
9.17.2 un campo più famoso assai che forte,
9.17.3 che quasi un mar nel suo vorace seno
9.17.4 tutte de l' Asia ha le ricchezze absorte?
9.17.5 Questo ora a voi (né già potria con meno
9.17.6 vostro periglio) espon benigna sorte:
9.17.7 l' arme e i destrier d' ostro guerniti e d' oro
9.17.8 preda fian vostra, e non difesa loro.
9.18.1 Né questa è già quell' oste onde la persa
9.18.2 gente e la gente di Nicea fu vinta,
9.18.3 perché in guerra sì lunga e sì diversa
9.18.4 rimasa n' è la maggior parte estinta;
9.18.5 e s' anco integra fosse, or tutta immersa
9.18.6 in profonda quiete e d' arme è scinta.
9.18.7 Tosto s' opprime chi di sonno è carco,
9.18.8 ché dal sonno a la morte è un picciol varco.
9.19.1 Su su, venite: io primo aprir la strada
9.19.2 vuo' su i corpi languenti entro a i ripari;
9.19.3 ferir da questa mia ciascuna spada,
9.19.4 e l' arti usar di crudeltate impari.
9.19.5 Oggi fia che di Cristo il regno cada,
9.19.6 oggi libera l' Asia, oggi voi chiari.--
9.19.7 Così gli infiamma a le vicine prove,
9.19.8 indi tacitamente oltre lor move.
9.20.1 Ecco tra via le sentinelle ei vede
9.20.2 per l' ombra mista d' una incerta luce,
9.20.3 né ritrovar, come secura fede
9.20.4 avea, pote improviso il saggio duce.
9.20.5 Volgon quelle gridando indietro il piede,
9.20.6 scorto che sì gran turba egli conduce,
9.20.7 sì che la prima guardia è da lor desta,
9.20.8 e com' può meglio a guerreggiar s' appresta.
9.21.1 Dan fiato allora a i barbari metalli
9.21.2 gli Arabi, certi omai d' esser sentiti.
9.21.3 Van gridi orrendi al cielo, e de' cavalli
9.21.4 co 'l suon del calpestio misti i nitriti.
9.21.5 Gli alti monti muggìr, muggìr le valli,
9.21.6 e risposer gli abissi a i lor muggiti,
9.21.7 e la face inalzò di Flegetonte
9.21.8 Aletto, e 'l segno diede a quei del monte.
9.22.1 Corre inanzi il Soldano, e giunge a quella
9.22.2 confusa ancora e inordinata guarda
9.22.3 rapido sì che torbida procella
9.22.4 da' cavernosi monti esce più tarda.
9.22.5 Fiume ch' arbori insieme e case svella,
9.22.6 folgore che le torri abbatta ed arda,
9.22.7 terremoto che 'l mondo empia d' orrore,
9.22.8 son picciole sembianze al suo furore.
9.23.1 Non cala il ferro mai ch' a pien non colga,
9.23.2 né coglie a pien che piaga anco non faccia,
9.23.3 né piaga fa che l' alma altrui non tolga;
9.23.4 e più direi, ma il ver di falso ha faccia.
9.23.5 E par ch' egli o s' infinga o non se 'n dolga
9.23.6 o non senta il ferir de l' altrui braccia,
9.23.7 se ben l' elmo percosso in suon di squilla
9.23.8 rimbomba e orribilmente arde e sfavilla.
9.24.1 Or quando ei solo ha quasi in fuga vòlto
9.24.2 quel primo stuol de le francesche genti,
9.24.3 giungono in guisa d' un diluvio accolto
9.24.4 di mille rivi gli Arabi correnti.
9.24.5 Fuggono i Franchi allora a freno sciolto,
9.24.6 e misto il vincitor va tra' fuggenti,
9.24.7 e con lor entra ne' ripari, e 'l tutto
9.24.8 di ruine e d' orror s' empie e di lutto.
9.25.1 Porta il Soldan su l' elmo orrido e grande
9.25.2 serpe che si dilunga e il collo snoda,
9.25.3 su le zampe s' inalza e l' ali spande
9.25.4 e piega in arco la forcuta coda.
9.25.5 Par che tre lingue vibri e che fuor mande
9.25.6 livida spuma, e che 'l suo fischio s' oda.
9.25.7 Ed or ch' arde la pugna, anch' ei s' infiamma
9.25.8 nel moto, e fumo versa insieme e fiamma.
9.26.1 E si mostra in quel lume a i riguardanti
9.26.2 formidabil così l' empio Soldano,
9.26.3 come veggion ne l' ombra i naviganti
9.26.4 fra mille lampi il torbido oceano.
9.26.5 Altri danno a la fuga i piè tremanti,
9.26.6 danno altri al ferro intrepida la mano;
9.26.7 e la notte i tumulti ognor più mesce,
9.26.8 ed occultando i rischi, i rischi accresce.
9.27.1 Fra color che mostraro il cor più franco,
9.27.2 Latin, su 'l Tebro nato, allor si mosse,
9.27.3 a cui né le fatiche il corpo stanco,
9.27.4 né gli anni dome aveano ancor le posse.
9.27.5 Cinque suoi figli quasi eguali al fianco
9.27.6 gli erano sempre, ovunque in guerra ei fosse,
9.27.7 d' arme gravando, anzi il lor tempo molto,
9.27.8 le membra ancor crescenti e 'l molle volto.
9.28.1 Ed eccitati dal paterno essempio
9.28.2 aguzzavano al sangue il ferro e l' ire.
9.28.3 Dice egli loro:-- Andianne ove quell' empio
9.28.4 veggiam ne' fuggitivi insuperbire,
9.28.5 né già ritardi il sanguinoso scempio,
9.28.6 ch' ei fa de gli altri, in voi l' usato ardire,
9.28.7 però che quello, o figli, è vile onore
9.28.8 cui non adorni alcun passato orrore.--
9.29.1 Così feroce leonessa i figli,
9.29.2 cui dal collo la coma anco non pende
9.29.3 né con gli anni lor sono i feri artigli
9.29.4 cresciuti e l' arme de la bocca orrende,
9.29.5 mena seco a la preda ed a i perigli,
9.29.6 e con l' essempio a incrudelir gli accende
9.29.7 nel cacciator che le natie lor selve
9.29.8 turba e fuggir fa le men forti belve.
9.30.1 Segue il buon genitor l' incauto stuolo
9.30.2 de' cinque, e Solimano assale e cinge;
9.30.3 e in un sol punto un sol consiglio, e un solo
9.30.4 spirito quasi, sei lunghe aste spinge.
9.30.5 Ma troppo audace il suo maggior figliuolo
9.30.6 l' asta abbandona e con quel fer si stringe,
9.30.7 e tenta in van con la pungente spada
9.30.8 che sotto il corridor morto gli cada.
9.31.1 Ma come a le procelle esposto monte,
9.31.2 che percosso da i flutti al mar sovraste,
9.31.3 sostien fermo in se stesso i tuoni e l' onte
9.31.4 del ciel irato e i venti e l' onde vaste,
9.31.5 così il fero Soldan l' audace fronte
9.31.6 tien salda incontra a i ferri e incontra a l' aste,
9.31.7 ed a colui che il suo destrier percote
9.31.8 tra i cigli parte il capo e tra le gote.
9.32.1 Aramante al fratel che giù ruina
9.32.2 porge pietoso il braccio, e lo sostiene.
9.32.3 Vana e folle pietà! ch' a la ruina
9.32.4 altrui la sua medesma a giunger viene,
9.32.5 ché 'l pagan su quel braccio il ferro inchina
9.32.6 ed atterra con lui chi lui s' attiene.
9.32.7 Caggiono entrambi, e l' un su l' altro langue
9.32.8 mescolando i sospiri ultimi e 'l sangue.
9.33.1 Quinci egli di Sabin l' asta recisa,
9.33.2 onde il fanciullo di lontan l' infesta,
9.33.3 gli urta il cavallo adosso e 'l coglie in guisa
9.33.4 che giù tremante il batte, indi il calpesta.
9.33.5 Dal giovenetto corpo uscì divisa
9.33.6 con gran contrasto l' alma, e lasciò mesta
9.33.7 l' aure soavi de la vita e i giorni
9.33.8 de la tenera età lieti ed adorni.
9.34.1 Rimanean vivi ancor Pico e Laurente,
9.34.2 onde arricchì un sol parto il genitore:
9.34.3 similissima coppia e che sovente
9.34.4 esser solea cagion di dolce errore.
9.34.5 Ma se lei fe' natura indifferente,
9.34.6 differente or la fa l' ostil furore:
9.34.7 dura distinzion ch' a l' un divide
9.34.8 dal busto il collo, a l' altro il petto incide.
9.35.1 Il padre, ah non più padre! (ahi fera sorte,
9.35.2 ch' orbo di tanti figli a un punto il face!),
9.35.3 rimira in cinque morti or la sua morte
9.35.4 e de la stirpe sua che tutta giace.
9.35.5 Né so come vecchiezza abbia sì forte
9.35.6 ne l' atroci miserie e sì vivace
9.35.7 che spiri e pugni ancor; ma gli atti e i visi
9.35.8 non mirò forse de' figliuoli uccisi,
9.36.1 e di sì acerbo lutto a gli occhi sui
9.36.2 parte l' amiche tenebre celaro.
9.36.3 Con tutto ciò nulla sarebbe a lui,
9.36.4 senza perder se stesso, il vincer caro.
9.36.5 Prodigo del suo sangue, e de l' altrui
9.36.6 avidissimamente è fatto avaro;
9.36.7 né si conosce ben qual suo desire
9.36.8 paia maggior, l' uccidere o 'l morire.
9.37.1 Ma grida al suo nemico:-- È dunque frale
9.37.2 sì questa mano, e in guisa ella si sprezza,
9.37.3 che con ogni suo sforzo ancor non vale
9.37.4 a provocare in me la tua fierezza?--
9.37.5 Tace, e percossa tira aspra e mortale
9.37.6 che le piastre e le maglie insieme spezza,
9.37.7 e su 'l fianco gli cala e vi fa grande
9.37.8 piaga onde il sangue tepido si spande.
9.38.1 A quel grido, a quel colpo, in lui converse
9.38.2 il barbaro crudel la spada e l' ira.
9.38.3 Gli aprì l' usbergo, e pria lo scudo aperse
9.38.4 cui sette volte un duro cuoio aggira,
9.38.5 e 'l ferro ne le viscere gli immerse.
9.38.6 Il misero Latin singhiozza e spira,
9.38.7 e con vomito alterno or gli trabocca
9.38.8 il sangue per la piaga, or per la bocca.
9.39.1 Come ne l' Apennin robusta pianta
9.39.2 che sprezzò d' Euro e d' Aquilon la guerra,
9.39.3 se turbo inusitato al fin la schianta,
9.39.4 gli alberi intorno ruinando atterra,
9.39.5 così cade egli, e la sua furia è tanta
9.39.6 che più d' un seco tragge a cui s' afferra;
9.39.7 e ben d' uom sì feroce è degno fine
9.39.8 che faccia ancor morendo alte ruine.
9.40.1 Mentre il Soldan sfogando l' odio interno
9.40.2 pasce un lungo digiun ne' corpi umani,
9.40.3 gli Arabi inanimiti aspro governo
9.40.4 anch' essi fanno de' guerrier cristiani:
9.40.5 l' inglese Enrico e 'l bavaro Oliferno
9.40.6 moiono, o fer Dragutte, a le tue mani;
9.40.7 a Gilberto, a Filippo, Ariadeno
9.40.8 toglie la vita, i quai nacquer su 'l Reno;
9.41.1 Albazàr con la mazza abbatte Ernesto,
9.41.2 cade sotto Algazelle Otton di spada.
9.41.3 Ma chi narrar potria quel modo o questo
9.41.4 di morte, e quanta plebe ignobil cada?
9.41.5 Sin da quei primi gridi erasi desto
9.41.6 Goffredo, e non istava intanto a bada;
9.41.7 già tutto è armato, e già raccolto un grosso
9.41.8 drapello ha seco, e già con lor s' è mosso.
9.42.1 Egli, che dopo il grido udì il tumulto
9.42.2 che par che sempre più terribil suoni,
9.42.3 avisò ben che repentino insulto
9.42.4 esser dovea de gli Arabi ladroni;
9.42.5 ché già non era al capitano occulto
9.42.6 ch' essi intorno scorrean le regioni,
9.42.7 benché non istimò che sì fugace
9.42.8 vulgo mai fosse d' assalirlo audace.
9.43.1 Or mentre egli ne viene, ode repente
9.43.2 -- Arme! arme! -- replicar da l' altro lato,
9.43.3 ed in un tempo il cielo orribilmente
9.43.4 intonar di barbarico ululato.
9.43.5 Questa è Clorinda che del re la gente
9.43.6 guida a l' assalto, ed have Argante a lato.
9.43.7 Al nobil Guelfo, che sostien sua vice,
9.43.8 allor si volge il capitano e dice:
9.44.1 -- Odi qual novo strepito di Marte
9.44.2 di verso il colle e la città ne viene;
9.44.3 d' uopo là fia che 'l tuo valore e l' arte
9.44.4 i primi assalti de' nemici affrene.
9.44.5 Vanne tu dunque e là provedi, e parte
9.44.6 vuo' che di questi miei teco ne mene;
9.44.7 con gli altri io me n' andrò da l' altro canto
9.44.8 a sostener l' impeto ostile intanto.--
9.45.1 Così fra lor concluso, ambo gli move
9.45.2 per diverso sentiero egual fortuna.
9.45.3 Al colle Guelfo, e 'l capitan va dove
9.45.4 gli Arabi omai non han contesa alcuna.
9.45.5 Ma questi andando acquista forza, e nove
9.45.6 genti di passo in passo ognor raguna,
9.45.7 tal che già fatto poderoso e grande
9.45.8 giunge ove il fero Turco il sangue spande.
9.46.1 Così scendendo dal natio suo monte
9.46.2 non empie umile il Po l' angusta sponda,
9.46.3 ma sempre più, quanto è più lunge al fonte,
9.46.4 di nove forze insuperbito abonda;
9.46.5 sovra i rotti confini alza la fronte
9.46.6 di tauro, e vincitor d' intorno inonda,
9.46.7 e con più corna Adria respinge e pare
9.46.8 che guerra porti e non tributo al mare.
9.47.1 Goffredo, ove fuggir l' impaurite
9.47.2 sue genti vede, accorre e le minaccia:
9.47.3 -- Qual timor -- grida -- è questo? ove fuggite?
9.47.4 Guardate almen chi sia quel che vi caccia.
9.47.5 Vi caccia un vile stuol, che le ferite
9.47.6 né ricever né dar sa ne la faccia;
9.47.7 e se 'l vedranno incontra sé rivolto,
9.47.8 temeran l' arme lor del vostro volto. --
9.48.1 Punge il destrier, ciò detto, e là si volve
9.48.2 ove di Soliman gli incendi ha scorti.
9.48.3 Va per mezzo del sangue e de la polve
9.48.4 e de' ferri e de' rischi e de le morti;
9.48.5 con la spada e con gli urti apre e dissolve
9.48.6 le vie più chiuse e gli ordini più forti,
9.48.7 e sossopra cader fa d' ambo i lati
9.48.8 cavalieri e cavalli, arme ed armati.
9.49.1 Sovra i confusi monti a salto a salto
9.49.2 de la profonda strage oltre camina.
9.49.3 L' intrepido Soldan che 'l fero assalto
9.49.4 sente venir, no 'l fugge e no 'l declina;
9.49.5 ma se gli spinge incontra, e 'l ferro in alto
9.49.6 levando per ferir gli s' avicina.
9.49.7 Oh quai duo cavalier or la fortuna
9.49.8 da gli estremi del mondo in prova aduna!
9.50.1 Furor contra virtute or qui combatte
9.50.2 d' Asia in un picciol cerchio il grande impero.
9.50.3 Chi può dir come gravi e come ratte
9.50.4 le spade son? quanto il duello è fero?
9.50.5 Passo qui cose orribili che fatte
9.50.6 furon, ma le coprì quell' aer nero,
9.50.7 d' un chiarissimo sol degne e che tutti
9.50.8 siano i mortali a riguardar ridutti.
9.51.1 Il popol di Giesù, dietro a tal guida
9.51.2 audace or divenuto, oltre si spinge,
9.51.3 e de' suoi meglio armati a l' omicida
9.51.4 Soldano intorno un denso stuol si stringe.
9.51.5 Né la gente fedel più che l' infida,
9.51.6 né più questa che quella il campo tinge,
9.51.7 ma gli uni e gli altri, e vincitori e vinti,
9.51.8 egualmente dan morte e sono estinti.
9.52.1 Come pari d' ardir, con forza pare
9.52.2 quinci Austro in guerra vien, quindi Aquilone,
9.52.3 non ei fra lor, non cede il cielo o 'l mare,
9.52.4 ma nube a nube e flutto a flutto oppone;
9.52.5 così né ceder qua, né là piegare
9.52.6 si vede l' ostinata aspra tenzone:
9.52.7 s' affronta insieme orribilmente urtando
9.52.8 scudo a scudo, elmo ad elmo e brando a brando.
9.53.1 Non meno intanto son feri i litigi
9.53.2 da l' altra parte, e i guerrier folti e densi.
9.53.3 Mille nuvole e più d' angeli stigi
9.53.4 tutti han pieni de l' aria i campi immensi,
9.53.5 e dan forza a i pagani, onde i vestigi
9.53.6 non è chi indietro di rivolger pensi;
9.53.7 e la face d' inferno Argante infiamma,
9.53.8 acceso ancor de la sua propria fiamma.
9.54.1 Egli ancor dal suo lato in fuga mosse
9.54.2 le guardie, e ne' ripari entrò d' un salto;
9.54.3 di lacerate membra empié le fosse,
9.54.4 appianò il calle, agevolò l' assalto,
9.54.5 sì che gli altri il seguiro e fèr poi rosse
9.54.6 le prime tende di sanguigno smalto.
9.54.7 E seco a par Clorinda o dietro poco
9.54.8 se 'n gio, sdegnosa del secondo loco.
9.55.1 E già fuggiano i Franchi allor che quivi
9.55.2 giunse Guelfo opportuno e 'l suo drapello,
9.55.3 e volger fe' la fronte a i fuggitivi
9.55.4 e sostenne il furor del popol fello.
9.55.5 Così si combatteva, e 'l sangue in rivi
9.55.6 correa egualmente in questo lato e in quello.
9.55.7 Gli occhi fra tanto a la battaglia rea
9.55.8 dal suo gran seggio il Re del Ciel volgea.
9.56.1 Sedea colà dond' Egli e buono e giusto
9.56.2 dà legge al tutto e 'l tutto orna e produce
9.56.3 sovra i bassi confin del mondo angusto,
9.56.4 ove senso o ragion non si conduce;
9.56.5 e de l' Eternità nel trono augusto
9.56.6 risplendea con tre lumi in una luce.
9.56.7 Ha sotto i piedi il Fato e la Natura,
9.56.8 ministri umili, e 'l Moto e Chi 'l misura,
9.57.1 e 'l Loco e Quella che, qual fumo o polve,
9.57.2 la gloria di qua giuso e l' oro e i regni,
9.57.3 come piace là su, disperde e volve,
9.57.4 né, diva, cura i nostri umani sdegni.
9.57.5 Quivi ei così nel suo splendor s' involve,
9.57.6 che v' abbaglian la vista anco i più degni:
9.57.7 d' intorno ha innumerabili immortali,
9.57.8 disegualmente in lor letizia eguali.
9.58.1 Al gran concento de' beati carmi
9.58.2 lieta risuona la celeste reggia.
9.58.3 Chiama Egli a sé Michele, il qual ne l' armi
9.58.4 di lucido adamante arde e lampeggia,
9.58.5 e dice lui:-- Non vedi or come s' armi
9.58.6 contra la mia fedel diletta greggia
9.58.7 l' empia schiera d' Averno, e insin dal fondo
9.58.8 de le sue morti a turbar sorga il mondo?
9.59.1 Va', dille tu che lasci omai le cure
9.59.2 de la guerra a i guerrier, cui ciò conviene,
9.59.3 né il regno de' viventi, né le pure
9.59.4 piaggie del ciel conturbi ed avenene.
9.59.5 Torni a le notti d' Acheronte oscure,
9.59.6 suo degno albergo, a le sue giuste pene;
9.59.7 quivi se stessa e l' anime d' abisso
9.59.8 crucii. Così commando e così ho fisso.--
9.60.1 Qui tacque, e 'l duce de' guerrieri alati
9.60.2 s' inchinò riverente al divin piede;
9.60.3 indi spiega al gran volo i vanni aurati,
9.60.4 rapido sì ch' anco il pensiero eccede.
9.60.5 Passa il foco e la luce, ove i beati
9.60.6 hanno lor gloriosa immobil sede,
9.60.7 poscia il puro cristallo e 'l cerchio mira
9.60.8 che di stelle gemmato incontra gira;
9.61.1 quinci, d' opre diversi e di sembianti,
9.61.2 da sinistra rotar Saturno e Giove
9.61.3 e gli altri, i quali esser non ponno erranti
9.61.4 s' angelica virtù gli informa e move;
9.61.5 vien poi da' campi lieti e fiammeggianti
9.61.6 d' eterno dì là donde tuona e piove,
9.61.7 ove se stesso il mondo strugge e pasce,
9.61.8 e ne le guerre sue more e rinasce.
9.62.1 Venia scotendo con l' eterne piume
9.62.2 la caligine densa e i cupi orrori;
9.62.3 s' indorava la notte al divin lume
9.62.4 che spargea scintillando il volto fuori.
9.62.5 Tale il sol ne le nubi ha per costume
9.62.6 spiegar dopo la pioggia i bei colori;
9.62.7 tal suol, fendendo il liquido sereno,
9.62.8 stella cader de la gran madre in seno.
9.63.1 Ma giunto ove la schiera empia infernale
9.63.2 il furor de' pagani accende e sprona,
9.63.3 si ferma in aria in su 'l vigor de l' ale,
9.63.4 e vibra l' asta, e lor così ragiona:
9.63.5 -- Pur voi dovreste omai saper con quale
9.63.6 folgore orrendo il Re del mondo tuona,
9.63.7 o nel disprezzo e ne' tormenti acerbi
9.63.8 de l' estrema miseria anco superbi.
9.64.1 Fisso è nel Ciel ch' al venerabil segno
9.64.2 chini le mura, apra Sion le porte.
9.64.3 A che pugnar co 'l fato? a che lo sdegno
9.64.4 dunque irritar de la celeste corte?
9.64.5 Itene, maledetti, al vostro regno,
9.64.6 regno di pene e di perpetua morte;
9.64.7 e siano in quegli a voi dovuti chiostri
9.64.8 le vostre guerre ed i trionfi vostri.
9.65.1 Là incrudelite, là sovra i nocenti
9.65.2 tutte adoprate pur le vostre posse
9.65.3 fra i gridi eterni e lo stridor de' denti,
9.65.4 e 'l suon del ferro e le catene scosse.--
9.65.5 Disse, e quei ch' egli vide al partir lenti
9.65.6 con la lancia fatal pinse e percosse;
9.65.7 essi gemendo abbandonàr le belle
9.65.8 region de la luce e l' auree stelle,
9.66.1 e dispiegàr verso gli abissi il volo
9.66.2 ad inasprir ne' rei l' usate doglie.
9.66.3 Non passa il mar d' augei sì grande stuolo
9.66.4 quando a i soli più tepidi s' accoglie,
9.66.5 né tante vede mai l' autunno al suolo
9.66.6 cader co' primi freddi aride foglie.
9.66.7 Liberato da lor, quella sì negra
9.66.8 faccia depone il mondo e si rallegra.
9.67.1 Ma non perciò nel disdegnoso petto
9.67.2 d' Argante vien l' ardire o 'l furor manco,
9.67.3 benché suo foco in lui non spiri Aletto,
9.67.4 né flagello infernal gli sferzi il fianco.
9.67.5 Rota il ferro crudel ove è più stretto
9.67.6 e più calcato insieme il popol franco;
9.67.7 miete i vili e i potenti, e i più sublimi
9.67.8 e più superbi capi adegua a gli imi.
9.68.1 Non lontana è Clorinda, e già non meno
9.68.2 par che di tronche membra il campo asperga.
9.68.3 Caccia la spada a Berlinghier nel seno
9.68.4 per mezzo il cor, dove la vita alberga,
9.68.5 e quel colpo a trovarlo andò sì pieno
9.68.6 che sanguinosa uscì fuor de le terga;
9.68.7 poi fère Albin là 've primier s' apprende
9.68.8 nostro alimento, e 'l viso a Gallo fende.
9.69.1 La destra di Gerniero, onde ferita
9.69.2 ella fu già, manda recisa al piano:
9.69.3 tratta anco il ferro, e con tremanti dita
9.69.4 semiviva nel suol guizza la mano.
9.69.5 Coda di serpe è tal, ch' indi partita
9.69.6 cerca d' unirsi al suo principio invano.
9.69.7 Così mal concio la guerriera il lassa,
9.69.8 poi si volge ad Achille e 'l ferro abbassa,
9.70.1 e tra 'l collo e la nuca il colpo assesta;
9.70.2 e tronchi i nervi e 'l gorgozzuol reciso,
9.70.3 gio rotando a cader prima la testa,
9.70.4 prima bruttò di polve immonda il viso,
9.70.5 che giù cadesse il tronco; il tronco resta
9.70.6 (miserabile mostro) in sella assiso,
9.70.7 ma libero del fren con mille rote
9.70.8 calcitrando il destrier da sé lo scote.
9.71.1 Mentre così l' indomita guerriera
9.71.2 le squadre d' Occidente apre e flagella,
9.71.3 non fa d' incontra a lei Gildippe altera
9.71.4 de' saracini suoi strage men fella.
9.71.5 Era il sesso il medesmo, e simil era
9.71.6 l' ardimento e 'l valore in questa e in quella.
9.71.7 Ma far prova di lor non è lor dato,
9.71.8 ch' a nemico maggior le serba il fato.
9.72.1 Quinci una e quindi l' altra urta e sospinge,
9.72.2 né può la turba aprir calcata e spessa;
9.72.3 ma 'l generoso Guelfo allora stringe
9.72.4 contra Clorinda il ferro e le s' appressa,
9.72.5 e calando un fendente alquanto tinge
9.72.6 la fera spada nel bel fianco, ed essa
9.72.7 fa d' una punta a lui cruda risposta
9.72.8 ch' a ferirlo ne va tra costa e costa.
9.73.1 Doppia allor Guelfo il colpo e lei non coglie,
9.73.2 ch' a caso passa il palestino Osmida
9.73.3 e la piaga non sua sopra sé toglie,
9.73.4 la qual vien che la fronte a lui recida.
9.73.5 Ma intorno a Guelfo omai molta s' accoglie
9.73.6 di quella gente ch' ei conduce e guida;
9.73.7 e d' altra parte ancor la turba cresce,
9.73.8 sì che la pugna si confonde e mesce.
9.74.1 L' aurora intanto il bel purpureo volto
9.74.2 già dimostrava dal sovran balcone,
9.74.3 e in quei tumulti già s' era disciolto
9.74.4 il feroce Argillan di sua prigione;
9.74.5 e d' arme incerte il frettoloso avolto,
9.74.6 quali il caso gli offerse o triste o buone,
9.74.7 già se 'n venia per emendar gli errori
9.74.8 novi con novi merti e novi onori.
9.75.1 Come destrier che da le regie stalle,
9.75.2 ove a l' uso de l' arme si riserba,
9.75.3 fugge, e libero al fin per largo calle
9.75.4 va tra gli armenti o al fiume usato o a l' erba:
9.75.5 scherzan su 'l collo i crini, e su le spalle
9.75.6 si scote la cervice alta e superba,
9.75.7 suonano i piè nel corso e par ch' avampi,
9.75.8 di sonori nitriti empiendo i campi;
9.76.1 tal ne viene Argillano: arde il feroce
9.76.2 sguardo, ha la fronte intrepida e sublime;
9.76.3 leve è ne' salti e sovra i piè veloce,
9.76.4 sì che d' orme la polve a pena imprime,
9.76.5 e giunto fra nemici alza la voce
9.76.6 pur com' uom che tutto osi e nulla stime:
9.76.7 -- O vil feccia del mondo, Arabi inetti,
9.76.8 ond' è ch' or tanto ardire in voi s' alletti?
9.77.1 Non regger voi de gli elmi e de gli scudi
9.77.2 sète atti il peso, o 'l petto armarvi e il dorso,
9.77.3 ma commettete paventosi e nudi
9.77.4 i colpi al vento e la salute al corso.
9.77.5 L' opere vostre e i vostri egregi studi
9.77.6 notturni son; dà l' ombra a voi soccorso.
9.77.7 Or ch' ella fugge, chi fia vostro schermo?
9.77.8 D' arme è ben d' uopo e di valor più fermo.--
9.78.1 Così parlando ancor diè per la gola
9.78.2 ad Algazèl di sì crudel percossa
9.78.3 che gli secò le fauci, e la parola
9.78.4 troncò ch' a la risposta era già mossa.
9.78.5 A quel meschin sùbito orror invola
9.78.6 il lume, e scorre un duro gel per l' ossa;
9.78.7 cade, e co' denti l' odiosa terra
9.78.8 pieno di rabbia in su 'l morire afferra.
9.79.1 Quinci per vari casi e Saladino
9.79.2 ed Agricalte e Muleasse uccide,
9.79.3 e da l' un fianco a l' altro a lor vicino
9.79.4 con esso un colpo Aldiazìl divide;
9.79.5 trafitto a sommo il petto Ariadino
9.79.6 atterra, e con parole aspre il deride.
9.79.7 Ei, gli occhi gravi alzando a l' orgogliose
9.79.8 parole, in su 'l morir così rispose:
9.80.1 -- Non tu, chiunque sia, di questa morte
9.80.2 vincitor lieto avrai gran tempo il vanto;
9.80.3 pari destin t' aspetta, e da più forte
9.80.4 destra a giacer mi sarai steso a canto.--
9.80.5 Rise egli amaramente e:-- Di mia sorte
9.80.6 curi il Ciel, -- disse -- or tu qui mori intanto
9.80.7 d' augei pasto e di cani --; indi lui preme
9.80.8 co 'l piede, e ne trae l' alma e 'l ferro insieme.
9.81.1 Un paggio del Soldan misto era in quella
9.81.2 turba di sagittari e lanciatori,
9.81.3 a cui non anco la stagion novella
9.81.4 il bel mento spargea de' primi fiori.
9.81.5 Paion perle e rugiade in su la bella
9.81.6 guancia irrigando i tepidi sudori,
9.81.7 giunge grazia la polve al crine incolto
9.81.8 e sdegnoso rigor dolce è in quel volto.
9.82.1 Sotto ha un destrier che di candore agguaglia
9.82.2 pur or ne l' Apennin caduta neve;
9.82.3 turbo o fiamma non è che roti o saglia
9.82.4 rapido sì come è quel pronto e leve.
9.82.5 Vibra ei, presa nel mezzo, una zagaglia,
9.82.6 la spada al fianco tien ritorta e breve,
9.82.7 e con barbara pompa in un lavoro
9.82.8 di porpora risplende intesta e d' oro.
9.83.1 Mentre il fanciullo, a cui novel piacere
9.83.2 di gloria il petto giovenil lusinga,
9.83.3 di qua turba e di là tutte le schiere,
9.83.4 e lui non è chi tanto o quanto stringa,
9.83.5 cauto osserva Argillan tra le leggiere
9.83.6 sue rote il tempo in che l' asta sospinga;
9.83.7 e, colto il punto, il suo destrier di furto
9.83.8 gli uccide e sovra gli è, ch' a pena è surto,
9.84.1 ed al supplice volto, il qual in vano
9.84.2 con l' arme di pietà fea sue difese,
9.84.3 drizzò, crudel!, l' inessorabil mano,
9.84.4 e di natura il più bel pregio offese.
9.84.5 Senso aver parve e fu de l' uom più umano
9.84.6 il ferro, che si volse e piatto scese.
9.84.7 Ma che pro, se doppiando il colpo fero
9.84.8 di punta colse ove egli errò primiero?
9.85.1 Soliman, che di là non molto lunge
9.85.2 da Goffredo in battaglia è trattenuto,
9.85.3 lascia la zuffa, e 'l destrier volve e punge
9.85.4 tosto che 'l rischio ha del garzon veduto;
9.85.5 e i chiusi passi apre co 'l ferro, e giunge
9.85.6 a la vendetta sì, non a l' aiuto,
9.85.7 perché vede, ahi dolor!, giacerne ucciso
9.85.8 il suo Lesbin, quasi bel fior succiso.
9.86.1 E in atto sì gentil languir tremanti
9.86.2 gli occhi e cader su 'l tergo il collo mira;
9.86.3 così vago è il pallore, e da' sembianti
9.86.4 di morte una pietà sì dolce spira,
9.86.5 ch' ammollì il cor che fu dur marmo inanti,
9.86.6 e il pianto scaturì di mezzo a l' ira.
9.86.7 Tu piangi, Soliman? tu, che destrutto
9.86.8 mirasti il regno tuo co 'l ciglio asciutto?
9.87.1 Ma come vede il ferro ostil che molle
9.87.2 fuma del sangue ancor del giovenetto,
9.87.3 la pietà cede, e l' ira avampa e bolle,
9.87.4 e le lagrime sue stagna nel petto.
9.87.5 Corre sovra Argillano e 'l ferro estolle,
9.87.6 parte lo scudo opposto, indi l' elmetto,
9.87.7 indi il capo e la gola; e de lo sdegno
9.87.8 di Soliman ben quel gran colpo è degno.
9.88.1 Né di ciò ben contento, al corpo morto
9.88.2 smontato del destriero anco fa guerra,
9.88.3 quasi mastin che 'l sasso, ond' a lui porto
9.88.4 fu duro colpo, infellonito afferra.
9.88.5 Oh d' immenso dolor vano conforto
9.88.6 incrudelir ne l' insensibil terra!
9.88.7 Ma fra tanto de' Franchi il capitano
9.88.8 non spendea l' ire e le percosse invano.
9.89.1 Mille Turchi avea qui che di loriche
9.89.2 e d' elmetti e di scudi eran coperti,
9.89.3 indomiti di corpo a le fatiche,
9.89.4 di spirto audaci e in tutti i casi esperti;
9.89.5 e furon già de le milizie antiche
9.89.6 di Solimano, e seco ne' deserti
9.89.7 seguìr d' Arabia i suoi errori infelici,
9.89.8 ne le fortune averse ancora amici.
9.90.1 Questi ristretti insieme in ordin folto
9.90.2 poco cedeano o nulla al valor franco.
9.90.3 In questi urtò Goffredo, e ferì il volto
9.90.4 al fier Corcutte ed a Rosteno il fianco,
9.90.5 a Selìn da le spalle il capo ha sciolto,
9.90.6 troncò a Rossano il destro braccio e 'l manco;
9.90.7 né già soli costor, ma in altre guise
9.90.8 molti piagò di loro e molti uccise.
9.91.1 Mentre ei così la gente saracina
9.91.2 percote, e lor percosse anco sostiene,
9.91.3 e in nulla parte al precipizio inchina
9.91.4 la fortuna de' barbari e la spene,
9.91.5 nova nube di polve ecco vicina
9.91.6 che folgori di guerra in grembo tiene,
9.91.7 ecco d' arme improvise uscirne un lampo
9.91.8 che sbigottì de gli infedeli il campo.
9.92.1 Son cinquanta guerrier che 'n puro argento
9.92.2 spiegan la trionfal purpurea Croce.
9.92.3 Non io, se cento bocche e lingue cento
9.92.4 avessi, e ferrea lena e ferrea voce,
9.92.5 narrar potrei quel numero che spento
9.92.6 ne' primi assalti ha quel drapel feroce.
9.92.7 Cade l' Arabo imbelle, e 'l Turco invitto
9.92.8 resistendo e pugnando anco è trafitto.
9.93.1 L' orror, la crudeltà, la tema, il lutto,
9.93.2 van d' intorno scorrendo, e in varia imago
9.93.3 vincitrice la Morte errar per tutto
9.93.4 vedresti ed ondeggiar di sangue un lago.
9.93.5 Già con parte de' suoi s' era condutto
9.93.6 fuor d' una porta il re, quasi presago
9.93.7 di fortunoso evento; e quindi d' alto
9.93.8 mirava il pian soggetto e 'l dubbio assalto.
9.94.1 Ma come prima egli ha veduto in piega
9.94.2 l' essercito maggior, suona a raccolta,
9.94.3 e con messi iterati instando prega
9.94.4 ed Argante e Clorinda a dar di volta.
9.94.5 La fera coppia d' essequir ciò nega,
9.94.6 ebra di sangue e cieca d' ira e stolta;
9.94.7 pur cede al fine, e unite almen raccòrre
9.94.8 tenta le turbe e freno a i passi imporre.
9.95.1 Ma chi dà legge al vulgo ed ammaestra
9.95.2 la viltade e 'l timor? La fuga è presa.
9.95.3 Altri gitta lo scudo, altri la destra
9.95.4 disarma; impaccio è il ferro, e non difesa.
9.95.5 Valle è tra il piano e la città, ch' alpestra
9.95.6 da l' occidente al mezzogiorno è stesa;
9.95.7 qui fuggon essi, e si rivolge oscura
9.95.8 caligine di polve invèr le mura.
9.96.1 Mentre ne van precipitosi al chino,
9.96.2 strage d' essi i cristiani orribil fanno;
9.96.3 ma poscia che salendo omai vicino
9.96.4 l' aiuto avean del barbaro tiranno,
9.96.5 non vuol Guelfo d' alpestro erto camino
9.96.6 con tanto suo svantaggio esporsi al danno.
9.96.7 Ferma le genti; e 'l re le sue riserra,
9.96.8 non poco avanzo d' infelice guerra.
9.97.1 Fatto intanto ha il Soldan ciò che è concesso
9.97.2 fare a terrena forza, or più non pote;
9.97.3 tutto è sangue e sudore, e un grave e spesso
9.97.4 anelar gli ange il petto e i fianchi scote.
9.97.5 Langue sotto lo scudo il braccio oppresso,
9.97.6 gira la destra il ferro in pigre rote:
9.97.7 spezza, e non taglia; e divenendo ottuso
9.97.8 perduto il brando omai di brando ha l' uso.
9.98.1 Come sentissi tal, ristette in atto
9.98.2 d' uom che fra due sia dubbio, e in sé discorre
9.98.3 se morir debba, e di sì illustre fatto
9.98.4 con le sue mani altrui la gloria tòrre,
9.98.5 o pur, sopravanzando al suo disfatto
9.98.6 campo, la vita in securezza porre.
9.98.7 --Vinca-- al fin disse --il fato, e questa mia
9.98.8 fuga il trofeo di sua vittoria sia.
9.99.1 Veggia il nemico le mie spalle, e scherna
9.99.2 di novo ancora il nostro essiglio indegno,
9.99.3 pur che di novo armato indi mi scerna
9.99.4 turbar sua pace e 'l non mai stabil regno.
9.99.5 Non cedo io, no; fia con memoria eterna
9.99.6 de le mie offese eterno anco il mio sdegno.
9.99.7 Risorgerò nemico ognor più crudo,
9.99.8 cenere anco sepolto e spirto ignudo.--
CANTO X
10.1.1 Così dicendo ancor vicino scorse
10.1.2 un destrier ch' a lui volse errante il passo;
10.1.3 tosto al libero fren la mano ei porse
10.1.4 e su vi salse, ancorch' afflitto e lasso.
10.1.5 Già caduto è il cimier ch' orribil sorse,
10.1.6 lasciando l' elmo inonorato e basso;
10.1.7 rotta è la sopravesta, e di superba
10.1.8 pompa regal vestigio alcun non serba.
10.2.1 Come dal chiuso ovil cacciato viene
10.2.2 lupo talor che fugge e si nasconde,
10.2.3 che, se ben del gran ventre omai ripiene
10.2.4 ha l' ingorde voragini profonde,
10.2.5 avido pur di sangue anco fuor tiene
10.2.6 la lingua e 'l sugge da le labra immonde,
10.2.7 tale ei se 'n gìa dopo il sanguigno strazio,
10.2.8 de la sua cupa fame anco non sazio.
10.3.1 E come è sua ventura, a le sonanti
10.3.2 quadrella, ond' a lui intorno un nembo vola,
10.3.3 a tante spade, a tante lancie, a tanti
10.3.4 instrumenti di morte alfin s' invola,
10.3.5 e sconosciuto pur camina inanti
10.3.6 per quella via ch' è più deserta e sola;
10.3.7 e rivolgendo in sé quel che far deggia,
10.3.8 in gran tempesta di pensieri ondeggia.
10.4.1 Disponsi alfin di girne ove raguna
10.4.2 oste sì poderosa il re d' Egitto,
10.4.3 e giunger seco l' arme, e la fortuna
10.4.4 ritentar anco di novel conflitto.
10.4.5 Ciò prefisso tra sé, dimora alcuna
10.4.6 non pone in mezzo e prende il camin dritto,
10.4.7 ché sa le vie, né d' uopo ha di chi il guidi
10.4.8 di Gaza antica a gli arenosi lidi.
10.5.1 Né perché senta inacerbir le doglie
10.5.2 de le sue piaghe, e grave il corpo ed egro,
10.5.3 vien però che si posi e l' arme spoglie,
10.5.4 ma travagliando il dì ne passa integro.
10.5.5 Poi quando l' ombra oscura al mondo toglie
10.5.6 i vari aspetti e i color tinge in negro,
10.5.7 smonta e fascia le piaghe, e come pote
10.5.8 meglio, d' un' alta palma i frutti scote;
10.6.1 e cibato di lor, su 'l terren nudo
10.6.2 cerca adagiare il travagliato fianco,
10.6.3 e la testa appoggiando al duro scudo
10.6.4 quetar i moti del pensier suo stanco.
10.6.5 Ma d' ora in ora a lui si fa più crudo
10.6.6 sentire il duol de le ferite, ed anco
10.6.7 roso gli è il petto e lacerato il core
10.6.8 da gli interni avoltoi, sdegno e dolore.
10.7.1 Alfin, quando già tutto intorno chete
10.7.2 ne la più alta notte eran le cose,
10.7.3 vinto egli pur da la stanchezza, in Lete
10.7.4 sopì le cure sue gravi e noiose,
10.7.5 e in una breve e languida quiete
10.7.6 l' afflitte membra e gli occhi egri compose;
10.7.7 e mentre ancor dormia, voce severa
10.7.8 gli intonò su l' orecchie in tal maniera:
10.8.1 -- Soliman, Solimano, i tuoi sì lenti
10.8.2 riposi a miglior tempo omai riserva,
10.8.3 ché sotto il giogo di straniere genti
10.8.4 la patria ove regnasti ancor è serva.
10.8.5 In questa terra dormi, e non rammenti
10.8.6 ch' insepolte de' tuoi l' ossa conserva?
10.8.7 ove sì gran vestigio è del tuo scorno,
10.8.8 tu neghittoso aspetti il novo giorno?--
10.9.1 Desto il Soldan alza lo sguardo, e vede
10.9.2 uom che d' età gravissima a i sembianti
10.9.3 co 'l ritorto baston del vecchio piede
10.9.4 ferma e dirizza le vestigia erranti.
10.9.5 -- E chi sei tu, -- sdegnoso a lui richiede
10.9.6 -- che fantasma importuno a i viandanti
10.9.7 rompi i brevi lor sonni? e che s' aspetta
10.9.8 a te la mia vergogna o la vendetta?
10.10.1 -- Io mi son un -- risponde il vecchio -- al quale
10.10.2 in parte è noto il tuo novel disegno,
10.10.3 e sì come uomo a cui di te più cale
10.10.4 che tu forse non pensi, a te ne vegno;
10.10.5 né il mordace parlare indarno è tale,
10.10.6 perché de la virtù cote è lo sdegno.
10.10.7 Prendi in grado, signor, che 'l mio sermone
10.10.8 al tuo pronto valor sia sferza e sprone.
10.11.1 Or perché, s' io m' appongo, esser dée vòlto
10.11.2 al gran re de l' Egitto il tuo camino,
10.11.3 che inutilmente aspro viaggio tolto
10.11.4 avrai, s' inanzi segui, io m' indovino;
10.11.5 ché, se ben tu non vai, fia tosto accolto
10.11.6 e tosto mosso il campo saracino,
10.11.7 né loco è là dove s' impieghi e mostri
10.11.8 la tua virtù contra i nemici nostri.
10.12.1 Ma se 'n duce me prendi, entro quel muro,
10.12.2 che da l' arme latine è intorno astretto,
10.12.3 nel più chiaro del dì pórti securo,
10.12.4 senza che spada impugni, io ti prometto.
10.12.5 Quivi con l' arme e co' disagi un duro
10.12.6 contrasto aver ti fia gloria e diletto;
10.12.7 difenderai la terra insin che giugna
10.12.8 l' oste d' Egitto a rinovar la pugna.--
10.13.1 Mentre ei ragiona ancor, gli occhi e la voce
10.13.2 de l' uomo antico il fero turco ammira,
10.13.3 e dal volto e da l' animo feroce
10.13.4 tutto depone omai l' orgoglio e l' ira.
10.13.5 --Padre, -- risponde -- io già pronto e veloce
10.13.6 sono a seguirti: ove tu vuoi mi gira.
10.13.7 A me sempre miglior parrà il consiglio
10.13.8 ove ha più di fatica e di periglio.--
10.14.1 Loda il vecchio i suoi detti; e perché l' aura
10.14.2 notturna avea le piaghe incrudelite,
10.14.3 un suo licor v' instilla, onde ristaura
10.14.4 le forze e salda il sangue e le ferite.
10.14.5 Quinci veggendo omai ch' Apollo inaura
10.14.6 le rose che l' aurora ha colorite:
10.14.7 -- Tempo è -- disse -- al partir, ché già ne scopre
10.14.8 le strade il sol ch' altrui richiama a l' opre.--
10.15.1 E sovra un carro suo, che non lontano
10.15.2 quinci attendea, co 'l fer niceno ei siede;
10.15.3 le briglie allenta, e con maestra mano
10.15.4 ambo i corsieri alternamente fiede.
10.15.5 Quei vanno sì che 'l polveroso piano
10.15.6 non ritien de la rota orma o del piede;
10.15.7 fumar li vedi ed anelar nel corso,
10.15.8 e tutto biancheggiar di spuma il morso.
10.16.1 Maraviglie dirò: s' aduna e stringe
10.16.2 l' aer d' intorno in nuvolo raccolto,
10.16.3 sì che 'l gran carro ne ricopre e cinge,
10.16.4 ma non appar la nube o poco o molto,
10.16.5 né sasso, che mural machina spinge,
10.16.6 penetraria per lo suo chiuso e folto;
10.16.7 ben veder ponno i duo dal curvo seno
10.16.8 la nebbia intorno e fuori il ciel sereno.
10.17.1 Stupido il cavalier le ciglia inarca,
10.17.2 ed increspa la fronte, e mira fiso
10.17.3 la nube e 'l carro ch' ogni intoppo varca
10.17.4 veloce sì che di volar gli è aviso.
10.17.5 L' altro, che di stupor l' anima carca
10.17.6 gli scorge a l' atto de l' immobil viso,
10.17.7 gli rompe quel silenzio e lui rappella,
10.17.8 ond' ei si scote e poi così favella:
10.18.1 -- O chiunque tu sia, che fuor d' ogni uso
10.18.2 pieghi natura ad opre altere e strane,
10.18.3 e spiando i secreti, entro al più chiuso
10.18.4 spazii a tua voglia de le menti umane,
10.18.5 s' arrivi co 'l saper, ch' è d' alto infuso,
10.18.6 a le cose remote anco e lontane,
10.18.7 deh! dimmi qual riposo o qual ruina
10.18.8 a i gran moti de l' Asia il Ciel destina.
10.19.1 Ma pria dimmi il tuo nome, e con qual arte
10.19.2 far cose tu sì inusitate soglia,
10.19.3 ché se pria lo stupor da me non parte,
10.19.4 com' esser può ch' io gli altri detti accoglia?--
10.19.5 Sorrise il vecchio, e disse:-- In una parte
10.19.6 mi sarà leve l' adempir tua voglia.
10.19.7 Son detto Ismeno, e i Siri appellan mago
10.19.8 me che de l' arti incognite son vago.
10.20.1 Ma ch' io scopra il futuro e ch' io dispieghi
10.20.2 de l' occulto destin gli eterni annali,
10.20.3 troppo è audace desio, troppo alti preghi:
10.20.4 non è tanto concesso a noi mortali.
10.20.5 Ciascun qua giù le forze e 'l senno impieghi
10.20.6 per avanzar fra le sciagure e i mali,
10.20.7 ché sovente adivien che 'l saggio e 'l forte
10.20.8 fabro a se stesso è di beata sorte.
10.21.1 Tu questa destra invitta, a cui fia poco
10.21.2 scoter le forze del francese impero,
10.21.3 non che munir, non che guardar il loco
10.21.4 che strettamente oppugna il popol fero,
10.21.5 contra l' arme apparecchia e contra 'l foco:
10.21.6 osa, soffri, confida; io bene spero.
10.21.7 Ma pur dirò, perché piacer ti debbia,
10.21.8 ciò che oscuro vegg' io quasi per nebbia.
10.22.1 Veggio o parmi vedere, anzi che lustri
10.22.2 molti rivolga il gran pianeta eterno,
10.22.3 uom che l' Asia ornerà co' fatti illustri,
10.22.4 e del fecondo Egitto avrà il governo.
10.22.5 Taccio i pregi de l' ozio e l' arti industri,
10.22.6 mille virtù che non ben tutte io scerno;
10.22.7 basti sol questo a te, che da lui scosse
10.22.8 non pur saranno le cristiane posse,
10.23.1 ma insin dal fondo suo l' imperio ingiusto
10.23.2 svelto sarà ne l' ultime contese,
10.23.3 e le afflitte reliquie entro uno angusto
10.23.4 giro sospinte e sol dal mar difese.
10.23.5 Questi fia del tuo sangue. -- E qui il vetusto
10.23.6 mago si tacque, e quegli a dir riprese:
10.23.7 -- O lui felice, eletto a tanta lode!--
10.23.8 e parte ne l' invidia e parte gode.
10.24.1 Soggiunse poi:-- Girisi pur Fortuna
10.24.2 o buona o rea, come è là su prescritto,
10.24.3 ché non ha sovra me ragione alcuna
10.24.4 e non mi vedrà mai se non invitto.
10.24.5 Prima dal corso distornar la luna
10.24.6 e le stelle potrà, che dal diritto
10.24.7 torcere un sol mio passo.-- E in questo dire
10.24.8 sfavillò tutto di focoso ardire.
10.25.1 Così gìr ragionando insin che furo
10.25.2 là 've presso vedean le tende alzarse.
10.25.3 Che spettacolo fu crudele e duro!
10.25.4 E in quante forme ivi la morte apparse!
10.25.5 Si fe' ne gli occhi allor torbido e scuro,
10.25.6 e di doglia il Soldano il volto sparse.
10.25.7 Ahi con quanto dispregio ivi le degne
10.25.8 mirò giacer sue già temute insegne!
10.26.1 E scorrer lieti i Franchi, e i petti e i volti
10.26.2 spesso calcar de' suoi più noti amici,
10.26.3 e con fasto superbo a gli insepolti
10.26.4 l' arme spogliare e gli abiti infelici;
10.26.5 molti onorare in lunga pompa accolti
10.26.6 gli amati corpi de gli estremi uffici,
10.26.7 altri suppor le fiamme, e 'l vulgo misto
10.26.8 d' Arabi e Turchi a un foco arder ha visto.
10.27.1 Sospirò dal profondo, e 'l ferro trasse
10.27.2 e dal carro lanciossi e correr volle,
10.27.3 ma il vecchio incantatore a sé il ritrasse
10.27.4 sgridando, e raffrenò l' impeto folle;
10.27.5 e fatto che di novo ei rimontasse,
10.27.6 drizzò il suo corso al più sublime colle.
10.27.7 Così alquanto n' andaro, insin ch' a tergo
10.27.8 lasciàr de' Franchi il militare albergo.
10.28.1 Smontaro allor del carro, e quel repente
10.28.2 sparve; e presono a piedi insieme il calle
10.28.3 ne la solita nube occultamente
10.28.4 discendendo a sinistra in una valle,
10.28.5 sin che giunsero là dove al ponente
10.28.6 l' alto monte Siòn volge le spalle.
10.28.7 Quivi si ferma il mago e poi s' accosta,
10.28.8 quasi mirando, a la scoscesa costa.
10.29.1 Cava grotta s' apria nel duro sasso,
10.29.2 di lunghissimi tempi avanti fatta;
10.29.3 ma disusando, or riturato il passo
10.29.4 era tra i pruni e l' erbe ove s' appiatta.
10.29.5 Sgombra il mago gli intoppi, e curvo e basso
10.29.6 per l' angusto sentiero a gir s' adatta,
10.29.7 e l' una man precede e il varco tenta,
10.29.8 l' altra per guida al principe appresenta.
10.30.1 Dice allora il Soldan:-- Qual via furtiva
10.30.2 è questa tua, dove convien ch' io vada?
10.30.3 Altra forse miglior io me n' apriva,
10.30.4 se 'l concedevi tu, con la mia spada.
10.30.5 -- Non sdegnar,-- gli risponde -- anima schiva,
10.30.6 premer co 'l forte piè la buia strada,
10.30.7 ché già solea calcarla il grande Erode,
10.30.8 quel c' ha ne l' arme ancor sì chiara lode.
10.31.1 Cavò questa spelonca allor che porre
10.31.2 volse freno a i soggetti il re ch' io dico,
10.31.3 e per essa potea da quella torre,
10.31.4 ch' egli Antonia appellò dal chiaro amico,
10.31.5 invisibile a tutti il piè raccòrre
10.31.6 dentro la soglia del gran tempio antico,
10.31.7 e quindi occulto uscir de la cittate
10.31.8 e trarne genti ed introdur celate.
10.32.1 Ma nota è questa via solinga e bruna
10.32.2 or solo a me de gli uomini viventi.
10.32.3 Per questa andremo al loco ove raguna
10.32.4 i più saggi a conciglio e i più potenti
10.32.5 il re ch' al minacciar de la fortuna,
10.32.6 più forse che non dée, par che paventi.
10.32.7 Ben tu giungi a grand' uopo: ascolta e taci,
10.32.8 poi movi a tempo le parole audaci.--
10.33.1 Così gli disse, e 'l cavaliero allotta
10.33.2 co 'l gran corpo ingombrò l' umil caverna,
10.33.3 e per le vie dove mai sempre annotta
10.33.4 seguì colui che 'l suo camin governa.
10.33.5 Chini pria se n' andàr, ma quella grotta
10.33.6 più si dilata quanto più s' interna,
10.33.7 sì ch' asceser con agio e tosto furo
10.33.8 a mezzo quasi di quell' antro oscuro.
10.34.1 Apriva allora un picciol uscio Ismeno,
10.34.2 e se ne gian per disusata scala
10.34.3 a cui luce mal certo e mal sereno
10.34.4 l' aer che giù d' alto spiraglio cala.
10.34.5 In sotterraneo chiostro al fin venieno,
10.34.6 e salian quindi in chiara e nobil sala.
10.34.7 Qui con lo scettro e co 'l diadema in testa
10.34.8 mesto sedeasi il re fra gente mesta.
10.35.1 Da la concava nube il turco fero
10.35.2 non veduto rimira e spia d' intorno,
10.35.3 e ode il re fra tanto, il qual primiero
10.35.4 incomincia così dal seggio adorno:
10.35.5 -- Veramente, o miei fidi, al nostro impero
10.35.6 fu il trapassato assai dannoso giorno;
10.35.7 e caduti d' altissima speranza,
10.35.8 sol l' aiuto d' Egitto omai n' avanza.
10.36.1 Ma ben vedete voi quanto la speme
10.36.2 lontana sia da sì vicin periglio.
10.36.3 Dunque voi tutti ho qui raccolti insieme
10.36.4 perch' ognun porti in mezzo il suo consiglio.--
10.36.5 Qui tace, e quasi in bosco aura che freme
10.36.6 suona d' intorno un picciolo bisbiglio.
10.36.7 Ma con la faccia baldanzosa e lieta
10.36.8 sorgendo Argante il mormorare accheta.
10.37.1 -- O magnanimo re, -- fu la risposta
10.37.2 del cavaliero indomito e feroce
10.37.3 -- perché ci tenti? e cosa a nullo ascosta
10.37.4 chiedi, ch' uopo non ha di nostra voce?
10.37.5 Pur dirò: sia la speme in noi sol posta;
10.37.6 e s' egli è ver che nulla a virtù noce,
10.37.7 di questa armiamci, a lei chiediamo aita,
10.37.8 né più ch' ella si voglia amiam la vita.
10.38.1 Né parlo io già così perch' io dispere
10.38.2 de l' aiuto certissimo d' Egitto,
10.38.3 ché dubitar, se le promesse vere
10.38.4 fian del mio re, non lece e non è dritto;
10.38.5 ma il dico sol perché desio vedere
10.38.6 in alcuni di noi spirto più invitto,
10.38.7 ch' egualmente apprestato ad ogni sorte
10.38.8 si prometta vittoria e sprezzi morte.--
10.39.1 Tanto sol disse il generoso Argante
10.39.2 quasi uom che parli di non dubbia cosa.
10.39.3 Poi sorse in autorevole sembiante
10.39.4 Orcano, uom d' alta nobiltà famosa,
10.39.5 e già ne l' arme d' alcun pregio inante;
10.39.6 ma or congiunto a giovanetta sposa,
10.39.7 e lieto omai di figli, era invilito
10.39.8 ne gli affetti di padre e di marito.
10.40.1 Disse questi:-- O signor, già non accuso
10.40.2 il fervor di magnifiche parole,
10.40.3 quando nasce d' ardir che star rinchiuso
10.40.4 tra i confini del cor non può né vòle;
10.40.5 però se 'l buon circasso a te per uso
10.40.6 troppo in vero parlar fervido sòle,
10.40.7 ciò si conceda a lui che poi ne l' opre
10.40.8 il medesmo fervor non meno scopre.
10.41.1 Ma si conviene a te, cui fatto il corso
10.41.2 de le cose e de' tempi han sì prudente,
10.41.3 impor colà de' tuoi consigli il morso
10.41.4 dove costui se ne trascorre ardente,
10.41.5 librar la speme del lontan soccorso
10.41.6 co 'l periglio vicino, anzi presente,
10.41.7 e con l' arme e con l' impeto nemico
10.41.8 i tuoi novi ripari e 'l muro antico.
10.42.1 Noi (se lece a me dir quel ch' io ne sento)
10.42.2 siamo in forte città di sito e d' arte,
10.42.3 ma di machine grande e violento
10.42.4 apparato si fa da l' altra parte.
10.42.5 Quel che sarà, non so; spero e pavento
10.42.6 i giudizi incertissimi di Marte,
10.42.7 e temo che s' a noi più fia ristretto
10.42.8 l' assedio, al fin di cibo avrem difetto.
10.43.1 Però che quegli armenti e quelle biade
10.43.2 ch' ieri tu ricettasti entro le mura,
10.43.3 mentre nel campo a insanguinar le spade
10.43.4 s' attendea solo, e fu alta ventura,
10.43.5 picciol esca a gran fame, ampia cittade
10.43.6 nutrir mal ponno se l' assedio dura;
10.43.7 e forza è pur che duri, ancor che vegna
10.43.8 l' oste d' Egitto il dì ch' ella disegna.
10.44.1 Ma che fia, se più tarda? Or sù, concedo
10.44.2 che tua speme prevegna e sue promesse;
10.44.3 la vittoria però, però non vedo
10.44.4 liberate, o signor, le mura oppresse.
10.44.5 Combattremo, o buon re, con quel Goffredo
10.44.6 e con que' duci e con le genti istesse
10.44.7 che tante volte han già rotti e dispersi
10.44.8 gli Arabi, i Turchi, i Soriani e i Persi.
10.45.1 E quali sian, tu 'l sai, che lor cedesti
10.45.2 sì spesso il campo, o valoroso Argante,
10.45.3 e sì spesso le spalle anco volgesti
10.45.4 fidando assai ne le veloci piante;
10.45.5 e 'l sa Clorinda teco ed io con questi
10.45.6 ch' un più de l' altro non convien si vante.
10.45.7 Né incolpo alcuno io già, ché vi fu mostro
10.45.8 quanto potea maggiore il valor nostro.
10.46.1 E dirò pur (benché costui di morte
10.46.2 bieco minacci e 'l vero udir si sdegni):
10.46.3 veggio portar da inevitabil sorte
10.46.4 il nemico fatale a certi segni,
10.46.5 né gente potrà mai, né muro forte
10.46.6 impedirlo così ch' al fin non regni;
10.46.7 ciò mi fa dir (sia testimonio il Cielo)
10.46.8 del signor, de la patria, amore e zelo.
10.47.1 Oh saggio il re di Tripoli, che pace
10.47.2 seppe impetrar da i Franchi e regno insieme!
10.47.3 Ma il Soldano ostinato o morto or giace,
10.47.4 o pur servil catena il piè gli preme,
10.47.5 o ne l' essiglio timido e fugace
10.47.6 si va serbando a le miserie estreme;
10.47.7 e pur, cedendo parte, avria potuto
10.47.8 parte salvar co' doni e co 'l tributo. --
10.48.1 Così diceva, e s' avolgea costui
10.48.2 con giro di parole obliquo e incerto,
10.48.3 ch' a chieder pace, a farsi uom ligio altrui
10.48.4 già non ardia di consigliarlo aperto.
10.48.5 Ma sdegnoso il Soldano i detti sui
10.48.6 non potea omai più sostener coperto,
10.48.7 quando il mago gli disse:-- Or vuoi tu darli
10.48.8 agio, signor, ch' in tal materia parli?
10.49.1 -- Io per me -- gli risponde -- or qui mi celo
10.49.2 contra mio grado, e d' ira ardo e di scorno.--
10.49.3 Ciò disse a pena, e immantinente il velo
10.49.4 de la nube, che stesa è lor d' intorno,
10.49.5 si fende e purga ne l' aperto cielo,
10.49.6 ed ei riman nel luminoso giorno,
10.49.7 e magnanimamente in fero viso
10.49.8 rifulge in mezzo, e lor parla improviso:
10.50.1 -- Io, di cui si ragiona, or son presente,
10.50.2 non fugace e non timido Soldano,
10.50.3 ed a costui ch' egli è codardo e mente
10.50.4 m' offero di provar con questa mano.
10.50.5 Io che sparsi di sangue ampio torrente,
10.50.6 che montagne di strage alzai su 'l piano,
10.50.7 chiuso nel vallo de' nemici e privo
10.50.8 al fin d' ogni compagno, io fuggitivo?
10.51.1 Ma se più questi o s' altri a lui simìle,
10.51.2 a la sua patria, a la sua fede infido,
10.51.3 motto osa far d' accordo infame e vile,
10.51.4 buon re, sia con tua pace, io qui l' uccido.
10.51.5 Gli agni e i lupi fian giunti in un ovile
10.51.6 e le colombe e i serpi in un sol nido,
10.51.7 prima che mai di non discorde voglia
10.51.8 noi co' Francesi alcuna terra accoglia.--
10.52.1 Tien su la spada, mentre ei sì favella,
10.52.2 la fera destra in minaccievol atto.
10.52.3 Riman ciascuno a quel parlar, a quella
10.52.4 orribil faccia, muto e stupefatto.
10.52.5 Poscia con vista men turbata e fella
10.52.6 cortesemente inverso il re s' è tratto:
10.52.7 -- Spera, -- gli dice -- alto signor, ch' io reco
10.52.8 non poco aiuto: or Solimano è teco.--
10.53.1 Aladin, ch' a lui contra era già sorto,
10.53.2 risponde:-- Oh come lieto or qui ti veggio,
10.53.3 diletto amico! Or del mio stuol ch' è morto
10.53.4 non sento il danno; assai temea di peggio.
10.53.5 Tu lo mio stabilire e in tempo corto
10.53.6 puoi ridrizzar il tuo caduto seggio,
10.53.7 se 'l Ciel no 'l vieta. -- Indi le braccia al collo,
10.53.8 così detto, gli stese e circondollo.
10.54.1 Finita l' accoglienza, il re concede
10.54.2 il suo medesmo soglio al gran niceno.
10.54.3 Egli poscia a sinistra in nobil sede
10.54.4 si pone, ed al suo fianco alluoga Ismeno,
10.54.5 e mentre seco parla ed a lui chiede
10.54.6 di lor venuta, ed ei risponde a pieno,
10.54.7 l' alta donzella ad onorar in pria
10.54.8 vien Solimano; ogn' altro indi seguia.
10.55.1 Seguì fra gl' altri Ormusse, il qual la schiera
10.55.2 di quegli Arabi suoi a guidar tolse;
10.55.3 e mentre la battaglia ardea più fera,
10.55.4 per disusate vie così s' avolse
10.55.5 ch' aiutando il silenzio e l' aria nera
10.55.6 lei salva al fin nella città raccolse,
10.55.7 e con le biade e con rapiti armenti
10.55.8 aita porse a l' affamate genti.
10.56.1 Sol con la faccia torva e disdegnosa
10.56.2 tacito si rimase il fer circasso,
10.56.3 a guisa di leon quando si posa,
10.56.4 girando gli occhi e non movendo il passo.
10.56.5 Ma nel Soldan feroce alzar non osa
10.56.6 Orcano il volto, e 'l tien pensoso e basso.
10.56.7 Così a conciglio il palestin tiranno
10.56.8 e 'l re de' Turchi e i cavalier qui stanno.
10.57.1 Ma il pio Goffredo la vittoria e i vinti
10.57.2 avea seguiti, e libere le vie,
10.57.3 e fatto intanto a i suoi guerrieri estinti
10.57.4 l' ultimo onor di sacre essequie e pie;
10.57.5 ed ora a gli altri impon che siano accinti
10.57.6 a dar l' assalto nel secondo die,
10.57.7 e con maggiore e più terribil faccia
10.57.8 di guerra i chiusi barbari minaccia.
