Boccaccio, Amorosa visione
[Click any reference to see the database entry for the line.]
CANTO I
1.1 Move nuovo disio la nostra mente,
1.2 donna gentile, a volervi narrare
1.3 quel che Cupido graziosamente
1.4 in vision li piacque di mostrare
1.5 all' alma mia, per voi, bella, ferita
1.6 con quel piacer che ne' vostri occhi appare.
1.7 Recando adunque la mente, smarrita
1.8 per la vostra virtù, pensieri al core,
1.9 che già temea della sua poca vita,
1.10 accese lui di sì fervente ardore,
1.11 che uscita di sé la fantasia
1.12 subito entrò in non usato errore.
1.13 Ben ritenne però il pensier di pria
1.14 con fermo freno, ed oltre a ciò ritenne
1.15 quel che più caro di nuovo sentia.
1.16 In ciò vegghiando, in le membra mi venne
1.17 non usato sopor tanto soave,
1.18 ch' alcun di loro in sé non si sostenne.
1.19 Lì mi posai, e ciascun occhio grave
1.20 al sonno diedi, per lo qual gli agguati
1.21 conobbi chiusi sotto dolce chiave.
1.22 Così dormendo, in su liti salati
1.23 mi vidi correr, non so che temendo
1.24 pavido e solo in quelli abbandonati,
1.25 or qua or là, null' ordine tenendo;
1.26 quando donna gentil, piacente e bella
1.27 m' apparve, umil pianamente dicendo:
1.28 -- Se questo luogo solo a gire a quella
1.29 somma felicità, che alcun dire
1.30 non poté mai con intera favella,
1.31 abbandonar ti piace, il me seguire
1.32 ti poserà in sì piacente festa,
1.33 ch' avrai sicuro e pieno ogni disire --.
1.34 Fiso pareva a me rimirar questa
1.35 ed ascoltare intento sue parole,
1.36 quando s' alzò alla sua bionda testa,
1.37 ornata di corona più che 'l sole
1.38 fulgida, l' occhio mio, e mi parea
1.39 il suo vestire in color di viole.
1.40 Ridente era in aspetto e 'n man tenea
1.41 reale scettro, ed un bel pomo d' oro
1.42 la sua sinistra vidi sostenea.
1.43 Sopra 'l piè grave, non sanza dimoro,
1.44 moveva i passi; e lei tacendo ed io
1.45 pensato di volere suo aiutoro:
1.46 -- Ecco --, risposi, -- donna, il mio disio
1.47 è di cercar quel ben che tu prometti,
1.48 se a' tuoi passi di dietro m' invio --.
1.49 -- Lascia --, diss' ella, -- adunque i van diletti
1.50 e seguitami verso quell' altura
1.51 ch' opposta vedi qui a' nostri petti --.
1.52 Allor lasciar pareami ogni paura
1.53 e darmi tutto a seguitar costei,
1.54 abbandonando la strana pianura.
1.55 Poi che salito fui dietro a costei
1.56 non già per molto spazio, il viso alzai
1.57 istato basso infin lì verso i piei:
1.58 rimirandomi avanti, i' mi trovai
1.59 venuto a piè d' un nobile castello,
1.60 sopra al sogliar del quale io mi fermai.
1.61 Egli era grande ed altissimo e bello
1.62 e spazioso, avvegna che alquanto
1.63 tenebroso paresse entrando in quello.
1.64 -- Siam noi ancora là dove cotanto
1.65 ben mi prometti, donna graziosa,
1.66 di dovermi mostrar? --, diss' io intanto.
1.67 Ed ella allora: -- Più mirabil cosa
1.68 veder vuoi prima che giunghi lassuso,
1.69 dove l' anima tua fia gloriosa.
1.70 Noi cominciammo pur testé quaggiuso
1.71 ad entrar a quel ben: quest' è la porta:
1.72 entra sicuro omai nel cammin chiuso.
1.73 Tosto ti mostrerò la via scorta,
1.74 per la qual fia ad andarvi diletto
1.75 se non ti volta coscienza torta --.
1.76 Ed io: -- Adunque andiam, ché già m' affretto,
1.77 già mi cresce il disio, sì ch' io non posso
1.78 tenerlo ascoso più dentro nel petto.
1.79 Vedi com' io mi son sicuro mosso,
1.80 vedi ch' io vegno e trascorro di voglia,
1.81 d' ogni altra cura nella mente scosso --.
1.82 -- Ir si conviene qui di soglia in soglia
1.83 con voler temperato, ché chi corre
1.84 talor tornando convien che si doglia --.
1.85 Sì era il suo dir vero, che apporre
1.86 né contro andarvi io non arei potuto,
1.87 né dal piacer di lei potuto torre
1.88 in ciò, ancor ch' io avessi saputo.
CANTO II
2.1 «O somma e graziosa intelligenzia
2.2 che muovi il terzo cielo, o santa dea,
2.3 metti nel petto mio la tua potenzia:
2.4 non sofferir che fugga, o Citerea,
2.5 a me lo 'ngegno all' opera presente,
2.6 ma più sottile e più in me ne crea.
2.7 Venga il tuo valor nella mia mente,
2.8 tal che 'l mio dir d' Orfeo risembri il suono,
2.9 che mosse a racquistar la sua parente.
2.10 Infiamma me tanto più ch' io non sono,
2.11 che 'l tuo ardor, di ch' io tutto m' invoglio,
2.12 faccia piacere quel di ch' io ragiono.
2.13 Poi che condotto m' ha a questo soglio
2.14 costei, che cara seguir mi si face,
2.15 menami tu colà ov' io ir voglio,
2.16 acciò che passi miei, che van per pace
2.17 seguendo il raggio della tua stella,
2.18 vengano a quello effetto che ti piace».
2.19 Ragionando con tacita favella
2.20 così m' andava nel nuovo sentiero
2.21 seguendo i passi della donna bella.
2.22 Ruppemi tal parlar nuovo pensiero
2.23 ch' un muro antico nella mente mise,
2.24 apparitoci avanti tutto intero.
2.25 Allor la bella donna un poco rise,
2.26 me stupefatto e d' ammirazion pieno
2.27 veggendo, e disse: -- Forse tu divise
2.28 del camin nostro che qui venga meno:
2.29 o se più è, non vedi da qual loco
2.30 li passi nostri su salir porrieno.
2.31 Oltre convien che venghi ancora un poco,
2.32 ed io mostrandol, vederai la via
2.33 che ci merrà al grazioso gioco --.
2.34 Non fummo guari andati che la pia
2.35 donna mi disse: -- Vedi qui la porta
2.36 che la tua alma cotanto disia --.
2.37 Nel suo parlar mi volsi, e poi che scorta
2.38 l' ebbi, la vidi piccioletta assai,
2.39 istretta ed alta, in nulla parte torta.
2.40 A man sinistra allora mi voltai
2.41 volendo dir: «Chi ci potrà salire
2.42 o passar dentro, ché par che giammai
2.43 gente non ci salisse?» e nel mio dire
2.44 vidi una porta grande aperta stare,
2.45 e festa dentro mi vi parve udire.
2.46 E dissi allor: -- Di qua ha meglio andare,
2.47 al mio parere, e credo troveremo
2.48 quel che cerchiam, ché già udir mel pare --.
2.49 -- Non è così --, rispuose, -- ma andremo
2.50 su per la scala che tu vedi stretta
2.51 e 'n su la sommità ci poseremo.
2.52 Tu guardi là, e forse ti diletta
2.53 il cantar che tu odi, il qual piuttosto
2.54 pianto si dovria dire in lingua retta.
2.55 Il corto termine alla vita posto
2.56 non è da consumare in quelle cose
2.57 che 'l bene etterno vi fanno nascosto.
2.58 Levarsi ad alto, alle gloriose,
2.59 utilemente s' acquista virtute,
2.60 che lascia le memorie poi famose.
2.61 E s' tu non credi forse che a salute
2.62 questa via stretta meni, alza la testa:
2.63 ve' che dicon le lettere scolpute --.
2.64 Alzai allora il viso, e vidi: «Questa
2.65 piccola porta mena a via di vita;
2.66 posto che paia nel salir molesta,
2.67 riposo etterno dà cotal salita;
2.68 dunque salite su sanza esser lenti,
2.69 l' animo vinca la carne impigrita».
2.70 Io dissi: -- Donna, molto mi contenti
2.71 col ver parlar che tua bocca produce,
2.72 e più m' accertan le cose parventi,
2.73 guardando quelle; ma dimmi, che luce
2.74 è quella ch' io veggio là entr' ora?
2.75 perché in questa così non riluce? --.
2.76 -- Voi che nel mondo state, vostra mora
2.77 fate in loco tenebroso e vano:
2.78 e però gli occhi alla dolce aurora
2.79 alzare non potete, a mano a mano
2.80 che voi di quella uscite, a veder quanta
2.81 sia la chiarezza del Fattor sovrano.
2.82 Rompesi poi la nebbia che v' ammanta
2.83 quando ad entrar nel vero incominciate,
2.84 e conoscete poi la luce santa.
2.85 Dirizza i piedi alle scale levate;
2.86 su non sarai che vie maggior chiarezza
2.87 vedrai che là non è mille fiate:
2.88 adunque che ha in capo dell' altezza? --.
CANTO III
3.1 Ristata era la donna di parlare
3.2 e rimirava ch' io entrassi dentro
3.3 di rietro a lei, che già volea montare.
3.4 -- Sed e' vi piace, prima andiam là entro --,
3.5 diss' io a lei. E quella: -- Tu disii
3.6 di rovinar con doglia al tristo centro.
3.7 Io dico insino a qui: se là t' invii,
3.8 in cose vane l' anima disposta
3.9 a bene oprar convien che si disvii.
3.10 Pon l' intelletto alla scritta ch' è posta
3.11 sopra l' alto arco della porta, e vedi
3.12 come 'l suo dar val poco e molto costa --.
3.13 Ed io allora a riguardar mi diedi
3.14 la scritta in alto che pareva d' oro,
3.15 tenendo ancora in là voltati i piedi.
3.16 «Ricchezze, dignità, ogni tesoro,
3.17 gloria mondana copiosamente
3.18 do a color che passan nel mio coro.
3.19 Lieti li fo nel mondo, e similmente
3.20 do quella gioia che Amor promette
3.21 a' cor che senton suo dardo pugnente».
3.22 -- Or hai vedute ed amendune lette
3.23 le scritte, e vedi chi maggior promessa
3.24 e più utile fa: dunque che aspette?
3.25 Non istian più omai, ché 'l tempo cessa
3.26 e 'l perder quello spiace a' più saputi;
3.27 adunque omai saliam --, mi dicev' essa.
3.28 -- Ver è, donna gentil, ch' i' ho veduti --,
3.29 risposi, -- scritti i don, però vedere
3.30 vorrei provando qua' son posseduti.
3.31 Ogni cosa del mondo a sapere
3.32 non è peccato, ma la iniquitate
3.33 si dee lasciare e quel ch' è ben tenere.
3.34 Venite adunque qua, ché pria provate
3.35 deono esser le cose leggieri
3.36 ch' entrare in quelle c' han più gravitate.
3.37 Ora che siamo quasi nel sentieri,
3.38 andiam, vediamo questi ben fallaci:
3.39 più caro fia poi l' affannar pe' veri --.
3.40 -- Se tu sapessi quanto e' son tenaci
3.41 e quanto traggon l' uom di via diritta,
3.42 non parleresti sì come tu faci.
3.43 Toglianci quinci --, disse, -- ché già fitta
3.44 veggo la mente tua, se più ci stai,
3.45 a quel che dice la seconda scritta.
3.46 Il che lasciar, a chi il prende, mai
3.47 impossibile par fin che si more,
3.48 e per que' va poi agli etterni guai --.
3.49 La donna giva già. Ed ecco fore
3.50 della gran porta due giovini uscire;
3.51 l' uno era corto e bianco in suo colore
3.52 e l' altro rosso; e incominciaro a dire:
3.53 -- Dove cercando vai gravoso affanno?
3.54 Vien dietro a noi, se vuoi il tuo disire.
3.55 Sollazzo e festa, come molti fanno,
3.56 qua non ti falla, e poi il salir suso
3.57 potrai ancor nell' ultimo tuo anno.
3.58 Il luogo è chiaro e di tenebre schiuso:
3.59 vien, vedi almeno, e salira'ten poi,
3.60 se ti parrà noioso esser quaggiuso --.
3.61 Piacevami il dir loro, e già: «Con voi»,
3.62 dir voleva, «io verrò»; ma mi diceva
3.63 colei: -- Lascia costoro, andian su noi --.
3.64 E per la destra man preso m' aveva
3.65 seco tirando me in su; e l' uno
3.66 la mia sinistra e l' altro ancor teneva,
3.67 ridendosene insieme, e ciascheduno
3.68 tirandomi diceva: -- Vienne, vienne,
3.69 cerchi sola costei il cammin bruno --.
3.70 Lì d' una parte e d' altra mi ritenne
3.71 l' esser tirato; dond' io: -- Ben sapete --,
3.72 volto alla donna, -- che io non ho penne
3.73 a poter su volar, come credete,
3.74 né potrei sostener questi travagli
3.75 a' quai dispormi subito volete --.
3.76 Fermata allor mi disse: -- Tu t' abbagli
3.77 nel falso immaginar, e credi a questi
3.78 ch' a dritta via son pessimi serragli.
3.79 A trarti fuor d' errore e di molesti
3.80 disii discesi, e per voler mostrarti
3.81 le vere cose che prima chiedesti;
3.82 né mai avrei lasciato d' aiutarti
3.83 col mio veder nelle battaglie avverse.
3.84 Ma poi che ad altro t' è piaciuto darti,
3.85 truova il cammino dell' opere perse,
3.86 ch' io non ti lascerò, mentre che io
3.87 vedrò non darti tra quelle diverse
3.88 a voler seguitar bestial disio --.
CANTO IV
4.1 Seguendomi la donna, com' io lei
4.2 pria seguitava, co' due giovinetti
4.3 a man sinistra volsi i passi miei.
4.4 Intra lor due avean noi due ristretti,
4.5 e con più spesso passo n' andavamo
4.6 a riguardare i men cari diletti.
4.7 Andando in tal maniera, noi entramo
4.8 per la gran porta insieme con costoro,
4.9 ed in una gran sala ci trovamo.
4.10 Chiara era e bella e risplendente d' oro,
4.11 d' azzurro e di color tutta dipinta
4.12 maestrevolmente in suo lavoro.
4.13 Humana man non credo che sospinta
4.14 mai fosse a tanto ingegno quanto in quella
4.15 mostrava ogni figura lì distinta,
4.16 eccetto se da Giotto, al qual la bella
4.17 Natura parte di sé somigliante
4.18 non occultò nell' atto in che suggella.
4.19 Noi ci traemmo nella sala avante,
4.20 quasi nel mezzo d' essa, e quivi stando
4.21 vedevam le figure tutte quante.
4.22 Ell' era quadra: ond' io che riguardando
4.23 giva per tutto, dirizzai il viso
4.24 ver l' una delle facce, in piede stando.
4.25 Là vid' io pinta con sottil diviso
4.26 una donna piacente nell' aspetto,
4.27 soave sguardo avea e dolce riso.
4.28 La man sinistra teneva un libretto,
4.29 verga real la destra, e' vestimenti
4.30 porpora gli estimai nell' intelletto.
4.31 A piè di lei sedevan molte genti
4.32 sopra un fiorito e pien d' erbette prato,
4.33 alcuni più e alcun meno eccellenti.
4.34 Ma dal sinistro e dal suo destro lato
4.35 sette donne vid' io, dissimiglianti
4.36 l' una dall' altra in atto ed in parato.
4.37 Elle eran liete e lor letizia in canti
4.38 pareami dimostrassero, ma io
4.39 con l' occhio alquanto più mi trassi avanti.
