Boccaccio, Amorosa visione

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CANTO I
1.1 Move nuovo disio la nostra mente, 1.2 donna gentile, a volervi narrare 1.3 quel che Cupido graziosamente 1.4 in vision li piacque di mostrare 1.5 all' alma mia, per voi, bella, ferita 1.6 con quel piacer che ne' vostri occhi appare. 1.7 Recando adunque la mente, smarrita 1.8 per la vostra virtù, pensieri al core, 1.9 che già temea della sua poca vita, 1.10 accese lui di sì fervente ardore, 1.11 che uscita di sé la fantasia 1.12 subito entrò in non usato errore. 1.13 Ben ritenne però il pensier di pria 1.14 con fermo freno, ed oltre a ciò ritenne 1.15 quel che più caro di nuovo sentia. 1.16 In ciò vegghiando, in le membra mi venne 1.17 non usato sopor tanto soave, 1.18 ch' alcun di loro in sé non si sostenne. 1.19 Lì mi posai, e ciascun occhio grave 1.20 al sonno diedi, per lo qual gli agguati 1.21 conobbi chiusi sotto dolce chiave. 1.22 Così dormendo, in su liti salati 1.23 mi vidi correr, non so che temendo 1.24 pavido e solo in quelli abbandonati, 1.25 or qua or là, null' ordine tenendo; 1.26 quando donna gentil, piacente e bella 1.27 m' apparve, umil pianamente dicendo: 1.28 -- Se questo luogo solo a gire a quella 1.29 somma felicità, che alcun dire 1.30 non poté mai con intera favella, 1.31 abbandonar ti piace, il me seguire 1.32 ti poserà in sì piacente festa, 1.33 ch' avrai sicuro e pieno ogni disire --. 1.34 Fiso pareva a me rimirar questa 1.35 ed ascoltare intento sue parole, 1.36 quando s' alzò alla sua bionda testa, 1.37 ornata di corona più che 'l sole 1.38 fulgida, l' occhio mio, e mi parea 1.39 il suo vestire in color di viole. 1.40 Ridente era in aspetto e 'n man tenea 1.41 reale scettro, ed un bel pomo d' oro 1.42 la sua sinistra vidi sostenea. 1.43 Sopra 'l piè grave, non sanza dimoro, 1.44 moveva i passi; e lei tacendo ed io 1.45 pensato di volere suo aiutoro: 1.46 -- Ecco --, risposi, -- donna, il mio disio 1.47 è di cercar quel ben che tu prometti, 1.48 se a' tuoi passi di dietro m' invio --. 1.49 -- Lascia --, diss' ella, -- adunque i van diletti 1.50 e seguitami verso quell' altura 1.51 ch' opposta vedi qui a' nostri petti --. 1.52 Allor lasciar pareami ogni paura 1.53 e darmi tutto a seguitar costei, 1.54 abbandonando la strana pianura. 1.55 Poi che salito fui dietro a costei 1.56 non già per molto spazio, il viso alzai 1.57 istato basso infin lì verso i piei: 1.58 rimirandomi avanti, i' mi trovai 1.59 venuto a piè d' un nobile castello, 1.60 sopra al sogliar del quale io mi fermai. 1.61 Egli era grande ed altissimo e bello 1.62 e spazioso, avvegna che alquanto 1.63 tenebroso paresse entrando in quello. 1.64 -- Siam noi ancora là dove cotanto 1.65 ben mi prometti, donna graziosa, 1.66 di dovermi mostrar? --, diss' io intanto. 1.67 Ed ella allora: -- Più mirabil cosa 1.68 veder vuoi prima che giunghi lassuso, 1.69 dove l' anima tua fia gloriosa. 1.70 Noi cominciammo pur testé quaggiuso 1.71 ad entrar a quel ben: quest' è la porta: 1.72 entra sicuro omai nel cammin chiuso. 1.73 Tosto ti mostrerò la via scorta, 1.74 per la qual fia ad andarvi diletto 1.75 se non ti volta coscienza torta --. 1.76 Ed io: -- Adunque andiam, ché già m' affretto, 1.77 già mi cresce il disio, sì ch' io non posso 1.78 tenerlo ascoso più dentro nel petto. 1.79 Vedi com' io mi son sicuro mosso, 1.80 vedi ch' io vegno e trascorro di voglia, 1.81 d' ogni altra cura nella mente scosso --. 1.82 -- Ir si conviene qui di soglia in soglia 1.83 con voler temperato, ché chi corre 1.84 talor tornando convien che si doglia --. 1.85 Sì era il suo dir vero, che apporre 1.86 né contro andarvi io non arei potuto, 1.87 né dal piacer di lei potuto torre 1.88 in ciò, ancor ch' io avessi saputo.
CANTO II
2.1 «O somma e graziosa intelligenzia 2.2 che muovi il terzo cielo, o santa dea, 2.3 metti nel petto mio la tua potenzia: 2.4 non sofferir che fugga, o Citerea, 2.5 a me lo 'ngegno all' opera presente, 2.6 ma più sottile e più in me ne crea. 2.7 Venga il tuo valor nella mia mente, 2.8 tal che 'l mio dir d' Orfeo risembri il suono, 2.9 che mosse a racquistar la sua parente. 2.10 Infiamma me tanto più ch' io non sono, 2.11 che 'l tuo ardor, di ch' io tutto m' invoglio, 2.12 faccia piacere quel di ch' io ragiono. 2.13 Poi che condotto m' ha a questo soglio 2.14 costei, che cara seguir mi si face, 2.15 menami tu colà ov' io ir voglio, 2.16 acciò che passi miei, che van per pace 2.17 seguendo il raggio della tua stella, 2.18 vengano a quello effetto che ti piace». 2.19 Ragionando con tacita favella 2.20 così m' andava nel nuovo sentiero 2.21 seguendo i passi della donna bella. 2.22 Ruppemi tal parlar nuovo pensiero 2.23 ch' un muro antico nella mente mise, 2.24 apparitoci avanti tutto intero. 2.25 Allor la bella donna un poco rise, 2.26 me stupefatto e d' ammirazion pieno 2.27 veggendo, e disse: -- Forse tu divise 2.28 del camin nostro che qui venga meno: 2.29 o se più è, non vedi da qual loco 2.30 li passi nostri su salir porrieno. 2.31 Oltre convien che venghi ancora un poco, 2.32 ed io mostrandol, vederai la via 2.33 che ci merrà al grazioso gioco --. 2.34 Non fummo guari andati che la pia 2.35 donna mi disse: -- Vedi qui la porta 2.36 che la tua alma cotanto disia --. 2.37 Nel suo parlar mi volsi, e poi che scorta 2.38 l' ebbi, la vidi piccioletta assai, 2.39 istretta ed alta, in nulla parte torta. 2.40 A man sinistra allora mi voltai 2.41 volendo dir: «Chi ci potrà salire 2.42 o passar dentro, ché par che giammai 2.43 gente non ci salisse?» e nel mio dire 2.44 vidi una porta grande aperta stare, 2.45 e festa dentro mi vi parve udire. 2.46 E dissi allor: -- Di qua ha meglio andare, 2.47 al mio parere, e credo troveremo 2.48 quel che cerchiam, ché già udir mel pare --. 2.49 -- Non è così --, rispuose, -- ma andremo 2.50 su per la scala che tu vedi stretta 2.51 e 'n su la sommità ci poseremo. 2.52 Tu guardi là, e forse ti diletta 2.53 il cantar che tu odi, il qual piuttosto 2.54 pianto si dovria dire in lingua retta. 2.55 Il corto termine alla vita posto 2.56 non è da consumare in quelle cose 2.57 che 'l bene etterno vi fanno nascosto. 2.58 Levarsi ad alto, alle gloriose, 2.59 utilemente s' acquista virtute, 2.60 che lascia le memorie poi famose. 2.61 E s' tu non credi forse che a salute 2.62 questa via stretta meni, alza la testa: 2.63 ve' che dicon le lettere scolpute --. 2.64 Alzai allora il viso, e vidi: «Questa 2.65 piccola porta mena a via di vita; 2.66 posto che paia nel salir molesta, 2.67 riposo etterno dà cotal salita; 2.68 dunque salite su sanza esser lenti, 2.69 l' animo vinca la carne impigrita». 2.70 Io dissi: -- Donna, molto mi contenti 2.71 col ver parlar che tua bocca produce, 2.72 e più m' accertan le cose parventi, 2.73 guardando quelle; ma dimmi, che luce 2.74 è quella ch' io veggio là entr' ora? 2.75 perché in questa così non riluce? --. 2.76 -- Voi che nel mondo state, vostra mora 2.77 fate in loco tenebroso e vano: 2.78 e però gli occhi alla dolce aurora 2.79 alzare non potete, a mano a mano 2.80 che voi di quella uscite, a veder quanta 2.81 sia la chiarezza del Fattor sovrano. 2.82 Rompesi poi la nebbia che v' ammanta 2.83 quando ad entrar nel vero incominciate, 2.84 e conoscete poi la luce santa. 2.85 Dirizza i piedi alle scale levate; 2.86 su non sarai che vie maggior chiarezza 2.87 vedrai che là non è mille fiate: 2.88 adunque che ha in capo dell' altezza? --.
CANTO III
3.1 Ristata era la donna di parlare 3.2 e rimirava ch' io entrassi dentro 3.3 di rietro a lei, che già volea montare. 3.4 -- Sed e' vi piace, prima andiam là entro --, 3.5 diss' io a lei. E quella: -- Tu disii 3.6 di rovinar con doglia al tristo centro. 3.7 Io dico insino a qui: se là t' invii, 3.8 in cose vane l' anima disposta 3.9 a bene oprar convien che si disvii. 3.10 Pon l' intelletto alla scritta ch' è posta 3.11 sopra l' alto arco della porta, e vedi 3.12 come 'l suo dar val poco e molto costa --. 3.13 Ed io allora a riguardar mi diedi 3.14 la scritta in alto che pareva d' oro, 3.15 tenendo ancora in là voltati i piedi. 3.16 «Ricchezze, dignità, ogni tesoro, 3.17 gloria mondana copiosamente 3.18 do a color che passan nel mio coro. 3.19 Lieti li fo nel mondo, e similmente 3.20 do quella gioia che Amor promette 3.21 a' cor che senton suo dardo pugnente». 3.22 -- Or hai vedute ed amendune lette 3.23 le scritte, e vedi chi maggior promessa 3.24 e più utile fa: dunque che aspette? 3.25 Non istian più omai, ché 'l tempo cessa 3.26 e 'l perder quello spiace a' più saputi; 3.27 adunque omai saliam --, mi dicev' essa. 3.28 -- Ver è, donna gentil, ch' i' ho veduti --, 3.29 risposi, -- scritti i don, però vedere 3.30 vorrei provando qua' son posseduti. 3.31 Ogni cosa del mondo a sapere 3.32 non è peccato, ma la iniquitate 3.33 si dee lasciare e quel ch' è ben tenere. 3.34 Venite adunque qua, ché pria provate 3.35 deono esser le cose leggieri 3.36 ch' entrare in quelle c' han più gravitate. 3.37 Ora che siamo quasi nel sentieri, 3.38 andiam, vediamo questi ben fallaci: 3.39 più caro fia poi l' affannar pe' veri --. 3.40 -- Se tu sapessi quanto e' son tenaci 3.41 e quanto traggon l' uom di via diritta, 3.42 non parleresti sì come tu faci. 3.43 Toglianci quinci --, disse, -- ché già fitta 3.44 veggo la mente tua, se più ci stai, 3.45 a quel che dice la seconda scritta. 3.46 Il che lasciar, a chi il prende, mai 3.47 impossibile par fin che si more, 3.48 e per que' va poi agli etterni guai --. 3.49 La donna giva già. Ed ecco fore 3.50 della gran porta due giovini uscire; 3.51 l' uno era corto e bianco in suo colore 3.52 e l' altro rosso; e incominciaro a dire: 3.53 -- Dove cercando vai gravoso affanno? 3.54 Vien dietro a noi, se vuoi il tuo disire. 3.55 Sollazzo e festa, come molti fanno, 3.56 qua non ti falla, e poi il salir suso 3.57 potrai ancor nell' ultimo tuo anno. 3.58 Il luogo è chiaro e di tenebre schiuso: 3.59 vien, vedi almeno, e salira'ten poi, 3.60 se ti parrà noioso esser quaggiuso --. 3.61 Piacevami il dir loro, e già: «Con voi», 3.62 dir voleva, «io verrò»; ma mi diceva 3.63 colei: -- Lascia costoro, andian su noi --. 3.64 E per la destra man preso m' aveva 3.65 seco tirando me in su; e l' uno 3.66 la mia sinistra e l' altro ancor teneva, 3.67 ridendosene insieme, e ciascheduno 3.68 tirandomi diceva: -- Vienne, vienne, 3.69 cerchi sola costei il cammin bruno --. 3.70 Lì d' una parte e d' altra mi ritenne 3.71 l' esser tirato; dond' io: -- Ben sapete --, 3.72 volto alla donna, -- che io non ho penne 3.73 a poter su volar, come credete, 3.74 né potrei sostener questi travagli 3.75 a' quai dispormi subito volete --. 3.76 Fermata allor mi disse: -- Tu t' abbagli 3.77 nel falso immaginar, e credi a questi 3.78 ch' a dritta via son pessimi serragli. 3.79 A trarti fuor d' errore e di molesti 3.80 disii discesi, e per voler mostrarti 3.81 le vere cose che prima chiedesti; 3.82 né mai avrei lasciato d' aiutarti 3.83 col mio veder nelle battaglie avverse. 3.84 Ma poi che ad altro t' è piaciuto darti, 3.85 truova il cammino dell' opere perse, 3.86 ch' io non ti lascerò, mentre che io 3.87 vedrò non darti tra quelle diverse 3.88 a voler seguitar bestial disio --.
CANTO IV
4.1 Seguendomi la donna, com' io lei 4.2 pria seguitava, co' due giovinetti 4.3 a man sinistra volsi i passi miei. 4.4 Intra lor due avean noi due ristretti, 4.5 e con più spesso passo n' andavamo 4.6 a riguardare i men cari diletti. 4.7 Andando in tal maniera, noi entramo 4.8 per la gran porta insieme con costoro, 4.9 ed in una gran sala ci trovamo. 4.10 Chiara era e bella e risplendente d' oro, 4.11 d' azzurro e di color tutta dipinta 4.12 maestrevolmente in suo lavoro. 4.13 Humana man non credo che sospinta 4.14 mai fosse a tanto ingegno quanto in quella 4.15 mostrava ogni figura lì distinta, 4.16 eccetto se da Giotto, al qual la bella 4.17 Natura parte di sé somigliante 4.18 non occultò nell' atto in che suggella. 4.19 Noi ci traemmo nella sala avante, 4.20 quasi nel mezzo d' essa, e quivi stando 4.21 vedevam le figure tutte quante. 4.22 Ell' era quadra: ond' io che riguardando 4.23 giva per tutto, dirizzai il viso 4.24 ver l' una delle facce, in piede stando. 4.25 Là vid' io pinta con sottil diviso 4.26 una donna piacente nell' aspetto, 4.27 soave sguardo avea e dolce riso. 4.28 La man sinistra teneva un libretto, 4.29 verga real la destra, e' vestimenti 4.30 porpora gli estimai nell' intelletto. 4.31 A piè di lei sedevan molte genti 4.32 sopra un fiorito e pien d' erbette prato, 4.33 alcuni più e alcun meno eccellenti. 4.34 Ma dal sinistro e dal suo destro lato 4.35 sette donne vid' io, dissimiglianti 4.36 l' una dall' altra in atto ed in parato. 4.37 Elle eran liete e lor letizia in canti 4.38 pareami dimostrassero, ma io 4.39 con l' occhio alquanto più mi trassi avanti. 4.40 Nel verde prato a man destra vid' io 4.41 di questa donna, in più notabil sito, 4.42 Aristotile star con atto pio: 4.43 tacito riguardando, in sé unito, 4.44 pensoso mi pareva; e poi appresso 4.45 Socrate sedea quasi smarrito. 4.46 Eravi quivi ancor Platon con esso, 4.47 Melisso, Alessandro v' era e Tale, 4.48 Speseusippo lei mirando spesso; 4.49 Raclito ancora e Ipocràs, il quale 4.50 in abito mostrava d' aver cura 4.51 ancora di sanare il mondan male. 4.52 Ivi sedeva con sembianza pura 4.53 Galieno, e con lui era Zenone 4.54 e 'l geometra ch' a dritta misura 4.55 mosse lo 'ngegno, sì che con ragione 4.56 oggi s' adovra seguendo suo stile; 4.57 e dopo lui Democrito e Solone. 4.58 Insieme con costoro in atto umile 4.59 si sedea Tolomeo, e speculava 4.60 i ciel con intelletto assai sottile, 4.61 riguardando una spera che lì stava 4.62 ferma davanti; e Tebìth con lui 4.63 ed Abracìs ancora in ciò mirava. 4.64 Averroìs e Fedron dopo lui 4.65 sedevan rimirando la bellezza 4.66 di quella donna che onora altrui. 4.67 Nassagora ancor quella chiarezza 4.68 mirava fiso insieme con Timeo, 4.69 mostrando in atto di sentir dolcezza. 4.70 Diascoride ancor v' era ed Orfeo, 4.71 Ambepece e Temistio, e poi un poco 4.72 Essiodo almo e Timoteo. 4.73 Oh quanto quivi in grazioso gioco 4.74 Pitagora onorato si vedea 4.75 e Diogene in sì beato loco! 4.76 Vie dopo questi ancora mi parea 4.77 Seneca riguardando ragionare 4.78 con Tulio insieme, che con lui sedea. 4.79 Innanzi a loro un poco, ciò mi pare, 4.80 Parmenide sedea e Teofrasto, 4.81 lieto ciascun della donna mirare. 4.82 Vestito d' umiltà, pudico e casto, 4.83 Boezio si sedeva ed Avicena, 4.84 ed altri molti, i qua' s' a dir m' adasto, 4.85 non fosse troppo rincrescevol pena 4.86 dubbio a' lettor; però mi taccio omai 4.87 e dirò di color che seco mena 4.88 dalla man manca, ov' io mi rivoltai.
CANTO V
5.1 Io dico che dalla sinistra mano 5.2 di quella donna vidi un' altra gente, 5.3 l' abito della qual non guari strano 5.4 sembrava da color che primamente 5.5 contati abbiam, ben che la vista loro 5.6 si stenda ver le donne più fervente. 5.7 Vergilio mantovano infra costoro 5.8 conobb' i' quivi più ch' altro esaltato, 5.9 sì come degno, per lo suo lavoro. 5.10 Ben mostrava nell' atto che a grato 5.11 gli eran le sette donne per le quali 5.12 sì altamente avea già poetato: 5.13 il ruinar di Troia ed i suoi mali, 5.14 di Dido, di Cartagine e d' Enea, 5.15 lavorar terre e pascere animali 5.16 trattar negli atti suoi ancor parea. 5.17 Omero e Orazio quivi dopo lui, 5.18 ciascun mirando quelle, si sedea. 5.19 A' quai Lucan seguitava, ne' cui 5.20 atti parea ch' ancora la battaglia 5.21 di Cesare narrasse e di colui, 5.22 Magno Pompeo chiamato, che 'n Tesaglia 5.23 perdé il campo; e quasi lagrimando 5.24 mostra che di Pompeo ancor li caglia. 5.25 Eravi Ovidio, lo qual poetando 5.26 iscrisse tanti versi per amore, 5.27 com' acquistar si potesse mostrando. 5.28 Non guari dopo lui fatt' era onore 5.29 a Giovenal, che ne' su' atti ardito 5.30 a' mondan falli ancor facea romore. 5.31 Terenzio dopo lui aveva sito 5.32 non men crucciato, e Panfilo e Pindaro, 5.33 ciascun per sé sopra 'l prato fiorito. 5.34 E Stazio di Tolosa ancora caro 5.35 quivi pareva avesse l' aver detto 5.36 del teban male e del suo pianto amaro. 5.37 Bell' uom tornato d' asino, soletto 5.38 si sedea Apolegio, cui seguiva 5.39 Varro e Cicilio lieti nell' aspetto. 5.40 Euripide mi par che poi veniva; 5.41 Antifonte, Simonide ed Archita 5.42 parea dicesser ciò ch' ognun sentiva 5.43 lì di diletto e di gioconda vita, 5.44 insieme ragionando; e dopo questi 5.45 Sallustio, quasi in sembianza smarrita, 5.46 là parea che narrasse de' molesti 5.47 congiuramenti che fé Catellina 5.48 contra' Roman, ch' a lui cacciar fur presti. 5.49 Al qual Vegezio quivi s' avvicina, 5.50 Claudiano, Persio e Catone, 5.51 e Marziale in vista non meschina. 5.52 L' antico e valoroso e buon Catone 5.53 quivi era nel sembiante assai pensoso, 5.54 tenendo con Antigono sermone. 5.55 E, vago ne' suoi atti di riposo, 5.56 da una parte mi parve vedere 5.57 quel Livio che fu sì copioso, 5.58 guardando que' che 'nanzi a sé sedere 5.59 tanti vedea, nell' aspetto contento 5.60 d' avere scritte tante storie vere. 5.61 Goloso di cotal contentamento 5.62 Valerio appresso parea che dicesse: 5.63 «Brieve mostrai il mio intendimento». 5.64 Ivi con lor mi parve ch' io vedesse 5.65 Paolo Orosio stare ed altri assai, 5.66 de' qua' non v' era alcun ch' io conoscesse. 5.67 Allora gli occhi alla donna tornai 5.68 a cui le sette davanti e dintorno 5.69 stavano tutte in atti lieti e gai. 5.70 Dentro dal coro delle donne adorno, 5.71 in mezzo di quel loco ove facieno 5.72 li savi antichi contento soggiorno, 5.73 riguardando, vid' io di gioia pieno 5.74 onorar festeggiando un gran poeta, 5.75 tanto che 'l dire alla vista vien meno. 5.76 Aveali la gran donna mansueta 5.77 d' alloro una corona in su la testa 5.78 posta, e di ciò ciascun' altra era lieta. 5.79 E vedend' io così mirabil festa, 5.80 per lui raffigurar mi fé vicino, 5.81 fra me dicendo: «Gran cosa fia questa». 5.82 Trattomi così innanzi un pocolino, 5.83 non conoscendol, la donna mi disse: 5.84 -- Costui è Dante Alighier fiorentino, 5.85 il qual con eccellente stil vi scrisse 5.86 il sommo ben, le pene e la gran morte: 5.87 gloria fu delle Muse mentre visse, 5.88 né qui rifiutan d' esser sue consorte --.
CANTO VI
6.1 Al suon di quella voce graziosa 6.2 che nominò il maestro dal qual io 6.3 tengo ogni ben, se nullo in me sen posa: 6.4 -- Benedetto sia tu, etterno Iddio, 6.5 c' hai conceduto ch' io possa vedere 6.6 in onor degno ciò ch' avea in disio --, 6.7 incominciai allora; né potere 6.8 aveva di partir gli occhi dal loco 6.9 dove parea il signor d' ogni savere, 6.10 tra me dicendo: «Deh, perché il foco 6.11 di Lachesis per Antropos si stuta 6.12 in uomo sì eccellente e dura poco? 6.13 Viva la fama tua, e ben saputa, 6.14 gloria de' Fiorentin, da' quali ingrati 6.15 fu la tua vita assai mal conosciuta! 6.16 Molto si posson riputar beati 6.17 color che già ti seppero e colei 6.18 che 'n te si 'ncinse, onde siamo avvisati». 6.19 I' 'l riguardava, e mai non mi sarei 6.20 saziato di mirarlo, se non fosse 6.21 che quella donna, che i passi miei 6.22 là entro con que' due insieme mosse, 6.23 mi disse: -- Che pur miri? forse credi 6.24 renderli col mirar le morte posse? 6.25 E' c' è altro a veder che tu non vedi! 6.26 Tu hai costì veduto, volgi omai 6.27 gli occhi a que' del mondan romore eredi; 6.28 i quali quando riguardati avrai, 6.29 di quinci andrenci, ché lo star mi sgrata --. 6.30 A cui io dissi: -- Donna, tu non sai 6.31 neente perché tal mirar m' aggrata 6.32 costui cui miro, ché se tu il sapessi 6.33 non parleresti forse sì turbata --. 6.34 -- Veramente se tu il mi dicessi 6.35 nol saprei me' --, rispose quella allora, 6.36 -- ma perder tempo è pur mirare ad essi --. 6.37 Oltre passai, sanza più far dimora, 6.38 con gli occhi a riguardar, lasciando stare 6.39 quel ch' io disio di rivedere ancora, 6.40 là dove a colei piacque che voltare 6.41 io mi dovessi; e vidi in quella parte 6.42 cosa ch' ancor mirabile mi pare. 6.43 Odi, ché mai Natura con sua arte 6.44 forma non diede a sì bella figura: 6.45 non Citarea, allor ch' ell' amò Marte, 6.46 né quando Adon le piacque, con sua cura 6.47 si fé sì bella, quanto infra gran gente 6.48 donna pareva lì leggiadra e pura. 6.49 Tutti li soprastava veramente, 6.50 di ricche pietre coronata e d' oro, 6.51 nell' aspetto magnanima e possente. 6.52 Ardita sopra un carro tra costoro 6.53 grande e triunfal lieta sedea, 6.54 ornato tutto di frondi d' alloro. 6.55 Mirando questa gente in man tenea 6.56 una spada tagliente, con la quale 6.57 che 'l mondo minacciasse mi parea. 6.58 Il suo vestire a guisa imperiale 6.59 era, e teneva nella man sinestra 6.60 un pomo d' oro, e 'n trono alla reale, 6.61 vidi, sedeva; e dalla sua man destra 6.62 due cavalli eran che col petto forte 6.63 traeano il carro fra la gente alpestra. 6.64 Ed intra l' altre cose che iscorte 6.65 quivi furon da me intorno a questa 6.66 sovrana donna, nimica di morte 6.67 nel magnanimo aspetto, fu ch' a sesta 6.68 un cerchio si movea grande e ritondo, 6.69 da' piè passando a lei sopra la testa. 6.70 Né credo che sia cosa in tutto 'l mondo, 6.71 villa, paese, dimestico o strano, 6.72 che non paresse dentro da quel tondo. 6.73 Era sopra costei, e non invano, 6.74 scritto un verso che dicea leggendo: 6.75 «Io son la Gloria del popol mondano». 6.76 Cosi mirando questa e provedendo 6.77 ciò che di sopra, dintorno e di sotto 6.78 le dimorava e chi la gia seguendo 6.79 o lei mirava, sanza parlar motto 6.80 per lungo spazio inver di lei sospeso 6.81 tanto stett' io, che d' altra cura rotto 6.82 nella mente sentimmi: il viso steso 6.83 diedi a mirar il popolo che andava 6.84 dietro a costei, chi lieto e chi offeso, 6.85 sì come nel mio credere estimava. 6.86 E quivi più e più ne vidi, i quali 6.87 conobbi, se 'l parer non m' ingannava; 6.88 onde al disio di mirar crebbe l' ali.