10.58.1 E perché conosciuto avea il drapello,
10.58.2 ch' aiutò lui contra la gente infida,
10.58.3 esser de' suoi più cari ed esser quello
10.58.4 che già seguì l' insidiosa guida,
10.58.5 e Tancredi con lor, che nel castello
10.58.6 prigion restò de la fallace Armida,
10.58.7 ne la presenza sol de l' Eremita
10.58.8 e d' alcuni più saggi a sé gli invita;
10.59.1 e dice lor:-- Prego ch' alcun racconti
10.59.2 de' vostri brevi errori il dubbio corso,
10.59.3 e come poscia vi trovaste pronti
10.59.4 in sì grand' uopo a dar sì gran soccorso.--
10.59.5 Vergognando tenean basse le fronti,
10.59.6 ch' era al cor picciol fallo amaro morso.
10.59.7 Al fin del re britanno il chiaro figlio
10.59.8 ruppe il silenzio, e disse alzando il ciglio:
10.60.1 -- Partimmo noi che fuor de l' urna a sorte
10.60.2 tratti non fummo, ognun per sé nascoso,
10.60.3 d' Amor, no 'l nego, le fallaci scorte
10.60.4 seguendo e d' un bel volto insidioso.
10.60.5 Per vie ne trasse disusate e torte
10.60.6 fra noi discordi, e in sé ciascun geloso.
10.60.7 Nutrian gli amori e i nostri sdegni (ahi! tardi
10.60.8 troppo il conosco) or parolette, or guardi.
10.61.1 Al fin giungemmo al loco ove già scese
10.61.2 fiamma dal cielo in dilatate falde,
10.61.3 e di natura vendicò l' offese
10.61.4 sovra le genti in mal oprar sì salde.
10.61.5 Fu già terra feconda, almo paese,
10.61.6 or acque son bituminose e calde
10.61.7 e steril lago; e quanto ei torpe e gira,
10.61.8 compressa è l' aria e grave il puzzo spira.
10.62.1 Questo è lo stagno in cui nulla di greve
10.62.2 si getta mai che giunga insino al basso,
10.62.3 ma in guisa pur d' abete o d' orno leve
10.62.4 l' uom vi sornuota e 'l duro ferro e 'l sasso.
10.62.5 Siede in esso un castello, e stretto e breve
10.62.6 ponte concede a' peregrini il passo.
10.62.7 Ivi n' accolse, e non so con qual arte
10.62.8 vaga è là dentro e ride ogni sua parte.
10.63.1 V' è l' aura molle e 'l ciel sereno e lieti
10.63.2 gli alberi e i prati e pure e dolci l' onde,
10.63.3 ove fra gli amenissimi mirteti
10.63.4 sorge una fonte e un fiumicel diffonde:
10.63.5 piovono in grembo a l' erbe i sonni queti
10.63.6 con un soave mormorio di fronde,
10.63.7 cantan gli augelli: i marmi io taccio e l' oro
10.63.8 meravigliosi d' arte e di lavoro.
10.64.1 Apprestar su l' erbetta, ov' è più densa
10.64.2 l' ombra e vicino al suon de l' acque chiare,
10.64.3 fece di sculti vasi altera mensa
10.64.4 e ricca di vivande elette e care.
10.64.5 Era qui ciò ch' ogni stagion dispensa,
10.64.6 ciò che dona la terra o manda il mare,
10.64.7 ciò che l' arte condisce; e cento belle
10.64.8 servivano al convito accorte ancelle.
10.65.1 Ella d' un parlar dolce e d' un bel riso
10.65.2 temprava altrui cibo mortale e rio.
10.65.3 Or mentre ancor ciascuno a mensa assiso
10.65.4 beve con lungo incendio un lungo oblio,
10.65.5 sorse e disse: --Or qui riedo.-- E con un viso
10.65.6 ritornò poi non sì tranquillo e pio.
10.65.7 Con una man picciola verga scote,
10.65.8 tien l' altra un libro, e legge in basse note.
10.66.1 Legge la maga, ed io pensiero e voglia
10.66.2 sento mutar, mutar vita ed albergo.
10.66.3 (Strana virtù!) novo pensier m' invoglia:
10.66.4 salto ne l' acqua, e mi vi tuffo e immergo.
10.66.5 Non so come ogni gamba entro s' accoglia,
10.66.6 come l' un braccio e l' altro entri nel tergo,
10.66.7 m' accorcio e stringo, e su la pelle cresce
10.66.8 squamoso il cuoio; e d' uom son fatto un pesce.
10.67.1 Così ciascun de gli altri anco fu vòlto
10.67.2 e guizzò meco in quel vivace argento.
10.67.3 Quale allor mi foss' io, come di stolto
10.67.4 vano e torbido sogno, or me 'n rammento.
10.67.5 Piacquele al fin tornarci il proprio volto;
10.67.6 ma tra la meraviglia e lo spavento
10.67.7 muti eravam, quando turbata in vista
10.67.8 in tal guisa ne parla e ne contrista:
10.68.1 --Ecco, a voi noto è il mio poter-- ne dice
10.68.2 --e quanto sopra voi l' imperio ho pieno.
10.68.3 Pende dal mio voler ch' altri infelice
10.68.4 perda in prigione eterna il ciel sereno,
10.68.5 altri divenga augello, altri radice
10.68.6 faccia e germogli nel terrestre seno,
10.68.7 o che s' induri in scelce, o in molle fonte
10.68.8 si liquefaccia, o vesta irsuta fronte.
10.69.1 Ben potete schivar l' aspro mio sdegno,
10.69.2 quando servire al mio piacer v' aggrade:
10.69.3 farvi pagani, e per lo nostro regno
10.69.4 contra l' empio Buglion mover le spade.--
10.69.5 Ricusàr tutti ed aborrìr l' indegno
10.69.6 patto; solo a Rambaldo il persuade.
10.69.7 Noi (ché non val difesa) entro una buca
10.69.8 di lacci avolse ove non è che luca.
10.70.1 Poi nel castello istesso a sorte venne
10.70.2 Tancredi, ed egli ancor fu prigioniero.
10.70.3 Ma poco tempo in carcere ci tenne
10.70.4 la falsa maga; e (s' io n' intesi il vero)
10.70.5 di seco trarne da quell' empia ottenne
10.70.6 del signor di Damasco un messaggiero,
10.70.7 ch' al re d' Egitto in don fra cento armati
10.70.8 ne conduceva inermi e incatenati.
10.71.1 Così ce n' andavamo; e come l' alta
10.71.2 providenza del Cielo ordina e move,
10.71.3 il buon Rinaldo, il qual più sempre essalta
10.71.4 la gloria sua con opre eccelse e nove,
10.71.5 in noi s' aviene, e i cavalieri assalta
10.71.6 nostri custodi e fa l' usate prove:
10.71.7 gli uccide e vince, e di quell' arme loro
10.71.8 fa noi vestir che nostre in prima foro.
10.72.1 Io 'l vidi, e 'l vider questi; e da lui porta
10.72.2 ci fu la destra, e fu sua voce udita.
10.72.3 Falso è il romor che qui risuona e porta
10.72.4 sì rea novella, e salva è la sua vita;
10.72.5 ed oggi è il terzo dì che con la scorta
10.72.6 d' un peregrin fece da noi partita
10.72.7 per girne in Antiochia, e pria depose
10.72.8 l' arme che rotte aveva e sanguinose.--
10.73.1 Così parlava, e l' Eremita intanto
10.73.2 volgeva al cielo l' una e l' altra luce.
10.73.3 Non un color, non serba un volto: oh quanto
10.73.4 più sacro e venerabile or riluce!
10.73.5 Pieno di Dio, rapto dal zelo, a canto
10.73.6 a l' angeliche menti ei si conduce;
10.73.7 gli si svela il futuro, e ne l' eterna
10.73.8 serie de gli anni e de l' età s' interna,
10.74.1 e la bocca sciogliendo in maggior suono
10.74.2 scopre le cose altrui ch' indi verranno.
10.74.3 Tutti conversi a le sembianze, al tuono
10.74.4 de l' insolita voce attenti stanno.
10.74.5 -- Vive -- dice -- Rinaldo, e l' altre sono
10.74.6 arti e bugie di feminile inganno.
10.74.7 Vive, e la vita giovanetta acerba
10.74.8 a più mature glorie il Ciel riserba.
10.75.1 Presagi sono e fanciulleschi affanni
10.75.2 questi ond' or l' Asia lui conosce e noma.
10.75.3 Ecco chiaro vegg' io, correndo gli anni,
10.75.4 ch' egli s' oppone a l' empio Augusto e 'l doma,
10.75.5 e sotto l' ombra de gli argentei vanni
10.75.6 l' aquila sua copre la Chiesa e Roma,
10.75.7 che de la fèra avrà tolte a gli artigli;
10.75.8 e ben di lui nasceran degni i figli.
10.76.1 De' figli i figli, e chi verrà da quelli,
10.76.2 quinci avran chiari e memorandi essempi;
10.76.3 e da' Cesari ingiusti e da' rubelli
10.76.4 difenderan le mitre e i sacri tèmpi.
10.76.5 Premer gli alteri e sollevar gli imbelli,
10.76.6 difender gli innocenti e punir gli empi,
10.76.7 fian l' arti lor: così verrà che vóle
10.76.8 l' aquila estense oltra le vie del sole.
10.77.1 E dritto è ben che, se 'l ver mira e 'l lume,
10.77.2 ministri a Pietro i folgori mortali.
10.77.3 U' per Cristo si pugni, ivi le piume
10.77.4 spiegar dée sempre invitte e trionfali,
10.77.5 ché ciò per suo nativo alto costume
10.77.6 dielle il Cielo e per leggi a lei fatali.
10.77.7 Onde piace là su che in questa degna
10.77.8 impresa, onde partì, chiamato vegna.--
10.78.1 Qui dal soggetto vinto il saggio Piero
10.78.2 stupido tace, e 'l cor ne l' alma faccia
10.78.3 troppo gran cose de l' estense altero
10.78.4 valor ragiona, onde tutto altro spiaccia.
10.78.5 Sorge intanto la notte, e 'l velo nero
10.78.6 per l' aria spiega e l' ampia terra abbraccia;
10.78.7 vansene gli altri e dan le membra al sonno,
10.78.8 ma i suoi pensieri in lui dormir non ponno.
CANTO XI
11.1.1 Ma 'l capitan de le cristiane genti,
11.1.2 vòlto avendo a l' assalto ogni pensiero,
11.1.3 giva apprestando i bellici instrumenti
11.1.4 quando a lui venne il solitario Piero;
11.1.5 e trattolo in disparte, in tali accenti
11.1.6 gli parlò venerabile e severo:
11.1.7 -- Tu movi, o capitan, l' armi terrene,
11.1.8 ma di là non cominci onde conviene.
11.2.1 Sia dal Cielo il principio; invoca inanti
11.2.2 ne le preghiere publiche e devote
11.2.3 la milizia de gli angioli e de' santi,
11.2.4 che ne impetri vittoria ella che puote.
11.2.5 Preceda il clero in sacre vesti, e canti
11.2.6 con pietosa armonia supplici note;
11.2.7 e da voi, duci gloriosi e magni,
11.2.8 pietate il vulgo apprenda e n' accompagni.--
11.3.1 Così gli parla il rigido romito,
11.3.2 e 'l buon Goffredo il saggio aviso approva:
11.3.3 -- Servo -- risponde -- di Giesù gradito,
11.3.4 il tuo consiglio di seguir mi giova.
11.3.5 Or mentre i duci a venir meco invito,
11.3.6 tu i Pastori de' popoli ritrova,
11.3.7 Guglielmo ed Ademaro, e vostra sia
11.3.8 la cura de la pompa sacra e pia.--
11.4.1 Nel seguente mattino il vecchio accoglie
11.4.2 co' duo gran sacerdoti altri minori,
11.4.3 ov' entro al vallo tra sacrate soglie
11.4.4 soleansi celebrar divini onori.
11.4.5 Quivi gli altri vestìr candide spoglie,
11.4.6 vestìr dorato ammanto i duo Pastori
11.4.7 che bipartito sovra i bianchi lini
11.4.8 s' affibbia al petto, e incoronaro i crini.
11.5.1 Va Piero solo inanzi e spiega al vento
11.5.2 il segno riverito in Paradiso,
11.5.3 e segue il coro a passo grave e lento
11.5.4 in duo lunghissimi ordini diviso.
11.5.5 Alternando facean doppio concento
11.5.6 in supplichevol canto e in umil viso,
11.5.7 e chiudendo le schiere ivano a paro
11.5.8 i principi Guglielmo ed Ademaro.
11.6.1 Venia poscia il Buglion, pur come è l' uso
11.6.2 di capitan senza compagno a lato;
11.6.3 seguiano a coppia i duci, e non confuso
11.6.4 seguiva il campo in lor difesa armato.
11.6.5 Sì procedendo se n' uscia del chiuso
11.6.6 de le trinciere il popolo adunato,
11.6.7 né s' udian trombe o suoni altri feroci
11.6.8 ma di pietate e d' umiltà sol voci.
11.7.1 Te Genitor, te Figlio eguale al Padre,
11.7.2 e te che d' ambo uniti amando spiri,
11.7.3 e te d' Uomo e di Dio vergine Madre
11.7.4 invocano propizia a i lor desiri;
11.7.5 o Duci, e voi che le fulgenti squadre
11.7.6 del ciel movete in triplicati giri,
11.7.7 o Divo, e te che de la diva fronte
11.7.8 la monda umanità lavasti al fonte,
11.8.1 chiamano; e te che sei pietra e sostegno
11.8.2 de la magion di Dio fondato e forte,
11.8.3 ove ora il novo successor tuo degno
11.8.4 di grazia e di perdono apre le porte,
11.8.5 e gli altri messi del celeste regno
11.8.6 che divulgàr la vincitrice morte,
11.8.7 e quei che 'l vero a confermar seguiro,
11.8.8 testimoni di sangue e di martiro;
11.9.1 quegli ancor la cui penna o la favella
11.9.2 insegnata ha del Ciel la via smarrita,
11.9.3 e la cara di Cristo e fida ancella
11.9.4 ch' elesse il ben de la più nobil vita;
11.9.5 e le vergini chiuse in casta cella
11.9.6 che Dio con alte nozze a sé marita;
11.9.7 e quell' altre magnanime a i tormenti,
11.9.8 sprezzatrici de' regi e de le genti.
11.10.1 Così cantando, il popolo devoto
11.10.2 con larghi giri si dispiega e stende,
11.10.3 e drizza a l' Oliveto il lento moto,
11.10.4 monte che da l' olive il nome prende,
11.10.5 monte per sacra fama al mondo noto,
11.10.6 ch' oriental contra le mura ascende,
11.10.7 e sol da quelle il parte e ne 'l discosta
11.10.8 la cupa Giosafà ch' in mezzo è posta.
11.11.1 Colà s' invia l' essercito canoro,
11.11.2 e ne suonan le valli ime e profonde
11.11.3 e gli alti colli e le spelonche loro,
11.11.4 e da ben mille parti Ecco risponde,
11.11.5 e quasi par che boscareccio coro
11.11.6 fra quegli antri si celi e in quelle fronde,
11.11.7 sì chiaramente replicar s' udia
11.11.8 or di Cristo il gran nome, or di Maria.
11.12.1 D' in su le mura ad ammirar fra tanto
11.12.2 cheti si stanno e attoniti i pagani
11.12.3 que' tardi avolgimenti e l' umil canto,
11.12.4 e l' insolite pompe e i riti estrani.
11.12.5 Poi che cessò de lo spettacol santo
11.12.6 la novitate, i miseri profani
11.12.7 alzàr le strida; e di bestemmie e d' onte
11.12.8 muggì il torrente e la gran valle e 'l monte.
11.13.1 Ma da la casta melodia soave
11.13.2 la gente di Giesù però non tace,
11.13.3 né si volge a que' gridi o cura n' have
11.13.4 più che di stormo avria d' augei loquace;
11.13.5 né perché strali aventino, ella pave
11.13.6 che giungano a turbar la santa pace
11.13.7 di sì lontano, onde a suo fin ben pote
11.13.8 condur le sacre incominciate note.
11.14.1 Poscia in cima del colle ornan l' altare
11.14.2 che di gran cena al sacerdote è mensa,
11.14.3 e d' ambo i lati luminosa appare
11.14.4 sublime lampa in lucid' oro accensa.
11.14.5 Quivi altre spoglie, e pur dorate e care,
11.14.6 prende Guglielmo, e pria tacito pensa,
11.14.7 indi con chiaro suon la voce spiega,
11.14.8 se stesso accusa e Dio ringrazia e prega.
11.15.1 Umili intorno ascoltano i primieri,
11.15.2 le viste i più lontani almen v' han fisse.
11.15.3 Ma poi che celebrò gli alti misteri
11.15.4 del puro sacrificio:-- Itene -- ei disse;
11.15.5 e in fronte alzando a i popoli guerrieri
11.15.6 la man sacerdotal, li benedisse.
11.15.7 Allor se 'n ritornàr le squadre pie
11.15.8 per le dianzi da lor calcate vie.
11.16.1 Giunti nel vallo e l' ordine disciolto,
11.16.2 si rivolge Goffredo a sua magione,
11.16.3 e l' accompagna stuol calcato e folto
11.16.4 insino al limitar del padiglione.
11.16.5 Quivi gli altri accommiata indietro vòlto,
11.16.6 ma ritien seco i duci il pio Buglione,
11.16.7 e li raccoglie a mensa, e vuol ch' a fronte
11.16.8 di Tolosa gli sieda il vecchio conte.
11.17.1 Poi che de' cibi il natural amore
11.17.2 fu in lor ripresso e l' importuna sete,
11.17.3 disse a i duci il gran duce:-- Al novo albore
11.17.4 tutti a l' assalto voi pronti sarete:
11.17.5 quel fia giorno di guerra e di sudore,
11.17.6 questo sia d' apparecchio e di quiete.
11.17.7 Dunque ciascun vada al riposo, e poi
11.17.8 se medesmo prepari e i guerrier suoi.--
11.18.1 Tolser essi congedo, e manifesto
11.18.2 quinci gli araldi a suon di trombe fèro
11.18.3 ch' essere a l' arme apparecchiato e presto
11.18.4 dée con la nova luce ogni guerriero.
11.18.5 Così in parte al ristoro e in parte questo
11.18.6 giorno si diede a l' opre ed al pensiero,
11.18.7 sin che fe' nova tregua a la fatica
11.18.8 la cheta notte, del riposo amica.
11.19.1 Ancor dubbia l' aurora ed immaturo
11.19.2 ne l' oriente il parto era del giorno,
11.19.3 né i terreni fendea l' aratro duro,
11.19.4 né fea il pastore a i prati anco ritorno;
11.19.5 stava tra i rami ogni augellin securo,
11.19.6 e in selva non s' udia latrato o corno,
11.19.7 quando a cantar la mattutina tromba
11.19.8 comincia: --A l' arme! --A l' arme!-- il ciel rimbomba
11.20.1 --A l' arme! a l' arme!-- subito ripiglia
11.20.2 il grido universal di cento schiere.
11.20.3 Sorge il forte Goffredo e già non piglia
11.20.4 la gran corazza usata o le schiniere;
11.20.5 ne veste un' altra ed un pedon somiglia
11.20.6 in arme speditissime e leggiere;
11.20.7 e indosso avea già l' agevol pondo,
11.20.8 quando gli sovragiunse il buon Raimondo.
11.21.1 Questi, veggendo armato in cotal modo
11.21.2 il capitano, il suo pensier comprese:
11.21.3 -- Ov' è -- gli disse -- il grave usbergo e sodo?
11.21.4 ov' è, signor, l' altro ferrato arnese?
11.21.5 perché sei parte inerme? Io già non lodo
11.21.6 che vada con sì debili difese.
11.21.7 Or da tai segni in te ben argomento
11.21.8 che sei di gloria ad umil mèta intento.
11.22.1 Deh! che ricerchi tu? privata palma
11.22.2 di salitor di mura? Altri le saglia,
11.22.3 ed esponga men degna ed util alma
11.22.4 (rischio debito a lui) ne la battaglia;
11.22.5 tu riprendi, signor, l' usata salma
11.22.6 e di te stesso a nostro pro ti caglia.
11.22.7 L' anima tua, mente del campo e vita,
11.22.8 cautamente per Dio sia custodita.--
11.23.1 Qui tace, ed ei risponde:-- Or ti sia noto
11.23.2 che quando in Chiaramonte il grande Urbano
11.23.3 questa spada mi cinse, e me devoto
11.23.4 fe' cavalier l' onnipotente mano,
11.23.5 tacitamente a Dio promisi in voto
11.23.6 non pur l' opera qui di capitano,
11.23.7 ma d' impiegarvi ancor, quando che fosse,
11.23.8 qual privato guerrier l' arme e le posse.
11.24.1 Dunque, poscia che fian contra i nemici
11.24.2 tutte le genti mie mosse e disposte,
11.24.3 e ch' a pieno adempito avrò gli uffici
11.24.4 che son dovuti al principe de l' oste,
11.24.5 ben è ragion (né tu, credo, il disdici)
11.24.6 ch' a le mura pugnando anch' io m' accoste,
11.24.7 e la fede promessa al Cielo osservi:
11.24.8 egli mi custodisca e mi conservi.--
11.25.1 Così concluse, e i cavalier francesi
11.25.2 seguìr l' essempio e i duo minor Buglioni;
11.25.3 gli altri principi ancor men gravi arnesi
11.25.4 parte vestiro e si mostràr pedoni.
11.25.5 Ma i pagani fra tanto erano ascesi
11.25.6 là dove a i sette gelidi Trioni
11.25.7 si volge e piega a l' occidente il muro,
11.25.8 che nel più facil sito è men securo.
11.26.1 Però ch' altronde la città non teme
11.26.2 de l' assalto nemico offesa alcuna.
11.26.3 Quivi non pur l' empio tiranno insieme
11.26.4 il forte vulgo e gli assoldati aduna,
11.26.5 ma chiama ancora a le fatiche estreme
11.26.6 fanciulli e vecchi l' ultima fortuna;
11.26.7 e van questi portando a i più gagliardi
11.26.8 calce e zolfo e bitume e sassi e dardi.
11.27.1 E di machine e d' arme han pieno inante
11.27.2 tutto quel muro a cui soggiace il piano,
11.27.3 e quinci in forma d' orrido gigante
11.27.4 da la cintola in su sorge il Soldano,
11.27.5 quindi tra' merli il minaccioso Argante
11.27.6 torreggia, e discoperto è di lontano,
11.27.7 e in su la torre altissima Angolare
11.27.8 sovra tutti Clorinda eccelsa appare.
11.28.1 A costei la faretra e 'l grave incarco
11.28.2 de l' acute quadrella al tergo pende.
11.28.3 Ella già ne le mani ha preso l' arco,
11.28.4 e già lo stral v' ha su la corda e 'l tende;
11.28.5 e desiosa di ferire, al varco
11.28.6 la bella arciera i suoi nemici attende.
11.28.7 Tal già credean la vergine di Delo
11.28.8 tra l' alte nubi saettar dal cielo.
11.29.1 Scorre più sotto il re canuto a piede
11.29.2 da l' una a l' altra porta, e 'n su le mura
11.29.3 ciò che prima ordinò cauto rivede
11.29.4 e i difensor conforta e rassecura;
11.29.5 e qui genti rinforza e là provede
11.29.6 di maggior copia d' arme, e 'l tutto cura.
11.29.7 Ma se ne van l' afflitte madri al tempio
11.29.8 a ripregar nume bugiardo ed empio.
11.30.1 -- Deh! spezza tu del predator francese
11.30.2 l' asta, Signor, con la man giusta e forte;
11.30.3 e lui, che tanto il tuo gran nome offese,
11.30.4 abbatti e spargi sotto l' alte porte.--
11.30.5 Così dicean, né fur le voci intese
11.30.6 là giù tra 'l pianto de l' eterna morte.
11.30.7 Or mentre la città s' appresta e prega,
11.30.8 le genti e l' arme il pio Buglion dispiega.
11.31.1 Tragge egli fuor l' essercito pedone
11.31.2 con molta providenza e con bell' arte,
11.31.3 e contra il muro ch' assalir dispone
11.31.4 obliquamente in duo lati il comparte.
11.31.5 Le baliste per dritto in mezzo pone
11.31.6 e gli altri ordigni orribili di Marte,
11.31.7 onde in guisa di fulmini si lancia
11.31.8 vèr le merlate cime or sasso, or lancia.
11.32.1 E mette in guardia i cavalier de' fanti
11.32.2 da tergo, e manda intorno i corridori.
11.32.3 Dà il segno poi de la battaglia, e tanti
11.32.4 i sagittari sono e i frombatori
11.32.5 e l' arme da le machine volanti,
11.32.6 che scemano fra i merli i difensori.
11.32.7 Altri v' è morto e 'l loco altri abbandona;
11.32.8 già men folta del muro è la corona.
11.33.1 La gente franca impetuosa e ratta
11.33.2 allor quanto più puote affretta i passi;
11.33.3 e parte scudo a scudo insieme adatta,
11.33.4 e di quegli un coperchio al capo fassi,
11.33.5 e parte sotto machine s' appiatta
11.33.6 che fan riparo al grandinar de' sassi;
11.33.7 ed arrivando al fosso, il cupo e 'l vano
11.33.8 cercano empirne ed adeguarlo al piano.
11.34.1 Non era il fosso di palustre limo
11.34.2 (ché no 'l consente il loco) o d' acqua molle,
11.34.3 onde l' empieno, ancor che largo ed imo,
11.34.4 le pietre e i fasci e gli arbori e le zolle.
11.34.5 L' audacissimo Alcasto intanto il primo
11.34.6 scopre la testa ed una scala estolle,
11.34.7 e no 'l ritien dura gragnuola o pioggia
11.34.8 di fervidi bitumi, e su vi poggia.
11.35.1 Vedeasi in alto il fier elvezio asceso
11.35.2 mezzo l' aereo calle aver fornito,
11.35.3 segno a mille saette, e non offeso
11.35.4 d' alcuna sì che fermi il corso ardito;
11.35.5 quando un sasso ritondo e di gran peso,
11.35.6 veloce come di bombarda uscito,
11.35.7 ne l' elmo il coglie e il risospinge a basso;
11.35.8 e 'l colpo vien dal lanciator circasso.
11.36.1 Non è mortal, ma grave il colpo e 'l salto
11.36.2 sì ch' ei stordisce, e giace immobil pondo.
11.36.3 Argante allor in suon feroce ed alto:
11.36.4 -- Caduto è il primo, or chi verrà secondo?
11.36.5 Ché non uscite a manifesto assalto,
11.36.6 appiattati guerrier, s' io non m' ascondo?
11.36.7 Non gioveranvi le caverne estrane,
11.36.8 ma vi morrete come belve in tane.--
11.37.1 Così dice egli, e per suo dir non cessa
11.37.2 la gente occulta, e tra i ripari cavi
11.37.3 e sotto gli alti scudi unita e spessa
11.37.4 le saette sostiene e i pesi gravi;
11.37.5 già gli arieti a la muraglia appressa,
11.37.6 machine grandi e smisurate travi,
11.37.7 c' han testa di monton ferrata e dura:
11.37.8 temon le porte il cozzo, e l' alte mura.
11.38.1 Gran mole intanto è di là su rivolta
11.38.2 per cento mani al gran bisogno pronte,
11.38.3 che sovra la testugine più folta
11.38.4 ruina, e par che vi trabocchi un monte;
11.38.5 e de gli scudi l' union disciolta,
11.38.6 più d' un elmo vi frange e d' una fronte,
11.38.7 e ne riman la terra sparsa e rossa
11.38.8 d' arme, di sangue, di cervella e d' ossa.
11.39.1 L' assalitore allor sotto al coperto
11.39.2 de le machine sue più non ripara,
11.39.3 ma da i ciechi perigli al rischio aperto
11.39.4 fuori se n' esce e sua virtù dichiara.
11.39.5 Altri appoggia le scale e va per l' erto,
11.39.6 altri percote i fondamenti a gara.
11.39.7 Ne crolla il muro, e ruinoso i fianchi
11.39.8 già fesso mostra a l' impeto de' Franchi.
11.40.1 E ben cadeva a le percosse orrende,
11.40.2 che doppia in lui l' espugnator montone,
11.40.3 ma sin da' merli il popolo il difende
11.40.4 con usata di guerra arte e ragione,
11.40.5 ch' ovunque la gran trave in lui si stende
11.40.6 cala fasci di lana e li frapone;
11.40.7 prende in sé le percosse e fa più lente
11.40.8 la materia arrendevole e cedente.
11.41.1 Mentre con tal valor s' erano strette
11.41.2 l' audaci schiere a la tenzon murale,
11.41.3 curvò Clorinda sette volte, e sette
11.41.4 rallentò l' arco e n' aventò lo strale;
11.41.5 e quante in giù se ne volàr saette,
11.41.6 tante s' insanguinaro il ferro e l' ale,
11.41.7 non di sangue plebeo ma del più degno,
11.41.8 ché sprezza quell' altera ignobil segno.
11.42.1 Il primo cavalier ch' ella piagasse
11.42.2 fu l' erede minor del rege inglese.
11.42.3 Da' suoi ripari a pena il capo ei trasse
11.42.4 che la mortal percossa in lui discese,
11.42.5 e che la destra man non gli trapasse
11.42.6 il guanto de l' acciar nulla contese;
11.42.7 sì che inabile a l' arme ei si ritira
11.42.8 fremendo, e meno di dolor che d' ira.
11.43.1 Il buon conte d' Ambuosa in ripa al fosso,
11.43.2 e su la scala poi Clotareo il franco:
11.43.3 quegli morì trafitto il petto e 'l dosso,
11.43.4 questi da l' un passato a l' altro fianco.
11.43.5 Sospingeva il monton, quando è percosso
11.43.6 al signor de' Fiamminghi il braccio manco,
11.43.7 sì che tra via s' allenta, e vuol poi trarne
11.43.8 lo strale, e resta il ferro entro la carne.
11.44.1 A l' incauto Ademar, ch' era da lunge
11.44.2 la fera pugna a riguardar rivolto,
11.44.3 la fatal canna arriva e in fronte il punge.
11.44.4 Stende ei la destra al loco ove l' ha colto,
11.44.5 quando nova saetta ecco sorgiunge
11.44.6 sovra la mano e la confige al volto;
11.44.7 onde egli cade, e fa del sangue sacro
11.44.8 su l' arme feminili ampio lavacro.
11.45.1 Ma non lungi da' merli a Palamede,
11.45.2 mentre ardito disprezza ogni periglio
11.45.3 e su per gli erti gradi indrizza il piede,
11.45.4 cala il settimo ferro al destro ciglio,
11.45.5 e trapassando per la cava sede
11.45.6 e tra i nervi de l' occhio esce vermiglio
11.45.7 diretro per la nuca; egli trabocca
11.45.8 e more a' piè de l' assalita rocca.
11.46.1 Tal saetta costei. Goffredo intanto
11.46.2 con novo assalto i difensori opprime.
11.46.3 Avea condotto ad una porta a canto
11.46.4 de le machine sue la più sublime.
11.46.5 Questa è torre di legno, e s' erge tanto
11.46.6 che può del muro pareggiar le cime;
11.46.7 torre che grave d' uomini ed armata,
11.46.8 mobile è su le rote e vien tirata.
11.47.1 Viene aventando la volubil mole
11.47.2 lancie e quadrella, e quanto può s' accosta,
11.47.3 e come nave in guerra a nave suole,
11.47.4 tenta d' unirsi a la muraglia opposta;
11.47.5 ma chi lei guarda ed impedir ciò vuole,
11.47.6 l' urta la fronte e l' una e l' altra costa,
11.47.7 la respinge con l' aste e le percote
11.47.8 or con le pietre i merli ed or le rote.
11.48.1 Tanti di qua, tanti di là fur mossi
11.48.2 e sassi e dardi ch' oscuronne il cielo.
11.48.3 S' urtàr duo nembi in aria, e là tornossi
11.48.4 talor respinto, onde partiva, il telo.
11.48.5 Come di fronde sono i rami scossi
11.48.6 da la pioggia indurata in freddo gelo
11.48.7 e ne caggiono i pomi anco immaturi,
11.48.8 così cadeano i saracin da i muri,
11.49.1 però che scende in lor più greve il danno,
11.49.2 che di ferro assai meno eran guerniti.
11.49.3 Parte de' vivi ancora in fuga vanno,
11.49.4 de la gran mole al fulminar smarriti.
11.49.5 Ma quel che già fu di Nicea tiranno
11.49.6 vi resta, e fa restarvi i pochi arditi;
11.49.7 e 'l fero Argante a contraporsi corre,
11.49.8 presa una trave, a la nemica torre,
11.50.1 e da sé la respinge e tien lontana
11.50.2 quanto l' abete è lungo e 'l braccio forte.
11.50.3 Vi scende ancor la vergine sovrana,
11.50.4 e de' perigli altrui si fa consorte.
11.50.5 I Franchi intanto a la pendente lana
11.50.6 le funi recideano e le ritorte
11.50.7 con lunghe falci, onde cadendo a terra
11.50.8 lasciava il muro disarmato in guerra.
11.51.1 Così la torre sovra, e più di sotto
11.51.2 l' impetuoso il batte aspro ariete,
11.51.3 onde comincia omai forato e rotto
11.51.4 a discoprir le interne vie secrete.
11.51.5 Èssi non lunge il capitan condotto
11.51.6 al conquassato e tremulo parete,
11.51.7 nel suo scudo maggior tutto rinchiuso
11.51.8 che rade volte ha di portar in uso.
11.52.1 E quivi cauto rimirando spia,
11.52.2 e scender vede Solimano a basso
11.52.3 e porsi a la difesa ove s' apria
11.52.4 tra le ruine il periglioso passo,
11.52.5 e rimaner della sublime via
11.52.6 Clorinda in guardia e 'l cavalier circasso.
11.52.7 Così guardava, e già sentiasi il core
11.52.8 tutto avampar di generoso ardore.
11.53.1 Onde rivolto dice al buon Sigiero,
11.53.2 che gli portava un altro scudo e l' arco:
11.53.3 -- Ora mi porgi, o fedel mio scudiero,
11.53.4 cotesto men gravoso e grande incarco,
11.53.5 ché tenterò di trapassar primiero
11.53.6 su i dirupati sassi il dubbio varco;
11.53.7 e tempo è ben che qualche nobil opra
11.53.8 de la nostra virtute omai si scopra.--
11.54.1 Così mutato scudo a pena disse,
11.54.2 quando a lui venne una saetta a volo,
11.54.3 e ne la gamba il colse e la trafisse
11.54.4 nel più nervoso, ove è più acuto il duolo.
11.54.5 Che di tua man, Clorinda, il colpo uscisse,
11.54.6 la fama il canta, e tuo l' onor n' è solo;
11.54.7 se questo dì servaggio e morte schiva
11.54.8 la tua gente pagana, a te s' ascriva.
11.55.1 Ma il fortissimo eroe, quasi non senta
11.55.2 il mortifero duol de la ferita,
11.55.3 dal cominciato corso il piè non lenta,
11.55.4 e monta su i dirupi e gli altri invita.
11.55.5 Pur s' avede egli poi che no 'l sostenta
11.55.6 la gamba, offesa troppo ed impedita,
11.55.7 e ch' inaspra agitando ivi l' ambascia,
11.55.8 onde sforzato alfin l' assalto lascia.
11.56.1 E chiamando il buon Guelfo a sé con mano,
11.56.2 a lui parlava:-- Io me ne vo constretto:
11.56.3 sostien persona tu di capitano
11.56.4 e di mia lontananza empi il diffetto.
11.56.5 Ma picciol' ora io vi starò lontano:
11.56.6 vado e ritorno.-- E si partia, ciò detto;
11.56.7 ed ascendendo in un leggier cavallo,
11.56.8 giunger non può che non sia visto al vallo.
11.57.1 Al dipartir del capitan, si parte
11.57.2 e cede il campo la fortuna franca.
11.57.3 Cresce il vigor ne la contraria parte,
11.57.4 sorge la speme e gli animi rinfranca;
11.57.5 e l' ardimento co 'l favor di Marte
11.57.6 ne' cor fedeli e l' impeto già manca:
11.57.7 già corre lento ogni lor ferro al sangue,
11.57.8 e de le trombe istesse il suono langue.
11.58.1 E già tra' merli a comparir non tarda
11.58.2 lo stuol fugace che 'l timor caccionne,
11.58.3 e mirando la vergine gagliarda,
11.58.4 vero amor de la patria arma le donne.
11.58.5 Correr le vedi e collocarsi in guarda
11.58.6 con chiome sparse e con succinte gonne,
11.58.7 e lanciar dardi e non mostrar paura
11.58.8 d' esporre il petto per l' amate mura.
11.59.1 E quel ch' a i Franchi più spavento porge,
11.59.2 e 'l toglie a i difensor de la cittade,
11.59.3 è che 'l possente Guelfo (e se n' accorge
11.59.4 questo popol e quel) percosso cade.
11.59.5 Tra mille il trova sua fortuna e scòrge
11.59.6 d' un sasso il corso per lontane strade;
11.59.7 e da sembiante colpo al tempo stesso
11.59.8 colto è Raimondo, onde giù cade anch' esso.
11.60.1 Ed aspramente allora anco fu punto
11.60.2 ne la proda del fosso Eustazio ardito.
11.60.3 Né in questo a i Franchi fortunoso punto
11.60.4 contra lor da' nemici è colpo uscito
11.60.5 (che n' uscìr molti) onde non sia disgiunto
11.60.6 corpo da l' alma o non sia almen ferito.
11.60.7 E in tal prosperità via più feroce
11.60.8 divenendo il circasso, alza la voce:
11.61.1 -- Non è questa Antiochia, e non è questa
11.61.2 la notte amica a le cristiane frodi.
11.61.3 Vedete il chiaro sol, la gente desta,
11.61.4 altra forma di guerra ed altri modi.
11.61.5 Dunque favilla in voi nulla più resta
11.61.6 de l' amor de la preda e de le lodi,
11.61.7 che sì tosto cessate e sète stanche
11.61.8 per breve assalto, o Franchi no, ma Franche?--
11.62.1 Così ragiona, e in guisa tal s' accende
11.62.2 ne le sue furie il cavaliero audace
11.62.3 che quell' ampia città ch' egli difende
11.62.4 non gli par campo del suo ardir capace,
11.62.5 e si lancia a gran salti ove si fende
11.62.6 il muro e la fessura adito face;
11.62.7 ed ingombra l' uscita, e grida intanto
11.62.8 a Soliman che si vedeva a canto:
11.63.1 -- Soliman, ecco il loco ed ecco l' ora
11.63.2 che del nostro valor giudice fia.
11.63.3 Che cessi? o di che temi? or costà fora
11.63.4 cerchi il pregio sovran chi più 'l desia.--
11.63.5 Così gli disse, e l' uno e l' altro allora
11.63.6 precipitosamente a prova uscia;
11.63.7 l' un da furor, l' altro da onor rapito
11.63.8 e stimolato dal feroce invito.
11.64.1 Giunsero inaspettati ed improvisi
11.64.2 sovra i nemici, e in paragon mostràrsi;
11.64.3 e da lor tanti furo uomini uccisi,
11.64.4 e scudi ed elmi dissipati e sparsi,
11.64.5 e scale tronche ed arieti incisi,
11.64.6 che di lor parve quasi un monte farsi,
11.64.7 e mescolati a le ruine alzaro,
11.64.8 in vece del caduto, alto riparo.
11.65.1 La gente che pur dianzi ardì salire
11.65.2 al pregio eccelso di mural corona,
11.65.3 non ch' or d' entrar ne la cittate aspire,
11.65.4 ma sembra a le difese anco mal buona;
11.65.5 e cede al nuovo assalto, e in preda a l' ire
11.65.6 de' duo guerrier le machine abbandona,
11.65.7 ch' ad altra guerra omai saran mal atte
11.65.8 tanto è 'l furor che le percote e batte.
11.66.1 L' uno e l' altro pagan, come il trasporta
11.66.2 l' impeto suo, già più e più trascorre;
11.66.3 già 'l foco chiede a i cittadini, e porta
11.66.4 duo pini fiammeggianti invèr la torre.
11.66.5 Cotali uscir da la tartarea porta
11.66.6 sogliono, e sottosopra il mondo porre,
11.66.7 le ministre di Pluto empie sorelle,
11.66.8 lor ceraste scotendo e lor facelle.
11.67.1 Ma l' invitto Tancredi, il qual altrove
11.67.2 confortava a l' assalto i suoi latini,
11.67.3 tosto che vide l' incredibil prove,
11.67.4 e la gemina fiamma e i duo gran pini,
11.67.5 tronca in mezzo le voci, e presto move
11.67.6 a frenar il furor de' saracini;
11.67.7 e tal del suo valor dà segno orrendo
11.67.8 che chi vinse e fugò fugge or perdendo.
11.68.1 Così de la battaglia or qui lo stato
11.68.2 co 'l variar de la fortuna è vòlto,
11.68.3 e in questo mezzo il capitan piagato
11.68.4 ne la gran tenda sua già s' è raccolto
11.68.5 co 'l buon Sigier, con Baldovino a lato,
11.68.6 de i mesti amici in gran concorso e folto;
11.68.7 ei che s' affretta e di tirar s' affanna
11.68.8 de la piaga lo stral, rompe la canna,
11.69.1 e la via più vicina e più spedita
11.69.2 a la cura di lui vuol che si prenda,
11.69.3 scoprasi ogni latebra a la ferita
11.69.4 e largamente si risechi e fenda.
11.69.5 -- Rimandatemi in guerra, onde fornita
11.69.6 non sia co 'l dì prima ch' a lei mi renda.--
11.69.7 Così dice; e premendo il lungo cerro
11.69.8 d' una gran lancia, offre la gamba al ferro.
11.70.1 E già l' antico Eròtimo, che nacque
11.70.2 in riva al Po, s' adopra in sua salute,
11.70.3 il qual de l' erbe e de le nobil acque
11.70.4 ben conosceva ogni uso, ogni virtute;
11.70.5 caro a le Muse ancor, ma si compiacque
11.70.6 ne la gloria minor de l' arti mute;
11.70.7 sol curò tòrre a morte i corpi frali,
11.70.8 e potea far i nomi anco immortali.
11.71.1 Stassi appoggiato, e con secura faccia
11.71.2 freme immobile al pianto il capitano.
11.71.3 Quegli in gonna succinto e da le braccia
11.71.4 ripiegato il vestir, leggiero e piano
11.71.5 or con l' erbe potenti in van procaccia
11.71.6 trarne lo strale, or con la dotta mano;
11.71.7 e con la destra il tenta e co 'l tenace
11.71.8 ferro il va riprendendo, e nulla face.
11.72.1 L' arte sue non seconda ed al disegno
11.72.2 par che per nulla via fortuna arrida;
11.72.3 e nel piagato eroe giunge a tal segno
11.72.4 l' aspro martìr che n' è quasi omicida.
11.72.5 Or qui l' angiol custode, al duol indegno
11.72.6 mosso di lui, colse dittamo in Ida:
11.72.7 erba crinita di purpureo fiore
11.72.8 c' have in giovani foglie alto valore.
11.73.1 E ben mastra natura a le montane
11.73.2 capre n' insegna la virtù celata,
11.73.3 qualor vengon percosse e lor rimane
11.73.4 nel fianco affissa la saetta alata.
11.73.5 Questa, benché da parti assai lontane,
11.73.6 in un momento l' angelo ha recata,
11.73.7 e non veduto entro le mediche onde
11.73.8 de gli apprestati bagni il succo infonde,
11.74.1 e del fonte di Lidia i sacri umori
11.74.2 e l' odorata panacea vi mesce.
11.74.3 Ne sparge il vecchio la ferita, e fuori
11.74.4 volontario per sé lo stral se 'n esce
11.74.5 e si ristagna il sangue; e già i dolori
11.74.6 fuggono da la gamba e 'l vigor cresce.
11.74.7 Grida Eròtimo allor:-- L' arte maestra
11.74.8 te non risana o la mortal mia destra,
11.75.1 maggior virtù ti salva; un angiol, credo,
11.75.2 medico per te fatto, è sceso in terra,
11.75.3 ché di celeste mano i segni vedo:
11.75.4 prendi l' arme; che tardi? e riedi in guerra.--
11.75.5 Avido di battaglia il pio Goffredo
11.75.6 già ne l' ostro le gambe avolge e serra,
11.75.7 e l' asta crolla smisurata, e imbraccia
11.75.8 il già deposto scudo e l' elmo allaccia.
11.76.1 Uscì dal chiuso vallo, e si converse
11.76.2 con mille dietro a la città percossa:
11.76.3 sopra di polve il ciel gli si coperse,
11.76.4 tremò sotto la terra al moto scossa;
11.76.5 e lontano appressar le genti averse
11.76.6 d' alto il miraro, e corse lor per l' ossa
11.76.7 un tremor freddo e strinse il sangue in gelo.
11.76.8 Egli alzò tre fiate il grido al cielo.
11.77.1 Conosce il popol suo l' altera voce
11.77.2 e 'l grido eccitator de la battaglia,
11.77.3 e riprendendo l' impeto veloce
11.77.4 di novo ancora a la tenzon si scaglia.
11.77.5 Ma già la coppia de i pagan feroce
11.77.6 nel rotto accolta s' è de la muraglia,
11.77.7 difendendo ostinata il varco fesso
11.77.8 dal buon Tancredi e da chi vien con esso.
11.78.1 Qui disdegnoso giunge e minacciante
11.78.2 chiuso ne l' arme il capitan di Francia,
11.78.3 e 'n su la prima giunta al fero Argante
11.78.4 l' asta ferrata fulminando lancia.
11.78.5 Nessuna mural machina si vante
11.78.6 d' aventar con più forza alcuna lancia.
11.78.7 Tuona per l' aria la nodosa trave,
11.78.8 v' oppon lo scudo Argante e nulla pave.
11.79.1 S' apre lo scudo al frassino pungente,
11.79.2 né la dura corazza anco il sostiene,
11.79.3 ché rompe tutte l' arme, e finalmente
11.79.4 il sangue saracino a sugger viene.
11.79.5 Ma si svelle il circasso (e 'l duol non sente)
11.79.6 da l' arme il ferro affisso e da le vene,
11.79.7 e 'n Goffredo il ritorce:-- A te -- dicendo
11.79.8 -- rimando il tronco, e l' armi tue ti rendo.--
11.80.1 L' asta, ch' offesa or porta ed or vendetta,
11.80.2 per lo noto sentier vola e rivola,
11.80.3 ma già colui non fère ove è diretta,
11.80.4 ch' egli si piega e 'l capo al colpo invola;
11.80.5 coglie il fedel Sigiero, il qual ricetta
11.80.6 profondamente il ferro entro la gola,
11.80.7 né gli rincresce, del suo caro duce
11.80.8 morendo in vece, abbandonar la luce.
11.81.1 Quasi in quel punto Soliman percote
11.81.2 con una scelce il cavalier normando;
11.81.3 e questi al colpo si contorce e scote
11.81.4 e cade in giù come paleo rotando.
11.81.5 Or più Goffredo sostener non pote
11.81.6 l' ira di tante offese, e impugna il brando;
11.81.7 e sovra la confusa alta ruina
11.81.8 ascende, e move omai guerra vicina.
11.82.1 E ben ei vi facea mirabil cose,
11.82.2 e contrasti seguiano aspri e mortali,
11.82.3 ma fuor uscì la notte e 'l mondo ascose
11.82.4 sotto il caliginoso orror de l' ali;
11.82.5 e l' ombre sue pacifiche interpose
11.82.6 fra tante ire de' miseri mortali,
11.82.7 sì che cessò Goffredo e fe' ritorno.
11.82.8 Cotal fine ebbe il sanguinoso giorno.
11.83.1 Ma pria che 'l pio Buglione il campo ceda,
11.83.2 fa indietro riportar gli egri e i languenti,
11.83.3 e già non lascia a' suoi nemici in preda
11.83.4 l' avanzo de' suoi bellici tormenti;
11.83.5 pur salva la gran torre avien che rieda,
11.83.6 primo terror de le nemiche genti,
11.83.7 come che sia da l' orrida tempesta
11.83.8 sdruscita anch' essa in alcun loco e pesta.
11.84.1 Da' gran perigli uscita ella se 'n viene
11.84.2 giungendo a loco omai di securezza.
11.84.3 Ma qual nave talor ch' a vele piene
11.84.4 corre il mar procelloso e l' onde sprezza,
11.84.5 poscia in vista del porto o su l' arene
11.84.6 o su i fallaci scogli un fianco spezza;
11.84.7 o qual destrier passa le dubbie strade
11.84.8 e presso al dolce albergo incespa e cade;
11.85.1 tale inciampa la torre, e tal da quella
11.85.2 parte che volse a l' impeto de' sassi
11.85.3 frange due rote debili, sì ch' ella
11.85.4 ruinosa pendendo arresta i passi.
11.85.5 Ma le suppone appoggi e la puntella
11.85.6 lo stuol che la conduce e seco stassi,
11.85.7 insin che i pronti fabri intorno vanno
11.85.8 saldando in lei d' ogni sua piaga il danno.
11.86.1 Così Goffredo impone, il qual desia
11.86.2 che si racconci inanzi al novo sole,
11.86.3 ed occupando questa e quella via
11.86.4 dispon le guardie intorno a l' alta mole;
11.86.5 ma 'l suon ne la città chiaro s' udia
11.86.6 di fabrili instrumenti e di parole,
11.86.7 e mille si vedean fiaccole accese,
11.86.8 onde seppesi il tutto o si comprese.
CANTO XII
12.1.1 Era la notte, e non prendean ristoro
12.1.2 co 'l sonno ancor le faticose genti:
12.1.3 ma qui vegghiando nel fabril lavoro
12.1.4 stavano i Franchi a la custodia intenti,
12.1.5 e là i pagani le difese loro
12.1.6 gian rinforzando tremule e cadenti
12.1.7 e reintegrando le già rotte mura,
12.1.8 e de' feriti era comun la cura.
12.2.1 Curate al fin le piaghe, e già fornita
12.2.2 de l' opere notturne era qualcuna;
12.2.3 e rallentando l' altre, al sonno invita
12.2.4 l' ombra omai fatta più tacita e bruna.
12.2.5 Pur non accheta la guerriera ardita
12.2.6 l' alma d' onor famelica e digiuna,
12.2.7 e sollecita l' opre ove altri cessa.
12.2.8 Va seco Argante, e dice ella a se stessa:
12.3.1 --Ben oggi il re de' Turchi e 'l buon Argante
12.3.2 fèr meraviglie inusitate e strane,
12.3.3 ché soli uscìr fra tante schiere e tante
12.3.4 e vi spezzàr le machine cristiane.
12.3.5 Io (questo è il sommo pregio onde mi vante)
12.3.6 d' alto rinchiusa oprai l' arme lontane,
12.3.7 saggittaria, no 'l nego, assai felice.
12.3.8 Dunque sol tanto a donna e più non lice?
12.4.1 Quanto me' fòra in monte od in foresta
12.4.2 a le fère aventar dardi e quadrella,
12.4.3 ch' ove il maschio valor si manifesta
12.4.4 mostrarmi qui tra cavalier donzella!
12.4.5 Ché non riprendo la feminea vesta,
12.4.6 s' io ne son degna e non mi chiudo in cella?--
12.4.7 Così parla tra sé; pensa e risolve
12.4.8 al fin gran cose ed al guerrier si volve:
12.5.1 -- Buona pezza è, signor, che in sé raggira
12.5.2 un non so che d' insolito e d' audace
12.5.3 la mia mente inquieta: o Dio l' inspira,
12.5.4 o l' uom del suo voler suo Dio si face.--
12.5.5 Fuor del vallo nemico accesi mira
12.5.6 i lumi; io là n' andrò con ferro e face
12.5.7 e la torre arderò: vogl' io che questo
12.5.8 effetto segua, il Ciel poi curi il resto.
12.6.1 Ma s' egli averrà pur che mia ventura
12.6.2 nel mio ritorno mi rinchiuda il passo,
12.6.3 d' uom che 'n amor m' è padre a te la cura
12.6.4 e de le care mie donzelle io lasso.
12.6.5 Tu ne l' Egitto rimandar procura
12.6.6 le donne sconsolate e 'l vecchio lasso.
12.6.7 Fallo per Dio, signor, ché di pietate
12.6.8 ben è degno quel sesso e quella etate.--
12.7.1 Stupisce Argante, e ripercosso il petto
12.7.2 da stimoli di gloria acuti sente.
12.7.3 -- Tu là n' andrai, -- rispose -- e me negletto
12.7.4 qui lascierai tra la vulgare gente?
12.7.5 E da secura parte avrò diletto
12.7.6 mirar il fumo e la favilla ardente?
12.7.7 No, no; se fui ne l' arme a te consorte,
12.7.8 esser vo' ne la gloria e ne la morte.
12.8.1 Ho core anch' io che morte sprezza e crede
12.8.2 che ben si cambi con l' onor la vita.
12.8.3 -- Ben ne fèsti -- diss' ella -- eterna fede
12.8.4 con quella tua sì generosa uscita.
12.8.5 Pure io femina sono, e nulla riede
12.8.6 mia morte in danno a la città smarrita;
12.8.7 ma se tu cadi (tolga il Ciel gli augùri),
12.8.8 or chi sarà che più difenda i muri?--
12.9.1 Replicò il cavaliero:-- Indarno adduci
12.9.2 al mio fermo voler fallaci scuse.
12.9.3 Seguirò l' orme tue, se mi conduci;
12.9.4 ma le precorrerò, se mi ricuse.--
12.9.5 Concordi al re ne vanno, il qual fra i duci
12.9.6 e fra i più saggi suoi gli accolse e chiuse.
12.9.7 Incominciò Clorinda:-- O sire, attendi
12.9.8 a ciò che dir voglianti, e in grado il prendi.
12.10.1 Argante qui (né sarà vano il vanto)
12.10.2 quella machina eccelsa arder promette.
12.10.3 Io sarò seco, ed aspettiam sol tanto
12.10.4 che stanchezza maggiore il sonno allette.--
12.10.5 Sollevò il re le palme, e un lieto pianto
12.10.6 giù per le crespe guancie a lui cadette;
12.10.7 e: -- Lodato sia tu, -- disse -- che a i servi
12.10.8 tuoi volgi gli occhi e 'l regno anco mi servi.
12.11.1 Né già sì tosto caderà, se tali
12.11.2 animi forti in sua difesa or sono.
12.11.3 Ma qual poss' io, coppia onorata, eguali
12.11.4 dar a i meriti vostri o laude o dono?
12.11.5 Laudi la fama voi con immortali
12.11.6 voci di gloria, e 'l mondo empia del suono.
12.11.7 Premio v' è l' opra stessa, e premio in parte
12.11.8 vi fia del regno mio non poca parte.--
12.12.1 Sì parla il re canuto, e si ristringe
12.12.2 or questa or quel teneramente al seno.
12.12.3 Il Soldan, ch' è presente e non infinge
12.12.4 la generosa invidia onde egli è pieno,
12.12.5 disse: -- Né questa spada in van si cinge;
12.12.6 verravvi a paro o poco dietro almeno.
12.12.7 --Ah!-- rispose Clorinda -- andremo a questa
12.12.8 impresa tutti? e se tu vien, chi resta?--
12.13.1 Così gli disse, e con rifiuto altero
12.13.2 già s' apprestava a ricusarlo Argante;
12.13.3 ma 'l re il prevenne, e ragionò primiero
12.13.4 a Soliman con placido sembiante:
12.13.5 --Ben sempre tu, magnanimo guerriero,
12.13.6 ne ti mostrasti a te stesso sembiante,
12.13.7 cui nulla faccia di periglio unquanco
12.13.8 sgomentò, né mai fosti in guerra stanco.
12.14.1 E so che fuora andando opre faresti
12.14.2 degne di te; ma sconvenevol parmi
12.14.3 che tutti usciate, e dentro alcun non resti
12.14.4 di voi che sète i più famosi in armi.
12.14.5 Né men consentirei ch' andasser questi
12.14.6 (ché degno è il sangue lor che si risparmi),
12.14.7 s' o men util tal opra o mi paresse
12.14.8 che fornita per altri esser potesse.
12.15.1 Ma poi che la gran torre in sua difesa
12.15.2 d' ogni intorno le guardie ha così folte
12.15.3 che da poche mie genti esser offesa
12.15.4 non pote, e inopportuno è uscir con molte,
12.15.5 la coppia che s' offerse a l' alta impresa,
12.15.6 e 'n simil rischio si trovò più volte,
12.15.7 vada felice pur, ch' ella è ben tale
12.15.8 che sola più che mille insieme vale.
12.16.1 Tu, come al regio onor più si conviene,
12.16.2 con gli altri, prego, in su le porte attendi;
12.16.3 e quando poi (ché n' ho secura spene)
12.16.4 ritornino essi e desti abbian gli incendi,
12.16.5 se stuol nemico seguitando viene,
12.16.6 lui risospingi e lor salva e difendi.--
12.16.7 Così l' un re diceva, e l' altro cheto
12.16.8 rimaneva al suo dir, ma non già lieto.
12.17.1 Soggiunse allora Ismeno:-- Attender piaccia
12.17.2 a voi, ch' uscir dovete, ora più tarda,
12.17.3 sin che di varie tempre un misto i' faccia
12.17.4 ch' a la machina ostil s' appigli e l' arda.
12.17.5 Forse allora averrà che parte giaccia
12.17.6 di quello stuol che la circonda e guarda.--
12.17.7 Ciò fu concluso, e in sua magion ciascuno
12.17.8 aspetta il tempo al gran fatto opportuno.
12.18.1 Depon Clorinda le sue spoglie inteste
12.18.2 d' argento e l' elmo adorno e l' arme altere,
12.18.3 e senza piuma o fregio altre ne veste
12.18.4 (infausto annunzio!) ruginose e nere,
12.18.5 però che stima agevolmente in queste
12.18.6 occulta andar fra le nemiche schiere.
12.18.7 È quivi Arsete eunuco, il qual fanciulla
12.18.8 la nudrì da le fasce e da la culla,
12.19.1 e per l' orme di lei l' antico fianco
12.19.2 d' ogni intorno traendo, or la seguia.
12.19.3 Vede costui l' arme cangiate, ed anco
12.19.4 del gran rischio s' accorge ove ella gìa,
12.19.5 e se n' affligge, e per lo crin che bianco
12.19.6 in lei servendo ha fatto e per la pia
12.19.7 memoria de' suo' uffici instando prega
12.19.8 che da l' impresa cessi; ed ella il nega.
12.20.1 Onde ei le disse alfin:-- Poi che ritrosa
12.20.2 sì la tua mente nel suo mal s' indura
12.20.3 che né la stanca età, né la pietosa
12.20.4 voglia, né i preghi miei, né il pianto cura,
12.20.5 ti spiegherò più oltre, e saprai cosa
12.20.6 di tua condizion che t' era oscura;
12.20.7 poi tuo desir ti guidi o mio consiglio.--
12.20.8 Ei segue, ed ella inalza attenta il ciglio.
12.21.1 -- Resse già l' Etiopia, e forse regge
12.21.2 Senapo ancor con fortunato impero,
12.21.3 il qual del figlio di Maria la legge
12.21.4 osserva, e l' osserva anco il popol nero.
12.21.5 Quivi io pagan fui servo e fui tra gregge
12.21.6 d' ancelle avolto in feminil mestiero,
12.21.7 ministro fatto de la regia moglie
12.21.8 che bruna è sì, ma il bruno il bel non toglie.
12.22.1 N' arde il marito, e de l' amore al foco
12.22.2 ben de la gelosia s' agguaglia il gelo.
12.22.3 Si va in guisa avanzando a poco a poco
12.22.4 nel tormentoso petto il folle zelo
12.22.5 che da ogn' uom la nasconde, e in chiuso loco
12.22.6 vorria celarla a i tanti occhi del cielo.
12.22.7 Ella, saggia ed umil, di ciò che piace
12.22.8 al suo signor fa suo diletto e pace.
12.23.1 D' una pietosa istoria e di devote
12.23.2 figure la sua stanza era dipinta.
12.23.3 Vergine, bianca il bel volto e le gote
12.23.4 vermiglia, è quivi presso un drago avinta.
12.23.5 Con l' asta il mostro un cavalier percote:
12.23.6 giace la fèra nel suo sangue estinta.
12.23.7 Quivi sovente ella s' atterra, e spiega
12.23.8 le sue tacite colpe e piange e prega.
12.24.1 Ingravida fra tanto, ed espon fuori
12.24.2 (e tu fosti colei) candida figlia.
12.24.3 Si turba; e de gli insoliti colori,
12.24.4 quasi d' un novo mostro, ha meraviglia.
12.24.5 Ma perché il re conosce e i suoi furori,
12.24.6 celargli il parto alfin si riconsiglia,
12.24.7 ch' egli avria dal candor che in te si vede
12.24.8 argomentato in lei non bianca fede.
12.25.1 Ed in tua vece una fanciulla nera
12.25.2 pensa mostrargli, poco inanzi nata.
12.25.3 E perché fu la torre, ove chius' era,
12.25.4 da le donne e da me solo abitata,
12.25.5 a me, che le fui servo e con sincera
12.25.6 mente l' amai, ti diè non battezzata;
12.25.7 né già poteva allor battesmo darti,
12.25.8 ché l' uso no 'l sostien di quelle parti.
12.26.1 Piangendo a me ti porse, e mi commise
12.26.2 ch' io lontana a nudrir ti conducessi.
12.26.3 Chi può dire il suo affanno, e in quante guise
12.26.4 lagnossi e raddoppiò gli ultimi amplessi?
12.26.5 Bagnò i baci di pianto, e fur divise
12.26.6 le sue querele da i singulti spessi.
12.26.7 Levò alfin gli occhi, e disse: --O Dio, che scerni
12.26.8 l' opre più occulte, e nel mio cor t' interni,
12.27.1 s' immaculato è questo cor, s' intatte
12.27.2 son queste membra e 'l marital mio letto,
12.27.3 per me non prego, che mille altre ho fatte
12.27.4 malvagità: son vile al tuo cospetto;
12.27.5 salva il parto innocente, al qual il latte
12.27.6 nega la madre del materno petto.
12.27.7 Viva, e sol d' onestate a me somigli;
12.27.8 l' essempio di fortuna altronde pigli.
12.28.1 Tu, celeste guerrier, che la donzella
12.28.2 togliesti del serpente a gli empi morsi,
12.28.3 s' accesi ne' tuo' altari umil facella,
12.28.4 s' auro o incenso odorato unqua ti porsi,
12.28.5 tu per lei prega, sì che fida ancella
12.28.6 possa in ogni fortuna a te raccòrsi.--
12.28.7 Qui tacque; e 'l cor le si rinchiuse e strinse,
12.28.8 e di pallida morte si dipinse.
12.29.1 Io piangendo ti presi, e in breve cesta
12.29.2 fuor ti portai, tra fiori e frondi ascosa;
12.29.3 ti celai da ciascun, che né di questa
12.29.4 diedi sospizion né d' altra cosa.
12.29.5 Me n' andai sconosciuto; e per foresta
12.29.6 caminando di piante orride ombrosa,
12.29.7 vidi una tigre, che minaccie ed ire
12.29.8 avea ne gli occhi, incontr' a me venire.
12.30.1 Sovra un arbore i' salsi e te su l' erba
12.30.2 lasciai, tanta paura il cor mi prese.
12.30.3 Giunse l' orribil fèra, e la superba
12.30.4 testa volgendo, in te lo sguardo intese.
12.30.5 Mansuefece e raddolcio l' acerba
12.30.6 vista con atto placido e cortese;
12.30.7 lenta poi s' avicina e ti fa vezzi
12.30.8 con la lingua, e tu ridi e l' accarezzi;
12.31.1 ed ischerzando seco, al fero muso
12.31.2 la pargoletta man secura stendi.
12.31.3 Ti porge ella le mamme e, come è l' uso
12.31.4 di nutrice, s' adatta, e tu le prendi.
12.31.5 Intanto io miro timido e confuso,
12.31.6 come uom faria novi prodigi orrendi.
12.31.7 Poi che sazia ti vede omai la belva
12.31.8 del suo latte, ella parte e si rinselva;
12.32.1 ed io giù scendo e ti ricolgo, e torno
12.32.2 là 've prima fur vòlti i passi miei,
12.32.3 e preso in picciol borgo alfin soggiorno,
12.32.4 celatamente ivi nutrir ti fei.
12.32.5 Vi stetti in sin che 'l sol correndo intorno
12.32.6 portò a i mortali e diece mesi e sei.
12.32.7 Tu con lingua di latte anco snodavi
12.32.8 voci indistinte, e incerte orme segnavi.
12.33.1 Ma sendo io colà giunto ove dechina
12.33.2 l' etate omai cadente a la vecchiezza,
12.33.3 ricco e sazio de l' or che la regina
12.33.4 nel partir diemmi con regale ampiezza,
12.33.5 da quella vita errante e peregrina
12.33.6 ne la patria ridurmi ebbi vaghezza,
12.33.7 e tra gli antichi amici in caro loco
12.33.8 viver, temprando il verno al proprio foco.
12.34.1 Partomi, e vèr l' Egitto onde son nato,
12.34.2 te conducendo meco, il corso invio,
12.34.3 e giungo ad un torrente, e riserrato
12.34.4 quinci da i ladri son, quindi dal rio.
12.34.5 Che debbo far? te, dolce peso amato,
12.34.6 lasciar non voglio, e di campar desio.
12.34.7 Mi gitto a nuoto, ed una man ne viene
12.34.8 rompendo l' onda e te l' altra sostiene.
12.35.1 Rapidissimo è il corso, e in mezzo l' onda
12.35.2 in se medesma si ripiega e gira;
12.35.3 ma, giunto ove più volge e si profonda,
12.35.4 in cerchio ella mi torce e giù mi tira.
12.35.5 Ti lascio allor, ma t' alza e ti seconda
12.35.6 l' acqua, e secondo a l' acqua il vento spira,
12.35.7 e t' espon salva in su la molle arena;
12.35.8 stanco, anelando, io poi vi giungo a pena.
12.36.1 Lieto ti prendo; e poi la notte, quando
12.36.2 tutte in alto silenzio eran le cose,
12.36.3 vidi in sogno un guerrier che minacciando
12.36.4 a me su 'l volto il ferro ignudo pose.
12.36.5 Imperioso disse: --Io ti comando
12.36.6 ciò che la madre sua primier t' impose:
12.36.7 che battezzi l' infante; ella è diletta
12.36.8 del Cielo, e la sua cura a me s' aspetta.
12.37.1 Io la guardo e difendo, io spirto diedi
12.37.2 di pietate a le fère e mente a l' acque.
12.37.3 Misero te s' al sogno tuo non credi,
12.37.4 ch' è del Ciel messaggiero.-- E qui si tacque.