4.40 Nel verde prato a man destra vid' io
4.41 di questa donna, in più notabil sito,
4.42 Aristotile star con atto pio:
4.43 tacito riguardando, in sé unito,
4.44 pensoso mi pareva; e poi appresso
4.45 Socrate sedea quasi smarrito.
4.46 Eravi quivi ancor Platon con esso,
4.47 Melisso, Alessandro v' era e Tale,
4.48 Speseusippo lei mirando spesso;
4.49 Raclito ancora e Ipocràs, il quale
4.50 in abito mostrava d' aver cura
4.51 ancora di sanare il mondan male.
4.52 Ivi sedeva con sembianza pura
4.53 Galieno, e con lui era Zenone
4.54 e 'l geometra ch' a dritta misura
4.55 mosse lo 'ngegno, sì che con ragione
4.56 oggi s' adovra seguendo suo stile;
4.57 e dopo lui Democrito e Solone.
4.58 Insieme con costoro in atto umile
4.59 si sedea Tolomeo, e speculava
4.60 i ciel con intelletto assai sottile,
4.61 riguardando una spera che lì stava
4.62 ferma davanti; e Tebìth con lui
4.63 ed Abracìs ancora in ciò mirava.
4.64 Averroìs e Fedron dopo lui
4.65 sedevan rimirando la bellezza
4.66 di quella donna che onora altrui.
4.67 Nassagora ancor quella chiarezza
4.68 mirava fiso insieme con Timeo,
4.69 mostrando in atto di sentir dolcezza.
4.70 Diascoride ancor v' era ed Orfeo,
4.71 Ambepece e Temistio, e poi un poco
4.72 Essiodo almo e Timoteo.
4.73 Oh quanto quivi in grazioso gioco
4.74 Pitagora onorato si vedea
4.75 e Diogene in sì beato loco!
4.76 Vie dopo questi ancora mi parea
4.77 Seneca riguardando ragionare
4.78 con Tulio insieme, che con lui sedea.
4.79 Innanzi a loro un poco, ciò mi pare,
4.80 Parmenide sedea e Teofrasto,
4.81 lieto ciascun della donna mirare.
4.82 Vestito d' umiltà, pudico e casto,
4.83 Boezio si sedeva ed Avicena,
4.84 ed altri molti, i qua' s' a dir m' adasto,
4.85 non fosse troppo rincrescevol pena
4.86 dubbio a' lettor; però mi taccio omai
4.87 e dirò di color che seco mena
4.88 dalla man manca, ov' io mi rivoltai.
CANTO V
5.1 Io dico che dalla sinistra mano
5.2 di quella donna vidi un' altra gente,
5.3 l' abito della qual non guari strano
5.4 sembrava da color che primamente
5.5 contati abbiam, ben che la vista loro
5.6 si stenda ver le donne più fervente.
5.7 Vergilio mantovano infra costoro
5.8 conobb' i' quivi più ch' altro esaltato,
5.9 sì come degno, per lo suo lavoro.
5.10 Ben mostrava nell' atto che a grato
5.11 gli eran le sette donne per le quali
5.12 sì altamente avea già poetato:
5.13 il ruinar di Troia ed i suoi mali,
5.14 di Dido, di Cartagine e d' Enea,
5.15 lavorar terre e pascere animali
5.16 trattar negli atti suoi ancor parea.
5.17 Omero e Orazio quivi dopo lui,
5.18 ciascun mirando quelle, si sedea.
5.19 A' quai Lucan seguitava, ne' cui
5.20 atti parea ch' ancora la battaglia
5.21 di Cesare narrasse e di colui,
5.22 Magno Pompeo chiamato, che 'n Tesaglia
5.23 perdé il campo; e quasi lagrimando
5.24 mostra che di Pompeo ancor li caglia.
5.25 Eravi Ovidio, lo qual poetando
5.26 iscrisse tanti versi per amore,
5.27 com' acquistar si potesse mostrando.
5.28 Non guari dopo lui fatt' era onore
5.29 a Giovenal, che ne' su' atti ardito
5.30 a' mondan falli ancor facea romore.
5.31 Terenzio dopo lui aveva sito
5.32 non men crucciato, e Panfilo e Pindaro,
5.33 ciascun per sé sopra 'l prato fiorito.
5.34 E Stazio di Tolosa ancora caro
5.35 quivi pareva avesse l' aver detto
5.36 del teban male e del suo pianto amaro.
5.37 Bell' uom tornato d' asino, soletto
5.38 si sedea Apolegio, cui seguiva
5.39 Varro e Cicilio lieti nell' aspetto.
5.40 Euripide mi par che poi veniva;
5.41 Antifonte, Simonide ed Archita
5.42 parea dicesser ciò ch' ognun sentiva
5.43 lì di diletto e di gioconda vita,
5.44 insieme ragionando; e dopo questi
5.45 Sallustio, quasi in sembianza smarrita,
5.46 là parea che narrasse de' molesti
5.47 congiuramenti che fé Catellina
5.48 contra' Roman, ch' a lui cacciar fur presti.
5.49 Al qual Vegezio quivi s' avvicina,
5.50 Claudiano, Persio e Catone,
5.51 e Marziale in vista non meschina.
5.52 L' antico e valoroso e buon Catone
5.53 quivi era nel sembiante assai pensoso,
5.54 tenendo con Antigono sermone.
5.55 E, vago ne' suoi atti di riposo,
5.56 da una parte mi parve vedere
5.57 quel Livio che fu sì copioso,
5.58 guardando que' che 'nanzi a sé sedere
5.59 tanti vedea, nell' aspetto contento
5.60 d' avere scritte tante storie vere.
5.61 Goloso di cotal contentamento
5.62 Valerio appresso parea che dicesse:
5.63 «Brieve mostrai il mio intendimento».
5.64 Ivi con lor mi parve ch' io vedesse
5.65 Paolo Orosio stare ed altri assai,
5.66 de' qua' non v' era alcun ch' io conoscesse.
5.67 Allora gli occhi alla donna tornai
5.68 a cui le sette davanti e dintorno
5.69 stavano tutte in atti lieti e gai.
5.70 Dentro dal coro delle donne adorno,
5.71 in mezzo di quel loco ove facieno
5.72 li savi antichi contento soggiorno,
5.73 riguardando, vid' io di gioia pieno
5.74 onorar festeggiando un gran poeta,
5.75 tanto che 'l dire alla vista vien meno.
5.76 Aveali la gran donna mansueta
5.77 d' alloro una corona in su la testa
5.78 posta, e di ciò ciascun' altra era lieta.
5.79 E vedend' io così mirabil festa,
5.80 per lui raffigurar mi fé vicino,
5.81 fra me dicendo: «Gran cosa fia questa».
5.82 Trattomi così innanzi un pocolino,
5.83 non conoscendol, la donna mi disse:
5.84 -- Costui è Dante Alighier fiorentino,
5.85 il qual con eccellente stil vi scrisse
5.86 il sommo ben, le pene e la gran morte:
5.87 gloria fu delle Muse mentre visse,
5.88 né qui rifiutan d' esser sue consorte --.
CANTO VI
6.1 Al suon di quella voce graziosa
6.2 che nominò il maestro dal qual io
6.3 tengo ogni ben, se nullo in me sen posa:
6.4 -- Benedetto sia tu, etterno Iddio,
6.5 c' hai conceduto ch' io possa vedere
6.6 in onor degno ciò ch' avea in disio --,
6.7 incominciai allora; né potere
6.8 aveva di partir gli occhi dal loco
6.9 dove parea il signor d' ogni savere,
6.10 tra me dicendo: «Deh, perché il foco
6.11 di Lachesis per Antropos si stuta
6.12 in uomo sì eccellente e dura poco?
6.13 Viva la fama tua, e ben saputa,
6.14 gloria de' Fiorentin, da' quali ingrati
6.15 fu la tua vita assai mal conosciuta!
6.16 Molto si posson riputar beati
6.17 color che già ti seppero e colei
6.18 che 'n te si 'ncinse, onde siamo avvisati».
6.19 I' 'l riguardava, e mai non mi sarei
6.20 saziato di mirarlo, se non fosse
6.21 che quella donna, che i passi miei
6.22 là entro con que' due insieme mosse,
6.23 mi disse: -- Che pur miri? forse credi
6.24 renderli col mirar le morte posse?
6.25 E' c' è altro a veder che tu non vedi!
6.26 Tu hai costì veduto, volgi omai
6.27 gli occhi a que' del mondan romore eredi;
6.28 i quali quando riguardati avrai,
6.29 di quinci andrenci, ché lo star mi sgrata --.
6.30 A cui io dissi: -- Donna, tu non sai
6.31 neente perché tal mirar m' aggrata
6.32 costui cui miro, ché se tu il sapessi
6.33 non parleresti forse sì turbata --.
6.34 -- Veramente se tu il mi dicessi
6.35 nol saprei me' --, rispose quella allora,
6.36 -- ma perder tempo è pur mirare ad essi --.
6.37 Oltre passai, sanza più far dimora,
6.38 con gli occhi a riguardar, lasciando stare
6.39 quel ch' io disio di rivedere ancora,
6.40 là dove a colei piacque che voltare
6.41 io mi dovessi; e vidi in quella parte
6.42 cosa ch' ancor mirabile mi pare.
6.43 Odi, ché mai Natura con sua arte
6.44 forma non diede a sì bella figura:
6.45 non Citarea, allor ch' ell' amò Marte,
6.46 né quando Adon le piacque, con sua cura
6.47 si fé sì bella, quanto infra gran gente
6.48 donna pareva lì leggiadra e pura.
6.49 Tutti li soprastava veramente,
6.50 di ricche pietre coronata e d' oro,
6.51 nell' aspetto magnanima e possente.
6.52 Ardita sopra un carro tra costoro
6.53 grande e triunfal lieta sedea,
6.54 ornato tutto di frondi d' alloro.
6.55 Mirando questa gente in man tenea
6.56 una spada tagliente, con la quale
6.57 che 'l mondo minacciasse mi parea.
6.58 Il suo vestire a guisa imperiale
6.59 era, e teneva nella man sinestra
6.60 un pomo d' oro, e 'n trono alla reale,
6.61 vidi, sedeva; e dalla sua man destra
6.62 due cavalli eran che col petto forte
6.63 traeano il carro fra la gente alpestra.
6.64 Ed intra l' altre cose che iscorte
6.65 quivi furon da me intorno a questa
6.66 sovrana donna, nimica di morte
6.67 nel magnanimo aspetto, fu ch' a sesta
6.68 un cerchio si movea grande e ritondo,
6.69 da' piè passando a lei sopra la testa.
6.70 Né credo che sia cosa in tutto 'l mondo,
6.71 villa, paese, dimestico o strano,
6.72 che non paresse dentro da quel tondo.
6.73 Era sopra costei, e non invano,
6.74 scritto un verso che dicea leggendo:
6.75 «Io son la Gloria del popol mondano».
6.76 Cosi mirando questa e provedendo
6.77 ciò che di sopra, dintorno e di sotto
6.78 le dimorava e chi la gia seguendo
6.79 o lei mirava, sanza parlar motto
6.80 per lungo spazio inver di lei sospeso
6.81 tanto stett' io, che d' altra cura rotto
6.82 nella mente sentimmi: il viso steso
6.83 diedi a mirar il popolo che andava
6.84 dietro a costei, chi lieto e chi offeso,
6.85 sì come nel mio credere estimava.
6.86 E quivi più e più ne vidi, i quali
6.87 conobbi, se 'l parer non m' ingannava;
6.88 onde al disio di mirar crebbe l' ali.
CANTO VII
7.1 Tra gli altri che io vidi presso a questa
7.2 fu Giano, ch' esser stato abitatore
7.3 dell' italici regni facea festa.
7.4 Turbato nell' aspetto e di furore
7.5 pien seguiva Saturno, cui il figlio
7.6 mandò mendico per esser signore.
7.7 Il superbo Nembròt, che il gran fé impiglio
7.8 in Senaàr per voler gire a Dio,
7.9 stordito v' era sanza alcun consiglio.
7.10 Lunghesso Fauno e Pico lor vid' io
7.11 seguire, ed il gran Belo dopo loro,
7.12 mirando ognun la donna con disio.
7.13 Elettra ed Atalante con costoro
7.14 givano insieme, e dopo lor seguire
7.15 Italo vidi sanza alcun dimoro.
7.16 Robusto si mostrava e pien d' ardire
7.17 Dardano quivi con un freno in mano,
7.18 e nell' atto parea volesse dire:
7.19 «Io fui colui, nel mondo primerano,
7.20 il qual col freno in Tessaglia domai
7.21 il caval primo, in uso ancora strano,
7.22 mirabilmente, e sì edificai
7.23 primo quella città, che poscia Troia
7.24 chiamaro i successor ch' io vi lasciai».
7.25 Appresso il qual, mostrando in atto gioia,
7.26 seguia Sicul, che l' isola del foco
7.27 prima abitò in pace e sanza noia.
7.28 Troiolo ancora in quel medesmo loco
7.29 coverto d' oro tutto risplendea,
7.30 faccendosi alla donna a poco a poco.
7.31 Rigido e fiero quivi si vedea
7.32 Nino, che prima il suo natural sito
7.33 per battaglia maggior fé, che parea
7.34 ancor che minacciasse insuperbito.
7.35 E dopo lui seguiva la sua sposa
7.36 con sembiante non men che 'l suo ardito:
7.37 così rubesta e così furiosa
7.38 vi si mostrava, come quando a lui
7.39 succedette nel regno valorosa.
7.40 Tamiris poi seguitava, nel cui
7.41 viso superbia saria figurata,
7.42 con gli occhi ardenti spaventando altrui.
7.43 Anfion poi con labbia consolata
7.44 vi conobb' io, al suon del cui liuto
7.45 fu Tebe pria di muri circumdata.
7.46 Retro a lui Niobè, il cui arguto
7.47 parlar fu prima cagion del suo male
7.48 e del danno de' figli ricevuto.
7.49 Poi seguitava Danao, dal quale
7.50 l' antico popol greco veramente
7.51 trasse il suo principio originale.
7.52 A cui di dietro quel Serse possente,
7.53 che fé sopra Ellesponto il lungo ponte,
7.54 venia, freno all' orgoglio della gente.
7.55 Riguardando la donna, con la fronte
7.56 alzata venia Ciro poco appresso,
7.57 di cui l' opere furo altiere e conte.
7.58 Laumedon sen veniva dopo esso,
7.59 con molti successor dietro alle spalle,
7.60 de' qua' giva Priamo oltre con esso.
7.61 Anchise seguitava nel lor calle;
7.62 appresso il qual colui venia correndo
7.63 che le dee vide nella scura valle.
7.64 Nello aspetto parea ch' ancor ridendo
7.65 andasse di ciò ch' elli aveva fatto,
7.66 quando di Grecia si partì fuggendo.
7.67 Dopo costui Enea seguia con atto
7.68 pietoso molto, e non molto distante
7.69 Giulio Ascanio il seguitava ratto.
7.70 Oh quanto ardito e fiero nel sembiante
7.71 quivi parea Ettòr sopra un destriere
7.72 tra tutti i suoi, di molto oro micante!
7.73 Bello e gentil nell' aspetto a vedere
7.74 era, con una lancia in mano andando
7.75 ver quella donna lieto, al mio parere.
7.76 Risplendea quivi ancora cavalcando
7.77 Alessandro, che 'l mondo assalì tutto
7.78 con forza lui a sé sotto recando;
7.79 il qual con fretta voleva al postutto
7.80 toccare il cerchio ove colei posava,
7.81 cui questi disiavan per lor frutto.
7.82 E 'l re Filippo e Nettabòr, gli andava
7.83 ciascuno appresso rimirando quello,
7.84 e nello aspetto se ne gloriava.
7.85 Veniva in su un caval corrente e snello
7.86 Dario crucciato nello aspetto
7.87 e con sembiante dispettoso e fello,
7.88 e sanza aver di tale andar diletto.
CANTO VIII
8.1 Mirando avanti con ferma intenzione,
8.2 veder mi parve quel re eccellente
8.3 che fu sì savio, io dico Salamone.
8.4 Eravi ancora Sanson, che possente
8.5 di forza corporal più ch' altro mai
8.6 fu che nascesse fra l' umana gente.