CANTO VII
7.1 Tra gli altri che io vidi presso a questa 7.2 fu Giano, ch' esser stato abitatore 7.3 dell' italici regni facea festa. 7.4 Turbato nell' aspetto e di furore 7.5 pien seguiva Saturno, cui il figlio 7.6 mandò mendico per esser signore. 7.7 Il superbo Nembròt, che il gran fé impiglio 7.8 in Senaàr per voler gire a Dio, 7.9 stordito v' era sanza alcun consiglio. 7.10 Lunghesso Fauno e Pico lor vid' io 7.11 seguire, ed il gran Belo dopo loro, 7.12 mirando ognun la donna con disio. 7.13 Elettra ed Atalante con costoro 7.14 givano insieme, e dopo lor seguire 7.15 Italo vidi sanza alcun dimoro. 7.16 Robusto si mostrava e pien d' ardire 7.17 Dardano quivi con un freno in mano, 7.18 e nell' atto parea volesse dire: 7.19 «Io fui colui, nel mondo primerano, 7.20 il qual col freno in Tessaglia domai 7.21 il caval primo, in uso ancora strano, 7.22 mirabilmente, e sì edificai 7.23 primo quella città, che poscia Troia 7.24 chiamaro i successor ch' io vi lasciai». 7.25 Appresso il qual, mostrando in atto gioia, 7.26 seguia Sicul, che l' isola del foco 7.27 prima abitò in pace e sanza noia. 7.28 Troiolo ancora in quel medesmo loco 7.29 coverto d' oro tutto risplendea, 7.30 faccendosi alla donna a poco a poco. 7.31 Rigido e fiero quivi si vedea 7.32 Nino, che prima il suo natural sito 7.33 per battaglia maggior fé, che parea 7.34 ancor che minacciasse insuperbito. 7.35 E dopo lui seguiva la sua sposa 7.36 con sembiante non men che 'l suo ardito: 7.37 così rubesta e così furiosa 7.38 vi si mostrava, come quando a lui 7.39 succedette nel regno valorosa. 7.40 Tamiris poi seguitava, nel cui 7.41 viso superbia saria figurata, 7.42 con gli occhi ardenti spaventando altrui. 7.43 Anfion poi con labbia consolata 7.44 vi conobb' io, al suon del cui liuto 7.45 fu Tebe pria di muri circumdata. 7.46 Retro a lui Niobè, il cui arguto 7.47 parlar fu prima cagion del suo male 7.48 e del danno de' figli ricevuto. 7.49 Poi seguitava Danao, dal quale 7.50 l' antico popol greco veramente 7.51 trasse il suo principio originale. 7.52 A cui di dietro quel Serse possente, 7.53 che fé sopra Ellesponto il lungo ponte, 7.54 venia, freno all' orgoglio della gente. 7.55 Riguardando la donna, con la fronte 7.56 alzata venia Ciro poco appresso, 7.57 di cui l' opere furo altiere e conte. 7.58 Laumedon sen veniva dopo esso, 7.59 con molti successor dietro alle spalle, 7.60 de' qua' giva Priamo oltre con esso. 7.61 Anchise seguitava nel lor calle; 7.62 appresso il qual colui venia correndo 7.63 che le dee vide nella scura valle. 7.64 Nello aspetto parea ch' ancor ridendo 7.65 andasse di ciò ch' elli aveva fatto, 7.66 quando di Grecia si partì fuggendo. 7.67 Dopo costui Enea seguia con atto 7.68 pietoso molto, e non molto distante 7.69 Giulio Ascanio il seguitava ratto. 7.70 Oh quanto ardito e fiero nel sembiante 7.71 quivi parea Ettòr sopra un destriere 7.72 tra tutti i suoi, di molto oro micante! 7.73 Bello e gentil nell' aspetto a vedere 7.74 era, con una lancia in mano andando 7.75 ver quella donna lieto, al mio parere. 7.76 Risplendea quivi ancora cavalcando 7.77 Alessandro, che 'l mondo assalì tutto 7.78 con forza lui a sé sotto recando; 7.79 il qual con fretta voleva al postutto 7.80 toccare il cerchio ove colei posava, 7.81 cui questi disiavan per lor frutto. 7.82 E 'l re Filippo e Nettabòr, gli andava 7.83 ciascuno appresso rimirando quello, 7.84 e nello aspetto se ne gloriava. 7.85 Veniva in su un caval corrente e snello 7.86 Dario crucciato nello aspetto 7.87 e con sembiante dispettoso e fello, 7.88 e sanza aver di tale andar diletto.
CANTO VIII
8.1 Mirando avanti con ferma intenzione, 8.2 veder mi parve quel re eccellente 8.3 che fu sì savio, io dico Salamone. 8.4 Eravi ancora Sanson, che possente 8.5 di forza corporal più ch' altro mai 8.6 fu che nascesse fra l' umana gente. 8.7 Nel riguardar più innanzi affigurai 8.8 il viso d' Ansalon, che più bellezza 8.9 ebbe che altro nel mondo giammai. 8.10 Tra questi pien d' orgoglio e di fierezza 8.11 seguendo cavalcava Campaneo, 8.12 che ne' suoi atti ancora Iddio sprezza. 8.13 Etiocle era quivi con Tideo, 8.14 Adastro re pensante e doloroso 8.15 del perder che dintorno a Tebe feo. 8.16 Ancora si mostrava il valoroso 8.17 Pollinice; broccando il seguitava 8.18 el re Ligurgo e Giansone animoso. 8.19 Di rietro al quale Pelleo cavalcava, 8.20 con quella lancia in man che prima morte 8.21 poi medicina a sua ferita dava. 8.22 Veniva appresso vigoroso e forte 8.23 Achille col figliuol, che sì spietata 8.24 vendetta fé quando l' antiche porte 8.25 non serraron più Troia, che l' entrata 8.26 aveva data al gran caval ripieno 8.27 della nimica gente tutta armata. 8.28 Questo crudel sanza mezzo seguieno 8.29 Diomede ed Ulisse, e ad agguati 8.30 andare ancor pensando mi parieno. 8.31 Vigoroso di dietro a loro armati 8.32 Patrocolo veniva ed Antenore, 8.33 ciascun con gli occhi ver la donna alzati. 8.34 Ercule v' era, il cui sommo valore 8.35 lungo saria a voler recitare, 8.36 per ch' ebbe già d' assai battaglie onore. 8.37 Anteo dopo lui vi vidi stare, 8.38 ch' ancor parea che 'n atto si dolesse 8.39 di ciò che già li fé Ercule provare. 8.40 Veniva poi Minòs, come se stesse 8.41 ancor davanti Atene tutto armato, 8.42 né d' Androgeo parea più li dolesse. 8.43 Oh quanto d' ira pareva infiammato, 8.44 d' ira e di mal talento Menelao 8.45 seguendo Agamenòn dal destro lato! 8.46 Il qual seguiva poi Protesselao, 8.47 bello e grazioso nello aspetto; 8.48 e dopo lui cavalcava Anfirao, 8.49 che' suoi lasciò ad oste nel conspetto 8.50 di Tebe, ruvinando a' dolorosi 8.51 c' hanno perduto il ben dello 'ntelletto. 8.52 Venian dopo costui, molto animosi, 8.53 insieme con Teseo Demofonte, 8.54 di toccar quella donna disiosi. 8.55 I qua' seguia con dolorosa fronte 8.56 Egeo, che per veder le vele nere 8.57 si gittò in mar dell' alta torre sponte. 8.58 Turno pareva quivi che di vere 8.59 lagrime avesse tutto molle il viso, 8.60 dogliendose del troian forestiere. 8.61 Eurialo ancora vera e Niso, 8.62 mostrandosi piagati come foro 8.63 ciascun di lor, l' un per l' altro conquiso. 8.64 Non molto spazio poi dietro a costoro 8.65 Latino sen veniva a piccol passo, 8.66 Pallante e Creso poi, e dopo loro 8.67 Giarba veniva nello aspetto lasso, 8.68 andandosi di Dido ancor dolendo 8.69 perché ad altro om di lui fece trapasso. 8.70 Helena dopo lui portava ardendo 8.71 di foco un gran tizzone, e pur costei 8.72 miravan molti se stessi offendendo. 8.73 Oreste niquitoso dopo lei 8.74 con un coltello in man seguiva fello, 8.75 nell' atto minacciando ancor colei 8.76 del corpo a cui uscì; e poi dop' ello 8.77 venia broccando la Pantasilea 8.78 lieta nel viso grazioso e bello. 8.79 Oh quanto ardita e fiera mi parea, 8.80 armata tutta, con un arco in mano, 8.81 con più compagne ch' ella seco avea! 8.82 Non era lì alcun che del sovrano 8.83 ed altier portamento maraviglia 8.84 non si facesse, tenendolo strano. 8.85 Non molto dopo lei venia la figlia 8.86 del re Latino lieta, e dopo Iole; 8.87 poi Deianira con bassate ciglia 8.88 ancora quivi d' Ercule si dole.
CANTO IX
9.1 Moveasi dopo queste quella Dido 9.2 cartaginese, che credendo avere 9.3 in braccio Giulio vi tenne Cupido. 9.4 Isconsolata giva, al mio parere, 9.5 chiamando in boci ancora: «Pio Enea, 9.6 di me, ti priego, deggiati dolere». 9.7 Ancora, com' io vidi, in man tenea 9.8 tutta smarrita quella spada aguta 9.9 che 'l petto le passò, che mi facea, 9.10 essendole lontan, nella veduta 9.11 ancor paura, non ch' a lei ch' ardita 9.12 fu dar di quella a sé mortal feruta. 9.13 Trista piangendo, in abito smarrita 9.14 e come can nella voce latrare, 9.15 Ecuba vidi con poca di vita. 9.16 Con lei la mesta Pulisena stare 9.17 quivi parea, in aspetto ancor sì bella 9.18 che me ne fé in me maravigliare. 9.19 Hoeta poi seguitava dop' ella, 9.20 piangendo a' Greci aver piaciuto mai, 9.21 quand' elli andar per le dorate vella. 9.22 Vedevasi colei che senti guai 9.23 Ercule partorendo, e dopo lei 9.24 Isifile dolente affigurai. 9.25 In abito crucciato con costei 9.26 seguia Medea crudele e dispietata; 9.27 con voce ancor parea dicere: «Omei, 9.28 se io più savia alquanto fossi stata 9.29 né sì avessi tosto preso amore, 9.30 forse ancor non sarei suta ingannata». 9.31 Eravi ancor Camilla che 'l dolore 9.32 della morte sentì, per Turno fiera, 9.33 mostrando ne' sembianti il suo vigore. 9.34 Non molto dopo lei ancora v' era, 9.35 col capo basso ed umil nel sembiante, 9.36 Ilia vestale vestita di nera, 9.37 portando in ciascun braccio un piccol fante, 9.38 Romolo e Remolo amendue nomati, 9.39 traendo lor quanto potea avante. 9.40 Ratto tra gli altri di sopra contati 9.41 si facea Foroneo, che prima diede 9.42 legge civile, acciò che ordinati 9.43 e suoi vivesser, sì come si crede; 9.44 e dopo lui venia Numa Pompilio 9.45 che lieta ne fé Roma, com si vede. 9.46 Dop' esso cavalcava Tulio Ostilio 9.47 ed Anco Marco ed il Prisco Tarquino, 9.48 e dopo lui seguia Tulio Servilio. 9.49 Ivi Tarquin Superbo e Collatino 9.50 pareano, e 'l re Porsenna che andando 9.51 ferocemente seguia lor camino. 9.52 Seguivali Cornelio ancor mostrando 9.53 l' inarsicciata man ch' uccise altrui, 9.54 che 'l core non volea, nescio fallando. 9.55 Il valoroso Bruto, per lo cui 9.56 ardir fu Roma da giogo reale 9.57 diliberata, seguiva; e con lui 9.58 Orazio Cocle v' era, per lo quale, 9.59 tagliato il ponte a lui dietro alle spalle, 9.60 libera Roma fu dal truscian male. 9.61 Dietro veniva quel Curzio ch' a valle 9.62 armato si gittò per la fessura, 9.63 in forse di sua vita o di suo calle, 9.64 intendendo a voler render sicura 9.65 piuttosto Roma e i suoi abitatori, 9.66 che di se stesso aver debita cura. 9.67 Seguia Fabrizio che gli eccelsi onori 9.68 più disiò che posseder ricchezza, 9.69 avendo que' per più cari e maggiori. 9.70 Eravi quel Metel ch' alla fierezza 9.71 di Giulio Tarpea tanto difese, 9.72 mostrando non curar la sua grandezza. 9.73 Riguardando oltre mi si fé palese 9.74 Curio, che diede per consiglio 9.75 ch' al presto sempre lo 'ndugiare offese. 9.76 Vedevavisi Mario che lo 'mpiglio 9.77 con Lucio Silla fé nella cittate, 9.78 mettendo a' colpi il padre contro al figlio. 9.79 Iuba ed Amilcare e Mitridate, 9.80 Manastabil e Codro v' era ancora, 9.81 e poi Giugurta voto di pietate. 9.82 Rigido nello aspetto vi dimora 9.83 Catellina, e pensando par che vada 9.84 allo essilio, che 'n vista ancor l' accora. 9.85 Evvi Cloelia appresso, che la strada 9.86 fece a' Roman quand' ella si fuggio 9.87 per lo Tevero in parte u' non si guada, 9.88 lo cui tornar Roma rinvigorio.
CANTO X
10.1 Ahi quivi fiero ed orgoglioso quanto 10.2 vi vid' io Annibal sopra un destriere, 10.3 ch' alli Roman levò riposo tanto! 10.4 Rubesto lì parea ancor tenere 10.5 Cartagine sub sé, col viso alzato 10.6 inver la donna andando a suo potere. 10.7 Asdrubal gli era dal sinistro lato 10.8 con non men di fierezza nello aspetto, 10.9 con una lancia cavalcando armato. 10.10 Coriolan, che lo 'nfiammato petto 10.11 ebbe contra' Romani, e giustamente, 10.12 quando leal cacciar lui per sospetto, 10.13 come vedendo quella umilemente, 10.14 che 'l generò, piegando la sua ira 10.15 a' preghi suoi, era quivi presente. 10.16 Oltre con gli altri andava ver la mira 10.17 bellezza della donna; dopo il quale, 10.18 come colui che tristo ancor sospira, 10.19 Massinissa seguiva, del suo male, 10.20 a freno abandonato cavalcando, 10.21 se stesso avendo poco a capitale. 10.22 Allegro Cincinnato seguitando 10.23 l' andava, e Persio poi, come potea, 10.24 giocondo sé nel sembiante mostrando. 10.25 Nobile nello aspetto si vedea 10.26 possente oltre venir intra costoro 10.27 Cesare, che in vista ancor ridea 10.28 d' avere a forza avuto da coloro 10.29 nome d' impero, che real dignitate 10.30 per istatuto avean cassa fra loro. 10.31 Ornato di bell' arme e coronate 10.32 le tempie avea di quelle fronde care, 10.33 che fur da Febo già cotanto amate. 10.34 Mirabilmente bell' a campeggiare 10.35 in uno scudo lo divino uccello 10.36 nero nell' or li vidi, ciò mi pare; 10.37 ancora in una lancia un pennoncello 10.38 che 'n man portava vidi, e simigliante 10.39 vi vidi quella ventilarsi in quello. 10.40 Di quanti a lui ve n' andasser davante 10.41 nullo ne fu che tanto mi piacesse 10.42 né tanto valoroso nel sembiante. 10.43 Appresso poi parea che li corresse 10.44 volonteroso e sì forte Ottaviano, 10.45 che dentro al cerchio già parea ch' avesse 10.46 messa più che nessun la destra mano: 10.47 bello era e nello aspetto grazioso 10.48 quanto alcun altro fosse mai mondano. 10.49 A lui seguiva poi molto pensoso, 10.50 palido nello aspetto, il gran Pompeo, 10.51 tal che di lui mi fé tornar pietoso, 10.52 mirando dietro a sé a Tolomeo 10.53 che il seguiva, cui fé re d' Egitto, 10.54 che poi uccider là vilmente il feo. 10.55 A loro Marco Antonio quiviritto 10.56 seguiva e Cleopatra ancor con esso, 10.57 che, in Cicilia, fuggì sanza rispitto, 10.58 ridottando Ottavian, perché commesso 10.59 le parea forse aver sì fatta offesa 10.60 che non sperava mai perdon da esso. 10.61 Ivi non potend' ella far difesa 10.62 al fuoco che l' ardeva forse il core 10.63 di libidine e d' ira, ond' era accesa, 10.64 a fuggir quello oltraggioso furore 10.65 con due serpenti in una sepoltura 10.66 sofferse sostener mortal dolore; 10.67 ed ancor quivi nella sua figura 10.68 palida, si vedeano i due serpenti 10.69 alle sue zizze dar crudel morsura. 10.70 Prima che questi, credo più di venti, 10.71 era 'l primo Africano Scipione, 10.72 ch' a Roma fé con sua forza ubbidenti 10.73 ritornar già, con degna punizione, 10.74 que' di Cartago che insuperbiti 10.75 eran per Annibal lor campione. 10.76 Ivi Cornelia in sembianti smarriti 10.77 seguia dietro a color, cui dissi suso 10.78 ch' avanti a Scipion non erano iti. 10.79 E poi che dopo ad essa, gli occhi in giuso, 10.80 Traian vidi venir e dopo lui 10.81 Marzia col viso di lagrime infuso, 10.82 Giulia veniva poi dietro; con cui, 10.83 in atti riposati e mansueta, 10.84 quasi alle spalle a Cesare, di cui 10.85 honesta sposa fu, Calpurnia lieta 10.86 venia, sanza parer che disiasse 10.87 altro veder che lui, e in lui quieta 10.88 ogni altra voglia che la stimolasse.
CANTO XI
11.1 Venian dopo costor gente gioconda 11.2 ne' loro aspetti, tutti cavalieri 11.3 chiamati della Tavola ritonda. 11.4 Il re Artù quivi era de' primieri, 11.5 a tutti armato avanti cavalcando 11.6 ardito e fiero sopra un gran destrieri. 11.7 Seguialo appresso Bordo spronando 11.8 e con lui Prezivalle e Galeotto 11.9 a picciol passo insieme ragionando. 11.10 E dietro ad essi venia Lancillotto, 11.11 armato e nello aspetto grazioso, 11.12 con una lancia in man, sanza far motto, 11.13 ferendo spesso il caval poderoso 11.14 per appressarsi alla donna piacente, 11.15 di cui toccar pareva disioso. 11.16 Oh quanto adorna quivi ed eccellente 11.17 allato a lui Ginevra seguitava, 11.18 in su un palafreno orrevolmente! 11.19 Stella mattutina somigliava 11.20 la luce del suo viso, ove biltate 11.21 quanto fu mai tututta si mostrava. 11.22 Sorridendo negli atti, di pietate 11.23 piena e parlando a consiglio segreto 11.24 con tacite parole ed ordinate, 11.25 era con que' che già ne visse lieto 11.26 lunga fiata, lei sanza misura 11.27 amando, ben che poi n' avesse fleto. 11.28 Non molto dietro ad esso con gran cura 11.29 seguiva Galeotto, il cui valore 11.30 più ch' altro de' compagni si figura. 11.31 E lui seguiva Chedino ed Astore 11.32 di Mare insieme con messer Ivano, 11.33 disiosi ciascuno di più onore. 11.34 L' Amoroldo d' Irlanda ed Agravano, 11.35 Palamidès seguiva e Lionello, 11.36 e Polinoro con messer Calvano. 11.37 Mordretto appresso e con lui Dodinello, 11.38 e 'l buon Tristan seguiva poi appresso 11.39 sopra un cavallo poderoso e isnello. 11.40 Isotta bionda allato allato ad esso 11.41 venia, la man di lui con la sua presa 11.42 e rimirandol nella faccia spesso. 11.43 Oh quanto ella parea nel viso offesa 11.44 dalla forza d' amor, di che parea 11.45 ch' avesse l' alma dentro tutta accesa, 11.46 di che negli atti fuor tutta lucea! 11.47 «Tu se' colui cui io sola disio», 11.48 timida nello aspetto li dicea; 11.49 «in qua ti priego ch' alquanto, amor mio, 11.50 tu ti rivolghi, acciò ch' io vegga il viso 11.51 per cui vedere in tal camin m' invio». 11.52 Retro a costor sopra un cavallo assiso 11.53 rubesto e fiero Brunoro venia, 11.54 ed altri molti, i qua' qui non diviso, 11.55 eran con lui; ma io, la vista mia 11.56 dopo la lunga schiera discendendo, 11.57 conobbi più mirabil baronia. 11.58 Di porpore vestito, oltre correndo, 11.59 quel Carlo Magno sen veniva avante 11.60 ch' al mondo fu cotanto reverendo, 11.61 in su un forte e gran destrier ferrante, 11.62 ancora de' triunfi coronato 11.63 ch' egli acquistò sopra le terre sante, 11.64 fiero ed ardito e tutto quanto armato, 11.65 co' gigli d' oro nel campo cilestro 11.66 e 'l nero uccel davanti nel dorato. 11.67 Eravi Orlando dal lato sinestro 11.68 con una spada in man fiero ed ardito, 11.69 ed Ulivier lo seguiva dal destro. 11.70 Cavalcando tra questi oltre pulito, 11.71 da Montalban Rinaldo giva avanti 11.72 intra due suoi fratelli reverito. 11.73 Tra loro era Dusnamo con sembianti 11.74 lieti, e molti altri ancor v' eran li quali 11.75 io non pote' conoscer tutti quanti. 11.76 Oltre venia, che parea ch' avesse ali, 11.77 il duca Gottifré dopo costoro 11.78 per volere esser pur de' principali. 11.79 Appresso lui seguiva con coloro 11.80 umilemente Ruberto Guiscardo, 11.81 che fu signor già in Terra di Lavoro. 11.82 Lui seguitava frontiero e gagliardo 11.83 Federigo secondo; e 'l Barbarossa 11.84 sopr' un forte roncion di pel leardo, 11.85 cavalleroso e di persona grossa, 11.86 dritto sovra le strieve in atto altiero, 11.87 nel sembiante avilendo ogni altra possa, 11.88 via se ne giva per esser primiero.
CANTO XII
12.1 Non sanza molta ammirazion mirando 12.2 m' andava riguardando quella gente, 12.3 fra me di lor pensier nuovi recando. 12.4 Parevami, nel creder, veramente 12.5 che loro eccelsa fama gloriosi 12.6 far li dovesse sempiternamente. 12.7 E fra gli altri che molto disiosi 12.8 negli atti si mostravan di venire 12.9 a quella donna per esser famosi, 12.10 robustamente in aspetto seguire, 12.11 armato tutto sopra un gran destriere, 12.12 vid' io quivi un grandissimo sire 12.13 vestito di cilestro, al mio parere, 12.14 lucente tutto di be' gigli d' oro 12.15 ch' ogni altra luce facean trasparere. 12.16 Ognun, qualunque fosse di coloro 12.17 che gian davanti, rimirava lui, 12.18 sì fiero andava fuggendo dimoro. 12.19 Se ben ricordo, e' mi parve costui 12.20 quel Carlo ardito ch' ebbe il maschio naso 12.21 insieme con virtù molta, da cui 12.22 tutto il pugliese regno fu invaso 12.23 e conquistato, e funne coronato; 12.24 del qual signore il suo seme è rimaso. 12.25 Rimirandosi innanzi quasi irato, 12.26 con una spada che in man tenea 12.27 da ogni parte si facea far lato. 12.28 Appresso a lui, al mio parer, vedea 12.29 il Saladin risplender tutto quanto 12.30 entro ad un drappo ad or che 'ndosso avea. 12.31 Costui seguiva dal sinistro canto 12.32 tututto armato Ruggier di Loria, 12.33 che in arme ebbe già valor cotanto. 12.34 Ontoso tutto appresso li venia 12.35 il re Manfredi e con dolente aspetto, 12.36 e con lui Curradino in compagnia. 12.37 Rietro a costoro assai che io non metto 12.38 qui ne seguien, però che troppo avrei 12.39 a fare a dirli tutti ed il mio detto 12.40 tireria lungo più ch' io non vorrei, 12.41 posto ch' alla man manca ed alla dritta, 12.42 ch' io non ne conto, più ne conoscei. 12.43 E la mia mente dal disio trafitta 12.44 di vedere oltre pur mi stimolava, 12.45 per che la vista non teneva fitta. 12.46 Similemente quella con cui andava, 12.47 con le parole sue faccendo fretta, 12.48 sovente all' altre cose mi chiamava. 12.49 Il dir ch' io le faceva: -- Un poco aspetta -- 12.50 non mi valeva, per ch' io mi voltai 12.51 verso la terza faccia a man diretta. 12.52 Aveavi certo da mirare assai 12.53 più ch' io dir non potrò, tal che 'n me stesso 12.54 assai fiate men maravigliai. 12.55 Con gli occhi alzati mi feci più presso 12.56 al detto luogo, acciò ch' io conoscessi 12.57 chi e che cose vi stessero in esso. 12.58 Oro ed argento, un gran monte, e con essi 12.59 zaffiri ed ismeraldi con rubini 12.60 ed altre pietre assai credo vedessi. 12.61 Riguardando più basso, con uncini, 12.62 chi con picconi e chi avea martello 12.63 e chi con pale e chi con gran bacini, 12.64 ronconi alcuni ed altri intorno ad ello 12.65 con l' unghie e chi col dente, uno infinito 12.66 popol vi vidi per pigliar di quello. 12.67 E ciaschedun parea pronto ed ardito, 12.68 non onorando il piccolo il maggiore, 12.69 a suo poter fornia suo appetito. 12.70 Gente v' avea di molto gran valore 12.71 in vista, avvegna che la lor viltate 12.72 pur si scopria, veggendo con romore 12.73 gli altri, che quivi per cupiditate 12.74 givan, cacciarli con duoli e con morte 12.75 per prendern' essi maggior quantitate, 12.76 iniqua tirannia rubesta e forte 12.77 usando, chi con fatti e chi con detti, 12.78 prendendo più che la dovuta sorte. 12.79 Alcun v' avea che i loro mantelletti 12.80 se n' avean pieni, e per volerne ancora 12.81 abbandonavan tutti altri diletti. 12.82 Tra quella gente che quivi dimora 12.83 conobb' io molti, e vidivene alcuno 12.84 ch' aver preso di quello ora ne plora 12.85 e forse ne vorrebbe esser digiuno; 12.86 ma, cosa fatta, penter non vi vale, 12.87 né puolla adietro ritornar nessuno: 12.88 adunque ogni uom si guardi di far male.