12.37.5 Svegliaimi e sorsi, e di là mossi i piedi
12.37.6 come del giorno il primo raggio nacque;
12.37.7 ma perché mia fé vera e l' ombre false
12.37.8 stimai, il tuo battesmo non mi calse,
12.38.1 né de i preghi materni; onde nudrita
12.38.2 pagana fosti, e 'l vero a te celai.
12.38.3 Crescesti, e in arme valorosa e ardita
12.38.4 vincesti il sesso e la natura assai:
12.38.5 fama e terre acquistasti, e qual tua vita
12.38.6 sia stata poscia tu medesma il sai;
12.38.7 e sai non men che servo insieme e padre
12.38.8 io t' ho seguita fra guerriere squadre.
12.39.1 Ier poi su l' alba, a la mia mente oppressa
12.39.2 d' alta quiete e simile a la morte,
12.39.3 nel sonno s' offerì l' imago stessa,
12.39.4 ma in più turbata vista e in suon più forte:
12.39.5 --Ecco,-- dicea --fellon, l' ora s' appressa
12.39.6 che dée cangiar Clorinda e vita e sorte:
12.39.7 mia sarà mal tuo grado, e tuo fia il duolo.--
12.39.8 Ciò disse, e poi n' andò per l' aria a volo.
12.40.1 Or odi dunque tu che 'l Ciel minaccia
12.40.2 a te, diletta mia, strani accidenti.
12.40.3 Io non so; forse a lui vien che dispiaccia
12.40.4 ch' altri impugni la fé de' suoi parenti.
12.40.5 Forse è la vera fede. Ah! giù ti piaccia
12.40.6 depor quest' arme e questi spirti ardenti.--
12.40.7 Qui tace e piagne; ed ella pensa e teme,
12.40.8 ch' un altro simil sogno il cor le preme.
12.41.1 Rasserenando il volto, al fin gli dice:
12.41.2 -- Quella fé seguirò che vera or parmi,
12.41.3 che tu co 'l latte già de la nutrice
12.41.4 sugger mi fèsti e che vuoi dubbia or farmi;
12.41.5 né per temenza lascierò, né lice
12.41.6 a magnanimo cor, l' impresa e l' armi,
12.41.7 non se la morte nel più fer sembiante
12.41.8 che sgomenti i mortali avessi inante.--
12.42.1 Poscia il consola; e perché il tempo giunge
12.42.2 ch' ella deve ad effetto il vanto porre,
12.42.3 parte e con quel guerrier si ricongiunge
12.42.4 che si vuol seco al gran periglio esporre.
12.42.5 Con lor s' aduna Ismeno, e instiga e punge
12.42.6 quella virtù che per se stessa corre;
12.42.7 e lor porge di zolfo e di bitumi
12.42.8 due palle, e 'n cavo rame ascosi lumi.
12.43.1 Escon notturni e piani, e per lo colle
12.43.2 uniti vanno a passo lungo e spesso,
12.43.3 tanto che a quella parte ove s' estolle
12.43.4 la machina nemica omai son presso.
12.43.5 Lor s' infiamman gli spirti, e 'l cor ne bolle
12.43.6 né può tutto capir dentro a se stesso:
12.43.7 gli invita al foco, al sangue, un fero sdegno.
12.43.8 Grida la guardia, e lor dimanda il segno.
12.44.1 Essi van cheti inanzi, onde la guarda
12.44.2 -- A l' arme! a l' arme! -- in alto suon raddoppia;
12.44.3 ma più non si nasconde e non è tarda
12.44.4 al corso allor la generosa coppia.
12.44.5 In quel modo che fulmine o bombarda
12.44.6 co 'l lampeggiar tuona in un punto e scoppia,
12.44.7 movere ed arrivar, ferir lo stuolo,
12.44.8 aprirlo e penetrar, fu un punto solo.
12.45.1 E forza è pur che fra mill' arme e mille
12.45.2 percosse il lor disegno al fin riesca.
12.45.3 Scopriro i chiusi lumi, e le faville
12.45.4 s' appreser tosto a l' accensibil esca,
12.45.5 ch' a i legni poi l' avolse e compartille.
12.45.6 Chi può dir come serpa e come cresca
12.45.7 già da più lati il foco? e come folto
12.45.8 turbi il fumo a le stelle il puro volto?
12.46.1 Vedi globi di fiamme oscure e miste
12.46.2 fra le rote del fumo in ciel girarsi.
12.46.3 Il vento soffia, e vigor fa ch' acquiste
12.46.4 l' incendio e in un raccolga i fochi sparsi.
12.46.5 Fère il gran lume con terror le viste
12.46.6 de' Franchi, e tutti son presti ad armarsi.
12.46.7 La mole immensa, e sì temuta in guerra,
12.46.8 cade, e breve ora opre sì lunghe atterra.
12.47.1 Due squadre de' cristiani intanto al loco
12.47.2 dove sorge l' incendio accorron pronte.
12.47.3 Minaccia Argante: -- Io spegnerò quel foco
12.47.4 co 'l vostro sangue--, e volge lor la fronte.
12.47.5 Pur ristretto a Clorinda, a poco a poco
12.47.6 cede, e raccoglie i passi a sommo il monte.
12.47.7 Cresce più che torrente a lunga pioggia
12.47.8 la turba, e li rincalza e con lor poggia.
12.48.1 Aperta è l' Aurea porta, e quivi tratto
12.48.2 è il re, ch' armato il popol suo circonda,
12.48.3 per raccòrre i guerrier da sì gran fatto,
12.48.4 quando al tornar fortuna abbian seconda.
12.48.5 Saltano i due su 'l limitare, e ratto
12.48.6 diretro ad essi il franco stuol v' inonda,
12.48.7 ma l' urta e scaccia Solimano; e chiusa
12.48.8 è poi la porta, e sol Clorinda esclusa.
12.49.1 Sola esclusa ne fu perché in quell' ora
12.49.2 ch' altri serrò le porte ella si mosse,
12.49.3 e corse ardente e incrudelita fora
12.49.4 a punir Arimon che la percosse.
12.49.5 Punillo; e 'l fero Argante avisto ancora
12.49.6 non s' era ch' ella sì trascorsa fosse,
12.49.7 ché la pugna e la calca e l' aer denso
12.49.8 a i cor togliea la cura, a gli occhi il senso.
12.50.1 Ma poi che intepidì la mente irata
12.50.2 nel sangue del nemico e in sé rivenne,
12.50.3 vide chiuse le porte e intorniata
12.50.4 sé da' nemici, e morta allor si tenne.
12.50.5 Pur veggendo ch' alcuno in lei non guata,
12.50.6 nov' arte di salvarsi le sovenne.
12.50.7 Di lor gente s' infinge, e fra gli ignoti
12.50.8 cheta s' avolge; e non è chi la noti.
12.51.1 Poi, come lupo tacito s' imbosca
12.51.2 dopo occulto misfatto, e si desvia,
12.51.3 da la confusion, da l' aura fosca
12.51.4 favorita e nascosa, ella se 'n gìa.
12.51.5 Solo Tancredi avien che lei conosca;
12.51.6 egli quivi è sorgiunto alquanto pria;
12.51.7 vi giunse allor ch' essa Arimon uccise:
12.51.8 vide e segnolla, e dietro a lei si mise.
12.52.1 Vuol ne l' armi provarla: un uom la stima
12.52.2 degno a cui sua virtù si paragone.
12.52.3 Va girando colei l' alpestre cima
12.52.4 verso altra porta, ove d' entrar dispone.
12.52.5 Segue egli impetuoso, onde assai prima
12.52.6 che giunga, in guisa avien che d' armi suone,
12.52.7 ch' ella si volge e grida:-- O tu, che porte,
12.52.8 che corri sì? -- Risponde: -- E guerra e morte.
12.53.1 -- Guerra e morte avrai; -- disse -- io non rifiuto
12.53.2 darlati, se la cerchi--, e ferma attende.
12.53.3 Non vuol Tancredi, che pedon veduto
12.53.4 ha il suo nemico, usar cavallo, e scende.
12.53.5 E impugna l' uno e l' altro il ferro acuto,
12.53.6 ed aguzza l' orgoglio e l' ire accende;
12.53.7 e vansi a ritrovar non altrimenti
12.53.8 che duo tori gelosi e d' ira ardenti.
12.54.1 Degne d' un chiaro sol, degne d' un pieno
12.54.2 teatro, opre sarian sì memorande.
12.54.3 Notte, che nel profondo oscuro seno
12.54.4 chiudesti e ne l' oblio fatto sì grande,
12.54.5 piacciati ch' io ne 'l tragga e 'n bel sereno
12.54.6 a le future età lo spieghi e mande.
12.54.7 Viva la fama loro; e tra lor gloria
12.54.8 splenda del fosco tuo l' alta memoria.
12.55.1 Non schivar, non parar, non ritirarsi
12.55.2 voglion costor, né qui destrezza ha parte.
12.55.3 Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi:
12.55.4 toglie l' ombra e 'l furor l' uso de l' arte.
12.55.5 Odi le spade orribilmente urtarsi
12.55.6 a mezzo il ferro, il piè d' orma non parte;
12.55.7 sempre è il piè fermo e la man sempre in moto,
12.55.8 né scende taglio in van, né punta a vòto.
12.56.1 L' onta irrita lo sdegno a la vendetta,
12.56.2 e la vendetta poi l' onta rinova;
12.56.3 onde sempre al ferir, sempre a la fretta
12.56.4 stimol novo s' aggiunge e cagion nova.
12.56.5 D' or in or più si mesce e più ristretta
12.56.6 si fa la pugna, e spada oprar non giova:
12.56.7 dansi co' pomi, e infelloniti e crudi
12.56.8 cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.
12.57.1 Tre volte il cavalier la donna stringe
12.57.2 con le robuste braccia, ed altrettante
12.57.3 da que' nodi tenaci ella si scinge,
12.57.4 nodi di fer nemico e non d' amante.
12.57.5 Tornano al ferro, e l' uno e l' altro il tinge
12.57.6 con molte piaghe; e stanco ed anelante
12.57.7 e questi e quegli al fin pur si ritira,
12.57.8 e dopo lungo faticar respira.
12.58.1 L' un l' altro guarda, e del suo corpo essangue
12.58.2 su 'l pomo de la spada appoggia il peso.
12.58.3 Già de l' ultima stella il raggio langue
12.58.4 al primo albor ch' è in oriente acceso.
12.58.5 Vede Tancredi in maggior copia il sangue
12.58.6 del suo nemico, e sé non tanto offeso.
12.58.7 Ne gode e superbisce. Oh nostra folle
12.58.8 mente ch' ogn' aura di fortuna estolle!
12.59.1 Misero, di che godi? oh quanto mesti
12.59.2 fiano i trionfi ed infelice il vanto!
12.59.3 Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti)
12.59.4 di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.
12.59.5 Così tacendo e rimirando, questi
12.59.6 sanguinosi guerrier cessaro alquanto.
12.59.7 Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse,
12.59.8 perché il suo nome a lui l' altro scoprisse:
12.60.1 --Nostra sventura è ben che qui s' impieghi
12.60.2 tanto valor, dove silenzio il copra.
12.60.3 Ma poi che sorte rea vien che ci neghi
12.60.4 e lode e testimon degno de l' opra,
12.60.5 pregoti (se fra l' arme han loco i preghi)
12.60.6 che 'l tuo nome e 'l tuo stato a me tu scopra,
12.60.7 acciò ch' io sappia, o vinto o vincitore,
12.60.8 chi la mia morte o la vittoria onore.--
12.61.1 Risponde la feroce:-- Indarno chiedi
12.61.2 quel c' ho per uso di non far palese.
12.61.3 Ma chiunque io mi sia, tu inanzi vedi
12.61.4 un di quei due che la gran torre accese.--
12.61.5 Arse di sdegno a quel parlar Tancredi,
12.61.6 e:-- In mal punto il dicesti;-- indi riprese
12.61.7 -- il tuo dir e 'l tacer di par m' alletta,
12.61.8 barbaro discortese, a la vendetta.--
12.62.1 Torna l' ira ne' cori, e li trasporta,
12.62.2 benché debili in guerra. Oh fera pugna,
12.62.3 u' l' arte in bando, u' già la forza è morta,
12.62.4 ove, in vece, d' entrambi il furor pugna!
12.62.5 Oh che sanguigna e spaziosa porta
12.62.6 fa l' una e l' altra spada, ovunque giugna,
12.62.7 ne l' arme e ne le carni! e se la vita
12.62.8 non esce, sdegno tienla al petto unita.
12.63.1 Qual l' alto Egeo, perché Aquilone o Noto
12.63.2 cessi, che tutto prima il volse e scosse,
12.63.3 non s' accheta ei però, ma 'l suono e 'l moto
12.63.4 ritien de l' onde anco agitate e grosse,
12.63.5 tal, se ben manca in lor co 'l sangue vòto
12.63.6 quel vigor che le braccia a i colpi mosse,
12.63.7 serbano ancor l' impeto primo, e vanno
12.63.8 da quel sospinti a giunger danno a danno.
12.64.1 Ma ecco omai l' ora fatale è giunta
12.64.2 che 'l viver di Clorinda al suo fin deve.
12.64.3 Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
12.64.4 che vi s' immerge e 'l sangue avido beve;
12.64.5 e la veste, che d' or vago trapunta
12.64.6 le mammelle stringea tenera e leve,
12.64.7 l' empie d' un caldo fiume: Ella già sente
12.64.8 morirsi, e 'l piè le manca egro e languente.
12.65.1 Segue egli la vittoria, e la trafitta
12.65.2 vergine minacciando incalza e preme.
12.65.3 Ella, mentre cadea, la voce afflitta
12.65.4 movendo, disse le parole estreme;
12.65.5 parole ch' a lei novo un spirto ditta,
12.65.6 spirto di fé, di carità, di speme:
12.65.7 virtù ch' or Dio le infonde, e se rubella
12.65.8 in vita fu, la vuole in morte ancella.
12.66.1 -- Amico, hai vinto: io ti perdon... perdona
12.66.2 tu ancora, al corpo no, che nulla pave,
12.66.3 a l' alma sì; deh! per lei prega, e dona
12.66.4 battesmo a me ch' ogni mia colpa lave.--
12.66.5 In queste voci languide risuona
12.66.6 un non so che di flebile e soave
12.66.7 ch' al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,
12.66.8 e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza.
12.67.1 Poco quindi lontan nel sen del monte
12.67.2 scaturia mormorando un picciol rio.
12.67.3 Egli v' accorse e l' elmo empié nel fonte,
12.67.4 e tornò mesto al grande ufficio e pio.
12.67.5 Tremar sentì la man, mentre la fronte
12.67.6 non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
12.67.7 La vide, la conobbe, e restò senza
12.67.8 e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!
12.68.1 Non morì già, ché sue virtuti accolse
12.68.2 tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,
12.68.3 e premendo il suo affanno a dar si volse
12.68.4 vita con l' acqua a chi co 'l ferro uccise.
12.68.5 Mentre egli il suon de' sacri detti sciolse,
12.68.6 colei di gioia trasmutossi, e rise;
12.68.7 e in atto di morir lieto e vivace,
12.68.8 dir parea: --S' apre il cielo; io vado in pace.--
12.69.1 D' un bel pallore ha il bianco volto asperso,
12.69.2 come a' gigli sarian miste viole,
12.69.3 e gli occhi al cielo affisa, e in lei converso
12.69.4 sembra per la pietate il cielo e 'l sole;
12.69.5 e la man nuda e fredda alzando verso
12.69.6 il cavaliero in vece di parole
12.69.7 gli dà pegno di pace. In questa forma
12.69.8 passa la bella donna, e par che dorma.
12.70.1 Come l' alma gentile uscita ei vede,
12.70.2 rallenta quel vigor ch' avea raccolto;
12.70.3 e l' imperio di sé libero cede
12.70.4 al duol già fatto impetuoso e stolto,
12.70.5 ch' al cor si stringe e, chiusa in breve sede
12.70.6 la vita, empie di morte i sensi e 'l volto.
12.70.7 Già simile a l' estinto il vivo langue
12.70.8 al colore, al silenzio, a gli atti, al sangue.
12.71.1 E ben la vita sua sdegnosa e schiva,
12.71.2 spezzando a forza il suo ritegno frale,
12.71.3 la bella anima sciolta al fin seguiva,
12.71.4 che poco inanzi a lei spiegava l' ale;
12.71.5 ma quivi stuol de' Franchi a caso arriva,
12.71.6 cui trae bisogno d' acqua o d' altro tale,
12.71.7 e con la donna il cavalier ne porta,
12.71.8 in sé mal vivo e morto in lei ch' è morta.
12.72.1 Però che 'l duce loro ancor discosto
12.72.2 conosce a l' arme il principe cristiano,
12.72.3 onde v' accorre, e poi ravisa tosto
12.72.4 la vaga estinta, e duolsi al caso strano.
12.72.5 E già lasciar non volle a i lupi esposto
12.72.6 il bel corpo che stima ancor pagano,
12.72.7 ma sovra l' altrui braccia ambi li pone,
12.72.8 e ne vien di Tancredi al padiglione.
12.73.1 A fatto ancor nel piano e lento moto
12.73.2 non si risente il cavalier ferito;
12.73.3 pur fievolmente geme, e quinci è noto
12.73.4 che 'l suo corso vital non è fornito.
12.73.5 Ma l' altro corpo tacito ed immoto
12.73.6 dimostra ben che n' è lo spirto uscito.
12.73.7 Così portati, è l' uno e l' altro appresso;
12.73.8 ma in differente stanza al fine è messo.
12.74.1 I pietosi scudier già sono intorno
12.74.2 con vari uffici al cavalier giacente,
12.74.3 e già se 'n riede a i languidi occhi il giorno,
12.74.4 e le mediche mani e i detti ei sente;
12.74.5 ma pur dubbiosa ancor del suo ritorno,
12.74.6 non s' assecura attonita la mente.
12.74.7 Stupido intorno ei guarda, e i servi e 'l loco
12.74.8 al fin conosce; e dice afflitto e fioco:
12.75.1 -- Io vivo? io spiro ancora? e gli odiosi
12.75.2 rai miro ancor di questo infausto die?
12.75.3 Dì testimon de' miei misfatti ascosi,
12.75.4 che rimprovera a me le colpe mie!
12.75.5 Ahi! man timida e lenta, or ché non osi,
12.75.6 tu che sai tutte del ferir le vie,
12.75.7 tu, ministra di morte empia ed infame,
12.75.8 di questa vita rea troncar lo stame?
12.76.1 Passa pur questo petto, e feri scempi
12.76.2 co 'l ferro tuo crudel fa' del mio core;
12.76.3 ma forse, usata a' fatti atroci ed empi,
12.76.4 stimi pietà dar morte al mio dolore.
12.76.5 Dunque i' vivrò tra memorandi essempi
12.76.6 misero mostro d' infelice amore:
12.76.7 misero mostro, a cui sol pena è degna
12.76.8 de l' immensa impietà la vita indegna.
12.77.1 Vivrò fra i miei tormenti e le mie cure,
12.77.2 mie giuste furie, forsennato, errante;
12.77.3 paventarò l' ombre solinghe e scure
12.77.4 che 'l primo error mi recheranno inante,
12.77.5 e del sol che scoprì le mie sventure,
12.77.6 a schivo ed in orrore avrò il sembiante.
12.77.7 Temerò me medesmo; e da me stesso
12.77.8 sempre fuggendo, avrò me sempre appresso.
12.78.1 Ma dove, oh lasso me!, dove restaro
12.78.2 le reliquie del corpo e bello e casto?
12.78.3 Ciò ch' in lui sano i miei furor lasciaro,
12.78.4 dal furor de le fère è forse guasto.
12.78.5 Ahi troppo nobil preda! ahi dolce e caro
12.78.6 troppo e pur troppo prezioso pasto!
12.78.7 ahi sfortunato! in cui l' ombre e le selve
12.78.8 irritaron me prima e poi le belve.
12.79.1 Io pur verrò là dove sète; e voi
12.79.2 meco avrò, s' anco sète, amate spoglie.
12.79.3 Ma s' egli avien che i vaghi membri suoi
12.79.4 stati sian cibo di ferine voglie,
12.79.5 vuo' che la bocca stessa anco me ingoi,
12.79.6 e 'l ventre chiuda me che lor raccoglie:
12.79.7 onorata per me tomba e felice,
12.79.8 ovunque sia, s' esser con lor mi lice.--
12.80.1 Così parla quel misero, e gli è detto
12.80.2 ch' ivi quel corpo avean per cui si dole:
12.80.3 rischiarar parve il tenebroso aspetto,
12.80.4 qual le nube un balen che passe e vóle;
12.80.5 e da i riposi sollevò del letto
12.80.6 l' inferma de le membra e tarda mole;
12.80.7 e traendo a gran pena il fianco lasso,
12.80.8 colà rivolse vacillando il passo.
12.81.1 Ma come giunse, e vide in quel bel seno,
12.81.2 opera di sua man, l' empia ferita,
12.81.3 e quasi un ciel notturno anco sereno
12.81.4 senza splendor la faccia scolorita,
12.81.5 tremò così che ne cadea, se meno
12.81.6 era vicina la fedele aita.
12.81.7 Poi disse:-- Oh viso che puoi far la morte
12.81.8 dolce, ma raddolcir non puoi mia sorte!
12.82.1 Oh bella destra che 'l soave pegno
12.82.2 d' amicizia e di pace a me porgesti!
12.82.3 quali or, lasso!, vi trovo? e qual ne vegno?
12.82.4 E voi, leggiadre membra, or non son questi
12.82.5 del mio ferino e scelerato sdegno
12.82.6 vestigi miserabili e funesti?
12.82.7 Oh di par con la man luci spietate:
12.82.8 essa la piaghe fe', voi le mirate.
12.83.1 Asciutte le mirate? or corra, dove
12.83.2 nega d' andare il pianto, il sangue mio.--
12.83.3 Qui tronca le parole, e come il move
12.83.4 suo disperato di morir desio,
12.83.5 squarcia le fasce e le ferite, e piove
12.83.6 da le sue piaghe essacerbate un rio;
12.83.7 e s' uccidea, ma quella doglia acerba,
12.83.8 co 'l trarlo di se stesso, in vita il serba.
12.84.1 Posto su 'l letto, e l' anima fugace
12.84.2 fu richiamata a gli odiosi uffici.
12.84.3 Ma la garrula fama omai non tace
12.84.4 l' aspre sue angoscie e i suoi casi infelici.
12.84.5 Vi tragge il pio Goffredo, e la verace
12.84.6 turba v' accorre de' più degni amici.
12.84.7 Ma né grave ammonir, né pregar dolce
12.84.8 l' ostinato de l' alma affanno molce.
12.85.1 Qual in membro gentil piaga mortale
12.85.2 tocca s' inaspra e in lei cresce il dolore,
12.85.3 tal da i dolci conforti in sì gran male
12.85.4 più inacerbisce medicato il core.
12.85.5 Ma il venerabil Piero, a cui ne cale
12.85.6 come d' agnella inferma al buon pastore,
12.85.7 con parole gravissime ripiglia
12.85.8 il vaneggiar suo lungo, e lui consiglia:
12.86.1 -- O Tancredi, Tancredi, o da te stesso
12.86.2 troppo diverso e da i princìpi tuoi,
12.86.3 chi sì t' assorda? e qual nuvol sì spesso
12.86.4 di cecità fa che veder non puoi?
12.86.5 Questa sciagura tua del Cielo è un messo;
12.86.6 non vedi lui? non odi i detti suoi?
12.86.7 che ti sgrida, e richiama a la smarrita
12.86.8 strada che pria segnasti e te l' addita?
12.87.1 A gli atti del primiero ufficio degno
12.87.2 di cavalier di Cristo ei ti rappella,
12.87.3 che lasciasti per farti (ahi cambio indegno!)
12.87.4 drudo d' una fanciulla a Dio rubella.
12.87.5 Seconda aversità, pietoso sdegno
12.87.6 con leve sferza di là su flagella
12.87.7 tua folle colpa, e fa di tua salute
12.87.8 te medesmo ministro; e tu 'l rifiute?
12.88.1 Rifiuti dunque, ahi sconoscente!, il dono
12.88.2 del Ciel salubre e 'ncontra lui t' adiri?
12.88.3 Misero, dove corri in abbandono
12.88.4 a i tuoi sfrenati e rapidi martìri?
12.88.5 Sei giunto, e pendi già cadente e prono
12.88.6 su 'l precipizio eterno; e tu no 'l miri?
12.88.7 Miralo, prego, e te raccogli, e frena
12.88.8 quel dolor ch' a morir doppio ti mena.--
12.89.1 Tace, e in colui de l' un morir la tema
12.89.2 poté de l' altro intepidir la voglia.
12.89.3 Nel cor dà loco a que' conforti, e scema
12.89.4 l' impeto interno de l' interna doglia,
12.89.5 ma non così che ad or ad or non gema
12.89.6 e che la lingua a lamentar non scioglia,
12.89.7 ora seco parlando, or con la sciolta
12.89.8 anima che dal Ciel forse l' ascolta.
12.90.1 Lei nel partir, lei nel tornar del sole
12.90.2 chiama con voce stanca, e prega e plora,
12.90.3 come usignuol cui 'l villan duro invole
12.90.4 dal nido i figli non pennuti ancora,
12.90.5 che in miserabil canto afflitte e sole
12.90.6 piange le notti, e n' empie i boschi e l' òra.
12.90.7 Al fin co 'l novo dì rinchiude alquanto
12.90.8 i lumi, e 'l sonno in lor serpe fra 'l pianto.
12.91.1 Ed ecco in sogno di stellata veste
12.91.2 cinta gli appar la sospirata amica:
12.91.3 bella assai più, ma lo splendor celeste
12.91.4 orna e non toglie la notizia antica;
12.91.5 e con dolce atto di pietà le meste
12.91.6 luci par che gli asciughi, e così dica:
12.91.7 --Mira come son bella e come lieta,
12.91.8 fedel mio caro, e in me tuo duolo acqueta.
12.92.1 Tale i' son, tua mercé: tu me da i vivi
12.92.2 del mortal mondo, per error, togliesti;
12.92.3 tu in grembo a Dio fra gli immortali e divi,
12.92.4 per pietà, di salir degna mi fèsti.
12.92.5 Quivi io beata amando godo, e quivi
12.92.6 spero che per te loco anco s' appresti,
12.92.7 ove al gran Sole e ne l' eterno die
12.92.8 vagheggiarai le sue bellezze e mie.
12.93.1 Se tu medesmo non t' invidii il Cielo
12.93.2 e non travii co 'l vaneggiar de' sensi,
12.93.3 vivi e sappi ch' io t' amo, e non te 'l celo,
12.93.4 quanto più creatura amar conviensi.--
12.93.5 Così dicendo, fiammeggiò di zelo
12.93.6 per gli occhi, fuor del mortal uso accensi;
12.93.7 poi nel profondo de' suoi rai si chiuse
12.93.8 e sparve, e novo in lui conforto infuse.
12.94.1 Consolato ei si desta e si rimette
12.94.2 de' medicanti a la discreta aita,
12.94.3 e intanto sepellir fa le dilette
12.94.4 membra ch' informò già la nobil vita.
12.94.5 E se non fu di ricche pietre elette
12.94.6 la tomba e da man dedala scolpita,
12.94.7 fu scelto almeno il sasso, e chi gli diede
12.94.8 figura, quanto il tempo ivi concede.
12.95.1 Quivi da faci in lungo ordine accese
12.95.2 con nobil pompa accompagnar la feo,
12.95.3 e le sue arme, a un nudo pin sospese,
12.95.4 vi spiegò sovra in forma di trofeo.
12.95.5 Ma come prima alzar le membra offese
12.95.6 nel dì seguente il cavalier poteo,
12.95.7 di riverenza pieno e di pietate
12.95.8 visitò le sepolte ossa onorate.
12.96.1 Giunto a la tomba, ove al suo spirto vivo
12.96.2 dolorosa prigione il Ciel prescrisse,
12.96.3 pallido, freddo, muto, e quasi privo
12.96.4 di movimento, al marmo gli occhi affisse.
12.96.5 Al fin, sgorgando un lagrimoso rivo,
12.96.6 in un languido:-- oimè!-- proruppe, e disse:
12.96.7 -- O sasso amato ed onorato tanto,
12.96.8 che dentro hai le mie fiamme e fuori il pianto,
12.97.1 non di morte sei tu, ma di vivaci
12.97.2 ceneri albergo, ove è riposto Amore;
12.97.3 e ben sento io da te l' usate faci,
12.97.4 men dolci sì, ma non men calde al core.
12.97.5 Deh! prendi i miei sospiri, e questi baci
12.97.6 prendi ch' io bagno di doglioso umore;
12.97.7 e dalli tu, poi ch' io non posso, almeno
12.97.8 a le amate reliquie c' hai nel seno.
12.98.1 Dalli lor tu, ché se mai gli occhi gira
12.98.2 l' anima bella a le sue belle spoglie,
12.98.3 tua pietate e mio ardir non avrà in ira,
12.98.4 ch' odio o sdegno là su non si raccoglie.
12.98.5 Perdona ella il mio fallo, e sol respira
12.98.6 in questa speme il cor fra tante doglie.
12.98.7 Sa ch' empia è sol la mano; e non l' è noia
12.98.8 che, s' amando lei vissi, amando moia.
12.99.1 Ed amando morrò: felice giorno,
12.99.2 quando che sia; ma più felice molto,
12.99.3 se come errando or vado a te d' intorno,
12.99.4 allor sarò dentro al tuo grembo accolto.
12.99.5 Faccian l' anime amiche in Ciel soggiorno,
12.99.6 sia l' un cenere e l' altro in un sepolto;
12.99.7 ciò che 'l viver non ebbe, abbia la morte.
12.99.8 Oh se sperar ciò lice, altera sorte!--
12.100.1 Confusamente si bisbiglia intanto
12.100.2 del caso reo ne la rinchiusa terra.
12.100.3 Poi s' accerta e divulga, e in ogni canto
12.100.4 de la città smarrita il romor erra
12.100.5 misto di gridi e di femineo pianto;
12.100.6 non altramente che se presa in guerra
12.100.7 tutta ruini, e 'l foco e i nemici empi
12.100.8 volino per le case e per li tèmpi.
12.101.1 Ma tutti gli occhi Arsete in sé rivolve,
12.101.2 miserabil di gemito e d' aspetto.
12.101.3 Ei come gli altri in lagrime non solve
12.101.4 il duol, ché troppo è d' indurato affetto;
12.101.5 ma i bianchi crini suoi d' immonda polve
12.101.6 si sparge e brutta, e fiede il volto e 'l petto.
12.101.7 Or mentre in lui vòlte le turbe sono,
12.101.8 va in mezzo Argante e parla in cotal suono:
12.102.1 --Ben volev' io, quando primier m' accorsi
12.102.2 che fuor si rimanea la donna forte,
12.102.3 seguirla immantinente; e ratto corsi
12.102.4 per correr seco una medesma sorte.
12.102.5 Che non feci o non dissi? o quai non porsi
12.102.6 preghiere al re che fèsse aprir le porte?
12.102.7 Ei me pregante, e contendente invano,
12.102.8 con l' imperio affrenò c' ha qui soprano.
12.103.1 Ahi! che s' io allora usciva, o dal periglio
12.103.2 qui ricondotta la guerriera avrei,
12.103.3 o chiusi, ov' ella il terren fe' vermiglio,
12.103.4 con memorabil fine i giorni miei.
12.103.5 Ma che potevo io più? parve al consiglio
12.103.6 de gli uomini altramente e de gli dèi:
12.103.7 ella morì di fatal morte, ed io
12.103.8 quant' or conviensi a me già non oblio.
12.104.1 Odi, Gierusalem, ciò che prometta
12.104.2 Argante; odi 'l tu, Cielo; e se in ciò manco,
12.104.3 fulmina su 'l mio capo: io la vendetta
12.104.4 giuro di far ne l' omicida franco,
12.104.5 che per la costei morte a me s' aspetta,
12.104.6 né questa spada mai depor dal fianco
12.104.7 insin ch' ella a Tancredi il cor non passi
12.104.8 e 'l cadavero infame a i corvi lassi.--
12.105.1 Così disse egli, e l' aure popolari
12.105.2 con applauso seguìr le voci estreme;
12.105.3 e imaginando sol, temprò gli amari
12.105.4 l' aspettata vendetta in quel che geme.
12.105.5 Oh vani giuramenti! ecco contrari
12.105.6 seguir tosto gli effetti a l' alta speme,
12.105.7 e cader questi in tenzon pari estinto
12.105.8 sotto colui ch' ei fa già preso e vinto.
CANTO XIII
13.1.1 Ma cadde a pena in cenere l' immensa
13.1.2 machina espugnatrice de le mura,
13.1.3 che 'n sé novi argomenti Ismen ripensa
13.1.4 perché più resti la città secura;
13.1.5 onde a i Franchi impedir ciò che dispensa
13.1.6 lor di materia il bosco egli procura,
13.1.7 onde contra Sion battuta e scossa
13.1.8 torre nova rifarsi indi non possa.
13.2.1 Sorge non lunge a le cristiane tende
13.2.2 tra solitarie valli alta foresta,
13.2.3 foltissima di piante antiche, orrende,
13.2.4 che spargon d' ogni intorno ombra funesta.
13.2.5 Qui, ne l' ora che 'l sol più chiaro splende,
13.2.6 è luce incerta e scolorita e mesta,
13.2.7 quale in nubilo ciel dubbia si vede
13.2.8 se 'l dì a la notte o s' ella a lui succede.
13.3.1 Ma quando parte il sol, qui tosto adombra
13.3.2 notte, nube, caligine ed orrore
13.3.3 che rassembra infernal, che gli occhi ingombra
13.3.4 di cecità, ch' empie di tema il core;
13.3.5 né qui gregge od armenti a' paschi, a l' ombra
13.3.6 guida bifolco mai, guida pastore,
13.3.7 né v' entra peregrin, se non smarrito,
13.3.8 ma lunge passa e la dimostra a dito.
13.4.1 Qui s' adunan le streghe, ed il suo vago
13.4.2 con ciascuna di lor notturno viene;
13.4.3 vien sovra i nembi, e chi d' un fero drago,
13.4.4 e chi forma d' un irco informe tiene:
13.4.5 concilio infame, che fallace imago
13.4.6 suol allettar di desiato bene
13.4.7 a celebrar con pompe immonde e sozze
13.4.8 i profani conviti e l' empie nozze.
13.5.1 Così credeasi, ed abitante alcuno
13.5.2 dal fero bosco mai ramo non svelse;
13.5.3 ma i Franchi il violàr, perch' ei sol uno
13.5.4 somministrava lor machine eccelse.
13.5.5 Or qui se 'n venne il mago, e l' opportuno
13.5.6 alto silenzio de la notte scelse,
13.5.7 de la notte che prossima successe,
13.5.8 e suo cerchio formovvi e i segni impresse.
13.6.1 E scinto e nudo un piè nel cerchio accolto,
13.6.2 mormorò potentissime parole.
13.6.3 Girò tre volte a l' oriente il volto,
13.6.4 tre volte a i regni ove dechina il sole,
13.6.5 e tre scosse la verga ond' uom sepolto
13.6.6 trar de la tomba e dargli il moto sòle,
13.6.7 e tre co 'l piede scalzo il suol percosse;
13.6.8 poi con terribil grido il parlar mosse:
13.7.1 -- Udite, udite, o voi che da le stelle
13.7.2 precipitàr giù i folgori tonanti:
13.7.3 sì voi che le tempeste e le procelle
13.7.4 movete, abitator de l' aria erranti,
13.7.5 come voi che a le inique anime felle
13.7.6 ministri séte de li eterni pianti;
13.7.7 cittadini d' Averno, or qui v' invoco,
13.7.8 e te, signor de' regni empi del foco.
13.8.1 Prendete in guardia questa selva, e queste
13.8.2 piante che numerate a voi consegno.
13.8.3 Come il corpo è de l' alma albergo e veste,
13.8.4 così d' alcun di voi sia ciascun legno,
13.8.5 onde il Franco ne fugga o almen s' arreste
13.8.6 ne' primi colpi, e tema il vostro sdegno.--
13.8.7 Disse, e quelle ch' aggiunse orribil note,
13.8.8 lingua, s' empia non è, ridir non pote.
13.9.1 A quel parlar le faci, onde s' adorna
13.9.2 il seren de la notte, egli scolora;
13.9.3 e la luna si turba e le sue corna
13.9.4 di nube avolge, e non appar più fora.
13.9.5 Irato i gridi a raddoppiar ei torna:
13.9.6 --Spirti invocati, or non venite ancora?
13.9.7 onde tanto indugiar? forse attendete
13.9.8 voci ancor più potenti o più secrete?
13.10.1 Per lungo disusar già non si scorda
13.10.2 de l' arti crude il più efficace aiuto;
13.10.3 e so con lingua anch' io di sangue lorda
13.10.4 quel nome proferir grande e temuto,
13.10.5 a cui né Dite mai ritrosa o sorda
13.10.6 né trascurato in ubidir fu Pluto.
13.10.7 Che sì?... che sì?... -- Volea più dir, ma intanto
13.10.8 conobbe ch' esseguito era lo 'ncanto.
13.11.1 Venieno innumerabili, infiniti
13.11.2 spirti, parte che 'n aria alberga ed erra,
13.11.3 parte di quei che son dal fondo usciti
13.11.4 caliginoso e tetro de la terra;
13.11.5 lenti e del gran divieto anco smarriti,
13.11.6 ch' impedì loro il trattar l' arme in guerra,
13.11.7 ma già venirne qui lor non si toglie
13.11.8 e ne' tronchi albergare e tra le foglie.
13.12.1 Il mago, poi ch' omai nulla più manca
13.12.2 al suo disegno, al re lieto se 'n riede:
13.12.3 -- Signor, lascia ogni dubbio e 'l cor rinfranca
13.12.4 ch' omai secura è la regal tua sede,
13.12.5 né potrà rinovar più l' oste franca
13.12.6 l' alte machine sue come ella crede.--
13.12.7 Così gli dice, e poi di parte in parte
13.12.8 narra i successi de la magica arte.
13.13.1 Soggiunse appresso:-- Or cosa aggiungo a queste
13.13.2 fatte da me ch' a me non meno aggrada.
13.13.3 Sappi che tosto nel Leon celeste
13.13.4 Marte co 'l sol fia ch' ad unir si vada,
13.13.5 né tempreran le fiamme lor moleste
13.13.6 aure, o nembi di pioggia o di rugiada,
13.13.7 ché quanto in cielo appar, tutto predice
13.13.8 aridissima arsura ed infelice;
13.14.1 onde qui caldo avrem qual l' hanno a pena
13.14.2 gli adusti Nasamoni o i Garamanti.
13.14.3 Pur a noi fia men grave in città piena
13.14.4 d' acque e d' ombre sì fresche e d' agi tanti,
13.14.5 ma i Franchi in terra asciutta e non amena
13.14.6 già non saranlo a tolerar bastanti;
13.14.7 e pria dómi dal cielo, agevolmente
13.14.8 fian poi sconfitti da l' egizia gente.
13.15.1 Tu vincerai sedendo, e la fortuna
13.15.2 non cred' io che tentar più ti convegna.
13.15.3 Ma se 'l circasso alter che posa alcuna
13.15.4 non vuole e, benché onesta, anco la sdegna,
13.15.5 t' affretta come sòle e t' importuna,
13.15.6 trova modo pur tu ch' a freno il tegna,
13.15.7 ché molto non andrà che 'l Cielo amico
13.15.8 a te pace darà, guerra al nemico.--
13.16.1 Or questo udendo il re, ben s' assecura,
13.16.2 sì che non teme le nemiche posse.
13.16.3 Già riparate in parte avea le mura
13.16.4 che de' montoni l' impeto percosse;
13.16.5 con tutto ciò non rallentò la cura
13.16.6 di ristorarle, ove sian rotte o smosse.
13.16.7 Le turbe tutte, e cittadine e serve,
13.16.8 s' impiegan qui: l' opra continua ferve.
13.17.1 Ma in questo mezzo il pio Buglion non vòle
13.17.2 che la forte cittade in van si batta,
13.17.3 se non è prima la maggior sua mole
13.17.4 ed alcuna altra machina rifatta.
13.17.5 E i fabri al bosco invia che porger sòle
13.17.6 ad uso tal pronta materia ed atta.
13.17.7 Vanno costor su l' alba a la foresta,
13.17.8 ma timor novo al suo apparir gli arresta.
13.18.1 Qual semplice bambin mirar non osa
13.18.2 dove insolite larve abbia presenti,
13.18.3 o come pave ne la notte ombrosa,
13.18.4 imaginando pur mostri e portenti,
13.18.5 così temean, senza saper qual cosa
13.18.6 siasi quella però che gli sgomenti,
13.18.7 se non che 'l timor forse a i sensi finge
13.18.8 maggior prodigi di Chimera o Sfinge.
13.19.1 Torna la turba, e misera e smarrita
13.19.2 varia e confonde sì le cose e i detti
13.19.3 ch' ella nel riferir n' è poi schernita,
13.19.4 né son creduti i mostruosi effetti.
13.19.5 Allor vi manda il capitano ardita
13.19.6 e forte squadra di guerrieri eletti,
13.19.7 perché sia scorta a l' altra e 'n esseguire
13.19.8 i magisteri suoi le porga ardire.
13.20.1 Questi, appressando ove lor seggio han posto
13.20.2 gli empi demoni in quel selvaggio orrore,
13.20.3 non rimiràr le nere ombre sì tosto,
13.20.4 che lor si scosse e tornò ghiaccio il core.
13.20.5 Pur oltra ancor se 'n gian, tenendo ascosto
13.20.6 sotto audaci sembianti il vil timore;
13.20.7 e tanto s' avanzàr che lunge poco
13.20.8 erano omai da l' incantato loco.
13.21.1 Esce allor de la selva un suon repente
13.21.2 che par rimbombo di terren che treme,
13.21.3 e 'l mormorar de gli Austri in lui si sente
13.21.4 e 'l pianto d' onda che fra scogli geme.
13.21.5 Come rugge il leon, fischia il serpente,
13.21.6 come urla il lupo e come l' orso freme
13.21.7 v' odi, e v' odi le trombe, e v' odi il tuono:
13.21.8 tanti e sì fatti suoni esprime un suono.
13.22.1 In tutti allor s' impallidìr le gote
13.22.2 e la temenza a mille segni apparse,
13.22.3 né disciplina tanto o ragion pote
13.22.4 ch' osin di gire inanzi o di fermarse,
13.22.5 ch' a l' occulta virtù che gli percote
13.22.6 son le difese loro anguste e scarse.
13.22.7 Fuggono al fine; e un d' essi, in cotal guisa
13.22.8 scusando il fatto, il pio Buglion n' avisa:
13.23.1 -- Signor, non è di noi chi più si vante
13.23.2 troncar la selva, ch' ella è sì guardata
13.23.3 ch' io credo (e 'l giurerei) che in quelle piante
13.23.4 abbia la reggia sua Pluton traslata.
13.23.5 Ben ha tre volte e più d' aspro diamante
13.23.6 ricinto il cor chi intrepido la guata;
13.23.7 né senso v' ha colui ch' udir s' arrischia
13.23.8 come tonando insieme rugge e fischia.--
13.24.1 Così costui parlava. Alcasto v' era
13.24.2 fra molti che l' udian presente a sorte:
13.24.3 l' uom di temerità stupida e fera,
13.24.4 sprezzator de' mortali e de la morte;
13.24.5 che non avria temuto orribil fèra,
13.24.6 né mostro formidabile ad uom forte,
13.24.7 né tremoto, né folgore, né vento,
13.24.8 né s' altro ha il mondo più di violento.
13.25.1 Crollava il capo e sorridea dicendo:
13.25.2 -- Dove costui non osa, io gir confido;
13.25.3 io sol quel bosco di troncar intendo
13.25.4 che di torbidi sogni è fatto nido.
13.25.5 Già no 'l mi vieterà fantasma orrendo
13.25.6 né di selva o d' augei fremito o grido,
13.25.7 o pur tra quei sì spaventosi chiostri
13.25.8 d' ir ne l' inferno il varco a me si mostri.--
13.26.1 Cotal si vanta al capitano, e tolta
13.26.2 da lui licenza il cavalier s' invia;
13.26.3 e rimira la selva, e poscia ascolta
13.26.4 quel che da lei novo rimbombo uscia,
13.26.5 né però il piede audace indietro volta
13.26.6 ma securo e sprezzante è come pria;
13.26.7 e già calcato avrebbe il suol difeso,
13.26.8 ma gli s' oppone (o pargli) un foco acceso.
13.27.1 Cresce il gran foco, e 'n forma d' alte mura
13.27.2 stende le fiamme torbide e fumanti;
13.27.3 e ne cinge quel bosco, e l' assecura
13.27.4 ch' altri gli arbori suoi non tronchi e schianti.
13.27.5 Le maggiori sue fiamme hanno figura
13.27.6 di castelli superbi e torreggianti,
13.27.7 e di tormenti bellici ha munite
13.27.8 le rocche sue questa novella Dite.
13.28.1 Oh quanti appaion mostri armati in guarda
13.28.2 de gli alti merli e in che terribil faccia!
13.28.3 De' quai con occhi biechi altri il riguarda,
13.28.4 e dibattendo l' arme altri il minaccia.
13.28.5 Fugge egli al fine, e ben la fuga è tarda,
13.28.6 qual di leon che si ritiri in caccia,
13.28.7 ma pure è fuga; e pur gli scote il petto
13.28.8 timor, sin a quel punto ignoto affetto.
13.29.1 Non s' avide esso allor d' aver temuto,
13.29.2 ma fatto poi lontan ben se n' accorse;
13.29.3 e stupor n' ebbe e sdegno, e dente acuto
13.29.4 d' amaro pentimento il cor gli morse.
13.29.5 E, di trista vergogna acceso e muto,
13.29.6 attonito in disparte i passi torse,
13.29.7 ché quella faccia alzar, già sì orgogliosa,
13.29.8 ne la luce de gli uomini non osa.
13.30.1 Chiamato da Goffredo, indugia e scuse
13.30.2 trova a l' indugio, e di restarsi agogna.
13.30.3 Pur va, ma lento; e tien le labra chiuse
13.30.4 o gli ragiona in guisa d' uom che sogna.
13.30.5 Diffetto e fuga il capitan concluse
13.30.6 in lui da quella insolita vergogna,
13.30.7 poi disse:-- Or ciò che fia? forse prestigi
13.30.8 son questi o di natura alti prodigi?
13.31.1 Ma s' alcun v' è cui nobil voglia accenda
13.31.2 di cercar que' salvatichi soggiorni,
13.31.3 vadane pure, e la ventura imprenda
13.31.4 e nunzio almen più certo a noi ritorni.--
13.31.5 Così disse egli, e la gran selva orrenda
13.31.6 tentata fu ne' tre seguenti giorni
13.31.7 da i più famosi; e pur alcun non fue
13.31.8 che non fuggisse a le minaccie sue.
13.32.1 Era il prence Tancredi intanto sorto
13.32.2 a sepellir la sua diletta amica,
13.32.3 e benché in volto sia languido e smorto
13.32.4 e mal atto a portar elmo o lorica,
13.32.5 nulla di men, poi che 'l bisogno ha scorto,
13.32.6 ei non ricusa il rischio o la fatica,
13.32.7 ché 'l cor vivace il suo vigor trasfonde
13.32.8 al corpo sì che par ch' esso n' abbonde.
13.33.1 Vassene il valoroso in sé ristretto,
13.33.2 e tacito e guardingo, al rischio ignoto,
13.33.3 e sostien de la selva il fero aspetto
13.33.4 e 'l gran romor del tuono e del tremoto;
13.33.5 e nulla sbigottisce, e sol nel petto
13.33.6 sente, ma tosto il seda, un picciol moto.
13.33.7 Trapassa, ed ecco in quel silvestre loco
13.33.8 sorge improvisa la città del foco.
13.34.1 Allor s' arretra, e dubbio alquanto resta
13.34.2 fra sé dicendo: --Or qui che vaglion l' armi?
13.34.3 Ne le fauci de' mostri, e 'n gola a questa
13.34.4 devoratrice fiamma andrò a gettarmi?
13.34.5 Non mai la vita, ove cagione onesta
13.34.6 del comun pro la chieda, altri risparmi,
13.34.7 ma né prodigo sia d' anima grande
13.34.8 uom degno; e tale è ben chi qui la spande.
13.35.1 Pur l' oste che dirà, s' indarno i' riedo?
13.35.2 qual altra selva ha di troncar speranza?
13.35.3 Né intentato lasciar vorrà Goffredo
13.35.4 mai questo varco. Or s' oltre alcun s' avanza,
13.35.5 forse l' incendio che qui sorto i' vedo
13.35.6 fia d' effetto minor che di sembianza;
13.35.7 ma seguane che pote.-- E in questo dire,
13.35.8 dentro saltovvi. Oh memorando ardire!
13.36.1 Né sotto l' arme già sentir gli parve
13.36.2 caldo o fervor come di foco intenso;
13.36.3 ma pur, se fosser vere fiamme o larve,
13.36.4 mal poté giudicar sì tosto il senso,
13.36.5 perché repente a pena tocco sparve
13.36.6 quel simulacro, e giunse un nuvol denso
13.36.7 che portò notte e verno; e 'l verno ancora
13.36.8 e l' ombra dileguossi in picciol ora.
13.37.1 Stupido sì, ma intrepido rimane
13.37.2 Tancredi; e poi che vede il tutto cheto,
13.37.3 mette securo il piè ne le profane
13.37.4 soglie e spia de la selva ogni secreto.
13.37.5 Né più apparenze inusitate e strane,
13.37.6 né trova alcun fra via scontro o divieto,
13.37.7 se non quanto per sé ritarda il bosco
13.37.8 la vista e i passi inviluppato e fosco.
13.38.1 Al fine un largo spazio in forma scorge
13.38.2 d' anfiteatro, e non è pianta in esso,
13.38.3 salvo che nel suo mezzo altero sorge,
13.38.4 quasi eccelsa piramide, un cipresso.
13.38.5 Colà si drizza, e nel mirar s' accorge
13.38.6 ch' era di vari segni il tronco impresso,
13.38.7 simili a quei che in vece usò di scritto
13.38.8 l' antico già misterioso Egitto.
13.39.1 Fra i segni ignoti alcune note ha scorte
13.39.2 del sermon di Soria ch' ei ben possede:
13.39.3 --O tu che dentro a i chiostri de la morte
13.39.4 osasti por, guerriero audace, il piede,
13.39.5 deh! se non sei crudel quanto sei forte,
13.39.6 deh! non turbar questa secreta sede.
13.39.7 Perdona a l' alme omai di luce prive:
13.39.8 non dée guerra co' morti aver chi vive.--
13.40.1 Così dicea quel motto. Egli era intento
13.40.2 de le brevi parole a i sensi occulti:
13.40.3 fremere intanto udia continuo il vento
13.40.4 tra le frondi del bosco e tra i virgulti,
13.40.5 e trarne un suon che flebile concento
13.40.6 par d' umani sospiri e di singulti,
13.40.7 e un non so che confuso instilla al core
13.40.8 di pietà, di spavento e di dolore.
13.41.1 Pur tragge al fin la spada, e con gran forza
13.41.2 percote l' alta pianta. Oh meraviglia!
13.41.3 manda fuor sangue la recisa scorza,
13.41.4 e fa la terra intorno a sé vermiglia.
13.41.5 Tutto si raccapriccia, e pur rinforza
13.41.6 il colpo e 'l fin vederne ei si consiglia.
13.41.7 Allor, quasi di tomba, uscir ne sente
13.41.8 un indistinto gemito dolente,
13.42.1 che poi distinto in voci: -- Ahi! troppo -- disse
13.42.2 -- m' hai tu, Tancredi, offeso; or tanto basti.
13.42.3 Tu dal corpo che meco e per me visse,
13.42.4 felice albergo già, mi discacciasti:
13.42.5 perché il misero tronco, a cui m' affisse
13.42.6 il mio duro destino, anco mi guasti?
13.42.7 Dopo la morte gli aversari tuoi,
13.42.8 crudel, ne' lor sepolcri offender vuoi?
13.43.1 Clorinda fui, né sol qui spirto umano
13.43.2 albergo in questa pianta rozza e dura,
13.43.3 ma ciascun altro ancor, franco o pagano,
13.43.4 che lassi i membri a piè de l' alte mura,
13.43.5 astretto è qui da novo incanto e strano,
13.43.6 non so s' io dica in corpo o in sepoltura.
13.43.7 Son di sensi animati i rami e i tronchi,
13.43.8 e micidial sei tu, se legno tronchi.--
13.44.1 Qual l' infermo talor ch' in sogno scorge
13.44.2 drago o cinta di fiamme alta Chimera,
13.44.3 se ben sospetta o in parte anco s' accorge
13.44.4 che 'l simulacro sia non forma vera,
13.44.5 pur desia di fuggir, tanto gli porge
13.44.6 spavento la sembianza orrida e fera,
13.44.7 tal il timido amante a pien non crede
13.44.8 a i falsi inganni, e pur ne teme e cede.
13.45.1 E, dentro, il cor gli è in modo tal conquiso
13.45.2 da vari affetti che s' agghiaccia e trema,
13.45.3 e nel moto potente ed improviso
13.45.4 gli cade il ferro, e 'l manco è in lui la tema.
13.45.5 Va fuor di sé: presente aver gli è aviso
13.45.6 l' offesa donna sua che plori e gema,
13.45.7 né può soffrir di rimirar quel sangue,
13.45.8 né quei gemiti udir d' egro che langue.
13.46.1 Così quel contra morte audace core
13.46.2 nulla forma turbò d' alto spavento,
13.46.3 ma lui che solo è fievole in amore
13.46.4 falsa imago deluse e van lamento.
13.46.5 Il suo caduto ferro intanto fore
13.46.6 portò del bosco impetuoso vento,
13.46.7 sì che vinto partissi; e in su la strada
13.46.8 ritrovò poscia e ripigliò la spada.
13.47.1 Pur non tornò, né ritentando ardio
13.47.2 spiar di novo le cagioni ascose.
13.47.3 E poi che giunto al sommo duce unio
13.47.4 gli spirti alquanto e l' animo compose,
13.47.5 incominciò:-- Signor, nunzio son io
13.47.6 di non credute e non credibil cose.
13.47.7 Ciò che dicean de lo spettacol fero
13.47.8 e del suon paventoso, è tutto vero.
13.48.1 Meraviglioso foco indi m' apparse,
13.48.2 senza materia in un istante appreso,
13.48.3 che sorse e dilatando un muro farse
13.48.4 parve, e d' armati mostri esser difeso.
13.48.5 Pur vi passai, ché né l' incendio m' arse,
13.48.6 né dal ferro mi fu l' andar conteso.
13.48.7 Vernò in quel punto ed annottò; fe' il giorno
13.48.8 e la serenità poscia ritorno.
13.49.1 Di più dirò: ch' a gli alberi dà vita
13.49.2 spirito uman che sente e che ragiona.
13.49.3 Per prova sollo; io n' ho la voce udita
13.49.4 che nel cor flebilmente anco mi suona.
13.49.5 Stilla sangue de' tronchi ogni ferita,
13.49.6 quasi di molle carne abbian persona.
13.49.7 No, no, più non potrei (vinto mi chiamo)
13.49.8 né corteccia scorzar, né sveller ramo.--
13.50.1 Così dice egli, e 'l capitano ondeggia
13.50.2 in gran tempesta di pensieri intanto.
13.50.3 Pensa s' egli medesmo andar là deggia
13.50.4 (che tal lo stima) a ritentar l' incanto,
13.50.5 o se pur di materia altra proveggia
13.50.6 lontana più, ma non difficil tanto.
13.50.7 Ma dal profondo de' pensieri suoi
13.50.8 l' Eremita il rappella, e dice poi:
13.51.1 --Lascia il pensier audace: altri conviene
13.51.2 che de le piante sue la selva spoglie.
13.51.3 Già già la fatal nave a l' erme arene
13.51.4 la prora accosta e l' auree vele accoglie;
13.51.5 già, rotte l' indegnissime catene,
13.51.6 l' aspettato guerrier dal lido scioglie;
13.51.7 non è lontana omai l' ora prescritta
13.51.8 che sia presa Sion, l' oste sconfitta.--
13.52.1 Parla ei così, fatto di fiamma in volto,
13.52.2 e risuona più ch' uomo in sue parole.
13.52.3 E 'l pio Goffredo a pensier novi è vòlto,
13.52.4 ché neghittoso già cessar non vòle.
13.52.5 Ma nel Cancro celeste omai raccolto
13.52.6 apporta arsura inusitata il sole,
13.52.7 ch' a i suoi disegni, a i suoi guerrier nemica,
13.52.8 insopportabil rende ogni fatica.
13.53.1 Spenta è del cielo ogni benigna lampa;
13.53.2 signoreggiano in lui crudeli stelle,
13.53.3 onde piove virtù ch' informa e stampa
13.53.4 l' aria d' impression maligne e felle.
13.53.5 Cresce l' ardor nocivo, e sempre avampa
13.53.6 più mortalmente in queste parti e in quelle;
13.53.7 a giorno reo notte più rea succede,
13.53.8 e dì peggior di lei dopo lei vede.
13.54.1 Non esce il sol giamai, ch' asperso e cinto
13.54.2 di sanguigni vapori entro e d' intorno
13.54.3 non mostri ne la fronte assai distinto
13.54.4 mesto presagio d' infelice giorno;
13.54.5 non parte mai che in rosse macchie tinto
13.54.6 non minacci egual noia al suo ritorno,
13.54.7 e non inaspri i già sofferti danni
13.54.8 con certa tema di futuri affanni.
13.55.1 Mentre li raggi poi d' alto diffonde,
13.55.2 quanto d' intorno occhio mortal si gira,
13.55.3 seccarsi i fiori e impallidir le fronde,
13.55.4 assetate languir l' erbe rimira,
13.55.5 e fendersi la terra e scemar l' onde,
13.55.6 ogni cosa del ciel soggetta a l' ira,
13.55.7 e le sterili nubi in aria sparse
13.55.8 in sembianza di fiamme altrui mostrarse.
13.56.1 Sembra il ciel ne l' aspetto atra fornace
13.56.2 né cosa appar che gli occhi almen ristaure:
13.56.3 ne le spelonche sue Zefiro tace,
13.56.4 e 'n tutto è fermo il vaneggiar de l' aure;
13.56.5 solo vi soffia (e par vampa di face)
13.56.6 vento che move da l' arene maure,
13.56.7 che, gravoso e spiacente, e seno e gote
13.56.8 co' densi fiati ad or ad or percote.
13.57.1 Non ha poscia la notte ombre più liete,
13.57.2 ma del caldo del sol paiono impresse,
13.57.3 e di travi di foco e di comete
13.57.4 e d' altri fregi ardenti il velo intesse.
13.57.5 Né pur, misera terra, a la tua sete
13.57.6 son da l' avara luna almen concesse
13.57.7 sue rugiadose stille, e l' erbe e i fiori
13.57.8 bramano indarno i lor vitali umori.
13.58.1 Da le notti inquiete il dolce sonno
13.58.2 bandito fugge, e i languidi mortali
13.58.3 lusingando ritrarlo a sé no 'l ponno;
13.58.4 ma pur la sete è il pessimo de' mali,
13.58.5 però che di Giudea l' iniquo donno
13.58.6 con veneni e con succhi aspri e mortali
13.58.7 più de l' inferna Stige e d' Acheronte
13.58.8 torbido fece e livido ogni fonte.
13.59.1 E il picciol Siloè, che puro e mondo
13.59.2 offria cortese a i Franchi il suo tesoro,
13.59.3 or di tepide linfe a pena il fondo
13.59.4 arido copre e dà scarso ristoro;
13.59.5 né il Po, qualor di maggio è più profondo,
13.59.6 parria soverchio a i desideri loro,
13.59.7 né 'l Gange o 'l Nilo, allor che non s' appaga
13.59.8 de' sette alberghi, e 'l verde Egitto allaga.
13.60.1 S' alcun giamai tra frondeggianti rive
13.60.2 puro vide stagnar liquido argento,
13.60.3 o giù precipitose ir acque vive
13.60.4 per alpe o 'n piaggia erbosa a passo lento,
13.60.5 quelle al vago desio forma e descrive
13.60.6 e ministra materia al suo tormento,
13.60.7 ché l' imagine lor gelida e molle
13.60.8 l' asciuga e scalda e nel pensier ribolle.
13.61.1 Vedi le membra de' guerrier robuste,
13.61.2 cui né camin per aspra terra preso,
13.61.3 né ferrea salma onde gìr sempre onuste,
13.61.4 né domò ferro a la lor morte inteso,
13.61.5 ch' or risolute e dal calore aduste
13.61.6 giacciono a se medesme inutil peso;
13.61.7 e vive ne le vene occulto foco
13.61.8 che pascendo le strugge a poco a poco.
13.62.1 Langue il corsier già sì feroce, e l' erba
13.62.2 che fu suo caro cibo a schifo prende,
13.62.3 vacilla il piede infermo, e la superba
13.62.4 cervice dianzi or giù dimessa pende;
13.62.5 memoria di sue palme or più non serba,
13.62.6 né più nobil di gloria amor l' accende:
13.62.7 le vincitrici spoglie e i ricchi fregi
13.62.8 par che quasi vil soma odii e dispregi.
13.63.1 Languisce il fido cane, ed ogni cura
13.63.2 del caro albergo e del signor oblia,
13.63.3 giace disteso ed a l' interna arsura
13.63.4 sempre anelando aure novelle invia;
13.63.5 ma s' altrui diede il respirar natura
13.63.6 perché il caldo del cor temprato sia,
13.63.7 or nulla o poco refrigerio n' have,
13.63.8 sì quello onde si spira è denso e grave.
13.64.1 Così languia la terra, e 'n tale stato
13.64.2 egri giaceansi i miseri mortali,
13.64.3 e 'l buon popol fedel, già disperato
13.64.4 di vittoria, temea gli ultimi mali;
13.64.5 e risonar s' udia per ogni lato
13.64.6 universal lamento in voci tali:
13.64.7 -- Che più spera Goffredo o che più bada,
13.64.8 sì che tutto il suo campo a morte cada?
13.65.1 Deh! con quai forze superar si crede
13.65.2 gli alti ripari de' nemici nostri?
13.65.3 onde machine attende? ei sol non vede
13.65.4 l' ira del Cielo a tanti segni mostri?
13.65.5 de la sua mente aversa a noi fan fede
13.65.6 mille novi prodigi e mille mostri,
13.65.7 ed arde a noi così che minore uopo
13.65.8 di refrigerio ha l' Indo o l' Etiopo.
13.66.1 Dunque stima costui che nulla importe
13.66.2 che n' andiam noi, turba negletta, indegna,
13.66.3 vili ed inutili alme, a dura morte,
13.66.4 perch' ei lo scettro imperial mantegna?
13.66.5 Cotanto dunque fortunata sorte
13.66.6 rassembra quella di colui che regna,
13.66.7 che ritener si cerca avidamente
13.66.8 a danno ancor de la soggetta gente?
13.67.1 Or mira d' uom c' ha il titolo di pio
13.67.2 providenza pietosa, animo umano:
13.67.3 la salute de' suoi porre in oblio
13.67.4 per conservarsi onor dannoso e vano;
13.67.5 e veggendo a noi secchi i fonti e 'l rio,
13.67.6 per sé l' acque condur fa dal Giordano,
13.67.7 e fra pochi sedendo a mensa lieta,
13.67.8 mescolar l' onde fresche al vin di Creta.--
13.68.1 Così i Franchi dicean; ma 'l duce greco,
13.68.2 che 'l lor vessillo è di seguir già stanco,
13.68.3 -- Perché morir qui? -- disse -- e perché meco
13.68.4 far che la schiera mia ne vegna manco?
13.68.5 Se ne la sua follia Goffredo è cieco,
13.68.6 siasi in suo danno e del suo popol franco;
13.68.7 a noi che noce? -- E senza tòr licenza,
13.68.8 notturna fece e tacita partenza.
13.69.1 Mosse l' essempio assai, come al dì chiaro
13.69.2 fu noto; e d' imitarlo alcun risolve.
13.69.3 Quei che seguìr Clotareo ed Ademaro
13.69.4 e gli altri duci ch' or son ossa e polve,
13.69.5 poi che la fede che a color giuraro
13.69.6 ha disciolto colei che tutto solve,
13.69.7 già trattano di fuga, e già qualcuno
13.69.8 parte furtivamente a l' aer bruno.
13.70.1 Ben se l' ode Goffredo e ben se 'l vede,
13.70.2 e i più aspri rimedi avria ben pronti,
13.70.3 ma gli schiva ed aborre; e con la fede
13.70.4 che faria stare i fiumi e gir i monti,
13.70.5 devotamente al Re del mondo chiede
13.70.6 che gli apra omai de la sua grazia i fonti:
13.70.7 giunge le palme, e fiammeggianti in zelo
13.70.8 gli occhi rivolge e le parole al Cielo:
13.71.1 -- Padre e Signor, s' al popol tuo piovesti
13.71.2 già le dolci rugiade entro al deserto,
13.71.3 s' a mortal mano già virtù porgesti
13.71.4 romper le pietre e trar del monte aperto
13.71.5 un vivo fiume, or rinovella in questi
13.71.6 gli stessi essempi; e s' ineguale è il merto,
13.71.7 adempi di tua grazia i lor difetti,
13.71.8 e giovi lor che tuoi guerrier sian detti.--
13.72.1 Tarde non furon già queste preghiere
13.72.2 che derivàr da giusto umil desio,
13.72.3 ma se 'n volaro al Ciel pronte e leggiere
13.72.4 come pennuti augelli inanzi a Dio.
13.72.5 Le accolse il Padre eterno, ed a le schiere
13.72.6 fedeli sue rivolse il guardo pio;
13.72.7 e di sì gravi lor rischi e fatiche
13.72.8 gli increbbe, e disse con parole amiche:
13.73.1 -- Abbia sin qui sue dure e perigliose
13.73.2 aversità sofferte il campo amato,
13.73.3 e contra lui con armi ed arti ascose
13.73.4 siasi l' inferno e siasi il mondo armato.
13.73.5 Or cominci novello ordin di cose,
13.73.6 e gli si volga prospero e beato.