8.7 Nel riguardar più innanzi affigurai
8.8 il viso d' Ansalon, che più bellezza
8.9 ebbe che altro nel mondo giammai.
8.10 Tra questi pien d' orgoglio e di fierezza
8.11 seguendo cavalcava Campaneo,
8.12 che ne' suoi atti ancora Iddio sprezza.
8.13 Etiocle era quivi con Tideo,
8.14 Adastro re pensante e doloroso
8.15 del perder che dintorno a Tebe feo.
8.16 Ancora si mostrava il valoroso
8.17 Pollinice; broccando il seguitava
8.18 el re Ligurgo e Giansone animoso.
8.19 Di rietro al quale Pelleo cavalcava,
8.20 con quella lancia in man che prima morte
8.21 poi medicina a sua ferita dava.
8.22 Veniva appresso vigoroso e forte
8.23 Achille col figliuol, che sì spietata
8.24 vendetta fé quando l' antiche porte
8.25 non serraron più Troia, che l' entrata
8.26 aveva data al gran caval ripieno
8.27 della nimica gente tutta armata.
8.28 Questo crudel sanza mezzo seguieno
8.29 Diomede ed Ulisse, e ad agguati
8.30 andare ancor pensando mi parieno.
8.31 Vigoroso di dietro a loro armati
8.32 Patrocolo veniva ed Antenore,
8.33 ciascun con gli occhi ver la donna alzati.
8.34 Ercule v' era, il cui sommo valore
8.35 lungo saria a voler recitare,
8.36 per ch' ebbe già d' assai battaglie onore.
8.37 Anteo dopo lui vi vidi stare,
8.38 ch' ancor parea che 'n atto si dolesse
8.39 di ciò che già li fé Ercule provare.
8.40 Veniva poi Minòs, come se stesse
8.41 ancor davanti Atene tutto armato,
8.42 né d' Androgeo parea più li dolesse.
8.43 Oh quanto d' ira pareva infiammato,
8.44 d' ira e di mal talento Menelao
8.45 seguendo Agamenòn dal destro lato!
8.46 Il qual seguiva poi Protesselao,
8.47 bello e grazioso nello aspetto;
8.48 e dopo lui cavalcava Anfirao,
8.49 che' suoi lasciò ad oste nel conspetto
8.50 di Tebe, ruvinando a' dolorosi
8.51 c' hanno perduto il ben dello 'ntelletto.
8.52 Venian dopo costui, molto animosi,
8.53 insieme con Teseo Demofonte,
8.54 di toccar quella donna disiosi.
8.55 I qua' seguia con dolorosa fronte
8.56 Egeo, che per veder le vele nere
8.57 si gittò in mar dell' alta torre sponte.
8.58 Turno pareva quivi che di vere
8.59 lagrime avesse tutto molle il viso,
8.60 dogliendose del troian forestiere.
8.61 Eurialo ancora vera e Niso,
8.62 mostrandosi piagati come foro
8.63 ciascun di lor, l' un per l' altro conquiso.
8.64 Non molto spazio poi dietro a costoro
8.65 Latino sen veniva a piccol passo,
8.66 Pallante e Creso poi, e dopo loro
8.67 Giarba veniva nello aspetto lasso,
8.68 andandosi di Dido ancor dolendo
8.69 perché ad altro om di lui fece trapasso.
8.70 Helena dopo lui portava ardendo
8.71 di foco un gran tizzone, e pur costei
8.72 miravan molti se stessi offendendo.
8.73 Oreste niquitoso dopo lei
8.74 con un coltello in man seguiva fello,
8.75 nell' atto minacciando ancor colei
8.76 del corpo a cui uscì; e poi dop' ello
8.77 venia broccando la Pantasilea
8.78 lieta nel viso grazioso e bello.
8.79 Oh quanto ardita e fiera mi parea,
8.80 armata tutta, con un arco in mano,
8.81 con più compagne ch' ella seco avea!
8.82 Non era lì alcun che del sovrano
8.83 ed altier portamento maraviglia
8.84 non si facesse, tenendolo strano.
8.85 Non molto dopo lei venia la figlia
8.86 del re Latino lieta, e dopo Iole;
8.87 poi Deianira con bassate ciglia
8.88 ancora quivi d' Ercule si dole.
CANTO IX
9.1 Moveasi dopo queste quella Dido
9.2 cartaginese, che credendo avere
9.3 in braccio Giulio vi tenne Cupido.
9.4 Isconsolata giva, al mio parere,
9.5 chiamando in boci ancora: «Pio Enea,
9.6 di me, ti priego, deggiati dolere».
9.7 Ancora, com' io vidi, in man tenea
9.8 tutta smarrita quella spada aguta
9.9 che 'l petto le passò, che mi facea,
9.10 essendole lontan, nella veduta
9.11 ancor paura, non ch' a lei ch' ardita
9.12 fu dar di quella a sé mortal feruta.
9.13 Trista piangendo, in abito smarrita
9.14 e come can nella voce latrare,
9.15 Ecuba vidi con poca di vita.
9.16 Con lei la mesta Pulisena stare
9.17 quivi parea, in aspetto ancor sì bella
9.18 che me ne fé in me maravigliare.
9.19 Hoeta poi seguitava dop' ella,
9.20 piangendo a' Greci aver piaciuto mai,
9.21 quand' elli andar per le dorate vella.
9.22 Vedevasi colei che senti guai
9.23 Ercule partorendo, e dopo lei
9.24 Isifile dolente affigurai.
9.25 In abito crucciato con costei
9.26 seguia Medea crudele e dispietata;
9.27 con voce ancor parea dicere: «Omei,
9.28 se io più savia alquanto fossi stata
9.29 né sì avessi tosto preso amore,
9.30 forse ancor non sarei suta ingannata».
9.31 Eravi ancor Camilla che 'l dolore
9.32 della morte sentì, per Turno fiera,
9.33 mostrando ne' sembianti il suo vigore.
9.34 Non molto dopo lei ancora v' era,
9.35 col capo basso ed umil nel sembiante,
9.36 Ilia vestale vestita di nera,
9.37 portando in ciascun braccio un piccol fante,
9.38 Romolo e Remolo amendue nomati,
9.39 traendo lor quanto potea avante.
9.40 Ratto tra gli altri di sopra contati
9.41 si facea Foroneo, che prima diede
9.42 legge civile, acciò che ordinati
9.43 e suoi vivesser, sì come si crede;
9.44 e dopo lui venia Numa Pompilio
9.45 che lieta ne fé Roma, com si vede.
9.46 Dop' esso cavalcava Tulio Ostilio
9.47 ed Anco Marco ed il Prisco Tarquino,
9.48 e dopo lui seguia Tulio Servilio.
9.49 Ivi Tarquin Superbo e Collatino
9.50 pareano, e 'l re Porsenna che andando
9.51 ferocemente seguia lor camino.
9.52 Seguivali Cornelio ancor mostrando
9.53 l' inarsicciata man ch' uccise altrui,
9.54 che 'l core non volea, nescio fallando.
9.55 Il valoroso Bruto, per lo cui
9.56 ardir fu Roma da giogo reale
9.57 diliberata, seguiva; e con lui
9.58 Orazio Cocle v' era, per lo quale,
9.59 tagliato il ponte a lui dietro alle spalle,
9.60 libera Roma fu dal truscian male.
9.61 Dietro veniva quel Curzio ch' a valle
9.62 armato si gittò per la fessura,
9.63 in forse di sua vita o di suo calle,
9.64 intendendo a voler render sicura
9.65 piuttosto Roma e i suoi abitatori,
9.66 che di se stesso aver debita cura.
9.67 Seguia Fabrizio che gli eccelsi onori
9.68 più disiò che posseder ricchezza,
9.69 avendo que' per più cari e maggiori.
9.70 Eravi quel Metel ch' alla fierezza
9.71 di Giulio Tarpea tanto difese,
9.72 mostrando non curar la sua grandezza.
9.73 Riguardando oltre mi si fé palese
9.74 Curio, che diede per consiglio
9.75 ch' al presto sempre lo 'ndugiare offese.
9.76 Vedevavisi Mario che lo 'mpiglio
9.77 con Lucio Silla fé nella cittate,
9.78 mettendo a' colpi il padre contro al figlio.
9.79 Iuba ed Amilcare e Mitridate,
9.80 Manastabil e Codro v' era ancora,
9.81 e poi Giugurta voto di pietate.
9.82 Rigido nello aspetto vi dimora
9.83 Catellina, e pensando par che vada
9.84 allo essilio, che 'n vista ancor l' accora.
9.85 Evvi Cloelia appresso, che la strada
9.86 fece a' Roman quand' ella si fuggio
9.87 per lo Tevero in parte u' non si guada,
9.88 lo cui tornar Roma rinvigorio.
CANTO X
10.1 Ahi quivi fiero ed orgoglioso quanto
10.2 vi vid' io Annibal sopra un destriere,
10.3 ch' alli Roman levò riposo tanto!
10.4 Rubesto lì parea ancor tenere
10.5 Cartagine sub sé, col viso alzato
10.6 inver la donna andando a suo potere.
10.7 Asdrubal gli era dal sinistro lato
10.8 con non men di fierezza nello aspetto,
10.9 con una lancia cavalcando armato.
10.10 Coriolan, che lo 'nfiammato petto
10.11 ebbe contra' Romani, e giustamente,
10.12 quando leal cacciar lui per sospetto,
10.13 come vedendo quella umilemente,
10.14 che 'l generò, piegando la sua ira
10.15 a' preghi suoi, era quivi presente.
10.16 Oltre con gli altri andava ver la mira
10.17 bellezza della donna; dopo il quale,
10.18 come colui che tristo ancor sospira,
10.19 Massinissa seguiva, del suo male,
10.20 a freno abandonato cavalcando,
10.21 se stesso avendo poco a capitale.
10.22 Allegro Cincinnato seguitando
10.23 l' andava, e Persio poi, come potea,
10.24 giocondo sé nel sembiante mostrando.
10.25 Nobile nello aspetto si vedea
10.26 possente oltre venir intra costoro
10.27 Cesare, che in vista ancor ridea
10.28 d' avere a forza avuto da coloro
10.29 nome d' impero, che real dignitate
10.30 per istatuto avean cassa fra loro.
10.31 Ornato di bell' arme e coronate
10.32 le tempie avea di quelle fronde care,
10.33 che fur da Febo già cotanto amate.
10.34 Mirabilmente bell' a campeggiare
10.35 in uno scudo lo divino uccello
10.36 nero nell' or li vidi, ciò mi pare;
10.37 ancora in una lancia un pennoncello
10.38 che 'n man portava vidi, e simigliante
10.39 vi vidi quella ventilarsi in quello.
10.40 Di quanti a lui ve n' andasser davante
10.41 nullo ne fu che tanto mi piacesse
10.42 né tanto valoroso nel sembiante.
10.43 Appresso poi parea che li corresse
10.44 volonteroso e sì forte Ottaviano,
10.45 che dentro al cerchio già parea ch' avesse
10.46 messa più che nessun la destra mano:
10.47 bello era e nello aspetto grazioso
10.48 quanto alcun altro fosse mai mondano.
10.49 A lui seguiva poi molto pensoso,
10.50 palido nello aspetto, il gran Pompeo,
10.51 tal che di lui mi fé tornar pietoso,
10.52 mirando dietro a sé a Tolomeo
10.53 che il seguiva, cui fé re d' Egitto,
10.54 che poi uccider là vilmente il feo.
10.55 A loro Marco Antonio quiviritto
10.56 seguiva e Cleopatra ancor con esso,
10.57 che, in Cicilia, fuggì sanza rispitto,
10.58 ridottando Ottavian, perché commesso
10.59 le parea forse aver sì fatta offesa
10.60 che non sperava mai perdon da esso.
10.61 Ivi non potend' ella far difesa
10.62 al fuoco che l' ardeva forse il core
10.63 di libidine e d' ira, ond' era accesa,
10.64 a fuggir quello oltraggioso furore
10.65 con due serpenti in una sepoltura
10.66 sofferse sostener mortal dolore;
10.67 ed ancor quivi nella sua figura
10.68 palida, si vedeano i due serpenti
10.69 alle sue zizze dar crudel morsura.
10.70 Prima che questi, credo più di venti,
10.71 era 'l primo Africano Scipione,
10.72 ch' a Roma fé con sua forza ubbidenti
10.73 ritornar già, con degna punizione,
10.74 que' di Cartago che insuperbiti
10.75 eran per Annibal lor campione.
10.76 Ivi Cornelia in sembianti smarriti
10.77 seguia dietro a color, cui dissi suso
10.78 ch' avanti a Scipion non erano iti.
10.79 E poi che dopo ad essa, gli occhi in giuso,
10.80 Traian vidi venir e dopo lui
10.81 Marzia col viso di lagrime infuso,
10.82 Giulia veniva poi dietro; con cui,
10.83 in atti riposati e mansueta,
10.84 quasi alle spalle a Cesare, di cui
10.85 honesta sposa fu, Calpurnia lieta
10.86 venia, sanza parer che disiasse
10.87 altro veder che lui, e in lui quieta
10.88 ogni altra voglia che la stimolasse.
CANTO XI
11.1 Venian dopo costor gente gioconda
11.2 ne' loro aspetti, tutti cavalieri
11.3 chiamati della Tavola ritonda.
11.4 Il re Artù quivi era de' primieri,
11.5 a tutti armato avanti cavalcando
11.6 ardito e fiero sopra un gran destrieri.
11.7 Seguialo appresso Bordo spronando
11.8 e con lui Prezivalle e Galeotto
11.9 a picciol passo insieme ragionando.
11.10 E dietro ad essi venia Lancillotto,
11.11 armato e nello aspetto grazioso,
11.12 con una lancia in man, sanza far motto,
11.13 ferendo spesso il caval poderoso
11.14 per appressarsi alla donna piacente,
11.15 di cui toccar pareva disioso.
11.16 Oh quanto adorna quivi ed eccellente
11.17 allato a lui Ginevra seguitava,
11.18 in su un palafreno orrevolmente!
11.19 Stella mattutina somigliava
11.20 la luce del suo viso, ove biltate
11.21 quanto fu mai tututta si mostrava.
11.22 Sorridendo negli atti, di pietate
11.23 piena e parlando a consiglio segreto
11.24 con tacite parole ed ordinate,
11.25 era con que' che già ne visse lieto
11.26 lunga fiata, lei sanza misura
11.27 amando, ben che poi n' avesse fleto.
11.28 Non molto dietro ad esso con gran cura
11.29 seguiva Galeotto, il cui valore
11.30 più ch' altro de' compagni si figura.
11.31 E lui seguiva Chedino ed Astore
11.32 di Mare insieme con messer Ivano,
11.33 disiosi ciascuno di più onore.
11.34 L' Amoroldo d' Irlanda ed Agravano,
11.35 Palamidès seguiva e Lionello,
11.36 e Polinoro con messer Calvano.
11.37 Mordretto appresso e con lui Dodinello,
11.38 e 'l buon Tristan seguiva poi appresso
11.39 sopra un cavallo poderoso e isnello.
11.40 Isotta bionda allato allato ad esso
11.41 venia, la man di lui con la sua presa
11.42 e rimirandol nella faccia spesso.
11.43 Oh quanto ella parea nel viso offesa
11.44 dalla forza d' amor, di che parea
11.45 ch' avesse l' alma dentro tutta accesa,
11.46 di che negli atti fuor tutta lucea!
11.47 «Tu se' colui cui io sola disio»,
11.48 timida nello aspetto li dicea;
11.49 «in qua ti priego ch' alquanto, amor mio,
11.50 tu ti rivolghi, acciò ch' io vegga il viso
11.51 per cui vedere in tal camin m' invio».
11.52 Retro a costor sopra un cavallo assiso
11.53 rubesto e fiero Brunoro venia,
11.54 ed altri molti, i qua' qui non diviso,
11.55 eran con lui; ma io, la vista mia
11.56 dopo la lunga schiera discendendo,
11.57 conobbi più mirabil baronia.