CANTO XIII
13.1 Mirand' io quella turba sì gulosa 13.2 di quel per che s' affanna la più gente, 13.3 per esserne nel mondo copiosa, 13.4 entrato infra 'l tesoro più fervente 13.5 vi vid' io Mida, in vista che sazia 13.6 saria di tutto appena possedente, 13.7 non bastandoli avere avuta grazia 13.8 dall' iddii che ciò che e' toccasse 13.9 ritornasse oro ver sanza fallazia. 13.10 Di rietro a lui parea che ne tirasse 13.11 giù Marco Crasso assai, avvegnadio 13.12 che della bocca ancor li traboccasse. 13.13 Allato a lui con isciolto disio 13.14 quell' Attila che 'n terra fu flagello 13.15 s' affaticava forte, al parer mio, 13.16 nelle sue man tenendo uno scarpello 13.17 con un martel, fierendo sopra 'l monte, 13.18 gran pezzi e grossi levando di quello. 13.19 Dall' altra parte con superba fronte 13.20 era Epasto, con un piccone in mano 13.21 con punte agute bene ad entrar pronte. 13.22 Ognor che su vi dava non invano 13.23 tirava il colpo a sé, ma gran cantoni 13.24 giù ne faceva ruvinare al piano, 13.25 impiendo di quel sé e' suoi predoni 13.26 ed ogni sciolta voglia adoperando, 13.27 dannando le giustizie e le ragioni. 13.28 Là vi vid' io ancora furiando 13.29 Nerone imperadore, ed avea tesa 13.30 sopra 'l monte una rete e già tirando 13.31 molta gran quantità n' aveva presa 13.32 di quel tesoro, e qual gittava via 13.33 e qual mettea in disordinata spesa. 13.34 Ivi di dietro un poco a lui seguia 13.35 con una scure in man Polinestore, 13.36 e quanto più potea quivi feria, 13.37 ora col colpo faccendo romore, 13.38 ora mettendo biette alla fessura 13.39 quando la scure sua tirava fore, 13.40 forse temendo che non l' apritura 13.41 si richiudesse; e molto ne levava 13.42 continovando pur con la sua cura. 13.43 Appresso lui tutto 'l monte graffiava 13.44 Pignaleon con uno uncino aguto, 13.45 e molto giuso a sé ne ritirava. 13.46 L' acerbo Dionisio conosciuto 13.47 v' ebbi mirando fra la gente folta, 13.48 ch' a tor dell' oro non voleva aiuto. 13.49 Là si ficcava tra la turba molta 13.50 con un roncone in man tagliando, e presto 13.51 di quello a piè si faceva raccolta, 13.52 impiendo con affanno il suo molesto 13.53 voler, cacciando misura e piatate 13.54 in modo sconcio assai e disonesto. 13.55 Rubesto appresso la sua crudeltate 13.56 Fallarìs dimostrava, ricidendo 13.57 con una accetta una gran quantitate 13.58 e via di quindi di quel trasferendo; 13.59 poi, arrotata la 'ngrossata accetta, 13.60 ancora quivi tornava correndo. 13.61 Con furiosa e minaccevol fretta 13.62 quivi si vedea Pirro accompagnato 13.63 con mal disposta e dispiacevol setta. 13.64 A molti lì per forza avean levato 13.65 a cui cesta di collo, a cui di seno 13.66 avean rubato l' or ch' avean cavato. 13.67 Ridendo poi fra lor se ne facieno 13.68 beffe ed istrazio di que' cattivelli, 13.69 ch' a cavar quel fatica avuta avieno. 13.70 Ancora vid' io star presso di quelli 13.71 il dispietato ed iniquo Tereo, 13.72 di quel tesoro prender nel quale elli 13.73 fatica non durò mai come feo 13.74 quelli a cui toglieva; e dopo lui 13.75 pien d' oro dimorava Tolomeo. 13.76 Ivi era Fisistrato, per la cui 13.77 cura più scrigni ripieni e calcati 13.78 quivi ne vidi tirati da lui. 13.79 Avea in un lembo de' panni piegati 13.80 Siragusan Geronimo tesoro: 13.81 egli e molti altri ne gian caricati. 13.82 Ma di Novara Azzolin con costoro 13.83 con molto se ne giva, per tornare 13.84 con maggior forza a sì fatto lavoro. 13.85 Molti altri ancora vi vidi cavare 13.86 ed isforzarsi per volerne avere, 13.87 ma niente era il loro adoperare, 13.88 anzi oziosi stavano a vedere.
CANTO XIV
14.1 Più altra gente ancor v' avea, fra' quali 14.2 gran quantità di nuovi Farisei 14.3 ad aver del tesoro battean l' ali, 14.4 e sconfortando gli altri e come rei 14.5 erano a posseder nel lor parlare 14.6 mostrando; e s' io nel rimirar potei 14.7 riguardar vero il loro adoperare, 14.8 per possederne maggior quantitate 14.9 li vi vedeva forte affaticare. 14.10 Correndo sen portavan caricate 14.11 le some, e con iscrigni e piene ceste 14.12 si ritornavan quivi molte fiate. 14.13 Ver è che ben ch' avesser lunghe veste 14.14 non gli ingombrava però, ma parea 14.15 che più che gli altri avesser le man preste. 14.16 Infra lor riguardando, assai v' avea 14.17 di quelli cui altra volta avea veduti 14.18 e ch' io per nome ben riconoscea. 14.19 Li quali, però che son conosciuti, 14.20 non bisogna ch' io nomi, ben che pari 14.21 potrebbono esser tututti tenuti. 14.22 Con questi avanti, al mio parer non guari, 14.23 quasi tra quei ch' erano più eccellenti 14.24 e che parean de' su detti vicari, 14.25 ornato di be' drappi e rilucenti 14.26 il nipote vid' io di quel Nasuto, 14.27 che gloriar si va co' precedenti, 14.28 recarsi in mano un forte biccicuto, 14.29 dando ta' colpi sopra 'l monte d' oro, 14.30 che di ciascun saria un mur caduto; 14.31 e d' esso assai levava, e quel tesoro 14.32 in parte oscura tutto si serbava, 14.33 e quasi più n' avea ch' altro di loro. 14.34 Oltre grattando il monte dimorava 14.35 con aguta unghia un, ch' al mio parere 14.36 in molte volte poco ne levava. 14.37 Con questo tanto forte quel tenere 14.38 in borsa li vedea, ch' a pena esso, 14.39 non ch' altro alcun, ne potea bene avere. 14.40 Al qual faccendom' io un poco appresso 14.41 per conoscer chi fosse apertamente, 14.42 vidi che era colui che me stesso 14.43 libero e lieto avea benignamente 14.44 nudrito come figlio, ed io chiamato 14.45 aveva lui e chiamo mio parente. 14.46 Davanti e poi e d' uno e d' altro lato 14.47 tanti su per lo monte e giù scendieno 14.48 a prender del tesoro disiato: 14.49 ogni lingua verrebbe a dirlo meno, 14.50 però qui m' aggia lo lettore alquanto 14.51 scusato s' io non gli ritraggo a pieno. 14.52 Quand' io ebbi costor mirati tanto 14.53 ch' a me stesso increscea, io mi voltai, 14.54 com' altri volle, verso il destro canto. 14.55 Ver è che disiato avrei assai 14.56 d' essere stato della loro schiera, 14.57 se con onor potesse esser giammai. 14.58 E s' io vi fossi stato, come v' era 14.59 alcun ch' io vi conobbi, io avrei fatto 14.60 sì che veduta fora la mia cera 14.61 credo più volentier da tal che matto 14.62 or mi riputa, però che i' ho poco, 14.63 e più caro m' avrebbe in ciascun atto. 14.64 Hai lasso, quanto nelli orecchi fioco 14.65 risuona altrui il senno del mendico! 14.66 né par che luce o caldo abbia 'l suo foco, 14.67 e 'l più caro parente gli è nimico; 14.68 ciascun lo schifa, e se non ha moneta 14.69 alcun non è che 'l voglia per amico. 14.70 Unque s' ogni uomo pur di quello asseta, 14.71 mirabile non è, poiché virtute 14.72 sanza danari nel mondo si vieta; 14.73 il cui valor se fosse alla salute 14.74 di quel pensato che uom pensar dee, 14.75 non le ricchezze sarian sì volute. 14.76 Ma io mi credo che parole ebree 14.77 parrebbono a ciascun chiaro intelletto 14.78 il dir che le ricchezze fosser ree, 14.79 avvegna che in me questo difetto 14.80 piuttosto che in altro caderia, 14.81 tanto disio d' averne con effetto. 14.82 Né da tal disiderio mi trarria 14.83 alcun, tanto il pregar mi par noioso 14.84 che di danar sovvenuto mi sia. 14.85 Dopo molto pensar, disideroso 14.86 di veder tutto, dirizzai il viso: 14.87 e vidi figurato poderoso 14.88 Amor, sì come qui sotto diviso.
CANTO XV
15.1 Quella parte dov' io or mi voltai 15.2 con gli occhi riguardando e con la mente, 15.3 di storie piena la vidi e d' assai. 15.4 Volendo adunque d' esse pienamente, 15.5 almen delle notabili, parlare, 15.6 rallungar si convien l' opra presente. 15.7 E però dico che, nel riguardare 15.8 ch' io feci, a guisa d' un giovane prato 15.9 tutta la parte vidi verdeggiare, 15.10 similemente fiorito e adornato 15.11 d' alberi molti e di nuove maniere, 15.12 e l' esservi parea gioioso e grato. 15.13 Tra' quali, in mezzo d' esso, al mio parere, 15.14 un gran signor di mirabile aspetto 15.15 vid' io sopra due aquile sedere; 15.16 al qual mentre io mirava con effetto, 15.17 sopra due lioncelli i piè tenea 15.18 ch' avean del verde prato fatto letto. 15.19 Una bella corona in capo avea 15.20 e li biondi cape' sparti sott' essa, 15.21 che un fil d' oro ciaschedun parea. 15.22 Il viso suo come neve mo' messa 15.23 parea, nel qual mescolata rossezza 15.24 aveva convenevolmente ad essa. 15.25 Sanza comparazion la sua bellezza 15.26 era, ed aveva due grandi ali d' oro 15.27 alle sue spalle, stese inver l' altezza. 15.28 In man tenea una saetta d' oro 15.29 ed un' altra di piombo, alla reale 15.30 vestito, al mio parer, d' un drappo ad oro. 15.31 Orrevolmente là il vedea cotale, 15.32 tenendo un arco nella man sinestra, 15.33 la cui virtù sentir già molti male. 15.34 Né però era sua sembianza alpestra 15.35 ma giovinetta e di mezzana etate, 15.36 dimestica e piatosa e non silvestra. 15.37 E 'ntorno avea sanza fine adunate 15.38 genti, le qua' parea che ciascheduno 15.39 mirasse pure a sua benignitate. 15.40 Gai e giocondi ve ne vidi alcuno, 15.41 tristi e dolenti sospirando gire 15.42 altri vi vidi, in isperanza ognuno. 15.43 Io che mirava il grazioso sire, 15.44 immaginando molto il suo valore 15.45 per molti ch' io vidi a lui servire, 15.46 ornata come lui, con grande onore 15.47 li vidi allato una donna gentile, 15.48 la qual pareva sì com' elli Amore, 15.49 vaga nelli occhi, piatosa ed umile; 15.50 ver è ch' era d' alloro coronata, 15.51 ed in tanto era ad Amor dissimile. 15.52 Angiola mi pareva nel ciel nata, 15.53 e in me più volte pensai ch' ella fosse 15.54 quella che in Cipri già fu adorata. 15.55 Non so quel che il cor mi sì percosse 15.56 mirando lei, se non che l' alma mia 15.57 pavida dentro tutta si riscosse, 15.58 né sanza a lei pensar fu poi né fia: 15.59 sì eccellente e tanto graziosa 15.60 quivi allato ad Amor vidi lucia. 15.61 In fronte a lei, più ch' a altra valorosa, 15.62 due belli occhi lucean sì che fiammetta 15.63 parea ciascuno d' amor luminosa; 15.64 e la sua bocca bella e piccioletta 15.65 vermiglia rosa e fresca simigliava, 15.66 e parea si movesse sanza fretta. 15.67 Dintorno a sé tutto il prato allegrava, 15.68 come se stata fosse primavera, 15.69 col raggio chiar che 'l suo bel viso dava. 15.70 Io non credo ch' al mondo mai pantera 15.71 col suo odor già anima' tirasse, 15.72 faccendoli venir dovunque s' era 15.73 blandi e quieti, ch' a lei simigliasse; 15.74 e sì parean mirabili i suoi atti, 15.75 ch' Amor pareva lì s' innamorasse. 15.76 Oh come nello aspetto, in detti e 'n fatti, 15.77 savia parea, con alto intendimento, 15.78 pensando a' suo' sembianti ed a' suoi tratti! 15.79 Contemplando ad Amore il suo talento 15.80 parea fermasse en la sua chiara luce: 15.81 com' aquila a' figliuo' nel nascimento 15.82 con amor mostra ond' ella li produce 15.83 a seguir sua natura, così questa 15.84 credo che faccia a chi la si fa duce. 15.85 A rimirar contento questa onesta 15.86 donna mi stava, che in atti dicesse 15.87 parea parole assai piene di festa, 15.88 come lo 'mmaginar par che intendesse.
CANTO XVI
16.1 Costei pareva dir negli atti soi: 16.2 «Io son discesa della somma altezza 16.3 e son venuta per mostrarmi a voi. 16.4 Il viso mio, chi vuol somma bellezza 16.5 veder, riguardi, là dove si vede 16.6 accompagnata lei e gentilezza. 16.7 Ò pietà per sorella e di merzede 16.8 fontana sono: Iddio mi v' ha mandata 16.9 per darvi parte del ben che possiede. 16.10 Donna più ch' altra sono innamorata 16.11 e ma' isdegno in me non ebbe loco, 16.12 però Amor m' ha cotanto onorata. 16.13 Ancor risplende in me tanto il suo foco, 16.14 che molti credon talor ch' io sia ello, 16.15 avvegna che da lui a me sia poco. 16.16 Cortese e lieta son di lui vasello, 16.17 né mai mi parran duri i suoi martiri 16.18 pensando al dolce fin che vien da quello. 16.19 E bene è cieco quei che' suoi disiri 16.20 si crede sanza affanno aver compiuti 16.21 e sanza copia di dolci sospiri. 16.22 Riceva in pace dunque i dardi aguti, 16.23 ch' alcun piacer di belli occhi saetta 16.24 que' che attendon d' esser proveduti. 16.25 Tal, qual vedete, giovane angioletta 16.26 qui accompagno Amor che mi disia: 16.27 poi tornerò al cielo a chi m' aspetta». 16.28 Ancor più intesi, ma la fantasia 16.29 nol mi ridice, sì gran parte presi 16.30 di gioia dentro nella mente mia 16.31 lei rimirando e' suoi atti cortesi, 16.32 il chiaro aspetto e la mira biltate, 16.33 della qual mai a pien dir non porriesi. 16.34 Dallato Amor con tanta volontate 16.35 vidi mirarla, che nel bello aspetto 16.36 tutto si dipingeva di pietate. 16.37 Ognora a sé con la sua mano il petto 16.38 tastando, quasi non si avesse offeso 16.39 perché a guardarla avea tanto diletto. 16.40 Io stetti molto a lei mirar sospeso 16.41 per guardar s' io l' udissi nominare 16.42 o i' 'l vedessi scritto brieve o steso. 16.43 Lì nol vidi né 'l seppi immaginare, 16.44 avvegna che, com' io dirò appresso, 16.45 in altra parte poi la vidi stare 16.46 dond' io il seppi, e lì il dico espresso: 16.47 però chi quello ha voglia di sapere 16.48 fantasiando giù cerchi per esso. 16.49 Omè, che lei mirando il mio volere 16.50 non avrei sazio mai! ma stretta cura 16.51 di mirare altro mi mise in calere. 16.52 Levando adunque gli occhi inver l' altura 16.53 vidi quel Giove che 'n forma di toro 16.54 non già rubesto mutò sua figura, 16.55 che quivi avendo per umil dimoro 16.56 Europa sottratta a cavalcarsi, 16.57 per me' compier l' avvisato lavoro, 16.58 e' parea quindi correndo levarsi 16.59 e gir su per lo mar, come cacciato 16.60 fosse, e poi pianamente posarsi 16.61 in quel paese che poi fu nomato 16.62 da quella che da dosso si dispose, 16.63 ripigliando sua forma innamorato. 16.64 Nel loco poi con parole pietose 16.65 pareva a me che la riconfortasse 16.66 narrando ancor le sue piaghe amorose; 16.67 ma con disio parea poi l' abracciasse, 16.68 e con diletto l' avuto disio 16.69 sanza contasto parea terminasse. 16.70 Alquanto appresso ancora questo iddio 16.71 com' una gotta d' oro risplendente 16.72 trasformato e cadendo, lui vid' io 16.73 gittarsi in una torre prestamente 16.74 ad una giovinetta ch' entro v' era, 16.75 per ben guardarla, chiusa strettamente; 16.76 il qual forse l' amava oltra maniera 16.77 dovuta, ed infra le bianche tette 16.78 e belle in piova gir lasciato s' era. 16.79 Né dello inganno già saper cevette 16.80 quella, ma lui ritenne nascoso 16.81 e guadagnato forse aver credette. 16.82 Alla vera statura luminoso 16.83 quivi vedeasi tornato e costei 16.84 abracciando e basciando, disioso 16.85 riguardando essa, né giammai da lei 16.86 partir sanza il disiato giugnimento; 16.87 di che parea ch' ella dicesse: «Omei, 16.88 ch' io son gabbata dal tuo argomento».
CANTO XVII
17.1 Hai! come bella seguiva una storia 17.2 della figliuola d' Inaco, mi pare, 17.3 se ben mi rappresenta la memoria. 17.4 Era lì Giove, e vedendo tornare 17.5 sola dal padre quella giovinetta, 17.6 il suo disio le vedeva narrare. 17.7 Lungo un boschetto con essa soletta, 17.8 sotto piacevoli ombre con costei 17.9 star lo vedea sopra la verde erbetta. 17.10 Ma così dimorandosi con lei, 17.11 Giuno vi sopravenne furiosa 17.12 temendo dello inganno fatto a lei. 17.13 Intanto la persona graziosa 17.14 Giove di quella in una vacca bella 17.15 mutò, e lei donò alla sua sposa. 17.16 Or poi che Giuno aveali presa quella, 17.17 per tema forse di simile offesa, 17.18 Argo pien d' occhi guardian fece d' ella. 17.19 Colui appresso, che l' aveva presa 17.20 a guardia, in atto un pastor chiamava, 17.21 ch' una sampogna sonar gli avea intesa. 17.22 Hatlanciade, quel pastor, v' andava, 17.23 sotto alberi sonando dolcemente 17.24 con colui quivi riposando stava. 17.25 Onde sonando, vedea chetamente 17.26 con tutti e cento gli occhi ch' Argo avea 17.27 addormentarsi e non sentir niente. 17.28 Rigido poi l' altro pastor vedea 17.29 trarsi di sotto un ritorto coltello, 17.30 col qual colui prestamente uccidea. 17.31 Fu lì da Giuno mutato in suo uccello, 17.32 la quale irata poi parea seguire 17.33 la vacca per cui era morto quello. 17.34 A lei davanti vedeasi fuggire 17.35 e già tenea il Nil, quando lo dio 17.36 Giuno rattemperò e le sue ire. 17.37 Così tornò ogni bellezza ad Io, 17.38 ch' ell' ebbe mai, e lasciò la pigliata 17.39 forma bestial che Giove le diè pio. 17.40 E poi la vidi lì deificata, 17.41 e dalla gente lì divota assai 17.42 con molti incensi la vidi onorata. 17.43 Dopo essa alquanto avanti riguardai 17.44 e 'l detto iddio in forma feminile 17.45 in un fronzuto bosco affigurai; 17.46 e riguardando lui, che nel gentile 17.47 aspetto e bello Diana mi pareva, 17.48 negli atti suoi mansueto ed umile, 17.49 là affannato forse si sedeva 17.50 ed un forte arco con molte saette 17.51 dal suo sinistro lato posto aveva. 17.52 Lui mirando una delle giovinette 17.53 che per lo bosco con Diana gia, 17.54 che questi dessa fosse si credette; 17.55 a lui venendo in atto onesta e pia 17.56 per lei basciar, ché forse consueto 17.57 era, sicura prese la sua via. 17.58 Ver lei si fece Giove, e tutto lieto 17.59 prendendola la trasse seco appresso 17.60 entro in un luogo del bosco segreto; 17.61 ove basciando lei, essa con esso 17.62 si stava cheta, che semplice e pura 17.63 aveva rotto il boto già commesso. 17.64 Sola lì mi parea che con paura 17.65 gravida rimanesse di colui 17.66 che la 'ngannò sotto l' altrui figura. 17.67 Tacquesi un tempo la donna nel cui 17.68 ventre piacevol peso era nascoso, 17.69 ma pur convenne poi paresse altrui, 17.70 ricevend' ella allora dal grazioso 17.71 coro di Diana l' esserne divisa: 17.72 di che poi Giove, essendone piatoso, 17.73 a lei diè forma d' Orsa e fella assisa 17.74 essere intorno al pol piena di stelle, 17.75 per guiderdon della colpa commisa. 17.76 Bianco, al mio parer, di dietro a quelle 17.77 istorie il vidi in cigno figurato, 17.78 con bianche penne rilucenti e belle. 17.79 In dentro andando se l' avea pigliato 17.80 nelle sue braccia disiosa Leda, 17.81 e 'n camera di lei l' avea portato. 17.82 Là come tosto la infinta preda 17.83 si vide inchiuso, lieto ritornossi 17.84 nella sua vera e consueta sceda. 17.85 Tutta negli atti Leda marvigliossi, 17.86 ma concedendo sé alla sua voglia, 17.87 quivi mostrava come racchetossi 17.88 acciò che luogo avesse en l' alta soglia.
CANTO XVIII
18.1 Dopo costei si vedea seguitare 18.2 come di Semelè già gli arse il core, 18.3 e come l' ebbe ancora vi si pare. 18.4 Ornata come vecchia e di dolore 18.5 piena era quivi Giuno, invidiosa 18.6 perché Giove portava a quella amore; 18.7 nascosa in forma tale, la graziosa 18.8 giovine domandava s' ella fosse 18.9 ben dell' amor di Giove copiosa. 18.10 Nel viso a riso a quel parlar si mosse 18.11 non conoscendo lei, e le rispose: 18.12 «Altro che me non disian sue posse». 18.13 Allor si turbò Giuno, ma l' ascose 18.14 con falso aspetto, e disse: «Ora ti guarda 18.15 ch' e' non ti inganni con viste frodose. 18.16 Più furon quelle già cui la bugiarda 18.17 vista ingannò, ed io ne so alcuno; 18.18 ma se tu vuo' saper se per te arda, 18.19 istea con teco dì come con Giuno. 18.20 Se elli il fa, ben ti dico ch' allora 18.21 dirò che non ci sia 'nganno nessuno; 18.22 e fa che 'l facci». E sanza far dimora 18.23 da lei si dipartia; questa aspettando 18.24 rimase con disio la sua malora. 18.25 Tacita e sola così dimorando, 18.26 parve che Giove nella casa entrasse, 18.27 a cui ella così dicea pregando: 18.28 «Or neghera'mi tu, s' io domandasse, 18.29 un caro dono?» a cui e' rispondea, 18.30 e rispondendo parea che giurasse 18.31 sé a ciò non mancar ch' ella volea. 18.32 «Come con Giuno ti congiugni», disse, 18.33 «così con meco ti priego che stea». 18.34 Ahi come a Giove dolfe! ma non sdisse 18.35 quel che 'mpromise, ma invito quello 18.36 fé, perché 'l saramento non perisse. 18.37 Rilucer lì d' un foco grande e bello 18.38 Semelè si vedeva e in cener trita 18.39 ritornar tosto giacendo con ello. 18.40 E così trista finì la sua vita 18.41 per lo disio che 'l consiglio dolente 18.42 le porse, e Giuno rimase gioita. 18.43 Conforme poi si vedea similmente 18.44 Asterien ad aquile seguire, 18.45 cui elli amava molto coralmente. 18.46 Allato a lei ed or di sopra gire 18.47 per alti boschi quivi si vedeva, 18.48 e poi con l' ali lei presa covrire. 18.49 Molto dubbiosa lì quella pareva, 18.50 per che rivolta contra il grande iddio 18.51 con fievol possa cacciar lo voleva. 18.52 Valeale poco, però che 'l disio 18.53 suo ne prendeva que', come che a lei 18.54 ne' suoi sembianti le paresse rio. 18.55 Nel luogo appresso si vedea colei 18.56 che partorì i due occhi del cielo, 18.57 secondo che apparve agli occhi miei. 18.58 Assai timida, l' isola di Delo 18.59 la riteneva quasi fuggitiva, 18.60 umile e piana sotto bianco velo. 18.61 Soletta appresso Antiopa seguiva, 18.62 con la qual quivi Giove in forma quale 18.63 un satiro, alla mia stimativa. 18.64 Ove allato sedeale e quanto male 18.65 amor per lei li facesse narrava, 18.66 né come alcun rimedio ve li vale. 18.67 Assai negli atti suoi la lusingava, 18.68 tanto che 'nfine alla sua volontate 18.69 con impromesse e prieghi la recava. 18.70 Vedeasi appresso quivi la biltate, 18.71 in una storia che venia, d' Almena 18.72 piena di grazia e di tutta onestate, 18.73 in suoi sembianti gioconda e serena; 18.74 a cui Giove, in forma del marito 18.75 che dallo studio tornava d' Atena, 18.76 tutto il suo disio avea compito. 18.77 Vedevavisi Geta doloroso 18.78 perché un altro n' avea 'n casa sentito. 18.79 Appresso v' era Birria nighittoso 18.80 caricato di libri; al picciol passo 18.81 parea venisse tutto dispettoso, 18.82 sanza alcun ben, dicendo: «Oimè lasso, 18.83 quando sarà ch' i' posi questo peso 18.84 che sì m' affolla, ponendolo abbasso?». 18.85 Inver lo ciel ne gia, poi ch' ebbe preso 18.86 Giove il diletto che di lei li piacque, 18.87 pregna lasciandola, al salire inteso: 18.88 di cui appresso il forte Ercule nacque.
CANTO XIX
19.1 Ivi più non seguia, perché finiva 19.2 quella facciata con gli antichi autori 19.3 che stanno innanzi a quella donna diva. 19.4 Laond' io torna'mi inver li predatori, 19.5 ricominciando a quel canto primiero 19.6 a rimirar gli antichissimi amori. 19.7 Ed umile tornato v' era il fiero 19.8 Marte, prencipe d' arme fatto amante, 19.9 per la qual cosa più non era altiero. 19.10 Con tal disio il piacevol sembiante 19.11 mirava della bella Citerea, 19.12 che non parea che più curasse avante. 19.13 Tra que' luoghi medesmi mi parea 19.14 con essa lui veder dentro ad un letto, 19.15 dintorno al quale, al mio parere, avea 19.16 ordinata di ferro tutto eletto 19.17 una rete sottil che gli avea presi, 19.18 come per coglier loro in quel diletto. 19.19 Sovra la sua vergogna i lacci tesi 19.20 avea Vulcano, il qual veder venia 19.21 ridendosi d' averli sì offesi. 19.22 Aveva quivi ciascun dio e dia, 19.23 che nel ciel fosse, tututti chiamati 19.24 Vulcan, per mostrar lor cotal follia. 19.25 Commosso a' prieghi di Nettunno grati 19.26 fatti a Vulcan per Marte umilemente, 19.27 di quella fuor da lui eran cacciati. 19.28 Hai! come poi ciascuno apertamente 19.29 faceva il suo piacer, però che avieno 19.30 vergogna ricevuta interamente! 19.31 E sì avviene a que' che non vorrieno 19.32 trovar le cose e vannole cercando, 19.33 che molto meglio cheti si starieno. 19.34 Molto consiglio ciaschedun, che quando 19.35 pur divenisse che cosa vedesse 19.36 che li spiacesse, con gli occhi bassando 19.37 e' se ne passi, perché molto spesse 19.38 son quelle volte che tai vendicare 19.39 tal vuol, che saria me' che se ne stesse. 19.40 Tutto focoso vidi seguitare 19.41 quivi Febo Pennea graziosa, 19.42 e lei con dolci voci lusingare. 19.43 Temendo fuggiva ella impetuosa 19.44 quivi da lui e di sopra le spalle 19.45 con li capelli sparti: più focosa 19.46 entrava in Febo, che 'l dolente calle 19.47 seguiva, infin che stanca fé dimoro, 19.48 più non potendo, in una bella valle. 19.49 Là ritornata in grazioso alloro 19.50 sopr' essa il sol la sua luce fermava, 19.51 faccendole col raggio chiaro coro. 19.52 Veder pareami, secondo mostrava, 19.53 che si dolesse di tal mutazione 19.54 e ne sembianti sen ramaricava. 19.55 Ivi era appresso poi come Sitone, 19.56 maschio da lui sanza fine amato, 19.57 mutava in feminil sua condizione. 19.58 Con esso lui si stava quivi allato, 19.59 e lei tenendo in braccio con amore 19.60 mostrava ch' altro non li fosse a grato. 19.61 Or, con costei finito il suo ardore, 19.62 rinchiuso vidi in una vecchia scura, 19.63 più là un poco, tutto il suo splendore. 19.64 Nell' aspetto pareva la figura 19.65 della madre di quella, per cui questo 19.66 a far ciò il sospignea con tanta cura. 19.67 Mirabilmente là si vedea presto 19.68 chiuso tornare in sé, onde colei 19.69 dicea maravigliando: «Or che è questo?». 19.70 E poi il vedeva starsi con costei; 19.71 ma morta quella, per la sua potenza 19.72 in albero d' incenso mutò lei. 19.73 Così appresso in forma; e l' accoglienza 19.74 che Issèn li fé quando con essa giacque, 19.75 tutto vi si vedea sanza fallenza. 19.76 Habituato, v' era com li piacque 19.77 a Climenès, del cui congiungimento 19.78 Feton che guidò il carro poi ne nacque. 19.79 Oltre tra questi poi, molto contento, 19.80 era Nettunno in forma d' Euristeo, 19.81 Esimena abbracciando al suo talento. 19.82 Innanzi riguardando discerneo 19.83 la vista mia costui in braccio tenere 19.84 Cerere, cui amò quanto poteo. 19.85 Non sanza molti basci, al mio parere, 19.86 la stimolava; ma io mi voltai, 19.87 non potend' io più quivi vedere, 19.88 dond' io a riguardar pria cominciai.