13.73.7 Piova; e ritorni il suo guerriero invitto,
13.73.8 e venga a gloria sua l' oste d' Egitto.--
13.74.1 Così dicendo, il capo mosse; e gli ampi
13.74.2 cieli tremaro e i lumi erranti e i fissi,
13.74.3 e tremò l' aria riverente, e i campi
13.74.4 de l' oceano, e i monti e i ciechi abissi.
13.74.5 Fiammeggiare a sinistra accesi lampi
13.74.6 fur visti, e chiaro tuono insieme udissi.
13.74.7 Accompagnan le genti il lampo e 'l tuono
13.74.8 con allegro di voci ed alto suono.
13.75.1 Ecco sùbite nubi, e non di terra
13.75.2 già per virtù del sole in alto ascese,
13.75.3 ma giù del ciel, che tutte apre e disserra
13.75.4 le porte sue, veloci in giù discese:
13.75.5 ecco notte improvisa il giorno serra
13.75.6 ne l' ombre sue, che d' ogni intorno ha stese.
13.75.7 Segue la pioggia impetuosa, e cresce
13.75.8 il rio così che fuor del letto n' esce.
13.76.1 Come talor ne la stagione estiva,
13.76.2 se dal ciel pioggia desiata scende,
13.76.3 stuol d' anitre loquaci in secca riva
13.76.4 con rauco mormorar lieto l' attende,
13.76.5 e spiega l' ali al freddo umor, né schiva
13.76.6 alcuna di bagnarsi in lui si rende,
13.76.7 e là 've in maggior fondo ei si raccoglia,
13.76.8 si tuffa e spegne l' assetata voglia;
13.77.1 così gridando, la cadente piova
13.77.2 che la destra del Ciel pietosa versa,
13.77.3 lieti salutan questi; a ciascun giova
13.77.4 la chioma averne non che il manto aspersa:
13.77.5 chi bee ne' vetri e chi ne gli elmi a prova,
13.77.6 chi tien la man ne la fresca onda immersa,
13.77.7 chi se ne spruzza il volto e chi le tempie,
13.77.8 chi scaltro a miglior uso i vasi n' empie.
13.78.1 Né pur l' umana gente or si rallegra
13.78.2 e dei suoi danni a ristorar si viene,
13.78.3 ma la terra, che dianzi afflitta ed egra
13.78.4 di fessure le membra avea ripiene,
13.78.5 la pioggia in sé raccoglie e si rintegra,
13.78.6 e la comparte a le più interne vene,
13.78.7 e largamente i nutritivi umori
13.78.8 a le piante ministra, a l' erbe, a i fiori;
13.79.1 ed inferma somiglia a cui vitale
13.79.2 succo le interne parti arse rinfresca,
13.79.3 e disgombrando la cagion del male,
13.79.4 a cui le membra sue fur cibo ed esca,
13.79.5 la rinfranca e ristora e rende quale
13.79.6 fu ne la sua stagion più verde e fresca;
13.79.7 tal ch' obliando i suoi passati affanni
13.79.8 le ghirlande ripiglia e i lieti panni.
13.80.1 Cessa la pioggia al fine e torna il sole,
13.80.2 ma dolce spiega e temperato il raggio,
13.80.3 pien di maschio valor, sì come sòle
13.80.4 tra 'l fin d' aprile e 'l cominciar di maggio.
13.80.5 Oh fidanza gentil, chi Dio ben cole,
13.80.6 l' aria sgombrar d' ogni mortale oltraggio,
13.80.7 cangiare a le stagioni ordine e stato,
13.80.8 vincer la rabbia de le stelle e 'l fato.
CANTO XIV
14.1.1 Usciva omai dal molle e fresco grembo
14.1.2 de la gran madre sua la notte oscura,
14.1.3 aure lievi portando e largo nembo
14.1.4 di sua rugiada preziosa e pura;
14.1.5 e scotendo del vel l' umido lembo,
14.1.6 ne spargeva i fioretti e la verdura,
14.1.7 e i venticelli, dibattendo l' ali,
14.1.8 lusingavano il sonno de' mortali.
14.2.1 Ed essi ogni pensier che 'l dì conduce
14.2.2 tuffato aveano in dolce oblio profondo.
14.2.3 Ma vigilando ne l' eterna luce
14.2.4 sedeva al suo governo il Re del mondo,
14.2.5 e rivolgea dal Cielo al franco duce
14.2.6 lo sguardo favorevole e giocondo;
14.2.7 quinci a lui ne inviava un sogno cheto
14.2.8 perché gli rivelasse alto decreto.
14.3.1 Non lunge a l' auree porte ond' esce il sole
14.3.2 è cristallina porta in oriente,
14.3.3 che per costume inanti aprir si sòle
14.3.4 che si dischiuda l' uscio al dì nascente.
14.3.5 Da questa escono i sogni, i quai Dio vòle
14.3.6 mandar per grazia a pura e casta mente;
14.3.7 da questa or quel ch' al pio Buglion discende
14.3.8 l' ali dorate inverso lui distende.
14.4.1 Nulla mai vision nel sonno offerse
14.4.2 altrui sì vaghe imagini o sì belle
14.4.3 come ora questa a lui, la qual gli aperse
14.4.4 i secreti del cielo e de le stelle;
14.4.5 onde, sì come entro uno speglio, ei scerse
14.4.6 ciò che là suso è veramente in elle.
14.4.7 Pareagli esser traslato in un sereno
14.4.8 candido e d' auree fiamme adorno e pieno;
14.5.1 e mentre ammira in quell' eccelso loco
14.5.2 l' ampiezza, i moti, i lumi e l' armonia,
14.5.3 ecco cinto di rai, cinto di foco,
14.5.4 un cavaliero incontra a lui venia,
14.5.5 e 'n suono, a lato a cui sarebbe roco
14.5.6 qual più dolce è qua giù, parlar l' udia:
14.5.7 -- Goffredo, non m' accogli? e non ragione
14.5.8 al fido amico? or non conosci Ugone?--
14.6.1 Ed ei gli rispondea:-- Quel novo aspetto
14.6.2 che par d' un sol mirabilmente adorno,
14.6.3 da l' antica notizia il mio intelletto
14.6.4 sviat' ha sì che tardi a lui ritorno.--
14.6.5 Gli stendea poi con dolce amico affetto
14.6.6 tre fiate le braccia al collo intorno,
14.6.7 e tre fiate invan cinta l' imago
14.6.8 fuggia, qual leve sogno od aer vago.
14.7.1 Sorridea quegli, e:-- Non già, come credi,--
14.7.2 dicea -- son cinto di terrena veste:
14.7.3 semplice forma e nudo spirto vedi
14.7.4 qui cittadin de la città celeste.
14.7.5 Questo è tempio di Dio: qui son le sedi
14.7.6 de' suoi guerrieri, e tu avrai loco in queste.
14.7.7 -- Quando ciò fia?-- rispose -- il mortal laccio
14.7.8 sciolgasi omai, s' al restar qui m' è impaccio.
14.8.1 -- Ben -- replicogli Ugon -- tosto raccolto
14.8.2 ne la gloria sarai de' trionfanti;
14.8.3 pur militando converrà che molto
14.8.4 sangue e sudor là giù tu versi inanti.
14.8.5 Da te prima a i pagani esser ritolto
14.8.6 deve l' imperio de' paesi santi,
14.8.7 e stabilirsi in lor cristiana reggia
14.8.8 in cui regnare il tuo fratel poi deggia.
14.9.1 Ma perché più lo tuo desir s' avvive
14.9.2 ne l' amor di qua su, più fiso or mira
14.9.3 questi lucidi alberghi e queste vive
14.9.4 fiamme che mente eterna informa e gira,
14.9.5 e 'n angeliche tempre odi le dive
14.9.6 sirene e 'l suon di lor celeste lira.
14.9.7 China -- poi disse ( e gli additò la terra)
14.9.8 -- gli occhi a ciò che quel globo ultimo serra.
14.10.1 Quanto è vil la cagion ch' a la virtude
14.10.2 umana è colà giù premio e contrasto!
14.10.3 in che picciolo cerchio e fra che nude
14.10.4 solitudini è stretto il vostro fasto!
14.10.5 Lei come isola il mare intorno chiude,
14.10.6 e lui, ch' or ocean chiamat' è or vasto,
14.10.7 nulla eguale a tai nomi ha in sé di magno,
14.10.8 ma è bassa palude e breve stagno.--
14.11.1 Così l' un disse; e l' altro in giuso i lumi
14.11.2 volse, quasi sdegnando, e ne sorrise,
14.11.3 ché vide un punto sol, mar, terre e fiumi,
14.11.4 che qui paion distinti in tante guise,
14.11.5 ed ammirò che pur a l' ombre, a i fumi,
14.11.6 la nostra folle umanità s' affise,
14.11.7 servo imperio cercando e muta fama,
14.11.8 né miri il ciel ch' a sé n' invita e chiama.
14.12.1 Onde rispose:-- Poi ch' a Dio non piace
14.12.2 dal mio carcer terreno anco disciorme,
14.12.3 prego che del camin, ch' è men fallace
14.12.4 fra gli errori del mondo, or tu m' informe.
14.12.5 -- È -- replicogli Ugon -- la via verace
14.12.6 questa che tieni; indi non torcer l' orme:
14.12.7 sol che richiami dal lontano essiglio
14.12.8 il figliuol di Bertoldo io ti consiglio.
14.13.1 Perché se l' alta Providenza elesse
14.13.2 te de l' impresa sommo capitano,
14.13.3 destinò insieme ch' egli esser dovesse
14.13.4 de' tuoi consigli essecutor soprano.
14.13.5 A te le prime parti, a lui concesse
14.13.6 son le seconde: tu sei capo, ei mano
14.13.7 di questo campo; e sostener sua vece
14.13.8 altrui non pote, e farlo a te non lece.
14.14.1 A lui sol di troncar non fia disdetto
14.14.2 il bosco c' ha gli incanti in sua difesa;
14.14.3 e da lui il campo tuo che, per difetto
14.14.4 di gente, inabil sembra a tanta impresa,
14.14.5 e par che sia di ritirarsi astretto,
14.14.6 prenderà maggior forza a nova impresa;
14.14.7 e i rinforzati muri e d' Oriente
14.14.8 supererà l' essercito possente.--
14.15.1 Tacque, e 'l Buglion rispose:-- Oh quanto grato
14.15.2 fòra a me che tornasse il cavaliero!
14.15.3 Voi che vedete ogni pensier celato,
14.15.4 sapete s' amo lui, se dico il vero.
14.15.5 Ma di', con quai proposte od in qual lato
14.15.6 si deve a lui mandarne il messaggiero?
14.15.7 Vuoi ch' io preghi o comandi? e come questo
14.15.8 atto sarà legitimo ed onesto?--
14.16.1 Allor ripigliò l' altro:-- Il Rege eterno,
14.16.2 che te di tante somme grazie onora,
14.16.3 vuol che da quegli onde ti diè il governo
14.16.4 tu sia onorato e riverito ancora.
14.16.5 Però non chieder tu (né senza scherno
14.16.6 forse del sommo imperio il chieder fòra),
14.16.7 ma richiesto concedi; ed al perdono
14.16.8 scendi degli altrui preghi al primo suono.
14.17.1 Guelfo ti pregherà (Dio sì l' inspira)
14.17.2 ch' assolva il fer garzon di quell' errore
14.17.3 in cui trascorse per soverchio d' ira,
14.17.4 sì che al campo egli torni ed al suo onore.
14.17.5 E bench' or lunge il giovene delira
14.17.6 e vaneggia ne l' ozio e ne l' amore,
14.17.7 non dubitar però che 'n pochi giorni
14.17.8 opportuno a grand' uopo ei non ritorni;
14.18.1 ché 'l vostro Piero, a cui lo Ciel comparte
14.18.2 l' alta notizia de' secreti sui,
14.18.3 saprà drizzare i messaggieri in parte
14.18.4 ove certe novelle avran di lui,
14.18.5 e sarà lor dimostro il modo e l' arte
14.18.6 di liberarlo e di condurlo a vui.
14.18.7 Così al fin tutti i tuoi compagni erranti
14.18.8 ridurrà il Ciel sotto i tuoi segni santi.
14.19.1 Or chiuderò il mio dir con una breve
14.19.2 conclusion che so ch' a te fia cara:
14.19.3 sarà il tuo sangue al suo commisto, e deve
14.19.4 progenie uscirne gloriosa e chiara.--
14.19.5 Qui tacque, e sparve come fumo leve
14.19.6 al vento o nebbia al sole arida e rara;
14.19.7 e sgombrò il sonno, e gli lasciò nel petto
14.19.8 di gioia e di stupor confuso affetto.
14.20.1 Apre allora le luci il pio Buglione
14.20.2 e nato vede e già cresciuto il giorno,
14.20.3 onde lascia i riposi, e sovrapone
14.20.4 l' arme a le membra faticose intorno.
14.20.5 E poco stante a lui nel padiglione
14.20.6 venieno i duci al solito soggiorno,
14.20.7 ove a consiglio siedono, e per uso
14.20.8 ciò ch' altrove si fa quivi è concluso.
14.21.1 Quivi il buon Guelfo, che 'l novel pensiero
14.21.2 infuso avea ne l' inspirata mente,
14.21.3 incominciando a ragionar primiero
14.21.4 disse a Goffredo:-- O principe clemente,
14.21.5 perdono a chieder ne vegn' io, ch' in vero
14.21.6 è perdon di peccato anco recente,
14.21.7 onde potrà parer per aventura
14.21.8 frettolosa dimanda ed immatura;
14.22.1 ma pensando che chiesto al pio Goffredo
14.22.2 per lo forte Rinaldo è tal perdono,
14.22.3 e riguardando a me che in grazia il chiedo
14.22.4 che vile a fatto intercessor non sono,
14.22.5 agevolmente d' impetrar mi credo
14.22.6 questo ch' a tutti fia giovevol dono.
14.22.7 Deh! consenti ch' ei rieda e che, in ammenda
14.22.8 del fallo, in pro comune il sangue spenda.
14.23.1 E chi sarà, s' egli non è, quel forte
14.23.2 ch' osi troncar le spaventose piante?
14.23.3 chi girà incontra a i rischi de la morte
14.23.4 con più intrepido petto e più costante?
14.23.5 Scoter le mura ed atterrar le porte
14.23.6 vedrailo, e salir solo a tutti inante.
14.23.7 Rendi al tuo campo omai, rendi per Dio
14.23.8 lui ch' è sua alta speme e suo desio.
14.24.1 Rendi il nipote a me, sì valoroso
14.24.2 e pronto essecutor rendi a te stesso;
14.24.3 né soffrir ch' egli torpa in vil riposo,
14.24.4 ma rendi insieme la sua gloria ad esso.
14.24.5 Segua il vessillo tuo vittorioso,
14.24.6 sia testimonio a sua virtù concesso,
14.24.7 faccia opre di sé degne in chiara luce
14.24.8 e rimirando te maestro e duce.--
14.25.1 Così pregava, e ciascun altro i preghi
14.25.2 con favorevol fremito seguia.
14.25.3 Onde Goffredo allor, quasi egli pieghi
14.25.4 la mente a cosa non pensata in pria,
14.25.5 -- Come esser può -- dicea -- che grazia i' neghi
14.25.6 che da voi si dimanda e si desia?
14.25.7 Ceda il rigore, e sia ragione e legge
14.25.8 ciò che 'l consenso universale elegge.
14.26.1 Torni Rinaldo, e da qui inanzi affrene
14.26.2 più moderato l' impeto de l' ire,
14.26.3 e risponda con l' opre a l' alta spene
14.26.4 di lui concetta ed al comun desire.
14.26.5 Ma il richiamarlo, o Guelfo, a te conviene:
14.26.6 frettoloso egli fia, credo, al venire;
14.26.7 tu scegli il messo, e tu l' indrizza dove
14.26.8 pensi che 'l fero giovene si trove.--
14.27.1 Tacque, e disse sorgendo il guerrier dano:
14.27.2 -- Esser io chieggio il messaggier che vada,
14.27.3 né ricuso camin dubbio o lontano
14.27.4 per far il don de l' onorata spada.--
14.27.5 Questi è di cor fortissimo e di mano,
14.27.6 onde al buon Guelfo assai l' offerta aggrada:
14.27.7 vuol che sia l' un de' messi e che sia l' altro
14.27.8 Ubaldo, uom canto ed aveduto e scaltro.
14.28.1 Veduti Ubaldo in giovenezza e cerchi
14.28.2 vari costumi avea, vari paesi,
14.28.3 peregrinando da i più freddi cerchi
14.28.4 del nostro mondo a gli Etiopi accesi,
14.28.5 e come uom che virtute e senno merchi,
14.28.6 le favelle, l' usanze e i riti appresi;
14.28.7 poscia in matura età da Guelfo accolto
14.28.8 fu tra' compagni, e caro a lui fu molto.
14.29.1 A tai messaggi l' onorata cura
14.29.2 di richiamar l' alto campion si diede;
14.29.3 e gli indrizzava Guelfo a quelle mura
14.29.4 tra cui Boemondo ha la sua regia sede,
14.29.5 ché per publica fama, e per secura
14.29.6 opinion, ch' egli vi sia si crede.
14.29.7 Ma 'l buon romito, che lor mal diretti
14.29.8 conosce, entra fra loro e turba i detti,
14.30.1 e dice:-- O cavalier, seguendo il grido
14.30.2 de la fallace opinion vulgare,
14.30.3 duce seguite temerario e infido
14.30.4 che vi fa gire indarno e traviare.
14.30.5 Or d' Ascalona nel propinquo lido
14.30.6 itene, dove un fiume entra nel mare.
14.30.7 Quivi fia che v' appaia uom nostro amico:
14.30.8 credete a lui; ciò che diravvi, io 'l dico.
14.31.1 Ei molto per sé vede, e molto intese
14.31.2 del preveduto vostro alto viaggio
14.31.3 (già gran tempo ha) da me: so che cortese
14.31.4 altrettanto vi fia quanto egli è saggio.--
14.31.5 Così lor disse: e più da lui non chiese
14.31.6 Carlo o l' altro che seco iva messaggio,
14.31.7 ma furo ubidienti a le parole
14.31.8 che spirito divin dettar gli suole.
14.32.1 Preser commiato, e sì il desio gli sprona
14.32.2 che, senza indugio alcun posti in camino,
14.32.3 dirizzaro il lor corso ad Ascalona,
14.32.4 dove a i lidi si frange il mar vicino.
14.32.5 E non udian ancor come risuona
14.32.6 il roco ed alto fremito marino,
14.32.7 quando giunsero a un fiume il qual di nova
14.32.8 acqua accresciuto è per novella piova,
14.33.1 sì che non può capir dentro al suo letto,
14.33.2 e se 'n va più che stral corrente e presto.
14.33.3 Mentre essi stan sospesi, a lor d' aspetto
14.33.4 venerabile appare un vecchio onesto,
14.33.5 coronato di faggio, in lungo e schietto
14.33.6 vestir che di lin candido è contesto.
14.33.7 Scote questi una verga, e 'l fiume calca
14.33.8 co' piedi asciutti e contra il corso il valca.
14.34.1 Sì come soglion là vicino al polo,
14.34.2 s' avien che 'l verno i fiumi agghiacci e indure,
14.34.3 correr su 'l Ren le villanelle a stuolo
14.34.4 con lunghi strisci e sdrucciolar secure,
14.34.5 così ei ne vien sovra l' instabil suolo
14.34.6 di queste acque non gelide e non dure;
14.34.7 e tosto colà giunse onde in lui fisse
14.34.8 tenean le luci i due guerrieri, e disse:
14.35.1 -- Amici, dura e faticosa inchiesta
14.35.2 seguite; e d' uopo è ben ch' altri vi guidi,
14.35.3 ché 'l cercato guerrier lunge è da questa
14.35.4 terra in paesi incogniti ed infidi.
14.35.5 Quanto, oh quanto de l' opra anco vi resta!
14.35.6 quanti mar correrete e quanti lidi!
14.35.7 E convien che si stenda il cercar vostro
14.35.8 oltre i confini ancor del mondo nostro.
14.36.1 Ma non vi spiaccia entrar ne le nascose
14.36.2 spelonche ov' ho la mia secreta sede,
14.36.3 ch' ivi udrete da me non lievi cose
14.36.4 e ciò ch' a voi saper più si richiede.--
14.36.5 Disse, e ch' a lor dia loco a l' acqua impose;
14.36.6 ed ella tosto si ritira e cede,
14.36.7 e quinci e quindi di montagna in guisa
14.36.8 curvata pende e 'n mezzo appar divisa.
14.37.1 Ei, presili per man, ne le più interne
14.37.2 profondità sotto del rio lor mena.
14.37.3 Debile e incerta luce ivi si scerne,
14.37.4 qual tra boschi di Cinzia ancor non piena;
14.37.5 ma pur gravide d' acque ampie caverne
14.37.6 veggiono, onde tra noi sorge ogni vena
14.37.7 la qual rampilli in fonte, o in fiume vago
14.37.8 discorra, o stagni o si dilati in lago.
14.38.1 E veder ponno onde il Po nasca ed onde
14.38.2 Idaspe, Gange, Eufrate, Istro derivi,
14.38.3 ond' esca pria la Tana; e non asconde
14.38.4 gli occulti suoi princìpi il Nilo quivi.
14.38.5 Trovano un rio più sotto, il qual diffonde
14.38.6 vivaci zolfi e vaghi argenti e vivi;
14.38.7 questi il sol poi raffina, e 'l licor molle
14.38.8 stringe in candide masse e in auree zolle.
14.39.1 E miran d' ogni intorno il ricco fiume
14.39.2 di care pietre il margine dipinto;
14.39.3 onde, come a più fiaccole s' allume,
14.39.4 splende quel loco, e 'l fosco orror n' è vinto.
14.39.5 Quivi scintilla con ceruleo lume
14.39.6 il celeste zafiro ed il giacinto;
14.39.7 vi fiammeggia il carbonchio, e luce il saldo
14.39.8 diamante, e lieto ride il bel smeraldo.
14.40.1 Stupidi i guerrier vanno, e ne le nove
14.40.2 cose sì tutto il lor pensier s' impiega
14.40.3 che non fanno alcun motto. Al fin pur move
14.40.4 la voce Ubaldo e la sua scorta prega:
14.40.5 -- Deh, padre, dinne ove noi siamo ed ove
14.40.6 ci guidi, e tua condizion ne spiega,
14.40.7 ch' io non so se 'l ver miri o sogno od ombra,
14.40.8 così alto stupore il cor m' ingombra.--
14.41.1 Risponde: -- Sète voi nel grembo immenso
14.41.2 de la terra, che tutto in sé produce;
14.41.3 né già potreste penetrar nel denso
14.41.4 de le viscere sue senza me duce.
14.41.5 Vi scòrgo al mio palagio, il qual accenso
14.41.6 tosto vedrete di mirabil luce.
14.41.7 Nacqui io pagan, ma poi ne le sant' acque
14.41.8 rigenerarmi a Dio per grazia piacque.
14.42.1 Né in virtù fatte son d' angioli stigi
14.42.2 l' opere mie meravigliose e conte
14.42.3 (tolga Dio ch' usi note o suffumigi
14.42.4 per isforzar Cocito e Flegetonte),
14.42.5 ma spiando me 'n vo da' lor vestigi
14.42.6 qual in sé virtù celi o l' erba o 'l fonte,
14.42.7 e gli altri arcani di natura ignoti
14.42.8 contemplo, e de le stelle i vari moti.
14.43.1 Però che non ognor lunge dal cielo
14.43.2 tra sotterranei chiostri è la mia stanza,
14.43.3 ma su 'l Libano spesso e su 'l Carmelo
14.43.4 in aerea magion fo dimoranza;
14.43.5 ivi spiegansi a me senza alcun velo
14.43.6 Venere e Marte in ogni lor sembianza,
14.43.7 e veggio come ogn' altra o presto o tardi
14.43.8 roti, o benigna o minaccievol guardi.
14.44.1 E sotto i piè mi veggio or folte or rade
14.44.2 le nubi, or negre ed or pinte da Iri;
14.44.3 e generar le pioggie e le rugiade
14.44.4 risguardo, e come il vento obliquo spiri,
14.44.5 come il folgor s' infiammi e per quai strade
14.44.6 tortuose in giù rispinto ei si raggiri;
14.44.7 scorgo comete e fochi altri sì presso
14.44.8 che soleva invaghir già di me stesso.
14.45.1 Di me medesmo fui pago cotanto
14.45.2 ch' io stimai già che 'l mio saper misura
14.45.3 certa fosse e infallibile di quanto
14.45.4 può far l' alto Fattor de la natura;
14.45.5 ma quando il vostro Piero al fiume santo
14.45.6 m' asperse il crine e lavò l' alma impura,
14.45.7 drizzò più su il mio guardo, e 'l fece accorto
14.45.8 ch' ei per se stesso è tenebroso e corto.
14.46.1 Conobbi allor ch' augel notturno al sole
14.46.2 è nostra mente a i rai del primo Vero,
14.46.3 e di me stesso risi e de le fole
14.46.4 che già cotanto insuperbir mi fèro;
14.46.5 ma pur seguito ancor, come egli vòle,
14.46.6 le solite arti e l' uso mio primiero.
14.46.7 Ben son in parte altr' uom da quel ch' io fui,
14.46.8 ch' or da lui pendo e mi rivolgo a lui,
14.47.1 e in lui m' acqueto. Egli comanda e insegna,
14.47.2 mastro insieme e signor sommo e sovrano,
14.47.3 né già per nostro mezzo oprar disdegna
14.47.4 cose degne talor de la sua mano.
14.47.5 Or sarà cura mia ch' al campo vegna
14.47.6 l' invitto eroe dal suo carcer lontano,
14.47.7 ch' ei la m' impose; e già gran tempo aspetto
14.47.8 il venir vostro, a me per lui predetto.--
14.48.1 Così con lor parlando, al loco viene
14.48.2 ov' egli ha il suo soggiorno e 'l suo riposo.
14.48.3 Questo è in forma di speco e in sé contiene
14.48.4 camare e sale, grande e spazioso.
14.48.5 E ciò che nudre entro le ricche vene
14.48.6 di più chiaro la terra e prezioso,
14.48.7 splende ivi tutto; ed ei n' è in guisa ornato
14.48.8 ch' ogni suo fregio è non fatto, ma nato.
14.49.1 Non mancàr qui cento ministri e cento
14.49.2 che accorti e pronti a servir gli osti foro,
14.49.3 né poi in mensa magnifica d' argento
14.49.4 mancàr gran vasi e di cristallo e d' oro;
14.49.5 ma quando sazio il natural talento
14.49.6 fu de' cibi e la sete estinta in loro:
14.49.7 -- Tempo è ben -- disse a i cavalieri il mago
14.49.8 -- che 'l maggior desir vostro omai sia pago.--
14.50.1 Quivi ricominciò:-- L' opre e le frodi
14.50.2 note in parte a voi son de l' empia Armida:
14.50.3 come ella al campo venne, e con quai modi
14.50.4 molti guerrier ne trasse e lor fu guida.
14.50.5 Sapete ancor che di tenaci nodi
14.50.6 gli avinse poscia, albergatrice infida,
14.50.7 e ch' indi a Gaza gli inviò con molti
14.50.8 custodi, e che tra via furon disciolti.
14.51.1 Or vi narrerò quel ch' appresso occorse,
14.51.2 vera istoria da voi non anco intesa.
14.51.3 Poi che la maga rea vide ritòrse
14.51.4 la preda sua, già con tant' arte presa,
14.51.5 ambe le mani per dolor si morse
14.51.6 e fra sé disse di disdegno accesa:
14.51.7 --Ah! vero unqua non fia che d' aver tanti
14.51.8 miei prigion liberati egli si vanti.
14.52.1 Se gli altri sciolse, ei serva ed ei sostegna
14.52.2 le pene altrui serbate e 'l lungo affanno;
14.52.3 né questo anco mi basta: i' vo' che vegna
14.52.4 su gli altri tutti universale il danno.--
14.52.5 Così tra sé dicendo, ordir disegna
14.52.6 questo ch' or udirete iniquo inganno.
14.52.7 Viensene al loco ove Rinaldo vinse
14.52.8 in pugna i suoi guerrieri, e parte estinse.
14.53.1 Quivi egli avendo l' arme sue deposto,
14.53.2 indosso quelle d' un pagan si pose;
14.53.3 forse perché bramava irsene ascosto
14.53.4 sotto insegne men note e men famose.
14.53.5 Prese l' armi la maga, e in esse tosto
14.53.6 un tronco busto avolse e poi l' espose;
14.53.7 l' espose in ripa a un fiume ove doveva
14.53.8 stuol de' Franchi arrivar, e 'l prevedeva.
14.54.1 E questo antiveder potea ben ella
14.54.2 che mandar mille spie solea d' intorno,
14.54.3 onde spesso del campo avea novella
14.54.4 e s' altri indi partiva o fea ritorno;
14.54.5 oltre che con gli spirti anco favella
14.54.6 sovente, e fa con lor lungo soggiorno.
14.54.7 Collocò dunque il corpo morto in parte
14.54.8 molto opportuna a sua ingannevol arte.
14.55.1 Non lunge un sagacissimo valletto
14.55.2 pose, di panni pastorai vestito,
14.55.3 e impose lui ciò ch' esser fatto o detto
14.55.4 fintamente doveva; e fu essequito.
14.55.5 Questi parlò co' vostri, e di sospetto
14.55.6 sparse quel seme in lor ch' indi nutrito
14.55.7 fruttò risse e discordie, e quasi al fine
14.55.8 sediziose guerre e cittadine.
14.56.1 Ché fu, com' ella disegnò, creduto
14.56.2 per opra del Buglion Rinaldo ucciso,
14.56.3 benché alfine il sospetto a torto avuto
14.56.4 del ver si dileguasse al primo aviso.
14.56.5 Cotal d' Armida l' artificio astuto
14.56.6 primieramente fu qual io diviso.
14.56.7 Or udirete ancor come seguisse
14.56.8 poscia Rinaldo, e quel ch' indi avenisse.
14.57.1 Qual cauta cacciatrice, Armida aspetta
14.57.2 Rinaldo al varco. Ei su l' Oronte giunge,
14.57.3 ove un rio si dirama e, un' isoletta
14.57.4 formando, tosto a lui si ricongiunge;
14.57.5 e 'n su la riva una colonna eretta
14.57.6 vede, e un picciol battello indi non lunge.
14.57.7 Fisa egli tosto gli occhi al bel lavoro
14.57.8 del bianco marmo e legge in lettre d' oro:
14.58.1 --O chiunque tu sia, che voglia o caso
14.58.2 peregrinando adduce a queste sponde,
14.58.3 meraviglie maggior l' orto o l' occaso
14.58.4 non ha di ciò che l' isoletta asconde.
14.58.5 Passa, se vuoi vederla.-- È persuaso
14.58.6 tosto l' incauto a girne oltra quell' onde;
14.58.7 e perché mal capace era la barca,
14.58.8 gli scudieri abbandona ed ei sol varca.
14.59.1 Come è là giunto, cupido e vagante
14.59.2 volge intorno lo sguardo, e nulla vede
14.59.3 fuor ch' antri ed acque e fiori ed erbe e piante,
14.59.4 onde quasi schernito esser si crede;
14.59.5 ma pur quel loco è così lieto e in tante
14.59.6 guise l' alletta ch' ei si ferma e siede,
14.59.7 e disarma la fronte e la ristaura
14.59.8 al soave spirar di placid' aura.
14.60.1 Il fiume gorgogliar fra tanto udio
14.60.2 con novo suono, e là con gli occhi corse,
14.60.3 e mover vide un' onda in mezzo al rio
14.60.4 che in se stessa si volse e si ritorse;
14.60.5 e quinci alquanto d' un crin biondo uscio,
14.60.6 e quinci di donzella un volto sorse,
14.60.7 e quinci il petto e le mammelle, e de la
14.60.8 sua forma infin dove vergogna cela.
14.61.1 Così dal palco di notturna scena
14.61.2 o ninfa o dea, tarda sorgendo, appare.
14.61.3 Questa, benché non sia vera sirena
14.61.4 ma sia magica larva, una ben pare
14.61.5 di quelle che già presso a la tirrena
14.61.6 piaggia abitàr l' insidioso mare;
14.61.7 né men ch' in viso bella, in suono è dolce,
14.61.8 e così canta, e 'l cielo e l' aure molce:
14.62.1 --O giovenetti, mentre aprile e maggio
14.62.2 v' ammantan di fiorite e verdi spoglie,
14.62.3 di gloria e di virtù fallace raggio
14.62.4 la tenerella mente ah non v' invoglie!
14.62.5 Solo chi segue ciò che piace è saggio,
14.62.6 e in sua stagion de gli anni il frutto coglie.
14.62.7 Questo grida natura. Or dunque voi
14.62.8 indurarete l' alma a i detti suoi?
14.63.1 Folli, perché gettate il caro dono,
14.63.2 che breve è sì, di vostra età novella?
14.63.3 Nome, e senza soggetto idoli sono
14.63.4 ciò che pregio e valore il mondo appella.
14.63.5 La fama che invaghisce a un dolce suono
14.63.6 voi superbi mortali, e par sì bella,
14.63.7 è un' ecco, un sogno, anzi del sogno un' ombra,
14.63.8 ch' ad ogni vento si dilegua e sgombra.
14.64.1 Goda il corpo sicuro, e in lieti oggetti
14.64.2 l' alma tranquilla appaghi i sensi frali;
14.64.3 oblii le noie andate, e non affretti
14.64.4 le sue miserie in aspettando i mali.
14.64.5 Nulla curi se 'l ciel tuoni o saetti,
14.64.6 minacci egli a sua voglia e infiammi strali.
14.64.7 Questo è saver, questa è felice vita:
14.64.8 sì l' insegna natura e sì l' addita.--
14.65.1 Sì canta l' empia, e 'l giovenetto al sonno
14.65.2 con note invoglia sì soavi e scorte.
14.65.3 Quel serpe a poco a poco, e si fa donno
14.65.4 sovra i sensi di lui possente e forte;
14.65.5 né i tuoni omai destar, non ch' altri, il ponno
14.65.6 da quella queta imagine di morte.
14.65.7 Esce d' aguato allor la falsa maga
14.65.8 e gli va sopra, di vendetta vaga.
14.66.1 Ma quando in lui fissò lo sguardo e vide
14.66.2 come placido in vista egli respira,
14.66.3 e ne' begli occhi un dolce atto che ride,
14.66.4 benché sian chiusi (or che fia s' ei li gira?),
14.66.5 pria s' arresta sospesa, e gli s' asside
14.66.6 poscia vicina, e placar sente ogn' ira
14.66.7 mentre il risguarda; e 'n su la vaga fronte
14.66.8 pende omai sì che par Narciso al fonte.
14.67.1 E quei ch' ivi sorgean vivi sudori
14.67.2 accoglie lievemente in un suo velo,
14.67.3 e con un dolce ventillar gli ardori
14.67.4 gli va temprando de l' estivo cielo.
14.67.5 Così (chi 'l crederia?) sopiti ardori
14.67.6 d' occhi nascosi distempràr quel gelo
14.67.7 che s' indurava al cor più che diamante,
14.67.8 e di nemica ella divenne amante.
14.68.1 Di ligustri, di gigli e de le rose
14.68.2 le quai fiorian per quelle piaggie amene,
14.68.3 con nov' arte congiunte, indi compose
14.68.4 lente ma tenacissime catene.
14.68.5 Queste al collo, a le braccia, a i piè gli pose:
14.68.6 così l' avinse e così preso il tiene;
14.68.7 quinci, mentre egli dorme, il fa riporre
14.68.8 sovra un suo carro, e ratta il ciel trascorre.
14.69.1 Né già ritorna di Damasco al regno,
14.69.2 né dove ha il suo castello in mezzo a l' onde;
14.69.3 ma ingelosita di sì caro pegno,
14.69.4 e vergognosa del suo amor, s' asconde
14.69.5 ne l' oceano immenso, ove alcun legno
14.69.6 rado, o non mai, va de le nostre sponde,
14.69.7 fuor tutti i nostri lidi; e quivi eletta
14.69.8 per solinga sua stanza è un' isoletta.
14.70.1 Un' isoletta la qual nome prende
14.70.2 con le vicine sue da la Fortuna.
14.70.3 Quinci ella in cima a una montagna ascende
14.70.4 disabitata e d' ombre oscura e bruna,
14.70.5 e per incanto a lei nevose rende
14.70.6 le spalle e i fianchi, e senza neve alcuna
14.70.7 gli lascia il capo verdeggiante e vago,
14.70.8 e vi fonda un palagio appresso un lago,
14.71.1 ove in perpetuo april molle amorosa
14.71.2 vita seco ne mena il suo diletto.
14.71.3 Or da così lontana e così ascosa
14.71.4 prigion trar voi dovete il giovenetto,
14.71.5 e vincer de la timida e gelosa
14.71.6 le guardie, ond' è difeso il monte e 'l tetto;
14.71.7 e già non mancherà chi là vi scòrga,
14.71.8 e chi per l' alta impresa arme vi porga.
14.72.1 Trovarete, del fiume a pena sorti,
14.72.2 donna giovin di viso, antica d' anni,
14.72.3 ch' a i lunghi crini in su la fronte attorti
14.72.4 fia nota ed al color vario de' panni.
14.72.5 Questa per l' alto mar fia che vi porti
14.72.6 più ratta che non spiega aquila i vanni,
14.72.7 più che non vola il folgore; né guida
14.72.8 la trovarete al ritornar men fida.
14.73.1 A piè del monte ove la maga alberga,
14.73.2 sibilando strisciar novi pitoni
14.73.3 e cinghiali arrizzar l' aspre lor terga
14.73.4 ed aprir la gran bocca orsi e leoni
14.73.5 vedrete; ma scotendo una mia verga,
14.73.6 temeranno appressarsi ove ella suoni.
14.73.7 Poi via maggior (se dritto il ver s' estima)
14.73.8 si troverà il periglio in su la cima.
14.74.1 Un fonte sorge in lei che vaghe e monde
14.74.2 ha l' acque sì che i riguardanti asseta;
14.74.3 ma dentro a i freddi suoi cristalli asconde
14.74.4 di tòsco estran malvagità secreta,
14.74.5 ch' un picciol sorso di sue lucide onde
14.74.6 inebria l' alma tosto e la fa lieta,
14.74.7 indi a rider uom move, e tanto il riso
14.74.8 s' avanza alfin ch' ei ne rimane ucciso.
14.75.1 Lunge la bocca disdegnosa e schiva
14.75.2 torcete voi da l' acque empie omicide,
14.75.3 né le vivande poste in verde riva
14.75.4 v' allettin poi, né le donzelle infide
14.75.5 che voce avran piacevole e lasciva
14.75.6 e dolce aspetto che lusinga e ride;
14.75.7 ma voi, gli sguardi e le parole accorte
14.75.8 sprezzando, entrate pur ne l' alte porte.
14.76.1 Dentro è di muri inestricabil cinto
14.76.2 che mille torce in sé confusi giri,
14.76.3 ma in breve foglio io ve 'l darò distinto,
14.76.4 sì che nessun error fia che v' aggiri.
14.76.5 Siede in mezzo un giardin del labirinto
14.76.6 che par che da ogni fronde amore spiri;
14.76.7 quivi in grembo a la verde erba novella
14.76.8 giacerà il cavaliero e la donzella.
14.77.1 Ma come essa lasciando il caro amante
14.77.2 in altra parte il piede avrà rivolto,
14.77.3 vuo' ch' a lui vi scopriate, e d' adamante
14.77.4 un scudo ch' io darò gli alziate al volto,
14.77.5 sì ch' egli vi si specchi, e 'l suo sembiante
14.77.6 veggia e l' abito molle onde fu involto,
14.77.7 ch' a tal vista potrà vergogna e sdegno
14.77.8 scacciar dal petto suo l' amor indegno.
14.78.1 Altro che dirvi omai nulla m' avanza
14.78.2 se non ch' assai securi ir ne potrete
14.78.3 e penetrar de l' intricata stanza
14.78.4 ne le più interne parti e più secrete,
14.78.5 perché non fia che magica possanza
14.78.6 a voi ritardi il corso o 'l passo viete;
14.78.7 né potrà pur, cotal virtù vi guida,
14.78.8 il giunger vostro antiveder Armida.
14.79.1 Né men secura da gli alberghi suoi
14.79.2 l' uscita vi sarà poscia e 'l ritorno.
14.79.3 Ma giunge omai l' ora del sonno, e voi
14.79.4 sorger diman dovete a par co 'l giorno. --
14.79.5 Così lor disse, e li menò dopoi
14.79.6 ove essi avean la notte a far soggiorno.
14.79.7 Ivi lasciando lor lieti e pensosi,
14.79.8 si ritrasse il buon vecchio a i suoi riposi.
CANTO XV
15.1.1 Già richiamava il bel nascente raggio
15.1.2 a l' opre ogni animal ch' in terra alberga,
15.1.3 quando venendo a i due guerrieri il saggio
15.1.4 portò il foglio e lo scudo e l' aurea verga.
15.1.5 -- Accingetevi -- disse -- al gran viaggio
15.1.6 prima che 'l dì, che spunta, omai più s' erga.
15.1.7 Eccovi qui quanto ho promesso e quanto
15.1.8 può de la maga superar l' incanto.--
15.2.1 Erano essi già sorti e l' arme intorno
15.2.2 a le robuste membra avean già messe,
15.2.3 onde per vie che non rischiara il giorno
15.2.4 tosto seguono il vecchio, e son l' istesse
15.2.5 vestigia ricalcate or nel ritorno
15.2.6 che furon prima nel venire impresse;
15.2.7 ma giunti al letto del suo fiume: -- Amici,
15.2.8 io v' accommiato: -- ei disse -- ite felici. --
15.3.1 Gli accoglie il rio ne l' alto seno, e l' onda
15.3.2 soavemente in su gli spinge e porta,
15.3.3 come suol inalzar leggiera fronda
15.3.4 la qual da violenza in giù fu torta,
15.3.5 e poi gli espon sovra la molle sponda.
15.3.6 Quinci miràr la già promessa scorta,
15.3.7 vider picciola nave e in poppa quella
15.3.8 che guidar li dovea fatal donzella.
15.4.1 Crinita fronte essa dimostra, e ciglia
15.4.2 cortesi e favorevoli e tranquille;
15.4.3 e nel sembiante a gli angioli somiglia,
15.4.4 tanta luce ivi par ch' arda e sfaville.
15.4.5 La sua gonna or azzurra ed or vermiglia
15.4.6 diresti, e si colora in guise mille,
15.4.7 sì ch' uom sempre diversa a sé la vede
15.4.8 quantunque volte a riguardarla riede.
15.5.1 Così piuma talor, che di gentile
15.5.2 amorosa colomba il collo cinge,
15.5.3 mai non si scorge a se stessa simile,
15.5.4 ma in diversi colori al sol si tinge.
15.5.5 Or d' accesi rubin sembra un monile,
15.5.6 or di verdi smeraldi il lume finge,
15.5.7 or insieme gli mesce, e varia e vaga
15.5.8 in cento modi i riguardanti appaga.
15.6.1 -- Entrate, -- dice -- o fortunati, in questa
15.6.2 nave ond' io l' ocean secura varco,
15.6.3 cui destro è ciascun vento, ogni tempesta
15.6.4 tranquilla, e lieve ogni gravoso incarco.
15.6.5 Per ministra e per duce or me vi appresta
15.6.6 il mio signor, del favor suo non parco.--
15.6.7 Così parlò la donna, e più vicino
15.6.8 fece poscia a la sponda il curvo pino.
15.7.1 Come la nobil coppia ha in sé raccolta,
15.7.2 spinge la ripa e gli rallenta il morso,
15.7.3 ed avendo la vela a l' aure sciolta,
15.7.4 ella siede al governo e regge il corso.
15.7.5 Gonfio è il torrente sì ch' a questa volta
15.7.6 i navigli portar ben può su 'l dorso,
15.7.7 ma questo è sì leggier che 'l sosterrebbe
15.7.8 qual altro rio per novo umor men crebbe.
15.8.1 Veloce sovra il natural costume
15.8.2 spingon la vela inverso il lido i venti:
15.8.3 biancheggian l' acque di canute spume,
15.8.4 e rotte dietro mormorar le senti.
15.8.5 Ecco giungono omai là dove il fiume
15.8.6 queta in letto maggior l' onde correnti,
15.8.7 e ne l' ampie voragini del mare
15.8.8 disperso o divien nulla o nulla appare.
15.9.1 A pena ha tocco la mirabil nave
15.9.2 de la marina allor turbata il lembo,
15.9.3 che spariscon le nubi e cessa il grave
15.9.4 Noto che minacciava oscuro nembo:
15.9.5 spiana i monti de l' onde aura soave
15.9.6 e solo increspa il bel ceruleo grembo,
15.9.7 e d' un dolce seren diffuso ride
15.9.8 il ciel, che sé più chiaro unqua non vide.
15.10.1 Trascorse oltre Ascalona ed a mancina
15.10.2 andò la navicella invèr ponente,
15.10.3 e tosto a Gaza si trovò vicina
15.10.4 che fu porto di Gaza anticamente,
15.10.5 ma poi, crescendo de l' altrui ruina,
15.10.6 città divenne assai grande e possente;
15.10.7 ed eranvi le piaggie allor ripiene
15.10.8 quasi d' uomini sì come d' arene.
15.11.1 Volgendo il guardo a terra i naviganti
15.11.2 scorgean di tende numero infinito:
15.11.3 miravan cavalier, miravan fanti
15.11.4 ire e tornar da la cittade al lito,
15.11.5 e da cameli onusti e da elefanti
15.11.6 l' arenoso sentier calpesto e trito;
15.11.7 poi del porto vedean ne' fondi cavi
15.11.8 sorte e legate a l' ancore le navi,
15.12.1 altre spiegar le vele, e ne vedieno
15.12.2 altre i remi trattar veloci e snelle,
15.12.3 e da essi e da' rostri il molle seno
15.12.4 spumar percosso in queste parti e in quelle.
15.12.5 Disse la donna allor:-- Benché ripieno
15.12.6 il lido e 'l mar sia de le genti felle,
15.12.7 non ha insieme però le schiere tutte
15.12.8 il potente tiranno anco ridutte.
15.13.1 Sol dal regno d' Egitto e dal contorno
15.13.2 raccolte ha queste; or le lontane attende,
15.13.3 ché verso l' oriente e 'l mezzogiorno
15.13.4 il vasto imperio suo molto si stende.
15.13.5 Sì che sper' io che prima assai ritorno
15.13.6 fatto avrem noi che mova egli le tende:
15.13.7 egli o quel ch' in sua vece esser soprano
15.13.8 de l' essercito suo de' capitano.--
15.14.1 Mentre ciò dice, come aquila sòle
15.14.2 tra gli altri augelli trapassar secura
15.14.3 e sorvolando ir tanto appresso il sole
15.14.4 che nulla vista più la raffigura,
15.14.5 così la nave sua sembra che vóle
15.14.6 tra legno e legno, e non ha tema o cura
15.14.7 che vi sia chi l' arresti o chi la segua;
15.14.8 e da lor s' allontana e si dilegua.
15.15.1 E 'n un momento incontra Raffia arriva,
15.15.2 città la qual in Siria appar primiera
15.15.3 a chi d' Egitto move; indi a la riva
15.15.4 sterilissima vien di Rinocera.
15.15.5 Non lunge un monte poi le si scopriva
15.15.6 che sporge sovra 'l mar la chioma altera
15.15.7 e i piè si lava ne l' instabil onde,
15.15.8 che l' ossa di Pompeo nel grembo asconde.
15.16.1 Poi Damiata scopre, e come porte
15.16.2 al mar tributo di celesti umori
15.16.3 per sette il Nilo sue famose porte
15.16.4 e per cento altre ancor foci minori;
15.16.5 e naviga oltre la città dal forte
15.16.6 greco fondata a i greci abitatori,
15.16.7 ed oltra Faro, isola già che lunge
15.16.8 giacque dal lido, al lido or si congiunge.
15.17.1 Rodi e Creta lontane inverso al polo
15.17.2 non scerne, e pur lungo Africa se 'n viene,
15.17.3 su 'l mar culta e ferace, a dentro solo
15.17.4 fertil di mostri e d' infeconde arene.
15.17.5 La Marmarica rade, e rade il suolo
15.17.6 dove cinque cittadi ebbe Cirene.
15.17.7 Qui Tolomitta e poi con l' onde chete
15.17.8 sorger si mira il fabuloso Lete.
15.18.1 La maggior Sirte a' naviganti infesta,
15.18.2 trattasi in alto, invèr le piaggie lassa,
15.18.3 e 'l capo di Giudeca indietro resta,
15.18.4 e la foce di Magra indi trapassa.
15.18.5 Tripoli appar su 'l lido, e 'ncontra a questa
15.18.6 giace Malta fra l' onde occulta e bassa;
15.18.7 e poi riman con l' altre Sirti a tergo
15.18.8 Alzerbe, già de' Lotofagi albergo.
15.19.1 Nel curvo lido poi Tunisi vede
15.19.2 che d' ambo i lati del suo golfo ha un monte:
15.19.3 Tunisi, ricca ed onorata sede
15.19.4 a par di quante n' ha Libia più conte.
15.19.5 A lui di costa la Sicilia siede,
15.19.6 ed il gran Lilibeo gli inalza a fronte.
15.19.7 Or quivi addita la donzella a i due
15.19.8 guerrieri il loco ove Cartagin fue.
15.20.1 Giace l' alta Cartago: a pena i segni
15.20.2 de l' alte sue ruine il lido serba.
15.20.3 Muoiono le città, muoiono i regni,
15.20.4 copre i fasti e le pompe arena ed erba,
15.20.5 e l' uom d' esser mortal par che si sdegni:
15.20.6 oh nostra mente cupida e superba!
15.20.7 Giungon quinci a Biserta, e più lontano
15.20.8 han l' isola de' Sardi a l' altra mano.
15.21.1 Trascorser poi le piaggie ove i Numidi
15.21.2 menàr già vita pastorale erranti.
15.21.3 Trovàr Bugia ed Algieri, infami nidi
15.21.4 di corsari, ed Oran trovàr più inanti;
15.21.5 e costeggiàr di Tingitana i lidi,
15.21.6 nutrice di leoni e d' elefanti,
15.21.7 ch' or di Marocco è il regno, e quel di Fessa;
15.21.8 e varcàr la Granata incontro ad essa.
15.22.1 Son già là dove il mar fra terra inonda
15.22.2 per via ch' esser d' Alcide opra si finse;
15.22.3 e forse è ver ch' una continua sponda
15.22.4 fosse, ch' alta ruina in due distinse.
15.22.5 Passovvi a forza l' oceano, e l' onda
15.22.6 Abila quinci e quindi Calpe spinse;
15.22.7 Spagna e Libia partio con foce angusta:
15.22.8 tanto mutar può lunga età vetusta!
15.23.1 Quattro volte era apparso il sol ne l' orto
15.23.2 da che la nave si spiccò dal lito,
15.23.3 né mai (ch' uopo non fu) s' accolse in porto,
15.23.4 e tanto del camino ha già fornito.
15.23.5 Or entra ne lo stretto e passa il corto
15.23.6 varco, e s' ingolfa in pelago infinito.
15.23.7 Se 'l mar qui è tanto ove il terreno il serra,
15.23.8 che fia colà dov' egli ha in sen la terra?
15.24.1 Più non si mostra omai tra gli alti flutti
15.24.2 la fertil Gade e l' altre due vicine.
15.24.3 Fuggite son le terre e i lidi tutti:
15.24.4 de l' onda il ciel, del ciel l' onda è confine.
15.24.5 Diceva Ubaldo allor:-- Tu che condutti
15.24.6 n' hai, donna, in questo mar che non ha fine,
15.24.7 di' s' altri mai qui giunse, o se più inante
15.24.8 nel mondo ove corriamo have abitante.--
15.25.1 Risponde: -- Ercole, poi ch' uccisi i mostri
15.25.2 ebbe di Libia e del paese ispano,
15.25.3 e tutti scòrsi e vinti i lidi vostri,
15.25.4 non osò di tentar l' alto oceano:
15.25.5 segnò le mète, e 'n troppo brevi chiostri
15.25.6 l' ardir ristrinse de l' ingegno umano;
15.25.7 ma quei segni sprezzò ch' egli prescrisse,
15.25.8 di veder vago e di saper, Ulisse.
15.26.1 Ei passò le Colonne, e per l' aperto
15.26.2 mare spiegò de' remi il volo audace;
15.26.3 ma non giovogli esser ne l' onde esperto,
15.26.4 perché inghiottillo l' ocean vorace,
15.26.5 e giacque co 'l suo corpo anco coperto
15.26.6 il suo gran caso, ch' or tra voi si tace.
15.26.7 S' altri vi fu da' venti a forza spinto,
15.26.8 o non tornovvi o vi rimase estinto;
15.27.1 sì ch' ignoto è 'l gran mar che solchi: ignote
15.27.2 isole mille e mille regni asconde;
15.27.3 né già d' abitator le terre han vòte,
15.27.4 ma son come le vostre anco feconde:
15.27.5 son esse atte al produr, né steril pote
15.27.6 esser quella virtù che 'l sol n' infonde.--
15.27.7 Ripiglia Ubaldo allor:-- Del mondo occulto,
15.27.8 dimmi quai sian le leggi e quale il culto.--
15.28.1 Gli soggiunse colei:-- Diverse bande
15.28.2 diversi han riti ed abiti e favelle:
15.28.3 altri adora le belve, altri la grande
15.28.4 comune madre, il sole altri e le stelle;
15.28.5 v' è chi d' abominevoli vivande
15.28.6 le mense ingombra scelerate e felle.
15.28.7 E 'n somma ognun che 'n qua da Calpe siede
15.28.8 barbaro è di costume, empio di fede.
15.29.1 -- Dunque -- a lei replicava il cavaliero
15.29.2 -- quel Dio che scese a illuminar le carte
15.29.3 vuol ogni raggio ricoprir del vero
15.29.4 a questa che del mondo è sì gran parte?
15.29.5 -- No, -- rispose ella -- anzi la fé di Piero
15.29.6 fiavi introdotta ed ogni civil arte;
15.29.7 né già sempre sarà che la via lunga
15.29.8 questi da' vostri popoli disgiunga.
15.30.1 Tempo verrà che fian d' Ercole i segni
15.30.2 favola vile a i naviganti industri,
15.30.3 e i mar riposti, or senza nome, e i regni
15.30.4 ignoti ancor tra voi saranno illustri.
15.30.5 Fia che 'l più ardito allor di tutti i legni
15.30.6 quanto circonda il mar circondi e lustri,
15.30.7 e la terra misuri, immensa mole,
15.30.8 vittorioso ed emulo del sole.
15.31.1 Un uom de la Liguria avrà ardimento
15.31.2 a l' incognito corso esporsi in prima;
15.31.3 né 'l minaccievol fremito del vento,
15.31.4 né l' inospito mar, né 'l dubbio clima,
15.31.5 né s' altro di periglio o di spavento
15.31.6 più grave e formidabile or si stima,
15.31.7 faran che 'l generoso entro a i divieti
15.31.8 d' Abila angusti l' alta mente accheti.
15.32.1 Tu spiegherai, Colombo, a un novo polo
15.32.2 lontane sì le fortunate antenne,
15.32.3 ch' a pena seguirà con gli occhi il volo
15.32.4 la fama c' ha mille occhi e mille penne.
15.32.5 Canti ella Alcide e Bacco, e di te solo
15.32.6 basti a i posteri tuoi ch' alquanto accenne,
15.32.7 ché quel poco darà lunga memoria
15.32.8 di poema dignissima e d' istoria.--
15.33.1 Così disse ella; e per l' ondose strade
15.33.2 corre al ponente e piega al mezzogiorno,
15.33.3 e vede come incontra il sol giù cade
15.33.4 e come a tergo lor rinasce il giorno.
15.33.5 E quando a punto i raggi e le rugiade
15.33.6 la bella aurora seminava intorno,
15.33.7 lor s' offrì di lontano oscuro un monte
15.33.8 che tra le nubi nascondea la fronte.
15.34.1 E 'l vedean poscia procedendo avante,
15.34.2 quando ogni nuvol già n' era rimosso,
15.34.3 a l' acute piramidi sembiante,
15.34.4 sottile invèr la cima e 'n mezzo grosso,
15.34.5 e mostrarsi talor così fumante
15.34.6 come quel che d' Encelado è su 'l dosso,
15.34.7 che per propria natura il giorno fuma
15.34.8 e poi la notte il ciel di fiamme alluma.
15.35.1 Ecco altre isole insieme, altre pendici
15.35.2 scoprian alfin, men erte ed elevate;
15.35.3 ed eran queste l' isole Felici,
15.35.4 così le nominò la prisca etate,
15.35.5 a cui tanto stimava i cieli amici
15.35.6 che credea volontarie e non arate
15.35.7 quivi produr le terre, e 'n più graditi
15.35.8 frutti non culte germogliar le viti.
15.36.1 Qui non fallaci mai fiorir gli olivi
15.36.2 e 'l mèl dicea stillar da l' elci cave,
15.36.3 e scender giù da lor montagne i rivi
15.36.4 con acque dolci e mormorio soave,
15.36.5 e zefiri e rugiade i raggi estivi
15.36.6 temprarvi sì che nullo ardor v' è grave;
15.36.7 e qui gli elisi campi e le famose
15.36.8 stanze de le beate anime pose.
15.37.1 A queste or vien la donna, ed: -- Omai sète
15.37.2 dal fin del corso -- lor dicea -- non lunge.
15.37.3 L' isole di Fortuna ora vedete,
15.37.4 di cui gran fama a voi ma incerta giunge.
15.37.5 Ben son elle feconde e vaghe e liete,
15.37.6 ma pur molto di falso al ver s' aggiunge.--
15.37.7 Così parlando, assai presso si fece
15.37.8 a quella che la prima è de le diece.
15.38.1 Carlo incomincia allor: -- Se ciò concede,
15.38.2 donna, quell' alta impresa ove ci guidi,
15.38.3 lasciami omai por ne la terra il piede
15.38.4 e veder questi inconosciuti lidi,
15.38.5 veder le genti e 'l culto di lor fede
15.38.6 e tutto quello ond' uom saggio m' invìdi,
15.38.7 quando mi gioverà narrar altrui
15.38.8 le novità vedute e dir: «Io fui!» --
15.39.1 Gli rispose colei:-- Ben degna in vero
15.39.2 la domanda è di te, ma che poss' io,
15.39.3 s' egli osta inviolabile e severo
15.39.4 il decreto de' Cieli al bel desio?
15.39.5 ch' ancor vòlto non è lo spazio intero
15.39.6 ch' al grande scoprimento ha fisso Dio,
15.39.7 né lece a voi da l' ocean profondo
15.39.8 recar vera notizia al vostro mondo.
15.40.1 A voi per grazia e sovra l' arte e l' uso
15.40.2 de' naviganti ir per quest' acque è dato,
15.40.3 e scender là dove è il guerrier rinchiuso
15.40.4 e ridurlo del mondo a l' altro lato.
15.40.5 Tanto vi basti, e l' aspirar più suso
15.40.6 superbir fòra e calcitrar co 'l fato. --
15.40.7 Qui tacque, e già parea più bassa farsi
15.40.8 l' isola prima e la seconda alzarsi.
15.41.1 Ella mostrando gìa ch' a l' oriente
15.41.2 tutte con ordin lungo eran dirette,
15.41.3 e che largo è fra lor quasi egualmente
15.41.4 quello spazio di mar che si framette.
15.41.5 Pònsi veder d' abitatrice gente
15.41.6 case e culture ed altri segni in sette;
15.41.7 tre deserte ne sono, e v' han le belve
15.41.8 securissima tana in monti e in selve.
15.42.1 Luogo è in una de l' erme assai riposto,
15.42.2 ove si curva il lido e in fuori stende
15.42.3 due larghe corna, e fra lor tiene ascosto
15.42.4 un ampio sen, e porto un scoglio rende,
15.42.5 ch' a lui la fronte e 'l tergo a l' onda ha opposto
15.42.6 che vien da l' alto e la respinge e fende.
15.42.7 S' inalzan quinci e quindi, e torreggianti
15.42.8 fan due gran rupi segno a' naviganti.
15.43.1 Tacciono sotto i mar securi in pace;
15.43.2 sovra ha di negre selve opaca scena,
15.43.3 e 'n mezzo d' esse una spelonca giace,
15.43.4 d' edera e d' ombre e di dolci acque amena.
15.43.5 Fune non lega qui, né co 'l tenace
15.43.6 morso le stanche navi ancora frena.
15.43.7 La donna in sì solinga e queta parte
15.43.8 entrava, e raccogliea le vele sparte.
15.44.1 -- Mirate -- disse poi -- quell' alta mole
15.44.2 ch' a quel gran monte in su la cima siede.
15.44.3 Quivi fra cibi ed ozio e scherzi e fole
15.44.4 torpe il campion de la cristiana fede.
15.44.5 Voi con la guida del nascente sole
15.44.6 su per quell' erto moverete il piede;
15.44.7 né vi gravi il tardar, però che fòra,
15.44.8 se non la matutina, infausta ogn' ora.
15.45.1 Ben co 'l lume del dì ch' anco riluce
15.45.2 insino al monte andar per voi potrassi.--
15.45.3 Essi al congedo de la nobil duce
15.45.4 poser nel lido desiato i passi,
15.45.5 e ritrovàr la via ch' a lui conduce
15.45.6 agevol sì ch' i piè non ne fur lassi;
15.45.7 ma quando v' arrivàr, da l' oceano
15.45.8 era il carro di Febo anco lontano.
15.46.1 Veggion che per dirupi e fra ruine
15.46.2 s' ascende a la sua cima alta e superba,
15.46.3 e ch' è fin là di nevi e di pruine
15.46.4 sparsa ogni strada: ivi ha poi fiori ed erba.
15.46.5 Presso al canuto mento il verde crine
15.46.6 frondeggia, e 'l ghiaccio fede a i gigli serba
15.46.7 ed a le rose tenere: cotanto
15.46.8 puote sovra natura arte d' incanto.
15.47.1 I duo guerrier, in luogo ermo e selvaggio
15.47.2 chiuso d' ombre, fermàrsi a piè del monte;
15.47.3 e come il ciel rigò co 'l novo raggio
15.47.4 il sol, de l' aurea luce eterno fonte:
15.47.5 -- Su su -- gridaro entrambi, e 'l lor viaggio
15.47.6 ricominciàr con voglie ardite e pronte.
15.47.7 Ma esce non so donde, e s' attraversa
15.47.8 fèra serpendo orribile e diversa.
15.48.1 Inalza d' oro squallido squamose
15.48.2 le creste e 'l capo, e gonfia il collo d' ira,
15.48.3 arde ne gli occhi, e le vie tutte ascose
15.48.4 tien sotto il ventre, e tòsco e fumo spira;
15.48.5 or rientra in se stessa, or le nodose
15.48.6 ruote distende, e sé dopo sé tira.
15.48.7 Tal s' appresenta a la solita guarda,
15.48.8 né però de' guerrieri i passi tarda.
15.49.1 Già Carlo il ferro stringe e 'l serpe assale,
15.49.2 ma l' altro grida a lui:-- Che fai? che tente?
15.49.3 per isforzo di man, con arme tale
15.49.4 vincer avisi il difensor serpente?--
15.49.5 Egli scote la verga aurea immortale
15.49.6 sì che la belva il sibilar ne sente,
15.49.7 e impaurita al suon, fuggendo ratta,
15.49.8 lascia quel varco libero e s' appiatta.
15.50.1 Più suso alquanto il passo a lor contende
15.50.2 fero leon che rugge e torvo guata,
15.50.3 e i velli arrizza, e le caverne orrende
15.50.4 de la bocca vorace apre e dilata.
15.50.5 Si sferza con la coda e l' ire accende,
15.50.6 ma non è pria la verga a lui mostrata
15.50.7 ch' un secreto spavento al cor gli agghiaccia
15.50.8 l' ira e 'l nativo orgoglio, e 'n fuga il caccia.
15.51.1 Segue la coppia il suo camin veloce,
15.51.2 ma formidabile oste han già davante
15.51.3 di guerrieri animai, vari di voce,
15.51.4 vari di moto, vari di sembiante.
15.51.5 Ciò che di mostruoso e di feroce
15.51.6 erra fra 'l Nilo e i termini d' Atlante
15.51.7 par qui tutto raccolto, e quante belve
15.51.8 l' Ercinia ha in sen, quante l' ircane selve.
15.52.1 Ma pur sì fero essercito e sì grosso
15.52.2 non vien che lor respinga o che resista,
15.52.3 anzi (miracol novo) in fuga è mosso
15.52.4 da un picciol fischio e da una breve vista.
15.52.5 La coppia omai vittoriosa il dosso
15.52.6 de la montagna senza intoppo acquista,
15.52.7 se non se in quanto il gelido e l' alpino
15.52.8 de le rigide vie tarda il camino.
15.53.1 Ma poi che già le nevi ebber varcate
15.53.2 e superato il discosceso e l' erto,
15.53.3 un bel tepido ciel di dolce state
15.53.4 trovaro, e 'l pian su 'l monte ampio ed aperto.
15.53.5 Aure fresche mai sempre ed odorate
15.53.6 vi spiran con tenor stabile e certo,
15.53.7 né i fiati lor, sì come altrove sòle,
15.53.8 sopisce o desta, ivi girando, il sole;
15.54.1 né, come altrove suol, ghiacci ed ardori
15.54.2 nubi e sereni a quelle piaggie alterna,
15.54.3 ma il ciel di candidissimi splendori
15.54.4 sempre s' ammanta e non s' infiamma o verna,
15.54.5 e nudre a i prati l' erba, a l' erba i fiori,
15.54.6 a i fior l' odor, l' ombra a le piante eterna.
15.54.7 Siede su 'l lago e signoreggia intorno
15.54.8 i monti e i mari il bel palagio adorno.
15.55.1 I cavalier per l' alta aspra salita
15.55.2 sentiansi alquanto affaticati e lassi,
15.55.3 onde ne gian per quella via fiorita
15.55.4 lenti or movendo ed or fermando i passi.
15.55.5 Quando ecco un fonte, che a bagnar gli invita
15.55.6 l' asciutte labbia, alto cader da' sassi
15.55.7 e da una larga vena, e con ben mille
15.55.8 zampilletti spruzzar l' erbe di stille.