11.58 Di porpore vestito, oltre correndo,
11.59 quel Carlo Magno sen veniva avante
11.60 ch' al mondo fu cotanto reverendo,
11.61 in su un forte e gran destrier ferrante,
11.62 ancora de' triunfi coronato
11.63 ch' egli acquistò sopra le terre sante,
11.64 fiero ed ardito e tutto quanto armato,
11.65 co' gigli d' oro nel campo cilestro
11.66 e 'l nero uccel davanti nel dorato.
11.67 Eravi Orlando dal lato sinestro
11.68 con una spada in man fiero ed ardito,
11.69 ed Ulivier lo seguiva dal destro.
11.70 Cavalcando tra questi oltre pulito,
11.71 da Montalban Rinaldo giva avanti
11.72 intra due suoi fratelli reverito.
11.73 Tra loro era Dusnamo con sembianti
11.74 lieti, e molti altri ancor v' eran li quali
11.75 io non pote' conoscer tutti quanti.
11.76 Oltre venia, che parea ch' avesse ali,
11.77 il duca Gottifré dopo costoro
11.78 per volere esser pur de' principali.
11.79 Appresso lui seguiva con coloro
11.80 umilemente Ruberto Guiscardo,
11.81 che fu signor già in Terra di Lavoro.
11.82 Lui seguitava frontiero e gagliardo
11.83 Federigo secondo; e 'l Barbarossa
11.84 sopr' un forte roncion di pel leardo,
11.85 cavalleroso e di persona grossa,
11.86 dritto sovra le strieve in atto altiero,
11.87 nel sembiante avilendo ogni altra possa,
11.88 via se ne giva per esser primiero.
CANTO XII
12.1 Non sanza molta ammirazion mirando
12.2 m' andava riguardando quella gente,
12.3 fra me di lor pensier nuovi recando.
12.4 Parevami, nel creder, veramente
12.5 che loro eccelsa fama gloriosi
12.6 far li dovesse sempiternamente.
12.7 E fra gli altri che molto disiosi
12.8 negli atti si mostravan di venire
12.9 a quella donna per esser famosi,
12.10 robustamente in aspetto seguire,
12.11 armato tutto sopra un gran destriere,
12.12 vid' io quivi un grandissimo sire
12.13 vestito di cilestro, al mio parere,
12.14 lucente tutto di be' gigli d' oro
12.15 ch' ogni altra luce facean trasparere.
12.16 Ognun, qualunque fosse di coloro
12.17 che gian davanti, rimirava lui,
12.18 sì fiero andava fuggendo dimoro.
12.19 Se ben ricordo, e' mi parve costui
12.20 quel Carlo ardito ch' ebbe il maschio naso
12.21 insieme con virtù molta, da cui
12.22 tutto il pugliese regno fu invaso
12.23 e conquistato, e funne coronato;
12.24 del qual signore il suo seme è rimaso.
12.25 Rimirandosi innanzi quasi irato,
12.26 con una spada che in man tenea
12.27 da ogni parte si facea far lato.
12.28 Appresso a lui, al mio parer, vedea
12.29 il Saladin risplender tutto quanto
12.30 entro ad un drappo ad or che 'ndosso avea.
12.31 Costui seguiva dal sinistro canto
12.32 tututto armato Ruggier di Loria,
12.33 che in arme ebbe già valor cotanto.
12.34 Ontoso tutto appresso li venia
12.35 il re Manfredi e con dolente aspetto,
12.36 e con lui Curradino in compagnia.
12.37 Rietro a costoro assai che io non metto
12.38 qui ne seguien, però che troppo avrei
12.39 a fare a dirli tutti ed il mio detto
12.40 tireria lungo più ch' io non vorrei,
12.41 posto ch' alla man manca ed alla dritta,
12.42 ch' io non ne conto, più ne conoscei.
12.43 E la mia mente dal disio trafitta
12.44 di vedere oltre pur mi stimolava,
12.45 per che la vista non teneva fitta.
12.46 Similemente quella con cui andava,
12.47 con le parole sue faccendo fretta,
12.48 sovente all' altre cose mi chiamava.
12.49 Il dir ch' io le faceva: -- Un poco aspetta --
12.50 non mi valeva, per ch' io mi voltai
12.51 verso la terza faccia a man diretta.
12.52 Aveavi certo da mirare assai
12.53 più ch' io dir non potrò, tal che 'n me stesso
12.54 assai fiate men maravigliai.
12.55 Con gli occhi alzati mi feci più presso
12.56 al detto luogo, acciò ch' io conoscessi
12.57 chi e che cose vi stessero in esso.
12.58 Oro ed argento, un gran monte, e con essi
12.59 zaffiri ed ismeraldi con rubini
12.60 ed altre pietre assai credo vedessi.
12.61 Riguardando più basso, con uncini,
12.62 chi con picconi e chi avea martello
12.63 e chi con pale e chi con gran bacini,
12.64 ronconi alcuni ed altri intorno ad ello
12.65 con l' unghie e chi col dente, uno infinito
12.66 popol vi vidi per pigliar di quello.
12.67 E ciaschedun parea pronto ed ardito,
12.68 non onorando il piccolo il maggiore,
12.69 a suo poter fornia suo appetito.
12.70 Gente v' avea di molto gran valore
12.71 in vista, avvegna che la lor viltate
12.72 pur si scopria, veggendo con romore
12.73 gli altri, che quivi per cupiditate
12.74 givan, cacciarli con duoli e con morte
12.75 per prendern' essi maggior quantitate,
12.76 iniqua tirannia rubesta e forte
12.77 usando, chi con fatti e chi con detti,
12.78 prendendo più che la dovuta sorte.
12.79 Alcun v' avea che i loro mantelletti
12.80 se n' avean pieni, e per volerne ancora
12.81 abbandonavan tutti altri diletti.
12.82 Tra quella gente che quivi dimora
12.83 conobb' io molti, e vidivene alcuno
12.84 ch' aver preso di quello ora ne plora
12.85 e forse ne vorrebbe esser digiuno;
12.86 ma, cosa fatta, penter non vi vale,
12.87 né puolla adietro ritornar nessuno:
12.88 adunque ogni uom si guardi di far male.
CANTO XIII
13.1 Mirand' io quella turba sì gulosa
13.2 di quel per che s' affanna la più gente,
13.3 per esserne nel mondo copiosa,
13.4 entrato infra 'l tesoro più fervente
13.5 vi vid' io Mida, in vista che sazia
13.6 saria di tutto appena possedente,
13.7 non bastandoli avere avuta grazia
13.8 dall' iddii che ciò che e' toccasse
13.9 ritornasse oro ver sanza fallazia.
13.10 Di rietro a lui parea che ne tirasse
13.11 giù Marco Crasso assai, avvegnadio
13.12 che della bocca ancor li traboccasse.
13.13 Allato a lui con isciolto disio
13.14 quell' Attila che 'n terra fu flagello
13.15 s' affaticava forte, al parer mio,
13.16 nelle sue man tenendo uno scarpello
13.17 con un martel, fierendo sopra 'l monte,
13.18 gran pezzi e grossi levando di quello.
13.19 Dall' altra parte con superba fronte
13.20 era Epasto, con un piccone in mano
13.21 con punte agute bene ad entrar pronte.
13.22 Ognor che su vi dava non invano
13.23 tirava il colpo a sé, ma gran cantoni
13.24 giù ne faceva ruvinare al piano,
13.25 impiendo di quel sé e' suoi predoni
13.26 ed ogni sciolta voglia adoperando,
13.27 dannando le giustizie e le ragioni.
13.28 Là vi vid' io ancora furiando
13.29 Nerone imperadore, ed avea tesa
13.30 sopra 'l monte una rete e già tirando
13.31 molta gran quantità n' aveva presa
13.32 di quel tesoro, e qual gittava via
13.33 e qual mettea in disordinata spesa.
13.34 Ivi di dietro un poco a lui seguia
13.35 con una scure in man Polinestore,
13.36 e quanto più potea quivi feria,
13.37 ora col colpo faccendo romore,
13.38 ora mettendo biette alla fessura
13.39 quando la scure sua tirava fore,
13.40 forse temendo che non l' apritura
13.41 si richiudesse; e molto ne levava
13.42 continovando pur con la sua cura.
13.43 Appresso lui tutto 'l monte graffiava
13.44 Pignaleon con uno uncino aguto,
13.45 e molto giuso a sé ne ritirava.
13.46 L' acerbo Dionisio conosciuto
13.47 v' ebbi mirando fra la gente folta,
13.48 ch' a tor dell' oro non voleva aiuto.
13.49 Là si ficcava tra la turba molta
13.50 con un roncone in man tagliando, e presto
13.51 di quello a piè si faceva raccolta,
13.52 impiendo con affanno il suo molesto
13.53 voler, cacciando misura e piatate
13.54 in modo sconcio assai e disonesto.
13.55 Rubesto appresso la sua crudeltate
13.56 Fallarìs dimostrava, ricidendo
13.57 con una accetta una gran quantitate
13.58 e via di quindi di quel trasferendo;
13.59 poi, arrotata la 'ngrossata accetta,
13.60 ancora quivi tornava correndo.
13.61 Con furiosa e minaccevol fretta
13.62 quivi si vedea Pirro accompagnato
13.63 con mal disposta e dispiacevol setta.
13.64 A molti lì per forza avean levato
13.65 a cui cesta di collo, a cui di seno
13.66 avean rubato l' or ch' avean cavato.
13.67 Ridendo poi fra lor se ne facieno
13.68 beffe ed istrazio di que' cattivelli,
13.69 ch' a cavar quel fatica avuta avieno.
13.70 Ancora vid' io star presso di quelli
13.71 il dispietato ed iniquo Tereo,
13.72 di quel tesoro prender nel quale elli
13.73 fatica non durò mai come feo
13.74 quelli a cui toglieva; e dopo lui
13.75 pien d' oro dimorava Tolomeo.
13.76 Ivi era Fisistrato, per la cui
13.77 cura più scrigni ripieni e calcati
13.78 quivi ne vidi tirati da lui.
13.79 Avea in un lembo de' panni piegati
13.80 Siragusan Geronimo tesoro:
13.81 egli e molti altri ne gian caricati.
13.82 Ma di Novara Azzolin con costoro
13.83 con molto se ne giva, per tornare
13.84 con maggior forza a sì fatto lavoro.
13.85 Molti altri ancora vi vidi cavare
13.86 ed isforzarsi per volerne avere,
13.87 ma niente era il loro adoperare,
13.88 anzi oziosi stavano a vedere.
CANTO XIV
14.1 Più altra gente ancor v' avea, fra' quali
14.2 gran quantità di nuovi Farisei
14.3 ad aver del tesoro battean l' ali,
14.4 e sconfortando gli altri e come rei
14.5 erano a posseder nel lor parlare
14.6 mostrando; e s' io nel rimirar potei
14.7 riguardar vero il loro adoperare,
14.8 per possederne maggior quantitate
14.9 li vi vedeva forte affaticare.
14.10 Correndo sen portavan caricate
14.11 le some, e con iscrigni e piene ceste
14.12 si ritornavan quivi molte fiate.
14.13 Ver è che ben ch' avesser lunghe veste
14.14 non gli ingombrava però, ma parea
14.15 che più che gli altri avesser le man preste.
14.16 Infra lor riguardando, assai v' avea
14.17 di quelli cui altra volta avea veduti
14.18 e ch' io per nome ben riconoscea.
14.19 Li quali, però che son conosciuti,
14.20 non bisogna ch' io nomi, ben che pari
14.21 potrebbono esser tututti tenuti.
14.22 Con questi avanti, al mio parer non guari,
14.23 quasi tra quei ch' erano più eccellenti
14.24 e che parean de' su detti vicari,
14.25 ornato di be' drappi e rilucenti
14.26 il nipote vid' io di quel Nasuto,
14.27 che gloriar si va co' precedenti,
14.28 recarsi in mano un forte biccicuto,
14.29 dando ta' colpi sopra 'l monte d' oro,
14.30 che di ciascun saria un mur caduto;
14.31 e d' esso assai levava, e quel tesoro
14.32 in parte oscura tutto si serbava,
14.33 e quasi più n' avea ch' altro di loro.
14.34 Oltre grattando il monte dimorava
14.35 con aguta unghia un, ch' al mio parere
14.36 in molte volte poco ne levava.
14.37 Con questo tanto forte quel tenere
14.38 in borsa li vedea, ch' a pena esso,
14.39 non ch' altro alcun, ne potea bene avere.
14.40 Al qual faccendom' io un poco appresso
14.41 per conoscer chi fosse apertamente,
14.42 vidi che era colui che me stesso
14.43 libero e lieto avea benignamente
14.44 nudrito come figlio, ed io chiamato
14.45 aveva lui e chiamo mio parente.
14.46 Davanti e poi e d' uno e d' altro lato
14.47 tanti su per lo monte e giù scendieno
14.48 a prender del tesoro disiato:
14.49 ogni lingua verrebbe a dirlo meno,
14.50 però qui m' aggia lo lettore alquanto
14.51 scusato s' io non gli ritraggo a pieno.
14.52 Quand' io ebbi costor mirati tanto
14.53 ch' a me stesso increscea, io mi voltai,
14.54 com' altri volle, verso il destro canto.
14.55 Ver è che disiato avrei assai
14.56 d' essere stato della loro schiera,
14.57 se con onor potesse esser giammai.
14.58 E s' io vi fossi stato, come v' era
14.59 alcun ch' io vi conobbi, io avrei fatto
14.60 sì che veduta fora la mia cera
14.61 credo più volentier da tal che matto
14.62 or mi riputa, però che i' ho poco,
14.63 e più caro m' avrebbe in ciascun atto.
14.64 Hai lasso, quanto nelli orecchi fioco
14.65 risuona altrui il senno del mendico!
14.66 né par che luce o caldo abbia 'l suo foco,
14.67 e 'l più caro parente gli è nimico;
14.68 ciascun lo schifa, e se non ha moneta
14.69 alcun non è che 'l voglia per amico.
14.70 Unque s' ogni uomo pur di quello asseta,
14.71 mirabile non è, poiché virtute
14.72 sanza danari nel mondo si vieta;
14.73 il cui valor se fosse alla salute
14.74 di quel pensato che uom pensar dee,
14.75 non le ricchezze sarian sì volute.
14.76 Ma io mi credo che parole ebree
14.77 parrebbono a ciascun chiaro intelletto
14.78 il dir che le ricchezze fosser ree,
14.79 avvegna che in me questo difetto
14.80 piuttosto che in altro caderia,
14.81 tanto disio d' averne con effetto.
14.82 Né da tal disiderio mi trarria
14.83 alcun, tanto il pregar mi par noioso
14.84 che di danar sovvenuto mi sia.
14.85 Dopo molto pensar, disideroso
14.86 di veder tutto, dirizzai il viso:
14.87 e vidi figurato poderoso
14.88 Amor, sì come qui sotto diviso.
CANTO XV
15.1 Quella parte dov' io or mi voltai
15.2 con gli occhi riguardando e con la mente,
15.3 di storie piena la vidi e d' assai.
15.4 Volendo adunque d' esse pienamente,
15.5 almen delle notabili, parlare,
15.6 rallungar si convien l' opra presente.
15.7 E però dico che, nel riguardare
15.8 ch' io feci, a guisa d' un giovane prato
15.9 tutta la parte vidi verdeggiare,
15.10 similemente fiorito e adornato
15.11 d' alberi molti e di nuove maniere,
15.12 e l' esservi parea gioioso e grato.
15.13 Tra' quali, in mezzo d' esso, al mio parere,
15.14 un gran signor di mirabile aspetto
15.15 vid' io sopra due aquile sedere;
15.16 al qual mentre io mirava con effetto,
15.17 sopra due lioncelli i piè tenea
15.18 ch' avean del verde prato fatto letto.
15.19 Una bella corona in capo avea
15.20 e li biondi cape' sparti sott' essa,
15.21 che un fil d' oro ciaschedun parea.