CANTO XX
20.1 Ove io vidi in ordine dipinto 20.2 sì come Bacco, per forza d' amore, 20.3 in forma d' uva ad amar fu sospinto 20.4 la figlia di Ligurgo; il cui ardore 20.5 quivi con lei in braccio si vedea 20.6 temperar, non in forma né in colore 20.7 che si sdicesse, e 'l simil mi parea 20.8 d' Erigonèn; e del suo gran disio 20.9 così sé quivi si sodisfacea. 20.10 Ivi seguiva poi, al parer mio, 20.11 Pan che Siringa gia perseguitando, 20.12 ch' avanti li fuggia in atto pio; 20.13 e lei fuggente l' andava pregando, 20.14 ma 'l pregar non valeva, anzi tornata 20.15 in canna poi la vidi in forma stando. 20.16 Poi di quella i bucciuoli spessa fiata 20.17 sonati fur, però che primamente 20.18 da esso fu la sampogna trovata. 20.19 Appresso lui vi vid' io il dolente 20.20 Saturno in forma di cavallo stare, 20.21 a Fillara accostarsi dolcemente. 20.22 Così appresso vidi, ciò mi pare, 20.23 Pluto li tristi regni abbandonati 20.24 avere e quivi intendere ad amare. 20.25 Ed a lui presso con atti sfrenati 20.26 prender vedea Proserpina e con essa 20.27 fuggirsi a' regni di luce privati, 20.28 pur con istudio e con noiosa pressa, 20.29 come se stato fosse seguitato 20.30 da Giove per volerlo privar d' essa. 20.31 Oltre nel loco vidi figurato 20.32 Mercurio con Ersèn: molto stretto, 20.33 amando lei, dimorava abracciato, 20.34 insieme avendo piacevol diletto. 20.35 Dopo 'l quale io vedeva tutto bianco 20.36 Borea quivi, con un freddo aspetto. 20.37 Questi, li regni abbandonati, stanco 20.38 in Etiopia giugneva a vedere 20.39 Ortigia, ch' a sé dal lato manco, 20.40 vedeva, quivi la facea sedere; 20.41 ed abracciata lei tenendo stretta 20.42 a pena seco gliel pareva avere. 20.43 A lui seguiva poi la giovinetta 20.44 Tisbe, che fuor di Bambillonia uscia 20.45 e verso un bosco sen giva soletta. 20.46 Né lì guari lontano, la sua via 20.47 fornita, un velo lasciava fuggendo 20.48 per una leona che a ber venia 20.49 della fontana, dov' ella attendendo 20.50 Piramo si posava nell' oscura 20.51 notte; così se n' entrava correndo 20.52 ove già fu la vecchia sepultura 20.53 di Nino. E poi si vedeva venire 20.54 Piramo là con sollecita cura, 20.55 a sé intorno mirando se udire 20.56 o veder vi potesse se venuta 20.57 vi fosse Tisbe, secondo il suo dire. 20.58 Lui ciò mirando, in terra ebbe veduta, 20.59 perché la luna risplendeva molto, 20.60 la vesta che a Tisbe era caduta, 20.61 tutto stracciato e per terra rivolto 20.62 con un mantello il bel vel sanguinoso, 20.63 per che tututto si cambiò nel volto. 20.64 Ricogliendo essi parea che doglioso 20.65 dicesse: «Oimè, Tisbe, chi ti uccise? 20.66 chi mi ti tolse, dolce mio riposo?». 20.67 Ontoso tutto lagrimando mise 20.68 la mano ad uno stocco ch' avea seco, 20.69 col qual dal corpo l' anima divise. 20.70 Parea dicesse piangendo: «Con teco, 20.71 Tisbe, morrò, acciò ch' all' ombre spesse 20.72 di Dite, lassa, ti ritruovi meco»; 20.73 e sbigottito parea che cadesse 20.74 quivi sopra 'l mantello, a piè d' un moro, 20.75 e del suo sangue i suoi frutti tignesse. 20.76 Non dilettava a Tisbe il gran dimoro; 20.77 colà dond' era uscì, e disse: «Forse 20.78 quella bestia è pasciuta, e già non loro 20.79 suol uso a noi far male»: ed oltre corse 20.80 alla fontana, e non credea che fosse 20.81 essa quando le more rosse scorse. 20.82 In ciò mirando, tutta si percosse 20.83 quando Piramo vide ancor tremante, 20.84 e dal suo petto il ferro aguto mosse 20.85 e 'n su quel si gittò, dicendo: «Amante, 20.86 io son la Tisbe tua! mirami un poco 20.87 anzi ch' io muoia», e più non disse avante: 20.88 rimirandola, cadde morta loco.
CANTO XXI
21.1 Or miri adunque il presente accidente 21.2 qualunque è que' che vuol legge ad amore 21.3 impor, forse per forza, strettamente. 21.4 Quivi credo vedrà che 'l suo furore 21.5 è da temprar con consiglio discreto, 21.6 a chi ne vuole aver fine migliore. 21.7 Vivean di questi i padri, ciascun lieto 21.8 di bel figliuolo: e perché contro a voglia 21.9 gli strinser, n' ebbe doloroso fleto. 21.10 E così spesse volte altri si spoglia 21.11 di ciò che e' si crede rivestire, 21.12 e poi convien che sanza pro si doglia. 21.13 Sì riguardando poi vidi seguire 21.14 Giansone in mezzo di tre giovinette, 21.15 le quai ciascuna fu al suo disire. 21.16 Tutte e tre furon già a lui dilette 21.17 e nominate Isifile e Medea, 21.18 al mio parer, con Creusa sospette. 21.19 «O sanza fede alcuna», mi parea 21.20 che Isifile dicesse, «o dispietato, 21.21 o più crudel ch' alcuna anima rea, 21.22 deh, or hai tu ancor dimenticato 21.23 a quanto onor tu fosti ricevuto 21.24 nel regno ond' ogni maschio era cacciato? 21.25 Io non credo che mai fosse veduto 21.26 uom volentier in nulla parte strana 21.27 né cotal dono a lui mai conceduto, 21.28 simile a quel che io benigna e piana 21.29 a te concessi, portando fidanza 21.30 alla tua fede come 'l vento vana. 21.31 Faccendo saramenti a me, speranza 21.32 nel tuo partir mi desti che giammai 21.33 non cambieresti me per altra amanza. 21.34 Andastitene e me, come tu sai, 21.35 pregna lasciasti di doppio figliuolo, 21.36 ed a tornar ancor verso me hai. 21.37 Con sospiri e con pianti e con gran duolo 21.38 gran tempo stetti, dicendo: "Omai tosto 21.39 verrà Giansone qui col suo stuolo", 21.40 ed appena credetti quel che sposto 21.41 mi fu di te, ch' avevi nuova amica 21.42 presa in Colcòs e mutato proposto. 21.43 Più avanti non so ch' io mi ti dica, 21.44 se non ch' io ardo e tu in giuoco e festa 21.45 ora ti stai con la mia nimica. 21.46 In tanto questa doglia mi molesta 21.47 che dir nol posso, ma tu stesso pensa 21.48 chente parriati averla tal qual questa. 21.49 Assai ti priego dunque, se offensa 21.50 non ho commessa, non mi abandonare, 21.51 ma con pietà al mio dolor dispensa». 21.52 Non rispondea Giansone; ma poi stare 21.53 vidi negli atti molto dispettosa 21.54 Medea, inverso lui così parlare: 21.55 «Giansone, in tutto 'l mondo non fu cosa 21.56 ch' io tanto amassi né per cui facessi 21.57 quanto feci per te, sì come sposa; 21.58 e non mi credo ancor che tu sconfessi 21.59 com' io ti diè mirabile argomento, 21.60 per cui sicur co' tori combattessi. 21.61 Mostra'ti ancora, per farti contento, 21.62 come 'l drago ingannassi, acciò ch' appresso 21.63 fornito avessi tuo intendimento. 21.64 Insieme me ne venni teco stesso, 21.65 e sai che io il mio picciol fratello 21.66 uccisi, acciò che 'l mio padre sopr' esso 21.67 dimorasse piangendo, e quindi snello 21.68 e sanza noia passasse il nostro legno 21.69 già cominciato a seguitar da ello. 21.70 E sai ancora ch' io col mio ingegno 21.71 il tuo antico padre e vecchio Ensone 21.72 di giovinetta età il feci degno; 21.73 né riguardai ancora a riprensione 21.74 ch' io non facessi morire il tuo zio, 21.75 per signor farti della regione. 21.76 Tu il ti conosci e sai per certo ch' io 21.77 ogni cosa avre' fatta per piacerti, 21.78 non credendo che mai il tuo disio 21.79 rivoltassi da me per più doverti 21.80 dare ad altrui. Deh, se altro diletto, 21.81 se non di me, due be' figli vederti 21.82 ognor davanti non t' avesse stretto, 21.83 non dovei tu giammai donna nessuna 21.84 più abracciar nel mio debito letto, 21.85 lo qual tu ora possiedi con una: 21.86 che s' io non fossi stata alla tua vita, 21.87 né lei né me avevi, né altra alcuna. 21.88 Adunque a me, per Dio, ti rimarita».
CANTO XXII
22.1 Non rispondeva a nulla di costoro 22.2 quivi Gianson, ma Creusa abracciando 22.3 con lei traeva dilettevol dimoro. 22.4 Io, che andava avanti riguardando, 22.5 vidi quivi Teseo nel Laberinto 22.6 al Minutauro pauroso andando. 22.7 Ma poi che quel con ingegno ebbe vinto 22.8 che li diede Adriana, quindi uscire 22.9 lui vedev' io di gioia dipinto; 22.10 al quale appresso Adriana venire 22.11 e con lei Fedra, e salir nel suo legno 22.12 e quindi forte a suo poter fuggire. 22.13 Nel quale, avendo già l' animo pregno 22.14 del piacer di Adriana, lei lasciare 22.15 vedea dormendo e girsene al suo regno. 22.16 Gridando desta la vedeva stare, 22.17 e lui chiamava piangendo e soletta 22.18 sopr' un diserto scoglio in mezzo mare: 22.19 «Omè», dicendo, «deh, perché s' afretta 22.20 sì di fuggir tua nave? Aggi pietate 22.21 di me ingannata, lassa, giovinetta! 22.22 Segando se ne gia l' onde salate 22.23 con Fedra quelli, e Fedra si tenea 22.24 per vera sposa, per la sua biltate. 22.25 Costei più innanzi un poco si vedea 22.26 accesa tutta di focoso amore 22.27 d' Ippolito, cui per figliastro avea. 22.28 Ivi vedeasi lo sfacciato ardore 22.29 di Pasifé, che 'l toro seguitava 22.30 di sé chiamandol conforto e signore: 22.31 ove con le man propie ella segava 22.32 le fresche erbette nel fogliuto prato 22.33 e con quelle medesme gliele dava. 22.34 Spesso li suo' cape' con ordinato 22.35 stile acconciava e, della sua bellezza 22.36 prima l' occhio allo specchio consigliato, 22.37 adorna venia innanzi alla mattezza 22.38 bestiale, e quivi parea che dicesse: 22.39 «Agraditi la mia piacevolezza? 22.40 Certo se io solamente vedesse 22.41 che più ch' un' altra vacca mi gradissi, 22.42 non so che più avanti mi volesse». 22.43 Era di dietro a lei, con gli occhi fissi 22.44 sopra 'l suo padre, Mirra scellerata, 22.45 né da lui punto li teneva scissi. 22.46 Riguardando io costei lunga fiata, 22.47 quivi la vidi poi di notte oscura 22.48 esser con lui in un letto colcata. 22.49 Correndo poi fuggir l' aspra figura 22.50 del padre la vedea, che conosciuta 22.51 avea l' abominevole mistura. 22.52 Albero la vedeva divenuta 22.53 che 'l suo nome ritien, sempre piangendo 22.54 o 'l fallo o forse la gioia compiuta. 22.55 Narcisso vidi quivi ancor sedendo 22.56 sopra la nitida acqua a riguardarsi, 22.57 di sé oltre 'l dovuto modo ardendo. 22.58 Deh, quanto quivi nel ramaricarsi 22.59 nel suo aspetto mi parea piatoso, 22.60 e talor seco se stesso crucciarsi: 22.61 «Omè», dicendo, «tristo doloroso, 22.62 la molta copia, ch' i' ho di me stesso, 22.63 di me m' ha fatto, lasso, bisognoso». 22.64 Cefalo poi, alquanto dietro ad esso, 22.65 vid' io posato aver l' arco e li strali 22.66 e riposarsi, per lo caldo fesso. 22.67 «O aura, deh, vien con le fresche ali, 22.68 entra nel petto nostro!» tutto steso 22.69 stava dicendo parole cotali. 22.70 Ma questo avendo già Pocris inteso, 22.71 cui ascosa vedea tra l' erbe e' fiori 22.72 in quella valle, con l' udire inteso, 22.73 essendo in sospezion de' nuovi amori, 22.74 credendo forse che l' Aura venisse, 22.75 volle, e nol fece, intanto farsi fori. 22.76 Tutta l' erba si mosse e Cefal fisse 22.77 gli occhi colà, credendo alcuna fiera, 22.78 e preso l' arco su lo stral vi misse, 22.79 rizzando quel fra l' erba u' Pocris era, 22.80 e lei ferì nello amoroso petto. 22.81 Ella, sentendo il colpo, in voce vera: 22.82 «Omè», gridò, «perché ebb' io sospetto 22.83 di quel ch' i' non dovea?» così diria 22.84 chi la vedesse ch' ella avesse detto. 22.85 Venuto Cefalo: «L' anima mia, 22.86 or che face' tu qui? oimè lasso», 22.87 dicea, «dogliosa omai mia vita fia, 22.88 avendo te recato a mortal passo».
CANTO XXIII
23.1 Ristrinsemi pietà l' anima alquanto 23.2 ad aver compassion di quel dolente, 23.3 cui io vedeva far così gran pianto. 23.4 Poi rimirando ad altro ivi presente, 23.5 vidi colui che il dolente regno 23.6 sonando visitò sì dolcemente: 23.7 Orfeo dico, che col suo ingegno 23.8 fece le misere ombre riposare 23.9 con la dolcezza del cavato legno. 23.10 Sonando ancora quivi il vidi stare 23.11 con Erudice sua, e mi parea 23.12 che il vedessi sonando cantare, 23.13 sollazandosi, versi, e sì dicea: 23.14 «Amore, a questa gioia mi conduce 23.15 la fiamma tua che nel cor mi si crea. 23.16 Amor, de' savi graziosa luce, 23.17 tu se' colui che 'ngentilisci i cori, 23.18 tu se' colui che 'n noi valore induce. 23.19 Per te si fugano angosce e dolori, 23.20 per te ogni allegrezza ed ogni festa 23.21 surge e riposa dove tu dimori. 23.22 O spegnitor d' ogni cosa molesta, 23.23 o dolce luce mia, questa Erudice 23.24 lunga stagion con gioia la mi presta! 23.25 Sempre mi chiamerò per te felice, 23.26 per te giocondo, per te amadore 23.27 starò come fa pianta per radice». 23.28 A veder quel mi s' allegrava il core, 23.29 e 'mmaginando quelle parolette 23.30 a me, non che a lui, crescea valore. 23.31 E poi, appresso a queste cose dette, 23.32 Diomede ed Ulisse si vedeano 23.33 divenuti merciai vender gioiette 23.34 tra suore quivi, che queste voleano 23.35 in vista comperar, ma dall' un lato 23.36 spade ed archi forti posti aveano, 23.37 saette ancor: de' quali avea pigliato 23.38 uno una suora ch' ivi stava presso, 23.39 e infino al ferro l' arco avea tirato. 23.40 Onde parea dicesser: «Questi è desso, 23.41 questi è Acchille, cui andian cercando», 23.42 e gir se ne volean quindi con esso. 23.43 La qual cosa vedendo, sospirando 23.44 una sorella quivi contastava 23.45 a que' che lui andavan lusingando. 23.46 Acchille gir con essi disiava, 23.47 e spogliandosi l' abito iveritta 23.48 come buon cavalier presto s' armava. 23.49 Vedendo ciò Deidamia, trafitta 23.50 da grieve doglia, tutta scolorita 23.51 parea dicesse a lui allato ritta: 23.52 «Omè, anima mia, o dolce vita 23.53 del cor dolente che tu abandoni, 23.54 di cui fia tosto, credo, la finita, 23.55 in qua' parti vai tu? qua' regioni 23.56 cerchi tu più graziose che la mia? 23.57 deh, credi tu a questi due ladroni? 23.58 deh, non t' incresce di Deidamia? 23.59 I' son colei che più che altra t' amo 23.60 e che più ch' altra cosa ti disia. 23.61 In quant' io posso più mercé ti chiamo: 23.62 non mi ti tôrre, deh, non te ne gire, 23.63 non privar me di quel che io più bramo! 23.64 sola mia gioia, solo mio disire, 23.65 sola speranza mia, se tu ten vai, 23.66 subitamente mi credo morire. 23.67 In continova doglia e tristi guai 23.68 istarò sempre: deh, aggi pietate 23.69 di me, se grazia merita' giammai! 23.70 Ahi lassa, or son così guiderdonate 23.71 tutte le giovinette ch' aman voi, 23.72 che di subito sieno abandonate? 23.73 Ricordar certo credo che ti puoi 23.74 quanto onor abbi da me ricevuto, 23.75 e ancora puoi ricever, se tu vuoi. 23.76 L' abito che t' ha fatto sconosciuto 23.77 sì lungo tempo per me 'l ricevesti, 23.78 per me segreto se' stato tenuto. 23.79 E quando prima vergine m' avesti, 23.80 di mai partirti né d' altra pigliarne 23.81 sopra la fede tua mi promettesti. 23.82 Perché altrove vuogli adunque andarne? 23.83 Di me t' incresca e del comun figliuolo 23.84 ch' abbian, se non ti duol la propia carne. 23.85 Io so che tu vuogli ire al tristo stuolo 23.86 ch' è 'ntorno a Troia, ov' io dubito forte 23.87 che morto non vi sia e per gran duolo 23.88 a me medesma non ne segua morte».
CANTO XXIV
24.1 Così pareva che costei dicesse 24.2 ed altro assai, a' prieghi della quale 24.3 non mi pareva ch' Acchille intendesse; 24.4 e seguitava quelli al troian male, 24.5 contento più che d' esser lì rimaso, 24.6 dove quella era, a cui tanto ne cale. 24.7 E 'nnanzi a lui, incerto del suo caso, 24.8 Briseida era trista, inginocchiata, 24.9 col viso basso e di baldanza raso. 24.10 Tra l' altre cose quella sconsolata 24.11 piangendo mi parea che li dicesse: 24.12 «Deh, perché m' hai, Acchille, abandonata? 24.13 Per te convenne ch' io mi dolesse 24.14 de' miei fratelli, i quali io più amava 24.15 che altra cosa ch' io nel mondo avesse; 24.16 e, per l' amore che io ti portava 24.17 e porto, quella morte che tu desti 24.18 a lor dolenti non mi ricordava. 24.19 Rapita me per forza ancor m' avesti, 24.20 come tu sai, e mia verginitate 24.21 a forza e contro a voglia mi togliesti. 24.22 Omè, che allora la tua crudeltate 24.23 non conobb' io, ché l' animo sdegnoso 24.24 non t' avre' mai l' offese perdonate. 24.25 Veduta sempre in abito cruccioso 24.26 m' avresti certamente, e così forse 24.27 non avrei dentro amor per te nascoso. 24.28 Omè, quanto soperchio ve ne corse 24.29 quando con atti falsi mi mostrasti 24.30 ch' io ti piacessi, e questo il cor mi morse. 24.31 Levastimi da te, poi mi mandasti 24.32 a Agamenòn come schiava puttana: 24.33 in quello il falso amor ben dimostrasti 24.34 Eimè lassa, misera profana, 24.35 Briseida cattiva, che farai 24.36 abandonata in parte sì lontana? 24.37 Non mi lasciar morire in tanti guai, 24.38 Acchille, aggi piatà di me dolente 24.39 che t' amo più che donna uom giammai! 24.40 Deh, guardami con l' occhio della mente, 24.41 e prendati pietà di me alquanto», 24.42 dicea colei, ma non valea niente. 24.43 Ivi appresso costui vid' io che tanto 24.44 ardeva dell' amor di Pulisena, 24.45 ch' ogni miseria ed angoscioso pianto, 24.46 periglio, affanno, guai o grave pena 24.47 delle su dette vendicava amore, 24.48 il qual fervente gli era in ogni vena; 24.49 e per lei spesso mutava colore, 24.50 prieghi porgendo, e non erano intesi, 24.51 onde lui costringea grieve dolore. 24.52 Rimirando ivi ancora vediesi 24.53 Sesto ed Abido, picciole isolette, 24.54 e 'l mar che le divide ancor pariesi. 24.55 Sovvennemi ivi quando vi cadette 24.56 Ellès, andando di dietro al fratello 24.57 all' isola de' Colchi, ove ristette. 24.58 Era notando ignudo nato in quello 24.59 mare Leandro, andando ver colei 24.60 cui più amava, vigoroso e snello. 24.61 Venuta là alla riva costei 24.62 vedea con panni e ricever costui, 24.63 tutto asciugando lui dal capo a' piei; 24.64 e poi vedeva quivi lei e lui 24.65 con tanta gioia standosi abracciati, 24.66 che simil non si vide mai in altrui. 24.67 Ritornar poi il vedea per li usati 24.68 mari alla casa, e di far quel camino 24.69 suoi membri non parien mai affannati. 24.70 A questo mare alquanto era vicino 24.71 Minòs, Alcatoè tenendo stretta 24.72 per forte assedio, volendo il destino 24.73 romper di quel capel che nella vetta 24.74 del capo a Niso stava, che per esso 24.75 l' oste di fuor non avea sospetta. 24.76 E quivi quella torre, ove fu messo 24.77 già lo strumento d' Appollo sonante, 24.78 vi si vedea rilucere appresso. 24.79 Pareva in quella Silla fiammeggiante 24.80 dell' amor di Minòs, che a vedere 24.81 stava l' oste a sua terra davante. 24.82 Venir la mi parea poscia vedere 24.83 avendo il porporin capel cavato 24.84 al padre, e a Minòs darlo, che 'l volere 24.85 robusto suo facea del disarmato 24.86 Niso, privando lui della sua gloria: 24.87 Silla gittata poi nel mar salato, 24.88 n' andava lieto della sua vittoria.
CANTO XXV
25.1 Era più là Alfeo, con le sue onde 25.2 piegate intorno e dietro ad Aretusa 25.3 con quelle terre che correndo infonde. 25.4 Là era Egisto ancor, che per iscusa 25.5 del sacerdozio non andò a Troia 25.6 ma Clitemestra si tenea inchiusa, 25.7 lei imbracciata e prendendone gioia 25.8 a suo piacere, ben che poco appresso 25.9 le ne seguisse sconsolata noia. 25.10 Oh, come quivi, alquanto dop' esso, 25.11 seguian Cannace e Macareo dolenti, 25.12 divisi per lo lor fallo commesso! 25.13 Non molto dopo lor così scontenti 25.14 Biblide vidi lì, che seguitava 25.15 il suo fratel con atti molto ardenti. 25.16 Molto pietosamente a lui andava 25.17 dietro parlando, sì come parea 25.18 negli atti suoi che quivi dimostrava. 25.19 «Ahi dolce signor mio», ver lui dicea, 25.20 «deh, non fuggir, deh, prendati pietate 25.21 di me che per te vivo in vita rea! 25.22 Guarda con l' occhio alquanto mia biltate, 25.23 pensi l' animo tuo il mio valore, 25.24 lo qual perisce per tua crudeltate. 25.25 Io non t' ho per fratel ma per signore: 25.26 vedi ch' io muoio per la tua bellezza, 25.27 per te piango, per te si strugge il core. 25.28 Non tener più ver me questa fierezza, 25.29 e 'l superfluo nome di fratello 25.30 lascialo andar, ch' a tenerlo è mattezza. 25.31 Aiutami, che puoi, e farai quello 25.32 che più aspetta quella che si sface 25.33 considerando il tuo aspetto bello. 25.34 Riso, conforto ed allegrezza e pace 25.35 render mi puoi, se vuoi: dunque che fai? 25.36 Deh, contentami alquanto, se ti piace! 25.37 Vedi ch' io mi consumo in tanti guai, 25.38 ch' altra neuna mai ne sentì tanti 25.39 per te, cui io disio, e tu tel sai. 25.40 Omè, fortuna trista delli amanti! 25.41 come coloro che non sono amati, 25.42 amando altrui, da tua rota son franti! 25.43 Se tu riguardi però che chiamati 25.44 sorella e frate sian, non è niente, 25.45 com dissi, e minor fieno i tuoi peccati 25.46 togliendomi dolor, che se dolente 25.47 morir mi fai per non aconsentire 25.48 a quel che sol disia la mia mente. 25.49 Rivolgiti, per Dio, deh, non fuggire! 25.50 pensa ch' ogni animal tal legge tene 25.51 quale a te chiede il mio forte disire. 25.52 A te molto più tosto si conviene 25.53 in questo atto fallir, che dispietato 25.54 farmi morir nelle noiose pene». 25.55 Biblide trista, quanto t' è in disgrato 25.56 veder colui, che ti dovria atare 25.57 da chi noia ti desse in alcun lato, 25.58 il tuo dolore in te forte aggregare! 25.59 e non che voglia fare il tuo disio, 25.60 ma tue parole non vuole ascoltare. 25.61 Là poi appresso, al mio parer, vid' io 25.62 Fillis allato star a Demofonte 25.63 e pianger sé di lui in atto pio. 25.64 Tutta turbata sue parole conte 25.65 li profferia, ricordandoli ancora 25.66 quant' ella e le sue cose tutte pronte 25.67 al suo servigio furono, e com' ora, 25.68 a lei fallita la promessa fede, 25.69 per troppo amor dolor grieve l' acora. 25.70 Tra questi, oltre nel prato, vi si vede 25.71 Meleagro e Atalanta che ciascuno 25.72 segue un cinghial con solecito piede, 25.73 e quanto ad esso sforzandosi ognuno 25.74 offende, accesi d' amoroso foco, 25.75 non lasciandoli affar danno nessuno. 25.76 Costor preiva, più avanti un poco, 25.77 Aconzio in man con la palla dell' oro 25.78 ch' a Cidipe gittò nel santo loco, 25.79 e quella quivi ancor facea dimoro: 25.80 dicendo a lei Aconzio che sua era, 25.81 ella negandol, parlavan fra loro; 25.82 riguardando l' un l' altro, in tal maniera 25.83 Cidipe a lui dicendo: «Se ingannata 25.84 fu' i' da te, la mia voglia non v' era; 25.85 ché, s' io mi fossi della palla addata, 25.86 non l' avria mai rimirata né letta, 25.87 anzi l' avrei tosto indietro gittata: 25.88 onde mai non m' avrai e questo aspetta».