15.56.1 Ma tutta insieme poi tra verdi sponde
15.56.2 in profondo canal l' acqua s' aduna,
15.56.3 e sotto l' ombra di perpetue fronde
15.56.4 mormorando se 'n va gelida e bruna,
15.56.5 ma trasparente sì che non asconde
15.56.6 de l' imo letto suo vaghezza alcuna;
15.56.7 e sovra le sue rive alta s' estolle
15.56.8 l' erbetta, e vi fa seggio fresco e molle.
15.57.1 -- Ecco il fonte del riso, ed ecco il rio
15.57.2 che mortali perigli in sé contiene.
15.57.3 Or qui tener a fren nostro desio
15.57.4 ed esser cauti molto a noi conviene:
15.57.5 chiudiam l' orecchie al dolce canto e rio
15.57.6 di queste del piacer false sirene,
15.57.7 così n' andrem fin dove il fiume vago
15.57.8 si spande in maggior letto e forma un lago.--
15.58.1 Quivi de' cibi preziosa e cara
15.58.2 apprestata è una mensa in su le rive,
15.58.3 e scherzando se 'n van per l' acqua chiara
15.58.4 due donzellette garrule e lascive,
15.58.5 ch' or si spruzzano il volto, or fanno a gara
15.58.6 chi prima a un segno destinato arrive.
15.58.7 Si tuffano talor, e 'l capo e 'l dorso
15.58.8 scoprono alfin dopo il celato corso.
15.59.1 Mosser le natatrici ignude e belle
15.59.2 de' duo guerrieri alquanto i duri petti,
15.59.3 sì che fermàrsi a riguardarle; ed elle
15.59.4 seguian pur i lor giochi e i lor diletti.
15.59.5 Una intanto drizzossi, e le mammelle
15.59.6 e tutto ciò che più la vista alletti
15.59.7 mostrò, dal seno in suso, aperto al cielo;
15.59.8 e 'l lago a l' altre membra era un bel velo.
15.60.1 Qual matutina stella esce de l' onde
15.60.2 rugiadosa e stillante, o come fuore
15.60.3 spuntò nascendo già da le feconde
15.60.4 spume de l' ocean la dea d' amore,
15.60.5 tal apparve costei, tal le sue bionde
15.60.6 chiome stillavan cristallino umore.
15.60.7 Poi girò gli occhi, e pur allor s' infinse
15.60.8 que' duo vedere e in sé tutta si strinse;
15.61.1 e 'l crin, ch' in cima al capo avea raccolto
15.61.2 in un sol nodo, immantinente sciolse,
15.61.3 che lunghissimo in giù cadendo e folto
15.61.4 d' un aureo manto i molli avori involse.
15.61.5 Oh che vago spettacolo è lor tolto!
15.61.6 ma non men vago fu chi loro il tolse.
15.61.7 Così da l' acque e da' capelli ascosa
15.61.8 a lor si volse lieta e vergognosa.
15.62.1 Rideva insieme e insieme ella arrossia,
15.62.2 ed era nel rossor più bello il riso
15.62.3 e nel riso il rossor che le copria
15.62.4 insino al mento il delicato viso.
15.62.5 Mosse la voce poi sì dolce e pia
15.62.6 che fòra ciascun altro indi conquiso:
15.62.7 -- Oh fortunati peregrin, cui lice
15.62.8 giungere in questa sede alma e felice!
15.63.1 Questo è il porto del mondo; e qui è il ristoro
15.63.2 de le sue noie, e quel piacer si sente
15.63.3 che già sentì ne' secoli de l' oro
15.63.4 l' antica e senza fren libera gente.
15.63.5 L' arme, che sin a qui d' uopo vi foro,
15.63.6 potete omai depor securamente
15.63.7 e sacrarle in quest' ombra a la quiete,
15.63.8 ché guerrier qui solo d' Amor sarete,
15.64.1 e dolce campo di battaglia il letto
15.64.2 fiavi e l' erbetta morbida de' prati.
15.64.3 Noi menarenvi anzi il regale aspetto
15.64.4 di lei che qui fa i servi suoi beati,
15.64.5 che v' accorrà nel bel numero eletto
15.64.6 di quei ch' a le sue gioie ha destinati.
15.64.7 Ma pria la polve in queste acque deporre
15.64.8 vi piaccia, e 'l cibo a quella mensa tòrre.--
15.65.1 L' una disse così, l' altra concorde
15.65.2 l' invito accompagnò d' atti e di sguardi,
15.65.3 sì come al suon de le canore corde
15.65.4 s' accompagnano i passi or presti or tardi.
15.65.5 Ma i cavalieri hanno indurate e sorde
15.65.6 l' alme a que' vezzi perfidi e bugiardi,
15.65.7 e 'l lusinghiero aspetto e 'l parlar dolce
15.65.8 di fuor s' aggira e solo i sensi molce.
15.66.1 E se di tal dolcezza entro trasfusa
15.66.2 parte penètra onde il desio germoglie,
15.66.3 tosto ragion ne l' arme sue rinchiusa
15.66.4 sterpa e riseca le nascenti voglie.
15.66.5 L' una coppia riman vinta e delusa,
15.66.6 l' altra se 'n va, né pur congedo toglie.
15.66.7 Essi entràr nel palagio, esse ne l' acque
15.66.8 tuffàrsi: la repulsa a lor sì spiacque.
CANTO XVI
16.1.1 Tondo è il ricco edificio, e nel più chiuso
16.1.2 grembo di lui, ch' è quasi centro al giro,
16.1.3 un giardin v' ha ch' adorno è sovra l' uso
16.1.4 di quanti più famosi unqua fioriro.
16.1.5 D' intorno inosservabile e confuso
16.1.6 ordin di loggie i demon fabri ordiro,
16.1.7 e tra le oblique vie di quel fallace
16.1.8 ravolgimento impenetrabil giace.
16.2.1 Per l' entrata maggior (però che cento
16.2.2 l' ampio albergo n' avea) passàr costoro.
16.2.3 Le porte qui d' effigiato argento
16.2.4 su i cardini stridean di lucid' oro.
16.2.5 Fermàr ne le figure il guardo intento,
16.2.6 ché vinta la materia è dal lavoro:
16.2.7 manca il parlar, di vivo altro non chiedi;
16.2.8 né manca questo ancor, s' a gli occhi credi.
16.3.1 Mirasi qui fra le meonie ancelle
16.3.2 favoleggiar con la conocchia Alcide.
16.3.3 Se l' inferno espugnò, resse le stelle,
16.3.4 or torce il fuso; Amor se 'l guarda, e ride.
16.3.5 Mirasi Iole con la destra imbelle
16.3.6 per ischerno trattar l' armi omicide;
16.3.7 e indosso ha il cuoio del leon, che sembra
16.3.8 ruvido troppo a sì tenere membra.
16.4.1 D' incontra è un mare, e di canuto flutto
16.4.2 vedi spumanti i suoi cerulei campi.
16.4.3 Vedi nel mezzo un doppio ordine instrutto
16.4.4 di navi e d' arme, e uscir da l' arme i lampi.
16.4.5 D' oro fiammeggia l' onda, e par che tutto
16.4.6 d' incendio marzial Leucate avampi.
16.4.7 Quinci Augusto i Romani, Antonio quindi
16.4.8 trae l' Oriente: Egizi, Arabi ed Indi.
16.5.1 Svelte notar le Cicladi diresti
16.5.2 per l' onde, e i monti co i gran monti urtarsi;
16.5.3 l' impeto è tanto, onde quei vanno e questi
16.5.4 co' legni torreggianti ad incontrarsi.
16.5.5 Già volàr faci e dardi, e già funesti
16.5.6 sono di nova strage i mari sparsi.
16.5.7 Ecco (né punto ancor la pugna inchina)
16.5.8 ecco fuggir la barbara reina.
16.6.1 E fugge Antonio, e lasciar può la speme
16.6.2 de l' imperio del mondo ov' egli aspira.
16.6.3 Non fugge no, non teme il fier, non teme,
16.6.4 ma segue lei che fugge e seco il tira.
16.6.5 Vedresti lui, simile ad uom che freme
16.6.6 d' amore a un tempo e di vergogna e d' ira,
16.6.7 mirar alternamente or la crudele
16.6.8 pugna ch' è in dubbio, or le fuggenti vele.
16.7.1 Ne le latebre poi del Nilo accolto
16.7.2 attender par in grembo a lei la morte,
16.7.3 e nel piacer d' un bel leggiadro volto
16.7.4 sembra che 'l duro fato egli conforte.
16.7.5 Di cotai segni variato e scolto
16.7.6 era il metallo de le regie porte.
16.7.7 I due guerrier, poi che dal vago obietto
16.7.8 rivolser gli occhi, entràr nel dubbio tetto.
16.8.1 Qual Meandro fra rive oblique e incerte
16.8.2 scherza e con dubbio corso or cala or monta,
16.8.3 queste acque a i fonti e quelle al mar converte,
16.8.4 e mentre ei vien, sé che ritorna affronta,
16.8.5 tali e più inestricabili conserte
16.8.6 son queste vie, ma il libro in sé le impronta
16.8.7 (il libro, don del mago) e d' esse in modo
16.8.8 parla che le risolve, e spiega il nodo.
16.9.1 Poi che lasciàr gli aviluppati calli,
16.9.2 in lieto aspetto il bel giardin s' aperse:
16.9.3 acque stagnanti, mobili cristalli,
16.9.4 fior vari e varie piante, erbe diverse,
16.9.5 apriche collinette, ombrose valli,
16.9.6 selve e spelonche in una vista offerse;
16.9.7 e quel che 'l bello e 'l caro accresce a l' opre,
16.9.8 l' arte, che tutto fa, nulla si scopre.
16.10.1 Stimi (sì misto il culto è co 'l negletto)
16.10.2 sol naturali e gli ornamenti e i siti.
16.10.3 Di natura arte par, che per diletto
16.10.4 l' imitatrice sua scherzando imiti.
16.10.5 L' aura, non ch' altro, è de la maga effetto,
16.10.6 l' aura che rende gli alberi fioriti:
16.10.7 co' fiori eterni eterno il frutto dura,
16.10.8 e mentre spunta l' un, l' altro matura.
16.11.1 Nel tronco istesso e tra l' istessa foglia
16.11.2 sovra il nascente fico invecchia il fico;
16.11.3 pendono a un ramo, un con dorata spoglia,
16.11.4 l' altro con verde, il novo e 'l pomo antico;
16.11.5 lussureggiante serpe alto e germoglia
16.11.6 la torta vite ov' è più l' orto aprico:
16.11.7 qui l' uva ha in fiori acerba, e qui d' or l' have
16.11.8 e di piropo e già di nèttar grave.
16.12.1 Vezzosi augelli infra le verdi fronde
16.12.2 temprano a prova lascivette note;
16.12.3 mormora l' aura, e fa le foglie e l' onde
16.12.4 garrir che variamente ella percote.
16.12.5 Quando taccion gli augelli alto risponde,
16.12.6 quando cantan gli augei più lieve scote;
16.12.7 sia caso od arte, or accompagna, ed ora
16.12.8 alterna i versi lor la musica òra.
16.13.1 Vola fra gli altri un che le piume ha sparte
16.13.2 di color vari ed ha purpureo il rostro,
16.13.3 e lingua snoda in guisa larga, e parte
16.13.4 la voce sì ch' assembra il sermon nostro.
16.13.5 Questi ivi allor continovò con arte
16.13.6 tanta il parlar che fu mirabil mostro.
16.13.7 Tacquero gli altri ad ascoltarlo intenti,
16.13.8 e fermaro i susurri in aria i venti.
16.14.1 -- Deh mira -- egli cantò -- spuntar la rosa
16.14.2 dal verde suo modesta e verginella,
16.14.3 che mezzo aperta ancora e mezzo ascosa,
16.14.4 quanto si mostra men, tanto è più bella.
16.14.5 Ecco poi nudo il sen già baldanzosa
16.14.6 dispiega; ecco poi langue e non par quella,
16.14.7 quella non par che desiata inanti
16.14.8 fu da mille donzelle e mille amanti.
16.15.1 Così trapassa al trapassar d' un giorno
16.15.2 de la vita mortale il fiore e 'l verde;
16.15.3 né perché faccia indietro april ritorno,
16.15.4 si rinfiora ella mai, né si rinverde.
16.15.5 Cogliam la rosa in su 'l mattino adorno
16.15.6 di questo dì, che tosto il seren perde;
16.15.7 cogliam d' amor la rosa: amiamo or quando
16.15.8 esser si puote riamato amando.--
16.16.1 Tacque, e concorde de gli augelli il coro,
16.16.2 quasi approvando, il canto indi ripiglia.
16.16.3 Raddoppian le colombe i baci loro,
16.16.4 ogni animal d' amar si riconsiglia;
16.16.5 par che la dura quercia e 'l casto alloro
16.16.6 e tutta la frondosa ampia famiglia,
16.16.7 par che la terra e l' acqua e formi e spiri
16.16.8 dolcissimi d' amor sensi e sospiri.
16.17.1 Fra melodia sì tenera, fra tante
16.17.2 vaghezze allettatrici e lusinghiere,
16.17.3 va quella coppia, e rigida e costante
16.17.4 se stessa indura a i vezzi del piacere.
16.17.5 Ecco tra fronde e fronde il guardo inante
16.17.6 penetra e vede, o pargli di vedere,
16.17.7 vede pur certo il vago e la diletta,
16.17.8 ch' egli è in grembo a la donna, essa a l' erbetta.
16.18.1 Ella dinanzi al petto ha il vel diviso,
16.18.2 e 'l crin sparge incomposto al vento estivo;
16.18.3 langue per vezzo, e 'l suo infiammato viso
16.18.4 fan biancheggiando i bei sudor più vivo:
16.18.5 qual raggio in onda, le scintilla un riso
16.18.6 ne gli umidi occhi tremulo e lascivo.
16.18.7 Sovra lui pende; ed ei nel grembo molle
16.18.8 le posa il capo, e 'l volto al volto attolle,
16.19.1 e i famelici sguardi avidamente
16.19.2 in lei pascendo si consuma e strugge.
16.19.3 S' inchina, e i dolci baci ella sovente
16.19.4 liba or da gli occhi e da le labra or sugge,
16.19.5 ed in quel punto ei sospirar si sente
16.19.6 profondo sì che pensi: --Or l' alma fugge
16.19.7 e 'n lei trapassa peregrina.-- Ascosi
16.19.8 mirano i duo guerrier gli atti amorosi.
16.20.1 Dal fianco de l' amante (estranio arnese)
16.20.2 un cristallo pendea lucido e netto.
16.20.3 Sorse, e quel fra le mani a lui sospese
16.20.4 a i misteri d' Amor ministro eletto.
16.20.5 Con luci ella ridenti, ei con accese,
16.20.6 mirano in vari oggetti un solo oggetto:
16.20.7 ella del vetro a sé fa specchio, ed egli
16.20.8 gli occhi di lei sereni a sé fa spegli.
16.21.1 L' uno di servitù, l' altra d' impero
16.21.2 si gloria, ella in se stessa ed egli in lei.
16.21.3 -- Volgi, -- dicea -- deh volgi -- il cavaliero
16.21.4 -- a me quegli occhi onde beata bèi,
16.21.5 ché son, se tu no 'l sai, ritratto vero
16.21.6 de le bellezze tue gli incendi miei;
16.21.7 la forma lor, la meraviglia a pieno
16.21.8 più che il cristallo tuo mostra il mio seno.
16.22.1 Deh! poi che sdegni me, com' egli è vago
16.22.2 mirar tu almen potessi il proprio volto;
16.22.3 ché il guardo tuo, ch' altrove non è pago,
16.22.4 gioirebbe felice in sé rivolto.
16.22.5 Non può specchio ritrar sì dolce imago,
16.22.6 né in picciol vetro è un paradiso accolto:
16.22.7 specchio t' è degno il cielo, e ne le stelle
16.22.8 puoi riguardar le tue sembianze belle.--
16.23.1 Ride Armida a quel dir, ma non che cesse
16.23.2 dal vagheggiarsi e da' suoi bei lavori.
16.23.3 Poi che intrecciò le chiome e che ripresse
16.23.4 con ordin vago i lor lascivi errori,
16.23.5 torse in anella i crin minuti e in esse,
16.23.6 quasi smalto su l' or, cosparse i fiori;
16.23.7 e nel bel sen le peregrine rose
16.23.8 giunse a i nativi gigli, e 'l vel compose.
16.24.1 Né 'l superbo pavon sì vago in mostra
16.24.2 spiega la pompa de l' occhiute piume,
16.24.3 né l' iride sì bella indora e inostra
16.24.4 il curvo grembo e rugiadoso al lume.
16.24.5 Ma bel sovra ogni fregio il cinto mostra
16.24.6 che né pur nuda ha di lasciar costume.
16.24.7 Diè corpo a chi non l' ebbe; e quando il fece,
16.24.8 tempre mischiò ch' altrui mescer non lece.
16.25.1 Teneri sdegni, e placide e tranquille
16.25.2 repulse, e cari vezzi, e liete paci,
16.25.3 sorrise parolette, e dolci stille
16.25.4 di pianto, e sospir tronchi, e molli baci:
16.25.5 fuse tai cose tutte, e poscia unille
16.25.6 ed al foco temprò di lente faci,
16.25.7 e ne formò quel sì mirabil cinto
16.25.8 di ch' ella aveva il bel fianco succinto.
16.26.1 Fine alfin posto al vagheggiar, richiede
16.26.2 a lui commiato, e 'l bacia e si diparte.
16.26.3 Ella per uso il dì n' esce e rivede
16.26.4 gli affari suoi, le sue magiche carte.
16.26.5 Egli riman, ch' a lui non si concede
16.26.6 por orma o trar momento in altra parte,
16.26.7 e tra le fère spazia e tra le piante,
16.26.8 se non quanto è con lei, romito amante.
16.27.1 Ma quando l' ombra co i silenzi amici
16.27.2 rappella a i furti lor gli amanti accorti
16.27.3 traggono le notturne ore felici
16.27.4 sotto un tetto medesmo entro a quegli orti.
16.27.5 Ma poi che vòlta a più severi uffici
16.27.6 lasciò Armida il giardino e i suoi diporti,
16.27.7 i duo, che tra i cespugli eran celati,
16.27.8 scoprìrsi a lui pomposamente armati.
16.28.1 Qual feroce destrier ch' al faticoso
16.28.2 onor de l' arme vincitor sia tolto,
16.28.3 e lascivo marito in vil riposo
16.28.4 fra gli armenti e ne' paschi erri disciolto,
16.28.5 se 'l desta o suon di tromba o luminoso
16.28.6 acciar, colà tosto annitrendo è vòlto,
16.28.7 già già brama l' arringo e, l' uom su 'l dorso
16.28.8 portando, urtato riurtar nel corso;
16.29.1 tal si fece il garzon, quando repente
16.29.2 de l' arme il lampo gli occhi suoi percosse.
16.29.3 Quel sì guerrier, quel sì feroce ardente
16.29.4 suo spirto a quel fulgor tutto si scosse,
16.29.5 benché tra gli agi morbidi languente,
16.29.6 e tra i piaceri ebro e sopito ei fosse.
16.29.7 Intanto Ubaldo oltra ne viene, e 'l terso
16.29.8 adamantino scudo ha in lui converso.
16.30.1 Egli al lucido scudo il guardo gira,
16.30.2 onde si specchia in lui qual siasi e quanto
16.30.3 con delicato culto adorno; spira
16.30.4 tutto odori e lascivie il crine e 'l manto,
16.30.5 e 'l ferro, il ferro aver, non ch' altro, mira
16.30.6 dal troppo lusso effeminato a canto:
16.30.7 guernito è sì ch' inutile ornamento
16.30.8 sembra, non militar fero instrumento.
16.31.1 Qual uom da cupo e grave sonno oppresso
16.31.2 dopo vaneggiar lungo in sé riviene,
16.31.3 tal ei tornò nel rimirar se stesso,
16.31.4 ma se stesso mirar già non sostiene;
16.31.5 giù cade il guardo, e timido e dimesso,
16.31.6 guardando a terra, la vergogna il tiene.
16.31.7 Si chiuderebbe e sotto il mare e dentro
16.31.8 il foco per celarsi, e giù nel centro.
16.32.1 Ubaldo incominciò parlando allora:
16.32.2 -- Va l' Asia tutta e va l' Europa in guerra:
16.32.3 chiunque e pregio brama e Cristo adora
16.32.4 travaglia in arme or ne la siria terra.
16.32.5 Te solo, o figlio di Bertoldo, fuora
16.32.6 del mondo, in ozio, un breve angolo serra;
16.32.7 te sol de l' universo il moto nulla
16.32.8 move, egregio campion d' una fanciulla.
16.33.1 Qual sonno o qual letargo ha sì sopita
16.33.2 la tua virtute? o qual viltà l' alletta?
16.33.3 Su su; te il campo e te Goffredo invita,
16.33.4 te la fortuna e la vittoria aspetta.
16.33.5 Vieni, o fatal guerriero, e sia fornita
16.33.6 la ben comincia impresa; e l' empia setta,
16.33.7 che già crollasti, a terra estinta cada
16.33.8 sotto l' inevitabile tua spada. --
16.34.1 Tacque, e 'l nobil garzon restò per poco
16.34.2 spazio confuso e senza moto e voce.
16.34.3 Ma poi che diè vergogna a sdegno loco,
16.34.4 sdegno guerrier de la ragion feroce,
16.34.5 e ch' al rossor del volto un novo foco
16.34.6 successe, che più avampa e che più coce,
16.34.7 squarciossi i vani fregi e quelle indegne
16.34.8 pompe, di servitù misera insegne;
16.35.1 ed affrettò il partire, e de la torta
16.35.2 confusione uscì del labirinto.
16.35.3 Intanto Armida de la regal porta
16.35.4 mirò giacere il fier custode estinto.
16.35.5 Sospettò prima, e si fu poscia accorta
16.35.6 ch' era il suo caro al dipartirsi accinto;
16.35.7 e 'l vide (ahi fera vista!) al dolce albergo
16.35.8 dar, frettoloso, fuggitivo il tergo.
16.36.1 Volea gridar: --Dove, o crudel, me sola
16.36.2 lasci?--, ma il varco al suon chiuse il dolore,
16.36.3 sì che tornò la flebile parola
16.36.4 più amara indietro a rimbombar su 'l core.
16.36.5 Misera! i suoi diletti ora le invola
16.36.6 forza e saper, del suo saper maggiore.
16.36.7 Ella se 'l vede, e invan pur s' argomenta
16.36.8 di ritenerlo e l' arti sue ritenta.
16.37.1 Quante mormorò mai profane note
16.37.2 tessala maga con la bocca immonda,
16.37.3 ciò ch' arrestar può le celesti rote
16.37.4 e l' ombre trar de la prigion profonda,
16.37.5 sapea ben tutte; e pur oprar non pote
16.37.6 ch' almen l' inferno al suo parlar risponda.
16.37.7 Lascia gli incanti, e vuol provar se vaga
16.37.8 e supplice beltà sia miglior maga.
16.38.1 Corre, e non ha d' onor cura o ritegno.
16.38.2 Ahi! dove or sono i suoi trionfi e i vanti?
16.38.3 Costei d' Amor, quanto egli è grande, il regno
16.38.4 volse e rivolse sol co 'l cenno inanti,
16.38.5 e così pari al fasto ebbe lo sdegno,
16.38.6 ch' amò d' essere amata, odiò gli amanti;
16.38.7 sé gradì sola, e fuor di sé in altrui
16.38.8 sol qualche effetto de' begli occhi sui.
16.39.1 Or negletta e schernita in abbandono
16.39.2 rimasa, segue pur chi fugge e sprezza;
16.39.3 e procura adornar co' pianti il dono
16.39.4 rifiutato per sé di sua bellezza.
16.39.5 Vassene, ed al piè tenero non sono
16.39.6 quel gelo intoppo e quella alpina asprezza;
16.39.7 e invia per messaggieri inanzi i gridi,
16.39.8 né giunge lui pria ch' ei sia giunto a i lidi.
16.40.1 Forsennata gridava:-- O tu che porte
16.40.2 parte teco di me, parte ne lassi,
16.40.3 o prendi l' una o rendi l' altra, o morte
16.40.4 dà insieme ad ambe: arresta, arresta i passi,
16.40.5 sol che ti sian le voci ultime porte;
16.40.6 non dico i baci, altra più degna avrassi
16.40.7 quelli da te. Che temi, empio, se resti?
16.40.8 Potrai negar, poi che fuggir potesti. --
16.41.1 Dissegli Ubaldo allor:-- Già non conviene
16.41.2 che d' aspettar costei, signor, ricusi;
16.41.3 di beltà armata e de' suoi preghi or viene,
16.41.4 dolcemente nel pianto amaro infusi.
16.41.5 Qual più forte di te, se le sirene
16.41.6 vedendo ed ascoltando a vincer t' usi?
16.41.7 così ragion pacifica reina
16.41.8 de' sensi fassi, e se medesma affina.--
16.42.1 Allor ristette il cavaliero, ed ella
16.42.2 sovragiunse anelante e lagrimosa:
16.42.3 dolente sì che nulla più, ma bella
16.42.4 altrettanto però quanto dogliosa.
16.42.5 Lui guarda e in lui s' affisa, e non favella,
16.42.6 o che sdegna o che pensa o che non osa.
16.42.7 Ei lei non mira; e se pur mira, il guardo
16.42.8 furtivo volge e vergognoso e tardo.
16.43.1 Qual musico gentil, prima che chiara
16.43.2 altamente la voce al canto snodi,
16.43.3 a l' armonia gli animi altrui prepara
16.43.4 con dolci ricercate in bassi modi,
16.43.5 così costei, che ne la doglia amara
16.43.6 già tutte non oblia l' arti e le frodi,
16.43.7 fa di sospir breve concento in prima
16.43.8 per dispor l' alma in cui le voci imprima.
16.44.1 Poi cominciò:-- Non aspettar ch' io preghi,
16.44.2 crudel, te, come amante amante deve.
16.44.3 Tai fummo un tempo; or se tal esser neghi,
16.44.4 e di ciò la memoria anco t' è greve,
16.44.5 come nemico almeno ascolta: i preghi
16.44.6 d' un nemico talor l' altro riceve.
16.44.7 Ben quel ch' io chieggio è tal che darlo puoi
16.44.8 e integri conservar gli sdegni tuoi.
16.45.1 Se m' odii, e in ciò diletto alcun tu senti,
16.45.2 non te 'n vengo a privar: godi pur d' esso.
16.45.3 Giusto a te pare, e siasi. Anch' io le genti
16.45.4 cristiane odiai, no 'l nego, odiai te stesso.
16.45.5 Nacqui pagana, usai vari argomenti
16.45.6 che per me fosse il vostro imperio oppresso;
16.45.7 te perseguii, te presi, e te lontano
16.45.8 da l' arme trassi in loco ignoto e strano.
16.46.1 Aggiungi a questo ancor quel ch' a maggiore
16.46.2 onta tu rechi ed a maggior tuo danno:
16.46.3 t' ingannai, t' allettai nel nostro amore;
16.46.4 empia lusinga certo, iniquo inganno,
16.46.5 lasciarsi còrre il virginal suo fiore,
16.46.6 far de le sue bellezze altrui tiranno,
16.46.7 quelle ch' a mille antichi in premio sono
16.46.8 negate, offrire a novo amante in dono!
16.47.1 Sia questa pur tra le mie frodi, e vaglia
16.47.2 sì di tante mie colpe in te il difetto
16.47.3 che tu quinci ti parta e non ti caglia
16.47.4 di questo albergo tuo già sì diletto.
16.47.5 Vattene, passa il mar, pugna, travaglia,
16.47.6 struggi la fede nostra: anch' io t' affretto.
16.47.7 Che dico nostra? ah non più mia! fedele
16.47.8 sono a te solo, idolo mio crudele.
16.48.1 Solo ch' io segua te mi si conceda:
16.48.2 picciola fra nemici anco richiesta.
16.48.3 Non lascia indietro il predator la preda;
16.48.4 va il trionfante, il prigionier non resta.
16.48.5 Me fra l' altre tue spoglie il campo veda
16.48.6 ed a l' altre tue lodi aggiunga questa,
16.48.7 che la tua schernitrice abbia schernito
16.48.8 mostrando me sprezzata ancella a dito.
16.49.1 Sprezzata ancella, a chi fo più conserva
16.49.2 di questa chioma, or ch' a te fatta è vile?
16.49.3 Raccorcierolla: al titolo di serva
16.49.4 vuo' portamento accompagnar servile.
16.49.5 Te seguirò, quando l' ardor più ferva
16.49.6 de la battaglia, entro la turba ostile.
16.49.7 Animo ho bene, ho ben vigor che baste
16.49.8 a condurti i cavalli, a portar l' aste.
16.50.1 Sarò qual più vorrai scudiero o scudo:
16.50.2 non fia ch' in tua difesa io mi risparmi.
16.50.3 Per questo sen, per questo collo ignudo,
16.50.4 pria che giungano a te, passeran l' armi.
16.50.5 Barbaro forse non sarà sì crudo
16.50.6 che ti voglia ferir, per non piagarmi,
16.50.7 condonando il piacer de la vendetta
16.50.8 a questa, qual si sia, beltà negletta.
16.51.1 Misera! ancor presumo? ancor mi vanto
16.51.2 di schernita beltà che nulla impetra?--
16.51.3 Volea più dir, ma l' interruppe il pianto
16.51.4 che qual fonte sorgea d' alpina pietra.
16.51.5 Prendergli cerca allor la destra o 'l manto,
16.51.6 supplichevole in atto, ed ei s' arretra,
16.51.7 resiste e vince; e in lui trova impedita
16.51.8 Amor l' entrata, il lagrimar l' uscita.
16.52.1 Non entra Amor a rinovar nel seno,
16.52.2 che ragion congelò, la fiamma antica;
16.52.3 v' entra pietate in quella vece almeno,
16.52.4 pur compagna d' Amor, benché pudica
16.52.5 e lui commove in guisa tal ch' a freno
16.52.6 può ritener le lagrime a fatica.
16.52.7 Pur quel tenero affetto entro restringe,
16.52.8 e quanto può gli atti compone e infinge.
16.53.1 Poi le risponde:-- Armida, assai mi pesa
16.53.2 di te; sì potess' io, come il farei,
16.53.3 del mal concetto ardor l' anima accesa
16.53.4 sgombrarti: odii non son, né sdegni i miei,
16.53.5 né vuo' vendetta, né rammento offesa;
16.53.6 né serva tu, né tu nemica sei.
16.53.7 Errasti, è vero, e trapassasti i modi,
16.53.8 ora gli amori essercitando, or gli odi;
16.54.1 ma che? son colpe umane e colpe usate:
16.54.2 scuso la natia legge, il sesso e gli anni.
16.54.3 Anch' io parte fallii; s' a me pietate
16.54.4 negar non vuo', non fia ch' io te condanni.
16.54.5 Fra le care memorie ed onorate
16.54.6 mi sarai ne le gioie e ne gli affanni,
16.54.7 sarò tuo cavalier quanto concede
16.54.8 la guerra d' Asia e con l' onor la fede.
16.55.1 Deh! che del fallir nostro or qui sia il fine
16.55.2 e di nostre vergogne omai ti spiaccia,
16.55.3 ed in questo del mondo ermo confine
16.55.4 la memoria di lor sepolta giaccia.
16.55.5 Sola, in Europa e ne le due vicine
16.55.6 parti, fra l' opre mie questa si taccia.
16.55.7 Deh! non voler che segni ignobil fregio
16.55.8 tua beltà, tuo valor, tuo sangue regio.
16.56.1 Rimanti in pace, i' vado; a te non lice
16.56.2 meco venir, chi mi conduce il vieta.
16.56.3 Rimanti, o va per altra via felice,
16.56.4 e come saggia i tuoi consigli acqueta.--
16.56.5 Ella, mentre il guerrier così le dice,
16.56.6 non trova loco, torbida, inquieta;
16.56.7 già buona pezza in dispettosa fronte
16.56.8 torva riguarda, al fin prorompe a l' onte:
16.57.1 -- Né te Sofia produsse e non sei nato
16.57.2 de l' azio sangue tu; te l' onda insana
16.57.3 del mar produsse e 'l Caucaso gelato,
16.57.4 e le mamme allattàr di tigre ircana.
16.57.5 Che dissimulo io più? l' uomo spietato
16.57.6 pur un segno non diè di mente umana.
16.57.7 Forse cambiò color? forse al mio duolo
16.57.8 bagnò almen gli occhi o sparse un sospir solo?
16.58.1 Quali cose tralascio o quai ridico?
16.58.2 S' offre per mio, mi fugge e m' abbandona;
16.58.3 quasi buon vincitor, di reo nemico
16.58.4 oblia le offese, i falli aspri perdona.
16.58.5 Odi come consiglia! odi il pudico
16.58.6 Senocrate d' amor come ragiona!
16.58.7 O Cielo, o dèi, perché soffrir questi empi
16.58.8 fulminar poi le torri e i vostri tèmpi?
16.59.1 Vattene pur, crudel, con quella pace
16.59.2 che lasci a me; vattene, iniquo, omai.
16.59.3 Me tosto ignudo spirto, ombra seguace
16.59.4 indivisibilmente a tergo avrai.
16.59.5 Nova furia, co' serpi e con la face
16.59.6 tanto t' agiterò quanto t' amai.
16.59.7 E s' è destin ch' esca del mar, che schivi
16.59.8 gli scogli e l' onde e che a la pugna arrivi,
16.60.1 là tra 'l sangue e le morti egro giacente
16.60.2 mi pagherai le pene, empio guerriero.
16.60.3 Per nome Armida chiamerai sovente
16.60.4 ne gli ultimi singulti: udir ciò spero.--
16.60.5 Or qui mancò lo spirto a la dolente,
16.60.6 né quest' ultimo suono espresse intero;
16.60.7 e cadde tramortita e si diffuse
16.60.8 di gelato sudore, e i lumi chiuse.
16.61.1 Chiudesti i lumi, Armida; il Cielo avaro
16.61.2 invidiò il conforto a i tuoi martìri.
16.61.3 Apri, misera, gli occhi; il pianto amaro
16.61.4 ne gli occhi al tuo nemico or ché non miri?
16.61.5 Oh s' udir tu 'l potessi, oh come caro
16.61.6 t' addolcirebbe il suon de' suoi sospiri!
16.61.7 Dà quanto ei pote, e prende (e tu no 'l credi!)
16.61.8 pietoso in vista gli ultimi congedi.
16.62.1 Or che farà? dée su l' ignuda arena
16.62.2 costei lasciar così tra viva e morta?
16.62.3 Cortesia lo ritien, pietà l' affrena,
16.62.4 dura necessità seco ne 'l porta.
16.62.5 Parte, e di lievi zefiri è ripiena
16.62.6 la chioma di colei che gli fa scorta.
16.62.7 Vola per l' alto mar l' aurata vela:
16.62.8 ei guarda il lido, e 'l lido ecco si cela.
16.63.1 Poi ch' ella in sé tornò, deserto e muto
16.63.2 quanto mirar poté d' intorno scorse.
16.63.3 -- Ito se n' è pur, -- disse -- ed ha potuto
16.63.4 me qui lasciar de la mia vita in forse?
16.63.5 Né un momento indugiò, né un breve aiuto
16.63.6 nel caso estremo il traditor mi porse?
16.63.7 Ed io pur ancor l' amo, e in questo lido
16.63.8 invendicata ancor piango e m' assido?
16.64.1 Che fa più meco il pianto? altr' arme, altr' arte
16.64.2 io non ho dunque? Ahi! seguirò pur l' empio,
16.64.3 né l' abisso per lui riposta parte,
16.64.4 né il ciel sarà per lui securo tempio.
16.64.5 Già 'l giungo, e 'l prendo, e 'l cor gli svello, e sparte
16.64.6 le membra appendo, a i dispietati essempio.
16.64.7 Mastro è di ferità? vuo' superarlo
16.64.8 ne l' arti sue... Ma dove son? che parlo?
16.65.1 Misera Armida, allor dovevi, e degno
16.65.2 ben era, in quel crudele incrudelire
16.65.3 che tu prigion l' avesti; or tardo sdegno
16.65.4 t' infiamma, e movi neghittosa a l' ire.
16.65.5 Pur se beltà può nulla o scaltro ingegno,
16.65.6 non fia vòto d' effetto il mio desire.
16.65.7 O mia sprezzata forma, a te s' aspetta
16.65.8 (ché tua l' ingiuria fu) l' alta vendetta.
16.66.1 Questa bellezza mia sarà mercede
16.66.2 del troncator de l' essecrabil testa.
16.66.3 O miei famosi amanti, ecco si chiede
16.66.4 difficil sì da voi ma impresa onesta.
16.66.5 Io che sarò d' ampie ricchezze erede,
16.66.6 d' una vendetta in guiderdon son presta.
16.66.7 S' esser compra a tal prezzo indegna sono,
16.66.8 beltà, sei di natura inutil dono.
16.67.1 Dono infelice, io ti rifiuto; e insieme
16.67.2 odio l' esser reina e l' esser viva,
16.67.3 e l' esser nata mai; sol fa la speme
16.67.4 de la dolce vendetta ancor ch' io viva.--
16.67.5 Così in voci interrotte irata freme
16.67.6 e torce il piè da la deserta riva,
16.67.7 mostrando ben quanto ha furor raccolto,
16.67.8 sparsa il crin, bieca gli occhi, accesa il volto.
16.68.1 Giunta a gli alberghi suoi chiamò trecento
16.68.2 con lingua orrenda deità d' Averno.
16.68.3 S' empie il ciel d' atre nubi, e in un momento
16.68.4 impallidisce il gran pianeta eterno,
16.68.5 e soffia e scote i gioghi alpestri il vento.
16.68.6 Ecco già sotto i piè mugghiar l' inferno:
16.68.7 quanto gira il palagio udresti irati
16.68.8 sibili ed urli e fremiti e latrati.
16.69.1 Ombra più che di notte, in cui di luce
16.69.2 raggio misto non è, tutto il circonda,
16.69.3 se non se in quanto un lampeggiar riluce
16.69.4 per entro la caligine profonda.
16.69.5 Cessa al fin l' ombra, e i raggi il sol riduce
16.69.6 pallidi; né ben l' aura anco è gioconda,
16.69.7 né più il palagio appar, né pur le sue
16.69.8 vestigia, né dir puossi: --Egli qui fue.--
16.70.1 Come imagin talor d' immensa mole
16.70.2 forman nubi ne l' aria e poco dura,
16.70.3 ché 'l vento la disperde o solve il sole,
16.70.4 come sogno se 'n va ch' egro figura,
16.70.5 così sparver gli alberghi, e restàr sole
16.70.6 l' alpe e l' orror che fece ivi natura.
16.70.7 Ella su 'l carro suo, che presto aveva,
16.70.8 s' assise, e come ha in uso al ciel si leva.
16.71.1 Calca le nubi e tratta l' aure a volo,
16.71.2 cinta di nembi e turbini sonori,
16.71.3 passa i lidi soggetti a l' altro polo
16.71.4 e le terre d' ignoti abitatori;
16.71.5 passa d' Alcide i termini, né 'l suolo
16.71.6 appressa de gli Espèri o quel de' Mori,
16.71.7 ma su i mari sospeso il corso tiene
16.71.8 insin che a i lidi di Soria perviene.
16.72.1 Quinci a Damasco non s' invia, ma schiva
16.72.2 il già sì caro de la patria aspetto,
16.72.3 e drizza il carro a l' infeconda riva
16.72.4 ove è tra l' onde il suo castello eretto.
16.72.5 Qui giunta, i servi e le donzelle priva
16.72.6 di sua presenza e sceglie ermo ricetto;
16.72.7 e fra vari pensier dubbia s' aggira,
16.72.8 ma tosto cede la vergogna a l' ira.
16.73.1 -- Io n' andrò pur, -- dice ella -- anzi che l' armi
16.73.2 de l' Oriente il re d' Egitto mova.
16.73.3 Ritentar ciascun' arte e trasmutarmi
16.73.4 in ogni forma insolita mi giova,
16.73.5 trattar l' arco e la spada, e serva farmi
16.73.6 de' più potenti e concitargli a prova:
16.73.7 pur che le mie vendette io veggia in parte,
16.73.8 il rispetto e l' onor stiasi in disparte.
16.74.1 Non accusi già me, biasmi se stesso
16.74.2 il mio custode e zio che così volse.
16.74.3 Ei l' alma baldanzosa e 'l fragil sesso
16.74.4 a i non debiti uffici in prima volse;
16.74.5 esso mi fe' donna vagante, ed esso
16.74.6 spronò l' ardire e la vergogna sciolse:
16.74.7 tutto si rechi a lui ciò che d' indegno
16.74.8 fei per amore o che farò per sdegno. --
16.75.1 Così risolse, e cavalieri e donne,
16.75.2 paggi e sergenti frettolosa aduna;
16.75.3 e ne' superbi arnesi e ne le gonne
16.75.4 l' arte dispiega e la regal fortuna,
16.75.5 e in via si pone; e non è mai ch' assonne
16.75.6 o che si posi al sole od a la luna,
16.75.7 sin che non giunge ove le schiere amiche
16.75.8 coprian di Gaza le campagne apriche.
CANTO XVII
17.1.1 Gaza è città de la Giudea nel fine,
17.1.2 su quella via ch' invèr Pelusio mena,
17.1.3 posta in riva del mare, ed ha vicine
17.1.4 immense solitudini d' arena,
17.1.5 le quai, come Austro suol l' onde marine,
17.1.6 mesce il turbo spirante, onde a gran pena
17.1.7 ritrova il peregrin riparo o scampo
17.1.8 ne le tempeste de l' instabil campo.
17.2.1 Del re d' Egitto è la città frontiera,
17.2.2 da lui gran tempo inanzi a i Turchi tolta;
17.2.3 e però ch' opportuna e prossima era
17.2.4 a l' alta impresa ove la mente ha vòlta,
17.2.5 lasciando Egitto e la sua regia altera
17.2.6 qui traslato il gran seggio e qui raccolta
17.2.7 già da varie provincie insieme avea
17.2.8 l' innumerabil oste a l' assemblea.
17.3.1 Musa, quale stagione e qual là fosse
17.3.2 stato di cose or tu mi reca a mente:
17.3.3 qual arme il grande imperator, quai posse,
17.3.4 qual serva avesse e qual compagna gente,
17.3.5 quando del Mezzogiorno in guerra mosse
17.3.6 le forze e i regi e l' ultimo Oriente;
17.3.7 tu sol le schiere e i duci e sotto l' arme
17.3.8 mezzo il mondo raccolto, or puoi dettarme.
17.4.1 Poscia che ribellante al greco impero
17.4.2 si sottrasse l' Egitto e mutò fede,
17.4.3 del sangue di Macon nato un guerriero
17.4.4 se 'n fe' tiranno e vi fondò la sede.
17.4.5 Ei fu detto Califfo, e del primiero
17.4.6 chi n' ha lo scettro al nome anco succede.
17.4.7 Così per ordin lungo il Nilo i suoi
17.4.8 Faraon vide e i Tolomei dopoi.
17.5.1 Volgendo gli anni, il regno è stabilito
17.5.2 ed accresciuto in guisa tal che viene,
17.5.3 Asia e Libia ingombrando, al sirio lito
17.5.4 da' marmarici fini e da Cirene,
17.5.5 e passa a dentro incontra a l' infinito
17.5.6 corso del Nilo assai sovra Siene,
17.5.7 e quinci a le campagne inabitate
17.5.8 va de la sabbia e quindi al grande Eufrate.
17.6.1 A destra ed a sinistra in sé comprende
17.6.2 l' odorata maremma e 'l ricco mare,
17.6.3 e fuor de l' Eritreo molto si stende
17.6.4 incontra al sol che matutino appare.
17.6.5 L' imperio ha in sé gran forze, e più le rende
17.6.6 il re ch' or lo governa illustri e chiare,
17.6.7 ch' è per sangue signor, ma più per merto,
17.6.8 ne l' arti regie e militari esperto.
17.7.1 Questi or co' Turchi, or con le genti perse
17.7.2 più guerre fe': le mosse e le respinse;
17.7.3 fu perdente e vincente, e ne le averse
17.7.4 fortune fu maggior che quando vinse.
17.7.5 Poi che la grave età più non sofferse
17.7.6 de l' armi il peso, alfin la spada scinse;
17.7.7 ma non depose il suo guerriero ingegno,
17.7.8 e d' onor il desio vasto e di regno.
17.8.1 Ancor guerreggia per ministri, ed have
17.8.2 tanto vigor di mente e di parole
17.8.3 che de la monarchia la soma grave
17.8.4 non sembra a gli anni suoi soverchia mole.
17.8.5 Sparsa in minuti regni Africa pave
17.8.6 tutta al suo nome e 'l remoto Indo il cole,
17.8.7 e gli porge altri volontario aiuto
17.8.8 d' armate genti ed altri d' or tributo.
17.9.1 Tanto e sì fatto re l' arme raguna,
17.9.2 anzi pur adunate omai l' affretta
17.9.3 contra il sorgente imperio e la fortuna
17.9.4 franca, ne le vittorie omai sospetta.
17.9.5 Armida ultima vien: giunge opportuna
17.9.6 ne l' ora a punto a la rassegna eletta.
17.9.7 Fuor de le mura in spazioso campo
17.9.8 passa dinanzi a lui schierato il campo.
17.10.1 Egli in sublime soglio, a cui per cento
17.10.2 gradi eburnei s' ascende, altero siede;
17.10.3 e sotto l' ombra d' un gran ciel d' argento
17.10.4 porpora intesta d' or preme co 'l piede,
17.10.5 e ricco di barbarico ornamento
17.10.6 in abito regal splender si vede:
17.10.7 fan torti in mille fascie i bianchi lini
17.10.8 alto diadema in nova forma a i crini.
17.11.1 Lo scettro ha ne la destra, e per canuta
17.11.2 barba appar venerabile e severo;
17.11.3 e da gli occhi, ch' etade ancor non muta,
17.11.4 spira l' ardire e 'l suo vigor primiero,
17.11.5 e ben da ciascun atto è sostenuta
17.11.6 la maestà de gli anni e de l' impero.
17.11.7 Apelle forse o Fidia in tal sembiante
17.11.8 Giove formò, ma Giove allor tonante.
17.12.1 Stannogli, a destra l' un, l' altro a sinistra,
17.12.2 due satrapi, i maggiori: alza il più degno
17.12.3 la nuda spada, del rigor ministra,
17.12.4 l' altro il sigillo ha del suo ufficio in segno.
17.12.5 Custode un de' secreti, al re ministra
17.12.6 opra civil ne' grandi affar del regno,
17.12.7 ma prence de gli esserciti e con piena
17.12.8 possanza è l' altro ordinator di pena.
17.13.1 Sotto, folta corona al seggio fanno
17.13.2 con fedel guardia i suoi Circassi astati,
17.13.3 ed oltre l' aste hanno corazze ed hanno
17.13.4 spade lunghe e ricurve a l' un de' lati.
17.13.5 Così sedea, così scopria il tiranno
17.13.6 d' eccelsa parte i popoli adunati;
17.13.7 tutte a' suoi piè nel trapassar le schiere
17.13.8 chinan, quasi adorando, armi e bandiere.
17.14.1 Il popol de l' Egitto in ordin primo
17.14.2 fa di sé mostra, e quattro i duci sono:
17.14.3 duo de l' alto paese e duo de l' imo,
17.14.4 ch' è del celeste Nilo opera e dono.
17.14.5 Al mare usurpò il letto il fertil limo,
17.14.6 e rassodato al cultivar fu buono;
17.14.7 sì crebbe Egitto: oh quanto a dentro è posto
17.14.8 quel che fu lido a i naviganti esposto!
17.15.1 Nel primiero squadron appar la gente
17.15.2 ch' abitò d' Alessandria il ricco piano,
17.15.3 ch' abitò il lido vòlto a l' occidente
17.15.4 ch' esser comincia omai lido africano.
17.15.5 Araspe è il duce lor, duce potente
17.15.6 d' ingegno più che di vigor di mano:
17.15.7 ei di furtivi aguati è mastro egregio,
17.15.8 e d' ogn' arte moresca in guerra ha il pregio.
17.16.1 Secondan quei che posti invèr l' aurora
17.16.2 ne la costa asiatica albergaro,
17.16.3 e li guida Arontèo cui nulla onora
17.16.4 pregio o virtù, ma i titoli il fan chiaro.
17.16.5 Non sudò il molle sotto l' elmo ancora,
17.16.6 né matutine trombe anco il destaro,
17.16.7 ma da gli agi e da l' ombra a dura vita
17.16.8 intempestiva ambizion l' invita.
17.17.1 Quella che terza è poi, squadra non pare
17.17.2 ma un' oste immensa, e campi e lidi tiene;
17.17.3 non crederai ch' Egitto mieta ed are
17.17.4 per tanti, e pur da una città sua viene:
17.17.5 città, ch' a le provincie emula e pare,
17.17.6 mille cittadinanze in sé contiene.
17.17.7 Del Cairo i' parlo; indi il gran vulgo adduce,
17.17.8 vulgo a l' arme restio, Campsone il duce.
17.18.1 Vengon sotto Gazèl quei che le biade
17.18.2 segaron nel vicin campo fecondo,
17.18.3 e più suso insin là dove ricade
17.18.4 il fiume al precipizio suo secondo.
17.18.5 La turba egizia avea sol archi e spade,
17.18.6 né sosterria d' elmo o corazza il pondo:
17.18.7 d' abito è ricca, onde altrui vien che porte
17.18.8 desio di preda e non timor di morte.
17.19.1 Poi la plebe di Barca, e nuda, e inerme
17.19.2 quasi, sotto Alarcon passar si vede,
17.19.3 che la vita famelica ne l' erme
17.19.4 piaggie gran tempo sostentò di prede.
17.19.5 Con istuol manco reo ma inetto a ferme
17.19.6 battaglie, di Zumara il re succede;
17.19.7 quel di Tripoli poscia: e l' uno e l' altro
17.19.8 nel pugnar volteggiando è dotto e scaltro.
17.20.1 Diretro ad essi apparvero i cultori
17.20.2 de l' Arabia Petrea, de la Felice,
17.20.3 che 'l soverchio del gelo e de gli ardori
17.20.4 non sente mai, se 'l ver la fama dice;
17.20.5 ove nascon gl' incensi e gli altri odori,
17.20.6 ove rinasce l' immortal fenice,
17.20.7 ch' in quella ricca fabrica ch' aduna
17.20.8 a l' essequie, a i natali, ha tomba e cuna.
17.21.1 L' abito di costoro è meno adorno,
17.21.2 ma l' armi a quei d' Egitto han simiglianti.
17.21.3 Ecco altri Arabi poi, che di soggiorno
17.21.4 certo non sono stabili abitanti:
17.21.5 peregrini perpetui usano intorno
17.21.6 trarne gli alberghi e le cittadi erranti.
17.21.7 Han questi voce e feminil statura,
17.21.8 crin lungo e negro, e negra faccia e scura.
17.22.1 E gran canne indiane arman di corte
17.22.2 punte di ferro, e 'n su destrier correnti
17.22.3 diresti ben che un turbine lor porte,
17.22.4 se pur han turbo sì veloce i venti.
17.22.5 Da Siface le prime erano scòrte,
17.22.6 Aldino in guardia ha le seconde genti,
17.22.7 le terze guida Albiazàr ch' è fiero
17.22.8 omicida ladron, non cavaliero.
17.23.1 La turba è appresso che lasciate avea
17.23.2 l' isole cinte da l' arabiche onde,
17.23.3 da cui pescando già raccòr solea
17.23.4 conche di perle gravide e feconde.
17.23.5 Sono i Negri con lor su l' eritrea
17.23.6 marina posti a le sinistre sponde.
17.23.7 Quegli Agricalte e questi Osmida regge,
17.23.8 che schernisce ogni fede ed ogni legge.
17.24.1 Gli Etiòpi di Mèroe indi seguiro:
17.24.2 Mèroe, che quindi il Nilo isola face
17.24.3 ed Astrabora quinci, il cui gran giro
17.24.4 è di tre regni e di due fé capace.
17.24.5 Li conducea Canario ed Assimiro,
17.24.6 re l' uno e l' altro e di Macon seguace
17.24.7 e tributario al Califé; ma tenne
17.24.8 santa credenza il terzo e qui non venne.
17.25.1 Poi due regi soggetti anco venieno
17.25.2 con squadre d' arco armate e di quadrella:
17.25.3 un, soldano è d' Ormùs, che dal gran seno
17.25.4 persico è cinta, nobil terra e bella;
17.25.5 l' altro, di Boecan; questa è nel seno
17.25.6 del gran flusso marino isola anch' ella,
17.25.7 ma quando poi scemando il mar s' abbassa,
17.25.8 co 'l piede asciutto il peregrin vi passa.
17.26.1 Né te, Altamoro, entro al pudico letto
17.26.2 potuto ha ritener la sposa amata.
17.26.3 Pianse, percosse il biondo crine e 'l petto
17.26.4 per distornar la tua fatale andata:
17.26.5 -- Dunque, -- dicea -- crudel, più che 'l mio aspetto,
17.26.6 del mar l' orrida faccia a te fia grata?
17.26.7 fia l' arme al braccio tuo più caro peso
17.26.8 che 'l picciol figlio a i dolci scherzi inteso?--
17.27.1 È questi re di Sarmacante; e 'l manco
17.27.2 ch' in lui si pregi, è il libero diadema,
17.27.3 così dotto è ne l' arme, e così franco
17.27.4 ardir congiunge a gagliardia suprema.
17.27.5 Saprallo ben (l' annunzio) il popol franco,
17.27.6 ed è ragion che insino ad or ne tema.
17.27.7 I suoi guerrieri indosso han la corazza,
17.27.8 la spada al fianco ed a l' arcion la mazza.
17.28.1 Ecco poi fin da gl' Indi e da l' albergo
17.28.2 de l' aurora venuto Adrasto il fero,
17.28.3 che di serpenti indosso ha per usbergo
17.28.4 il cuoio verde e maculato a nero,
17.28.5 e smisurato a un elefante il tergo
17.28.6 preme così come si suol destriero.
17.28.7 Gente guida costui di qua dal Gange
17.28.8 che si lava nel mar che l' Indo frange.
17.29.1 Ne la squadra che segue è scelto il fiore
17.29.2 de la regal milizia, e v' ha que' tutti
17.29.3 che con regal mercé, con degno onore,
17.29.4 e per guerra e per pace eran condutti,
17.29.5 ch' armati a securezza ed a terrore
17.29.6 vengono in su i destrier possenti instrutti;
17.29.7 e de' purpurei manti e de la luce
17.29.8 de l' acciaio e de l' oro il ciel riluce.
17.30.1 Fra questi è il crudo Alarco ed Odemaro
17.30.2 ordinator di squadre ed Idraorte,
17.30.3 e Rimedon che per l' audacia è chiaro,
17.30.4 sprezzator de' mortali e de la morte;
17.30.5 e Tigrane e Rapoldo il gran corsaro,
17.30.6 già de' mari tiranno; e Ormondo il forte,
17.30.7 e Marlabusto arabico a chi il nome
17.30.8 l' Arabie dièr che ribellanti ha dome.
17.31.1 Evvi Orindo, Arimon, Pirga, Brimarte
17.31.2 espugnator de le città, Sifante
17.31.3 domator de' cavalli; e tu de l' arte
17.31.4 de la lotta maestro, Aridamante;
17.31.5 e Tisaferno, il folgore di Marte,
17.31.6 a cui non è chi d' agguagliar si vante
17.31.7 o se in arcione o se pedon contrasta,
17.31.8 o se rota la spada o corre l' asta.
17.32.1 Ma duce è un prence armeno il qual tragitto
17.32.2 al paganesmo ne l' età novella
17.32.3 fe' da la vera fede, ed ove ditto
17.32.4 fu già Clemente, ora Emiren s' appella;
17.32.5 per altro, uom fido e caro al re d' Egitto
17.32.6 sovra quanti per lui calcàr mai sella:
17.32.7 è duce insieme e cavalier soprano
17.32.8 per cor, per senno e per valor di mano.
17.33.1 Nessun più rimanea, quando improvisa
17.33.2 Armida apparve e dimostrò sua schiera.
17.33.3 Venia sublime in un gran carro assisa,
17.33.4 succinta in gonna e faretrata arciera;
17.33.5 e mescolato il novo sdegno in guisa
17.33.6 co 'l natio dolce in quel bel volto s' era,
17.33.7 che vigor da le, e cruda ed acerbetta
17.33.8 par che minacci e minacciando alletta.
17.34.1 Somiglia il carro a quel che porta il giorno,
17.34.2 lucido di piropi e di giacinti;
17.34.3 e frena il dotto auriga al giogo adorno
17.34.4 quattro unicorni a coppia a coppia avinti.
17.34.5 Cento donzelle e cento paggi intorno
17.34.6 pur di faretra gli omeri van cinti,
17.34.7 ed a i bianchi destrier premono il dorso
17.34.8 che sono al giro pronti e lievi al corso.
17.35.1 Segue il suo stuolo, ed Aradin con quello
17.35.2 ch' Idraote assoldò ne la Soria.
17.35.3 Come allor che 'l rinato unico augello
17.35.4 i suo' Etiòpi a visitar s' invia
17.35.5 vario e vago la piuma, e ricco e bello
17.35.6 di monil, di corona aurea natia,
17.35.7 stupisce il mondo, e va dietro ed a i lati,
17.35.8 meravigliando, essercito d' alati,
17.36.1 così passa costei, meravigliosa
17.36.2 d' abito, di maniere e di sembiante.
17.36.3 Non è allor sì inumana o sì ritrosa
17.36.4 alma d' amor che non divegna amante.
17.36.5 Veduta a pena e in gravità sdegnosa,
17.36.6 invaghir può genti sì varie e tante;
17.36.7 che sarà poi, quando in più lieto viso
17.36.8 co' begli occhi lusinghi e co 'l bel riso?
17.37.1 Ma poi ch' ella è passata, il re de' regi
17.37.2 comanda ch' Emireno a sé ne vegna,
17.37.3 ché lui preporre a tutti i duci egregi
17.37.4 e duce farlo universal disegna.
17.37.5 Quel, già presago, a i meritati pregi
17.37.6 con fronte vien che ben del grado è degna:
17.37.7 la guardia de' Circassi in due si fende
17.37.8 e gli fa strada al seggio, ed ei v' ascende;
17.38.1 e chino il capo e le ginocchia, al petto
17.38.2 giunge la destra. Il re così gli dice:
17.38.3 -- Te' questo scettro; a te, Emiren, commetto
17.38.4 le genti, e tu sostieni in lor mia vice,
17.38.5 e porta, liberando il re soggetto,
17.38.6 su' Franchi l' ira mia vendicatrice.
17.38.7 Va', vedi e vinci; e non lasciar de' vinti
17.38.8 avanzo, e mena presi i non estinti.--
17.39.1 Così parlò il tiranno, e del soprano
17.39.2 imperio il cavalier la verga prese:
17.39.3 -- Prendo scettro, signor, d' invitta mano,--
17.39.4 disse -- e vo co' tuo' auspici a l' alte imprese,
17.39.5 e spero, in tua virtù, tuo capitano,
17.39.6 de l' Asia vendicar le gravi offese;
17.39.7 né tornerò se vincitor non torno,
17.39.8 e la perdita avrà morte, non scorno.
17.40.1 Ben prego il Ciel che, s' ordinato male
17.40.2 (ch' io già no 'l credo) di là su minaccia,
17.40.3 tutta su 'l capo mio quella fatale
17.40.4 tempesta accolta di sfogar gli piaccia;
17.40.5 e salvo rieda il campo, e 'n trionfale
17.40.6 più che in funebre pompa il duce giaccia. --
17.40.7 Tacque, e seguì co' popolari accenti
17.40.8 misto un gran suon de' barbari instrumenti.
17.41.1 E fra le grida e i suoni in mezzo a densa
17.41.2 nobile turba il re de' re si parte;
17.41.3 e giunto a la gran tenda, a lieta mensa
17.41.4 raccoglie i duci e siede egli in disparte,
17.41.5 ond' or cibo, or parole altrui dispensa,
17.41.6 né lascia inonorata alcuna parte.
17.41.7 Armida a l' arte sue ben trova loco
17.41.8 quivi opportun fra l' allegrezza e 'l gioco.
17.42.1 Ma già tolte le mense, ella che vede
17.42.2 tutte le viste in sé fisse ed intente,
17.42.3 e ch' a' segni ben noti omai s' avede
17.42.4 che sparso è il suo venen per ogni mente,
17.42.5 sorge e si volge al re da la sua sede
17.42.6 con atto insieme altero e riverente,
17.42.7 e quanto può magnanima e feroce
17.42.8 cerca parer nel volto e ne la voce.
17.43.1 -- O re supremo, -- dice -- anch' io ne vegno
17.43.2 per la fé, per la patria ad impiegarmi.
17.43.3 Donna son io, ma regal donna: indegno
17.43.4 già di reina il guerreggiar non parmi.
17.43.5 Usi ogn' arte regal chi vuol il regno,
17.43.6 dansi a l' istessa man lo scettro e l' armi;
17.43.7 saprà la mia (né torpe al ferro o langue)
17.43.8 ferir e trar da le ferite il sangue.
17.44.1 Né creder che sia questo il dì primiero
17.44.2 ch' a ciò nobil m' invoglia alta vaghezza,
17.44.3 ché in pro di nostra legge e del tuo impero
17.44.4 son io già prima a militar avezza.
17.44.5 Ben rammentar déi tu s' io dico il vero,
17.44.6 ché d' alcun' opra nostra hai pur contezza,
17.44.7 e sai che molti de' maggior campioni
17.44.8 che dispieghin la Croce io fèi prigioni.
17.45.1 Da me presi ed avinti, e da me furo
17.45.2 in magnifico dono a te mandati;
17.45.3 ed ancor si stariano in fondo oscuro
17.45.4 di perpetua prigion per te guardati,
17.45.5 e saresti ora tu via più securo
17.45.6 di terminar vincendo i tuoi gran piati,
17.45.7 se non che 'l fier Rinaldo, il qual uccise
17.45.8 i miei guerrieri, in libertà li mise.
17.46.1 Chi sia Rinaldo, è noto; e qui di lui
17.46.2 lunga istoria di cose anco si conta:
17.46.3 questo è il crudel ond' aspramente fui
17.46.4 offesa poi, né vendicata ho l' onta;
17.46.5 onde sdegno a ragione aggiunge i sui
17.46.6 stimoli, e più mi rende a l' arme pronta.
17.46.7 Ma qual sia la mia ingiuria, a lungo detta
17.46.8 saravvi; or tanto basti: io vuo' vendetta.
17.47.1 E la procurerò, ché non invano
17.47.2 soglion portarne ogni saetta i venti,
17.47.3 e la destra del Ciel di giusta mano
17.47.4 drizza l' arme talor contra i nocenti;
17.47.5 ma s' alcun fia ch' al barbaro inumano
17.47.6 tronchi il capo odioso e me 'l presenti,
17.47.7 a grado avrò questa vendetta ancora,
17.47.8 benché fatta da me più nobil fòra,
17.48.1 a grado sì che gli sarà concessa
17.48.2 quella ch' io posso dar maggior mercede:
17.48.3 me d' un tesor dotata e di me stessa
17.48.4 in moglie avrà, s' in guiderdon mi chiede.
17.48.5 Così ne faccio qui stabil promessa,
17.48.6 così ne giuro inviolabil fede.
17.48.7 Or s' alcun è che stimi i premi nostri
17.48.8 degni del rischio, parli e si dimostri.--
17.49.1 Mentre la donna in guisa tal favella,
17.49.2 Adrasto affigge in lei cupidi gli occhi:
17.49.3 -- Tolga il Ciel -- dice poi -- che le quadrella
17.49.4 nel barbaro omicida unqua tu scocchi,
17.49.5 ché non è degno un cor villano, o bella
17.49.6 saettatrice, che tuo colpo il tocchi.
17.49.7 Atto de l' ira tua ministro sono,
17.49.8 ed io del capo suo ti farò dono.
17.50.1 Io sterparogli il core, io darò in pasto
17.50.2 le membra lacerate a gli avoltoi.--
17.50.3 Così parlava l' indiano Adrasto,
17.50.4 né soffrì Tisaferno i vanti suoi:
17.50.5 -- E chi sei, -- disse -- tu, che sì gran fasto
17.50.6 mostri, presente il re, presenti noi?
17.50.7 Forse è qui tal ch' ogni tuo vanto audace
17.50.8 supererà co' fatti, e pur si tace.--
17.51.1 Rispose l' indo fero: -- Io mi son uno
17.51.2 ch' appo l' opre il parlare ho scarso e scemo.
17.51.3 Ma s' altrove che qui così importuno
17.51.4 parlavi, tu parlavi il detto estremo.--
17.51.5 Seguito avrian, ma raffrenò ciascuno
17.51.6 dimostrando la destra il re supremo.
17.51.7 Disse ad Armida poi:-- Donna gentile,
17.51.8 ben hai tu cor magnanimo e virile;
17.52.1 e ben sei degna a cui suoi sdegni ed ire
17.52.2 l' uno e l' altro di lor conceda e done,
17.52.3 perché tu poscia a voglia tua le gire
17.52.4 contra quel forte predator fellone.
17.52.5 Là fian meglio impiegate, e 'l vostro ardire
17.52.6 là può chiaro mostrarsi in paragone.--
17.52.7 Tacque, ciò detto; e quegli offerta nova
17.52.8 fecero a lei di vendicarla a prova.
17.53.1 Né quelli pur, ma qual più in guerra è chiaro
17.53.2 la lingua al vanto ha baldanzosa e presta.
17.53.3 S' offerser tutti a lei, tutti giuraro
17.53.4 vendetta far su l' essecrabil testa,
17.53.5 tante contra il guerrier ch' ebbe sì caro
17.53.6 armi or costei commove e sdegni desta.
17.53.7 Ma esso, poi ch' abbandonò la riva,
17.53.8 felicemente al gran corso veniva.
17.54.1 Per le medesme vie ch' in prima corse,
17.54.2 la navicella indietro si raggira;
17.54.3 e l' aura, ch' a le vele il volo porse,
17.54.4 non men seconda al ritornar vi spira.
17.54.5 Il giovenetto or guarda il polo e l' Orse
17.54.6 ed or le stelle rilucenti mira,
17.54.7 via de l' opaca notte, or fiumi e monti
17.54.8 che sporgono su 'l mar l' alpestre fronti;
17.55.1 or lo stato del campo, or il costume
17.55.2 di varie genti investigando intende.