15.22 Il viso suo come neve mo' messa
15.23 parea, nel qual mescolata rossezza
15.24 aveva convenevolmente ad essa.
15.25 Sanza comparazion la sua bellezza
15.26 era, ed aveva due grandi ali d' oro
15.27 alle sue spalle, stese inver l' altezza.
15.28 In man tenea una saetta d' oro
15.29 ed un' altra di piombo, alla reale
15.30 vestito, al mio parer, d' un drappo ad oro.
15.31 Orrevolmente là il vedea cotale,
15.32 tenendo un arco nella man sinestra,
15.33 la cui virtù sentir già molti male.
15.34 Né però era sua sembianza alpestra
15.35 ma giovinetta e di mezzana etate,
15.36 dimestica e piatosa e non silvestra.
15.37 E 'ntorno avea sanza fine adunate
15.38 genti, le qua' parea che ciascheduno
15.39 mirasse pure a sua benignitate.
15.40 Gai e giocondi ve ne vidi alcuno,
15.41 tristi e dolenti sospirando gire
15.42 altri vi vidi, in isperanza ognuno.
15.43 Io che mirava il grazioso sire,
15.44 immaginando molto il suo valore
15.45 per molti ch' io vidi a lui servire,
15.46 ornata come lui, con grande onore
15.47 li vidi allato una donna gentile,
15.48 la qual pareva sì com' elli Amore,
15.49 vaga nelli occhi, piatosa ed umile;
15.50 ver è ch' era d' alloro coronata,
15.51 ed in tanto era ad Amor dissimile.
15.52 Angiola mi pareva nel ciel nata,
15.53 e in me più volte pensai ch' ella fosse
15.54 quella che in Cipri già fu adorata.
15.55 Non so quel che il cor mi sì percosse
15.56 mirando lei, se non che l' alma mia
15.57 pavida dentro tutta si riscosse,
15.58 né sanza a lei pensar fu poi né fia:
15.59 sì eccellente e tanto graziosa
15.60 quivi allato ad Amor vidi lucia.
15.61 In fronte a lei, più ch' a altra valorosa,
15.62 due belli occhi lucean sì che fiammetta
15.63 parea ciascuno d' amor luminosa;
15.64 e la sua bocca bella e piccioletta
15.65 vermiglia rosa e fresca simigliava,
15.66 e parea si movesse sanza fretta.
15.67 Dintorno a sé tutto il prato allegrava,
15.68 come se stata fosse primavera,
15.69 col raggio chiar che 'l suo bel viso dava.
15.70 Io non credo ch' al mondo mai pantera
15.71 col suo odor già anima' tirasse,
15.72 faccendoli venir dovunque s' era
15.73 blandi e quieti, ch' a lei simigliasse;
15.74 e sì parean mirabili i suoi atti,
15.75 ch' Amor pareva lì s' innamorasse.
15.76 Oh come nello aspetto, in detti e 'n fatti,
15.77 savia parea, con alto intendimento,
15.78 pensando a' suo' sembianti ed a' suoi tratti!
15.79 Contemplando ad Amore il suo talento
15.80 parea fermasse en la sua chiara luce:
15.81 com' aquila a' figliuo' nel nascimento
15.82 con amor mostra ond' ella li produce
15.83 a seguir sua natura, così questa
15.84 credo che faccia a chi la si fa duce.
15.85 A rimirar contento questa onesta
15.86 donna mi stava, che in atti dicesse
15.87 parea parole assai piene di festa,
15.88 come lo 'mmaginar par che intendesse.
CANTO XVI
16.1 Costei pareva dir negli atti soi:
16.2 «Io son discesa della somma altezza
16.3 e son venuta per mostrarmi a voi.
16.4 Il viso mio, chi vuol somma bellezza
16.5 veder, riguardi, là dove si vede
16.6 accompagnata lei e gentilezza.
16.7 Ò pietà per sorella e di merzede
16.8 fontana sono: Iddio mi v' ha mandata
16.9 per darvi parte del ben che possiede.
16.10 Donna più ch' altra sono innamorata
16.11 e ma' isdegno in me non ebbe loco,
16.12 però Amor m' ha cotanto onorata.
16.13 Ancor risplende in me tanto il suo foco,
16.14 che molti credon talor ch' io sia ello,
16.15 avvegna che da lui a me sia poco.
16.16 Cortese e lieta son di lui vasello,
16.17 né mai mi parran duri i suoi martiri
16.18 pensando al dolce fin che vien da quello.
16.19 E bene è cieco quei che' suoi disiri
16.20 si crede sanza affanno aver compiuti
16.21 e sanza copia di dolci sospiri.
16.22 Riceva in pace dunque i dardi aguti,
16.23 ch' alcun piacer di belli occhi saetta
16.24 que' che attendon d' esser proveduti.
16.25 Tal, qual vedete, giovane angioletta
16.26 qui accompagno Amor che mi disia:
16.27 poi tornerò al cielo a chi m' aspetta».
16.28 Ancor più intesi, ma la fantasia
16.29 nol mi ridice, sì gran parte presi
16.30 di gioia dentro nella mente mia
16.31 lei rimirando e' suoi atti cortesi,
16.32 il chiaro aspetto e la mira biltate,
16.33 della qual mai a pien dir non porriesi.
16.34 Dallato Amor con tanta volontate
16.35 vidi mirarla, che nel bello aspetto
16.36 tutto si dipingeva di pietate.
16.37 Ognora a sé con la sua mano il petto
16.38 tastando, quasi non si avesse offeso
16.39 perché a guardarla avea tanto diletto.
16.40 Io stetti molto a lei mirar sospeso
16.41 per guardar s' io l' udissi nominare
16.42 o i' 'l vedessi scritto brieve o steso.
16.43 Lì nol vidi né 'l seppi immaginare,
16.44 avvegna che, com' io dirò appresso,
16.45 in altra parte poi la vidi stare
16.46 dond' io il seppi, e lì il dico espresso:
16.47 però chi quello ha voglia di sapere
16.48 fantasiando giù cerchi per esso.
16.49 Omè, che lei mirando il mio volere
16.50 non avrei sazio mai! ma stretta cura
16.51 di mirare altro mi mise in calere.
16.52 Levando adunque gli occhi inver l' altura
16.53 vidi quel Giove che 'n forma di toro
16.54 non già rubesto mutò sua figura,
16.55 che quivi avendo per umil dimoro
16.56 Europa sottratta a cavalcarsi,
16.57 per me' compier l' avvisato lavoro,
16.58 e' parea quindi correndo levarsi
16.59 e gir su per lo mar, come cacciato
16.60 fosse, e poi pianamente posarsi
16.61 in quel paese che poi fu nomato
16.62 da quella che da dosso si dispose,
16.63 ripigliando sua forma innamorato.
16.64 Nel loco poi con parole pietose
16.65 pareva a me che la riconfortasse
16.66 narrando ancor le sue piaghe amorose;
16.67 ma con disio parea poi l' abracciasse,
16.68 e con diletto l' avuto disio
16.69 sanza contasto parea terminasse.
16.70 Alquanto appresso ancora questo iddio
16.71 com' una gotta d' oro risplendente
16.72 trasformato e cadendo, lui vid' io
16.73 gittarsi in una torre prestamente
16.74 ad una giovinetta ch' entro v' era,
16.75 per ben guardarla, chiusa strettamente;
16.76 il qual forse l' amava oltra maniera
16.77 dovuta, ed infra le bianche tette
16.78 e belle in piova gir lasciato s' era.
16.79 Né dello inganno già saper cevette
16.80 quella, ma lui ritenne nascoso
16.81 e guadagnato forse aver credette.
16.82 Alla vera statura luminoso
16.83 quivi vedeasi tornato e costei
16.84 abracciando e basciando, disioso
16.85 riguardando essa, né giammai da lei
16.86 partir sanza il disiato giugnimento;
16.87 di che parea ch' ella dicesse: «Omei,
16.88 ch' io son gabbata dal tuo argomento».
CANTO XVII
17.1 Hai! come bella seguiva una storia
17.2 della figliuola d' Inaco, mi pare,
17.3 se ben mi rappresenta la memoria.
17.4 Era lì Giove, e vedendo tornare
17.5 sola dal padre quella giovinetta,
17.6 il suo disio le vedeva narrare.
17.7 Lungo un boschetto con essa soletta,
17.8 sotto piacevoli ombre con costei
17.9 star lo vedea sopra la verde erbetta.
17.10 Ma così dimorandosi con lei,
17.11 Giuno vi sopravenne furiosa
17.12 temendo dello inganno fatto a lei.
17.13 Intanto la persona graziosa
17.14 Giove di quella in una vacca bella
17.15 mutò, e lei donò alla sua sposa.
17.16 Or poi che Giuno aveali presa quella,
17.17 per tema forse di simile offesa,
17.18 Argo pien d' occhi guardian fece d' ella.
17.19 Colui appresso, che l' aveva presa
17.20 a guardia, in atto un pastor chiamava,
17.21 ch' una sampogna sonar gli avea intesa.
17.22 Hatlanciade, quel pastor, v' andava,
17.23 sotto alberi sonando dolcemente
17.24 con colui quivi riposando stava.
17.25 Onde sonando, vedea chetamente
17.26 con tutti e cento gli occhi ch' Argo avea
17.27 addormentarsi e non sentir niente.
17.28 Rigido poi l' altro pastor vedea
17.29 trarsi di sotto un ritorto coltello,
17.30 col qual colui prestamente uccidea.
17.31 Fu lì da Giuno mutato in suo uccello,
17.32 la quale irata poi parea seguire
17.33 la vacca per cui era morto quello.
17.34 A lei davanti vedeasi fuggire
17.35 e già tenea il Nil, quando lo dio
17.36 Giuno rattemperò e le sue ire.
17.37 Così tornò ogni bellezza ad Io,
17.38 ch' ell' ebbe mai, e lasciò la pigliata
17.39 forma bestial che Giove le diè pio.
17.40 E poi la vidi lì deificata,
17.41 e dalla gente lì divota assai
17.42 con molti incensi la vidi onorata.
17.43 Dopo essa alquanto avanti riguardai
17.44 e 'l detto iddio in forma feminile
17.45 in un fronzuto bosco affigurai;
17.46 e riguardando lui, che nel gentile
17.47 aspetto e bello Diana mi pareva,
17.48 negli atti suoi mansueto ed umile,
17.49 là affannato forse si sedeva
17.50 ed un forte arco con molte saette
17.51 dal suo sinistro lato posto aveva.
17.52 Lui mirando una delle giovinette
17.53 che per lo bosco con Diana gia,
17.54 che questi dessa fosse si credette;
17.55 a lui venendo in atto onesta e pia
17.56 per lei basciar, ché forse consueto
17.57 era, sicura prese la sua via.
17.58 Ver lei si fece Giove, e tutto lieto
17.59 prendendola la trasse seco appresso
17.60 entro in un luogo del bosco segreto;
17.61 ove basciando lei, essa con esso
17.62 si stava cheta, che semplice e pura
17.63 aveva rotto il boto già commesso.
17.64 Sola lì mi parea che con paura
17.65 gravida rimanesse di colui
17.66 che la 'ngannò sotto l' altrui figura.
17.67 Tacquesi un tempo la donna nel cui
17.68 ventre piacevol peso era nascoso,
17.69 ma pur convenne poi paresse altrui,
17.70 ricevend' ella allora dal grazioso
17.71 coro di Diana l' esserne divisa:
17.72 di che poi Giove, essendone piatoso,
17.73 a lei diè forma d' Orsa e fella assisa
17.74 essere intorno al pol piena di stelle,
17.75 per guiderdon della colpa commisa.
17.76 Bianco, al mio parer, di dietro a quelle
17.77 istorie il vidi in cigno figurato,
17.78 con bianche penne rilucenti e belle.
17.79 In dentro andando se l' avea pigliato
17.80 nelle sue braccia disiosa Leda,
17.81 e 'n camera di lei l' avea portato.
17.82 Là come tosto la infinta preda
17.83 si vide inchiuso, lieto ritornossi
17.84 nella sua vera e consueta sceda.
17.85 Tutta negli atti Leda marvigliossi,
17.86 ma concedendo sé alla sua voglia,
17.87 quivi mostrava come racchetossi
17.88 acciò che luogo avesse en l' alta soglia.
CANTO XVIII
18.1 Dopo costei si vedea seguitare
18.2 come di Semelè già gli arse il core,
18.3 e come l' ebbe ancora vi si pare.
18.4 Ornata come vecchia e di dolore
18.5 piena era quivi Giuno, invidiosa
18.6 perché Giove portava a quella amore;
18.7 nascosa in forma tale, la graziosa
18.8 giovine domandava s' ella fosse
18.9 ben dell' amor di Giove copiosa.
18.10 Nel viso a riso a quel parlar si mosse
18.11 non conoscendo lei, e le rispose:
18.12 «Altro che me non disian sue posse».
18.13 Allor si turbò Giuno, ma l' ascose
18.14 con falso aspetto, e disse: «Ora ti guarda
18.15 ch' e' non ti inganni con viste frodose.
18.16 Più furon quelle già cui la bugiarda
18.17 vista ingannò, ed io ne so alcuno;
18.18 ma se tu vuo' saper se per te arda,
18.19 istea con teco dì come con Giuno.
18.20 Se elli il fa, ben ti dico ch' allora
18.21 dirò che non ci sia 'nganno nessuno;
18.22 e fa che 'l facci». E sanza far dimora
18.23 da lei si dipartia; questa aspettando
18.24 rimase con disio la sua malora.
18.25 Tacita e sola così dimorando,
18.26 parve che Giove nella casa entrasse,
18.27 a cui ella così dicea pregando:
18.28 «Or neghera'mi tu, s' io domandasse,
18.29 un caro dono?» a cui e' rispondea,
18.30 e rispondendo parea che giurasse
18.31 sé a ciò non mancar ch' ella volea.
18.32 «Come con Giuno ti congiugni», disse,
18.33 «così con meco ti priego che stea».
18.34 Ahi come a Giove dolfe! ma non sdisse
18.35 quel che 'mpromise, ma invito quello
18.36 fé, perché 'l saramento non perisse.
18.37 Rilucer lì d' un foco grande e bello
18.38 Semelè si vedeva e in cener trita
18.39 ritornar tosto giacendo con ello.
18.40 E così trista finì la sua vita
18.41 per lo disio che 'l consiglio dolente
18.42 le porse, e Giuno rimase gioita.
18.43 Conforme poi si vedea similmente
18.44 Asterien ad aquile seguire,
18.45 cui elli amava molto coralmente.
18.46 Allato a lei ed or di sopra gire
18.47 per alti boschi quivi si vedeva,
18.48 e poi con l' ali lei presa covrire.
18.49 Molto dubbiosa lì quella pareva,
18.50 per che rivolta contra il grande iddio
18.51 con fievol possa cacciar lo voleva.
18.52 Valeale poco, però che 'l disio
18.53 suo ne prendeva que', come che a lei
18.54 ne' suoi sembianti le paresse rio.
18.55 Nel luogo appresso si vedea colei
18.56 che partorì i due occhi del cielo,
18.57 secondo che apparve agli occhi miei.
18.58 Assai timida, l' isola di Delo
18.59 la riteneva quasi fuggitiva,
18.60 umile e piana sotto bianco velo.
18.61 Soletta appresso Antiopa seguiva,
18.62 con la qual quivi Giove in forma quale
18.63 un satiro, alla mia stimativa.
18.64 Ove allato sedeale e quanto male
18.65 amor per lei li facesse narrava,
18.66 né come alcun rimedio ve li vale.
18.67 Assai negli atti suoi la lusingava,
18.68 tanto che 'nfine alla sua volontate
18.69 con impromesse e prieghi la recava.
18.70 Vedeasi appresso quivi la biltate,
18.71 in una storia che venia, d' Almena
18.72 piena di grazia e di tutta onestate,
18.73 in suoi sembianti gioconda e serena;
18.74 a cui Giove, in forma del marito
18.75 che dallo studio tornava d' Atena,
18.76 tutto il suo disio avea compito.