CANTO XXVI
26.1 Com' io mirando andava quel giardino, 26.2 vi vidi in una parte effigiato 26.3 Ercule grande a Cidipe vicino; 26.4 ove con lui sedeva dall' un lato 26.5 Iole piacente e bella nello aspetto, 26.6 cui presa avea nel paese acquistato. 26.7 Non mirava Ercule altro che 'l conspetto 26.8 di lei, e quindi tanta gioia prendea 26.9 che duol li fora stato altro diletto. 26.10 Ramaricando dopo lui vedea 26.11 istar tutta turbata Deianira, 26.12 perch' a sé ritornarlo non potea. 26.13 Il molle petto acceso in foco d' ira 26.14 mostrava ch' ell' avesse, ognor soffiando 26.15 forse per rabbia che in lei si gira. 26.16 Ma, poco spazio, parea che parlando 26.17 dicesse a lui: «O signor valoroso, 26.18 volgiti a me, come tu suoli, amando, 26.19 e lascia cotestei, cui poderoso 26.20 guadagnasti per serva e 'l suo paese 26.21 insieme, con vittoria glorioso. 26.22 Non senti tu ch' a ogni uomo è palese 26.23 quel che la fama ora in contrario sona 26.24 di te, alle passate tue imprese? 26.25 Veramente di te ogni uom ragiona, 26.26 ché tu col forte dito quella lana 26.27 fili che Iole pesando ti dona. 26.28 Ogni uomo ancora, ch' abbia mente sana, 26.29 crede che tu il canestro con le fusa 26.30 porti di dietro alla giovane strana. 26.31 Vogliono ancora dire ch' ella t' usa 26.32 in ciascuno atto come servidore, 26.33 né ti giova donare alcuna scusa. 26.34 E così ismarrito il tuo valore 26.35 che tu non pensi alle cose passate, 26.36 ogni virtute obliando ed onore? 26.37 forse t' ha ella le forze levate 26.38 con alcun suo ingegno falsamente, 26.39 come le donne fanno alle fiate? 26.40 Almen non dovria mai della tua mente 26.41 trar quel che tu in culla ancor facesti, 26.42 l' uno uccidendo e poi l' altro serpente. 26.43 Ricordar de' ti ancor che uccidesti 26.44 Busiri, ed in Libia il grande Anteo 26.45 della Terra figliuolo ancor vincesti. 26.46 Vinto traesti quel Cerbero reo 26.47 ch' avea tre teste, e tu con tre catene 26.48 legasti lui poi ch' a te si rendeo. 26.49 Il drago ancora con sudanti pene, 26.50 ch' ognor sanza dormir i pomi d' oro 26.51 guardando stava, fu morto da tene. 26.52 I forti corni al furioso toro 26.53 rompesti, ed i Centauri domasti 26.54 quando di pria cornbattesti con loro. 26.55 Or non fostù colui che consumasti 26.56 l' Idra, che doppi capi in suo aiuto 26.57 rimettea quando gliele avevi guasti? 26.58 non fu da te il guastator feruto 26.59 d' Arcadia? sì fu, e fu colui 26.60 ch' avea di carne umana riempiuto 26.61 ogni suo armento, togliendo l' altrui, 26.62 da te ucciso; e quel Cacco rubesto 26.63 tu uccidesti, rubato da lui, 26.64 reggendo ancora dopo tutto questo 26.65 il ciel gravante sopra le tue spalle, 26.66 ch' a ogni altr' uom saria stato molesto. 26.67 E s' io volessi andar per dritto calle 26.68 ogni vittoria a tua mente rendendo, 26.69 io avrei troppo a fare a racontalle. 26.70 Queste so c' hai a mente: or dunque, essendo 26.71 sanza pazzia, talora fra te stesso 26.72 non ti vergogni tu Iole seguendo? 26.73 Volesse Iddio che tu giammai a Nesso 26.74 non m' avessi levata, che mi amava, 26.75 e forse in gioia or mi sarei con esso! 26.76 E non per tanto io non imaginava 26.77 che mai per altra donna mi lasciassi, 26.78 poiché te per altrui io non lasciava. 26.79 Se quella con cui tu ora ti passi 26.80 ismemorato in festa ed allegrezza, 26.81 tanta virtù in lei forse trovassi, 26.82 tanto piacere e tanto di bellezza 26.83 quanto in me, io non riputerei 26.84 l' aver lasciata me fosse mattezza. 26.85 Ognora più di ciò ti loderei: 26.86 ma s' io ho ben la sua bellezza intesa, 26.87 certo io son molto più bella di lei. 26.88 Molto mi tengo in questa parte offesa; 26.89 ma torna a me e tutto ti perdono, 26.90 e la tua forza in bene ovrar palesa: 26.91 io cheggo a te di grazia questo dono».
CANTO XXVII
27.1 Mostravasi ivi ancora effigiata 27.2 la valle d' Ida profonda ed oscura, 27.3 d' alberi molti e di frondi occupata, 27.4 ove io discernetti la figura 27.5 di quel Parìs, piacevole Troiano, 27.6 per cui Troia sentì la sua arsura. 27.7 Sol si sedeva là nel loco strano, 27.8 davanti al qual Pallade, Giuno e Venere 27.9 eran con una palla d' oro in mano. 27.10 Sanza alcun vestimento ignude, tenere, 27.11 bianche e vermiglie quivi e dilicate 27.12 le mi pareva nel sembiante scernere; 27.13 e diceano a Parìs: «In cui biltate 27.14 di noi più vedi, questo pomo d' oro 27.15 donalo a lei, quando ci avrai avisate». 27.16 Dal capo al piè rimirava costoro 27.17 Parìs: ciascuna bella li parea, 27.18 onde fra sé dicea: «Deh, quale onoro?». 27.19 Ognuna d' esse ad esso promettea 27.20 e chi senno e chi ricchezze e chi amore 27.21 di bella donna, pur ch' a lei la dea. 27.22 Non si sapea esaminar nel core 27.23 Parìs qual d' esse più biltate avesse, 27.24 né qual ben si pigliar per lo migliore. 27.25 Nel lungo esaminare infine elesse 27.26 Venus per la più bella, e diella a lei, 27.27 sub condizion che ella gli attenesse 27.28 a farli avere in sua balia colei, 27.29 cui ella avea lodata per sì bella, 27.30 che nulla v' era simile di lei. 27.31 A cui pareva che rispondesse ella: 27.32 «Va tu per essa, ché col mio aiuto 27.33 io farò sì che tua si sarà quella». 27.34 Costui vid' io, poco appresso, saluto 27.35 sur una nave e dar le vele al vento 27.36 e tosto in Ispartèn esser venuto; 27.37 ove disceso, sanza tardamento, 27.38 andando Menelao inverso Creti, 27.39 a fornir cominciò suo intendimento. 27.40 Ma dopo molte cose, quivi lieti 27.41 egli ed Elena bella e graziosa 27.42 saliti in nave, pe' salati freti 27.43 poste le vele, sanza alcuna posa 27.44 tornava a Troia, e quivi si mostrava 27.45 la vita lor quanto fosse gioiosa. 27.46 Ivi Oenone ancora lagrimava 27.47 il perduto marito e con pietose 27.48 parole a sé invano il richiamava. 27.49 Là si vedea Ifi e Iante amorose 27.50 far festa pria che maschio ritornasse 27.51 que' che 'l suo sesso tanto tempo ascose. 27.52 Appresso mi parea che seguitasse 27.53 Laudomia bella sospirando, 27.54 come se del suo mal s' indovinasse. 27.55 Raviluppata tutta e non curando 27.56 di sé, Protessilao di bella cera 27.57 s' aveva fatto, lui raffigurando; 27.58 e poi a quella innanzi posta s' era 27.59 in ginocchion, dicendo: «Signor mio, 27.60 se io ti sono amanza e donna vera, 27.61 leal come dicesti, fa che io 27.62 ti veggia ritornar con quella gloria, 27.63 ch' io l' arme tue presenti al forte iddio. 27.64 A que' c' hanno mestier della vittoria, 27.65 lasciali pria combatter, e il periglio 27.66 propio fuggi: ch' ognor ch' a memoria 27.67 viemmi quel ch' io già in alcun pispiglio 27.68 udii d' Ettòr, che tanti cavalieri 27.69 contasta combattendo, ogni consiglio 27.70 in me fugge di me, e volentieri 27.71 nel tuo andare ti vorrei aver detto 27.72 ch' alla battaglia tu fossi il derrieri. 27.73 Sola mia gioia, solo mio diletto, 27.74 fa sì ch' io sia di tua tornata lieta, 27.75 ché sanza te mai gioia non aspetto». 27.76 In tal maniera quivi mansueta 27.77 si stava Laudomia, tal volta 27.78 d' angosciosi sospir tutta repleta. 27.79 Or era ancora verso lei rivolta 27.80 Penelopè, che aspettando Ulisse 27.81 giammai non fu dal suo amor disciolta. 27.82 Nella qual tenend' io le luci fisse, 27.83 fra me volvea quanto fosse il disire 27.84 di que' che mai non cre' ch' a lei reddisse, 27.85 e quanto volle del mondo sentire, 27.86 ché per voler veder trapassò il segno 27.87 dal qual nessun poté mai in qua reddire, 27.88 io dico forza usando né suo ingegno.
CANTO XXVIII
28.1 Non so chi sì crudel si fosse stato 28.2 che, quel ch' io vidi appresso rimirando, 28.3 di pietà non avesse lagrimato. 28.4 Pareva quivi apertamente quando 28.5 Dido partissi in fuga dal fratello, 28.6 e similmente come, edificando 28.7 a più poter, Cartagine nel bello 28.8 e util sito faceva avanzare, 28.9 e come a 'ngegno l' abitava quello. 28.10 Ricever quivi Enea ed onorare 28.11 lui e' suoi ancor vi si vedea 28.12 liberamente; e sanza dimorare 28.13 oltre mirando, ancora mi parea 28.14 vederle in braccio molto stretto Amore, 28.15 ben che Ascanio aver vi si credea; 28.16 lo qual basciando spesso, del suo ardore 28.17 prendea gran quantità occultamente, 28.18 tuttor tenendol nel segreto core. 28.19 Eravi poi come insiememente 28.20 costei con Enea ed altri assai 28.21 a caval giva onorevolmente, 28.22 ripetend' ella in sé quel che giammai 28.23 più non pareva a lei aver sentito, 28.24 fuor per Sicceo, sì com' io avisai. 28.25 Il chiaro viso bello e colorito, 28.26 mirando Enea con benigno aspetto, 28.27 tornava bianco spesso e scolorito. 28.28 Ma pervenuti quivi ad un boschetto, 28.29 lasciando i cani a' cerbi paurosi 28.30 di dietro, incominciaro il lor diletto. 28.31 Altri cornavano ed altri animosi 28.32 correvan dietro, e gridando faceano 28.33 i can più per lo grido valorosi. 28.34 Tutto un gran monte già compreso aveano 28.35 i cacciatori, e 'n una valle oscura 28.36 Dido ed Enea rimasi pareano. 28.37 E sì faccendo, fuor d' ogni misura 28.38 un vento quivi pareva levato, 28.39 che di nuvoli avea già la pianura 28.40 chiuso ed il monte ancora: onde tornato 28.41 pareva il sole indietro e divenuto 28.42 oscura notte il dì in ogni lato. 28.43 Horribili e gran tuon ciascun sentuto 28.44 aveva, e lampi venivano ardenti 28.45 con piover tal che mai non fu veduto. 28.46 Enea e Dido là fuggian correnti 28.47 in una grotta, e la lor compagnia 28.48 perduta avean, di ciò forse contenti. 28.49 Ivi parea che Dido ad Enea pria 28.50 parlasse molte parole amorose, 28.51 dopo le quali suo disio scopria: 28.52 ove Enea ascoltar quelle cose 28.53 vedeasi, lei abracciata tenere, 28.54 e quel fornir che ella li propose. 28.55 Venuti poi al lor reale ostiere 28.56 ed in tal gioia lungo tempo stati, 28.57 l' uno adempiendo dell' altro il piacere, 28.58 in quel luogo medesimo cambiati 28.59 vi si vedea dell' uno i sembianti 28.60 e dell' altro i voleri esser mutati. 28.61 Molto affrettando li suoi navicanti 28.62 Enea vi si vedea per mar fuggire, 28.63 le vele date all' aure soffianti. 28.64 A cui Dido parea di dietro dire: 28.65 «Omè, Enea, or che t' aveva io fatto 28.66 che fuggendo disii il mio morire? 28.67 Non è questo servar tra noi quel patto 28.68 che tu mi promettesti: or m' è palese 28.69 lo 'nganno c' hai coperto con falso atto. 28.70 Deh, non fuggir! Se l' essermi cortese 28.71 forse non vuogli, vincati pietate 28.72 almen de' tuoi, ché vedi quante offese 28.73 ognora ti minaccian le salate 28.74 onde del mar, per lo verno noioso 28.75 ch' ora 'ncomincia; e già hanno lasciate 28.76 qualunque leggi nel tempo amoroso 28.77 sogliono avere i venti, e ciascheduno 28.78 esce a sua posta e torna furioso. 28.79 Vedi ch' ad ora ad or ritorna bruno 28.80 l' aere e nebuloso e molti tuoni 28.81 e lampi lui percuotono, e nessuno 28.82 impeto è che or non s' abandoni 28.83 e faccia danno; e tu col tuo figliuolo 28.84 ora cercate nuove regioni! 28.85 Posati adunque tu ed il tuo stuolo, 28.86 lasciami almeno apparare a biasmarmi 28.87 immaginando il mio etterno duolo: 28.88 e poi, se tu vorrai, potrai lasciarmi».
CANTO XXIX
29.1 Riversata piangendo quivi appresso 29.2 si stava Dido in sul misero letto, 29.3 dov' era già dormitasi con esso, 29.4 maladicendo sé e 'l tristo petto 29.5 pien d' aspre cure aspramente battendo, 29.6 ripetendo ivi il perduto diletto. 29.7 In atto mi parea così dicendo: 29.8 «O doloroso luogo nel qual fui 29.9 già con Enea, tanta gioia sentendo, 29.10 omè, perché come ci avesti dui, 29.11 due non ci tieni? perché consentisti 29.12 che te giammai vedessi sanza lui? 29.13 A' miei sconsolati membri e tristi 29.14 porgi con falsa immagine letizia, 29.15 quando per te li spando, ove copristi 29.16 molte fiate già quel che 'n tristizia 29.17 ora mi fa sanza cagione stare 29.18 per lo suo inganno e coperta malizia». 29.19 Oh come trista lì ramaricare 29.20 la vi vedea con quella spada in mano 29.21 che fé poi la sua vita terminare! 29.22 Rompendosi le nere veste, invano 29.23 chiamando il nome d' Enea che l' atasse, 29.24 si pose quella al suo petto non sano: 29.25 e poi sopr' essa parve si lasciasse 29.26 cader piangendo e sospirando forte, 29.27 perché la spada di sopra passasse. 29.28 Forata quivi, dolorosa morte 29.29 l' occupò sopra 'l letto ove sedea 29.30 prima piangendo sua misera sorte. 29.31 Appresso questo, al mio parer, vedea 29.32 tanto contenti Florio e Biancifiore, 29.33 quantunque più ciascuno esser potea: 29.34 tututto il lor trapassato dolore 29.35 vera dipinto, degno di memoria, 29.36 pensando al lor perfettissimo amore. 29.37 E dopo questa piacevole storia, 29.38 vi vidi Lancilotto effigiato 29.39 con quella che sì lunga fu sua gloria. 29.40 Lì dopo lui, dal suo destro lato, 29.41 era Tristano e quella di cui elli 29.42 fu più che d' altra mai innamorato; 29.43 e più assai ancora dopo a quelli 29.44 n' avea ch' io non conobbi, o che la mente 29.45 non mi ridice bene i nomi d' elli. 29.46 Ond' io, che 'n maggior parte la presente 29.47 faccia compresa avea, ritornai 'l viso 29.48 a quella donna più ch' altra piacente. 29.49 Nol so, ma credol che di Paradiso 29.50 ella venisse, come io già dissi, 29.51 tant' ha biltà, valore e dolce riso. 29.52 -- Oh felice colui --, con gli occhi fissi 29.53 a lei allora a dire incominciai, 29.54 -- cui tu del tuo piacer degno coprissi! 29.55 Ringraziato possa esser sempre mai 29.56 il tuo Fattore, sì com' elli è degno, 29.57 veggendo le bellezze che tu hai. 29.58 Se un' altra volta il suo beato ingegno 29.59 ponesse a far sì bella creatura, 29.60 credo che lieto il doloroso regno 29.61 E' metterebbe in gioia fuor di misura, 29.62 che' santi scenderieno alla tua luce 29.63 e que' d' abisso verrieno in altura --. 29.64 -- Con quanta gioia, credo, si conduce 29.65 ciascun di questi ch' è pien della grazia 29.66 di quel --, ricominciai, -- che qui è duce. 29.67 Oh quanto è glorioso chi si spazia 29.68 ne' suoi disii mediante questo, 29.69 se con vile atto tosto non si sazia! 29.70 Non è occulto ciò, poscia che presto 29.71 chi più ha pena più oltre s' invia 29.72 a volerne sentir, ben che molesto, 29.73 dolendo sé, altrui dica che sia: 29.74 dunque se questo martire è soave, 29.75 la pace che ne segue chente fia? 29.76 Oh quanti e quali già il tenner grave 29.77 ch' avrieno il collo a via maggior gravezza 29.78 posto, sappiendo il dolce che 'n sé have! 29.79 Invidiosi alcuni dicon mattezza 29.80 esser seguir con ragion quello stile 29.81 che dà questo signor di gentilezza, 29.82 lo qual discaccia via ogni atto vile: 29.83 piacevole, cortese e valoroso 29.84 fa chi lui segue e più ch' altro gentile. 29.85 Superbia abatte, onde ciascun ritroso 29.86 o di vil condizione esser non puote 29.87 di sua schiera, e quinci invidioso 29.88 va ischernendo que' cui e' percuote --.
CANTO XXX
30.1 Volendo porre fine al recitare, 30.2 ch' a tutto dir troppo lungo saria, 30.3 tanto più ch' io non dico ancor vi pare, 30.4 a quella donna graziosa e pia 30.5 che dentro alla gran porta principale 30.6 col suo dolce parlar mi mise pria, 30.7 lei mirando, volta'mi: -- Oh quanto vale -- 30.8 dicendo, -- aver vedute queste cose 30.9 che diciavate ch' eran tanto male! 30.10 Or come si porria più valorose, 30.11 che queste sien, giammai per nullo avere 30.12 o pensare o udir più maravigliose? --. 30.13 Rispose allor colei: -- Parte vedere 30.14 quel ben che tu cercavi qui dipinto, 30.15 ché son cose fallaci e fuor di vere? 30.16 E' mi par pur che tal vista sospinto 30.17 t' abbia in falsa oppinion la mente, 30.18 ed ogni altro dovuto ne sia stinto. 30.19 Adunque torna in te debitamente: 30.20 ricorditi che morte col dubioso 30.21 colpo già vinse tutta questa gente. 30.22 Ver è ch' alcun più ch' altro valoroso 30.23 meritò fama, ma se 'l mondo dura 30.24 e' perirà il suo nome glorioso. 30.25 E questa simigliante alla verdura 30.26 che vi porge Ariete, che vegnendo 30.27 poi Libra appresso seccando l' oscura. 30.28 Nullo altro ben si dee andar caendo 30.29 che quello ove ci mena la via stretta, 30.30 dove entrar non volesti qua correndo. 30.31 Deh, quanto quello a' più savi diletta, 30.32 grazioso ed etterno! ed io il ti dissi 30.33 quando d' entrar pur qui avesti fretta. 30.34 Or dunque fa che più non stieno fissi 30.35 gli occhi a cotal piacer: ché se tu bene 30.36 quel ch' egli è con dritto occhio scoprissi, 30.37 aperto ti saria che 'n gravi pene 30.38 vive e dimora chiunque ha speranza 30.39 non saviamente, e a cotai cose tene. 30.40 Tu t' abagli te stesso in falsa erranza 30.41 con falso immaginar, per le presenti 30.42 cose che son di famosa mostranza. 30.43 Ed io, acciò che' vani avedimenti 30.44 cacci da te, vo' che mi segui alquanto; 30.45 e mosterrotti contro a quel ch' or senti, 30.46 mostrandoti la gioia e 'l lieto canto 30.47 de' tristi, che 'n ta' cose ebber già fede, 30.48 mutarsi in brieve in doloroso pianto. 30.49 Potrai veder colei, in cui si crede 30.50 essere ogni poter ne' ben mondani, 30.51 quanto arrogante a suo mestier provede, 30.52 or dando a questo, or ritornando vani 30.53 ciò che diede a quell' altro, molestando 30.54 in cotal guisa l' intelletti umani. 30.55 Per quel potrai veder vero, pensando 30.56 quanto sia van quel ben che' vostri petti 30.57 va sanza ragion nulla stimolando; 30.58 onde, seguendo que' beni imperfetti 30.59 con cieca mente, morendo perdete 30.60 il potere acquistare poi i perfetti. 30.61 In tal disio mai non si sazia sete: 30.62 dunque a quel ben, che sempre altrui tien sazio 30.63 e per cui acquistar nati ci sete, 30.64 dovrebbe ognuno, mentre ch' egli ha spazio, 30.65 affannarsi ad avere. Omai andiamo, 30.66 ché già il luminoso e gran topazio 30.67 in sulla seconda ora esser veggiamo 30.68 già sopra l' orizonte, ed il cammino 30.69 è lungo al poco spazio che abbiamo. 30.70 Ma io spero che 'l voler divino 30.71 ne farà grazia, ed io così li cheggio, 30.72 ched e' non ci fallisca punto infino 30.73 entrati sarem là, ove quel seggio 30.74 del perfetto riposo è stabilito 30.75 per que' che non disian d' aver peggio --. 30.76 Poi ch' io ebbi sì parlare udito 30.77 a quella donna, io le rispuosi: -- Andate, 30.78 nullo mio passo fia da voi partito. 30.79 In questo sol vi priego che m' atiate, 30.80 che là dove 'l disio mi trasportasse 30.81 contra vostro piacer, mi correggiate --. 30.82 Ella mostrò negli atti ch' accettasse 30.83 la mia domanda, e mossesi e rivolta 30.84 mi disse allora ch' io la seguitasse. 30.85 Tutti e tre insieme, avvegna che con molta 30.86 fatica, la seguimmo, e la cagione 30.87 fu perché quistionammo alcuna volta 30.88 a non voler seguir sua mostrazione.
CANTO XXXI
31.1 Tosto finì il suo cammin costei, 31.2 che di quel loco per una portella 31.3 in altra sala ci menò con lei. 31.4 Ell' era grande, spaziosa e bella, 31.5 ornata tutta di belle pinture, 31.6 sì come l' altra ch' è davanti ad ella. 31.7 Oh quanto quivi in atto le figure 31.8 si mostravan tututte variate 31.9 dall' altre prime e non così sicure! 31.10 Color con festa e con gioconditate 31.11 parevan tutte con be' vestimenti, 31.12 costor con doglia e con avversitate. 31.13 Hai, quanto quivi parevan dolenti 31.14 e spaventati, qualunque vi s' era, 31.15 con vili e poverissimi ornamenti! 31.16 Ivi vid' io dipinta, in forma vera, 31.17 colei che muta ogni mondano stato, 31.18 tal volta lieta e tal con trista cera, 31.19 col viso tutto d' un panno fasciato, 31.20 e leggermente con le man volvea 31.21 una gran rota verso il manco lato. 31.22 Horribile negli atti mi parea, 31.23 e quasi sorda a niun priego fatto 31.24 da nullo lo 'ntelletto vi porgea; 31.25 e legge non avea né fermo patto 31.26 negli atti suoi volubili e incostanti, 31.27 ma come posto talor l' avea fratto: 31.28 volvendo sempre ora 'n dietro ora avanti 31.29 la rota sua sanza alcun riposo, 31.30 con essa dando gioia e talor pianti. 31.31 «Ogni uom che vuol montarci su sia oso 31.32 di farlo, ma quand' io 'l gitto a basso 31.33 inverso me non torni allor cruccioso. 31.34 Io non negai mai ad alcuno il passo 31.35 né per alcun mia maniera mutai, 31.36 né muterò, né 'l mio girar fia lasso, 31.37 venga chi vuol». Così immaginai 31.38 ch' ella dicesse, perché riguardando 31.39 dintorno ad essa vi vid' io assai, 31.40 i qua' su per la rota aderpicando 31.41 s' andavan con le man con tutto ingegno, 31.42 fino alla sommità d' essa montando. 31.43 Saliti su parea dicesser: «Regno»; 31.44 altri cadendo en l' infima cornice 31.45 parea dicessero: «Io son sanza regno». 31.46 In cotal guisa un tristo, altro felice 31.47 facea costei, secondo che la mente, 31.48 la qual non erra, ancora mi ridice. 31.49 Allor rivolto alla donna piacente 31.50 dissi: -- Costei, ch' io veggio qui voltare, 31.51 conosco io per nimica veramente. 31.52 Tra l' altre creature a cui mi pare 31.53 dover portar più odio, questa è dessa, 31.54 però ch' ogni sua forza ed operare 31.55 ell' ha contra di me opposta e messa: 31.56 né prieghi, né saper, né forza alcuna 31.57 pacificar mi può giammai con essa. 31.58 Ognora nella faccia persa e bruna 31.59 mi si mostra crucciata e sempre a fondo 31.60 della sua rota mi trae dalla cuna, 31.61 gravandomi di sì noioso pondo 31.62 che levar non mi posso a risalire, 31.63 onde giammai non posso esser giocondo --. 31.64 Ridendo allor mi cominciò a dire 31.65 la donna: -- Allora e' tu se' di coloro 31.66 ch' alle mondane cose hanno 'l disire? 31.67 ai quali se ella desse tutto l' oro 31.68 che è sotto la luna, pure aversa 31.69 riputerebber lei a' voler loro. 31.70 Torrotti adunque di cotal traversa 31.71 oppinione, e mostrerotti come 31.72 più son beati que' che l' han perversa. 31.73 Il dir Fortuna è un semplice nome, 31.74 il posseder quel ch' ella dà è vano, 31.75 o sanza frutto affanno se ne prome. 31.76 Odirai come: e se 'l mio dire estrano 31.77 è dalla verità, conceder puossi 31.78 che seguir vizio sia al salvar sano. 31.79 Solamente da te vo' che rimossi 31.80 sieno i pensier fallaci, se procede 31.81 il mio parlar con ver, sì che tu possi 31.82 inter vedere come si concede 31.83 che quel che più al vostro intendimento 31.84 agrada, più con gravezza vi lede --. 31.85 Allora rispos' io: -- Io son contento, 31.86 donna, d' udire, acciò che 'l mio errore 31.87 io riconosca, però che io sento 31.88 non aver nulla esser grave dolore --.