17.55.3 E tanto van per le salate spume,
17.55.4 che lor da l' orto il quarto sol risplende;
17.55.5 e quando omai n' è disparito il lume,
17.55.6 la nave terra finalmente prende.
17.55.7 Disse la donna allor:-- Le palestine
17.55.8 piaggie son qui: qui del viaggio è il fine.--
17.56.1 Quinci i tre cavalier su 'l lito spose,
17.56.2 e sparve in men che non si forma un detto.
17.56.3 Sorgea la notte intanto, e de le cose
17.56.4 confondea i vari aspetti un solo aspetto.
17.56.5 E in quelle solitudini arenose
17.56.6 essi veder non ponno o muro o tetto,
17.56.7 né d' uomo o di destriero appaion l' orme
17.56.8 o d' altro pur che del camin gli informe.
17.57.1 Poi che stati sospesi alquanto foro,
17.57.2 mossero i passi e dièr le spalle al mare.
17.57.3 Ed ecco di lontano a gli occhi loro
17.57.4 un non so che di luminoso appare,
17.57.5 che con raggi d' argento e lampi d' oro
17.57.6 la notte illustra e fa l' ombre più rare.
17.57.7 Essi ne vanno allor contra la luce,
17.57.8 e già veggion che sia quel che sì luce.
17.58.1 Veggiono a un grosso tronco armi novelle
17.58.2 incontra i raggi de la luna appese,
17.58.3 e fiammeggiar, più che nel ciel le stelle,
17.58.4 gemme ne l' elmo aurato e ne l' arnese;
17.58.5 e scoprono a quel lume imagin belle
17.58.6 nel grande scudo in lungo ordine stese.
17.58.7 Presso, quasi custode, un vecchio siede
17.58.8 che contra lor se 'n va, come li vede.
17.59.1 Ben è da' due guerrier riconosciuto
17.59.2 di saggio amico il venerabil volto.
17.59.3 Ma, poi che ricevé lieto saluto
17.59.4 e ch' ebbe lor cortesemente accolto,
17.59.5 al giovenetto, il qual tacito e muto
17.59.6 il riguardava, il ragionar rivolto:
17.59.7 --Signor, te sol -- gli disse -- io qui soletto
17.59.8 in cotal ora desiando aspetto,
17.60.1 ché, se no 'l sai, ti sono amico; e quanto
17.60.2 curi le cose tue chiedilo a questi,
17.60.3 ch' essi, scòrti da me, vinser l' incanto
17.60.4 ove tua vita misera traesti.
17.60.5 Or odi i detti miei, contrari al canto
17.60.6 de le sirene, e non ti sian molesti,
17.60.7 ma gli serba nel cor fin che distingua
17.60.8 meglio a te il ver più saggia e santa lingua.
17.61.1 Signor, non sotto l' ombra in piaggia molle
17.61.2 tra fonti e fior, tra ninfe e tra sirene,
17.61.3 ma in cima a l' erto e faticoso colle
17.61.4 de la virtù riposto è il nostro bene.
17.61.5 Chi non gela e non suda e non s' estolle
17.61.6 da le vie del piacer, là non perviene.
17.61.7 Or vorrai tu lungi da l' alte cime
17.61.8 giacer, quasi tra valli augel sublime?
17.62.1 T' alzò natura inverso il ciel la fronte,
17.62.2 e ti diè spirti generosi ed alti,
17.62.3 perché in su miri e con illustri e conte
17.62.4 opre te stesso al sommo pregio essalti;
17.62.5 e ti diè l' ire ancor veloci e pronte,
17.62.6 non perché l' usi ne' civili assalti,
17.62.7 né perché sian di desideri ingordi
17.62.8 elle ministre, ed a ragion discordi,
17.63.1 ma perché il tuo valore, armato d' esse,
17.63.2 più fero assalga gli aversari esterni,
17.63.3 e sian con maggior forza indi ripresse
17.63.4 le cupidigie, empi nemici interni.
17.63.5 Dunque ne l' uso per cui fur concesse
17.63.6 l' impieghi il saggio duce e le governi,
17.63.7 ed a suo senno or tepide or ardenti
17.63.8 le faccia, ed or le affretti ed or le allenti.--
17.64.1 Così parlava; e l' altro, attento e cheto
17.64.2 a le parole sue d' alto consiglio,
17.64.3 fea de' detti conserva, e mansueto
17.64.4 volgeva a terra e vergognoso il ciglio.
17.64.5 Ben vide il mago veglio il suo secreto,
17.64.6 e gli soggiunse:-- Alza la fronte, o figlio,
17.64.7 e in questo scudo affissa gli occhi omai,
17.64.8 ch' ivi de' tuoi maggior l' opre vedrai.
17.65.1 Vedrai de gli avi il divulgato onore,
17.65.2 lunge precorso in loco erto e solingo;
17.65.3 tu dietro anco riman', lento cursore,
17.65.4 per questo de la gloria illustre arringo.
17.65.5 Su su, te stesso incita: al tuo valore
17.65.6 sia sferza e spron quel ch' io colà dipingo.--
17.65.7 Così diceva; e 'l cavalier affisse
17.65.8 lo sguardo là, mentre colui sì disse.
17.66.1 Con sottil magistero in campo angusto
17.66.2 forme infinite espresse il fabro dotto.
17.66.3 Del sangue d' Azio, glorioso, augusto
17.66.4 l' ordin vi si vedea, nulla interrotto:
17.66.5 vedeasi dal roman fonte vetusto
17.66.6 i suoi rivi dedur puro e incorrotto.
17.66.7 Stan coronati i principi d' alloro,
17.66.8 mostra il vecchio le guerre e i pregi loro.
17.67.1 Mostragli Caio, allor ch' a strane genti
17.67.2 va prima in preda il già inclinato impero,
17.67.3 prendere il fren de' popoli volenti
17.67.4 e farsi d' Esti il principe primiero,
17.67.5 ed a lui ricovrarsi i men potenti
17.67.6 vicini a cui rettor facea mestiero.
17.67.7 Poscia, quando ripassa il varco noto,
17.67.8 a gli inviti d' Onorio, il fero goto,
17.68.1 e quando sembra che più avampi e ferva
17.68.2 di barbarico incendio Italia tutta,
17.68.3 e quando Roma, prigioniera e serva,
17.68.4 sin dal profondo teme esser destrutta,
17.68.5 mostra ch' Aurelio in libertà conserva
17.68.6 la gente sotto al suo scettro ridutta.
17.68.7 Mostragli poi Foresto che s' oppone
17.68.8 a l' unno regnator de l' Aquilone.
17.69.1 Ben si conosce al volto Attila il fello,
17.69.2 ché con occhi di drago ei par che guati,
17.69.3 ed ha faccia di cane, ed a vedello
17.69.4 dirai che ringhi e udir credi i latrati;
17.69.5 poi vinto il fero in singolar duello
17.69.6 mirasi rifuggir fra gli altri armati,
17.69.7 e la difesa d' Aquilea poi tòrre
17.69.8 il buon Foresto, de l' Italia Ettorre.
17.70.1 Altrove è la sua morte, e 'l suo destino
17.70.2 è destin de la patria. Ecco l' erede
17.70.3 del padre grande il gran figlio Acarino,
17.70.4 ch' a l' italico onor campion succede.
17.70.5 Cedeva a i fati, e non a gli Unni, Altino,
17.70.6 poi riparava in più secura sede;
17.70.7 poi raccoglieva una città di mille
17.70.8 in val di Po case disperse in ville.
17.71.1 Contra il gran fiume ch' in diluvio ondeggia
17.71.2 muniasi, e quindi la città sorgea
17.71.3 che ne' futuri secoli la reggia
17.71.4 de' magnanimi Estensi esser dovea.
17.71.5 Par che rompa gli Alani e che si veggia
17.71.6 contra Odoacro aver fortuna rea,
17.71.7 e morir per l' Italia: oh nobil morte,
17.71.8 che de l' onor paterno il fa consorte!
17.72.1 Cader seco Alforisio, ire in essiglio
17.72.2 Azzo si vede e 'l suo fratel con esso,
17.72.3 e ritornar con l' arme e co 'l consiglio,
17.72.4 dapoi che fu il tiranno erulo oppresso.
17.72.5 Trafitto di saetta il destro ciglio,
17.72.6 segue l' estense Epaminonda appresso;
17.72.7 e par lieto morir, poscia che 'l crudo
17.72.8 Totila è vinto e salvo il caro scudo.
17.73.1 Di Bonifacio parlo; e fanciulletto
17.73.2 premea Valerian l' orme del padre:
17.73.3 già di destra viril, viril di petto,
17.73.4 cento no 'l sostenean gotiche squadre.
17.73.5 Non lunge, ferocissimo in aspetto,
17.73.6 fea contra Schiavi Ernesto opre leggiadre;
17.73.7 ma inanzi a lui l' intrepido Aldoardo
17.73.8 da Monscelce escludeva il re lombardo.
17.74.1 Enrico v' era e Berengario; e dove
17.74.2 spiega il gran Carlo la sua augusta insegna,
17.74.3 par ch' egli il primo feritor si trove,
17.74.4 ministro o capitan d' impresa degna.
17.74.5 Poi segue Lodovico, e quegli il move
17.74.6 contra il nipote ch' in Italia regna:
17.74.7 ecco in battaglia il vince e 'l fa prigione;
17.74.8 eravi poi co' cinque figli Ottone.
17.75.1 V' era Almerico; e si vedea già fatto
17.75.2 de la città, donna del Po, marchese.
17.75.3 Devotamente il ciel riguarda, in atto
17.75.4 di contemplante, il fondator di chiese.
17.75.5 D' incontra Azzo secondo avean ritratto
17.75.6 far contra Berengario aspre contese;
17.75.7 e dopo un corso di fortuna alterno
17.75.8 vinceva, e de l' Italia avea il governo.
17.76.1 Vedi Alberto il figliuolo ir fra' Germani
17.76.2 e colà far le sue virtù sì note,
17.76.3 che, vinti in giostra e vinti in guerra i Dani,
17.76.4 genero il compra Otton con larga dote.
17.76.5 Vedigli a tergo Ugon, quel ch' a' Romani
17.76.6 fiaccar le corna impetuoso pote,
17.76.7 e che marchese de l' Italia fia
17.76.8 detto e Toscana tutta avrà in balia.
17.77.1 Poscia Tedaldo, e Bonifacio a canto
17.77.2 di Beatrice sua poi v' era espresso.
17.77.3 Non si vedea virile erede a tanto
17.77.4 retaggio a sì gran padre esser successo.
17.77.5 Seguia Matelda, ed adempia ben quanto
17.77.6 difetto par nel numero e nel sesso,
17.77.7 ché può la saggia e valorosa donna
17.77.8 sovra corone e scettri alzar la gonna.
17.78.1 Spira spiriti maschi in nobil volto,
17.78.2 mostra vigor più che viril lo sguardo:
17.78.3 là configea i Normanni, e 'n fuga vòlto
17.78.4 si dileguava il già invitto Guiscardo;
17.78.5 qui rompea Enrico il quarto, ed a lui tolto
17.78.6 offriva al tempio imperial stendardo;
17.78.7 qui riponea il pontefice soprano
17.78.8 nel gran soglio di Pietro in Vaticano.
17.79.1 Poi vedi, in guisa d' uom ch' onori ed ami,
17.79.2 ch' or l' è al fianco Azzo il quinto, or la seconda.
17.79.3 Ma d' Azzo il quarto in più felici rami
17.79.4 germogliava la prole alma e feconda.
17.79.5 Va dove par che la Germania il chiami
17.79.6 Guelfo il figliuol, figliuol di Cunigonda;
17.79.7 e 'l buon germe roman con destro fato
17.79.8 è ne' campi bavarici traslato.
17.80.1 Là d' un gran ramo estense ei par ch' inesti
17.80.2 l' arbore di Guelfon, ch' è per sé vieto;
17.80.3 quel ne' suoi Guelfi rinovar vedresti
17.80.4 scettri e corone d' or, più che mai lieto,
17.80.5 e co 'l favor de' bei lumi celesti
17.80.6 andar poggiando, e non aver divieto:
17.80.7 già confina co 'l ciel, già mezza ingombra
17.80.8 la gran Germania, e tutta anco l' adombra.
17.81.1 Ma ne' suoi rami italici fioriva
17.81.2 bella non men la regal pianta a prova.
17.81.3 Bertoldo qui d' incontra a Guelfo usciva,
17.81.4 qui Azzo il sesto i suoi prischi rinova.
17.81.5 Questa è la serie de gli eroi che viva
17.81.6 nel metallo spirante par si mova.
17.81.7 Rinaldo sveglia, in rimirando, mille
17.81.8 spirti d' onor da le natie faville,
17.82.1 e d' emula virtù l' animo altèro
17.82.2 commosso avampa, ed è rapito in guisa
17.82.3 che ciò che imaginando ha nel pensiero,
17.82.4 città abbattuta e presa e gente uccisa,
17.82.5 pur, come sia presente e come vero,
17.82.6 dinanti a gli occhi suoi vedere avisa;
17.82.7 e s' arma frettoloso, e con la spene
17.82.8 già la vittoria usurpa e la previene.
17.83.1 Ma Carlo, il quale a lui del regio erede
17.83.2 di Dania già narrata avea la morte,
17.83.3 la destinata spada allor gli diede:
17.83.4 -- Prendila, -- disse -- e sia con lieta sorte,
17.83.5 e solo in pro de la cristiana fede
17.83.6 l' adopra, giusto e pio non men che forte;
17.83.7 e fa del primo suo signor vendetta
17.83.8 che t' amò tanto, e ben a te s' aspetta.--
17.84.1 Rispose egli al guerriero:-- A i cieli piaccia
17.84.2 che la man che la spada ora riceve,
17.84.3 con lei del suo signor vendetta faccia:
17.84.4 paghi con lei ciò che per lei si deve.--
17.84.5 Carlo, rivolto a lui con lieta faccia,
17.84.6 lunghe grazie ristrinse in sermon breve.
17.84.7 Ma lor s' offriva il mago, ed al viaggio
17.84.8 notturno l' affrettava il nobil saggio.
17.85.1 -- Tempo è -- dicea -- di girne ove t' attende
17.85.2 Goffredo e 'l campo, e ben giungi opportuno.
17.85.3 Or n' andiam pur, ch' a le cristiane tende
17.85.4 scorger ben vi saprò per l' aer bruno.--
17.85.5 Così dice egli, e poi su 'l carro ascende
17.85.6 e lor v' accoglie senza indugio alcuno;
17.85.7 e rallentando a' suoi destrieri il morso
17.85.8 gli sferza, e drizza a l' oriente il corso.
17.86.1 Taciti se ne gian per l' aria nera,
17.86.2 quando al garzon si volge il veglio e dice:
17.86.3 -- Veduto hai tu de la tua stirpe altera
17.86.4 i rami e la vetusta alta radice;
17.86.5 e se ben ella da l' età primiera
17.86.6 stata è fertil d' eroi madre e felice,
17.86.7 non è né fia di partorir mai stanca,
17.86.8 ché per vecchiezza in lei virtù non manca.
17.87.1 E come tratto ho fuor del fosco seno
17.87.2 de l' età prisca i primi padri ignoti,
17.87.3 così potessi ancor scoprire a pieno
17.87.4 ne' secoli avenire i tuoi nepoti,
17.87.5 e pria ch' essi apran gli occhi al bel sereno
17.87.6 di questa luce, farli al mondo noti!
17.87.7 ché de' futuri eroi già non vedresti
17.87.8 l' ordin men lungo, o pur men chiari i gesti.
17.88.1 Ma l' arte mia per sé dentro al futuro
17.88.2 non scorge il ver che troppo occulto giace,
17.88.3 se non caliginoso e dubbio e scuro,
17.88.4 quasi lunge, per nebbia, incerta face;
17.88.5 e se cosa qual certo io m' assecuro
17.88.6 affermarti, non sono in questo audace,
17.88.7 ch' io l' intesi da tal che senza velo
17.88.8 i secreti talor scopre del Cielo.
17.89.1 Quel ch' a lui rivelò luce divina
17.89.2 e ch' egli a me scoperse, io a te predico:
17.89.3 --Non fu mai greca o barbara o latina
17.89.4 progenie, in questo o nel buon tempo antico,
17.89.5 ricca di tanti eroi quanti destina
17.89.6 a te chiari nepoti il Cielo amico,
17.89.7 ch' agguaglieran qual più chiaro si noma
17.89.8 di Sparta, di Cartagine e di Roma.
17.90.1 Ma fra gli altri-- mi disse --Alfonso io sceglio,
17.90.2 primo in virtù ma in titolo secondo,
17.90.3 che nascer dée quando, corrotto e veglio,
17.90.4 povero fia d' uomini illustri il mondo;
17.90.5 questo fia tal che non sarà chi meglio
17.90.6 la spada usi o lo scettro, o meglio il pondo
17.90.7 o de l' arme sostegna o del diadema,
17.90.8 gloria del sangue tuo, gemma suprema.
17.91.1 Darà, fanciullo, in varie imagin fere
17.91.2 di guerra, i segni di valor sublime:
17.91.3 fia terror de le selve e de le fère,
17.91.4 e ne gli arringhi avrà le lodi prime;
17.91.5 poscia riporterà da pugne vere
17.91.6 palme vittoriose e spoglie opime,
17.91.7 e sovente averrà che 'l crin si cigna
17.91.8 or di lauro, or di quercia, or di gramigna.
17.92.1 De la matura età pregi men degni
17.92.2 non fiano stabilir pace e quiete,
17.92.3 mantener sue città fra l' arme e i regni
17.92.4 di possenti vicin tranquille e chete,
17.92.5 nutrire e fecondar l' arti e gl' ingegni,
17.92.6 celebrar giochi illustri e pompe liete,
17.92.7 librar con giusta lance e pene e premi,
17.92.8 mirar da lunge e preveder gli estremi.
17.93.1 Oh s' avenisse mai che contra gli empi
17.93.2 che tutte infesteran le terre e i mari,
17.93.3 e de la pace in quei miseri tempi
17.93.4 daran le leggi a i popoli più chiari,
17.93.5 duce se 'n gisse a vendicare i tèmpi
17.93.6 da lor distrutti e i violati altari,
17.93.7 qual ei giusta faria grave vendetta
17.93.8 su 'l gran tiranno e su l' iniqua setta!
17.94.1 Indarno a lui con mille schiere armate
17.94.2 quinci il Turco opporriasi e quindi il Mauro,
17.94.3 ch' egli portar potrebbe oltre l' Eufrate,
17.94.4 ed oltre i gioghi del nevoso Tauro
17.94.5 ed oltre i regni ov' è perpetua state,
17.94.6 la Croce e 'l bianco augello e i gigli d' auro,
17.94.7 e per battesmo de le nere fronti
17.94.8 del gran Nilo scoprir le ignote fonti.--
17.95.1 Così parlava il veglio, e le parole
17.95.2 lietamente accoglieva il giovenetto,
17.95.3 che del pensier de la futura prole
17.95.4 un tacito piacer sentia nel petto.
17.95.5 L' alba intanto sorgea nunzia del sole,
17.95.6 e 'l ciel cangiava in oriente aspetto,
17.95.7 e su le tende già potean vedere
17.95.8 da lunge il tremolar de le bandiere.
17.96.1 Ricominciò di novo allora il saggio:
17.96.2 -- Vedete il sol che vi riluce in fronte,
17.96.3 e vi discopre con l' amico raggio
17.96.4 le tende e 'l piano e la cittade e 'l monte.
17.96.5 Securi d' ogni intoppo e d' ogni oltraggio
17.96.6 io scòrti v' ho fin qui per vie non conte;
17.96.7 potete senza guida ir per voi stessi
17.96.8 omai; né lece a me che più m' appressi.--
17.97.1 Così tolse congedo, e fe' ritorno
17.97.2 lasciando i cavalier ivi pedoni;
17.97.3 ed essi pur contra il nascente giorno
17.97.4 seguìr lor strada e gìr a i padiglioni.
17.97.5 Portò la fama e divulgò d' intorno
17.97.6 l' aspettato venir dei tre baroni,
17.97.7 e inanzi ad essi al pio Goffredo corse,
17.97.8 che per raccòrli dal suo seggio sorse.
CANTO XVIII
18.1.1 Giunto Rinaldo ove Goffredo è sorto
18.1.2 ad incontrarlo, incominciò:-- Signore,
18.1.3 a vendicarmi del guerrier ch' è morto
18.1.4 cura mi spinse di geloso onore;
18.1.5 e s' io n' offesi te, ben disconforto
18.1.6 ne sentii poscia e penitenza al core.
18.1.7 Or vegno a' tuoi richiami, ed ogni emenda
18.1.8 son pronto a far, che grato a te mi renda.--
18.2.1 A lui ch' umil gli s' inchinò, le braccia
18.2.2 stese al collo Goffredo e gli rispose:
18.2.3 -- Ogni trista memoria omai si taccia,
18.2.4 e pongansi in oblio l' andate cose.
18.2.5 E per emenda io vorrò sol che faccia,
18.2.6 quai per uso faresti, opre famose;
18.2.7 e 'n danno de' nemici e 'n pro de' nostri
18.2.8 vincer convienti de la selva i mostri.
18.3.1 L' antichissima selva, onde fu inanti
18.3.2 de' nostri ordigni la materia tratta,
18.3.3 qual si sia la cagione, ora è d' incanti
18.3.4 secreta stanza e formidabil fatta,
18.3.5 né v' è chi legno di troncar si vanti,
18.3.6 né vuol ragion che la città si batta
18.3.7 senza tali instrumenti: or colà dove
18.3.8 paventan gli altri, il tuo valor si prove.--
18.4.1 Così disse egli, e il cavalier s' offerse
18.4.2 con brevi detti al rischio, a la fatica;
18.4.3 ma ne gli atti magnanimi si scerse
18.4.4 ch' assai farà, benché non molto ei dica.
18.4.5 E verso gli altri poi lieto converse
18.4.6 la destra e 'l volto a l' accoglienza amica:
18.4.7 qui Guelfo, qui Tancredi, e qui già tutti
18.4.8 s' eran de l' oste i principi ridutti.
18.5.1 Poi che le dimostranze oneste e care
18.5.2 con que' soprani egli iterò più volte,
18.5.3 placido affabilmente e popolare
18.5.4 l' altre genti minori ebbe raccolte.
18.5.5 Non saria già più allegro il militare
18.5.6 grido o le turbe intorno a lui più folte
18.5.7 se, vinto l' Oriente e 'l Mezzogiorno,
18.5.8 trionfando n' andasse in carro adorno.
18.6.1 Così ne va sino al suo albergo, e siede,
18.6.2 in cerchio quivi a i cari amici a canto,
18.6.3 e molto lor risponde e molto chiede
18.6.4 or de la guerra, or del silvestre incanto.
18.6.5 Ma quando ognun partendo agio lor diede,
18.6.6 così gli disse l' Eremita santo:
18.6.7 -- Ben gran cose, signor, e lungo corso
18.6.8 (mirabil peregrino) errando hai scorso.
18.7.1 Quanto devi al gran Re che 'l mondo regge!
18.7.2 Tratto egli t' ha da l' incantate soglie:
18.7.3 ei te smarrito agnel fra le sue gregge
18.7.4 or riconduce e nel suo ovil accoglie,
18.7.5 e per la voce del Buglion t' elegge
18.7.6 secondo essecutor de le sue voglie.
18.7.7 Ma non conviensi già ch' ancor profano
18.7.8 ne' suoi gran magisteri armi la mano,
18.8.1 ché sei de la caligine del mondo
18.8.2 e de la carne tu di modo asperso
18.8.3 che 'l Nilo o 'l Gange o l' ocean profondo
18.8.4 non ti potrebbe far candido e terso.
18.8.5 Sol la grazia del Ciel quanto hai d' immondo
18.8.6 può render puro: al Ciel dunque converso,
18.8.7 riverente perdon richiedi e spiega
18.8.8 le tue tacite colpe, e piangi e prega. --
18.9.1 Così gli disse; e quel prima in se stesso
18.9.2 pianse i superbi sdegni e i folli amori,
18.9.3 poi chinato a' suoi piè mesto e dimesso
18.9.4 tutti scoprigli i giovenili errori.
18.9.5 Il ministro del Ciel, dopo il concesso
18.9.6 perdono, a lui dicea:-- Co' novi albori
18.9.7 ad orar te n' andrai là su quel monte
18.9.8 ch' al raggio matutin volge la fronte.
18.10.1 Quivi al bosco t' invia, dove cotanti
18.10.2 son fantasmi ingannevoli e bugiardi.
18.10.3 Vincerai (questo so) mostri e giganti,
18.10.4 pur ch' altro folle error non ti ritardi.
18.10.5 Deh! né voce che dolce o pianga o canti,
18.10.6 né beltà che soave o rida o guardi,
18.10.7 con tenere lusinghe il cor ti pieghi,
18.10.8 ma sprezza i finti aspetti e i finti preghi.--
18.11.1 Così il consiglia; e 'l cavalier s' appresta,
18.11.2 desiando e sperando, a l' alta impresa.
18.11.3 Passa pensoso il dì, pensosa e mesta
18.11.4 la notte; e pria ch' in ciel sia l' alba accesa,
18.11.5 le belle arme si cinge, e sopravesta
18.11.6 nova ed estrania di color s' ha presa,
18.11.7 e tutto solo e tacito e pedone
18.11.8 lascia i compagni e lascia il padiglione.
18.12.1 Era ne la stagion ch' anco non cede
18.12.2 libero ogni confin la notte al giorno,
18.12.3 ma l' oriente rosseggiar si vede
18.12.4 ed anco è il ciel d' alcuna stella adorno;
18.12.5 quando ei drizzò vèr l' Oliveto il piede,
18.12.6 con gli occhi alzati contemplando intorno
18.12.7 quinci notturne e quindi mattutine
18.12.8 bellezze incorrottibili e divine.
18.13.1 Fra se stesso pensava: --Oh quante belle
18.13.2 luci il tempio celeste in sé raguna!
18.13.3 Ha il suo gran carro il dì, l' aurate stelle
18.13.4 spiega la notte e l' argentata luna;
18.13.5 ma non è chi vagheggi o questa o quelle,
18.13.6 e miriam noi torbida luce e bruna
18.13.7 ch' un girar d' occhi, un balenar di riso,
18.13.8 scopre in breve confin di fragil viso.--
18.14.1 Così pensando, a le più eccelse cime
18.14.2 ascese; e quivi, inchino e riverente,
18.14.3 alzò il pensier sovra ogni ciel sublime
18.14.4 e le luci fissò ne l' oriente:
18.14.5 -- La prima vita e le mie colpe prime
18.14.6 mira con occhio di pietà clemente,
18.14.7 Padre e Signor, e in me tua grazia piovi,
18.14.8 sì che 'l mio vecchio Adam purghi e rinovi.--
18.15.1 Così pregava, e gli sorgeva a fronte
18.15.2 fatta già d' auro la vermiglia aurora
18.15.3 che l' elmo e l' arme e intorno a lui del monte
18.15.4 le verdi cime illuminando indora;
18.15.5 e ventillar nel petto e ne la fronte
18.15.6 sentia gli spirti di piacevol òra,
18.15.7 che sovra il capo suo scotea dal grembo
18.15.8 de la bell' alba un rugiadoso nembo.
18.16.1 La rugiada del ciel su le sue spoglie
18.16.2 cade, che parean cenere al colore,
18.16.3 e sì l' asperge che 'l pallor ne toglie
18.16.4 e induce in esse un lucido candore;
18.16.5 tal rabbellisce le smarrite foglie
18.16.6 a i matutini geli arido fiore,
18.16.7 e tal di vaga gioventù ritorna
18.16.8 lieto il serpente e di novo or s' adorna.
18.17.1 Il bel candor de la mutata vesta
18.17.2 egli medesmo riguardando ammira,
18.17.3 poscia verso l' antica alta foresta
18.17.4 con secura baldanza i passi gira.
18.17.5 Era là giunto ove i men forti arresta
18.17.6 solo il terror che di sua vista spira;
18.17.7 pur né spiacente a lui né pauroso
18.17.8 il bosco par, ma lietamente ombroso.
18.18.1 Passa più oltre, e ode un suono intanto
18.18.2 che dolcissimamente si diffonde.
18.18.3 Vi sente d' un ruscello il roco pianto
18.18.4 e 'l sospirar de l' aura infra le fronde,
18.18.5 e di musico cigno il flebil canto
18.18.6 e l' usignol che plora e gli risponde,
18.18.7 organi e cetre e voci umane in rime:
18.18.8 tanti e sì fatti suoni un suono esprime.
18.19.1 Il cavalier, pur come a gli altri aviene,
18.19.2 n' attendeva un gran tuon d' alto spavento,
18.19.3 e v' ode poi di ninfe e di sirene,
18.19.4 d' aure, d' acque, d' augei dolce concento,
18.19.5 onde meravigliando il piè ritiene,
18.19.6 e poi se 'n va tutto sospeso e lento;
18.19.7 e fra via non ritrova altro divieto
18.19.8 che quel d' un fiume trapassante e cheto.
18.20.1 L' un margo e l' altro del bel fiume, adorno
18.20.2 di vaghezze e d' odori, olezza e ride.
18.20.3 Ei stende tanto il suo girevol corno
18.20.4 che tra 'l suo giro il gran bosco s' asside,
18.20.5 né pur gli fa dolce ghirlanda intorno,
18.20.6 ma un canaletto suo v' entra e 'l divide:
18.20.7 bagna egli il bosco e 'l bosco il fiume adombra
18.20.8 con bel cambio fra lor d' umore e d' ombra.
18.21.1 Mentre mira il guerriero ove si guade,
18.21.2 ecco un ponte mirabile appariva:
18.21.3 un ricco ponte d' or che larghe strade
18.21.4 su gli archi stabilissimi gli offriva.
18.21.5 Passa il dorato varco, e quel giù cade
18.21.6 tosto che 'l piè toccata ha l' altra riva;
18.21.7 e se ne 'l porta in giù l' acqua repente,
18.21.8 l' acqua ch' è d' un bel rio fatta un torrente.
18.22.1 Ei si rivolge e dilatato il mira
18.22.2 e gonfio assai quasi per nevi sciolte,
18.22.3 che 'n se stesso volubil si raggira
18.22.4 con mille rapidissime rivolte.
18.22.5 Ma pur desio di novitade il tira
18.22.6 a spiar tra le piante antiche e folte,
18.22.7 e 'n quelle solitudini selvagge
18.22.8 sempre a sé nova meraviglia il tragge.
18.23.1 Dove in passando le vestigia ei posa,
18.23.2 par ch' ivi scaturisca o che germoglie:
18.23.3 là s' apre il giglio e qui spunta la rosa,
18.23.4 qui sorge un fonte, ivi un ruscel si scioglie,
18.23.5 e sovra e intorno a lui la selva annosa
18.23.6 tutte parea ringiovenir le foglie;
18.23.7 s' ammolliscon le scorze e si rinverde
18.23.8 più lietamente in ogni pianta il verde.
18.24.1 Rugiadosa di manna era ogni fronda,
18.24.2 e distillava de le scorze il mèle,
18.24.3 e di novo s' udia quella gioconda
18.24.4 strana armonia di canto e di querele;
18.24.5 ma il coro uman, ch' a i cigni, a l' aura, a l' onda
18.24.6 facea tenor, non sa dove si cele:
18.24.7 non sa veder chi formi umani accenti,
18.24.8 né dove siano i musici stromenti.
18.25.1 Mentre riguarda, e fede il pensier nega
18.25.2 a quel che 'l senso gli offeria per vero,
18.25.3 vede un mirto in disparte, e là si piega
18.25.4 ove in gran piazza termina un sentiero.
18.25.5 L' estranio mirto i suoi gran rami spiega,
18.25.6 più del cipresso e de la palma altero,
18.25.7 e sovra tutti gli arbori frondeggia;
18.25.8 ed ivi par del bosco esser la reggia.
18.26.1 Fermo il guerrier ne la gran piazza, affisa
18.26.2 a maggior novitate allor le ciglia.
18.26.3 Quercia gli appar che per se stessa incisa
18.26.4 apre feconda il cavo ventre e figlia,
18.26.5 e n' esce fuor vestita in strana guisa
18.26.6 ninfa d' età cresciuta (oh meraviglia!);
18.26.7 e vede insieme poi cento altre piante
18.26.8 cento ninfe produr dal sen pregnante.
18.27.1 Quai le mostra la scena o quai dipinte
18.27.2 tal volta rimiriam dèe boscareccie,
18.27.3 nude le braccia e l' abito succinte,
18.27.4 con bei coturni e con disciolte treccie,
18.27.5 tali in sembianza si vedean le finte
18.27.6 figlie de le selvatiche corteccie;
18.27.7 se non che in vece d' arco o di faretra,
18.27.8 chi tien leuto, e chi viola o cetra.
18.28.1 E cominciàr costor danze e carole,
18.28.2 e di se stesse una corona ordiro
18.28.3 e cinsero il guerrier, sì come sòle
18.28.4 esser punto rinchiuso entro il suo giro.
18.28.5 Cinser la pianta ancora, e tai parole
18.28.6 nel dolce canto lor da lui s' udiro:
18.28.7 -- Ben caro giungi in queste chiostre amene,
18.28.8 o de la donna nostra amore e spene.
18.29.1 Giungi aspettato a dar salute a l' egra,
18.29.2 d' amoroso pensiero arsa e ferita.
18.29.3 Questa selva che dianzi era sì negra,
18.29.4 stanza conforme a la dolente vita,
18.29.5 vedi che tutta al tuo venir s' allegra
18.29.6 e 'n più leggiadre forme è rivestita.--
18.29.7 Tale era il canto; e poi dal mirto uscia
18.29.8 un dolcissimo tuono, e quel s' apria.
18.30.1 Già ne l' aprir d' un rustico sileno
18.30.2 meraviglie vedea l' antica etade,
18.30.3 ma quel gran mirto da l' aperto seno
18.30.4 imagini mostrò più belle e rade:
18.30.5 donna mostrò ch' assomigliava a pieno
18.30.6 nel falso aspetto angelica beltade.
18.30.7 Rinaldo guata, e di veder gli è aviso
18.30.8 le sembianze d' Armida e il dolce viso.
18.31.1 Quella lui mira in un lieta e dolente:
18.31.2 mille affetti in un guardo appaion misti.
18.31.3 Poi dice:-- Io pur ti veggio, e finalmente
18.31.4 pur ritorni a colei da chi fuggisti.
18.31.5 A che ne vieni? a consolar presente
18.31.6 le mie vedove notti e i giorni tristi?
18.31.7 o vieni a mover guerra, a discacciarme,
18.31.8 che mi celi il bel volto e mostri l' arme?
18.32.1 giungi amante o nemico? Il ricco ponte
18.32.2 io già non preparava ad uom nemico,
18.32.3 né gli apriva i ruscelli, i fior, la fonte,
18.32.4 sgombrando i dumi e ciò ch' a' passi è intrico.
18.32.5 Togli questo elmo omai, scopri la fronte
18.32.6 e gli occhi a gli occhi miei, s' arrivi amico;
18.32.7 giungi i labri a le labra, il seno al seno,
18.32.8 porgi la destra a la mia destra almeno.--
18.33.1 Seguia parlando, e in bei pietosi giri
18.33.2 volgeva i lumi e scoloria i sembianti,
18.33.3 falseggiando i dolcissimi sospiri
18.33.4 e i soavi singulti e i vaghi pianti,
18.33.5 tal che incauta pietade a quei martìri
18.33.6 intenerir potea gli aspri diamanti;
18.33.7 ma il cavaliero, accorto sì, non crudo,
18.33.8 più non v' attende, e stringe il ferro ignudo.
18.34.1 Vassene al mirto; allor colei s' abbraccia
18.34.2 al caro tronco, e s' interpone e grida:
18.34.3 -- Ah non sarà mai ver che tu mi faccia
18.34.4 oltraggio tal, che l' arbor mio recida!
18.34.5 Deponi il ferro, o dispietato, o il caccia
18.34.6 pria ne le vene a l' infelice Armida:
18.34.7 per questo sen, per questo cor la spada
18.34.8 solo al bel mirto mio trovar può strada.--
18.35.1 Egli alza il ferro, e 'l suo pregar non cura;
18.35.2 ma colei si trasmuta (oh novi mostri!)
18.35.3 sì come avien che d' una altra figura,
18.35.4 trasformando repente, il sogno mostri.
18.35.5 Così ingrossò le membra, e tornò oscura
18.35.6 la faccia e vi sparìr gli avori e gli ostri;
18.35.7 crebbe in gigante altissimo, e si feo
18.35.8 con cento armate braccia un Briareo.
18.36.1 Cinquanta spade impugna e con cinquanta
18.36.2 scudi risuona, e minacciando freme.
18.36.3 Ogn' altra ninfa ancor d' arme s' ammanta,
18.36.4 fatta un ciclope orrendo; ed ei non teme:
18.36.5 raddoppia i colpi a la difesa pianta
18.36.6 che pur, come animata, a i colpi geme.
18.36.7 Sembran de l' aria i campi i campi stigi,
18.36.8 tanti appaion in lor mostri e prodigi.
18.37.1 Sopra il turbato ciel, sotto la terra
18.37.2 tuona: e fulmina quello, e trema questa;
18.37.3 vengono i venti e le procelle in guerra,
18.37.4 e gli soffiano al volto aspra tempesta.
18.37.5 Ma pur mai colpo il cavalier non erra,
18.37.6 né per tanto furor punto s' arresta;
18.37.7 tronca la noce: è noce, e mirto parve.
18.37.8 Qui l' incanto fornì, sparìr le larve.
18.38.1 Tornò sereno il cielo e l' aura cheta,
18.38.2 tornò la selva al natural suo stato:
18.38.3 non d' incanti terribile né lieta,
18.38.4 piena d' orror ma de l' orror innato.
18.38.5 Ritenta il vincitor s' altro più vieta
18.38.6 ch' esser non possa il bosco omai troncato;
18.38.7 poscia sorride, e fra sé dice: --Oh vane
18.38.8 sembianze! e folle chi per voi rimane!--
18.39.1 Quinci s' invia verso le tende, e intanto
18.39.2 colà gridava il solitario Piero:
18.39.3 -- Già vinto è de la selva il fero incanto,
18.39.4 già se 'n ritorna il vincitor guerriero:
18.39.5 vedilo.-- Ed ei da lunge in bianco manto
18.39.6 comparia venerabile e severo,
18.39.7 e de l' aquila sua l' argentee piume
18.39.8 splendeano al sol d' inusitato lume.
18.40.1 Ei dal campo gioioso alto saluto
18.40.2 ha con sonoro replicar di gridi;
18.40.3 e poi con lieto onore è ricevuto
18.40.4 dal pio Buglione, e non è chi l' invìdi.
18.40.5 Disse al duce il guerriero: -- A quel temuto
18.40.6 bosco n' andai, come imponesti, e 'l vidi:
18.40.7 vidi, e vinsi gli incanti; or vadan pure
18.40.8 le genti là, ché son le vie secure.--
18.41.1 Vassi a l' antica selva, e quindi è tolta
18.41.2 materia tal qual buon giudicio elesse;
18.41.3 e bench' oscuro fabro arte non molta
18.41.4 por ne le prime machine sapesse,
18.41.5 pur artefice illustre a questa volta
18.41.6 è colui ch' a le travi i vinchi intesse:
18.41.7 Guglielmo, il duce ligure, che pria
18.41.8 signor del mare corseggiar solia,
18.42.1 poi sforzato a ritrarsi ei cesse i regni
18.42.2 al gran navilio saracin de' mari,
18.42.3 ed ora al campo conducea da i legni
18.42.4 e le maritime arme e i marinari;
18.42.5 ed era questi infra i più industri ingegni
18.42.6 ne' mecanici ordigni uom senza pari,
18.42.7 e cento seco avea fabri minori,
18.42.8 di ciò ch' egli disegna essecutori.
18.43.1 Costui non solo incominciò a comporre
18.43.2 catapulte, balliste ed arieti,
18.43.3 onde a le mura le difese tòrre
18.43.4 possa e spezzar le sode alte pareti;
18.43.5 ma fece opra maggior: mirabil torre
18.43.6 ch' entro di pin tessuta era e d' abeti,
18.43.7 e ne le cuoia avolto ha quel di fuore
18.43.8 per ischermirsi da lanciato ardore.
18.44.1 Si commette la mole e ricompone
18.44.2 con sottili giunture in un congiunta,
18.44.3 e la trave che testa ha di montone
18.44.4 da l' ime parti sue cozzando spunta;
18.44.5 lancia dal mezzo un ponte, e spesso il pone
18.44.6 su l' opposta muraglia a prima giunta,
18.44.7 e fuor da lei su per la cima n' esce
18.44.8 torre minor ch' in suso è spinta e cresce.
18.45.1 Per le facili vie destra, e corrente
18.45.2 sovra ben cento sue volubil rote,
18.45.3 gravida d' arme e gravida di gente,
18.45.4 senza molta fatica ella gir pote.
18.45.5 Stanno le schiere in rimirando intente
18.45.6 la prestezza de' fabri e l' arti ignote,
18.45.7 e due torri in quel punto anco son fatte
18.45.8 de la prima ad imagine ritratte.
18.46.1 Ma non eran fra tanto a i saracini
18.46.2 l' opre ch' ivi si fean del tutto ascoste,
18.46.3 perché ne l' alte mura a i più vicini
18.46.4 lochi le guardie ad ispiar son poste.
18.46.5 Questi gran salmerie d' orni e di pini
18.46.6 vedean dal bosco esser condotte a l' oste,
18.46.7 e machine vedean; ma non a pieno
18.46.8 riconoscer la forma indi potieno.
18.47.1 Fan lor machine anch' essi e con molt' arte
18.47.2 rinforzano le torri e la muraglia,
18.47.3 e l' alzaron così da quella parte
18.47.4 ov' è men atta a sostener battaglia,
18.47.5 ch' a lor credenza omai sforzo di Marte
18.47.6 esser non può ch' ad espugnarla vaglia;
18.47.7 ma sovra ogni difesa Ismen prepara
18.47.8 copia di fochi inusitata e rara.
18.48.1 Mesce il mago fellon zolfi e bitume,
18.48.2 che dal lago di Sodoma ha raccolto;
18.48.3 e fu, credo, in inferno, e dal gran fiume
18.48.4 che nove volte il cerchia anco n' ha tolto.
18.48.5 Così fa che quel foco e puta e fume,
18.48.6 e che s' aventi fiammeggiando al volto.
18.48.7 E ben co' feri incendi egli s' avisa
18.48.8 di vendicar la cara selva incisa.
18.49.1 Mentre il campo a l' assalto e la cittade
18.49.2 s' apparecchia in tal modo a le difese,
18.49.3 una colomba per l' aeree strade
18.49.4 vista è passar sovra lo stuol francese,
18.49.5 che non dimena i presti vanni e rade
18.49.6 quelle liquide vie con l' ali tese;
18.49.7 e già la messaggiera peregrina
18.49.8 da l' alte nubi a la città s' inchina,
18.50.1 quando di non so donde esce un falcone
18.50.2 d' adunco rostro armato e di grand' ugna
18.50.3 che fra 'l campo e le mura a lei s' oppone.
18.50.4 Non aspetta ella del crudel la pugna;
18.50.5 quegli, d' alto volando, al padiglione
18.50.6 maggior l' incalza e par ch' omai l' aggiugna,
18.50.7 ed al tenero capo il piede ha sovra:
18.50.8 essa nel grembo al pio Buglion ricovra.
18.51.1 La raccoglie Goffredo, e la difende;
18.51.2 poi scorge, in lei guardando, estrania cosa,
18.51.3 ché dal collo ad un filo avinta pende
18.51.4 rinchiusa carta, e sotto un' ala ascosa.
18.51.5 La disserra e dispiega, e bene intende
18.51.6 quella ch' in sé contien non lunga prosa:
18.51.7 --Al signor di Giudea-- dice lo scritto
18.51.8 --invia salute il capitan d' Egitto.
18.52.1 Non sbigottir, signor: resisti e dura
18.52.2 insino al quarto o insino al giorno quinto,
18.52.3 ch' io vengo a liberar coteste mura,
18.52.4 e vedrai tosto il tuo nemico vinto.--
18.52.5 Questo il secreto fu che la scrittura
18.52.6 in barbariche note avea distinto
18.52.7 dato in custodia al portator volante,
18.52.8 ché tai messi in quel tempo usò il Levante.
18.53.1 Libera il prence la colomba; e quella,
18.53.2 che de' secreti fu rivelatrice,
18.53.3 come esser creda al suo signor rubella,
18.53.4 non ardì più tornar nunzia infelice.
18.53.5 Ma il sopran duce i minor duci appella,
18.53.6 e lor mostra la carta e così dice:
18.53.7 -- Vedete come il tutto a noi riveli
18.53.8 la providenza del Signor de' cieli.
18.54.1 Già più da ritardar tempo non parmi:
18.54.2 nova spianata or cominciar potrassi,
18.54.3 e fatica e sudor non si risparmi
18.54.4 per superar d' inverso l' Austro i sassi.
18.54.5 Duro fia sì far colà strada a l' armi,
18.54.6 pur far si può: notato ho il loco e i passi.
18.54.7 E ben quel muro che assecura il sito,
18.54.8 d' arme e d' opre men deve esser munito.
18.55.1 Tu, Raimondo, vogl' io che da quel lato
18.55.2 con le machine tue le mura offenda,
18.55.3 vuo' che de l' arme mie l' alto apparato
18.55.4 contra la porta Aquilonar si stenda
18.55.5 sì che il nemico il vegga ed ingannato
18.55.6 indi il maggior impeto nostro attenda;
18.55.7 poi la gran torre mia, ch' agevol move,
18.55.8 trascorra alquanto e porti guerra altrove.
18.56.1 Tu drizzarai, Camillo, al tempo stesso
18.56.2 non lontana da me la terza torre.--
18.56.3 Tacque; e Raimondo, che gli siede appresso
18.56.4 e che, parlando lui, fra sé discorre,
18.56.5 disse:-- Al consiglio da Goffredo espresso
18.56.6 nulla giunger si pote e nulla tòrre.
18.56.7 Lodo solo, oltra ciò, ch' alcun s' invii
18.56.8 nel campo ostil ch' i suoi secreti spii,
18.57.1 e ne ridica il numero e 'l pensiero,
18.57.2 quanto raccòr potrà, certo e verace. --
18.57.3 Sogiunge allor Tancredi:-- Ho un mio scudiero
18.57.4 che a questo uffizio di propor mi piace:
18.57.5 uom pronto e destro e sovra i piè leggiero,
18.57.6 audace sì, ma cautamente audace,
18.57.7 che parla in molte lingue, e varia il noto
18.57.8 suon de la voce e 'l portamento e 'l moto.--
18.58.1 Venne colui, chiamato; e poi ch' intese
18.58.2 ciò che Goffredo e 'l suo signor desia,
18.58.3 alzò ridendo il volto ed intraprese
18.58.4 la cura e disse:-- Or or mi pongo in via.
18.58.5 Tosto sarò dove quel campo tese
18.58.6 le tende avrà, non conosciuta spia;
18.58.7 vuo' penetrar di mezzodì nel vallo,
18.58.8 e numerarvi ogn' uomo, ogni cavallo.
18.59.1 Quanta e qual sia quell' oste, e ciò che pensi
18.59.2 il duce loro, a voi ridir prometto:
18.59.3 vantomi in lui scoprir gli intimi sensi
18.59.4 e i secreti pensier trargli del petto.--
18.59.5 Così parla Vafrino e non trattiensi,
18.59.6 ma cangia in lungo manto il suo farsetto,
18.59.7 e mostra fa del nudo collo, e prende
18.59.8 d' intorno al capo attorcigliate bende;
18.60.1 la faretra s' adatta e l' arco siro,
18.60.2 e barbarico sembra ogni suo gesto.
18.60.3 Stupiron quei che favellar l' udiro
18.60.4 ed in diverse lingue esser sì presto
18.60.5 ch' egizio in Menfi o pur fenice in Tiro
18.60.6 l' avria creduto e quel popolo e questo.
18.60.7 Egli se 'n va sovra un destrier ch' a pena
18.60.8 segna nel corso la più molle arena.
18.61.1 Ma i Franchi, pria che 'l terzo dì sia giunto,
18.61.2 appianaron le vie scoscese e rotte,
18.61.3 e fornìr gli instromenti anco in quel punto,
18.61.4 ché non fur le fatiche unqua interrotte;
18.61.5 anzi a l' opre de' giorni avean congiunto,
18.61.6 togliendola al riposo, anco la notte,
18.61.7 né cosa è più che ritardar li possa
18.61.8 dal far l' estremo omai d' ogni lor possa.
18.62.1 Del dì cui de l' assalto il dì successe,
18.62.2 gran parte orando il pio Buglion dispensa;
18.62.3 e impon ch' ogn' altro i falli suoi confesse
18.62.4 e pasca il pan de l' alme a la gran mensa.
18.62.5 Machine ed arme poscia ivi più spesse
18.62.6 dimostra ove adoprarle egli men pensa;
18.62.7 e 'l deluso pagan si riconforta,
18.62.8 ch' oppor le vede a la munita porta.
18.63.1 Co 'l buio de la notte è poi la vasta
18.63.2 agil machina sua colà traslata
18.63.3 ove è men curvo il muro e men contrasta,
18.63.4 ch' angulosa non fa parte e piegata.
18.63.5 E d' in su 'l colle a la città sovrasta
18.63.6 Raimondo ancor con la sua torre armata,
18.63.7 la sua Camillo a quel lato avicina
18.63.8 che dal Borea a l' occaso alquanto inchina.
18.64.1 Ma come furo in oriente apparsi
18.64.2 i matutini messaggier del sole,
18.64.3 s' avidero i pagani (e ben turbàrsi)
18.64.4 che la torre non è dove esser sòle;
18.64.5 e miràr quinci e quindi anco inalzarsi
18.64.6 non più veduta una ed un' altra mole,
18.64.7 e in numero infinito anco son viste
18.64.8 catapulte, monton, gatti e balliste.
18.65.1 Non è la turba de' pagan già lenta
18.65.2 a trasportarne là molte difese
18.65.3 ove il Buglion le machine appresenta,
18.65.4 da quella parte ove primier l' attese.
18.65.5 Ma il capitan, ch' a tergo aver rammenta
18.65.6 l' oste d' Egitto, ha quelle vie già prese;
18.65.7 e Guelfo e i due Roberti a sé chiamati:
18.65.8 -- State -- dice -- a cavallo in sella armati,
18.66.1 e procurate voi che, mentre ascendo
18.66.2 colà dove quel muro appar men forte,
18.66.3 schiera non sia che sùbita venendo
18.66.4 s' atterghi a gli occupati e guerra porte.--
18.66.5 Tacque, e già da tre lati assalto orrendo
18.66.6 movon le tre sì valorose scorte;
18.66.7 e da tre lati ha il re sue genti opposte,
18.66.8 che riprese quel dì l' arme deposte.
18.67.1 Egli medesmo al corpo omai tremante
18.67.2 per gli anni, e grave del suo proprio pondo,
18.67.3 l' arme, che disusò gran tempo inante,
18.67.4 circonda, e se ne va contra Raimondo.
18.67.5 Solimano a Goffredo e 'l fero Argante
18.67.6 al buon Camillo oppon, che di Boemondo
18.67.7 seco ha il nipote; e lui fortuna or guida,
18.67.8 perché 'l nemico a sé dovuto uccida.
18.68.1 Incominciaro a saettar gli arcieri
18.68.2 infette di veneno arme mortali,
18.68.3 ed adombrato il ciel par che s' anneri
18.68.4 sotto un immenso nuvolo di strali.
18.68.5 Ma con forza maggior colpi più feri
18.68.6 ne venian da le machine murali:
18.68.7 indi gran palle uscian marmoree e gravi,
18.68.8 e con punta d' acciar ferrate travi.
18.69.1 Par fulmine ogni sasso, e così trita
18.69.2 l' armatura e le membra a chi n' è colto,
18.69.3 che gli toglie non pur l' alma e la vita,
18.69.4 ma la forma del corpo anco e del volto.
18.69.5 Non si ferma la lancia a la ferita;
18.69.6 dopo il colpo, del corso avanza molto:
18.69.7 entra da un lato e fuor per l' altro passa
18.69.8 fuggendo, e nel fuggir la morte lassa.
18.70.1 Ma non togliea però da la difesa
18.70.2 tanto furor le saracine genti:
18.70.3 contra quelle percosse avean già tesa
18.70.4 pieghevol tela e cose altre cedenti;
18.70.5 l' impeto, che 'n lor cade, ivi contesa
18.70.6 non trova, e vien che vi si fiacchi e lenti;
18.70.7 essi, ove miran più la calca esposta,
18.70.8 fan con l' arme volanti aspra risposta.
18.71.1 Con tutto ciò d' andarne oltre non cessa
18.71.2 l' assalitor, che tripartito move;
18.71.3 e chi va sotto gatti, ove la spessa
18.71.4 gragnuola di saette indarno piove,
18.71.5 e chi le torri a l' alto muro appressa
18.71.6 che da sé loro a suo poter rimove:
18.71.7 tenta ogni torre omai lanciare il ponte,
18.71.8 cozza il monton con la ferrata fronte.
18.72.1 Rinaldo intanto irresoluto bada,
18.72.2 ché quel rischio di sé degno non era,
18.72.3 e stima onor plebeo quand' egli vada
18.72.4 per le comuni vie co 'l vulgo in schiera.
18.72.5 E volge intorno gli occhi, e quella strada
18.72.6 sol gli piace tentar ch' altri dispera.
18.72.7 Là dove il muro più munito ed alto
18.72.8 in pace stassi, ei vuol portar assalto.
18.73.1 E volgendosi a quegli, i quai già furo
18.73.2 guidati da Dudon, guerrier famosi:
18.73.3 -- Oh vergogna, -- dicea -- che là quel muro
18.73.4 fra cotant' arme in pace or si riposi!
18.73.5 Ogni rischio al valor sempre è securo,
18.73.6 tutte le vie son piane a gli animosi:
18.73.7 moviam là guerra, e contra a i colpi crudi
18.73.8 facciam densa testugine di scudi.--
18.74.1 Giunsersi tutti seco a questo detto;
18.74.2 tutti gli scudi alzàr sovra la testa,
18.74.3 e gli uniron così che ferreo tetto
18.74.4 facean contra l' orribile tempesta.
18.74.5 Sotto il coperchio il fero stuol ristretto
18.74.6 va di gran corso, e nulla il corso arresta,
18.74.7 ché la soda testugine sostiene
18.74.8 ciò che di ruinoso in giù ne viene.
18.75.1 Son già sotto le mura: allor Rinaldo
18.75.2 scala drizzò di cento gradi e cento,
18.75.3 e lei con braccio maneggiò sì saldo
18.75.4 ch' agile è men picciola canna al vento.
18.75.5 Or lancia o trave, or gran colonna o spaldo
18.75.6 d' alto discende: ei non va su più lento;
18.75.7 ma, intrepido ed invitto ad ogni scossa,
18.75.8 sprezzaria, se cadesse, Olimpo ed Ossa.
18.76.1 Una selva di strali e di ruine
18.76.2 sostien su 'l dosso, e su lo scudo un monte:
18.76.3 scote una man le mura a sé vicine,
18.76.4 l' altra sospesa in guardia è de la fronte.
18.76.5 L' essempio a l' opre ardite e pellegrine
18.76.6 spinge i compagni: ei non è sol che monte,
18.76.7 ché molti appoggian seco eccelse scale;
18.76.8 ma 'l valore e la sorte è diseguale.
18.77.1 More alcuno, altri cade: egli sublime
18.77.2 poggia, e questi conforta e quei minaccia;
18.77.3 tanto è già in su che le merlate cime
18.77.4 pote afferrar con le distese braccia.
18.77.5 Gran gente allor vi trae; l' urta, il reprime,
18.77.6 cerca precipitarlo, e pur no 'l caccia.
18.77.7 Mirabil vista! a un grande e fermo stuolo
18.77.8 resister può, sospeso in aria, un solo.
18.78.1 E resiste e s' avanza e si rinforza;
18.78.2 e come palma suol cui pondo aggreva,
18.78.3 suo valor combattuto ha maggior forza
18.78.4 e ne la oppression più si solleva.
18.78.5 E vince alfin tutti i nemici, e sforza
18.78.6 l' aste e gli intoppi che d' incontro aveva;
18.78.7 e sale il muro e 'l signoreggia, e 'l rende
18.78.8 sgombro e securo a chi diretro ascende.
18.79.1 Ed egli stesso a l' ultimo germano
18.79.2 del pio Buglion, ch' è di cadere in forse,
18.79.3 stesa la vincitrice amica mano,
18.79.4 di salirne secondo aita porse.
18.79.5 Fra tanto erano altrove al capitano
18.79.6 varie fortune e perigliose occorse;
18.79.7 ch' ivi non pur fra gli uomini si pugna,
18.79.8 ma le machine insieme anco fan pugna.
18.80.1 Su 'l muro aveano i Siri un tronco alzato
18.80.2 ch' antenna un tempo esser solea di nave,
18.80.3 e sovra lui co 'l capo aspro e ferrato
18.80.4 per traverso sospesa è grossa trave;
18.80.5 e indietro quel da canapi tirato,
18.80.6 poi torna inanti impetuoso e grave:
18.80.7 talor rientra nel suo guscio, ed ora
18.80.8 la testugin rimanda il collo fora.
18.81.1 Urtò la trave immensa, e così dure
18.81.2 ne la torre addoppiò le sue percosse
18.81.3 che le ben teste in lei salde giunture
18.81.4 lentando aperse, e la respinse e scosse.
18.81.5 La torre a quel bisogno armi secure
18.81.6 avea già in punto, e due gran falci mosse
18.81.7 ch' aventate con arte incontra al legno
18.81.8 quelle funi tagliàr ch' eran sostegno.
18.82.1 Qual gran sasso talor, ch' o la vecchiezza
18.82.2 solve da un monte o svelle ira de' venti,
18.82.3 ruinoso dirupa, e porta e spezza
18.82.4 le selve e con le case anco gli armenti,
18.82.5 tal giù traea da la sublime altezza
18.82.6 l' orribil trave e merli ed arme e genti;
18.82.7 diè la torre a quel moto uno e duo crolli,
18.82.8 tremàr le mura e rimbombaro i colli.
18.83.1 Passa il Buglion vittorioso inanti
18.83.2 e già le mura d' occupar si crede,
18.83.3 ma fiamme allora fetide e fumanti
18.83.4 lanciarsi incontra immantinente ei vede;
18.83.5 né dal sulfureo sen fochi mai tanti
18.83.6 il cavernoso Mongibel fuor diede,
18.83.7 né mai cotanti ne gli estivi ardori
18.83.8 piovve l' indico ciel caldi vapori.
18.84.1 Qui vasi e cerchi ed aste ardenti sono,
18.84.2 qual fiamma nera e qual sanguigna splende.
18.84.3 L' odore appuzza, assorda il bombo e 'l tuono
18.84.4 accieca il fumo, il foco arde e s' apprende.
18.84.5 L' umido cuoio alfin saria mal buono
18.84.6 schermo a la torre, a pena or la difende.
18.84.7 Già suda e si rincrespa; e se più tarda
18.84.8 il soccorso del Ciel, conven pur ch' arda.
18.85.1 Il magnanimo duce inanzi a tutti
18.85.2 stassi, e non muta né color né loco;
18.85.3 e quei conforta che su i cuoi asciutti
18.85.4 versan l' onde apprestate incontra al foco.
18.85.5 In tale stato eran costor ridutti,
18.85.6 e già de l' acque rimanea lor poco,
18.85.7 quando ecco un vento, ch' improviso spira,
18.85.8 contra gli autori suoi l' incendio gira.
18.86.1 Vien contro al foco il turbo; e indietro vòlto
18.86.2 il foco ove i pagan le tele alzaro,
18.86.3 quella molle materia in sé raccolto
18.86.4 l' ha immantinente, e n' arde ogni riparo.
18.86.5 Oh glorioso capitano! oh molto
18.86.6 dal gran Dio custodito, al gran Dio caro!
18.86.7 A te guerreggia il Cielo; ed ubidenti
18.86.8 vengon, chiamati a suon di trombe, i venti.
18.87.1 Ma l' empio Ismen, che le sulfuree faci
18.87.2 vide da Borea incontra sé converse,
18.87.3 ritentar volle l' arti sue fallaci
18.87.4 per sforzar la natura e l' aure averse,
18.87.5 e fra due maghe, che di lui seguaci
18.87.6 si fèr, su 'l muro a gli occhi altrui s' offerse;
18.87.7 e torvo e nero e squallido e barbuto
18.87.8 fra due furie parea Caronte o Pluto.
18.88.1 Già il mormorar s' udia de le parole
18.88.2 di cui teme Cocito e Flegetonte,
18.88.3 già si vedea l' aria turbar e 'l sole
18.88.4 cinger d' oscuri nuvoli la fronte,
18.88.5 quando aventato fu da l' alta mole
18.88.6 un gran sasso, che fu parte d' un monte;
18.88.7 e tra lor colse sì ch' una percossa
18.88.8 sparse di tutti insieme il sangue e l' ossa.
18.89.1 In pezzi minutissimi e sanguigni
18.89.2 si disperser così l' inique teste,
18.89.3 che di sotto a i pesanti aspri macigni
18.89.4 soglion poco le biade uscir più peste.
18.89.5 Lasciàr gemendo i tre spirti maligni
18.89.6 l' aria serena e 'l bel raggio celeste,
18.89.7 e se 'n fuggìr tra l' ombre empie infernali.
18.89.8 Apprendete pietà quinci, o mortali.
18.90.1 In questo mezzo, a la città la torre,
18.90.2 cui da l' incendio il turbine assecura,
18.90.3 s' avicina così che può ben porre
18.90.4 e fermare il suo ponte in su le mura;
18.90.5 ma Solimano intrepido v' accorre,
18.90.6 e 'l passo angusto di tagliar procura,
18.90.7 e doppia i colpi: e ben l' avria reciso;
18.90.8 ma un' altra torre apparse a l' improviso.
18.91.1 La gran mole crescente oltra i confini
18.91.2 de' più alti edifici in aria passa.
18.91.3 Attoniti a quel mostro i saracini
18.91.4 restàr, vedendo la città più bassa.
18.91.5 Ma il fero turco, ancor ch' in lui ruini
18.91.6 di pietre un nembo, il loco suo non lassa;
18.91.7 né di tagliar il ponte anco diffida,
18.91.8 e gli altri che temean rincora e sgrida.
18.92.1 S' offerse a gli occhi di Goffredo allora,
18.92.2 invisibile altrui, l' agnol Michele
18.92.3 cinto d' armi celesti; e vinto fòra
18.92.4 il sol da lui, cui nulla nube vele.
18.92.5 -- Ecco,-- disse -- Goffredo, è giunta l' ora
18.92.6 ch' esca Siòn di servitù crudele.
18.92.7 Non chinar, non chinar gli occhi smarriti;
18.92.8 mira con quante forze il Ciel t' aiti.
18.93.1 Drizza pur gli occhi a riguardar l' immenso
18.93.2 essercito immortal ch' è in aria accolto,
18.93.3 ch' io dinanzi torrotti il nuvol denso
18.93.4 di vostra umanità, ch' intorno avolto
18.93.5 adombrando t' appanna il mortal senso,
18.93.6 sì che vedrai gli ignudi spirti in volto;
18.93.7 e sostener per breve spazio i rai
18.93.8 de l' angeliche forme anco potrai.
18.94.1 Mira di quei che fur campion di Cristo
18.94.2 l' anime fatte in Cielo or cittadine,
18.94.3 che pugnan teco e di sì alto acquisto
18.94.4 si trovan teco al glorioso fine.
18.94.5 Là 've ondeggiar la polve e 'l fumo misto
18.94.6 vedi e di rotte moli alte ruine,
18.94.7 tra quella folta nebbia Ugon combatte
18.94.8 e de le torri i fondamenti abbatte.
18.95.1 Ecco poi là Dudon, che l' alta porta
18.95.2 Aquilonar con ferro e fiamma assale:
18.95.3 ministra l' arme a i combattenti, essorta
18.95.4 ch' altri su monti, e drizza e tien le scale.
18.95.5 Quel ch' è su 'l colle, e 'l sacro abito porta
18.95.6 e la corona a i crin sacerdotale,
18.95.7 è il pastore Ademaro, alma felice:
18.95.8 vedi ch' ancor vi segna e benedice.
18.96.1 Leva più in su l' ardite luci, e tutta
18.96.2 la grande oste del ciel congiunta guata.--
18.96.3 Egli alzò il guardo, e vide in un ridutta
18.96.4 milizia innumerabile ed alata.
18.96.5 Tre folte squadre, ed ogni squadra instrutta
18.96.6 in tre ordini gira e si dilata;
18.96.7 ma si dilata più quanto più in fòri
18.96.8 i cerchi son: son gli intimi i minori.
18.97.1 Qui chinò vinti i lumi e gli alzò poi,
18.97.2 né lo spettacol grande ei più rivide;
18.97.3 ma riguardando d' ogni parte i suoi,
18.97.4 scorge che a tutti la vittoria arride.
18.97.5 Molti dietro a Rinaldo illustri eroi
18.97.6 saliano; ei già salito i Siri uccide.
18.97.7 Il capitan, che più indugiar si sdegna,
18.97.8 toglie di mano al fido alfier l' insegna,
18.98.1 e passa primo il ponte, ed impedita
18.98.2 gli è a mezzo il corso dal Soldan la via.
18.98.3 Un picciol ponte è campo ad infinita
18.98.4 virtù, ch' in pochi colpi ivi apparia.
18.98.5 Grida il fer Solimano:-- A l' altrui vita
18.98.6 dono e consacro io qui la vita mia.
18.98.7 Tagliate, amici, a le mie spalle or questo
18.98.8 ponte, ché qui non facil preda i' resto.--
18.99.1 Ma venirne Rinaldo in volto orrendo
18.99.2 e fuggirne ciascun vedea lontano:
18.99.3 -- Or che farò? se qui la vita spendo,
18.99.4 la spando -- disse -- e la disperdo invano. --
18.99.5 E, in sé nove difese anco volgendo,
18.99.6 cedea libero il passo al capitano,
18.99.7 che minacciando il segue e de la santa
18.99.8 Croce il vessillo in su le mura pianta.
18.100.1 La vincitrice insegna in mille giri
18.100.2 alteramente si rivolge intorno;
18.100.3 e par che in lei più riverente spiri
18.100.4 l' aura, e che splenda in lei più chiaro il giorno;
18.100.5 ch' ogni dardo, ogni stral ch' in lei si tiri,
18.100.6 o la declini, o faccia indi ritorno:
18.100.7 par che Siòn, par che l' opposto monte
18.100.8 lieto l' adori, e inchini a lei la fronte.