18.77 Vedevavisi Geta doloroso
18.78 perché un altro n' avea 'n casa sentito.
18.79 Appresso v' era Birria nighittoso
18.80 caricato di libri; al picciol passo
18.81 parea venisse tutto dispettoso,
18.82 sanza alcun ben, dicendo: «Oimè lasso,
18.83 quando sarà ch' i' posi questo peso
18.84 che sì m' affolla, ponendolo abbasso?».
18.85 Inver lo ciel ne gia, poi ch' ebbe preso
18.86 Giove il diletto che di lei li piacque,
18.87 pregna lasciandola, al salire inteso:
18.88 di cui appresso il forte Ercule nacque.
CANTO XIX
19.1 Ivi più non seguia, perché finiva
19.2 quella facciata con gli antichi autori
19.3 che stanno innanzi a quella donna diva.
19.4 Laond' io torna'mi inver li predatori,
19.5 ricominciando a quel canto primiero
19.6 a rimirar gli antichissimi amori.
19.7 Ed umile tornato v' era il fiero
19.8 Marte, prencipe d' arme fatto amante,
19.9 per la qual cosa più non era altiero.
19.10 Con tal disio il piacevol sembiante
19.11 mirava della bella Citerea,
19.12 che non parea che più curasse avante.
19.13 Tra que' luoghi medesmi mi parea
19.14 con essa lui veder dentro ad un letto,
19.15 dintorno al quale, al mio parere, avea
19.16 ordinata di ferro tutto eletto
19.17 una rete sottil che gli avea presi,
19.18 come per coglier loro in quel diletto.
19.19 Sovra la sua vergogna i lacci tesi
19.20 avea Vulcano, il qual veder venia
19.21 ridendosi d' averli sì offesi.
19.22 Aveva quivi ciascun dio e dia,
19.23 che nel ciel fosse, tututti chiamati
19.24 Vulcan, per mostrar lor cotal follia.
19.25 Commosso a' prieghi di Nettunno grati
19.26 fatti a Vulcan per Marte umilemente,
19.27 di quella fuor da lui eran cacciati.
19.28 Hai! come poi ciascuno apertamente
19.29 faceva il suo piacer, però che avieno
19.30 vergogna ricevuta interamente!
19.31 E sì avviene a que' che non vorrieno
19.32 trovar le cose e vannole cercando,
19.33 che molto meglio cheti si starieno.
19.34 Molto consiglio ciaschedun, che quando
19.35 pur divenisse che cosa vedesse
19.36 che li spiacesse, con gli occhi bassando
19.37 e' se ne passi, perché molto spesse
19.38 son quelle volte che tai vendicare
19.39 tal vuol, che saria me' che se ne stesse.
19.40 Tutto focoso vidi seguitare
19.41 quivi Febo Pennea graziosa,
19.42 e lei con dolci voci lusingare.
19.43 Temendo fuggiva ella impetuosa
19.44 quivi da lui e di sopra le spalle
19.45 con li capelli sparti: più focosa
19.46 entrava in Febo, che 'l dolente calle
19.47 seguiva, infin che stanca fé dimoro,
19.48 più non potendo, in una bella valle.
19.49 Là ritornata in grazioso alloro
19.50 sopr' essa il sol la sua luce fermava,
19.51 faccendole col raggio chiaro coro.
19.52 Veder pareami, secondo mostrava,
19.53 che si dolesse di tal mutazione
19.54 e ne sembianti sen ramaricava.
19.55 Ivi era appresso poi come Sitone,
19.56 maschio da lui sanza fine amato,
19.57 mutava in feminil sua condizione.
19.58 Con esso lui si stava quivi allato,
19.59 e lei tenendo in braccio con amore
19.60 mostrava ch' altro non li fosse a grato.
19.61 Or, con costei finito il suo ardore,
19.62 rinchiuso vidi in una vecchia scura,
19.63 più là un poco, tutto il suo splendore.
19.64 Nell' aspetto pareva la figura
19.65 della madre di quella, per cui questo
19.66 a far ciò il sospignea con tanta cura.
19.67 Mirabilmente là si vedea presto
19.68 chiuso tornare in sé, onde colei
19.69 dicea maravigliando: «Or che è questo?».
19.70 E poi il vedeva starsi con costei;
19.71 ma morta quella, per la sua potenza
19.72 in albero d' incenso mutò lei.
19.73 Così appresso in forma; e l' accoglienza
19.74 che Issèn li fé quando con essa giacque,
19.75 tutto vi si vedea sanza fallenza.
19.76 Habituato, v' era com li piacque
19.77 a Climenès, del cui congiungimento
19.78 Feton che guidò il carro poi ne nacque.
19.79 Oltre tra questi poi, molto contento,
19.80 era Nettunno in forma d' Euristeo,
19.81 Esimena abbracciando al suo talento.
19.82 Innanzi riguardando discerneo
19.83 la vista mia costui in braccio tenere
19.84 Cerere, cui amò quanto poteo.
19.85 Non sanza molti basci, al mio parere,
19.86 la stimolava; ma io mi voltai,
19.87 non potend' io più quivi vedere,
19.88 dond' io a riguardar pria cominciai.
CANTO XX
20.1 Ove io vidi in ordine dipinto
20.2 sì come Bacco, per forza d' amore,
20.3 in forma d' uva ad amar fu sospinto
20.4 la figlia di Ligurgo; il cui ardore
20.5 quivi con lei in braccio si vedea
20.6 temperar, non in forma né in colore
20.7 che si sdicesse, e 'l simil mi parea
20.8 d' Erigonèn; e del suo gran disio
20.9 così sé quivi si sodisfacea.
20.10 Ivi seguiva poi, al parer mio,
20.11 Pan che Siringa gia perseguitando,
20.12 ch' avanti li fuggia in atto pio;
20.13 e lei fuggente l' andava pregando,
20.14 ma 'l pregar non valeva, anzi tornata
20.15 in canna poi la vidi in forma stando.
20.16 Poi di quella i bucciuoli spessa fiata
20.17 sonati fur, però che primamente
20.18 da esso fu la sampogna trovata.
20.19 Appresso lui vi vid' io il dolente
20.20 Saturno in forma di cavallo stare,
20.21 a Fillara accostarsi dolcemente.
20.22 Così appresso vidi, ciò mi pare,
20.23 Pluto li tristi regni abbandonati
20.24 avere e quivi intendere ad amare.
20.25 Ed a lui presso con atti sfrenati
20.26 prender vedea Proserpina e con essa
20.27 fuggirsi a' regni di luce privati,
20.28 pur con istudio e con noiosa pressa,
20.29 come se stato fosse seguitato
20.30 da Giove per volerlo privar d' essa.
20.31 Oltre nel loco vidi figurato
20.32 Mercurio con Ersèn: molto stretto,
20.33 amando lei, dimorava abracciato,
20.34 insieme avendo piacevol diletto.
20.35 Dopo 'l quale io vedeva tutto bianco
20.36 Borea quivi, con un freddo aspetto.
20.37 Questi, li regni abbandonati, stanco
20.38 in Etiopia giugneva a vedere
20.39 Ortigia, ch' a sé dal lato manco,
20.40 vedeva, quivi la facea sedere;
20.41 ed abracciata lei tenendo stretta
20.42 a pena seco gliel pareva avere.
20.43 A lui seguiva poi la giovinetta
20.44 Tisbe, che fuor di Bambillonia uscia
20.45 e verso un bosco sen giva soletta.
20.46 Né lì guari lontano, la sua via
20.47 fornita, un velo lasciava fuggendo
20.48 per una leona che a ber venia
20.49 della fontana, dov' ella attendendo
20.50 Piramo si posava nell' oscura
20.51 notte; così se n' entrava correndo
20.52 ove già fu la vecchia sepultura
20.53 di Nino. E poi si vedeva venire
20.54 Piramo là con sollecita cura,
20.55 a sé intorno mirando se udire
20.56 o veder vi potesse se venuta
20.57 vi fosse Tisbe, secondo il suo dire.
20.58 Lui ciò mirando, in terra ebbe veduta,
20.59 perché la luna risplendeva molto,
20.60 la vesta che a Tisbe era caduta,
20.61 tutto stracciato e per terra rivolto
20.62 con un mantello il bel vel sanguinoso,
20.63 per che tututto si cambiò nel volto.
20.64 Ricogliendo essi parea che doglioso
20.65 dicesse: «Oimè, Tisbe, chi ti uccise?
20.66 chi mi ti tolse, dolce mio riposo?».
20.67 Ontoso tutto lagrimando mise
20.68 la mano ad uno stocco ch' avea seco,
20.69 col qual dal corpo l' anima divise.
20.70 Parea dicesse piangendo: «Con teco,
20.71 Tisbe, morrò, acciò ch' all' ombre spesse
20.72 di Dite, lassa, ti ritruovi meco»;
20.73 e sbigottito parea che cadesse
20.74 quivi sopra 'l mantello, a piè d' un moro,
20.75 e del suo sangue i suoi frutti tignesse.
20.76 Non dilettava a Tisbe il gran dimoro;
20.77 colà dond' era uscì, e disse: «Forse
20.78 quella bestia è pasciuta, e già non loro
20.79 suol uso a noi far male»: ed oltre corse
20.80 alla fontana, e non credea che fosse
20.81 essa quando le more rosse scorse.
20.82 In ciò mirando, tutta si percosse
20.83 quando Piramo vide ancor tremante,
20.84 e dal suo petto il ferro aguto mosse
20.85 e 'n su quel si gittò, dicendo: «Amante,
20.86 io son la Tisbe tua! mirami un poco
20.87 anzi ch' io muoia», e più non disse avante:
20.88 rimirandola, cadde morta loco.
CANTO XXI
21.1 Or miri adunque il presente accidente
21.2 qualunque è que' che vuol legge ad amore
21.3 impor, forse per forza, strettamente.
21.4 Quivi credo vedrà che 'l suo furore
21.5 è da temprar con consiglio discreto,
21.6 a chi ne vuole aver fine migliore.
21.7 Vivean di questi i padri, ciascun lieto
21.8 di bel figliuolo: e perché contro a voglia
21.9 gli strinser, n' ebbe doloroso fleto.
21.10 E così spesse volte altri si spoglia
21.11 di ciò che e' si crede rivestire,
21.12 e poi convien che sanza pro si doglia.
21.13 Sì riguardando poi vidi seguire
21.14 Giansone in mezzo di tre giovinette,
21.15 le quai ciascuna fu al suo disire.
21.16 Tutte e tre furon già a lui dilette
21.17 e nominate Isifile e Medea,
21.18 al mio parer, con Creusa sospette.
21.19 «O sanza fede alcuna», mi parea
21.20 che Isifile dicesse, «o dispietato,
21.21 o più crudel ch' alcuna anima rea,
21.22 deh, or hai tu ancor dimenticato
21.23 a quanto onor tu fosti ricevuto
21.24 nel regno ond' ogni maschio era cacciato?
21.25 Io non credo che mai fosse veduto
21.26 uom volentier in nulla parte strana
21.27 né cotal dono a lui mai conceduto,
21.28 simile a quel che io benigna e piana
21.29 a te concessi, portando fidanza
21.30 alla tua fede come 'l vento vana.
21.31 Faccendo saramenti a me, speranza
21.32 nel tuo partir mi desti che giammai
21.33 non cambieresti me per altra amanza.
21.34 Andastitene e me, come tu sai,
21.35 pregna lasciasti di doppio figliuolo,
21.36 ed a tornar ancor verso me hai.
21.37 Con sospiri e con pianti e con gran duolo
21.38 gran tempo stetti, dicendo: "Omai tosto
21.39 verrà Giansone qui col suo stuolo",
21.40 ed appena credetti quel che sposto
21.41 mi fu di te, ch' avevi nuova amica
21.42 presa in Colcòs e mutato proposto.
21.43 Più avanti non so ch' io mi ti dica,
21.44 se non ch' io ardo e tu in giuoco e festa
21.45 ora ti stai con la mia nimica.
21.46 In tanto questa doglia mi molesta
21.47 che dir nol posso, ma tu stesso pensa
21.48 chente parriati averla tal qual questa.
21.49 Assai ti priego dunque, se offensa
21.50 non ho commessa, non mi abandonare,
21.51 ma con pietà al mio dolor dispensa».
21.52 Non rispondea Giansone; ma poi stare
21.53 vidi negli atti molto dispettosa
21.54 Medea, inverso lui così parlare:
21.55 «Giansone, in tutto 'l mondo non fu cosa
21.56 ch' io tanto amassi né per cui facessi
21.57 quanto feci per te, sì come sposa;
21.58 e non mi credo ancor che tu sconfessi
21.59 com' io ti diè mirabile argomento,
21.60 per cui sicur co' tori combattessi.
21.61 Mostra'ti ancora, per farti contento,
21.62 come 'l drago ingannassi, acciò ch' appresso
21.63 fornito avessi tuo intendimento.
21.64 Insieme me ne venni teco stesso,
21.65 e sai che io il mio picciol fratello
21.66 uccisi, acciò che 'l mio padre sopr' esso
21.67 dimorasse piangendo, e quindi snello
21.68 e sanza noia passasse il nostro legno
21.69 già cominciato a seguitar da ello.
21.70 E sai ancora ch' io col mio ingegno
21.71 il tuo antico padre e vecchio Ensone
21.72 di giovinetta età il feci degno;
21.73 né riguardai ancora a riprensione
21.74 ch' io non facessi morire il tuo zio,
21.75 per signor farti della regione.
21.76 Tu il ti conosci e sai per certo ch' io
21.77 ogni cosa avre' fatta per piacerti,
21.78 non credendo che mai il tuo disio
21.79 rivoltassi da me per più doverti
21.80 dare ad altrui. Deh, se altro diletto,
21.81 se non di me, due be' figli vederti
21.82 ognor davanti non t' avesse stretto,
21.83 non dovei tu giammai donna nessuna
21.84 più abracciar nel mio debito letto,
21.85 lo qual tu ora possiedi con una:
21.86 che s' io non fossi stata alla tua vita,
21.87 né lei né me avevi, né altra alcuna.
21.88 Adunque a me, per Dio, ti rimarita».
CANTO XXII
22.1 Non rispondeva a nulla di costoro
22.2 quivi Gianson, ma Creusa abracciando
22.3 con lei traeva dilettevol dimoro.
22.4 Io, che andava avanti riguardando,
22.5 vidi quivi Teseo nel Laberinto
22.6 al Minutauro pauroso andando.
22.7 Ma poi che quel con ingegno ebbe vinto
22.8 che li diede Adriana, quindi uscire
22.9 lui vedev' io di gioia dipinto;
22.10 al quale appresso Adriana venire
22.11 e con lei Fedra, e salir nel suo legno
22.12 e quindi forte a suo poter fuggire.
22.13 Nel quale, avendo già l' animo pregno
22.14 del piacer di Adriana, lei lasciare
22.15 vedea dormendo e girsene al suo regno.
22.16 Gridando desta la vedeva stare,
22.17 e lui chiamava piangendo e soletta
22.18 sopr' un diserto scoglio in mezzo mare:
22.19 «Omè», dicendo, «deh, perché s' afretta
22.20 sì di fuggir tua nave? Aggi pietate
22.21 di me ingannata, lassa, giovinetta!
22.22 Segando se ne gia l' onde salate
22.23 con Fedra quelli, e Fedra si tenea
22.24 per vera sposa, per la sua biltate.
22.25 Costei più innanzi un poco si vedea
22.26 accesa tutta di focoso amore
22.27 d' Ippolito, cui per figliastro avea.
22.28 Ivi vedeasi lo sfacciato ardore
22.29 di Pasifé, che 'l toro seguitava
22.30 di sé chiamandol conforto e signore:
22.31 ove con le man propie ella segava
22.32 le fresche erbette nel fogliuto prato
22.33 e con quelle medesme gliele dava.
22.34 Spesso li suo' cape' con ordinato
22.35 stile acconciava e, della sua bellezza
22.36 prima l' occhio allo specchio consigliato,
22.37 adorna venia innanzi alla mattezza
22.38 bestiale, e quivi parea che dicesse:
22.39 «Agraditi la mia piacevolezza?