CANTO XXXII
32.1 Incominciò allor costei a dire: 32.2 -- Voi, terreni animal, disiderate 32.3 i voler vostri tututti seguire 32.4 mediante costei, cui voi chiamate 32.5 Fortuna buona e rea, secondo ch' essa 32.6 vi dà e to' mondana facultate. 32.7 In prima alcuni domandon ad essa 32.8 molta ricchezza, credendosi stare 32.9 sanza bisogno alcun possedendo essa. 32.10 Vaghi sono altri sol di poter fare 32.11 sì che avuti sieno in reverenza 32.12 da tutti, e 'n ciò s' ingegnan d' avanzare. 32.13 In alcuni altri aver somma potenza 32.14 par sommo bene, e questo van cercando 32.15 tanto gli abaglia la falsa credenza. 32.16 Risplendere altri si vanno ingegnando 32.17 di nobil sangue ed il nome famoso 32.18 o per guerra o per pace van cercando. 32.19 Tai son che credon ch' esser copioso 32.20 di volontà carnal, ch' è van diletto, 32.21 faccia chi ciò possiede glorioso. 32.22 Vogliono alcuni, acciò che il difetto 32.23 del non poter si rivolga in potere, 32.24 ricchezza, e per poter porre in effetto 32.25 ogni libidinoso lor piacere; 32.26 così figliuoli alcuni, altri altre cose, 32.27 e questo interamente hanno in calere. 32.28 Se forse una di queste hanno ritrose 32.29 al lor volere, qualunque s' è quello 32.30 ch' alcuna aver nell' animo propose, 32.31 incontanente con animo fello 32.32 contra questa si turba ed essa dice 32.33 nimica, e forse fu difetto d' ello. 32.34 Intendi adunque e vedi che felice 32.35 costei non puote giammai fare alcuno, 32.36 posto che del mondan sia donatrice. 32.37 Non vedi tu che e' non è nessuno, 32.38 che abondi in ricchezze, che non sia 32.39 d' ogni riposo e diletto digiuno? 32.40 Continovo nell' animo li fia 32.41 pensiero e cura di poter guardarle, 32.42 temendo di nascosa tirannia. 32.43 Vedi dunque che bene ha d' ammassarle, 32.44 poiché insidie tutto tempo teme 32.45 ed in più quantità voler recarle. 32.46 Il povero uom di tal cosa non geme, 32.47 né perde sonno, né lascia sentiero, 32.48 sol di sua vita trar pensiero il preme: 32.49 alla quale, a voler narrare il vero, 32.50 poco li basta, ma il ricco avaro 32.51 di molto aver non ha suo disio intero. 32.52 Me' puote ancora il ricco dar riparo 32.53 alle fami ed a' freddi, ben che puro 32.54 le sente alcuna volta, o spesso o raro. 32.55 Or quinci segue al pover che sicuro 32.56 vive di non cader, né spera mai 32.57 che caso fortunal li paia duro. 32.58 Ricchezza adunque, quand' ella è assai, 32.59 più fa indigente il suo posseditore, 32.60 con più pensier, con più cura e più guai. 32.61 Colui che vuol per dignitate onore, 32.62 veggian, se la Fortuna gliel concede, 32.63 s' egli avrà quel che e' disia nel core. 32.64 Or non agli occhi di qualunque vede 32.65 è manifesto che tornan viziosi 32.66 tantosto che neuna ne possiede? 32.67 Ma se per quelle forse virtuosi 32.68 ne ritornassero, io consentirei 32.69 che tutti voi ne fosti disiosi. 32.70 E d' altra parte dignità i rei 32.71 fa manifesti, ed ogni lor mancanza 32.72 è conosciuta più ch' io non potrei 32.73 né parlar, né mostrar: dunque v' avanza 32.74 questa se vi si mostra allor turbata, 32.75 quando chiedendo state in tale erranza. 32.76 Beati alcun si diceria se data 32.77 fosse lor forse potenza reale, 32.78 non conoscendo il mal di ch' è vallata. 32.79 E questa podestà niente vale, 32.80 ch' ella non può fuggire il duro morso 32.81 della sollecitudine, che male 32.82 a lei non faccia, né può dar soccorso 32.83 a quel noioso e rigido tormento 32.84 che di paura dà l' amaro sorso. 32.85 Togliendo questa cotal reggimento, 32.86 pace vi dona dove guerra avreste, 32.87 e voi nol conoscete; onde, scontento 32.88 ogni uom, pur quel, che dar non vuol, vorreste --.
CANTO XXXIII
33.1 -- La nobiltà del sangue altri a costei 33.2 domanda, come se veracemente 33.3 sì fatto don procedesse da lei. 33.4 Oh quanto a domandare stoltamente 33.5 si muovon questi, se l' operazioni 33.6 non seguono il disio della lor mente! 33.7 Colui che con perpetue ragioni 33.8 governa il mondo, come sol fattore 33.9 d' esse, crea nelle sue regioni 33.10 ogni anima che nasce, con amore 33.11 iguale; e quella si muove da Lui 33.12 vegnendo lieta al generato core. 33.13 Considerando dunque che Costui 33.14 sia solo e falle egual, conosceremo 33.15 così gentil costui come colui, 33.16 e però manifesto vederemo 33.17 che chi seguisse la diritta via 33.18 delle virtù, come da Lui avemo, 33.19 l' un come l' altro così gentil fia; 33.20 e chi da questa torce si può dire 33.21 non che villano ma una bestia sia. 33.22 A questi puo' tu dir che in disire 33.23 vien d' esser forse tenuti gentili, 33.24 e cercan ciò per lor vizii coprire. 33.25 Tieni or ben mente e vedi quanto vili 33.26 sien lor domande, ché, s' ella concede, 33.27 superbi tornan dov' erano umili: 33.28 onde da questo poi spesso procede 33.29 ched elli scoppian niente tornando, 33.30 per che, s' ella nol fa, vie men li lede. 33.31 Tratti ciascun, con virtute operando, 33.32 d' aver ta' lode, ché questa giammai 33.33 non gliel torrà la sua rota voltando. 33.34 E chi la vuole in altro modo guai 33.35 va dimandando, e 'l come gli è coperto; 33.36 e se ben guardi tu te n' avedrai. 33.37 Né ciò è lungamente lor sofferto, 33.38 ché degno guiderdon dalla giustizia 33.39 etterna è lor di ciò in brieve offerto. 33.40 Ed alcuni altri son che gran letizia 33.41 fanno, quando costei concede loro 33.42 lussuriando poter lor malizia 33.43 in operazion porre; e di costoro 33.44 è il numero grande, i qua' beati 33.45 tengonsi quanto più a tal lavoro 33.46 lusingando ne recano i malnati; 33.47 e se questo costei forse lor niega, 33.48 incontanente ver lei son turbati. 33.49 Se ella forse copiosa spiega 33.50 tal grazia a' domandanti, in aspra pena, 33.51 non conoscendolo essi, i tristi lega. 33.52 Vorrieno alcuni aver la borsa piena 33.53 per poter comandare: oh quanto senno 33.54 poco costor per via malvagia mena! 33.55 Or credono e' che minaccevol cenno 33.56 faccian le lor ricchezze: anzi il faranno 33.57 quelli a cui per guardarle subbietti enno. 33.58 Già puoi veder che gli uomin poco sanno, 33.59 ché per aver delle cose mondane 33.60 consumin sé con non utile affanno. 33.61 In brieve adunque queste cose vane 33.62 si consumano e passano, e dovreste 33.63 in ciò tututti aver le menti sane, 33.64 ognor veggendo ciò ch' avien di queste, 33.65 come partendo e tornando tal volta 33.66 le menti vostre fanno liete e meste. 33.67 Costei, di cui parliam, s' a voi rivolta 33.68 con tristo viso vi si mostra spesso, 33.69 (se ben hai tutta mia ragion raccolta, 33.70 ov' io ho quasi tutto quanto messo 33.71 il suo poter) vi dovria rallegrare, 33.72 e non porger dolor negandovi esso. 33.73 Nostro verace ed util ragionare 33.74 troppo si stenderia volendo intero, 33.75 ciò che dir si porria, d' essa parlare. 33.76 Di ciò ch' è detto basti, e con sincero 33.77 parere fa che il prendi, sì che forse 33.78 non tragghi error del mio lucido vero. 33.79 Ogni parer che 'l rimirar ti porse, 33.80 di là vedendo, caccia e quel disio 33.81 massimamente che di lor ti morse: 33.82 fiso mirando quello per che io 33.83 qua entro ti menai, fa che col viso 33.84 segui com' io col mio parlar m' invio. 33.85 Ogni mondan valor vedrai conquiso 33.86 in termine assai brieve: fa ch' ascolti 33.87 e che non sia dal tuo intender diviso 33.88 ciò ch' io dirò qui appresso di molti --.
CANTO XXXIV
34.1 -- Horribilmente percuote costei --, 34.2 cominciò ella a dir, -- chiunque sale 34.3 su la sua rota fidandosi a lei; 34.4 onde ciascun, ch' è qui, per cotal male 34.5 piangendo si ramarca, ed essa vedi 34.6 che di tal pianto niente le cale. 34.7 Il suo officio fa, e vo' che credi 34.8 che rade volte aspetta il suo girare 34.9 che lo stato di uno a' terzi eredi 34.10 venga, ma con mirabile voltare 34.11 dà a costui a quell' altro levando, 34.12 come vedi un salire, altro abassare. 34.13 Intento dunque quivi riguardando 34.14 puo' tu veder quella città caduta 34.15 che Cadmo fece, lo bue seguitando. 34.16 Potente e grande, più ch' altra tenuta 34.17 ch' al mondo fosse, allora fu, ed ora 34.18 di pruni e d' erbe la vedi vestuta, 34.19 ruvinati gli ostier, né vi dimora 34.20 altro che bestie salvatiche e fiere, 34.21 e quanto fosse grande parsi ancora. 34.22 Iocasta trista vi puo' tu vedere 34.23 ch' al figlio moglie misera divenne, 34.24 ben ch' avenisse sanza suo sapere; 34.25 e vedi que' che questa tutta tenne 34.26 contra 'l voler del frate, per cui questo 34.27 distruggimento misero n' avenne. 34.28 Giace con lui in quel fuoco molesto, 34.29 che quivi vedi, il frate, che amendui 34.30 fu l' uno all' altro uccider così presto. 34.31 Oltre un poco poi vedi colui 34.32 che sopra 'l mur da Giove fulminato 34.33 fu, dispregiando ancor negli atti lui. 34.34 Con questi vedi Adastro allato allato, 34.35 con gli altri regi che l' accompagnaro 34.36 a quel distrugimento dispiatato. 34.37 Vedi Tideo, vedi il pianto amaro 34.38 che fer le triste che a compimento, 34.39 in ristoro del duol, la consumaro. 34.40 Non t' è occulto or quanto mutamento 34.41 dal bene al mal fosse quel di costoro, 34.42 e quasi fu in un picciol momento. 34.43 Pon mente poi un poco dietro a loro: 34.44 Troia vedrai e 'l superbo Ilione, 34.45 ch' a pena alcuna parte par di loro. 34.46 Ora non v' ha né tetto né magione, 34.47 ma qual caduto e qual arso si mostra, 34.48 come tu vedi, e sai ben la cagione. 34.49 Così costei con cui le piace giostra, 34.50 sempre abattendo chi s' oppone ad essa; 34.51 ma perseguiamo alla materia nostra. 34.52 Or mira a piè della città depressa, 34.53 e vedi que' che già ne fu signore 34.54 quando da' Greci fu con forza aggressa: 34.55 Priamo dico, il cui sommo valore, 34.56 la sua ricchezza, la fama e l' ardire, 34.57 i molti figli, il potere e l' onore 34.58 raccontar non porriasi mai né dire; 34.59 questa arsa e' figli morti innanzi ad esso 34.60 tututti vide avanti il suo morire. 34.61 Ecuba trista puoi vedere appresso 34.62 per doglia andar latrando come cane, 34.63 morte chiamando, che l' uccida, spesso. 34.64 Similemente ancor delle troiane 34.65 genti vi vedi assai in sanguinoso 34.66 lago star morte e d' ogni possa vane. 34.67 Tra gli altri puoi vedere il valoroso 34.68 Ettor giacer, e non li valse niente 34.69 contra costei il suo esser famoso. 34.70 Ivi Parìs ancora, insiememente 34.71 Troiolo, Polidoro e Pulisena 34.72 veder puoi tu giacere assai vilmente. 34.73 Agamenòn insieme e la sua pena: 34.74 poi ch' ebbe Marte e Nettunno avanzato, 34.75 vedi ch' Egisto a lui l' ultima cena, 34.76 togliendoli la vita, dà, ingannato 34.77 lui col vestir malizioso e fallace, 34.78 nel quale e' tristo s' è raviluppato. 34.79 E vedi ancor Senacherìb che giace 34.80 morto dentro a quel tempio, e vedi Enea 34.81 che Turno, il qual si credea stare in pace, 34.82 lui caccia via --. E appresso parea 34.83 Serse dolente e tristo nello aspetto, 34.84 del passare Ellesponto ancor piangea. 34.85 Oh quanto pien di furia e di sospetto 34.86 Atamante teban, che uccise i figli, 34.87 quivi parea, nel sembiante dispetto, 34.88 nelle lor carni ancor con tristi artigli!
CANTO XXXV
35.1 -- Tu puoi --, rincominciò la donna a dire, 35.2 -- veder qui Alessandro, ch' assalio 35.3 il mondo tutto, per velen morire; 35.4 e non esser però il suo disio 35.5 pien, ma più che giammai esser ardente, 35.6 e 'n tale ardor, come vedi, morio. 35.7 Lo qual fu quanto alcun altro possente, 35.8 né però averia questa lasciato, 35.9 che se fosse vivuto, che vilmente 35.10 lui non avesse in infimo voltato 35.11 della sua rota; ma quel che costei 35.12 non fé, morte adempié nel nominato. 35.13 E poi appresso puoi veder colei 35.14 che pugnò con Pallade come stolta, 35.15 ch' ancor del fallo suo par dica omei. 35.16 Come la vedi ancor quivi ravolta 35.17 ne' suo' istracci, in ragnol trasmutata 35.18 fu dalla dea e dal laccio disciolta. 35.19 Tu puoi appresso vedere effigiata 35.20 la sembianza di Dario, la quale 35.21 di leto aspetto in tristo par mutata. 35.22 Oh come poco al presente li vale 35.23 essere stato grande anzi gli è noia 35.24 or che si vede in disperato male. 35.25 Aver puoi già udito quanta gioia 35.26 avesse Niobè de' suoi figliuoli, 35.27 e agual qui pare di dolor si muoia. 35.28 Guarda un poco innanzi, se tu vuoli: 35.29 superba lei potrai quivi vedere 35.30 ancora incerta de' suoi tristi duoli; 35.31 lor poi appresso ad uno ad un cadere 35.32 morti dintorno a lei ancor vedrai, 35.33 per la superbia e suo poco sapere. 35.34 In trista angoscia ed in amari guai 35.35 la vedi quivi ritornata umile, 35.36 sanza suo pro di sé piangendo assai. 35.37 Appresso vedi que' che con sottile 35.38 maestero del padre uscì volando 35.39 del Laberinto, che tenendo vile 35.40 miseramente ciò ch' amaestrando 35.41 il padre gli avea detto, per volare 35.42 troppo alto, in giù, le sue reni spennando, 35.43 ora si cala, e appresso affogare 35.44 più là il vedi ne' salati liti: 35.45 questo avien de' non savi seguitare. 35.46 Riguarda poi più là: vedi smarriti 35.47 il fiero Ciro e Persio; ne' sembianti, 35.48 l' ardir perduto, paiono inviliti. 35.49 Or vedi ancora a mano a man da quanti 35.50 uccelli il corpo di Nabùch è roso, 35.51 temendo il figlio che per tempo avanti, 35.52 surgendo del sepolcro, poderoso 35.53 non ritornasse e lui cacciasse fore 35.54 del regno, dove vivea glorioso. 35.55 Ivi ve' tu ancora il gran romore 35.56 che fanno le figliuole di Piero 35.57 voltate in piche per greve dolore. 35.58 Veggon sanza lor pro ora quel vero 35.59 ch' a lor superbamente s' ocultava 35.60 nel lor parer fallace e non intero --. 35.61 E quivi appresso costei mi mostrava 35.62 Cartagine in ruvina, tutta accesa 35.63 d' ardente fuoco che la divampava. 35.64 Riguardar quella con sembianza offesa 35.65 mi mostrò quella donna Scipione, 35.66 al cui valor non poté far difesa. 35.67 Seguiva con non poca ammirazione 35.68 Anibale, turbato nello aspetto 35.69 o di quella o di sua distruzione. 35.70 In abito dolente e con sospetto 35.71 quivi Asdrubale ancora si vedea, 35.72 col capo basso mirandosi il petto. 35.73 Là similmente veder mi parea 35.74 la struzione della antica cittate 35.75 di Fiesole, la qual tutta cadea. 35.76 Ivi pareva la gran crudeltate 35.77 che 'l pistolese pian sostenne pieno 35.78 di Catellino, le cui opre spiatate 35.79 quasi narrando non verrian mai meno, 35.80 avvegna ch' a ragion posto li fosse 35.81 nella sfrenata bocca cotal freno. 35.82 Vedevanvisi ancora le percosse 35.83 che Mario da Lucio sostenne, 35.84 quando la briga cittadina mosse. 35.85 A' quei così, come a colui n' avenne, 35.86 possa avenir, che nelle città loro 35.87 a suscitar battaglia metton penne, 35.88 lasciando il comun ben per suo lavoro.
CANTO XXXVI
36.1 -- Intento ora ti volgi a riguardare 36.2 la vendetta di Dio, che non oblia 36.3 mai fallo alcun che si debbia purgare. 36.4 Se 'n parer posto forse ad alcun sia 36.5 ch' ella si muova con un lento passo, 36.6 non è così, ma que' troppo disia; 36.7 o se va forse adagio al tristo lasso 36.8 ch' aspetta quella per la fatta offesa, 36.9 non giova già, ché più grave fracasso 36.10 segue per quello indugio: sì compesa 36.11 al fatto fallo, sì che igualmente 36.12 da ogni parte la bilancia pesa. 36.13 Pon mente là: colui che sì vilmente 36.14 veste e si tien la mano alla mascella, 36.15 mostrando sé nel sembiante dolente --, 36.16 incominciò colei, -- oh quanto fella 36.17 fu l' aspra signoria che 'n Siragusa 36.18 tenne, mentre per lui si guardò quella! 36.19 Nel tempo avanti che li fosse chiusa, 36.20 tiranneggiando fieramente in essa 36.21 sanza ricevere o priego o iscusa, 36.22 tenea la gente sì vilmente oppressa, 36.23 ch' ognun piangeva e dicer non osava 36.24 la doglia sua, per tema d' altra ressa. 36.25 Oh come fiero li tiranneggiava! 36.26 e Dionisio fero fu chiamato 36.27 per la fierezza la quale elli usava. 36.28 Così avenne che ne fu cacciato 36.29 con tanta noia e con tanto furore, 36.30 ch' a lui parve aver vinto esser campato. 36.31 Onde fuggendo ad Atena, il dolore 36.32 mitigato, pensò, per non morire 36.33 di fame, farsi in lettera dottore. 36.34 Nol vedi tu ched e' fa là aprire 36.35 i libri a' garzonetti e mostra loro 36.36 com' una lettera altra dee seguire? 36.37 Poi guarda avanti nel dolente coro, 36.38 e vederai Tesaglia sanguinosa 36.39 del roman sangue mischiato e di ploro. 36.40 Or guarda quivi, e vedi sconcia cosa 36.41 tanti grandi uomin, tanti valorosi 36.42 esser sommessi a rovina angosciosa. 36.43 Simile guarda quanto ponderosi 36.44 son gli alberi del sangue che portati 36.45 v' hanno li piè delli uccellon golosi, 36.46 i qua' prima si son ben satollati 36.47 de' corpi morti, che sanza alcun foco 36.48 o sepoltura stan quivi gelati. 36.49 Fra folti boschi o tane o altro loco 36.50 leon né lupo né can par rimaso 36.51 che non si pasca quivi o molto o poco. 36.52 Ondeggiar vedi del dolente caso 36.53 i tristi fiumi, ed ispumanti, rossi 36.54 del tristo sangue non isparto in vaso. 36.55 Riguarda là Pompeo con volti dossi 36.56 che fuggendo abandona il campo tristo, 36.57 ed ancor ve' come a Lesbòs posossi. 36.58 Se là rimiri, con sembiante misto 36.59 di lagrime Cornelia accoglier lui 36.60 vedrai, poi che sconfitto l' ebbe visto; 36.61 e vedi ancor come quindi con lui 36.62 si parte e vanne per mare in Egitto, 36.63 in sé immaginando che colui 36.64 dovesse lui ricevere, respitto 36.65 avendo al regno che avuto avea 36.66 da lui: ma 'l suo pensier non venne dritto --. 36.67 Avanti mi mostrò, dov' io vedea 36.68 come scendea del suo legno Pompeo, 36.69 perché carico troppo li parea, 36.70 di quello entrando in un che Tolomeo 36.71 per Achillàs insieme con Futino, 36.72 sotto spezie d' onor, menar li feo. 36.73 In quel già assettato lui meschino, 36.74 i traditori, alquanto indi lontani, 36.75 pigliaron lui, quasi al suo mal divino, 36.76 sì com parea: il capo l' aspre mani 36.77 a lui tagliaro, il tronco in mar gittaro, 36.78 e quello al sir portaron di lor cani. 36.79 Ivi pareasi ancora il duolo amaro 36.80 che Codro fece quando vide il busto 36.81 del capo, ch' a' Roman fu tanto caro. 36.82 Onde dolente, povero e vetusto 36.83 prendea di notte quello, al mio parere, 36.84 e poi che 'n picciol fuoco lui combusto 36.85 sotterrato ebbe secondo il potere 36.86 in piccioletta fossa, ricoprendo 36.87 lui del sabbione, con lagrime vere 36.88 il suo infortunio ripetea piangendo.
CANTO XXXVII
37.1 Vedevavisi appresso quanto e quale 37.2 già fosse stato Cesare, tenendo 37.3 in prima in Roma offizio imperiale. 37.4 Oh quanto poco questo possedendo 37.5 il vedea gloriar! ché quivi allato 37.6 tra' sanatori il vedeva morendo, 37.7 lui avendo essi tutto pertugiato 37.8 co' loro stili, e quegli era piggiore 37.9 cui elli aveva già più onorato. 37.10 E simile la rabbia e 'l gran furore 37.11 di Neron si vedeva terminare 37.12 in brieve tempo con molto dolore. 37.13 Risplendevavi ancora, ciò mi pare, 37.14 ciò che fé Giuba mai, ed ivi appresso 37.15 dopo 'l salir il suo tristo calare. 37.16 Tarquin, Porsenna e Lentulo dop' esso, 37.17 Ovidio, Tulio, Amulcar si vedieno 37.18 ed altri molti, i quali io con espresso 37.19 riguardo non mirai, perché già pieno 37.20 di tal materia aveva lo 'ntelletto, 37.21 ed eran tanti che non venien meno. 37.22 -- O beato --, diss' io, -- que' che l' effetto 37.23 ad altre cose tira che a queste, 37.24 le quali istato mostrano imperfetto! 37.25 Più vili ch' altre sono e più moleste, 37.26 piene d' inganno e d' affanno gravoso, 37.27 e la lor fine è sola mortal peste --. 37.28 Poi mi voltai al viso grazioso 37.29 di quella donna che m' avea condotto, 37.30 dicendo: -- Il mio voler, che fu ritroso, 37.31 or è tornato dritto, e già non dotto 37.32 che questi ben terren son veramente 37.33 que' che a' vizi ciascun mettono sotto. 37.34 Nessun porria pensar che tanta gente, 37.35 così famosa e di tanta virtute, 37.36 Fortuna avesse sfatti sì vilmente. 37.37 Fosse chi nol vedesse? o chi salute 37.38 ispererà omai, se non coloro 37.39 che le vere ed etterne han conosciute? 37.40 Il più far qui omai lungo dimoro, 37.41 donna, mi spiace: però giamo omai 37.42 dove volete, e qui lascian costoro --. 37.43 Allor disse la donna: -- Or t' è assai 37.44 aperto che costei esser turbata 37.45 vi dà salute ed iscemavi guai? 37.46 Ma se tu fossi stato altra fiata 37.47 così disposto, come ora ti sento, 37.48 già meco fori in capo alla montata. 37.49 Ma poi che del seguirmi se' contento 37.50 ed hai veduto le mondane cose 37.51 volubili e caduche più che vento, 37.52 appresso viemmi, ché le gloriose 37.53 ed etterne vedrai. Ma non torniamo 37.54 onde venimmo, per le 'mpetuose 37.55 tralciute vie, ma di qua teniamo, 37.56 ché picciola rivolta alla portella 37.57 prima ci menerà, che noi vogliamo --. 37.58 Ora si mosse questa ed io dop' ella, 37.59 di quelle cose molto ragionando 37.60 ch' eran dipinte nella sala bella. 37.61 Ognor seguendo lei, così mirando 37.62 intorno a me per veder ciò che v' era 37.63 e nella mente ogni cosa recando, 37.64 sì vi vidi io, per una porta ch' era 37.65 alla sinistra mano, un bel giardino 37.66 fiorito e bello com di primavera. 37.67 -- Entrian --, diss' io, -- in questo orto vicino, 37.68 donna, se piace a voi, ché poi alquanto 37.69 ricreati terrem nostro cammino --. 37.70 Là entro udiva io festa e gran canto, 37.71 onde mi crebbe d' esservi il disio, 37.72 sì ch' altri mai non disiò cotanto. 37.73 Mirandomi allor dopo, mi vid' io 37.74 i due primier che dicean: -- Che, non passi 37.75 dentro, poiché ardi di volere? -- ed io 37.76 infra me gia dicendo: «Se tu lassi 37.77 costei per colà entro voler gire, 37.78 s' ella non vien, chi guiderà i tuoi passi?». 37.79 -- Oh --, cominciò costei allora a dire, 37.80 -- che credi tu che colà entro sia? 37.81 Troppo ti volge ogni cosa il disire. 37.82 Faccian, mentre avem tempo, nostra via, 37.83 ché, come, tu costà pinto hai veduto, 37.84 così v' è dentro mondana vania. 37.85 Il ver che ora avanti conosciuto, 37.86 secondo il tuo parlar, avevi tutto, 37.87 seguilo, e non voler con non dovuto 37.88 operar seguir danno e perder frutto --.
CANTO XXXVIII
38.1 Comincia' io allora: -- A te che face 38.2 l' entrar là entro ed un poco vedere? 38.3 Io verrò poi là ovunque ti piace --. 38.4 -- Or veggio ben che tu il tuo parere 38.5 vuo' pur seguire in ciascheduna cosa, 38.6 e fai quel che tu vuo' a me volere --. 38.7 Così mi disse, e quasi dispettosa 38.8 soggiunse: -- Andian, ched e' potrà seguire 38.9 che quando tu in più pericolosa 38.10 angoscia ti vedrai, vorrai reddire 38.11 con meco adietro e non esser forse ito, 38.12 ed io ti lascerò in tal martire --. 38.13 Non fu il suo parlar da me udito 38.14 allor per poco, tanto avea la mente 38.15 pure al giardin verdeggiante e fiorito. 38.16 Tutti e quatro v' entrammo insiememente: 38.17 tanta gioia vi vidi, che ciò ch' io 38.18 dinanzi vidi ivi m' uscì di mente. 38.19 Ahi quanto egli era bello il luogo ov' io 38.20 era venuto, e quanto era contento 38.21 dentro da me l' ardente mio disio! 38.22 Rimirando m' andava intorno attento 38.23 per lo gioioso loco, scalpitando 38.24 l' erbette e' fior col passo lento lento. 38.25 Sì con diletto per lo loco andando 38.26 vidi in un verde e piccioletto prato 38.27 una fontana bella e grande; e quando 38.28 io m' appressai a quella, d' intagliato 38.29 e bianco marmo vidi assai figure, 38.30 ognuna in diverso atto ed in istato. 38.31 Mirando quelle, vidi le scolture 38.32 di diversi color, com' io compresi, 38.33 qua' belle e qua' lucenti e quali oscure. 38.34 Vidi lì un bel marmo; e quel sedesi 38.35 sopra la verde erbetta, di colore 38.36 sanguigno tutto, e 'n su quella stendesi 38.37 in piano, e s' io già non presi errore 38.38 nell' avisare, una canna per verso, 38.39 quadro e basso e lucido di fore. 38.40 Sovr' ogni canto di quel marmo terso 38.41 di marmo una figura si sedea, 38.42 ben che ciascuna avea atto diverso, 38.43 ch' umil, bella, soave mi parea 38.44 l' una di queste, e due spiritelli 38.45 con l' una mano a piè di sé tenea. 38.46 Habituati, parlando con quelli, 38.47 gli aveva sì in un voler recati 38.48 che ciascuno contento è di quel ch' elli 38.49 all' altro vedea 'n voglia; e colorati 38.50 eran li suoi vestir di tanti e tali 38.51 color, ch' io non li avrei mai avisati. 38.52 Nell' altro canto, a man destra, ch' iguali 38.53 spazio occupava, una donna vi stava 38.54 ad ogni creatura disiguali. 38.55 Ella nel capo suo quivi mostrava 38.56 tre visi, ed è vestita, ciò mi pare, 38.57 come di neve e così biancheggiava. 38.58 Là vid' io poi nel terzo angulo stare 38.59 una donna robusta tutta armata, 38.60 ad ogni affanno presta di portare. 38.61 Parea di ferro questa ivi formata 38.62 tutta a veder; e dopo lei seguia 38.63 un altra sopra 'l quarto angul fermata. 38.64 Rimirando colei ognun diria 38.65 che di fino smeraldo fatta fosse, 38.66 in abito piacente, umile e pia. 38.67 Or quel che più a mirarle mi mosse 38.68 fu un vaso vermiglio grande e bello, 38.69 che tutte sostenien con le lor posse. 38.70 Fermato sopra loro, il bel vasello 38.71 più che 'l sanguigno marmo si spandeva 38.72 sopra 'l fiorito e verde prato quello. 38.73 Egli era tondo, e 'n mezzo d' esso aveva 38.74 fermata una colonna piccioletta 38.75 che diamante in vista mi pareva, 38.76 ritonda e bella; e sopra quella eretta 38.77 un capitel v' aveva di fino oro, 38.78 fatto con maestria, non miga in fretta; 38.79 e sopra quel tre figure dimoro 38.80 faceano ignude, e le spalle rivolte 38.81 erano l' una all' altra di costoro. 38.82 Rideva l' una in atto, ben che molte 38.83 lagrime fuor per gli occhi ella gittasse, 38.84 che poi nel vaso parevan racolte. 38.85 Bruna era e nera; e poi che somigliasse 38.86 foco pareva l' altra e dalla poppa 38.87 d' acqua gittava; e la terza sopr' a sé 38.88 rampollava ancor, bianca ma non troppa.