18.101.1 Allor tutte le squadre il grido alzaro
18.101.2 de la vittoria altissimo e festante,
18.101.3 e risonaro i monti e replicaro
18.101.4 gli ultimi accenti; e quasi in quello istante
18.101.5 ruppe e vinse Tancredi ogni riparo
18.101.6 che gli aveva a l' incontro opposto Argante,
18.101.7 e lanciando il suo ponte anch' ei veloce
18.101.8 passò nel muro e v' inalzò la Croce.
18.102.1 Ma verso il mezzogiorno, ove il canuto
18.102.2 Raimondo pugna e 'l palestin tiranno,
18.102.3 i guerrier di Guascogna anco potuto
18.102.4 giunger la torre a la città non hanno,
18.102.5 ché 'l nerbo de le genti ha il re in aiuto
18.102.6 ed ostinati a la difesa stanno;
18.102.7 e se ben quivi il muro era men fermo,
18.102.8 di machine v' avea maggior lo schermo.
18.103.1 Oltra che men ch' altrove in questo canto
18.103.2 la gran mole il sentier trovò spedito,
18.103.3 né tanto arte poté che pur alquanto
18.103.4 di sua natura non ritegna il sito.
18.103.5 Fu l' alto segno di vittoria intanto
18.103.6 da i difensori e da i Guasconi udito,
18.103.7 ed avisò il tiranno e 'l tolosano
18.103.8 che la città già presa è verso il piano.
18.104.1 Onde Raimondo a i suoi:-- Da l' altra parte,--
18.104.2 grida -- o compagni, è la città già presa.
18.104.3 Vinta ancor ne resiste? or soli a parte
18.104.4 non sarem noi di sì onorata presa?--
18.104.5 Ma il re cedendo alfin di là si parte
18.104.6 perch' ivi disperata è la difesa,
18.104.7 e se 'n rifugge in loco forte ed alto
18.104.8 ove egli spera sostener l' assalto.
18.105.1 Entra allor vincitore il campo tutto
18.105.2 per le mura non sol, ma per le porte;
18.105.3 ch' è già aperto, abbattuto, arso e destrutto
18.105.4 ciò che lor s' opponea rinchiuso e forte.
18.105.5 Spazia l' ira del ferro; e va co 'l lutto
18.105.6 e con l' orror, compagni suoi, la morte.
18.105.7 Ristagna il sangue in gorghi, e corre in rivi
18.105.8 pieni di corpi estinti e di mal vivi.
CANTO XIX
19.1.1 Già la morte o il consiglio o la paura
19.1.2 da le difese ogni pagano ha tolto,
19.1.3 e sol non s' è da l' espugnate mura
19.1.4 il pertinace Argante anco rivolto.
19.1.5 Mostra ei la faccia intrepida e secura
19.1.6 e pugna pur fra gli inimici avolto,
19.1.7 più che morir temendo esser respinto;
19.1.8 e vuol morendo anco parer non vinto.
19.2.1 Ma sovra ogn' altro feritore infesto
19.2.2 sovragiunge Tancredi e lui percote.
19.2.3 Ben è il circasso a riconoscer presto
19.2.4 al portamento, a gli atti, a l' arme note,
19.2.5 lui che pugnò già seco, e 'l giorno sesto
19.2.6 tornar promise, e le promesse ìr vòte,
19.2.7 Onde gridò:-- Così la fé, Tancredi,
19.2.8 mi servi tu? così a la pugna or riedi?
19.3.1 Tardi riedi, e non solo; io non rifiuto
19.3.2 però combatter teco e riprovarmi,
19.3.3 benché non qual guerrier, ma qui venuto
19.3.4 quasi inventor di machine tu parmi.
19.3.5 Fatti scudo de' tuoi, trova in aiuto
19.3.6 novi ordigni di guerra e insolite armi,
19.3.7 ché non potrai da le mie mani, o forte
19.3.8 de le donne uccisor, fuggir la morte.--
19.4.1 Sorrise il buon Tancredi un cotal riso
19.4.2 di sdegno, e in detti alteri ebbe risposto:
19.4.3 -- Tardo è il ritorno mio, ma pur aviso
19.4.4 che frettoloso ti parrà ben tosto,
19.4.5 e bramerai che te da me diviso
19.4.6 o l' alpe avesse o fosse il mar fraposto;
19.4.7 e che del mio indugiar non fu cagione
19.4.8 tema o viltà, vedrai co 'l paragone.
19.5.1 Vienne in disparte pur tu ch' omicida
19.5.2 sei de' giganti solo e de gli eroi:
19.5.3 l' uccisor de le femine ti sfida.--
19.5.4 Così gli dice; indi si volge a i suoi
19.5.5 e fa ritrarli da l' offesa, e grida:
19.5.6 -- Cessate pur di molestarlo or voi,
19.5.7 ch' è proprio mio più che comun nemico
19.5.8 questi, ed a lui mi stringe obligo antico.
19.6.1 -- Or discendine giù, solo o seguito
19.6.2 come più vuoi;-- ripiglia il fer circasso
19.6.3 -- va' in frequentato loco od in romito,
19.6.4 ché per dubbio o svantaggio io non ti lasso. --
19.6.5 Sì fatto ed accettato il fero invito,
19.6.6 movon concordi a la gran lite il passo:
19.6.7 l' odio in un gli accompagna, e fa il rancore
19.6.8 l' un nemico de l' altro or difensore.
19.7.1 Grande è il zelo d' onor, grande il desire
19.7.2 che Tancredi del sangue ha del pagano,
19.7.3 né la sete ammorzar crede de l' ire
19.7.4 se n' esce stilla fuor per l' altrui mano;
19.7.5 e con lo scudo il copre, e: -- Non ferire --
19.7.6 grida a quanti rincontra anco lontano;
19.7.7 sì che salvo il nimico infra gli amici
19.7.8 tragge da l' arme irate e vincitrici.
19.8.1 Escon de la cittade e dan le spalle
19.8.2 a i padiglion de le accampate genti,
19.8.3 e se ne van dove un girevol calle
19.8.4 li porta per secreti avolgimenti;
19.8.5 e ritrovano ombrosa angusta valle
19.8.6 tra più colli giacer, non altrimenti
19.8.7 che se fosse un teatro o fosse ad uso
19.8.8 di battaglie e di caccie intorno chiuso.
19.9.1 Qui si fermano entrambi, e pur sospeso
19.9.2 volgeasi Argante a la cittade afflitta.
19.9.3 Vede Tancredi che 'l pagan difeso
19.9.4 non è di scudo, e 'l suo lontano ei gitta.
19.9.5 Poscia lui dice:-- Or qual pensier t' ha preso?
19.9.6 pensi ch' è giunta l' ora a te prescritta?
19.9.7 S' antivedendo ciò timido stai,
19.9.8 è 'l tuo timore intempestivo omai.
19.10.1 -- Penso -- risponde -- a la città del regno
19.10.2 di Giudea antichissima regina,
19.10.3 che vinta or cade, e indarno esser sostegno
19.10.4 io procurai de la fatal ruina,
19.10.5 e ch' è poca vendetta al mio disdegno
19.10.6 il capo tuo che 'l Cielo or mi destina.--
19.10.7 Tacque, e incontra si van con gran risguardo,
19.10.8 ché ben conosce l' un l' altro gagliardo.
19.11.1 È di corpo Tancredi agile e sciolto,
19.11.2 e di man velocissimo e di piede;
19.11.3 sovrasta a lui con l' alto capo, e molto
19.11.4 di grossezza di membra Argante eccede.
19.11.5 Girar Tancredi inchino in sé raccolto
19.11.6 per aventarsi e sottentrar si vede;
19.11.7 e con la spada sua la spada trova
19.11.8 nemica, e 'n disviarla usa ogni prova.
19.12.1 Ma disteso ed eretto il fero Argante
19.12.2 dimostra arte simile, atto diverso.
19.12.3 Quanto egli può, va co 'l gran braccio inante
19.12.4 e cerca il ferro no, ma il corpo averso.
19.12.5 Quel tenta aditi novi in ogni instante,
19.12.6 questi gli ha il ferro al volto ognor converso:
19.12.7 minaccia, e intento a proibirgli stassi
19.12.8 furtive entrate e sùbiti trapassi.
19.13.1 Così pugna naval, quando non spira
19.13.2 per lo piano del mare Africo o Noto,
19.13.3 fra due legni ineguali egual si mira,
19.13.4 ch' un d' altezza preval, l' altro di moto:
19.13.5 l' un con volte e rivolte assale e gira
19.13.6 da prora a poppa, e si sta l' altro immoto;
19.13.7 e quando il più leggier se gli avicina,
19.13.8 d' alta parte minaccia alta ruina.
19.14.1 Mentre il latin di sottentrar ritenta
19.14.2 sviando il ferro che si vede opporre,
19.14.3 vibra Argante la spada e gli appresenta
19.14.4 la punta a gli occhi; egli al riparo accorre,
19.14.5 ma lei sì presta allor, sì violenta
19.14.6 cala il pagan che 'l difensor precorre
19.14.7 e 'l fère al fianco; e visto il fianco infermo,
19.14.8 grida:-- Lo schermitor vinto è di schermo.--
19.15.1 Fra lo sdegno Tancredi e la vergogna
19.15.2 si rode, e lascia i soliti riguardi,
19.15.3 e in cotal guisa la vendetta agogna
19.15.4 che sua perdita stima il vincer tardi.
19.15.5 Sol risponde co 'l ferro a la rampogna
19.15.6 e 'l drizza a l' elmo, ove apre il passo a i guardi.
19.15.7 Ribatte Argante il colpo, e risoluto
19.15.8 Tancredi a mezza spada è già venuto.
19.16.1 Passa veloce allor co 'l piè sinestro
19.16.2 e con la manca al dritto braccio il prende,
19.16.3 e con la destra intanto il lato destro
19.16.4 di punte mortalissime gli offende.
19.16.5 -- Questa -- diceva -- al vincitor maestro
19.16.6 il vinto schermidor risposta rende.--
19.16.7 Freme il circasso e si contorce e scote,
19.16.8 ma il braccio prigionier ritrar non pote.
19.17.1 Alfin lasciò la spada a la catena
19.17.2 pendente, e sotto al buon latin si spinse.
19.17.3 Fe' l' istesso Tancredi, e con gran lena
19.17.4 l' un calcò l' altro e l' un l' altro ricinse;
19.17.5 né con più forza da l' adusta arena
19.17.6 sospese Alcide il gran gigante e strinse,
19.17.7 di quella onde facean tenaci nodi
19.17.8 le nerborute braccia in vari modi.
19.18.1 Tai fur gli avolgimenti e tai le scosse
19.18.2 ch' ambi in un tempo il suol presser co 'l fianco.
19.18.3 Argante, od arte o sua ventura fosse,
19.18.4 sovra ha il braccio migliore e sotto il manco.
19.18.5 Ma la man ch' è più atta a le percosse
19.18.6 sottogiace impedita al guerrier franco;
19.18.7 ond' ei, che 'l suo svantaggio e 'l rischio vede,
19.18.8 si sviluppa da l' altro e salta in piede.
19.19.1 Sorge più tardi e un gran fendente, in prima
19.19.2 che sorto ei sia, vien sopra al saracino.
19.19.3 Ma come a l' Euro la frondosa cima
19.19.4 piega e in un tempo la solleva il pino,
19.19.5 così lui sua virtute alza e sublima
19.19.6 quando ei n' è già per ricader più chino.
19.19.7 Or ricomincian qui colpi a vicenda:
19.19.8 la pugna ha manco d' arte ed è più orrenda.
19.20.1 Esce a Tancredi in più d' un loco il sangue,
19.20.2 ma ne versa il pagan quasi torrenti.
19.20.3 Già ne le sceme forze il furor langue,
19.20.4 sì come fiamma in deboli alimenti.
19.20.5 Tancredi che 'l vedea co 'l braccio essangue
19.20.6 girar i colpi ad or ad or più lenti,
19.20.7 dal magnanimo cor deposta l' ira,
19.20.8 placido gli ragiona e 'l piè ritira:
19.21.1 -- Cedimi, uom forte, o riconoscer voglia
19.21.2 me per tuo vincitore o la fortuna;
19.21.3 né ricerco da te trionfo o spoglia,
19.21.4 né mi riserbo in te ragione alcuna.--
19.21.5 Terribile il pagan più che mai soglia,
19.21.6 tutte le furie sue desta e raguna;
19.21.7 risponde:-- Or dunque il meglio aver ti vante
19.21.8 ed osi di viltà tentare Argante?
19.22.1 Usa la sorte tua, ché nulla io temo
19.22.2 né lascierò la tua follia impunita.--
19.22.3 Come face rinforza anzi l' estremo
19.22.4 le fiamme, e luminosa esce di vita,
19.22.5 tal riempiendo ei d' ira il sangue scemo
19.22.6 rinvigorì la gagliardia smarrita,
19.22.7 e l' ore de la morte omai vicine
19.22.8 volse illustrar con generoso fine.
19.23.1 La man sinistra a la compagna accosta,
19.23.2 e con ambe congiunte il ferro abbassa;
19.23.3 cala un fendente, e benché trovi opposta
19.23.4 la spada ostil, la sforza ed oltre passa,
19.23.5 scende a la spalla, e giù di costa in costa
19.23.6 molte ferite in un sol punto lassa.
19.23.7 Se non teme Tancredi, il petto audace
19.23.8 non fe' natura di timor capace.
19.24.1 Quel doppia il colpo orribile, ed al vento
19.24.2 le forze e l' ire inutilmente ha sparte,
19.24.3 perché Tancredi, a la percossa intento,
19.24.4 se ne sottrasse e si lanciò in disparte.
19.24.5 Tu, dal tuo peso tratto, in giù co 'l mento
19.24.6 n' andasti, Argante, e non potesti aitarte:
19.24.7 per te cadesti, aventuroso in tanto
19.24.8 ch' altri non ha di tua caduta il vanto.
19.25.1 Il cader dilatò le piaghe aperte,
19.25.2 e 'l sangue espresso dilagando scese.
19.25.3 Punta ei la manca in terra, e si converte
19.25.4 ritto sovra un ginocchio a le difese.
19.25.5 -- Renditi -- grida, e gli fa nove offerte,
19.25.6 senza noiarlo, il vincitor cortese.
19.25.7 Quegli di furto intanto il ferro caccia
19.25.8 e su 'l tallone il fiede, indi il minaccia.
19.26.1 Infuriossi allor Tancredi, e disse:
19.26.2 -- Così abusi, fellon, la pietà mia?--
19.26.3 Poi la spada gli fisse e gli rifisse
19.26.4 ne la visiera, ove accertò la via.
19.26.5 Moriva Argante, e tal moria qual visse:
19.26.6 minacciava morendo e non languia.
19.26.7 Superbi, formidabili e feroci
19.26.8 gli ultimi moti fur, l' ultime voci.
19.27.1 Ripon Tancredi il ferro, e poi devoto
19.27.2 ringrazia Dio del trionfal onore;
19.27.3 ma lasciato di forze ha quasi vòto
19.27.4 la sanguigna vittoria il vincitore.
19.27.5 Teme egli assai che del viaggio al moto
19.27.6 durar non possa il suo fievol vigore;
19.27.7 pur s' incamina, e così passo passo
19.27.8 per le già corse vie move il piè lasso.
19.28.1 Trar molto il debil fianco oltra non pote
19.28.2 e quanto più si sforza più s' affanna,
19.28.3 onde in terra s' asside e pon le gote
19.28.4 su la destra che par tremula canna.
19.28.5 Ciò che vedea pargli veder che rote,
19.28.6 e di tenebre il dì già gli s' appanna.
19.28.7 Al fin isviene; e 'l vincitor dal vinto
19.28.8 non ben saria nel rimirar distinto.
19.29.1 Mentre qui segue la solinga guerra,
19.29.2 che privata cagion fe' così ardente,
19.29.3 l' ira de' vincitor trascorre ed erra
19.29.4 per la città su 'l popolo nocente.
19.29.5 Or chi giamai de l' espugnata terra
19.29.6 potrebbe a pien l' imagine dolente
19.29.7 ritrarre in carte od adeguar parlando
19.29.8 lo spettacolo atroce e miserando?
19.30.1 Ogni cosa di strage era già pieno,
19.30.2 vedeansi in mucchi e in monti i corpi avolti:
19.30.3 là i feriti su i morti, e qui giacieno
19.30.4 sotto morti insepolti egri sepolti.
19.30.5 Fuggian premendo i pargoletti al seno
19.30.6 le meste madri co' capegli sciolti,
19.30.7 e 'l predator, di spoglie e di rapine
19.30.8 carco, stringea le vergini nel crine.
19.31.1 Ma per le vie ch' al più sublime colle
19.31.2 saglion verso occidente, ond' è il gran tempio,
19.31.3 tutto del sangue ostile orrido e molle
19.31.4 Rinaldo corre e caccia il popolo empio.
19.31.5 La fera spada il generoso estolle
19.31.6 sovra gli armati capi e ne fa scempio;
19.31.7 è schermo frale ogn' elmo ed ogni scudo:
19.31.8 difesa è qui l' esser de l' arme ignudo.
19.32.1 Sol contra il ferro il nobil ferro adopra,
19.32.2 e sdegna ne gli inermi esser feroce;
19.32.3 e que' ch' ardir non armi, arme non copra,
19.32.4 caccia co 'l guardo e con l' orribil voce.
19.32.5 Vedresti, di valor mirabil opra,
19.32.6 come or disprezza, ora minaccia, or noce,
19.32.7 come con rischio disegual fugati
19.32.8 sono egualmente pur nudi ed armati.
19.33.1 Già co 'l più imbelle vulgo anco ritratto
19.33.2 s' è non picciolo stuol del più guerriero
19.33.3 nel tempio che, più volte arso e disfatto,
19.33.4 si noma ancor, dal fondator primiero,
19.33.5 di Salamone; e fu per lui già fatto
19.33.6 di cedri, d' oro e di bei marmi altero.
19.33.7 Or non sì ricco già, pur saldo e forte
19.33.8 è d' alte torri e di ferrate porte.
19.34.1 Giunto il gran cavaliero ove raccolte
19.34.2 s' eran le turbe in loco ampio e sublime,
19.34.3 trovò chiuse le porte e trovò molte
19.34.4 difese apparecchiate in su le cime.
19.34.5 Alzò lo sguardo orribile e due volte
19.34.6 tutto il mirò da l' alte parti a l' ime,
19.34.7 varco angusto cercando, ed altrettante
19.34.8 il circondò con le veloci piante.
19.35.1 Qual lupo predatore a l' aer bruno
19.35.2 le chiuse mandre insidiando aggira,
19.35.3 secco l' avide fauci, e nel digiuno
19.35.4 da nativo odio stimulato e d' ira,
19.35.5 tale egli intorno spia s' adito alcuno
19.35.6 (piano od erto che siasi) aprir si mira;
19.35.7 si ferma alfin ne la gran piazza, e d' alto
19.35.8 stanno aspettando i miseri l' assalto.
19.36.1 In disparte giacea (qual che si fosse
19.36.2 l' uso a cui si serbava) eccelsa trave,
19.36.3 né così alte mai, né così grosse
19.36.4 spiega l' antenne sue ligura nave.
19.36.5 Vèr la gran porta il cavalier la mosse
19.36.6 con quella man cui nessun pondo è grave
19.36.7 e recandosi lei di lancia in modo
19.36.8 urtò d' incontro impetuoso e sodo.
19.37.1 Restar non può marmo o metallo inanti
19.37.2 al duro urtare, al riurtar più forte.
19.37.3 Svelse dal sasso i cardini sonanti,
19.37.4 ruppe i serragli ed abbatté le porte.
19.37.5 Non l' ariete di far più si vanti,
19.37.6 non la bombarda, fulmine di morte.
19.37.7 Per la dischiusa via la gente inonda
19.37.8 quasi un diluvio, e 'l vincitor seconda.
19.38.1 Rende misera strage atra e funesta
19.38.2 l' alta magion che fu magion di Dio.
19.38.3 O giustizia del Ciel, quanto men presta
19.38.4 tanto più grave sovra il popol rio!
19.38.5 Dal tuo secreto proveder fu desta
19.38.6 l' ira ne' cor pietosi, e incrudelio.
19.38.7 Lavò co 'l sangue suo l' empio pagano
19.38.8 quel tempio che già fatto avea profano.
19.39.1 Ma intanto Soliman vèr la gran torre
19.39.2 ito se n' è che di David s' appella,
19.39.3 e qui fa de' guerrier l' avanzo accòrre,
19.39.4 e sbarra intorno e questa strada e quella;
19.39.5 e 'l tiranno Aladino anco vi corre.
19.39.6 Come il Soldan lui vede, a lui favella:
19.39.7 -- Vieni, o famoso re, vieni; e là sovra
19.39.8 a la rocca fortissima ricovra,
19.40.1 ché dal furor de le nemiche spade
19.40.2 guardar vi puoi la tua salute e 'l regno.
19.40.3 -- Oimè, -- risponde -- oimè, che la cittade
19.40.4 strugge dal fondo suo barbaro sdegno,
19.40.5 e la mia vita e 'l nostro imperio cade.
19.40.6 Vissi, e regnai; non vivo più, né regno.
19.40.7 Ben si può dir: --Noi fummo.-- A tutti è giunto
19.40.8 l' ultimo dì, l' inevitabil punto.
19.41.1 -- Ov' è, signor la tua virtute antica?--
19.41.2 disse il Soldan tutto cruccioso allora.
19.41.3 -- Tolgaci i regni pur sorte nemica,
19.41.4 ché 'l regal pregio è nostro e 'n noi dimora.
19.41.5 Ma colà dentro omai da la fatica
19.41.6 le stanche e gravi tue membra ristora.--
19.41.7 Così gli parla, e fa che si raccoglia
19.41.8 il vecchio re ne la guardata soglia.
19.42.1 Egli ferrata mazza a due man prende
19.42.2 e si ripon la fida spada al fianco,
19.42.3 e stassi al varco intrepido e difende
19.42.4 il chiuso de le strade al popol franco.
19.42.5 Eran mortali le percosse orrende:
19.42.6 quella che non uccide, atterra almanco.
19.42.7 Già fugge ognun da la sbarrata piazza,
19.42.8 dove appressar vede l' orribil mazza.
19.43.1 Ecco da fera compagnia seguito
19.43.2 sopragiungeva il tolosan Raimondo.
19.43.3 Al periglioso passo il vecchio ardito
19.43.4 corse, e sprezzò di quei gran colpi il pondo.
19.43.5 Primo ei ferì, ma invano ebbe ferito;
19.43.6 non ferì invano il feritor secondo,
19.43.7 ch' in fronte il colse, e l' atterrò co 'l peso
19.43.8 supin, tremante, a braccia aperte e steso.
19.44.1 Finalmente ritorna anco ne' vinti
19.44.2 la virtù che 'l timore avea fugata,
19.44.3 e i Franchi vincitori o son rispinti
19.44.4 o pur caggiono uccisi in su l' entrata.
19.44.5 Ma il Soldan, che giacere infra gli estinti
19.44.6 il tramortito duce a i piè si guata,
19.44.7 grida a i suoi cavalier:-- Costui sia tratto
19.44.8 dentro a le sbarre e prigionier sia fatto.--
19.45.1 Si movon quegli ad esseguir l' effetto,
19.45.2 ma trovan dura e faticosa impresa
19.45.3 perché non è d' alcun de' suoi negletto
19.45.4 Raimondo, e corron tutti in sua difesa.
19.45.5 Quinci furor, quindi pietoso affetto
19.45.6 pugna, né vil cagione è di contesa:
19.45.7 di sì grand' uom la libertà, la vita,
19.45.8 questi a guardar, quegli a rapir invita.
19.46.1 Pur vinto avrebbe a lungo andar la prova
19.46.2 il Soldano ostinato a la vendetta,
19.46.3 ch' a la fulminea mazza oppor non giova
19.46.4 o doppio scudo o tempra d' elmo eletta;
19.46.5 ma grande aita a i suoi nemici e nova
19.46.6 di qua di là vede arrivare in fretta,
19.46.7 ché da duo lati opposti in un sol punto
19.46.8 il sopran duce e 'l gran guerriero è giunto.
19.47.1 Come pastor, quando fremendo intorno
19.47.2 il vento e i tuoni e balenando i lampi
19.47.3 vede oscurar di mille nubi il giorno,
19.47.4 ritrae le greggie da gli aperti campi,
19.47.5 e sollecito cerca alcun soggiorno
19.47.6 ove l' ira del ciel securo scampi,
19.47.7 ei co 'l grido indrizzando e con la verga
19.47.8 le mandre inanti, a gli ultimi s' atterga;
19.48.1 così il pagan, che già venir sentia
19.48.2 l' irreparabil turbo e la tempesta
19.48.3 che di fremiti orrendi il ciel feria
19.48.4 d' arme ingombrando e quella parte e questa,
19.48.5 le custodite genti inanzi invia
19.48.6 ne la gran torre, ed egli ultimo resta:
19.48.7 ultimo parte, e sì cede al periglio
19.48.8 ch' audace appare in provido consiglio.
19.49.1 Pur a fatica avien che si ripari
19.49.2 dentro a le porte, e le riserra a pena
19.49.3 che già, rotte le sbarre, a i limitari
19.49.4 Rinaldo vien, né quivi anco s' affrena.
19.49.5 Desio di superar chi non ha pari
19.49.6 in opra d' arme, e giuramento il mena;
19.49.7 ché non oblia che in voto egli promise
19.49.8 di dar morte a colui che 'l dano uccise.
19.50.1 E ben allor allor l' invitta mano
19.50.2 tentato avria l' inespugnabil muro,
19.50.3 né forse colà dentro era il Soldano
19.50.4 dal fatal suo nemico assai securo;
19.50.5 ma già suona a ritratta il capitano,
19.50.6 già l' orizonte d' ogni intorno è scuro.
19.50.7 Goffredo alloggia ne la terra, e vòle
19.50.8 rinovar poi l' assalto al novo sole.
19.51.1 Diceva a i suoi lietissimo in sembianza:
19.51.2 -- Favorito ha il gran Dio l' armi cristiane:
19.51.3 fatto è il sommo de' fatti, e poco avanza
19.51.4 de l' opra e nulla del timor rimane.
19.51.5 La torre (estrema e misera speranza
19.51.6 de gli infedeli) espugnarem dimane.
19.51.7 Pietà fra tanto a confortar v' inviti
19.51.8 con sollecito amor gli egri e i feriti.
19.52.1 Ite, e curate quei c' han fatto acquisto
19.52.2 di questa patria a noi co 'l sangue loro.
19.52.3 Ciò più conviensi a i cavalier di Cristo,
19.52.4 che desio di vendetta o di tesoro.
19.52.5 Troppo, ahi! troppo di strage oggi s' è visto,
19.52.6 troppa in alcuni avidità de l' oro;
19.52.7 rapir più oltra, e incrudelir i' vieto.
19.52.8 Or divulghin le trombe il mio divieto.--
19.53.1 Tacque, e poi se n' andò là dove il conte
19.53.2 riavuto dal colpo anco ne geme.
19.53.3 Né Soliman con meno ardita fronte
19.53.4 a i suoi ragiona, e 'l duol ne l' alma preme:
19.53.5 -- Siate, o compagni, di fortuna a l' onte
19.53.6 invitti insin che verde è fior di speme,
19.53.7 ché sotto alta apparenza di fallace
19.53.8 spavento oggi men grave il danno giace.
19.54.1 Prese i nemici han sol le mura e i tetti
19.54.2 e 'l vulgo umil, né la cittade han presa,
19.54.3 ché nel capo del re, ne' vostri petti,
19.54.4 ne le man vostre è la città compresa.
19.54.5 Veggio il re salvo e salvi i suoi più eletti,
19.54.6 veggio che ne circonda alta difesa.
19.54.7 Vano trofeo d' abbandonata terra
19.54.8 abbiansi i Franchi; alfin perdran la guerra.
19.55.1 E certo i' son che perderanla alfine,
19.55.2 ché ne la sorte prospera insolenti
19.55.3 fian vòlti a gli omicidi, a le rapine
19.55.4 ed a gli ingiuriosi abbracciamenti;
19.55.5 e saran di leggier tra le ruine,
19.55.6 tra gli stupri e le prede, oppressi e spenti,
19.55.7 se in tanta tracotanza omai sorgiunge
19.55.8 l' oste d' Egitto, e non pote esser lunge.
19.56.1 Intanto noi signoreggiar co' sassi
19.56.2 potrem de la città gli alti edifici,
19.56.3 ed ogni calle onde al Sepolcro vassi
19.56.4 torràn le nostre machine a i nemici. --
19.56.5 Così, vigor porgendo a i cor già lassi,
19.56.6 la speme rinovò ne gli infelici.
19.56.7 Or mentre qui tai cose eran passate,
19.56.8 errò Vafrin tra mille schiere armate.
19.57.1 A l' essercito avverso eletto in spia,
19.57.2 già dechinando il sol, partì Vafrino;
19.57.3 e corse oscura e solitaria via
19.57.4 notturno e sconosciuto peregrino.
19.57.5 Ascalona passò che non uscia
19.57.6 dal balcon d' oriente anco il mattino;
19.57.7 poi quando è nel meriggio il solar lampo,
19.57.8 a vista fu del poderoso campo.
19.58.1 Vide tende infinite e ventillanti
19.58.2 stendardi in cima azzurri e persi e gialli,
19.58.3 e tante udì lingue discordi e tanti
19.58.4 timpani e corni e barbari metalli
19.58.5 e voci di cameli e d' elefanti,
19.58.6 tra 'l nitrir de' magnanimi cavalli,
19.58.7 che fra sé disse: --Qui l' Africa tutta
19.58.8 translata viene e qui l' Asia è condutta.--
19.59.1 Mira egli alquanto pria come sia forte
19.59.2 del campo il sito, e qual vallo il circonde;
19.59.3 poscia non tenta vie furtive e torte,
19.59.4 né dal frequente popolo s' asconde,
19.59.5 ma per dritto sentier tra regie porte
19.59.6 trapassa, ed or dimanda ed or risponde.
19.59.7 A dimande, a risposte astute e pronte
19.59.8 accoppia baldanzosa audace fronte.
19.60.1 Di qua di là sollecito s' aggira
19.60.2 per le vie, per le piazze e per le tende.
19.60.3 I guerrier, i destrier, l' arme rimira,
19.60.4 l' arti e gli ordini osserva e i nomi apprende.
19.60.5 Né di ciò pago, a maggior cose aspira:
19.60.6 spia gli occulti disegni e parte intende.
19.60.7 Tanto s' avolge, e così destro e piano,
19.60.8 ch' adito s' apre al padiglion soprano.
19.61.1 Vede, mirando qui, sdruscita tela,
19.61.2 ond' ha varco la voce, onde si scerne,
19.61.3 che là proprio risponde ove son de la
19.61.4 stanza regal le ritirate interne,
19.61.5 sì che i secreti del signor mal cela
19.61.6 ad uom ch' ascolti da le parti esterne.
19.61.7 Vafrin vi guata e par ch' ad altro intenda,
19.61.8 come sia cura sua conciar la tenda.
19.62.1 Stavasi il capitan la testa ignudo,
19.62.2 le membra armato e con purpureo ammanto.
19.62.3 Lunge due paggi avean l' elmo e lo scudo:
19.62.4 preme egli un' asta e vi s' appoggia alquanto.
19.62.5 Guardava un uom di torvo aspetto e crudo,
19.62.6 membruto ed alto, il qual gli era da canto.
19.62.7 Vafrino è attento e, di Goffredo a nome
19.62.8 parlar sentendo, alza gli orecchi al nome.
19.63.1 Parla il duce a colui:-- Dunque securo
19.63.2 sei così tu di dar morte a Goffredo?--
19.63.3 Risponde quegli:-- Io sonne, e 'n corte giuro
19.63.4 non tornar mai se vincitor non riedo.
19.63.5 Preverrò ben color che meco furo
19.63.6 al congiurare; e premio altro non chiedo
19.63.7 se non ch' io possa un bel trofeo de l' armi
19.63.8 drizzar nel Cairo, e sottopor tai carmi:
19.64.1 --Queste arme in guerra al capitan francese,
19.64.2 distruggitor de l' Asia, Ormondo trasse
19.64.3 quando gli trasse l' alma, e le sospese
19.64.4 perché memoria ad ogni età ne passe.--
19.64.5 -- Non fia -- l' altro dicea -- che 'l re cortese
19.64.6 l' opera grande inonorata lasse:
19.64.7 ben ei darà ciò che per te si chiede,
19.64.8 ma congiunta l' avrai d' alta mercede.
19.65.1 Or apparecchia pur l' arme mentite,
19.65.2 ché 'l giorno omai de la battaglia è presso.
19.65.3 -- Son -- rispose -- già preste. -- E qui, fornite
19.65.4 queste parole, e 'l duce tacque ed esso.
19.65.5 Restò Vafrino a le gran cose udite
19.65.6 sospeso e dubbio, e rivolgea in se stesso
19.65.7 qual arti di congiura e quali sieno
19.65.8 le mentite arme, e no 'l comprese a pieno.
19.66.1 Indi partissi e quella notte intera
19.66.2 desto passò, ch' occhio serrar non volse;
19.66.3 ma quando poi di novo ogni bandiera
19.66.4 a l' aure matutine il campo sciolse,
19.66.5 anch' ei marciò con l' altra gente in schiera,
19.66.6 fermossi anch' egli ov' ella albergo tolse,
19.66.7 e pur anco tornò di tenda in tenda
19.66.8 per udir cosa onde il ver meglio intenda.
19.67.1 Cercando, trova in sede alta e pomposa
19.67.2 fra cavalieri Armida e fra donzelle,
19.67.3 che stassi in sé romita e sospirosa:
19.67.4 fra sé co' suoi pensier par che favelle.
19.67.5 Su la candida man la guancia posa,
19.67.6 e china a terra l' amorose stelle.
19.67.7 Non sa se pianga o no: ben può vederle
19.67.8 umidi gli occhi e gravidi di perle.
19.68.1 Vedele incontra il fero Adrasto assiso
19.68.2 che par ch' occhio non batta e che non spiri,
19.68.3 tanto da lei pendea, tanto in lei fiso
19.68.4 pasceva i suoi famelici desiri.
19.68.5 Ma Tisaferno, or l' uno or l' altro in viso
19.68.6 guardando, or vien che brami, or che s' adiri;
19.68.7 e segna il nobil volto or di colore
19.68.8 di rabbioso disdegno ed or d' amore.
19.69.1 Scorge poscia Altamor, ch' in cerchio accolto
19.69.2 fra le donzelle alquanto era in disparte.
19.69.3 Non lascia il desir vago a freno sciolto,
19.69.4 ma gira gli occhi cupidi con arte:
19.69.5 volge un guardo a la mano, uno al bel volto,
19.69.6 talora insidia più guardata parte,
19.69.7 e là s' interna ove mal cauto apria
19.69.8 fra due mamme un bel vel secreta via.
19.70.1 Alza alfin gli occhi Armida, e pur alquanto
19.70.2 la bella fronte sua torna serena;
19.70.3 e repente fra i nuvoli del pianto
19.70.4 un soave sorriso apre e balena.
19.70.5 -- Signor, -- dicea -- membrando il vostro vanto
19.70.6 l' anima mia pote scemar la pena,
19.70.7 ché d' esser vendicata in breve aspetta,
19.70.8 e dolce è l' ira in aspettar vendetta.--
19.71.1 Risponde l' indian: -- La fronte mesta
19.71.2 deh, per Dio! rasserena, e 'l duolo alleggia,
19.71.3 ch' assai tosto averrà che l' empia testa
19.71.4 di quel Rinaldo a piè tronca ti veggia,
19.71.5 o menarolti prigionier con questa
19.71.6 ultrice mano, ove prigion tu 'l chieggia.
19.71.7 Così promisi in vóto. -- Or l' altro ch' ode,
19.71.8 moto non fa, ma tra suo cor si rode.
19.72.1 Volgendo in Tisaferno il dolce sguardo:
19.72.2 -- Tu, che dici, signor? -- colei soggiunge.
19.72.3 Risponde egli infingendo: -- Io che son tardo
19.72.4 seguiterò il valor così da lunge
19.72.5 di questo tuo terribile e gagliardo.--
19.72.6 E con tai detti amaramente il punge.
19.72.7 Ripiglia l' indo allor:-- Ben è ragione
19.72.8 che lunge segua e tema il paragone.--
19.73.1 Crollando Tisaferno il capo altero,
19.73.2 disse: -- Oh foss' io signor del mio talento!
19.73.3 libero avessi in questa spada impero!
19.73.4 ché tosto ei si parria chi sia più lento.
19.73.5 Non temo io te né tuoi gran vanti, o fero;
19.73.6 ma il Cielo e l' inimico Amor pavento.--
19.73.7 Tacque; e sorgeva Adrasto a far disfida,
19.73.8 ma la prevenne e s' interpose Armida.
19.74.1 Diss' ella:-- O cavalier, perché quel dono,
19.74.2 donatomi più volte, anco togliete?
19.74.3 Miei campion sète voi, pur esser buono
19.74.4 dovria tal nome a por tra voi quiete.
19.74.5 Meco s' adira chi s' adira: io sono
19.74.6 ne l' offese l' offesa, e voi 'l sapete.--
19.74.7 Così lor parla, e così avien che accordi
19.74.8 sotto giogo di ferro alme discordi.
19.75.1 È presente Vafrino e 'l tutto ascolta,
19.75.2 e sottrattone il vero indi si toglie.
19.75.3 Spia de l' alta congiura, e lei ravvolta
19.75.4 trova in silenzio e nulla ne raccoglie.
19.75.5 Chiedene improntamente anco tal volta,
19.75.6 e la difficoltà cresce le voglie.
19.75.7 O qui lasciar la vita egli è disposto,
19.75.8 o riportarne il gran secreto ascosto.
19.76.1 Mille e più vie d' accorgimento ignote,
19.76.2 mille ripensa inusitate frodi,
19.76.3 e pur con tutto ciò non gli son note
19.76.4 de l' occulta congiura e l' arme e i modi.
19.76.5 Fortuna alfin (quel che per sé non pote)
19.76.6 isviluppò d' ogni suo dubbio i nodi,
19.76.7 sì ch' ei distinto e manifesto intese
19.76.8 come l' insidie al pio Buglion sian tese.
19.77.1 Era tornato ov' è pur anco assisa
19.77.2 fra' suoi campioni la nemica amante,
19.77.3 ch' ivi opportun l' investigarne avisa
19.77.4 ove traean genti sì varie e tante.
19.77.5 Or qui s' accosta a una donzella, in guisa
19.77.6 che par che v' abbia conoscenza inante;
19.77.7 par v' abbia d' amistade antica usanza,
19.77.8 e ragiona in affabile sembianza.
19.78.1 Egli dicea, quasi per gioco: -- Anch' io
19.78.2 vorrei d' alcuna bella esser campione,
19.78.3 e troncar pensarei co 'l ferro mio
19.78.4 il capo o di Rinaldo o del Buglione.
19.78.5 Chiedila pure a me, se n' hai desio,
19.78.6 la testa d' alcun barbaro barone.--
19.78.7 Così comincia, e pensa a poco a poco
19.78.8 a più grave parlar ridur il gioco.
19.79.1 Ma in questo dir sorrise, e fe' ridendo
19.79.2 un cotal atto suo nativo usato.
19.79.3 Una de l' altre allor qui sorgiungendo
19.79.4 l' udì, guardollo, e poi gli venne a lato;
19.79.5 disse:-- Involarti a ciascun' altra intendo,
19.79.6 né ti dorrai d' amor male impiegato.
19.79.7 In mio campion t' eleggo; ed in disparte,
19.79.8 come a mio cavalier, vuo' ragionarte.--
19.80.1 Ritirollo, e parlò:-- Riconosciuto
19.80.2 ho te, Vafrin; tu me conoscer déi. --
19.80.3 Nel cor turbossi lo scudiero astuto,
19.80.4 pur si rivolse sorridendo a lei:
19.80.5 -- Non t' ho (che mi sovenga) unqua veduto,
19.80.6 e degna pur d' esser mirata sei.
19.80.7 Questo so ben, ch' assai vario da quello
19.80.8 che tu dicesti è il nome ond' io m' appello.
19.81.1 Me su la piaggia di Biserta aprica
19.81.2 Lesbin produsse, e mi nomò Almanzorre.--
19.81.3 Tosto disse ella:-- Ho conoscenza antica
19.81.4 d' ogn' esser tuo, né già mi voglio apporre.
19.81.5 Non ti celar da me, ch' io sono amica,
19.81.6 ed in tuo pro vorrei la vita esporre.
19.81.7 Erminia son, già di re figlia, e serva
19.81.8 poi di Tancredi un tempo, e tua conserva.
19.82.1 Ne la dolce prigion due lieti mesi
19.82.2 pietoso prigionier m' avesti in guarda,
19.82.3 e mi servisti in bei modi cortesi.
19.82.4 Ben dessa i' son, ben dessa i' son; riguarda.--
19.82.5 Lo scudier, come pria v' ha gli occhi intesi,
19.82.6 la bella faccia a ravvisar non tarda.
19.82.7 -- Vivi -- ella soggiungea -- da me securo:
19.82.8 per questo ciel, per questo sol te 'l giuro.
19.83.1 Anzi pregar ti vo' che, quando torni,
19.83.2 mi riconduca a la prigion mia cara.
19.83.3 Torbide notti e tenebrosi giorni,
19.83.4 misera, vivo in libertate amara.
19.83.5 E se qui per ispia forse soggiorni,
19.83.6 ti si fa incontro alta fortuna e rara:
19.83.7 saprai da me congiure, e ciò ch' altrove
19.83.8 malagevol sarà che tu ritrove.--
19.84.1 Così gli parla, e intanto ei mira e tace;
19.84.2 pensa a l' essempio de la falsa Armida.
19.84.3 --Femina è cosa garrula e fallace:
19.84.4 vòle e disvòle; è folle uom che se 'n fida.--
19.84.5 Sì tra sé volge. -- Or, se venir ti piace,--
19.84.6 alfin le disse -- io ne sarò tua guida.
19.84.7 Sia fermato tra noi questo e conchiuso,
19.84.8 serbisi il parlar d' altro a miglior uso.--
19.85.1 Gli ordini danno di salire in sella
19.85.2 anzi il mover del campo allora allora.
19.85.3 Parte Vafrin dal padiglione, ed ella
19.85.4 si torna a l' altre e alquanto ivi dimora.
19.85.5 Di scherzar fa sembianza e pur favella
19.85.6 del campion novo, e se ne vien poi fora;
19.85.7 viene al loco prescritto e s' accompagna,
19.85.8 ed escon poi del campo a la campagna.
19.86.1 Già eran giunti in parte assai romita
19.86.2 e già sparian le saracine tende,
19.86.3 quando ei le disse:-- Or di' come a la vita
19.86.4 del pio Goffredo altri l' insidie tende.--
19.86.5 Allor colei de la congiura ordita
19.86.6 l' iniqua tela a lui dispiega e stende.
19.86.7 -- Son -- gli divisa -- otto guerrier di corte,
19.86.8 tra' quali il più famoso è Ormondo il forte.
19.87.1 Questi (che che lor mova, odio o disegno)
19.87.2 han conspirato, e l' arte lor fia tale:
19.87.3 quel dì ch' in lite verrà d' Asia il regno
19.87.4 tra' due gran campi in gran pugna campale,
19.87.5 avran su l' arme de la Croce il segno,
19.87.6 e l' arme avranno a la francesca; e quale
19.87.7 la guardia di Goffredo ha bianco e d' oro
19.87.8 il suo vestir, sarà l' abito loro.
19.88.1 Ma ciascun terrà cosa in su l' elmetto
19.88.2 che noto a i suoi per uom pagano il faccia.
19.88.3 Quando fia poi rimescolato e stretto
19.88.4 l' un campo e l' altro, elli porransi in traccia,
19.88.5 e insidieranno al valoroso petto
19.88.6 mostrando di custodi amica faccia;
19.88.7 e 'l ferro armato di veneno avranno,
19.88.8 perché mortal sia d' ogni piaga il danno.
19.89.1 E perché fra' pagani anco risassi
19.89.2 ch' io so vostr' usi ed arme e sopraveste,
19.89.3 fèr che le false insegne io divisassi;
19.89.4 e fui costretta ad opere moleste.
19.89.5 Queste son le cagion che 'l campo io lassi:
19.89.6 fuggo l' imperiose altrui richieste;
19.89.7 schivo ed aborro in qual si voglia modo
19.89.8 contaminarmi in atto alcun di frodo.
19.90.1 Queste son le cagion, ma non già sole.--
19.90.2 E qui si tacque, e di rossor si tinse
19.90.3 e chinò gli occhi, e l' ultime parole
19.90.4 ritener volle e non ben le distinse.
19.90.5 Lo scudier, che da lei ritrar pur vòle
19.90.6 ciò ch' ella vergognando in sé ristrinse,
19.90.7 -- Di poca fede, -- disse -- or perché cele
19.90.8 le più vere cagioni al tuo fedele?--
19.91.1 Ella dal petto un gran sospiro apriva,
19.91.2 e parlava con suon tremante e roco:
19.91.3 -- Mal guardata vergogna intempestiva,
19.91.4 vattene omai, non hai tu qui più loco;
19.91.5 a che pur tenti, o in van ritrosa, o schiva,
19.91.6 celar co 'l foco tuo d' amor il foco?
19.91.7 Debiti fur questi rispetti inante,
19.91.8 non or che fatta son donzella errante.--
19.92.1 Soggiunse poi:-- La notte a me fatale
19.92.2 ed a la patria mia che giacque oppressa,
19.92.3 perdei più che non parve; e 'l mio gran male
19.92.4 non ebbi in lei, ma derivò da essa.
19.92.5 Leve perdita è il regno, io co 'l regale
19.92.6 mio alto stato anco perdei me stessa:
19.92.7 per mai non ricovrarla, allor perdei
19.92.8 la mente, folle, e 'l core e i sensi miei.
19.93.1 Vafrin, tu sai che timidetta accorsi,
19.93.2 tanta strage vedendo e tante prede,
19.93.3 al tuo signor e mio, che prima i' scorsi
19.93.4 armato por ne la mia reggia il piede;
19.93.5 e chinandomi a lui tai voci porsi:
19.93.6 --Invitto vincitor, pietà, mercede!
19.93.7 non prego io te per la mia vita: il fiore
19.93.8 salvami sol del verginale onore.--
19.94.1 Egli, la sua porgendo a la mia mano,
19.94.2 non aspettò che 'l mio pregar fornisse:
19.94.3 --Vergine bella, non ricorri in vano,
19.94.4 io ne sarò tuo difensor-- mi disse.
19.94.5 Allor un non so che soave e piano
19.94.6 sentii ch' al cor mi scese e vi s' affisse,
19.94.7 che serpendomi poi per l' alma vaga,
19.94.8 non so come, divenne incendio e piaga.
19.95.1 Visitommi poi spesso, e 'n dolce suono
19.95.2 consolando il mio duol, meco si dolse.
19.95.3 Dicea: --L' intera libertà ti dono--,
19.95.4 e de le spoglie mie spoglia non volse.
19.95.5 Oimè! che fu rapina e parve dono,
19.95.6 ché rendendomi a me da me mi tolse.
19.95.7 Quel mi rendé ch' è via men caro e degno,
19.95.8 ma s' usurpò del core a forza il regno.
19.96.1 Mal amor si nasconde. A te sovente
19.96.2 desiosa chiedea del mio signore.
19.96.3 Veggendo i segni tu d' inferma mente:
19.96.4 --Erminia,-- mi dicesti --ardi d' amore.--
19.96.5 Io te 'l negai, ma un mio sospiro ardente
19.96.6 fu più verace testimon del core;
19.96.7 e 'n vece forse della lingua, il guardo
19.96.8 manifestava il foco onde tutt' ardo.
19.97.1 Sfortunato silenzio! avessi almeno
19.97.2 chiesta allor medicina al gran martìre,
19.97.3 s' esser poscia dovea lentato il freno,
19.97.4 quando non giovarebbe, al mio desire.
19.97.5 Partimmi in somma, e le mie piaghe in seno
19.97.6 portai celate e ne credei morire.
19.97.7 Al fin cercando al viver mio soccorso,
19.97.8 mi sciolse amor d' ogni rispetto il morso;
19.98.1 sì ch' a trovarne il mio signor io mossi
19.98.2 ch' egra mi fece e mi potea far sana.
19.98.3 Ma tra via fero intoppo attraversossi
19.98.4 di gente inclementissima e villana.
19.98.5 Poco mancò che preda lor non fossi,
19.98.6 pur in parte fuggimmi erma e lontana;
19.98.7 e colà vissi in solitaria cella,
19.98.8 cittadina de' boschi e pastorella.
19.99.1 Ma poi che quel desio che fu ripresso
19.99.2 molti dì per la tema anco risorse,
19.99.3 tornarmi ritentando al loco stesso,
19.99.4 la medesma sciagura anco m' occorse.
19.99.5 Fuggir non potei già, ch' era omai presso
19.99.6 predatrice masnada e troppo corse.
19.99.7 Così fui presa, e quei che mi rapiro
19.99.8 Egizi fur ch' a Gaza indi se 'n giro,
19.100.1 e 'n don menàrmi al capitano, a cui
19.100.2 diedi di me contezza, e 'l persuasi
19.100.3 sì ch' onorata e inviolata fui
19.100.4 quei dì che con Armida ivi rimasi.
19.100.5 Così venni più volte in forza altrui,
19.100.6 e me 'n sottrassi. Ecco i miei duri casi.
19.100.7 Pur le prime catene anco riserva
19.100.8 la tante volte liberata e serva.
19.101.1 Oh, pur colui che circondolle intorno
19.101.2 a l' alma, sì che non fia chi le scioglia,
19.101.3 non dica: --Errante ancella, altro soggiorno
19.101.4 cércati pure--, e me seco non voglia;
19.101.5 ma pietoso gradisca il mio ritorno
19.101.6 e ne l' antica mia prigion m' accoglia!--
19.101.7 Così diceagli Erminia, e insieme andaro
19.101.8 la notte e 'l giorno ragionando a paro.
19.102.1 Il più usato sentier lasciò Vafrino,
19.102.2 calle cercando o più securo o corto.
19.102.3 Giunsero in loco a la città vicino
19.102.4 quando è il sol ne l' occaso e imbruna l' orto,
19.102.5 e trovaron di sangue atro il camino;
19.102.6 e poi vider nel sangue un guerrier morto
19.102.7 che le vie tutte ingombra, e la gran faccia
19.102.8 tien volta al cielo e morto anco minaccia.
19.103.1 L' uso de l' arme e 'l portamento estrano
19.103.2 pagàn mostràrlo, e lo scudier trascorse;
19.103.3 un altro alquanto ne giacea lontano
19.103.4 che tosto a gli occhi di Vafrino occorse.
19.103.5 Egli disse fra sé: --Questi è cristiano.--
19.103.6 Più il mise poscia il vestir bruno in forse.
19.103.7 Salta di sella e gli discopre il viso,
19.103.8 ed: -- Oimè, -- grida -- è qui Tancredi ucciso. --
19.104.1 A riguardar sovra il guerrier feroce
19.104.2 la male aventurosa era fermata,
19.104.3 quando dal suon de la dolente voce
19.104.4 per lo mezzo del cor fu saettata.
19.104.5 Al nome di Tancredi ella veloce
19.104.6 accorse in guisa d' ebra e forsennata.
19.104.7 Vista la faccia scolorita e bella,
19.104.8 non scese no, precipitò di sella;
19.105.1 e in lui versò d' inessicabil vena
19.105.2 lacrime e voce di sospiri mista:
19.105.3 -- In che misero punto or qui mi mena
19.105.4 fortuna? a che veduta amara e trista?
19.105.5 Dopo gran tempo i' ti ritrovo a pena,
19.105.6 Tancredi, e ti riveggio e non son vista:
19.105.7 vista non son da te benché presente,
19.105.8 e trovando ti perdo eternamente.
19.106.1 Misera! non credea ch' a gli occhi miei
19.106.2 potessi in alcun tempo esser noioso.
19.106.3 Or cieca farmi volentier torrei
19.106.4 per non vederti, e riguardar non oso.
19.106.5 Oimè, de' lumi già sì dolci e rei
19.106.6 ov' è la fiamma? ov' è il bel raggio ascoso?
19.106.7 de le fiorite guancie il bel vermiglio
19.106.8 ov' è fuggito? ov' è il seren del ciglio?
19.107.1 Ma che? squallido e scuro anco mi piaci.
19.107.2 Anima bella, se quinci entro gire,
19.107.3 s' odi il mio pianto, a le mie voglie audaci
19.107.4 perdona il furto e 'l temerario ardire:
19.107.5 da le pallide labra i freddi baci,
19.107.6 che più caldi sperai, vuo' pur rapire;
19.107.7 parte torrò di sue ragioni a morte,
19.107.8 baciando queste labra essangui e smorte.
19.108.1 Pietosa bocca che solevi in vita
19.108.2 consolar il mio duol di tue parole,
19.108.3 lecito sia ch' anzi la mia partita
19.108.4 d' alcun tuo caro bacio io mi console;
19.108.5 e forse allor, s' era a cercarlo ardita,
19.108.6 quel davi tu ch' ora conven ch' invole.
19.108.7 Lecito sia ch' ora ti stringa e poi
19.108.8 versi lo spirto mio fra i labri tuoi.
19.109.1 Raccogli tu l' anima mia seguace,
19.109.2 drizzala tu dove la tua se 'n gio.--
19.109.3 Così parla gemendo, e si disface
19.109.4 quasi per gli occhi, e par conversa in rio.
19.109.5 Rivenne quegli a quell' umor vivace
19.109.6 e le languide labra alquanto aprio:
19.109.7 aprì le labra e con le luci chiuse
19.109.8 un suo sospir con que' di lei confuse.
19.110.1 Sente la donna il cavalier che geme,
19.110.2 e forza è pur che si conforti alquanto:
19.110.3 -- Apri gli occhi, Tancredi, a queste estreme
19.110.4 essequie -- grida -- ch' io ti fo co 'l pianto;
19.110.5 riguarda me che vuo' venirne insieme
19.110.6 la lunga strada e vuo' morirti a canto.
19.110.7 Riguarda me, non te 'n fuggir sì presto:
19.110.8 l' ultimo don ch' io ti dimando è questo.--
19.111.1 Apre Tancredi gli occhi e poi gli abbassa
19.111.2 torbidi e gravi, ed ella pur si lagna.
19.111.3 Dice Vafrino a lei:-- Questi non passa:
19.111.4 curisi adunque prima, e poi si piagna.--
19.111.5 Egli il disarma, ella tremante e lassa
19.111.6 porge la mano a l' opere compagna,
19.111.7 mira e tratta le piaghe e, di ferute
19.111.8 giudice esperta, spera indi salute.
19.112.1 Vede che 'l mal da la stanchezza nasce
19.112.2 e da gli umori in troppa copia sparti.
19.112.3 Ma non ha fuor ch' un velo onde gli fasce
19.112.4 le sue ferite, in sì solinghe parti.
19.112.5 Amor le trova inusitate fasce,
19.112.6 e di pietà le insegna insolite arti:
19.112.7 l' asciugò con le chiome e rilegolle
19.112.8 pur con le chiome che troncar si volle,
19.113.1 però che 'l velo suo bastar non pote
19.113.2 breve e sottile a le sì spesse piaghe.
19.113.3 Dittamo e croco non avea, ma note
19.113.4 per uso tal sapea potenti e maghe.
19.113.5 Già il mortifero sonno ei da sé scote,
19.113.6 già può le luci alzar mobili e vaghe.
19.113.7 Vede il suo servo, e la pietosa donna
19.113.8 sopra si mira in peregrina gonna.
19.114.1 Chiede:-- O Vafrin, qui come giungi e quando?
19.114.2 E tu chi sei, medica mia pietosa?--
19.114.3 Ella, fra lieta e dubbia sospirando,
19.114.4 tinse il bel volto di color di rosa:
19.114.5 -- Saprai -- rispose -- il tutto, or (te 'l comando
19.114.6 come medica tua) taci e riposa.
19.114.7 Salute avrai, prepara il guiderdone.--
19.114.8 Ed al suo capo il grembo indi suppone.
19.115.1 Pensa intanto Vafrin come a l' ostello
19.115.2 agiato il porti anzi più fosca sera,
19.115.3 ed ecco di guerrier giunge un drapello:
19.115.4 conosce ei ben che di Tancredi è schiera.
19.115.5 Quando affrontò il circasso e per appello
19.115.6 di battaglia chiamollo, insieme egli era;
19.115.7 non seguì lui perché non volse allora,
19.115.8 poi dubbioso il cercò de la dimora.
19.116.1 Seguian molti altri la medesma inchiesta,
19.116.2 ma ritrovarlo avien che lor succeda.
19.116.3 De le stesse lor braccia essi han contesta
19.116.4 quasi una sede ov' ei s' appoggi e sieda.
19.116.5 Disse Tancredi allora:-- Adunque resta
19.116.6 il valoroso Argante a i corvi in preda?
19.116.7 Ah per Dio non si lasci, e non si frodi
19.116.8 o de la sepoltura o de le lodi.
19.117.1 Nessuna a me co 'l busto essangue e muto
19.117.2 riman più guerra; egli morì qual forte,
19.117.3 onde a ragion gli è quell' onor devuto
19.117.4 che solo in terra avanzo è de la morte.--
19.117.5 Così da molti ricevendo aiuto
19.117.6 fa che 'l nemico suo dietro si porte.
19.117.7 Vafrino al fianco di colei si pose,
19.117.8 sì come uom sòle a le guardate cose.
19.118.1 Soggiunse il prence: -- A la città regale,
19.118.2 non a le tende mie, vuo' che si vada,
19.118.3 ché s' umano accidente a questa frale
19.118.4 vita sovrasta, è ben ch' ivi m' accada;
19.118.5 ché 'l loco ove morì l' Uomo immortale
19.118.6 può forse al Cielo agevolar la strada,
19.118.7 e sarà pago un mio pensier devoto
19.118.8 d' aver peregrinato al fin del voto.--
19.119.1 Disse, e colà portato egli fu posto
19.119.2 sovra le piume, e 'l prese un sonno cheto.
19.119.3 Vafrino a la donzella, e non discosto,
19.119.4 ritrova albergo assai chiuso e secreto.
19.119.5 Quinci s' invia dov' è Goffredo, e tosto
19.119.6 entra, ché non gli è fatto alcun divieto,
19.119.7 se ben allor de la futura impresa
19.119.8 in bilance i consigli appende e pesa.
19.120.1 Del letto, ove la stanca egra persona
19.120.2 posa Raimondo, il duce è su la sponda,
19.120.3 e d' ogn' intorno nobile corona
19.120.4 de' più potenti e più saggi il circonda.
19.120.5 Or, mentre lo scudiero a lui ragiona,
19.120.6 non v' è chi d' altro chieda o chi risponda.
19.120.7 -- Signor, -- dicea -- come imponesti, andai
19.120.8 tra gli infedeli e 'l campo lor cercai.
19.121.1 Ma non aspettar già che di quell' oste
19.121.2 l' innumerabil numero ti conti.
19.121.3 I' vidi ch' al passar le valli ascoste
19.121.4 sotto e' teneva e i piani tutti e i monti;
19.121.5 vidi che dove giunga, ove s' accoste,
19.121.6 spoglia la terra e secca i fiumi e i fonti,
19.121.7 perché non bastan l' acque a la lor sete,
19.121.8 e poco è lor ciò che la Siria miete.
19.122.1 Ma sì de' cavalier, sì de' pedoni
19.122.2 sono in gran parte inutili le schiere:
19.122.3 gente che non intende ordini o suoni,
19.122.4 né stringe ferro e di lontan sol fère.
19.122.5 Ben ve ne sono alquanti eletti e buoni
19.122.6 che seguite di Persia han le bandiere,
19.122.7 e forse squadra anco migliore è quella
19.122.8 che la squadra immortal del re s' appella.
19.123.1 Ella è detta immortal perché difetto
19.123.2 in quel numero mai non fu pur d' uno,
19.123.3 ma empie il loco vòto e sempre eletto
19.123.4 sottentra uom novo ove ne manchi alcuno.
19.123.5 Il capitan del campo, Emiren detto,
19.123.6 pari ha in senno e valor pochi o nessuno,
19.123.7 e gli commanda il re che provocarti
19.123.8 debba a pugna campal con tutte l' arti.
19.124.1 Né credo già ch' al dì secondo tardi
19.124.2 l' essercito nemico a comparire.
19.124.3 Ma tu, Rinaldo, assai conven che guardi
19.124.4 il capo, ond' è fra lor tanto desire,
19.124.5 ché i più famosi in arme e i più gagliardi
19.124.6 gli hanno incontra arrotato il ferro e l' ire;
19.124.7 perché Armida se stessa in guiderdone
19.124.8 a qual di loro il troncherà propone.
19.125.1 Fra questi è il valoroso e nobil perso:
19.125.2 dico Altamoro, il re di Sarmacante.
19.125.3 Adrasto v' è, c' ha il regno suo là verso
19.125.4 i confin de l' aurora ed è gigante,
19.125.5 uom d' ogni umanità così diverso
19.125.6 che frena per cavallo un elefante.
19.125.7 V' è Tisaferno, a cui ne l' esser prode
19.125.8 concorde fama dà sovrana lode.--
19.126.1 Così dice egli, e 'l giovenetto in volto
19.126.2 tutto scintilla ed ha ne gli occhi il foco.
19.126.3 Vorria già tra' nemici essere avolto,
19.126.4 né cape in sé, né ritrovar può loco.
19.126.5 Quinci Vafrino al capitan rivolto:
19.126.6 -- Signor, -- soggiunse -- il sin qui detto è poco;
19.126.7 la somma de le cose or qui si chiuda:
19.126.8 impugneransi in te l' arme di Giuda.--
19.127.1 Di parte in parte poi tutto gli espose
19.127.2 ciò che di fraudolente in lui si tesse:
19.127.3 l' arme e 'l venen, l' insegne insidiose,
19.127.4 il vanto udito, i premi e le promesse.
19.127.5 Molto chiesto gli fu, molto rispose;
19.127.6 breve tra lor silenzio indi successe,
19.127.7 poscia inalzando il capitano il ciglio
19.127.8 chiede a Raimondo:-- Or qual' è il tuo consiglio?--
19.128.1 Ed egli:-- È mio parer ch' a i novi albori,
19.128.2 come concluso fu, più non s' assaglia,
19.128.3 ma si stringa la torre, onde uscir fuori
19.128.4 quel ch' è là dentro a suo piacer non vaglia,
19.128.5 e posi il nostro campo e si ristori
19.128.6 fra tanto ad uopo di maggior battaglia.
19.128.7 Pensa poi tu s' è meglio usar la spada
19.128.8 con forza aperta o 'l gir tenendo a bada.
19.129.1 Mio giudizio è però che a te convegna
19.129.2 di te stesso curar sovra ogni cura,
19.129.3 ché per te vince l' oste e per te regna.
19.129.4 Chi senza te l' indrizza e l' assecura?
19.129.5 E perché i traditor non celi insegna,
19.129.6 mutar l' insegne a' tuoi guerrier procura.
19.129.7 Così la fraude a te palese fatta
19.129.8 sarà da quel medesmo in chi s' appiatta.--
19.130.1 Risponde il capitan:-- Come hai per uso,
19.130.2 mostri amico voler e saggia mente;
19.130.3 ma quel che dubbio lasci, or fia conchiuso.
19.130.4 Uscirem contra a la nemica gente,
19.130.5 né già star deve in muro o 'n vallo chiuso
19.130.6 il campo domator de l' Oriente.
19.130.7 Sia da quegli empi il valor nostro esperto
19.130.8 ne la più aperta luce, in loco aperto.
19.131.1 Non sosterran de le vittorie il nome,
19.131.2 non che de' vincitor l' aspetto altero,
19.131.3 non che l' arme; e lor forze saran dome,
19.131.4 fermo stabilimento al nostro impero.
19.131.5 La torre o tosto renderassi o, come
19.131.6 altri no 'l vieti, il prenderla è leggiero.--
19.131.7 Qui il magnanimo tace e fa partita,
19.131.8 ché 'l cader de le stelle al sonno invita.
CANTO XX
20.1.1 Già il sole avea desti i mortali a l' opre,
20.1.2 già diece ore del giorno eran trascorse,
20.1.3 quando lo stuol ch' a la gran torre è sopre
20.1.4 un non so che da lunge ombroso scorse,
20.1.5 quasi nebbia ch' a sera il mondo copre,
20.1.6 e ch' era il campo amico al fin s' accorse,
20.1.7 che tutto intorno il ciel di polve adombra
20.1.8 e i colli sotto e le campagne ingombra.
20.2.1 Alzano allor da l' alta cima i gridi
20.2.2 insino al ciel l' assediate genti,
20.2.3 con quel romor con che da i traci nidi
20.2.4 vanno a stormi le gru ne' giorni algenti
20.2.5 e tra le nubi a più tepidi lidi
20.2.6 fuggon stridendo inanzi a i freddi venti,
20.2.7 ch' or la giunta speranza in lor fa pronte
20.2.8 la mano al saettar, la lingua a l' onte.
20.3.1 Ben s' avisaro i Franchi onde de l' ire
20.3.2 l' impeto novo e 'l minacciar procede,
20.3.3 e miran d' alta parte; ed apparire
20.3.4 il poderoso campo indi si vede.
20.3.5 Sùbito avampa il generoso ardire
20.3.6 in que' petti feroci e pugna chiede.
20.3.7 La gioventute altera accolta insieme:
20.3.8 -- Dà -- grida -- il segno, invitto duce --, e freme.
20.4.1 Ma nega il saggio offrir battaglia inante
20.4.2 a i novi albori e tien gli audaci a freno,
20.4.3 né pur con pugna instabile e vagante
20.4.4 vuol che si tentin gl' inimici almeno.
20.4.5 -- Ben è ragion -- dicea -- che dopo tante
20.4.6 fatiche un giorno io vi ristori a pieno.--
20.4.7 Forse ne' suoi nemici anco la folle
20.4.8 credenza di se stessi ei nudrir volle.