22.40 Certo se io solamente vedesse
22.41 che più ch' un' altra vacca mi gradissi,
22.42 non so che più avanti mi volesse».
22.43 Era di dietro a lei, con gli occhi fissi
22.44 sopra 'l suo padre, Mirra scellerata,
22.45 né da lui punto li teneva scissi.
22.46 Riguardando io costei lunga fiata,
22.47 quivi la vidi poi di notte oscura
22.48 esser con lui in un letto colcata.
22.49 Correndo poi fuggir l' aspra figura
22.50 del padre la vedea, che conosciuta
22.51 avea l' abominevole mistura.
22.52 Albero la vedeva divenuta
22.53 che 'l suo nome ritien, sempre piangendo
22.54 o 'l fallo o forse la gioia compiuta.
22.55 Narcisso vidi quivi ancor sedendo
22.56 sopra la nitida acqua a riguardarsi,
22.57 di sé oltre 'l dovuto modo ardendo.
22.58 Deh, quanto quivi nel ramaricarsi
22.59 nel suo aspetto mi parea piatoso,
22.60 e talor seco se stesso crucciarsi:
22.61 «Omè», dicendo, «tristo doloroso,
22.62 la molta copia, ch' i' ho di me stesso,
22.63 di me m' ha fatto, lasso, bisognoso».
22.64 Cefalo poi, alquanto dietro ad esso,
22.65 vid' io posato aver l' arco e li strali
22.66 e riposarsi, per lo caldo fesso.
22.67 «O aura, deh, vien con le fresche ali,
22.68 entra nel petto nostro!» tutto steso
22.69 stava dicendo parole cotali.
22.70 Ma questo avendo già Pocris inteso,
22.71 cui ascosa vedea tra l' erbe e' fiori
22.72 in quella valle, con l' udire inteso,
22.73 essendo in sospezion de' nuovi amori,
22.74 credendo forse che l' Aura venisse,
22.75 volle, e nol fece, intanto farsi fori.
22.76 Tutta l' erba si mosse e Cefal fisse
22.77 gli occhi colà, credendo alcuna fiera,
22.78 e preso l' arco su lo stral vi misse,
22.79 rizzando quel fra l' erba u' Pocris era,
22.80 e lei ferì nello amoroso petto.
22.81 Ella, sentendo il colpo, in voce vera:
22.82 «Omè», gridò, «perché ebb' io sospetto
22.83 di quel ch' i' non dovea?» così diria
22.84 chi la vedesse ch' ella avesse detto.
22.85 Venuto Cefalo: «L' anima mia,
22.86 or che face' tu qui? oimè lasso»,
22.87 dicea, «dogliosa omai mia vita fia,
22.88 avendo te recato a mortal passo».
CANTO XXIII
23.1 Ristrinsemi pietà l' anima alquanto
23.2 ad aver compassion di quel dolente,
23.3 cui io vedeva far così gran pianto.
23.4 Poi rimirando ad altro ivi presente,
23.5 vidi colui che il dolente regno
23.6 sonando visitò sì dolcemente:
23.7 Orfeo dico, che col suo ingegno
23.8 fece le misere ombre riposare
23.9 con la dolcezza del cavato legno.
23.10 Sonando ancora quivi il vidi stare
23.11 con Erudice sua, e mi parea
23.12 che il vedessi sonando cantare,
23.13 sollazandosi, versi, e sì dicea:
23.14 «Amore, a questa gioia mi conduce
23.15 la fiamma tua che nel cor mi si crea.
23.16 Amor, de' savi graziosa luce,
23.17 tu se' colui che 'ngentilisci i cori,
23.18 tu se' colui che 'n noi valore induce.
23.19 Per te si fugano angosce e dolori,
23.20 per te ogni allegrezza ed ogni festa
23.21 surge e riposa dove tu dimori.
23.22 O spegnitor d' ogni cosa molesta,
23.23 o dolce luce mia, questa Erudice
23.24 lunga stagion con gioia la mi presta!
23.25 Sempre mi chiamerò per te felice,
23.26 per te giocondo, per te amadore
23.27 starò come fa pianta per radice».
23.28 A veder quel mi s' allegrava il core,
23.29 e 'mmaginando quelle parolette
23.30 a me, non che a lui, crescea valore.
23.31 E poi, appresso a queste cose dette,
23.32 Diomede ed Ulisse si vedeano
23.33 divenuti merciai vender gioiette
23.34 tra suore quivi, che queste voleano
23.35 in vista comperar, ma dall' un lato
23.36 spade ed archi forti posti aveano,
23.37 saette ancor: de' quali avea pigliato
23.38 uno una suora ch' ivi stava presso,
23.39 e infino al ferro l' arco avea tirato.
23.40 Onde parea dicesser: «Questi è desso,
23.41 questi è Acchille, cui andian cercando»,
23.42 e gir se ne volean quindi con esso.
23.43 La qual cosa vedendo, sospirando
23.44 una sorella quivi contastava
23.45 a que' che lui andavan lusingando.
23.46 Acchille gir con essi disiava,
23.47 e spogliandosi l' abito iveritta
23.48 come buon cavalier presto s' armava.
23.49 Vedendo ciò Deidamia, trafitta
23.50 da grieve doglia, tutta scolorita
23.51 parea dicesse a lui allato ritta:
23.52 «Omè, anima mia, o dolce vita
23.53 del cor dolente che tu abandoni,
23.54 di cui fia tosto, credo, la finita,
23.55 in qua' parti vai tu? qua' regioni
23.56 cerchi tu più graziose che la mia?
23.57 deh, credi tu a questi due ladroni?
23.58 deh, non t' incresce di Deidamia?
23.59 I' son colei che più che altra t' amo
23.60 e che più ch' altra cosa ti disia.
23.61 In quant' io posso più mercé ti chiamo:
23.62 non mi ti tôrre, deh, non te ne gire,
23.63 non privar me di quel che io più bramo!
23.64 sola mia gioia, solo mio disire,
23.65 sola speranza mia, se tu ten vai,
23.66 subitamente mi credo morire.
23.67 In continova doglia e tristi guai
23.68 istarò sempre: deh, aggi pietate
23.69 di me, se grazia merita' giammai!
23.70 Ahi lassa, or son così guiderdonate
23.71 tutte le giovinette ch' aman voi,
23.72 che di subito sieno abandonate?
23.73 Ricordar certo credo che ti puoi
23.74 quanto onor abbi da me ricevuto,
23.75 e ancora puoi ricever, se tu vuoi.
23.76 L' abito che t' ha fatto sconosciuto
23.77 sì lungo tempo per me 'l ricevesti,
23.78 per me segreto se' stato tenuto.
23.79 E quando prima vergine m' avesti,
23.80 di mai partirti né d' altra pigliarne
23.81 sopra la fede tua mi promettesti.
23.82 Perché altrove vuogli adunque andarne?
23.83 Di me t' incresca e del comun figliuolo
23.84 ch' abbian, se non ti duol la propia carne.
23.85 Io so che tu vuogli ire al tristo stuolo
23.86 ch' è 'ntorno a Troia, ov' io dubito forte
23.87 che morto non vi sia e per gran duolo
23.88 a me medesma non ne segua morte».
CANTO XXIV
24.1 Così pareva che costei dicesse
24.2 ed altro assai, a' prieghi della quale
24.3 non mi pareva ch' Acchille intendesse;
24.4 e seguitava quelli al troian male,
24.5 contento più che d' esser lì rimaso,
24.6 dove quella era, a cui tanto ne cale.
24.7 E 'nnanzi a lui, incerto del suo caso,
24.8 Briseida era trista, inginocchiata,
24.9 col viso basso e di baldanza raso.
24.10 Tra l' altre cose quella sconsolata
24.11 piangendo mi parea che li dicesse:
24.12 «Deh, perché m' hai, Acchille, abandonata?
24.13 Per te convenne ch' io mi dolesse
24.14 de' miei fratelli, i quali io più amava
24.15 che altra cosa ch' io nel mondo avesse;
24.16 e, per l' amore che io ti portava
24.17 e porto, quella morte che tu desti
24.18 a lor dolenti non mi ricordava.
24.19 Rapita me per forza ancor m' avesti,
24.20 come tu sai, e mia verginitate
24.21 a forza e contro a voglia mi togliesti.
24.22 Omè, che allora la tua crudeltate
24.23 non conobb' io, ché l' animo sdegnoso
24.24 non t' avre' mai l' offese perdonate.
24.25 Veduta sempre in abito cruccioso
24.26 m' avresti certamente, e così forse
24.27 non avrei dentro amor per te nascoso.
24.28 Omè, quanto soperchio ve ne corse
24.29 quando con atti falsi mi mostrasti
24.30 ch' io ti piacessi, e questo il cor mi morse.
24.31 Levastimi da te, poi mi mandasti
24.32 a Agamenòn come schiava puttana:
24.33 in quello il falso amor ben dimostrasti
24.34 Eimè lassa, misera profana,
24.35 Briseida cattiva, che farai
24.36 abandonata in parte sì lontana?
24.37 Non mi lasciar morire in tanti guai,
24.38 Acchille, aggi piatà di me dolente
24.39 che t' amo più che donna uom giammai!
24.40 Deh, guardami con l' occhio della mente,
24.41 e prendati pietà di me alquanto»,
24.42 dicea colei, ma non valea niente.
24.43 Ivi appresso costui vid' io che tanto
24.44 ardeva dell' amor di Pulisena,
24.45 ch' ogni miseria ed angoscioso pianto,
24.46 periglio, affanno, guai o grave pena
24.47 delle su dette vendicava amore,
24.48 il qual fervente gli era in ogni vena;
24.49 e per lei spesso mutava colore,
24.50 prieghi porgendo, e non erano intesi,
24.51 onde lui costringea grieve dolore.
24.52 Rimirando ivi ancora vediesi
24.53 Sesto ed Abido, picciole isolette,
24.54 e 'l mar che le divide ancor pariesi.
24.55 Sovvennemi ivi quando vi cadette
24.56 Ellès, andando di dietro al fratello
24.57 all' isola de' Colchi, ove ristette.
24.58 Era notando ignudo nato in quello
24.59 mare Leandro, andando ver colei
24.60 cui più amava, vigoroso e snello.
24.61 Venuta là alla riva costei
24.62 vedea con panni e ricever costui,
24.63 tutto asciugando lui dal capo a' piei;
24.64 e poi vedeva quivi lei e lui
24.65 con tanta gioia standosi abracciati,
24.66 che simil non si vide mai in altrui.
24.67 Ritornar poi il vedea per li usati
24.68 mari alla casa, e di far quel camino
24.69 suoi membri non parien mai affannati.
24.70 A questo mare alquanto era vicino
24.71 Minòs, Alcatoè tenendo stretta
24.72 per forte assedio, volendo il destino
24.73 romper di quel capel che nella vetta
24.74 del capo a Niso stava, che per esso
24.75 l' oste di fuor non avea sospetta.
24.76 E quivi quella torre, ove fu messo
24.77 già lo strumento d' Appollo sonante,
24.78 vi si vedea rilucere appresso.
24.79 Pareva in quella Silla fiammeggiante
24.80 dell' amor di Minòs, che a vedere
24.81 stava l' oste a sua terra davante.
24.82 Venir la mi parea poscia vedere
24.83 avendo il porporin capel cavato
24.84 al padre, e a Minòs darlo, che 'l volere
24.85 robusto suo facea del disarmato
24.86 Niso, privando lui della sua gloria:
24.87 Silla gittata poi nel mar salato,
24.88 n' andava lieto della sua vittoria.
CANTO XXV
25.1 Era più là Alfeo, con le sue onde
25.2 piegate intorno e dietro ad Aretusa
25.3 con quelle terre che correndo infonde.
25.4 Là era Egisto ancor, che per iscusa
25.5 del sacerdozio non andò a Troia
25.6 ma Clitemestra si tenea inchiusa,
25.7 lei imbracciata e prendendone gioia
25.8 a suo piacere, ben che poco appresso
25.9 le ne seguisse sconsolata noia.
25.10 Oh, come quivi, alquanto dop' esso,
25.11 seguian Cannace e Macareo dolenti,
25.12 divisi per lo lor fallo commesso!
25.13 Non molto dopo lor così scontenti
25.14 Biblide vidi lì, che seguitava
25.15 il suo fratel con atti molto ardenti.
25.16 Molto pietosamente a lui andava
25.17 dietro parlando, sì come parea
25.18 negli atti suoi che quivi dimostrava.
25.19 «Ahi dolce signor mio», ver lui dicea,
25.20 «deh, non fuggir, deh, prendati pietate
25.21 di me che per te vivo in vita rea!
25.22 Guarda con l' occhio alquanto mia biltate,
25.23 pensi l' animo tuo il mio valore,
25.24 lo qual perisce per tua crudeltate.
25.25 Io non t' ho per fratel ma per signore:
25.26 vedi ch' io muoio per la tua bellezza,
25.27 per te piango, per te si strugge il core.
25.28 Non tener più ver me questa fierezza,
25.29 e 'l superfluo nome di fratello
25.30 lascialo andar, ch' a tenerlo è mattezza.
25.31 Aiutami, che puoi, e farai quello
25.32 che più aspetta quella che si sface
25.33 considerando il tuo aspetto bello.
25.34 Riso, conforto ed allegrezza e pace
25.35 render mi puoi, se vuoi: dunque che fai?
25.36 Deh, contentami alquanto, se ti piace!
25.37 Vedi ch' io mi consumo in tanti guai,
25.38 ch' altra neuna mai ne sentì tanti
25.39 per te, cui io disio, e tu tel sai.
25.40 Omè, fortuna trista delli amanti!
25.41 come coloro che non sono amati,
25.42 amando altrui, da tua rota son franti!
25.43 Se tu riguardi però che chiamati
25.44 sorella e frate sian, non è niente,
25.45 com dissi, e minor fieno i tuoi peccati
25.46 togliendomi dolor, che se dolente
25.47 morir mi fai per non aconsentire
25.48 a quel che sol disia la mia mente.
25.49 Rivolgiti, per Dio, deh, non fuggire!
25.50 pensa ch' ogni animal tal legge tene
25.51 quale a te chiede il mio forte disire.
25.52 A te molto più tosto si conviene
25.53 in questo atto fallir, che dispietato
25.54 farmi morir nelle noiose pene».
25.55 Biblide trista, quanto t' è in disgrato
25.56 veder colui, che ti dovria atare
25.57 da chi noia ti desse in alcun lato,
25.58 il tuo dolore in te forte aggregare!
25.59 e non che voglia fare il tuo disio,
25.60 ma tue parole non vuole ascoltare.
25.61 Là poi appresso, al mio parer, vid' io
25.62 Fillis allato star a Demofonte
25.63 e pianger sé di lui in atto pio.
25.64 Tutta turbata sue parole conte
25.65 li profferia, ricordandoli ancora
25.66 quant' ella e le sue cose tutte pronte
25.67 al suo servigio furono, e com' ora,
25.68 a lei fallita la promessa fede,
25.69 per troppo amor dolor grieve l' acora.
25.70 Tra questi, oltre nel prato, vi si vede
25.71 Meleagro e Atalanta che ciascuno
25.72 segue un cinghial con solecito piede,
25.73 e quanto ad esso sforzandosi ognuno
25.74 offende, accesi d' amoroso foco,
25.75 non lasciandoli affar danno nessuno.
25.76 Costor preiva, più avanti un poco,
25.77 Aconzio in man con la palla dell' oro
25.78 ch' a Cidipe gittò nel santo loco,
25.79 e quella quivi ancor facea dimoro:
25.80 dicendo a lei Aconzio che sua era,
25.81 ella negandol, parlavan fra loro;
25.82 riguardando l' un l' altro, in tal maniera
25.83 Cidipe a lui dicendo: «Se ingannata
25.84 fu' i' da te, la mia voglia non v' era;
25.85 ché, s' io mi fossi della palla addata,
25.86 non l' avria mai rimirata né letta,
25.87 anzi l' avrei tosto indietro gittata:
25.88 onde mai non m' avrai e questo aspetta».