CANTO XXXIX
39.1 Oh quanto bella tal fonte pariemi 39.2 e quanto da lodar, tal che giammai 39.3 di mirarla saziato non sariemi! 39.4 Com' io a basso al vaso riguardai, 39.5 dove l' acqua cadea ch' era gittata 39.6 da quelle tre, se bene immaginai 39.7 o vidi il vero, io vidi ch' adunata 39.8 era da parte quanta ne gittava 39.9 la bianca donna e là effigiata. 39.10 Onde uscia quella del vaso vi stava 39.11 un capo d' un leone, e ver levante 39.12 d' un picciol fiume il bel giardin rigava. 39.13 Tolto di quivi e fattomi più avante, 39.14 ciò che la donna vermiglia spandea 39.15 nel vaso vidi fare il simigliante. 39.16 Rimirando esso ancora vi vedea 39.17 una testa d' un toro, al mio parere, 39.18 del qual quell' acqua adunata scendea; 39.19 oltre ver mezzogiorno il suo sentiere 39.20 tenendo, mi parea che se ne andasse 39.21 ancor rigando il piacente verziere. 39.22 Poi mi parve ch' alquanto mi tirasse 39.23 inver la terza donna tutta nera, 39.24 che ridendo parea che lagrimasse. 39.25 Parevami che, poi ch' adunato era 39.26 suo lagrimar nel vaso, che scendesse 39.27 per una testa ancora che quivi era; 39.28 ove mirando, parve ch' io vedesse 39.29 che lupo fosse, e questa se ne gia 39.30 or qua or là, né parea che tenesse 39.31 en l' andar suo nulla diritta via: 39.32 ad aquilon talora e ver ponente 39.33 scendendo, non so dove si finia. 39.34 Ciò che dal leon cade pianamente 39.35 dico che corre, e sopra li suoi liti 39.36 d' erbe e di fior si vede ognor ridente. 39.37 Herba non v' ha, né frutti che smarriti 39.38 teman dell' autunno, ma tuttora 39.39 con frutti e frondi be' verdi e fioriti 39.40 ivi dimoran, né mai si scolora 39.41 prato, ma bel di variati fiori 39.42 la state e 'l verno sempre vi dimora. 39.43 A que' 'l ruscel, che al toro di fori 39.44 cade di bocca, similmente è bello 39.45 d' erbe e di fior di diversi colori; 39.46 rivestito di ciascuno albuscello 39.47 è 'l dolce lito, che porti verdura, 39.48 e similmente d' ogni gaio uccello. 39.49 Odesi alcuna volta en la pianura 39.50 le frondi risonar per dolce vento, 39.51 il qual si move da quell' aere pura. 39.52 Ogni pratel di quel lito è contento 39.53 di mutar condizione a tempo e loco, 39.54 secondo c' ha 'l vigore acceso e spento. 39.55 Rallegrasi ogni animale e gioco 39.56 vi fa, secondo che amor lo strigne 39.57 sotto la forza sua o molto o poco. 39.58 Ovunque la natura più dipigne 39.59 la terra di bellezza, è a rispetto 39.60 nulla di quello che quel fiume tigne. 39.61 Così veduto quel, con lo 'ntelletto 39.62 io corsi a quel che fuor del lupo usciva: 39.63 ov' io non vidi un albero soletto 39.64 o altra pianta, la qual verde o viva 39.65 vi sia, ma secca la pianura trista, 39.66 biancheggiar tutto con l' occhio scopriva. 39.67 Aveva ben del fiumicel la lista 39.68 tinta la terra d' un suo color perso, 39.69 che quasi lo schifava la mia vista. 39.70 Mossimi allora quindi, ed a traverso 39.71 presi il sentiero per lo bel giardino, 39.72 per gire al fiume del bel toro emerso. 39.73 E quella donna con cui il cammino 39.74 impresi prima, disse: -- Se ti piace, 39.75 andian per questa via, ché più vicino 39.76 ne fia 'l sentier che ci merrà a pace. 39.77 Dove tu vai, come tu hai veduto, 39.78 e del bel transitorio e fallace; 39.79 del qual se tu ti se' bene aveduto, 39.80 come dicevi e come il tuo parlare 39.81 mostrava che avessi conosciuto, 39.82 a quel non guarderesti, ma andare 39.83 il lasceresti come cosa vana 39.84 e 'ntenderesti a sol me seguitare. 39.85 Trai dalla mente tua quel che insana 39.86 esser la fa, giovi quel ch' io ti dico, 39.87 e per quel falla che ritorni sana: 39.88 e non esser di te stesso nimico --.
CANTO XL
40.1 La donna mi parlava, ed io mirando 40.2 con l' occhio andava pure ove 'l disio 40.3 mi tenea fitto, non so che ascoltando. 40.4 Avevami davanti, al parer mio, 40.5 su quella riva assai donne vedute, 40.6 di cui veder in tal voglia venn' io, 40.7 ch' io dissi: -- Donna mia, a mia salute 40.8 non pensar più ch' i' voglia, a tempo e loco 40.9 farò d' adoperar la tua virtute; 40.10 ch' ora di novo m' è nel cor un foco 40.11 venuto d' esser là: però o vienci, 40.12 o tu m' aspetta infin ch' i' torni un poco. 40.13 In qual parte vorrai poi insieme andrenci: 40.14 nostra stanza fia poca veramente, 40.15 che noi da veder quelle liberrenci --. 40.16 Oltre n' andai, sanza dir più niente, 40.17 co' due che mi traevano, e costei 40.18 quasi scornata mi teneva mente 40.19 con intentivo sguardo, ed io a lei; 40.20 sanza dir nulla io la vi pur lasciai, 40.21 o bene o mal non so qual io mi fei. 40.22 Hardito con costoro oltre passai, 40.23 e 'n sulla riva del bel fiumicello 40.24 io vidi donne ch' io conobbi assai; 40.25 e riguardando lor con occhio snello, 40.26 qual gia cantando e qual cogliendo fiori, 40.27 chi sedea, chi danzava in un pratello. 40.28 Bello era il loco e di soavi odori 40.29 ripien per molte piante che 'l coprieno 40.30 dal sole e dalli suoi già caldi ardori; 40.31 e suoi cavalli, al mio parer, salieno 40.32 già sopra la quarta ora e mezzo il segno 40.33 del friseo monton co' piè tenieno. 40.34 Non credo ched e' sie sì alto ingegno 40.35 che 'nteramente potesse pensare 40.36 le bellezze di quelle ch' io disegno. 40.37 Rimanga adunque qui questo lodare, 40.38 sol procedendo a' nomi di coloro 40.39 ch' io vi conobbi degne di nomare. 40.40 Infra quel bello e grazioso coro 40.41 di tante donne, vidi una bellezza 40.42 ch' ancora stupefatto ne dimoro. 40.43 Pietoso Appollo, alquanto dell' altezza 40.44 del tuo ingegno presta, o tu ispira 40.45 ora per me con la tua sottigliezza! 40.46 Omero, Maro, Naso, o chi più mira 40.47 discrizione o di donna o di dea 40.48 fé, saria poco a quella che si gira 40.49 sopra quel prato, ov' io vidi sedea 40.50 giovinetta leggiadra e tanto bella, 40.51 ch' io la pensai per fermo Citarea. 40.52 Inginoccha'mi per volere ad ella 40.53 far reverenza, ma poscia m' avidi 40.54 ch' era mondana e somigliava stella. 40.55 Sallosi Amore che i piatosi gridi 40.56 del cor sentì a sì mirabil vista, 40.57 ch' io nol so dir, ché non ho chi mi guidi, 40.58 e s' io pur conforto l' anima trista 40.59 poi che per li occhi senti' 'l dolce raggio 40.60 di tal bellezza, per obliqua lista. 40.61 Istesi adunque inver di lei il visaggio, 40.62 e s' a sua posta l' alma, ch' altra guarda, 40.63 dar si potesse, io muterei coraggio. 40.64 Nel viso che d' amor sempre par ch' arda 40.65 afigurai, mirando con diletto, 40.66 che costei era la bella lombarda. 40.67 Signore etterno, a cui nessuno effetto 40.68 mai si nascose, alla giusta preghiera 40.69 rispondi e dì: fu mai sì bello aspetto? 40.70 Essa sopra la verde primavera 40.71 si riposava con altre dintorno, 40.72 delle quali il bel luogo ripien era, 40.73 faccendo con la luce dell' adorno 40.74 e bellissimo viso, riflettendo 40.75 con lume, troppo più il chiaro giorno; 40.76 rimirando talor, fra sé ridendo 40.77 ver me di me, che arso m' accendeva 40.78 di nova fiamma ancora lei vedendo. 40.79 Udire appresso questa mi pareva 40.80 cantar tanto soave in voce lieta 40.81 che me di me sovente mi toglieva. 40.82 Così al canto libera e quieta 40.83 tutta la mente avea disposta, allora 40.84 che con benigna voce e mansueta: 40.85 -- Troppa qui lunga dispendiam dimora --, 40.86 i due mi dissero; a' qua' rivoltato 40.87 risposi: -- Andiam, sed e' vi pare, ancora --. 40.88 Oltre la via prendemmo per lo prato.
CANTO XLI
41.1 Oltre passando tra' fiori e l' erbette, 41.2 in loco pien di rose e d' albuscelli 41.3 venimmo, ove ciascun di noi ristette; 41.4 fra li qua' canti piacenti d' uccelli 41.5 s' udivan tai, che io mi saria stato 41.6 quasi contento pure ad udir quelli. 41.7 Or mirando più là nel verde prato, 41.8 donne vi vidi una carola fare 41.9 ad uno strano suon, ch' una dallato 41.10 ritta a me mi parve udir sonare. 41.11 Io non conobbi lei, posto ch' assai 41.12 bella paresse a me nel riguardare: 41.13 sì ch' io avanti all' altre riguardai, 41.14 ornata quale a sua somma grandezza 41.15 si conveniva, in atti lieti e gai, 41.16 esser la mira e piacevol bellezza 41.17 di Perigota, nata genitrice 41.18 dell' onor di Durazzo e dell' altezza. 41.19 Ahi quanto allor mi reputai felice, 41.20 non risparmiando gli occhi a mirar quella 41.21 che per bellezza si può dir fenice! 41.22 La qual non donna, ma diana stella, 41.23 con passo rado la menava attenta, 41.24 non altrimenti che si voglia ad ella, 41.25 con gli occhi bassi, del mirar contenta 41.26 che io faceva in lei, che già sentia 41.27 come d' altrui per biltà si diventa. 41.28 Vaga e leggiadra molto la seguia 41.29 la ninfa fiorentina, al cui piacere 41.30 oppongon tai, che non san che si sia, 41.31 nel viso lei parere un cavaliere, 41.32 onesta andando sì umilemente 41.33 ch' oltra dovere me ne fu in calere. 41.34 Dopo essa, attenta al suon similemente, 41.35 veniva quella Lia che trasse Ameto 41.36 dal volgar uso dell' umana gente, 41.37 in abito soave e mansueto, 41.38 inghirlandata di novella fronda, 41.39 con lento passo e con aspetto lieto. 41.40 Lì dopo lei, bianca e rubiconda 41.41 quanto conviensi a donna nel bel viso, 41.42 tutta gentile, graziosa e gioconda, 41.43 era colei di cui nel fiordaliso 41.44 il padre fu dall' astuzia volpina, 41.45 col zio e col fratel di lei, conquiso 41.46 con molta della gente fiorentina: 41.47 li quai libraron lor poscia, per merto, 41.48 troppo più che 'l dover pace vicina. 41.49 Tra tanto ben, quanto a' mie' occhi offerto 41.50 era 'n quel loco, vid' io poi seguire, 41.51 come 'l ramemorar me ne fa certo, 41.52 ognor più belle e più conte nel gire 41.53 donne altre assai, i nomi delle quali 41.54 io non saprei di tutte ben ridire. 41.55 Però, le taccio, ma con disiguali 41.56 passi e maniere si movea catuna, 41.57 sì come il suon ne porgeva segnali, 41.58 oltre, al parer mio; e ciascheduna 41.59 a tal bisogna conta, lieta e presta 41.60 mi pareva che fosse, perch' ognuna, 41.61 ridendo in sé, prendeva gioia e festa, 41.62 sanza mostrar negli atti ch' altra cura 41.63 le fosse forse dentro al cor molesta. 41.64 Givansi adunque su per la verdura 41.65 e sopra i fior che novi produceva 41.66 allato al rivo la bella pianura; 41.67 e talor quella che le conduceva 41.68 fino alla bella fonte se ne giva 41.69 e 'ntorno ad essa in giro si torceva, 41.70 sopra tornando per la cara riva 41.71 del fiumicello e poi nel pian tornando 41.72 che di diversi odor tututto oliva. 41.73 Sempre con l' occhio quelle seguitando 41.74 m' andava io, e dentro lo 'ntelletto 41.75 la lor bellezza giva immaginando; 41.76 e di quella prendea tanto diletto 41.77 in sé, ch' alcuna volta fu che io, 41.78 a tal piacer, credetti far subbietto 41.79 alla mia voglia quiveritta il mio 41.80 libero albitrio: ma pur si ritenne 41.81 con vigorosa forza il mio disio. 41.82 Voltatomi a que' due, allor mi venne, 41.83 ch' eran con meco, verso lor dicendo: 41.84 -- Oh quanto a queste natura sovenne, 41.85 ogni bellezza in esse componendo! 41.86 Beati que' che della grazia d' esse 41.87 son fatti degni, quella mantenendo, 41.88 la qual volesse Iddio che io l' avesse! --.
CANTO XLII
42.1 E mentre ch' io m' andava sì parlando 42.2 con questi due, ed ecco d' altra parte 42.3 molte donne gentili assai danzando. 42.4 Certo non credo che natura od arte 42.5 bellezze tante formasse giammai, 42.6 quanto ne' visi a quelle vidi sparte. 42.7 Tra me medesmo men maravigliai, 42.8 ma volto il viso a lor, come venieno 42.9 così nella memoria le fermai. 42.10 Onde mi par che quella, cui seguieno 42.11 danzando a nota d' una canzonetta 42.12 che due di quelle cantando dicieno, 42.13 raffigurando, era una giovinetta 42.14 dell' alto nome di Calavra ornata, 42.15 di Carlo figlia gaia e leggiadretta: 42.16 reggendo quella alla nota cantata 42.17 con volte degne e passi, a cotal danza, 42.18 come mi parve, appresso seguitata 42.19 ivi dall' alta ed unica intendanza 42.20 del Melanese, che col Can lucchese 42.21 abatté di Cardona l' arroganza. 42.22 Nelle man della qual poi la cortese 42.23 donna di quel cui seguita Ungheria, 42.24 bellissima si fece a me palese: 42.25 graziosa venendo, onesta e pia, 42.26 con lieta fronte, in atto signorile, 42.27 fece maravigliar l' anima mia. 42.28 Riguardando oltre, con sembianza umile 42.29 venia colei che nacque di coloro, 42.30 che tal fiata con materia vile 42.31 aguzzando lo 'ngegno a lor lavoro, 42.32 fer nobile colore ad uopo altrui, 42.33 multiplicando con famiglia in oro. 42.34 Tra l' altre nominat' è da colui 42.35 che con Cefàs abandonò le reti 42.36 per seguitare il Maestro, per cui 42.37 i tristi duoli e gli angosciosi fleti 42.38 fur tolti a' padri antichi, e parimente 42.39 da Lui menati nelli regni leti. 42.40 Appresso questa assai vezzosamente 42.41 se ne veniva la novella Dido, 42.42 di nome, non di fatto veramente, 42.43 tenendo acceso nel viso Cupido, 42.44 di tale sposa ch' assai mal contenta 42.45 credo la faccia nel marital nido. 42.46 Ed il nome di lui di due s' imprenta, 42.47 d' un albero e d' un tino, e 'l poco fatto 42.48 dal suo diminutivo s' argomenta. 42.49 Costei seguiva con piacevol atto 42.50 donna che del sussidio d' Orione 42.51 il nome tien, quando sonò per patto. 42.52 Oh quanto ella vorria, ed a ragione, 42.53 vedova rimaner partenopea 42.54 di tal c' ha nome da quel che menzione 42.55 l' agosto dà ad Ascesi! E poi vedea 42.56 dopo essa molte, le qua' raccontare 42.57 per più brieve parlar meglio è mi stea. 42.58 E com' io dissi, ad un dolce cantare, 42.59 in voce fatto angelica e sovrana, 42.60 era guidata, qual di sotto pare. 42.61 -- In chiunque dimora alma sì vana 42.62 ch' esser non voglia suggetta ad Amore, 42.63 da nostra festa facciasi lontana. 42.64 Lo suo inestimabile valore 42.65 che adduce virtute e gentilezza, 42.66 a ciascuna di noi disposto ha il core 42.67 a sempre seguitar la sua grandezza, 42.68 e lui servendo staremo in disire, 42.69 tanto che sentiren quella dolcezza 42.70 ched e' concede altrui dopo 'l martire: 42.71 null' altra gioia al suo dono è iguale, 42.72 poiché per quel sembra dolce il morire. 42.73 Vita che sanza lui dura non vale 42.74 né più né meno che se ella fosse 42.75 cosa insensata o d' un bruto animale. 42.76 In quel disio adunque in che ci mosse 42.77 quando a noi fé sua signoria sentirsi, 42.78 a sostenere inforzi nostre posse: 42.79 benivol poi essendoci a largirsi, 42.80 sì che, deh, non ci paian le ferute 42.81 di lui noiose né grave il soffrirsi, 42.82 in cui consiste la nostra salute; 42.83 quando parralli, la dobbiamo avere, 42.84 dandola tosto con la sua virtute --. 42.85 L' altre poi tutte appresso, al mio parere, 42.86 rispondendo diceano: -- O signor nostro, 42.87 in te si ferma ogni nostro volere, 42.88 tutte disposte siamo al piacer vostro --.
CANTO XLIII
43.1 Aveami già quel canto e la bellezza 43.2 delle giovani donne l' alma presa 43.3 e riempiuta di nuova allegrezza, 43.4 tanto che ad altro la mente sospesa 43.5 con gli occhi non tenea, che non faceano 43.6 alli raggi di lor nulla difesa; 43.7 e com' io loro alzai, vidi sedeano 43.8 donne più là, quasi sé riposando, 43.9 che forse fatta festa innanzi aveano. 43.10 Queste, mentre io andava riguardando, 43.11 d' erbe e di frondi tutte coronate 43.12 vidi ed insieme d' amor ragionando. 43.13 Ver è ch' ell' eran di maturitate, 43.14 di costumi, di senno e di valore 43.15 e di bellezza molto e molto ornate. 43.16 E volto verso là, il primo ardore 43.17 della bellezza dell' altre fu spento, 43.18 di tutte, fuor che d' una, nel mio core; 43.19 sì ch' io con passo mansueto e lento 43.20 a quelle m' appressai com' io potei, 43.21 ed a mirarle mi disposi attento. 43.22 Tra l' altre che io prima conoscei, 43.23 fu una ninfa sicula per cui 43.24 già si maravigliaron gli occhi miei. 43.25 Oh quanto bella lì negli atti sui, 43.26 biasimando le fiamme di Tifeo, 43.27 si sedea ragionando con altrui! 43.28 mostrando come per quelle perdeo 43.29 l' amato sposo in cieco marte preso, 43.30 allor che tutto vinto si rendeo 43.31 in Lipari lo stuolo, ond' elli offeso 43.32 col bianco monte nel campo vermiglio 43.33 ne fu menato, ove ancora è difeso, 43.34 mudando in chiusa dell' aureo giglio; 43.35 donde doleasi, perch' a lui riavere 43.36 non valean prieghi, danar, né consiglio. 43.37 Ove costei così, al mio parere, 43.38 quivi doleasi, attenta l' ascoltava 43.39 giovane donna di sommo piacere, 43.40 simile a cui nessuna ve ne stava, 43.41 per quel ch' a me paresse, nel suo viso 43.42 che d' ogni biltà pien si dimostrava. 43.43 Sariasi detto che di paradiso 43.44 fosse discesa da chi 'ntentamente 43.45 l' avesse alquanto rimirata fiso. 43.46 E com' io seppi, ell' era della gente 43.47 del Campagnin che lo Spagnuol seguio 43.48 nella cappa, nel dire e con la mente, 43.49 a sé faccendo sì benigno Iddio, 43.50 che d' ampio fiume di scienza degno 43.51 si fece, come poi chiar si sentio, 43.52 faccendo aperte col suo sommo ingegno 43.53 le scritture nascose, e quinci appresso 43.54 da Carlo pinto gì nello dio regno; 43.55 faccendo sé da quella, in cui compresso 43.56 stette Colui che la nostra natura 43.57 nobilitò, nomar, che poi l' eccesso 43.58 absterse della prima creatura 43.59 con la sua pena; e quivi coronata 43.60 della fronda pennea, con somma cura 43.61 raggiugnea fior per farsi più ornata, 43.62 mostrando sé tal fiata piatosa 43.63 della noia dell' altra a lei narrata. 43.64 Con questa era colei ch' essere sposa 43.65 e figliuola perdé quasi in un anno, 43.66 di brun vestita e nel viso amorosa: 43.67 oggi tornando dove i fabbri stanno 43.68 vulcanei e' miropoli e coloro 43.69 ch' ornan di freno e di sella, all' affanno 43.70 me' sostener l' animal, ch' al sonoro 43.71 percuoter di Nettunno apparve fori 43.72 nel bel conspetto del celeste coro. 43.73 Ed il bel nome che' gemmier maggiori 43.74 danno alla perla è suo, il cui cognome 43.75 gli Asini legan, di que' guardatori. 43.76 Splendida, chiara e bella era sì come 43.77 nel ciel si mostra qual più luce stella, 43.78 di vel coperte l' auree chiome. 43.79 Vaga più ch' altra, si sedea con ella 43.80 un' altra fiorentina in atto onesto, 43.81 assai passante di bellezza quella. 43.82 Ben m' accors' io chi era e che dal sesto 43.83 Cesare nominato era il marito, 43.84 qual chi 'l conosce il pensa a lei molesto. 43.85 Guardando adunque nel piacente sito 43.86 costoro ed altre che v' erano assai, 43.87 sentiva ben da me mai non sentito, 43.88 in guisa tal ch' io men maravigliai.
CANTO XLIV
44.1 Era più là, di donne accompagnata, 44.2 la Cipriana, il cui figliuolo attende 44.3 d' aver la fronte di corona ornata, 44.4 con quello onore che ad essa si rende 44.5 dell' isola maggior de' Baleari, 44.6 se caso fortunal non gliel contende. 44.7 Tra le quali era, in atto non dispari 44.8 della gran donna, un' altra tanto bella, 44.9 che mi fur gli atti suoi a mirar cari. 44.10 Ognuna quivi riguardava ad ella 44.11 per la sua gran bellezza, ed io con loro 44.12 che già in me riconosceva quella. 44.13 Ell' è colei di cui il padre nell' oro 44.14 l' azzurro re de' quadrupedi tene 44.15 nel militare scudo, e di coloro 44.16 passata stassi, come si convene 44.17 isposa d' un che la fronzuta pera 44.18 d' oro nel ciel per arma ancor ritene. 44.19 E con queste a seder bellissim' era, 44.20 simile a riguardare ad una dea 44.21 la sposa di colui che la rivera 44.22 rosseggiar fé di Lipari, eolea 44.23 isola, poi togliendo in guidardone 44.24 l' amiraglia da chi dar la potea. 44.25 Con essa questa ancora ad un sermone 44.26 conobb' io quella che fu tratta al mondo, 44.27 onde fuggita s' era in religione, 44.28 honesta e gaia nel viso giocondo, 44.29 moglie di tal che me' saria non fosse: 44.30 ma chi più sia non mosterrò del fondo. 44.31 E l' altre oltre mirando, mi percosse 44.32 ma non so che, e tutto quasi smorto 44.33 subito altrove gli occhi e me rimosse. 44.34 Venend' io così men sanza conforto, 44.35 tremando tutto, mi ritorna' a mente 44.36 ch' io vidi in una parte di quell' orto, 44.37 onesta e graziosa umilemente, 44.38 una donna sedere il cui aspetto 44.39 tutto dintorno a sé facea lucente. 44.40 In questo alquanto nel tremante petto 44.41 con forza ritornò l' alma smarruta, 44.42 rendendo forza al debile intelletto. 44.43 Così mi ricordò che io veduta 44.44 avea costei tra quelle donne prima, 44.45 e 'n altra parte ancora conosciuta. 44.46 Onde se sua bellezza la mia rima 44.47 qui al presente perfetta non dice, 44.48 maraviglia non è; ma tanto estima 44.49 sentendo l' alma mia, che om felice 44.50 mirando quella dovria divenire, 44.51 se la memoria mia ver mi ridice. 44.52 Tenendo mente lei, sommo disire 44.53 d' entrar mi venne dentro allo splendore 44.54 che delli suoi belli occhi vedea uscire; 44.55 e 'n ciò pensando subito nel core 44.56 punger sentimmi, e quasi in un momento 44.57 mi ritrovai nel piacevol lustrore. 44.58 Ivi mirabile il dimoramento 44.59 pareami, e quasi in me di me facea 44.60 beffe di sì notabile ardimento. 44.61 Ma lì essere stato mi parea 44.62 tanto che quattro via sei volte il sole 44.63 con l' orizonte il ciel congiunto avea. 44.64 E come nell' orecchia talor sole 44.65 subito dolce suon percuoter tale 44.66 che quello udendo poi le piace e vole, 44.67 così orribil mi venne cotale 44.68 e spaventommi per lungo soggiorno, 44.69 né mi fé già, ben ch' io temessi, male: 44.70 -- O tu --, dicendo, -- ch' e' nel chiaro giorno 44.71 del dolce lume della luce mia, 44.72 che a te vago si raggia dintorno, 44.73 non ischernir con gabbo mia balia, 44.74 né dubitar però per mia grandezza, 44.75 la quale umil, quanto vorrai, ti fia. 44.76 Onora con amor la mia bellezza, 44.77 né d' alcun' altra più non ti curare, 44.78 se tu non vuo' provar mia rigidezza --. 44.79 Sentimmi poi il cor dentro legare 44.80 co' cari crini del suo capo, e adesso 44.81 più volte intorno avolgere e girare. 44.82 Così mi parve, se bene in me stesso 44.83 ricordo, che costei dicesse: ond' io 44.84 risposi: -- Donna, a te tutto sommesso 44.85 io sono e sarò sempre, e ciò disio --.