20.5.1 Si prepara ciascun, de la novella
20.5.2 luce aspettando cupido il ritorno.
20.5.3 Non fu mai l' aria sì serena e bella
20.5.4 come a l' uscir del memorabil giorno:
20.5.5 l' alba lieta rideva, e parea ch' ella
20.5.6 tutti i raggi del sole avesse intorno;
20.5.7 e 'l lume usato accrebbe, e senza velo
20.5.8 volse mirar l' opere grandi il cielo.
20.6.1 Come vide spuntar l' aureo mattino,
20.6.2 mena fuori Goffredo il campo instrutto.
20.6.3 Ma pon Raimondo intorno al palestino
20.6.4 tiranno e de' fedeli il popol tutto
20.6.5 che dal paese di Soria vicino
20.6.6 a' suoi liberator s' era condutto:
20.6.7 numero grande; e pur non questo solo,
20.6.8 ma di Guasconi ancor lascia uno stuolo.
20.7.1 Vassene, e tal è in vista il sommo duce
20.7.2 ch' altri certa vittoria indi presume.
20.7.3 Novo favor del Cielo in lui riluce
20.7.4 e 'l fa grande ed augusto oltra il costume:
20.7.5 gli empie d' onor la faccia e vi riduce
20.7.6 di giovenezza il bel purpureo lume,
20.7.7 e ne l' atto de gli occhi e de le membra
20.7.8 altro che mortal cosa egli rassembra.
20.8.1 Ma non lunge se 'n va che giunge a fronte
20.8.2 de l' attendato essercito pagano,
20.8.3 e prender fa, ne l' arrivar, un monte
20.8.4 ch' egli ha da tergo e da sinistra mano;
20.8.5 e l' ordinanza poi, larga di fronte,
20.8.6 di fianchi angusta, spiega inverso il piano,
20.8.7 stringe in mezzo i pedoni e rende alati
20.8.8 con l' ale de' cavalli entrambi i lati.
20.9.1 Nel corno manco, il qual s' appressa a l' erto
20.9.2 de l' occupato colle e s' assecura,
20.9.3 pon l' un e l' altro prencipe Roberto,
20.9.4 dà le parti di mezzo al frate in cura.
20.9.5 Egli a destra s' alluoga, ove è l' aperto
20.9.6 e 'l periglioso più de la pianura,
20.9.7 ove il nemico, che di gente avanza,
20.9.8 di circondarlo aver potea speranza.
20.10.1 E qui i suoi Loteringhi e qui dispone
20.10.2 le meglio armate genti e le più elette,
20.10.3 qui tra cavalli arcieri alcun pedone
20.10.4 uso a pugnar tra' cavalier framette.
20.10.5 Poscia d' aventurier forma un squadrone
20.10.6 e d' altri altronde scelti, e presso il mette;
20.10.7 mette loro in disparte al lato destro,
20.10.8 e Rinaldo ne fa duce e maestro.
20.11.1 Ed a lui dice:-- In te, signor, riposta
20.11.2 la vittoria e la somma è de le cose.
20.11.3 Tieni tu la tua schiera alquanto ascosta
20.11.4 dietro a queste ali grandi e spaziose.
20.11.5 Quando appressa il nemico, e tu di costa
20.11.6 l' assali e rendi van quanto e' propose.
20.11.7 Proposto avrà, se 'l mio pensier non falle,
20.11.8 girando a i fianchi urtarci ed a le spalle.--
20.12.1 Quindi sovra un corsier di schiera in schiera
20.12.2 parea volar tra' cavalier, tra' fanti.
20.12.3 Tutto il volto scopria per la visiera:
20.12.4 fulminava ne gli occhi e ne' sembianti.
20.12.5 Confortò il dubbio e confermò chi spera
20.12.6 ed a l' audace rammentò i suoi vanti
20.12.7 e le sue prove al forte: a chi maggiori
20.12.8 gli stipendi promise, a chi gli onori.
20.13.1 Al fin colà fermossi ove le prime
20.13.2 e più nobili squadre erano accolte,
20.13.3 e cominciò da loco assai sublime
20.13.4 parlare, ond' è rapito ogn' uom ch' ascolte.
20.13.5 Come in torrenti da l' alpestri cime
20.13.6 soglion giù derivar le nevi sciolte,
20.13.7 così correan volubili e veloci
20.13.8 da la sua bocca le canore voci.
20.14.1 -- O de' nemici di Giesù flagello,
20.14.2 campo mio, domator de l' Oriente,
20.14.3 ecco l' ultimo giorno, ecco pur quello
20.14.4 che già tanto bramaste omai presente.
20.14.5 Né senza alta cagion ch' il suo rubello
20.14.6 popolo or si raccolga il Ciel consente:
20.14.7 ogni vostro nimico ha qui congiunto
20.14.8 per fornir molte guerre in un sol punto.
20.15.1 Noi raccorrem molte vittorie in una,
20.15.2 né fia maggiore il rischio o la fatica.
20.15.3 Non sia, non sia tra voi temenza alcuna
20.15.4 in veder così grande oste nimica,
20.15.5 ché discorde fra sé mal si raguna
20.15.6 e ne gli ordini suoi se stessa intrica,
20.15.7 e di chi pugni il numero fia poco:
20.15.8 mancherà il core a molti, a molti il loco.
20.16.1 Quei che incontra verranci, uomini ignudi
20.16.2 fian per lo più, senza vigor, senz' arte,
20.16.3 che dal lor ozio o da i servili studi
20.16.4 sol violenza or allontana e parte.
20.16.5 Le spade omai tremar, tremar gli scudi,
20.16.6 tremar veggio l' insegne in quella parte,
20.16.7 conosco i suoni incerti e i dubbi moti:
20.16.8 veggio la morte loro a i segni noti.
20.17.1 Quel capitan che cinto d' ostro e d' oro
20.17.2 dispon le squadre, e par sì fero in vista,
20.17.3 vinse forse talor l' Arabo o 'l Moro,
20.17.4 ma il suo valor non fia ch' a noi resista.
20.17.5 Che farà, benché saggio, in tanta loro
20.17.6 confusione e sì torbida e mista?
20.17.7 Mal noto è, credo, e mal conosce i sui,
20.17.8 ed a pochi può dir: --Tu fosti, io fui.--
20.18.1 Ma capitano i' son di gente eletta:
20.18.2 pugnammo un tempo e trionfammo insieme,
20.18.3 e poscia un tempo a mio voler l' ho retta.
20.18.4 Di chi di voi non so la patria o 'l seme?
20.18.5 quale spada m' è ignota? o qual saetta,
20.18.6 benché per l' aria ancor sospesa treme,
20.18.7 non saprei dir se franca o se d' Irlanda,
20.18.8 e quale a punto il braccio è che la manda?
20.19.1 Chiedo solite cose: ognun qui sembri
20.19.2 quel medesmo ch' altrove i' l' ho già visto;
20.19.3 e l' usato suo zelo abbia, e rimembri
20.19.4 l' onor suo, l' onor mio, l' onor di Cristo.
20.19.5 Ite, abbattete gli empi; e i tronchi membri
20.19.6 calcate, e stabilite il santo acquisto.
20.19.7 Ché più vi tengo a bada? assai distinto
20.19.8 ne gli occhi vostri il veggio: avete vinto.--
20.20.1 Parve che nel fornir di tai parole
20.20.2 scendesse un lampo lucido e sereno,
20.20.3 come tal volta estiva notte sòle
20.20.4 scoter dal manto suo stella o baleno.
20.20.5 Ma questo creder si potea che 'l sole
20.20.6 giuso il mandasse dal più interno seno;
20.20.7 e parve al capo irgli girando, e segno
20.20.8 alcun pensollo di futuro regno.
20.21.1 Forse (se deve infra celesti arcani
20.21.2 prosuntuosa entrar lingua mortale)
20.21.3 agnol custode fu che da i soprani
20.21.4 cori discese, e 'l circondò con l' ale.
20.21.5 Mentre ordinò Goffredo i suoi cristiani
20.21.6 e parlò fra le schiere in guisa tale,
20.21.7 l' egizio capitan lento non fue
20.21.8 ad ordinare, a confortar le sue.
20.22.1 Trasse le squadre fuor, come veduto
20.22.2 fu da lunge venirne il popol franco,
20.22.3 e fece anch' ei l' essercito cornuto,
20.22.4 co' fanti in mezzo e i cavalieri al fianco.
20.22.5 E per sé il corno destro ha ritenuto,
20.22.6 e prepose Altamoro al lato manco;
20.22.7 Muleasse fra loro i fanti guida,
20.22.8 e in mezzo è poi de la battaglia Armida.
20.23.1 Co 'l duce a destra è il re de gli Indiani
20.23.2 e Tisaferno e tutto il regio stuolo.
20.23.3 Ma dove stender può ne' larghi piani
20.23.4 l' ala sinistra più spedito il volo,
20.23.5 Altamoro ha i re persi e i re africani
20.23.6 e i duo che manda il più fervente suolo.
20.23.7 Quinci le frombe e le balestre e gli archi
20.23.8 esser tutti dovean rotati e scarchi.
20.24.1 Così Emiren gli schiera, e corre anch' esso
20.24.2 per le parti di mezzo e per gli estremi:
20.24.3 per interpreti or parla, or per se stesso,
20.24.4 mesce lodi e rampogne e pene e premi.
20.24.5 Talor dice ad alcun:-- Perché dimesso
20.24.6 mostri, soldato, il volto? e di che temi?
20.24.7 che pote un contra cento? io mi confido
20.24.8 sol con l' ombra fugarli e sol co 'l grido.--
20.25.1 Ad altri:-- O valoroso, or via con questa
20.25.2 faccia a ritòr la preda a noi rapita. --
20.25.3 L' imagine ad alcuno in mente desta,
20.25.4 glie la figura quasi e glie l' addita,
20.25.5 de la pregante patria e de la mesta
20.25.6 supplice famigliuola sbigottita.
20.25.7 -- Credi -- dicea -- che la tua patria spieghi
20.25.8 per la mia lingua in tai parole i preghi:
20.26.1 --Guarda tu le mie leggi, e i sacri tèmpi
20.26.2 fa' ch' io del sangue mio non bagni e lavi;
20.26.3 assecura le vergini da gli empi,
20.26.4 e i sepolcri e le ceneri de gli avi.--
20.26.5 A te, piangendo i lor passati tempi,
20.26.6 mostran la bianca chioma i vecchi gravi,
20.26.7 a te la moglie le mammelle e 'l petto,
20.26.8 le cune e i figli e 'l marital suo letto.--
20.27.1 A molti poi dicea:-- L' Asia campioni
20.27.2 vi fa de l' onor suo; da voi s' aspetta
20.27.3 contra que' pochi barbari ladroni
20.27.4 acerba, ma giustissima vendetta.--
20.27.5 Così con arti varie, in vari suoni
20.27.6 le varie genti a la battaglia alletta.
20.27.7 Ma già tacciono i duci, e le vicine
20.27.8 schiere non parte omai largo confine.
20.28.1 Grande e mirabil cosa era il vedere
20.28.2 quando quel campo e questo a fronte venne
20.28.3 come, spiegate in ordine le schiere,
20.28.4 di mover già, già d' assalire accenne;
20.28.5 sparse al vento ondeggiando ir le bandiere
20.28.6 e ventolar su i gran cimier le penne:
20.28.7 abiti e fregi, imprese, arme e colori,
20.28.8 d' oro e di ferro al sol lampi e fulgori.
20.29.1 Sembra d' alberi densi alta foresta
20.29.2 l' un campo e l' altro, di tant' aste abbonda.
20.29.3 Son tesi gli archi e son le lancie in resta,
20.29.4 vibransi i dardi e rotasi ogni fionda;
20.29.5 ogni cavallo in guerra anco s' appresta;
20.29.6 gli odii e 'l furor del suo signor seconda,
20.29.7 raspa, batte, nitrisce e si raggira,
20.29.8 gonfia le nari e fumo e foco spira.
20.30.1 Bello in sì bella vista anco è l' orrore,
20.30.2 e di mezzo la tema esce il diletto.
20.30.3 Né men le trombe orribili e canore
20.30.4 sono a gli orecchi lieto e fero oggetto.
20.30.5 Pur il campo fedel, benché minore,
20.30.6 par di suon più mirabile e d' aspetto,
20.30.7 e canta in più guerriero e chiaro carme
20.30.8 ogni sua tromba, e maggior luce han l' arme.
20.31.1 Fèr le trombe cristiane il primo invito,
20.31.2 risposer l' altre ed accettàr la guerra.
20.31.3 S' inginocchiaro i Franchi e riverito
20.31.4 da lor fu il Cielo, indi baciàr la terra.
20.31.5 Decresce in mezzo il campo; ecco è sparito:
20.31.6 l' un con l' altro nemico omai si serra.
20.31.7 Già fera zuffa è ne le corna, e inanti
20.31.8 spingonsi già con lor battaglia i fanti.
20.32.1 Or chi fu il primo feritor cristiano
20.32.2 che facesse d' onor lodati acquisti?
20.32.3 Fosti, Gildippe, tu che 'l grande ircano,
20.32.4 che regnava in Ormùs, prima feristi
20.32.5 (tanto di gloria a la feminea mano
20.32.6 concesse il Cielo) e 'l petto a lui partisti.
20.32.7 Cade il trafitto, e nel cadere egli ode
20.32.8 dar gridando i nemici al colpo lode.
20.33.1 Con la destra viril la donna stringe,
20.33.2 poi c' ha rotto il troncon, la buona spada,
20.33.3 e contra i Persi il corridor sospinge
20.33.4 e 'l folto de le schiere apre e dirada.
20.33.5 Coglie Zopiro là dove uom si cinge
20.33.6 e fa che quasi bipartito ei cada,
20.33.7 poi fèr la gola e tronca al crudo Alarco
20.33.8 de la voce e del cibo il doppio varco.
20.34.1 D' un mandritto Artaserse, Argeo di punta,
20.34.2 l' uno atterra stordito e l' altro uccide.
20.34.3 Poscia i pieghevol nodi, ond' è congiunta
20.34.4 la manca al braccio, ad Ismael recide.
20.34.5 Lascia, cadendo, il fren la man disgiunta,
20.34.6 su gli orecchi al destriero il colpo stride;
20.34.7 ei, che si sente in suo poter la briglia,
20.34.8 fugge a traverso e gli ordini scompiglia.
20.35.1 Questi e molti altri, ch' in silenzio preme
20.35.2 l' età vetusta, ella di vita toglie.
20.35.3 Stringonsi i Persi e vanle adosso insieme,
20.35.4 vaghi d' aver le gloriose spoglie.
20.35.5 Ma lo sposo fedel, che di lei teme,
20.35.6 corre in soccorso a la diletta moglie.
20.35.7 Così congiunta, la concorde coppia
20.35.8 ne la fida union le forze addoppia.
20.36.1 Arte di schermo nova e non più udita
20.36.2 a i magnanimi amanti usar vedresti:
20.36.3 oblia di sé la guardia, e l' altrui vita
20.36.4 difende intentamente e quella e questi.
20.36.5 Ribatte i colpi la guerriera ardita
20.36.6 che vengono al suo caro aspri e molesti;
20.36.7 egli a l' arme a lei dritte oppon lo scudo,
20.36.8 v' opporria, s' uopo fosse, il capo ignudo.
20.37.1 Propria l' altrui difesa, e propria face
20.37.2 l' uno e l' altro di lor l' altrui vendetta.
20.37.3 Egli dà morte ad Artabano audace,
20.37.4 per cui di Boecàn l' isola è retta,
20.37.5 e per l' istessa mano Alvante giace,
20.37.6 ch' osò pur di colpir la sua diletta.
20.37.7 Ella fra ciglio e ciglio ad Arimonte,
20.37.8 che 'l suo fedel battea, partì la fronte.
20.38.1 Tal fean de' Persi strage, e via maggiore
20.38.2 la fea de' Franchi il re di Sarmacante,
20.38.3 ch' ove il ferro volgeva o 'l corridore,
20.38.4 uccideva, abbattea cavallo o fante.
20.38.5 Felice è qui colui che prima more,
20.38.6 né geme poi sotto il destrier pesante,
20.38.7 perché il destrier, se da la spada resta
20.38.8 alcun mal vivo avanzo, il morde e pesta.
20.39.1 Riman da i colpi d' Altamoro ucciso
20.39.2 Brunellone il membruto, Ardonio il grande.
20.39.3 L' elmetto a l' uno e 'l capo è sì diviso
20.39.4 ch' ei ne pende su gli omeri a due bande.
20.39.5 Trafitto è l' altro insin là dove il riso
20.39.6 ha suo principio, e 'l cor dilata e spande,
20.39.7 talché (strano spettacolo ed orrendo!)
20.39.8 ridea sforzato e si moria ridendo.
20.40.1 Né solamente discacciò costoro
20.40.2 la spada micidial dal dolce mondo,
20.40.3 ma spinti insieme a crudel morte foro
20.40.4 Gentonio, Guasco, Guido e 'l buon Rosmondo.
20.40.5 Or chi narrar potria quanti Altamoro
20.40.6 n' abbatte, e frange il suo destrier co 'l pondo?
20.40.7 chi dire i nomi de le genti uccise?
20.40.8 chi del ferir, chi del morir le guise?
20.41.1 Non è chi con quel fero omai s' affronte,
20.41.2 né chi pur lunge d' assalirlo accenne.
20.41.3 Sol rivolse Gildippe in lui la fronte,
20.41.4 né da quel dubbio paragon s' astenne.
20.41.5 Nulla Amazone mai su 'l Termodonte
20.41.6 imbracciò scudo o maneggiò bipenne
20.41.7 audace sì, com' ella audace inverso
20.41.8 al furor va del formidabil perso.
20.42.1 Ferillo ove splendea d' oro e di smalto
20.42.2 barbarico diadema in su l' elmetto,
20.42.3 e 'l ruppe e sparse, onde il superbo ed alto
20.42.4 suo capo a forza egli è chinar constretto.
20.42.5 Ben di robusta man parve l' assalto
20.42.6 al re pagano, e n' ebbe onta e dispetto,
20.42.7 né tardò in vendicar l' ingiurie sue,
20.42.8 ché l' onta e la vendetta a un tempo fue.
20.43.1 Quasi in quel punto in fronte egli percosse
20.43.2 la donna di percossa in modo fella
20.43.3 che d' ogni senso e di vigor la scosse:
20.43.4 cadea, ma 'l suo fedel la tenne in sella.
20.43.5 Fortuna loro o sua virtù pur fosse,
20.43.6 tanto bastogli e non ferì più in ella,
20.43.7 quasi leon magnanimo che lassi,
20.43.8 sdegnando, uom che si giaccia, e guardi e passi.
20.44.1 Ormondo intanto, a le cui fere mani
20.44.2 era commessa la spietata cura,
20.44.3 misto con false insegne è fra' cristiani,
20.44.4 e i compagni con lui di sua congiura;
20.44.5 così lupi notturni, i quai di cani
20.44.6 mostrin sembianza, per la nebbia oscura
20.44.7 vanno a le mandre e spian come in lor s' entre,
20.44.8 la dubbia coda ristringendo al ventre.
20.45.1 Giansi appressando, e non lontano al fianco
20.45.2 del pio Goffredo il fer pagan si mise.
20.45.3 Ma come il capitan l' orato e 'l bianco
20.45.4 vide apparir de le sospette assise:
20.45.5 -- Ecco -- gridò --quel traditor che franco
20.45.6 cerca mostrarsi in simulate guise,
20.45.7 ecco i suoi congiurati in me già mossi.--
20.45.8 Così dicendo, al perfido aventossi.
20.46.1 Mortalmente piagollo, e quel fellone
20.46.2 non fère, non fa schermo e non s' arretra;
20.46.3 ma, come inanzi a gli occhi abbia 'l Gorgone
20.46.4 (e fu cotanto audace), or gela e impètra.
20.46.5 Ogni spada ed ogn' asta a lor s' oppone,
20.46.6 e si vòta in lor soli ogni faretra.
20.46.7 Va in tanti pezzi Ormondo e i suoi consorti,
20.46.8 che 'l cadavero pur non resta a i morti.
20.47.1 Poi che di sangue ostil si vede asperso,
20.47.2 entra in guerra Goffredo, e là si volve
20.47.3 ove appresso vedea che 'l duce perso
20.47.4 le più ristrette squadre apre e dissolve,
20.47.5 sì che 'l suo stuolo omai n' andria disperso
20.47.6 come anzi l' Austro l' africana polve.
20.47.7 Vèr lui si drizza, e i suoi sgrida e minaccia;
20.47.8 e fermando chi fugge, assal chi caccia.
20.48.1 Comincian qui le due feroci destre
20.48.2 pugna qual mai non vide Ida né Xanto.
20.48.3 Ma segue altrove aspra tenzon pedestre
20.48.4 fra Baldovino e Muleasse intanto,
20.48.5 né ferve men l' altra battaglia equestre
20.48.6 appresso il colle, a l' altro estremo canto,
20.48.7 ove il barbaro duce de le genti
20.48.8 pugna in persona e seco ha i duo potenti.
20.49.1 Il rettor de le turbe e l' un Roberto
20.49.2 fan crudel zuffa, e lor virtù s' agguaglia.
20.49.3 Ma l' indian de l' altro ha l' elmo aperto,
20.49.4 e l' arme tuttavia gli fende e smaglia.
20.49.5 Tisaferno non ha nemico certo
20.49.6 che gli sia paragon degno in battaglia,
20.49.7 ma scorre ove la calca appar più folta,
20.49.8 e mesce varia uccisione e molta.
20.50.1 Così si combatteva, e 'n dubbia lance
20.50.2 co 'l timor le speranze eran sospese.
20.50.3 Pien tutto il campo è di spezzate lance,
20.50.4 di rotti scudi e di troncato arnese,
20.50.5 di spade a i petti, a le squarciate pance
20.50.6 altre confitte, altre per terra stese,
20.50.7 di corpi, altri supini, altri co' volti,
20.50.8 quasi mordendo il suolo, al suol rivolti.
20.51.1 Giace il cavallo al suo signore appresso,
20.51.2 giace il compagno appo il compagno estinto,
20.51.3 giace il nemico appo il nemico, e spesso
20.51.4 su 'l morto il vivo, il vincitor su 'l vinto.
20.51.5 Non v' è silenzio e non v' è grido espresso,
20.51.6 ma odi un non so che roco e indistinto:
20.51.7 fremiti di furor, mormori d' ira,
20.51.8 gemiti di chi langue e di chi spira.
20.52.1 L' arme, che già sì liete in vista foro,
20.52.2 faceano or mostra paventosa e mesta:
20.52.3 perduti ha i lampi il ferro, i raggi l' oro,
20.52.4 nulla vaghezza a i bei color più resta.
20.52.5 Quanto apparia d' adorno e di decoro
20.52.6 né cimieri e ne' fregi, or si calpesta;
20.52.7 la polve ingombra ciò ch' al sangue avanza,
20.52.8 tanto i campi mutata avean sembianza.
20.53.1 Gli Arabi allora, e gli Etiòpi e i Mori,
20.53.2 che l' estremo tenean del lato manco,
20.53.3 giansi spiegando e distendendo in fòri,
20.53.4 giravan poi de gli inimici al fianco;
20.53.5 ed omai saggittari e frombatori
20.53.6 molestavan da lunge il popol franco,
20.53.7 quando Rinaldo e 'l suo drapel si mosse,
20.53.8 e parve che tremoto e tuono fosse.
20.54.1 Assimiro di Mèroe infra l' adusto
20.54.2 stuol d' Etiopia era il primier de' forti.
20.54.3 Rinaldo il colse ove s' annoda al busto
20.54.4 il nero collo, e 'l fe' cader tra' morti.
20.54.5 Poich' eccitò de la vittoria il gusto
20.54.6 l' appetito del sangue e de le morti
20.54.7 nel fero vincitore, egli fe' cose
20.54.8 incredibili, orrende e monstruose.
20.55.1 Diè più morti che colpi, e pur frequente
20.55.2 de' suoi gran colpi la tempesta cade.
20.55.3 Qual tre lingue vibrar sembra il serpente,
20.55.4 ché la prestezza d' una il persuade,
20.55.5 tal credea lui la sbigottita gente
20.55.6 con la rapida man girar tre spade.
20.55.7 L' occhio al moto deluso il falso crede,
20.55.8 e 'l terrore a que' mostri accresce fede.
20.56.1 I libici tiranni e i negri regi
20.56.2 l' un nel sangue de l' altro a morte stese.
20.56.3 Dièr sovra gli altri i suoi compagni egregi,
20.56.4 che d' emulo furor l' essempio accese.
20.56.5 Cadeane con orribili dispregi
20.56.6 l' infedel plebe, e non facea difese.
20.56.7 Pugna questa non è, ma strage sola,
20.56.8 ché quinci oprano il ferro, indi la gola.
20.57.1 Ma non lunga stagion volgon la faccia,
20.57.2 ricevendo le piaghe in nobil parte.
20.57.3 Fuggon le turbe, e sì il timor le caccia
20.57.4 ch' ogni ordinanza lor scompagna e parte.
20.57.5 Ma segue pur senza lasciar la traccia
20.57.6 sin che l' ha in tutto dissipate e sparte,
20.57.7 poi si raccoglie il vincitor veloce
20.57.8 che sovra i più fugaci è men feroce.
20.58.1 Qual vento, a cui s' oppone o selva o colle,
20.58.2 doppia ne la contesa i soffi e l' ira,
20.58.3 ma con fiato più placido e più molle
20.58.4 per le campagne libere poi spira;
20.58.5 come fra scogli il mar spuma e ribolle,
20.58.6 e ne l' aperto onde più chete aggira,
20.58.7 così quanto contrasto avea men saldo,
20.58.8 tanto scemava il suo furor Rinaldo.
20.59.1 Poi che sdegnossi in fuggitivo dorso
20.59.2 le nobil ire ir consumando invano,
20.59.3 verso la fanteria voltò il suo corso,
20.59.4 ch' ebbe l' Arabo al fianco e l' Africano,
20.59.5 or nuda è da quel lato, e chi soccorso
20.59.6 dar le doveva o giace od è lontano.
20.59.7 Vien da traverso, e le pedestri schiere
20.59.8 la gente d' arme impetuosa fère.
20.60.1 Ruppe l' aste e gli intoppi, il violento
20.60.2 impeto vinse e penetrò fra esse,
20.60.3 le sparse e l' atterrò; tempesta o vento
20.60.4 men tosto abbatte la pieghevol messe.
20.60.5 Lastricato co 'l sangue è il pavimento
20.60.6 d' arme e di membra perforate e fesse;
20.60.7 e la cavalleria correndo il calca
20.60.8 senza ritegno, e fera oltra se 'n valca.
20.61.1 Giunse Rinaldo ove su 'l carro aurato
20.61.2 stavasi Armida in militar sembianti,
20.61.3 e nobil guardia avea da ciascun lato
20.61.4 de' baroni seguaci e de gli amanti.
20.61.5 Noto a più segni, egli è da lei mirato
20.61.6 con occhi d' ira e di desio tremanti:
20.61.7 ei si tramuta in volto un cotal poco,
20.61.8 ella si fa di gel, divien poi foco.
20.62.1 Declina il carro il cavaliero e passa,
20.62.2 e fa sembiante d' uom cui d' altro cale;
20.62.3 ma senza pugna già passar non lassa
20.62.4 il drapel congiurato il suo rivale.
20.62.5 Chi il ferro stringe in lui, chi l' asta abbassa;
20.62.6 ella stessa in su l' arco ha già lo strale:
20.62.7 spingea le mani, e incrudelia lo sdegno,
20.62.8 ma le placava e n' era amor ritegno.
20.63.1 Sorse amor contra l' ira, e fe' palese
20.63.2 che vive il foco suo ch' ascoso tenne.
20.63.3 La man tre volte a saettar distese,
20.63.4 tre volte essa inchinolla, e si ritenne.
20.63.5 Pur vinse al fin lo sdegno, e l' arco tese
20.63.6 e fe' volar del suo quadrel le penne.
20.63.7 Lo stral volò, ma con lo strale un voto
20.63.8 sùbito uscì, che vada il colpo a vòto.
20.64.1 Torria ben ella che il quadrel pungente
20.64.2 tornasse indietro, e le tornasse al core;
20.64.3 tanto poteva in lei, benché perdente
20.64.4 (or che potria vittorioso?), Amore.
20.64.5 Ma di tal suo pensier poi si ripente,
20.64.6 e nel discorde sen cresce il furore.
20.64.7 Così or paventa ed or desia che tocchi
20.64.8 a pieno il colpo, e 'l segue pur con gli occhi.
20.65.1 Ma non fu la percossa in van diretta
20.65.2 ch' al cavalier su 'l duro usbergo è giunta,
20.65.3 duro ben troppo a feminil saetta,
20.65.4 che di pungere in vece ivi si spunta.
20.65.5 Egli le volge il fianco; ella, negletta
20.65.6 esser credendo, e d' ira arsa e compunta,
20.65.7 scocca l' arco più volte e non fa piaga:
20.65.8 e mentre ella saetta, Amor lei piaga.
20.66.1 --Sì dunque impenetrabile è costui,--
20.66.2 fra sé dicea --che forza ostil non cura?
20.66.3 Vestirebbe mai forse i membri sui
20.66.4 di quel diaspro ond' ei l' alma ha sì dura?
20.66.5 Colpo d' occhio o di man non pote in lui,
20.66.6 di tai tempre è il rigor che lo assecura;
20.66.7 e inerme io vinta sono, e vinta armata:
20.66.8 nemica, amante, egualmente sprezzata.
20.67.1 Or qual arte novella e qual m' avanza
20.67.2 nova forma in cui possa anco mutarmi?
20.67.3 Misera! e nulla aver degg' io speranza
20.67.4 ne' cavalieri miei, ché veder parmi,
20.67.5 anzi pur veggio, a la costui possanza
20.67.6 tutte le forze frali e tutte l' armi.--
20.67.7 E ben vedea de' suoi campioni estinti
20.67.8 altri giacerne, altri abbattuti e vinti.
20.68.1 Soletta a sua difesa ella non basta,
20.68.2 e già le pare esser prigiona e serva;
20.68.3 né s' assecura (e presso l' arco ha l' asta)
20.68.4 ne l' arme di Diana o di Minerva.
20.68.5 Qual è il timido cigno a cui sovrasta
20.68.6 co 'l fero artiglio l' aquila proterva,
20.68.7 ch' a terra si rannicchia e china l' ali,
20.68.8 i suoi timidi moti eran cotali.
20.69.1 Ma il principe Altamor, che sino allora
20.69.2 fermar de' Persi procurò lo stuolo
20.69.3 (ch' era già in piega e 'n fuga ito se 'n fòra,
20.69.4 ma 'l ritenea, bench' a fatica, ei solo),
20.69.5 or tal veggendo lei ch' amando adora,
20.69.6 là si volge di corso, anzi di volo,
20.69.7 e 'l suo onor abbandona e la sua schiera:
20.69.8 pur che costei si salvi, il mondo pèra.
20.70.1 Al mal difeso carro egli fa scorta
20.70.2 e co 'l ferro le vie gli sgombra inante,
20.70.3 ma da Rinaldo e da Goffredo è morta
20.70.4 e fugata sua schiera in quell' istante.
20.70.5 Il misero se 'l vede e se 'l comporta
20.70.6 assai miglior che capitano, amante.
20.70.7 Scorge Armida in securo, e torna poi,
20.70.8 intempestiva aita, a i vinti suoi,
20.71.1 ché da quel lato de' pagani il campo
20.71.2 irreparabilmente è sparso e sciolto;
20.71.3 ma da l' opposto, abbandonando il campo
20.71.4 a gli infedeli, i nostri il tergo han vòlto.
20.71.5 Ebbe l' un de' Roberti a pena scampo,
20.71.6 ferito dal nemico il petto e 'l volto,
20.71.7 l' altro è prigion d' Adrasto. In cotal guisa
20.71.8 la sconfitta egualmente era divisa.
20.72.1 Prende Goffredo allor tempo opportuno:
20.72.2 riordina sue squadre e fa ritorno
20.72.3 senza indugio a la pugna; e così l' uno
20.72.4 viene ad urtar ne l' altro intero corno.
20.72.5 Tinto se 'n vien di sangue ostil ciascuno,
20.72.6 ciascun di spoglie trionfali adorno.
20.72.7 La vittoria e l' onor vien da ogni parte,
20.72.8 sta dubbia in mezzo la Fortuna e Marte.
20.73.1 Or mentre in guisa tal fera tenzone
20.73.2 è tra 'l fedel essercito e 'l pagano,
20.73.3 salse in cima a la torre ad un balcone
20.73.4 e mirò, benché lunge, il fer Soldano;
20.73.5 mirò, quasi in teatro od in agone,
20.73.6 l' aspra tragedia de lo stato umano:
20.73.7 i vari assalti e 'l fero orror di morte,
20.73.8 e i gran giochi del caso e de la sorte.
20.74.1 Stette attonito alquanto e stupefatto
20.74.2 a quelle prime viste; e poi s' accese,
20.74.3 e desiò trovarsi anch' egli in atto
20.74.4 nel periglioso campo a l' alte imprese.
20.74.5 Né pose indugio al suo desir, ma ratto
20.74.6 d' elmo s' armò, ch' aveva ogn' altro arnese:
20.74.7 -- Su su,-- gridò -- non più, non più dimora:
20.74.8 convien ch' oggi si vinca o che si mora.--
20.75.1 O che sia forse il proveder divino
20.75.2 che spira in lui la furiosa mente,
20.75.3 perché quel giorno sian del palestino
20.75.4 imperio le reliquie in tutto spente;
20.75.5 o che sia ch' a la morte omai vicino
20.75.6 d' andarle incontra stimolar si sente,
20.75.7 impetuoso e rapido disserra
20.75.8 la porta, e porta inaspettata guerra.
20.76.1 E non aspetta pur che i feri inviti
20.76.2 accettino i compagni; esce sol esso,
20.76.3 e sfida sol mille nimici uniti,
20.76.4 e sol fra mille intrepido s' è messo.
20.76.5 Ma da l' impeto suo quasi rapiti
20.76.6 seguon poi gli altri ed Aladino stesso.
20.76.7 Chi fu vil, chi fu cauto, or nulla teme:
20.76.8 opera di furor più che di speme.
20.77.1 Quei che prima ritrova il turco atroce
20.77.2 caggiono a i colpi orribili improvisi,
20.77.3 e in condur loro a morte è sì veloce
20.77.4 ch' uom non li vede uccidere, ma uccisi.
20.77.5 Da i primieri a i sezzai, di voce in voce,
20.77.6 passa il terror, vanno i dolenti avisi,
20.77.7 tal che 'l vulgo fedel de la Soria
20.77.8 tumultuando già quasi fuggia.
20.78.1 Ma con men di terrore e di scompiglio
20.78.2 l' ordine e 'l loco suo fu ritenuto
20.78.3 dal Guascon, benché prossimo al periglio
20.78.4 a l' improviso ei sia colto e battuto.
20.78.5 Nessun dente giamai, nessun artiglio
20.78.6 o di silvestre o d' animal pennuto
20.78.7 insanguinossi in mandra o tra gli augelli,
20.78.8 come la spada del pagan tra quelli.
20.79.1 Sembra quasi famelica e vorace,
20.79.2 pasce le membra quasi e 'l sangue sugge.
20.79.3 Seco Aladin, seco lo stuol seguace
20.79.4 gli assediatori suoi percote e strugge.
20.79.5 Ma il buon Raimondo accorre ove disface
20.79.6 Soliman le sue squadre e già no 'l fugge,
20.79.7 se ben la fera destra ei riconosce
20.79.8 onde percosso ebbe mortali angosce.
20.80.1 Pur di novo l' affronta e pur ricade,
20.80.2 pur ripercosso ove fu prima offeso;
20.80.3 e colpa è sol de la soverchia etade,
20.80.4 a cui soverchio è de' gran colpi il peso.
20.80.5 Da cento scudi fu, da cento spade
20.80.6 oppugnato in quel tempo anco e difeso.
20.80.7 Ma trascorre il Soldano, o che se 'l creda
20.80.8 morto del tutto, o 'l pensi agevol preda.
20.81.1 Sovra gli altri ferisce e tronca e svena,
20.81.2 e 'n poca piazza fa mirabil prove;
20.81.3 ricerca poi, come furor il mena,
20.81.4 a nova uccision materia altrove.
20.81.5 Qual da povera mensa a ricca cena
20.81.6 uom stimolato dal digiun si move,
20.81.7 tal vanne a maggior guerra ov' egli sbrame
20.81.8 la sua di sangue infuriata fame.
20.82.1 Scende egli giù per le abbattute mura
20.82.2 e s' indirizza a la gran pugna in fretta.
20.82.3 Ma 'l furor ne' compagni e la paura
20.82.4 riman ch' i suoi nemici han già concetta;
20.82.5 e l' una schiera d' asseguir procura
20.82.6 quella vittoria ch' ei lasciò imperfetta,
20.82.7 l' altra resiste sì, ma non è senza
20.82.8 segno di fuga omai la resistenza.
20.83.1 Il Guascon ritirandosi cedeva,
20.83.2 ma se ne gìa disperso il popol siro.
20.83.3 Eran presso a l' albergo ove giaceva
20.83.4 il buon Tancredi, e i gridi entro s' udiro.
20.83.5 Dal letto il fianco infermo egli solleva,
20.83.6 vien su la vetta e volge gli occhi in giro;
20.83.7 vede, giacendo il conte, altri ritrarsi,
20.83.8 altri del tutto già fugati e sparsi.
20.84.1 Virtù, ch' a' valorosi unqua non manca,
20.84.2 perché languisca il corpo fral non langue,
20.84.3 ma le piagate membra in lui rinfranca
20.84.4 quasi in vece di spirito e di sangue.
20.84.5 Del gravissimo scudo arma ei la manca,
20.84.6 e non par grave il peso al braccio essangue.
20.84.7 Prende con l' altra man l' ignuda spada
20.84.8 (tanto basta a l' uom forte) e più non bada,
20.85.1 ma giù se 'n viene e grida:-- Ove fuggite,
20.85.2 lasciando il signor vostro in preda altrui?
20.85.3 dunque i barbari chiostri e le meschite
20.85.4 spiegheran per trofeo l' arme di lui?
20.85.5 Or, tornando in Guascogna, al figlio dite
20.85.6 che morì il padre onde fuggiste vui.--
20.85.7 Così lor parla, e 'l petto nudo e infermo
20.85.8 a mille armati e vigorosi è schermo.
20.86.1 E co 'l grave suo scudo, il qual di sette
20.86.2 dure cuoia di tauro era composto
20.86.3 e che a le terga poi di tempre elette
20.86.4 un coperchio d' acciaio ha sopraposto,
20.86.5 tien da le spade e tien da le saette,
20.86.6 tien da tutte arme il buon Raimondo ascosto,
20.86.7 e co 'l ferro i nemici intorno sgombra
20.86.8 sì che giace securo e quasi a l' ombra.
20.87.1 Respirando risorge in tempo poco
20.87.2 sotto il fido riparo il vecchio accolto,
20.87.3 e si sente avampar di doppio foco,
20.87.4 di sdegno il core e di vergogna il volto;
20.87.5 e drizza gli occhi accesi a ciascun loco
20.87.6 per riveder quel fero onde fu colto,
20.87.7 ma no 'l vedendo freme, e far prepara
20.87.8 ne' seguaci di lui vendetta amara.
20.88.1 Ritornan gli Aquitani e tutti insieme
20.88.2 seguono il duce al vendicarsi intento.
20.88.3 Lo stuol ch' inanzi osava tanto, or teme:
20.88.4 audacia passa ov' era pria spavento.
20.88.5 Cede chi rincalzò; chi cesse, or preme:
20.88.6 così varian le cose in un momento.
20.88.7 Ben fa Raimondo or sua vendetta, e sconta
20.88.8 pur di sua man con cento morti un' onta.
20.89.1 Mentre Raimondo il vergognoso sdegno
20.89.2 ne' più nobili capi sfogar tenta,
20.89.3 vede l' usurpator del nobil regno,
20.89.4 che fra' primi combatte, e gli s' aventa;
20.89.5 e 'l fère in fronte e nel medesmo segno
20.89.6 tocca e ritocca, e 'l suo colpir non lenta,
20.89.7 onde il re cade e con singulto orrendo
20.89.8 la terra ove regnò morde morendo.
20.90.1 Poich' una scorta è lunge e l' altra uccisa,
20.90.2 in color che restàr vario è l' affetto:
20.90.3 alcun, di belva infuriata in guisa,
20.90.4 disperato nel ferro urta co 'l petto;
20.90.5 altri, temendo, di campar s' avisa,
20.90.6 e là rifugge ov' ebbe pria ricetto.
20.90.7 Ma tra' fuggenti il vincitor commisto
20.90.8 entra, e fin pone al glorioso acquisto.
20.91.1 Presa è la rocca, e su per l' alte scale
20.91.2 chi fugge è morto o 'n su le prime soglie;
20.91.3 e nel sommo di lei Raimondo sale
20.91.4 e ne la destra il gran vessillo toglie,
20.91.5 e incontra a i due gran campi il trionfale
20.91.6 segno de la vittoria al vento scioglie.
20.91.7 Ma non già il guarda il fer Soldan che lunge
20.91.8 è di là fatto ed a la pugna giunge.
20.92.1 Giunge in campagna tepida e vermiglia
20.92.2 che d' ora in ora più di sangue ondeggia,
20.92.3 sì che il regno di morte omai somiglia
20.92.4 ch' ivi i trionfi suoi spiega e passeggia.
20.92.5 Vede un destrier che con pendente briglia,
20.92.6 senza rettor, trascorso è fuor di greggia;
20.92.7 gli gitta al fren la mano e 'l vòto dorso
20.92.8 montando preme e poi lo spinge al corso.
20.93.1 Grande ma breve aita apportò questi
20.93.2 a i saracini impauriti e lassi.
20.93.3 Grande ma breve fulmine il diresti
20.93.4 ch' inaspettato sopragiunga e passi,
20.93.5 ma del suo corso momentaneo resti
20.93.6 vestigio eterno in dirupati sassi.
20.93.7 Cento ei n' uccise e più, pur di due soli
20.93.8 non fia che la memoria il tempo involi.
20.94.1 Gildippe ed Odoardo, i casi vostri
20.94.2 duri ed acerbi e i fatti onesti e degni
20.94.3 (se tanto lice a i miei toscani inchiostri)
20.94.4 consacrerò fra' peregrini ingegni,
20.94.5 sì ch' ogn' età quasi ben nati mostri
20.94.6 di virtute e d' amor v' additi e segni,
20.94.7 e co 'l suo pianto alcun servo d' Amore
20.94.8 la morte vostra e le mie rime onore.
20.95.1 La magnanima donna il destrier volse
20.95.2 dove le genti distruggea quel crudo,
20.95.3 e di due gran fendenti a pieno il colse:
20.95.4 ferigli il fianco e gli partì lo scudo.
20.95.5 Grida il crudel, ch' a l' abito raccolse
20.95.6 chi costei fosse:-- Ecco la putta e 'l drudo:
20.95.7 meglio per te s' avessi il fuso e l' ago,
20.95.8 ch' in tua difesa aver la spada e 'l vago.--
20.96.1 Qui tacque, e di furor più che mai pieno
20.96.2 drizzò percossa temeraria e fera
20.96.3 ch' osò, rompendo ogn' arme, entrar nel seno
20.96.4 che de' colpi d' Amor segno sol era.
20.96.5 Ella, repente abbandonando il freno,
20.96.6 sembiante fa d' uom che languisca e pèra;
20.96.7 e ben se 'l vede il misero Odoardo,
20.96.8 mal fortunato difensor, non tardo.
20.97.1 Che far dée nel gran caso? Ira e pietade
20.97.2 a varie parti in un tempo l' affretta:
20.97.3 questa a l' appoggio del suo ben che cade,
20.97.4 quella a pigliar del percussor vendetta.
20.97.5 Amore indifferente il persuade
20.97.6 che non sia l' ira o la pietà negletta.
20.97.7 Con la sinistra man corre al sostegno,
20.97.8 l' altra ministra ei fa del suo disdegno.
20.98.1 Ma voler e poter che si divida
20.98.2 bastar non può contra il pagan sì forte
20.98.3 tal che non sostien lei, né l' omicida
20.98.4 de la dolce alma sua conduce a morte.
20.98.5 Anzi avien che 'l Soldano a lui recida
20.98.6 il braccio, appoggio a la fedel consorte,
20.98.7 onde cader lasciolla, ed egli presse
20.98.8 le membra a lei con le sue membra stesse.
20.99.1 Come olmo a cui la pampinosa pianta
20.99.2 cupida s' aviticchi e si marite,
20.99.3 se ferro il tronca o turbine lo schianta
20.99.4 trae seco a terra la compagna vite,
20.99.5 ed egli stesso il verde onde s' ammanta
20.99.6 le sfronda e pesta l' uve sue gradite,
20.99.7 par che se 'n dolga, e più che 'l proprio fato
20.99.8 di lei gl' incresca che gli more a lato;
20.100.1 così cade egli, e sol di lei gli duole
20.100.2 che 'l Cielo eterna sua compagna fece.
20.100.3 Vorrian formar né pòn formar parole,
20.100.4 forman sospiri di parole in vece:
20.100.5 l' un mira l' altro, e l' un pur come sòle
20.100.6 si stringe a l' altro, mentre ancor ciò lece:
20.100.7 e si cela in un punto ad ambi il die,
20.100.8 e congiunte se 'n van l' anime pie.
20.101.1 Allor scioglie la Fama i vanni al volo,
20.101.2 le lingue al grido, e 'l duro caso accerta;
20.101.3 né pur n' ode Rinaldo il romor solo,
20.101.4 ma d' un messaggio ancor nova più certa.
20.101.5 Sdegno, dover, benivolenza e duolo
20.101.6 fan ch' a l' alta vendetta ei si converta,
20.101.7 ma il sentier gli attraversa e fa contrasto
20.101.8 su gli occhi del Soldano il grande Adrasto.
20.102.1 Gridava il re feroce:-- A i segni noti
20.102.2 tu sei pur quegli al fin ch' io cerco e bramo:
20.102.3 scudo non è che non riguardi e noti,
20.102.4 ed a nome tutt' oggi invan ti chiamo.
20.102.5 Or solverò de la vendetta i voti
20.102.6 co 'l tuo capo al mio nume. Omai facciamo
20.102.7 di valor, di furor qui paragone,
20.102.8 tu nemico d' Armida ed io campione.--
20.103.1 Così lo sfida, e di percosse orrende
20.103.2 pria su la tempia il fère, indi nel collo.
20.103.3 L' elmo fatal (ché non si può) non fende,
20.103.4 ma lo scote in arcion con più d' un crollo.
20.103.5 Rinaldo lui su 'l fianco in guisa offende
20.103.6 che vana vi saria l' arte d' Apollo:
20.103.7 cade l' uom smisurato, il rege invitto,
20.103.8 e n' è l' onore ad un sol colpo ascritto.
20.104.1 Lo stupor, di spavento e d' orror misto,
20.104.2 il sangue e i cori a i circostanti agghiaccia,
20.104.3 e Soliman, ch' estranio colpo ha visto,
20.104.4 nel cor si turba e impallidisce in faccia,
20.104.5 e chiaramente il suo morir previsto,
20.104.6 non si risolve e non sa quel che faccia;
20.104.7 cosa insolita in lui, ma che non regge
20.104.8 de gli affari qua giù l' eterna legge?
20.105.1 Come vede talor torbidi sogni
20.105.2 ne' brevi sonni suoi l' egro o l' insano,
20.105.3 pargli ch' al corso avidamente agogni
20.105.4 stender le membra, e che s' affanni invano,
20.105.5 ché ne' maggiori sforzi a' suoi bisogni
20.105.6 non corrisponde il piè stanco e la mano,
20.105.7 scioglier talor la lingua e parlar vòle,
20.105.8 ma non seguon la voce o le parole;
20.106.1 così allora il Soldan vorria rapire
20.106.2 pur se stesso a l' assalto e se ne sforza,
20.106.3 ma non conosce in sé le solite ire,
20.106.4 né sé conosce a la scemata forza.
20.106.5 Quante scintille in lui sorgon d' ardire,
20.106.6 tante un secreto suo terror n' ammorza:
20.106.7 volgonsi nel suo cor diversi sensi,
20.106.8 non che fuggir, non che ritrarsi pensi.
20.107.1 Giunge all' irresoluto il vincitore,
20.107.2 e in arrivando (o che gli pare) avanza
20.107.3 e di velocitade e di furore
20.107.4 e di grandezza ogni mortal sembianza.
20.107.5 Poco ripugna quel; pur mentre more,
20.107.6 già non oblia la generosa usanza:
20.107.7 non fugge i colpi e gemito non spande,
20.107.8 né atto fa se non se altero e grande.
20.108.1 Poi che 'l Soldan, che spesso in lunga guerra
20.108.2 quasi novello Anteo cadde e risorse
20.108.3 più fero ognora, al fin calcò la terra
20.108.4 per giacer sempre, intorno il suon ne corse;
20.108.5 e Fortuna, che varia e instabil erra,
20.108.6 più non osò por la vittoria in forse,
20.108.7 ma fermò i giri, e sotto i duci stessi
20.108.8 s' unì co' Franchi e militò con essi.
20.109.1 Fugge, non ch' altri, omai la regia schiera
20.109.2 ov' è de l' Oriente accolto il nerbo.
20.109.3 Già fu detta immortale, or vien che pèra
20.109.4 ad onta di quel titolo superbo.
20.109.5 Emireno a colui c' ha la bandiera
20.109.6 tronca la fuga e parla in modo acerbo:
20.109.7 -- Or se' tu quel ch' a sostener gli eccelsi
20.109.8 segni del mio signor fra mille i' scelsi?
20.110.1 Rimedon, questa insegna a te non diedi
20.110.2 acciò che indietro tu la riportassi.
20.110.3 Dunque, codardo, il capitan tuo vedi
20.110.4 in zuffa co' nemici, e solo il lassi?
20.110.5 che brami? di salvarti? or meco riedi,
20.110.6 ché per la strada presa a morte vassi.
20.110.7 Combatta qui chi di campar desia:
20.110.8 la via d' onor de la salute è via.--
20.111.1 Riede in guerra colui ch' arde di scorno.
20.111.2 Usa ei con gli altri poi sermon più grave:
20.111.3 talor minaccia e fère, onde ritorno
20.111.4 fa contra il ferro chi del ferro pave.
20.111.5 Così rintegra del fiaccato corno
20.111.6 la miglior parte, e speme anco pur have.
20.111.7 E Tisaferno più ch' altri il rincora,
20.111.8 ch' orma non torse per ritrarsi ancora.
20.112.1 Meraviglie quel dì fe' Tisaferno:
20.112.2 i Normandi per lui furon disfatti,
20.112.3 fe' di Fiammenghi strano empio governo,
20.112.4 Gernier, Ruggier, Gherardo a morte ha tratti.
20.112.5 Poi ch' a le mète de l' onor eterno
20.112.6 la vita breve prolungò co' fatti,
20.112.7 quasi di viver più poco gli caglia,
20.112.8 cerca il rischio maggior de la battaglia.
20.113.1 Vide ei Rinaldo; e benché omai vermigli
20.113.2 gli azzurri suoi color sian divenuti,
20.113.3 e insanguinati l' aquila gli artigli
20.113.4 e 'l rostro s' abbia, i segni ha conosciuti.
20.113.5 -- Ecco -- disse -- i grandissimi perigli;
20.113.6 qui prego il Ciel che 'l mio ardimento aiuti,
20.113.7 e veggia Armida il desiato scempio:
20.113.8 Macon, s' io vinco, i' voto l' arme al tempio.--
20.114.1 Così pregava, e le preghiere ìr vòte,
20.114.2 ché 'l sordo suo Macon nulla n' udiva.
20.114.3 Qual il leon si sferza e si percote
20.114.4 per isvegliar la ferità nativa,
20.114.5 tale ei suoi sdegni desta, ed a la cote
20.114.6 d' amor gli aguzza ed a le fiamme avviva.
20.114.7 Tutte sue forze aduna e si ristringe
20.114.8 sotto l' arme a l' assalto, e 'l destrier spinge.
20.115.1 Spinse il suo contra lui, che in atto scerse
20.115.2 d' assalitore, il cavalier latino.
20.115.3 Fe' lor gran piazza in mezzo e si converse
20.115.4 a lo spettacol fero ogni vicino.
20.115.5 Tante fur le percosse e sì diverse
20.115.6 de l' italico eroe, del saracino,
20.115.7 ch' altri per meraviglia obliò quasi
20.115.8 l' ire e gli affetti propri e i propri casi.
20.116.1 Ma l' un percote sol; percote e impiaga
20.116.2 l' altro, c' ha maggior forza, armi più ferme.
20.116.3 Tisaferno di sangue il campo allaga,
20.116.4 con l' elmo aperto e de lo scudo inerme.
20.116.5 Mira del suo campion la bella maga
20.116.6 rotti gli arnesi, e più le membra inferme,
20.116.7 e gli altri tutti impauriti in modo
20.116.8 che frale omai gli stringe e debil nodo.
20.117.1 Già di tanti guerrier cinta e munita,
20.117.2 or rimasa nel carro era soletta:
20.117.3 teme di servitute, odia la vita,
20.117.4 dispera la vittoria e la vendetta.
20.117.5 Mezza tra furiosa e sbigottita
20.117.6 scende, ed ascende un suo destriero in fretta;
20.117.7 vassene e fugge, e van seco pur anco
20.117.8 Sdegno ed Amor quasi due veltri al fianco.
20.118.1 Tal Cleopatra al secolo vetusto
20.118.2 sola fuggia da la tenzon crudele,
20.118.3 lasciando incontra al fortunato Augusto
20.118.4 ne' maritimi rischi il suo fedele,
20.118.5 che per amor fatto a se stesso ingiusto
20.118.6 tosto seguì le solitarie vele.
20.118.7 E ben la fuga di costei secreta
20.118.8 Tisaferno seguia, ma l' altro il vieta.
20.119.1 Al pagan, poi che sparve il suo conforto,
20.119.2 sembra ch' insieme il giorno e 'l sol tramonte
20.119.3 ed a lui che 'l ritiene a sì gran torto
20.119.4 disperato si volge e 'l fiede in fronte.
20.119.5 A fabricar il fulmine ritorto
20.119.6 via più leggier cade il martel di Bronte,
20.119.7 e co 'l grave fendente in modo il carca
20.119.8 che 'l percosso la testa al petto inarca.
20.120.1 Tosto Rinaldo si dirizza ed erge
20.120.2 e vibra il ferro e, rotto il grosso usbergo,
20.120.3 gli apre le coste e l' aspra punta immerge
20.120.4 in mezzo 'l cor dove ha la vita albergo.
20.120.5 Tanto oltra va che piaga doppia asperge
20.120.6 quinci al pagano il petto e quindi il tergo,
20.120.7 e largamente a l' anima fugace
20.120.8 più d' una via nel suo partir si face.
20.121.1 Allor si ferma a rimirar Rinaldo
20.121.2 ove drizzi gli assalti, ove gli aiuti,
20.121.3 e de' pagan non vede ordine saldo,
20.121.4 ma gli stendardi lor tutti caduti.
20.121.5 Qui pon fine a le morti, e in lui quel caldo
20.121.6 disdegno marzial par che s' attuti.
20.121.7 Placido è fatto, e gli si reca a mente
20.121.8 la donna che fuggia sola e dolente.
20.122.1 Ben rimirò la fuga; or da lui chiede
20.122.2 pietà che n' abbia cura e cortesia,
20.122.3 e gli sovien che si promise in fede
20.122.4 suo cavalier quando da lei partia.
20.122.5 Si drizza ov' ella fugge, ov' egli vede
20.122.6 il piè del palafren segnar la via.
20.122.7 Giunge ella intanto in chiusa opaca chiostra
20.122.8 ch' a solitaria morte atta si mostra.
20.123.1 Piacquele assai che 'n quelle valli ombrose
20.123.2 l' orme sue erranti il caso abbia condutte.
20.123.3 Qui scese dal destriero e qui depose
20.123.4 e l' arco e la faretra e l' armi tutte.
20.123.5 -- Armi infelici -- disse -- e vergognose,
20.123.6 ch' usciste fuor de la battaglia asciutte,
20.123.7 qui vi depongo; e qui sepolte state
20.123.8 poiché l' ingiurie mie mal vendicate.
20.124.1 Ah! ma non fia che fra tant' armi e tante
20.124.2 una di sangue oggi si bagni almeno?
20.124.3 S' ogn' altro petto a voi par di diamante,
20.124.4 osarete piagar feminil seno?
20.124.5 In questo mio, che vi sta nudo avante,
20.124.6 i pregi vostri e le vittorie sieno.
20.124.7 Tenero a i colpi è questo mio: ben sallo
20.124.8 Amor che mai non vi saetta in fallo.
20.125.1 Dimostratevi in me (ch' io vi perdono
20.125.2 la passata viltà) forti ed acute.
20.125.3 Misera Armida, in qual fortuna or sono,
20.125.4 se sol da voi posso sperar salute?
20.125.5 Poi ch' ogn' altro rimedio è in me non buono
20.125.6 se non sol di ferute a le ferute,
20.125.7 sani piaga di stral piaga d' amore,
20.125.8 e sia la morte medicina al core.
20.126.1 Felice me, se nel morir non reco
20.126.2 questa mia peste ad infettar l' inferno!
20.126.3 Restine Amor; venga sol Sdegno or meco
20.126.4 e sia de l' ombra mia compagno eterno,
20.126.5 o ritorni con lui dal regno cieco
20.126.6 a colui che di me fe' l' empio scherno,
20.126.7 e se gli mostri tal che 'n fere notti
20.126.8 abbia riposi orribili e 'nterrotti.--
20.127.1 Qui tacque e, stabilito il suo pensiero,
20.127.2 strale sceglieva il più pungente e forte,
20.127.3 quando giunse e mirolla il cavaliero
20.127.4 tanto vicina a l' estrema sua sorte,
20.127.5 già compostasi in atto atroce e fero,
20.127.6 già tinta in viso di pallor di morte.
20.127.7 Da tergo ei se le aventa e 'l braccio prende
20.127.8 che già la fera punta al petto stende.
20.128.1 Si volse Armida e 'l rimirò improviso,
20.128.2 ché no 'l sentì quando da prima ei venne:
20.128.3 alzò le strida, e da l' amato viso
20.128.4 torse le luci disdegnosa e svenne.
20.128.5 Ella cadea, quasi fior mezzo inciso,
20.128.6 piegando il lento collo; ei la sostenne,
20.128.7 le fe' d' un braccio al bel fianco colonna
20.128.8 e 'ntanto al sen le rallentò la gonna,
20.129.1 e 'l bel volto e 'l bel seno a la meschina
20.129.2 bagnò d' alcuna lagrima pietosa.
20.129.3 Qual a pioggia d' argento e matutina
20.129.4 si rabbellisce scolorita rosa,
20.129.5 tal ella rivenendo alzò la china
20.129.6 faccia, del non suo pianto or lagrimosa.
20.129.7 Tre volte alzò le luci e tre chinolle
20.129.8 dal caro oggetto, e rimirar no 'l volle.
20.130.1 E con man languidetta il forte braccio,
20.130.2 ch' era sostegno suo, schiva respinse;
20.130.3 tentò più volte e non uscì d' impaccio,
20.130.4 ché via più stretta ei rilegolla e cinse.
20.130.5 Al fin raccolta entro quel caro laccio,
20.130.6 che le fu caro forse e se n' infinse,
20.130.7 parlando incominciò di spander fiumi,
20.130.8 senza mai dirizzargli al volto i lumi.
20.131.1 -- O sempre, e quando parti e quando torni
20.131.2 egualmente crudele, or chi ti guida?
20.131.3 Gran meraviglia che 'l morir distorni
20.131.4 e di vita cagion sia l' omicida.
20.131.5 Tu di salvarmi cerchi? a quali scorni,
20.131.6 a quali pene è riservata Armida?
20.131.7 Conosco l' arti del fellone ignote,
20.131.8 ma ben può nulla chi morir non pote.
20.132.1 Certo è scorno al tuo onor, se non s' addita
20.132.2 incatenata al tuo trionfo inanti
20.132.3 femina or presa a forza e pria tradita:
20.132.4 quest' è 'l maggior de' titoli e de' vanti.
20.132.5 Tempo fu ch' io ti chiesi e pace e vita,
20.132.6 dolce or saria con morte uscir de' pianti;
20.132.7 ma non la chiedo a te, ché non è cosa
20.132.8 ch' essendo dono tuo non mi sia odiosa.
20.133.1 Per me stessa, crudel, spero sottrarmi
20.133.2 a la tua feritade in alcun modo.
20.133.3 E, s' a l' incatenata il tòsco e l' armi
20.133.4 pur mancheranno e i precipizi e 'l nodo,
20.133.5 veggio secure vie che tu vietarmi
20.133.6 il morir non potresti, e 'l Ciel ne lodo.
20.133.7 Cessa omai da' tuoi vezzi. Ah! par ch' ei finga:
20.133.8 deh, come le speranze egre lusinga!--
20.134.1 Così doleasi, e con le flebil onde,
20.134.2 ch' amor e sdegno da' begli occhi stilla,
20.134.3 l' affettuoso pianto egli confonde
20.134.4 in cui pudica la pietà sfavilla;
20.134.5 e con modi dolcissimi risponde:
20.134.6 -- Armida, il cor turbato omai tranquilla:
20.134.7 non a gli scherni, al regno io ti riservo;
20.134.8 nemico no, ma tuo campione e servo.
20.135.1 Mira ne gli occhi miei, s' al dir non vuoi
20.135.2 fede prestar, de la mia fede il zelo.
20.135.3 Nel soglio, ove regnàr gli avoli tuoi,
20.135.4 riporti giuro; ed oh piacesse al Cielo
20.135.5 ch' a la tua mente alcun de' raggi suoi
20.135.6 del paganesmo dissolvesse il velo,
20.135.7 com' io farei che 'n Oriente alcuna
20.135.8 non t' agguagliasse di regal fortuna.--
20.136.1 Sì parla e prega, e i preghi bagna e scalda
20.136.2 or di lagrime rare, or di sospiri;
20.136.3 onde sì come suol nevosa falda
20.136.4 dov' arda il sole o tepid' aura spiri,
20.136.5 così l' ira che 'n lei parea sì salda
20.136.6 solvesi e restan sol gli altri desiri.
20.136.7 -- Ecco l' ancilla tua; d' essa a tuo senno
20.136.8 dispon, -- gli disse -- e le fia legge il cenno.--
20.137.1 In questo mezzo il capitan d' Egitto
20.137.2 a terra vede il suo regal stendardo,
20.137.3 e vede a un colpo di Goffredo invitto
20.137.4 cadere insieme Rimedon gagliardo
20.137.5 e l' altro popol suo morto e sconfitto;
20.137.6 né vuol nel duro fin parer codardo,
20.137.7 ma va cercando (e non la cerca invano)
20.137.8 illustre morte da famosa mano.
20.138.1 Contra il maggior Buglione il destrier punge,
20.138.2 ché nemico veder non sa più degno,
20.138.3 e mostra, ove egli passa, ove egli giunge,
20.138.4 di valor disperato ultimo segno.
20.138.5 Ma pria ch' arrivi a lui, grida da lunge:
20.138.6 -- Ecco, per le tue mani a morir vegno;
20.138.7 ma tentarò ne la caduta estrema
20.138.8 che la ruina mia ti colga e prema.--
20.139.1 Così gli disse, e in un medesmo punto
20.139.2 l' un verso l' altro per ferir si lancia.
20.139.3 Rotto lo scudo, e disarmato e punto
20.139.4 è 'l manco braccio al capitan di Francia;
20.139.5 l' altro da lui con sì gran colpo è giunto
20.139.6 sovra i confin de la sinistra guancia
20.139.7 che ne stordisce in su la sella, e mentre
20.139.8 risorger vuol, cade trafitto il ventre.
20.140.1 Morto il duce Emireno, omai sol resta
20.140.2 picciol avanzo del gran campo estinto.
20.140.3 Segue i vinti Goffredo e poi s' arresta,
20.140.4 ch' Altamor vede a piè di sangue tinto,
20.140.5 con mezza spada e con mezzo elmo in testa
20.140.6 da cento lancie ripercosso e cinto.
20.140.7 Grida egli a' suoi:-- Cessate; e tu, barone,
20.140.8 renditi, io son Goffredo, a me prigione.--
20.141.1 Colui che sino allor l' animo grande
20.141.2 ad alcun atto d' umiltà non torse,
20.141.3 ora ch' ode quel nome, onde si spande
20.141.4 sì chiaro il suon da gli Etiòpi a l' Orse,
20.141.5 gli risponde:-- Farò quanto dimande,
20.141.6 ché ne sei degno;-- e l' arme in man gli porse
20.141.7 -- ma la vittoria tua sovra Altamoro
20.141.8 né di gloria fia povera, né d' oro.
20.142.1 Me l' oro del mio regno e me le gemme
20.142.2 ricompreran de la pietosa moglie.--
20.142.3 Replica a lui Goffredo:-- Il Ciel non diemme
20.142.4 animo tal che di tesor s' invoglie.
20.142.5 Ciò che ti vien da l' indiche maremme
20.142.6 abbiti pure, e ciò che Persia accoglie,
20.142.7 ché de la vita altrui prezzo non cerco:
20.142.8 guerreggio in Asia, e non vi cambio o merco.--
20.143.1 Tace, ed a' suoi custodi in cura dallo
20.143.2 e segue il corso poi de' fuggitivi.
20.143.3 Fuggon quegli a i ripari, ed intervallo
20.143.4 da la morte trovar non ponno quivi.
20.143.5 Preso è repente e pien di strage il vallo,
20.143.6 corre di tenda in tenda il sangue in rivi,
20.143.7 e vi macchia le prede e vi corrompe
20.143.8 gli ornamenti barbarici e le pompe.
20.144.1 Così vince Goffredo, ed a lui tanto
20.144.2 avanza ancor de la diurna luce
20.144.3 ch' a la città già liberata, al santo
20.144.4 ostel di Cristo i vincitor conduce.
20.144.5 Né pur deposto il sanguinoso manto,
20.144.6 viene al tempio con gli altri il sommo duce;
20.144.7 e qui l' arme sospende, e qui devoto
20.144.8 il gran Sepolcro adora e scioglie il voto.