CANTO XLV
45.1 A tal partito nel beato loco 45.2 istandomi, io mi senti' nel core 45.3 raccender più ardente questo foco, 45.4 tal ch' io pensai che 'l novello ardore 45.5 oltre al dovuto modo mi tirasse, 45.6 tal nel principio suo mostrò furore. 45.7 E 'l cor, che ciò pareva che pigliasse 45.8 a sé, lo 'ncendio, quantunque potesse, 45.9 oltre a dovuta parte a sé ne trasse. 45.10 E così stando parve ch' io vedesse 45.11 questa donna gentile a me venire 45.12 ed aprirmi nel petto, e poi scrivesse 45.13 là entro nel mio cor posto a soffrire, 45.14 il suo bel nome di lettere d' oro 45.15 in modo che non ne potesse uscire. 45.16 La qual, non dopo molto gran dimoro, 45.17 nel mio dito minore uno anelletto 45.18 metteva tratto di suo gran tesoro; 45.19 al qual pareami, se 'l mio intelletto 45.20 bene stimò, che una catenella 45.21 fosse legata, che infino al petto 45.22 si distendeva della donna bella, 45.23 passando dentro, e con artigli presa, 45.24 come ancora scoglio, tenea quella. 45.25 Oh quanto da quell' ora in qua accesa 45.26 fu la mia mente del piacer di lei, 45.27 che mai non era più stata offesa! 45.28 Moveami questa ove pareva a lei 45.29 co' suoi belli occhi, e sol pensando andava 45.30 com' io potessi piacere a costei. 45.31 Infra quel circuito che ocupava 45.32 la luce sua, quasi come 'nretito, 45.33 a forza a rimirarla mi girava. 45.34 Gravoso mi parea l' esser fedito 45.35 e più fiate lagrime ne sparsi, 45.36 non potend' io durar l' esser partito 45.37 là onde quella soleva mostrarsi 45.38 agli occhi miei gentile e graziosa, 45.39 e più nel cor sentia 'l foco allumarsi. 45.40 Io non trovava nella mente posa, 45.41 sì mi stringea pur di lei vedere 45.42 la mente ardente di sì bella cosa. 45.43 Adunque seguitando il mio volere, 45.44 dovunque era costei, così tirato 45.45 parea ch' io fossi dal suo bel piacere; 45.46 ma certo in ciò Amor m' era assai grato, 45.47 sol che 'l disio non fosse oltra misura 45.48 nell' amoroso cor troppo avanzato. 45.49 Ognora che la sua bella figura 45.50 disiava vedere, Amor faceva 45.51 di ciò contenta la mia mente scura, 45.52 rendendo lei umil quand' io voleva. 45.53 E questo più m' accendeva, vedendo 45.54 che 'l mio disio adempier si poteva, 45.55 né per lei rimaneva ma, sentendo 45.56 forse maggior periglio, consentia 45.57 che io avanti mi stessi piangendo, 45.58 e graziosa mostrandosi e pia 45.59 verso di me, con sua benignitate 45.60 in conforto tenea la mente mia. 45.61 Lungamente seguendo sua pietate, 45.62 ora in avversi ed ora in graziosi 45.63 casi reggendo la mia volontate, 45.64 sollecito del tutto mi proposi 45.65 di pur sentire l' ultima possanza 45.66 che in loro hanno i termini amorosi. 45.67 Ver è che molto prolissa speranza 45.68 mi tenne in questa via, non però tanto 45.69 che 'l mio proposto gisse in oblianza. 45.70 Alla seconda con sospiri e pianto, 45.71 quando con festa, sempre seguitai 45.72 il mio proponimento, infino a tanto 45.73 sottilmente guardando, m' avisai 45.74 che la donna pensava terminare 45.75 con savio stile i disiosi guai. 45.76 Però alquanto lasciai 'l pensare, 45.77 dicendo: «Tosto credo proveduto 45.78 fia da costei il mio grave penare. 45.79 Ell' ha ben ora tanto conosciuto 45.80 del mal ch' io sento e del mio disio, 45.81 ch' io credo che di me le sia incresciuto». 45.82 Così fra me gia ragionando io, 45.83 pure aspettando che la sua grandezza 45.84 si dichinasse alquanto al dolor mio 45.85 torre potere con la sua bellezza: 45.86 la qual l' anima mia più ch' altra brama 45.87 e più che altra alcuna in sé l' apprezza, 45.88 onorandola sempre quanto l' ama.
CANTO XLVI
46.1 Tenendo me il valor di colei 46.2 dentro a sua luce in tal modo costretto, 46.3 sempre con lo 'ntelletto volto a lei, 46.4 avendo spesso dolore e diletto, 46.5 riposo e noia con isperanza assai, 46.6 com' io qui poco di sopra ho detto, 46.7 non sappiendo a che termine mai 46.8 si dovesse finire, un poco appresso 46.9 inver di lei alquanto mi voltai, 46.10 traendomi più là, e con sommesso 46.11 parlar le chiesi che al mio dolore 46.12 fine ponesse, qual doveva, adesso, 46.13 ognor servando quel debito onore 46.14 che si convene a suoi costumi adorni, 46.15 di gentilezza pieni e di valore. 46.16 Cinque fiate tre via nove giorni 46.17 sotto la dolce signoria di questa 46.18 trovato m' era in diversi soggiorni, 46.19 allora ch' io senti' che la molesta 46.20 pena, che m' era nello cor durata, 46.21 convertir si doveva in lieta festa. 46.22 Lasciando adunque la mia vesta usata 46.23 in parte più profonda del verziere, 46.24 mi parea ritrovar quella fiata 46.25 con gioia smisurata, al mio parere, 46.26 e nelle braccia la donna piatosa 46.27 stupefatto mi parea tenere. 46.28 Vinceva tanto l' anima amorosa 46.29 la gioia, che la lingua stando muta 46.30 di venuta pareva dubitosa, 46.31 né diceva niente, ma l' aguta 46.32 voglia di star dov' esser mi parea 46.33 facea parermi falsa tal paruta. 46.34 Dond' io fra me spesse volte dicea: 46.35 «Sogni tu? o se' qui come ti pare?» 46.36 «Anzi ci son», poi fra me rispondea. 46.37 In cotal guisa spesso a disgannare 46.38 me quella donna gentile abracciava 46.39 e con disio la mi parea basciare, 46.40 fra me dicendo ch' io pur non sognava, 46.41 posto che mi pareva grande tanto 46.42 la cosa, ch' io pur di sognar dubbiava. 46.43 E se per comprazion volessi quanto 46.44 fu la mia gioia porre, essemplo degno 46.45 nol crederia trovar; ma dopo alquanto, 46.46 con quella gioia che io qui disegno, 46.47 la quale immaginar non si porria 46.48 da alcuno mai per altezza d' ingegno, 46.49 tratto un sospiro, graziosa e pia 46.50 la donna inver di me disse: -- Ora dimmi, 46.51 come venisti qui, anima mia? --. 46.52 Ond' io a lei: -- Poi ch' Amore aprimmi 46.53 gli occhi a conoscer la vostra biltate, 46.54 a cui io per mia voglia consentimmi, 46.55 nel cerchio della vostra potestate 46.56 entrato con affanno e con sospiri, 46.57 sempre sperando en la vostra pietate, 46.58 ò lui pregato che a' miei martiri 46.59 dia fine grazioso, ed e' menato 46.60 m' ha qui per fine porre a' miei disiri. 46.61 Nel giardin là ver è ch' i' ho lasciato 46.62 stare una donna, la qual lungamente 46.63 prima m' avea benigna accompagnato 46.64 venendo qui --; e non lasciai niente 46.65 a dire a lei e di que' due ancora 46.66 con cui io venni qui similemente. 46.67 Alquanto stette quella donna allora 46.68 in abito sospesa, in sé pensando: 46.69 e poi, non dopo molto gran dimora: 46.70 -- Andrai --, mi disse, -- la donna cercando, 46.71 e lei seguisci però ch' ella è quella 46.72 che 'n dritta via ripon chi va errando. 46.73 Ciò ch' ella vuol, vo' facci, fuor che s' ella 46.74 me ti volesse far di mente uscire: 46.75 in ciò non vo' che ubidischi ad ella. 46.76 Humiliati sempre al suo disire 46.77 e me porta nel cuor, né ti sia grave, 46.78 ché ben te ne vedrai, credo, seguire. 46.79 Il portar te in me tanto soave 46.80 m' è, che per pace corro a tua figura 46.81 quando gravezza alcuna il mio cor have. 46.82 Giammai non fu neuna creatura 46.83 che tanto mi piacesse: fatti lieto, 46.84 e di ciò tien l' anima tua sicura. 46.85 Io volli ora, al presente far quieto 46.86 il tuo disio con amorosa pace, 46.87 dandoti l' arra che finirà 'l fleto: 46.88 adunque va omai quando ti piace --.
CANTO XLVII
47.1 La donna tacque allora, ed io congedo 47.2 presi in un atto in me molto contento 47.3 e 'n altro più dolente che mai, credo, 47.4 ver quella parte ritornando lento 47.5 dov' io aveva la donna lasciata 47.6 che fu mia guida nel cominciamento. 47.7 Io mi giva pensando con bassata 47.8 testa a quel ben che io avuto avea, 47.9 e doleami di sì corta durata. 47.10 Di più disio ancora mi parea 47.11 tutto arder dentro nel trafitto core 47.12 vie più che nel principio non facea; 47.13 e diceva fra me: «Deh, se l' ardore 47.14 ora non manca, non credo che mai 47.15 egli esca omai della mente di fore. 47.16 Avuto ho quel che io più disiai: 47.17 deh, che cercherò io per mia salute? 47.18 chi stuterà cotal fuoco oramai? 47.19 La volontà che d' Amor le ferute 47.20 mi porsero, non è in me finita 47.21 ma è cresciuta in me la sua virtute». 47.22 Tra' fiori e l' erba con vista smarrita 47.23 m' andava in me in tal guisa pensando, 47.24 dispregiando e lodando la mia vita. 47.25 Riguardandomi a' piedi, così andando, 47.26 mi trovai alla fonte non avendo 47.27 vedute quelle donne festeggiando; 47.28 e 'l viso alzai, me stesso riprendendo 47.29 del perduto diletto, e ver me vidi 47.30 quella donna venir cui io caendo 47.31 fra quel giardino andava, -- Ove ti fidi? -- 47.32 ver me dicendo, e con le braccia aperte 47.33 mi prese, e: -- Non cre' tu che io ti guidi 47.34 in qual parte vorrai? perché perverte 47.35 tua volontà il mio consiglio vero, 47.36 per vanità lasciando cose certe? -- 47.37 Allor risposi: -- Madonna, sincero 47.38 m' è il tuo mostrar tornato di colei 47.39 grazia che m' ha disposto a tal sentiero. 47.40 Tu verrai, se ti piace, infino a lei, 47.41 e quivi insieme ci dimoreremo 47.42 quanto piacer sarà tuo e di lei; 47.43 e poi insieme tutti e tre andremo 47.44 dove vorrai, ché io credo segnare 47.45 sotto 'l piacer di lei il dì estremo --. 47.46 Ed allora: -- Il tuo adimandare 47.47 è d' ordine di fuor, ché io so bene 47.48 quel che tu vo' che io vi venga a fare. 47.49 La donna meco assai più si convene, 47.50 che tu non fai: dove menar mi vuoi 47.51 e ben conosco qual disio ti tene. 47.52 Vieni con meco ed a lei andrem poi --. 47.53 -- Ma andian là --, risposi, -- prima ed essa 47.54 insieme meneren con esso noi. 47.55 Non c' è bisogno d' aver sì gran pressa: 47.56 ancora il sole al cerchio di merigge 47.57 non è, e 'l nostro andar però non cessa --. 47.58 Diss' ella allora: -- Io so che ti trafigge 47.59 di lei il piacer e non ti puoi partire, 47.60 però pur qui tua volontà si figge. 47.61 E però se in questo il tuo disire 47.62 io seguirò, tu giurerai di fare 47.63 quel ch' io vorrò ed altro non seguire --. 47.64 La mia risposta fu: -- Non comandare 47.65 ch' io non ami costei, ogni altra cosa 47.66 al tuo piacer mi fia lieve osservare. 47.67 La qual se io sol per libidinosa 47.68 voglia fornire amassi, in veritate 47.69 con dover ne saresti crucciosa; 47.70 anzi con quella intera caritate 47.71 che prossima persona amar si dee, 47.72 amo, servo ed onoro sua bontate; 47.73 la qual, sì come manifesto v' ee, 47.74 non trova pari in atti né 'n bellezza, 47.75 né in saper nel mondo simil ee --. 47.76 -- Tu hai --, mi disse quella con dolcezza, 47.77 -- sì presa me pur di voler vedere 47.78 costei, cui donna fai di gentilezza 47.79 real posseditrice, che potere 47.80 non ho sanza vederla d' ire altrove 47.81 né di negare a te il tuo piacere. 47.82 Or dunque insieme ce n' andiam là dove 47.83 tu l' hai lasciata, e veggian manifesto 47.84 se quello è vero a che il tuo dir mi move --. 47.85 Subitamente ragionato questo 47.86 insieme ci movemmo e nel conspetto 47.87 venimmo di colei, che 'n atto onesto 47.88 incontro venne a noi con lieto aspetto.
CANTO XLVIII
48.1 Graziosamente si feciono onore 48.2 quivi insieme le donne, ed in brieve 48.3 l' una dell' altra conobbe il valore. 48.4 -- Ora mi fia --, la prima donna, -- lieve --, 48.5 ver me rivolta disse, -- farti quella 48.6 grazia che per adietro m' era grieve. 48.7 Dolce, cara e benigna mia sorella 48.8 tengo costei, e s' tu m' avessi detto 48.9 di lei il nome, già saremmo ad ella, 48.10 è gran pezza, venuti nel conspetto. 48.11 Costei sanza 'l fedel consiglio mio 48.12 non ferma fatto né compon suo detto: 48.13 dunque per tale essemplo il tuo disio 48.14 rafrena e serva il verace piacere, 48.15 il qual più volte t' ho già mostrat' io. 48.16 Intero fa che servi il suo parere: 48.17 altro che ben non ten potrà seguire, 48.18 però ch' ell' ha ver te il mio volere --. 48.19 Lei prese poi per mano e così a dire 48.20 incominciò: -- Figliuola di virtute, 48.21 cui questi qui del tutto vuol servire 48.22 ognor con più disio, per sua salute 48.23 pensa, sì ch' egli, ch' ogn' altra ha lasciata 48.24 per servir te, con laude dovute 48.25 ringrazi te, cui elli ha essaltata 48.26 nel mio conspetto tanto che giammai 48.27 nulla ne fu per tal modo lodata. 48.28 Ond' io udendo ciò immaginai 48.29 che fuor che tu altr' esser non potea, 48.30 e però a venir qui m' inviai --. 48.31 Ove poi per la destra mi prendea 48.32 e davami a costei, così dicendo 48.33 ancora inver di lei, ciò mi parea: 48.34 -- Non ebbe questi mai fren che tenendo 48.35 andasse in modo buon sua giovanezza, 48.36 se non, ch' io ora di porgliele intendo, 48.37 dirizzando esso verso quella altezza 48.38 onde tu discendesti a dimostrare 48.39 alli mondan quaggiù la tua bellezza. 48.40 Imperciò ch' io il sento ancora a fare 48.41 a te ogni servigio molto presto, 48.42 per la fé che mi dei ti vo' pregare, 48.43 ogni cagion rimossa, che in questo 48.44 e' sia in quanto può racomandato, 48.45 drizzando lui col tuo parlare onesto 48.46 là ove sia onorevole stato 48.47 di lui e tuo e suo contentamento, 48.48 in modo che a me non sia disgrato. 48.49 Io il ti dono tutto, i' 'l ti presento: 48.50 sempre sia tuo, né giammai sia ardito 48.51 di sé partir dal tuo comandamento --. 48.52 E poi rivolta a me mi disse: -- Udito 48.53 hai ch' io t' ho dato a questa: fa che 'n guisa 48.54 la servi che 'l mio don sia gradito. 48.55 Tiella per donna tua, né mai divisa 48.56 sia da lei l' alma tua fin che la vita 48.57 dal mortal colpo in te non è conquisa. 48.58 Or qui alquanto per questa fiorita 48.59 campagna dolcemente ti riposa, 48.60 sì che poi sie più forte alla salita 48.61 dove menarti intendo, e la gioiosa 48.62 donna con noi, acciò che la via 48.63 del tutto paia a ciascun dilettosa --. 48.64 Io dissi allor: -- Madonna, così sia! 48.65 se tal grazia mi fai, quando ti piace 48.66 a tal camin con noi dietro t' invia. 48.67 Manifesto conosco altro che pace 48.68 io non potrei aver, poi questa vene 48.69 che per conforto sola nel cor giace, 48.70 ond' io sento alleggiare le mie pene. 48.71 Dio voglia ch' ella ci stia lungamente, 48.72 con allegrezza aggiugnendoci bene! --. 48.73 Ridendo e festeggiando insiememente 48.74 su per l' erbette insieme n' andavamo 48.75 e d' amor ragionando lietamente. 48.76 Ora innanzi ora 'ndietro tornavamo, 48.77 e talora cogliendo erbette e fiori 48.78 sopra li verdi prati abassavamo, 48.79 rinnovando con gli occhi più gli ardori 48.80 degli animi, e andando per la via 48.81 soave al naso per diversi odori. 48.82 E con colei ch' a me più agradia 48.83 cercando ogni boschetto, noi soletti, 48.84 sanza la donna ch' adietro venia, 48.85 n' andavan tutti prendendo diletti; 48.86 tanto che quella, entrati in chiuso loco, 48.87 più non vedemmo, onde: -- Ciascun s' assetti --, 48.88 dicendo, -- qui or aspettianla un poco --.
CANTO XLIX
49.1 Era quel loco, dove ci trovamo, 49.2 soletto tutto, né persona appresso 49.3 di nulla parte a noi non sentavamo. 49.4 Tutto dintorno ed ancora sopra esso 49.5 era di frondi verdi il loco pieno, 49.6 e di quelle era ben follato e spesso. 49.7 Entrar non vi potea sol né sereno, 49.8 e di vermiglie rose in circuito 49.9 gran quantità ancor vi si vedieno. 49.10 Allor vedendo il dilettevol sito 49.11 e me con quella dimorar soletti 49.12 e d' ogni altra compagna esser partito, 49.13 là fra me dissi: «Io non so ch' io m' aspetti: 49.14 perché, poi che qui sono, ora non prendo 49.15 di questa i tanti affannati diletti? 49.16 Lo loco ov' ora dimorian sedendo 49.17 to' ogni sospetto, né qui mai trovarci 49.18 quella potria che ci venia seguendo, 49.19 ed altro non cred' io che impacciarci 49.20 potesse: costei vuole ed io 'l disio, 49.21 dunque perché cercar più d' indugiarci?». 49.22 In cotal ragionar m' acosta' io 49.23 a quella, e presa lei che 'n sull' erbetta 49.24 sonniferava già, al parer mio, 49.25 lei nelle braccia mi reca' istretta: 49.26 mille fiate credo la basciai 49.27 pria si svegliasse la bella angioletta. 49.28 Ma subito stordita a dir: -- Che fai? -- 49.29 cominciò isvegliata, -- deh, non fare! 49.30 se quella donna vien, come farai? --. 49.31 Ed io allora cominciai a parlare: 49.32 -- Donna, io non so quando mi riavesse 49.33 quel che tu ora mi vuoi far lasciare. 49.34 Ragion sarebbe ch' io sempre piangesse, 49.35 se per preghiera che non dee valere 49.36 quel ch' io ho mattamente perdesse --. 49.37 In cotal guisa stando, al mio parere, 49.38 già questa bella donna stava cheta, 49.39 consentendo umilmente, al mio piacere 49.40 tutta disposta, quando l' alma lieta 49.41 di cotal bene tanta gioia prese 49.42 in sé, che ritener dentro a sua meta 49.43 allora non poté, ma 'l sonno offese 49.44 là dov' io dolce allor facea dimora, 49.45 per che si ruppe e più non si difese. 49.46 Tutto stordito mi riscossi allora 49.47 e strinsi a me le braccia, e mi credea 49.48 intra esse madama avervi ancora. 49.49 Omè, quanto angosciosa e quanto rea 49.50 tal partita mi fu, e quanto caro 49.51 mi fu il dormir mentre 'n braccio v' avea! 49.52 Ahi come ritornò in duolo amaro 49.53 quel diletto che 'l sonno m' avea porto, 49.54 ch' a ogni affanno avea posto riparo! 49.55 Lasso, angoscioso e sanza alcun conforto, 49.56 levato pur dintorno mi mirava 49.57 immaginando ancora star nell' orto. 49.58 La fantasia non so come m' errava, 49.59 e, mentre avea sognato, mi credeva 49.60 non sogno avesse e così estimava. 49.61 Ora stordito sognar mi pareva, 49.62 e lungo spazio non seppi ov' io m' era 49.63 né vero sentimento in me aveva. 49.64 Ritornato ch' io fui poi nella vera 49.65 conoscenza di prima e lagrimato 49.66 ebbi per certo spazio quivi ov' era: 49.67 «Omè», dicendo, «dove son io stato 49.68 con tanta gioia? Ora fosse piaciuto 49.69 a Dio ch' i' non mi fossi mai destato, 49.70 e 'n cotal gioia sempre sare' suto! 49.71 Ancor mi fora leggiero il dormire 49.72 se più tal don mi fosse conceduto. 49.73 Pianto ed angoscia e noioso martire 49.74 di ciò mi crebbe, e multiplicò 'l foco 49.75 in me vie più d' amoroso disire, 49.76 il quale io sento che a poco a poco 49.77 tutto mi sface; e già saria finita 49.78 la vita mia, se non che a quel loco 49.79 veracemente spero che reddita 49.80 ancor farò con essenza perfetta, 49.81 allor prendendo quella gioia compita, 49.82 nella quale ora dormendo imperfetta 49.83 stetti. E questo l' amorosa mente 49.84 solo disia e fermamente aspetta, 49.85 ove Colui, che di tutto è potente, 49.86 mi rechi e servi nella vostra grazia 49.87 quanto vi piace, madonna piacente, 49.88 nella qual sempre fia la mente sazia».
CANTO L
50.1 Dico che poi che 'l sonno fu partito 50.2 tutto di me, che stava lagrimando 50.3 ancora in me di tal bene smarrito, 50.4 in piè drizzato, intorno a me guardando 50.5 vidi la bella donna, la qual voi 50.6 per lo giardin mi feste andar cercando. 50.7 -- Che pensi? -- disse a me, e poco poi 50.8 soggiunse: -- Andiam, ch' egli è voler di quella 50.9 che nel tuo sonno mi ti diè ancoi --. 50.10 Ond' io risposi stupefatto ad ella: 50.11 -- E dove andremo? e torneren noi forse 50.12 dov' io era or con quella donna bella? --. 50.13 -- Mai sì --, disse allora, -- e ciò che porse 50.14 il tuo dormire alla tua fantasia 50.15 tututto avrai, se da me non ti smorse. 50.16 Ancora più per me dato ti fia 50.17 di grazia, di veder ciò che perdesti 50.18 quando lasciasti la mia compagnia. 50.19 In quella parte là, dove or dicesti, 50.20 sanza consiglio molto esaminato 50.21 ir non si vuol, ché tu ten penteresti. 50.22 Primieramente là dove m' è grato 50.23 seguita, ché sanza dubbio intenta 50.24 farò di farti a tempo consolato: 50.25 e quel disio, che or più ti tormenta, 50.26 porrò in pace con quella bellezza 50.27 che l' alma al cor tuttora ti presenta --. 50.28 Ristette allora, ed io tanta dolcezza 50.29 presi della promessa, che nel viso 50.30 tututto sfavillava d' allegrezza. 50.31 Con voce piana e tutto pien di riso 50.32 risposi a lei: -- Donna gentile, io vegno, 50.33 né più da te voglio esser mai diviso. 50.34 Humile e pian, quant' io posso, m' assegno 50.35 a te: fa sì ch' al piacer di colei, 50.36 di cui io sono, io non trapassi il segno --. 50.37 -- Ell' ha del mio voler --, disse costei, 50.38 -- in mano il fren, sì ch' io non posso fare 50.39 se non sol quel ch' è in piacere a lei. 50.40 Di tanto sempre mi veggo onorare 50.41 da essa, ch' io lel lascio, che giammai 50.42 oltre alla voglia mia non vuol mutare --. 50.43 E questo detto disse: -- Andiamo omai, 50.44 ché 'l tempo è brieve a quel che voi fornire --; 50.45 per ch' io sanza più dir la seguitai. 50.46 Così adunque vo per pervenire, 50.47 donna gentile, al loco dove sendo 50.48 voi ebbi tanta gioia nel mio dormire, 50.49 tuttor notando quel ch' andrò vedendo 50.50 dietro a costei per la portella stretta, 50.51 e di scriverlo oltre ancora attendo. 50.52 Or vi voglio pregar, donna diletta, 50.53 che poi che la passata visione 50.54 tututta con diletto avrete letta, 50.55 mirando dove cade riprensione 50.56 mi correggiate, e cara la teniate 50.57 pensando alla mia buona affezione. 50.58 Io non mi curo poi se dispregiate 50.59 fien forse le sue rime e sua sentenza, 50.60 sol che a voi sien dilettose e grate. 50.61 Per vostro onore e somma reverenza 50.62 della fé ch' io vi deggio, come a donna 50.63 di virtuosa e somma intelligenza, 50.64 atando me la possa che s' indonna 50.65 in ciascun cuor gentil che da virtute 50.66 per accidente alcun mai non si sdonna, 50.67 rispetto avendo ancora alla salute 50.68 che da vo' isperanza mi promette 50.69 a mitigar l' amorose ferute, 50.70 aggio composte queste parolette 50.71 in rima, e fine faccio col piacere 50.72 di voi, in cui l' alma tutta si rimette, 50.73 vaga e contenta solo di potere 50.74 far cosa che v' agrada, e questo vole, 50.75 questo disia e questo l' è 'n calere, 50.76 ed il contrario più ch' altro le dole. 50.77 Dunque, donna gentile e valorosa, 50.78 di biltà fonte, com di luce sole, 50.79 rimirate alla fiamma che nascosa 50.80 dimora nel mio petto, ed ispegnete 50.81 quella con l' esser verso me piatosa. 50.82 Amor mi diede a voi, voi sola sete 50.83 il ben che mi promette la speranza, 50.84 sola mia vita in gioia tener potete. 50.85 Solo mio ben, sola mia disianza, 50.86 solo conforto della vaga mente, 50.87 sola colei che mia virtute avanza 50.88 sete e sarete sempre al mio vivente; 50.89 né più disio né disiar più voglio 50.90 fuor che d' esser a tal biltà servente. 50.91 Adunque quello ardor in cui m' invoglio 50.92 terminerete omai quando vi piace, 50.93 ch' io vi sono entro ognor più ch' i' non soglio: 50.94 io v' acomando al Sir di tutta pace.