CANTO XXVI
26.1 Com' io mirando andava quel giardino,
26.2 vi vidi in una parte effigiato
26.3 Ercule grande a Cidipe vicino;
26.4 ove con lui sedeva dall' un lato
26.5 Iole piacente e bella nello aspetto,
26.6 cui presa avea nel paese acquistato.
26.7 Non mirava Ercule altro che 'l conspetto
26.8 di lei, e quindi tanta gioia prendea
26.9 che duol li fora stato altro diletto.
26.10 Ramaricando dopo lui vedea
26.11 istar tutta turbata Deianira,
26.12 perch' a sé ritornarlo non potea.
26.13 Il molle petto acceso in foco d' ira
26.14 mostrava ch' ell' avesse, ognor soffiando
26.15 forse per rabbia che in lei si gira.
26.16 Ma, poco spazio, parea che parlando
26.17 dicesse a lui: «O signor valoroso,
26.18 volgiti a me, come tu suoli, amando,
26.19 e lascia cotestei, cui poderoso
26.20 guadagnasti per serva e 'l suo paese
26.21 insieme, con vittoria glorioso.
26.22 Non senti tu ch' a ogni uomo è palese
26.23 quel che la fama ora in contrario sona
26.24 di te, alle passate tue imprese?
26.25 Veramente di te ogni uom ragiona,
26.26 ché tu col forte dito quella lana
26.27 fili che Iole pesando ti dona.
26.28 Ogni uomo ancora, ch' abbia mente sana,
26.29 crede che tu il canestro con le fusa
26.30 porti di dietro alla giovane strana.
26.31 Vogliono ancora dire ch' ella t' usa
26.32 in ciascuno atto come servidore,
26.33 né ti giova donare alcuna scusa.
26.34 E così ismarrito il tuo valore
26.35 che tu non pensi alle cose passate,
26.36 ogni virtute obliando ed onore?
26.37 forse t' ha ella le forze levate
26.38 con alcun suo ingegno falsamente,
26.39 come le donne fanno alle fiate?
26.40 Almen non dovria mai della tua mente
26.41 trar quel che tu in culla ancor facesti,
26.42 l' uno uccidendo e poi l' altro serpente.
26.43 Ricordar de' ti ancor che uccidesti
26.44 Busiri, ed in Libia il grande Anteo
26.45 della Terra figliuolo ancor vincesti.
26.46 Vinto traesti quel Cerbero reo
26.47 ch' avea tre teste, e tu con tre catene
26.48 legasti lui poi ch' a te si rendeo.
26.49 Il drago ancora con sudanti pene,
26.50 ch' ognor sanza dormir i pomi d' oro
26.51 guardando stava, fu morto da tene.
26.52 I forti corni al furioso toro
26.53 rompesti, ed i Centauri domasti
26.54 quando di pria cornbattesti con loro.
26.55 Or non fostù colui che consumasti
26.56 l' Idra, che doppi capi in suo aiuto
26.57 rimettea quando gliele avevi guasti?
26.58 non fu da te il guastator feruto
26.59 d' Arcadia? sì fu, e fu colui
26.60 ch' avea di carne umana riempiuto
26.61 ogni suo armento, togliendo l' altrui,
26.62 da te ucciso; e quel Cacco rubesto
26.63 tu uccidesti, rubato da lui,
26.64 reggendo ancora dopo tutto questo
26.65 il ciel gravante sopra le tue spalle,
26.66 ch' a ogni altr' uom saria stato molesto.
26.67 E s' io volessi andar per dritto calle
26.68 ogni vittoria a tua mente rendendo,
26.69 io avrei troppo a fare a racontalle.
26.70 Queste so c' hai a mente: or dunque, essendo
26.71 sanza pazzia, talora fra te stesso
26.72 non ti vergogni tu Iole seguendo?
26.73 Volesse Iddio che tu giammai a Nesso
26.74 non m' avessi levata, che mi amava,
26.75 e forse in gioia or mi sarei con esso!
26.76 E non per tanto io non imaginava
26.77 che mai per altra donna mi lasciassi,
26.78 poiché te per altrui io non lasciava.
26.79 Se quella con cui tu ora ti passi
26.80 ismemorato in festa ed allegrezza,
26.81 tanta virtù in lei forse trovassi,
26.82 tanto piacere e tanto di bellezza
26.83 quanto in me, io non riputerei
26.84 l' aver lasciata me fosse mattezza.
26.85 Ognora più di ciò ti loderei:
26.86 ma s' io ho ben la sua bellezza intesa,
26.87 certo io son molto più bella di lei.
26.88 Molto mi tengo in questa parte offesa;
26.89 ma torna a me e tutto ti perdono,
26.90 e la tua forza in bene ovrar palesa:
26.91 io cheggo a te di grazia questo dono».
CANTO XXVII
27.1 Mostravasi ivi ancora effigiata
27.2 la valle d' Ida profonda ed oscura,
27.3 d' alberi molti e di frondi occupata,
27.4 ove io discernetti la figura
27.5 di quel Parìs, piacevole Troiano,
27.6 per cui Troia sentì la sua arsura.
27.7 Sol si sedeva là nel loco strano,
27.8 davanti al qual Pallade, Giuno e Venere
27.9 eran con una palla d' oro in mano.
27.10 Sanza alcun vestimento ignude, tenere,
27.11 bianche e vermiglie quivi e dilicate
27.12 le mi pareva nel sembiante scernere;
27.13 e diceano a Parìs: «In cui biltate
27.14 di noi più vedi, questo pomo d' oro
27.15 donalo a lei, quando ci avrai avisate».
27.16 Dal capo al piè rimirava costoro
27.17 Parìs: ciascuna bella li parea,
27.18 onde fra sé dicea: «Deh, quale onoro?».
27.19 Ognuna d' esse ad esso promettea
27.20 e chi senno e chi ricchezze e chi amore
27.21 di bella donna, pur ch' a lei la dea.
27.22 Non si sapea esaminar nel core
27.23 Parìs qual d' esse più biltate avesse,
27.24 né qual ben si pigliar per lo migliore.
27.25 Nel lungo esaminare infine elesse
27.26 Venus per la più bella, e diella a lei,
27.27 sub condizion che ella gli attenesse
27.28 a farli avere in sua balia colei,
27.29 cui ella avea lodata per sì bella,
27.30 che nulla v' era simile di lei.
27.31 A cui pareva che rispondesse ella:
27.32 «Va tu per essa, ché col mio aiuto
27.33 io farò sì che tua si sarà quella».
27.34 Costui vid' io, poco appresso, saluto
27.35 sur una nave e dar le vele al vento
27.36 e tosto in Ispartèn esser venuto;
27.37 ove disceso, sanza tardamento,
27.38 andando Menelao inverso Creti,
27.39 a fornir cominciò suo intendimento.
27.40 Ma dopo molte cose, quivi lieti
27.41 egli ed Elena bella e graziosa
27.42 saliti in nave, pe' salati freti
27.43 poste le vele, sanza alcuna posa
27.44 tornava a Troia, e quivi si mostrava
27.45 la vita lor quanto fosse gioiosa.
27.46 Ivi Oenone ancora lagrimava
27.47 il perduto marito e con pietose
27.48 parole a sé invano il richiamava.
27.49 Là si vedea Ifi e Iante amorose
27.50 far festa pria che maschio ritornasse
27.51 que' che 'l suo sesso tanto tempo ascose.
27.52 Appresso mi parea che seguitasse
27.53 Laudomia bella sospirando,
27.54 come se del suo mal s' indovinasse.
27.55 Raviluppata tutta e non curando
27.56 di sé, Protessilao di bella cera
27.57 s' aveva fatto, lui raffigurando;
27.58 e poi a quella innanzi posta s' era
27.59 in ginocchion, dicendo: «Signor mio,
27.60 se io ti sono amanza e donna vera,
27.61 leal come dicesti, fa che io
27.62 ti veggia ritornar con quella gloria,
27.63 ch' io l' arme tue presenti al forte iddio.
27.64 A que' c' hanno mestier della vittoria,
27.65 lasciali pria combatter, e il periglio
27.66 propio fuggi: ch' ognor ch' a memoria
27.67 viemmi quel ch' io già in alcun pispiglio
27.68 udii d' Ettòr, che tanti cavalieri
27.69 contasta combattendo, ogni consiglio
27.70 in me fugge di me, e volentieri
27.71 nel tuo andare ti vorrei aver detto
27.72 ch' alla battaglia tu fossi il derrieri.
27.73 Sola mia gioia, solo mio diletto,
27.74 fa sì ch' io sia di tua tornata lieta,
27.75 ché sanza te mai gioia non aspetto».
27.76 In tal maniera quivi mansueta
27.77 si stava Laudomia, tal volta
27.78 d' angosciosi sospir tutta repleta.
27.79 Or era ancora verso lei rivolta
27.80 Penelopè, che aspettando Ulisse
27.81 giammai non fu dal suo amor disciolta.
27.82 Nella qual tenend' io le luci fisse,
27.83 fra me volvea quanto fosse il disire
27.84 di que' che mai non cre' ch' a lei reddisse,
27.85 e quanto volle del mondo sentire,
27.86 ché per voler veder trapassò il segno
27.87 dal qual nessun poté mai in qua reddire,
27.88 io dico forza usando né suo ingegno.
CANTO XXVIII
28.1 Non so chi sì crudel si fosse stato
28.2 che, quel ch' io vidi appresso rimirando,
28.3 di pietà non avesse lagrimato.
28.4 Pareva quivi apertamente quando
28.5 Dido partissi in fuga dal fratello,
28.6 e similmente come, edificando
28.7 a più poter, Cartagine nel bello
28.8 e util sito faceva avanzare,
28.9 e come a 'ngegno l' abitava quello.
28.10 Ricever quivi Enea ed onorare
28.11 lui e' suoi ancor vi si vedea
28.12 liberamente; e sanza dimorare
28.13 oltre mirando, ancora mi parea
28.14 vederle in braccio molto stretto Amore,
28.15 ben che Ascanio aver vi si credea;
28.16 lo qual basciando spesso, del suo ardore
28.17 prendea gran quantità occultamente,
28.18 tuttor tenendol nel segreto core.
28.19 Eravi poi come insiememente
28.20 costei con Enea ed altri assai
28.21 a caval giva onorevolmente,
28.22 ripetend' ella in sé quel che giammai
28.23 più non pareva a lei aver sentito,
28.24 fuor per Sicceo, sì com' io avisai.
28.25 Il chiaro viso bello e colorito,
28.26 mirando Enea con benigno aspetto,
28.27 tornava bianco spesso e scolorito.
28.28 Ma pervenuti quivi ad un boschetto,
28.29 lasciando i cani a' cerbi paurosi
28.30 di dietro, incominciaro il lor diletto.
28.31 Altri cornavano ed altri animosi
28.32 correvan dietro, e gridando faceano
28.33 i can più per lo grido valorosi.
28.34 Tutto un gran monte già compreso aveano
28.35 i cacciatori, e 'n una valle oscura
28.36 Dido ed Enea rimasi pareano.
28.37 E sì faccendo, fuor d' ogni misura
28.38 un vento quivi pareva levato,
28.39 che di nuvoli avea già la pianura
28.40 chiuso ed il monte ancora: onde tornato
28.41 pareva il sole indietro e divenuto
28.42 oscura notte il dì in ogni lato.
28.43 Horribili e gran tuon ciascun sentuto
28.44 aveva, e lampi venivano ardenti
28.45 con piover tal che mai non fu veduto.
28.46 Enea e Dido là fuggian correnti
28.47 in una grotta, e la lor compagnia
28.48 perduta avean, di ciò forse contenti.
28.49 Ivi parea che Dido ad Enea pria
28.50 parlasse molte parole amorose,
28.51 dopo le quali suo disio scopria:
28.52 ove Enea ascoltar quelle cose
28.53 vedeasi, lei abracciata tenere,
28.54 e quel fornir che ella li propose.
28.55 Venuti poi al lor reale ostiere
28.56 ed in tal gioia lungo tempo stati,
28.57 l' uno adempiendo dell' altro il piacere,
28.58 in quel luogo medesimo cambiati
28.59 vi si vedea dell' uno i sembianti
28.60 e dell' altro i voleri esser mutati.
28.61 Molto affrettando li suoi navicanti
28.62 Enea vi si vedea per mar fuggire,
28.63 le vele date all' aure soffianti.
28.64 A cui Dido parea di dietro dire:
28.65 «Omè, Enea, or che t' aveva io fatto
28.66 che fuggendo disii il mio morire?
28.67 Non è questo servar tra noi quel patto
28.68 che tu mi promettesti: or m' è palese
28.69 lo 'nganno c' hai coperto con falso atto.
28.70 Deh, non fuggir! Se l' essermi cortese
28.71 forse non vuogli, vincati pietate
28.72 almen de' tuoi, ché vedi quante offese
28.73 ognora ti minaccian le salate
28.74 onde del mar, per lo verno noioso
28.75 ch' ora 'ncomincia; e già hanno lasciate
28.76 qualunque leggi nel tempo amoroso
28.77 sogliono avere i venti, e ciascheduno
28.78 esce a sua posta e torna furioso.
28.79 Vedi ch' ad ora ad or ritorna bruno
28.80 l' aere e nebuloso e molti tuoni
28.81 e lampi lui percuotono, e nessuno
28.82 impeto è che or non s' abandoni
28.83 e faccia danno; e tu col tuo figliuolo
28.84 ora cercate nuove regioni!
28.85 Posati adunque tu ed il tuo stuolo,
28.86 lasciami almeno apparare a biasmarmi
28.87 immaginando il mio etterno duolo:
28.88 e poi, se tu vorrai, potrai lasciarmi».
CANTO XXIX
29.1 Riversata piangendo quivi appresso
29.2 si stava Dido in sul misero letto,
29.3 dov' era già dormitasi con esso,
29.4 maladicendo sé e 'l tristo petto
29.5 pien d' aspre cure aspramente battendo,
29.6 ripetendo ivi il perduto diletto.
29.7 In atto mi parea così dicendo:
29.8 «O doloroso luogo nel qual fui
29.9 già con Enea, tanta gioia sentendo,
29.10 omè, perché come ci avesti dui,
29.11 due non ci tieni? perché consentisti
29.12 che te giammai vedessi sanza lui?
29.13 A' miei sconsolati membri e tristi
29.14 porgi con falsa immagine letizia,
29.15 quando per te li spando, ove copristi
29.16 molte fiate già quel che 'n tristizia
29.17 ora mi fa sanza cagione stare
29.18 per lo suo inganno e coperta malizia».
29.19 Oh come trista lì ramaricare
29.20 la vi vedea con quella spada in mano
29.21 che fé poi la sua vita terminare!
29.22 Rompendosi le nere veste, invano
29.23 chiamando il nome d' Enea che l' atasse,
29.24 si pose quella al suo petto non sano:
29.25 e poi sopr' essa parve si lasciasse
29.26 cader piangendo e sospirando forte,
29.27 perché la spada di sopra passasse.
29.28 Forata quivi, dolorosa morte
29.29 l' occupò sopra 'l letto ove sedea
29.30 prima piangendo sua misera sorte.
29.31 Appresso questo, al mio parer, vedea
29.32 tanto contenti Florio e Biancifiore,
29.33 quantunque più ciascuno esser potea:
29.34 tututto il lor trapassato dolore
29.35 vera dipinto, degno di memoria,
29.36 pensando al lor perfettissimo amore.
29.37 E dopo questa piacevole storia,
29.38 vi vidi Lancilotto effigiato
29.39 con quella che sì lunga fu sua gloria.
29.40 Lì dopo lui, dal suo destro lato,
29.41 era Tristano e quella di cui elli
29.42 fu più che d' altra mai innamorato;
29.43 e più assai ancora dopo a quelli
29.44 n' avea ch' io non conobbi, o che la mente
29.45 non mi ridice bene i nomi d' elli.
29.46 Ond' io, che 'n maggior parte la presente
29.47 faccia compresa avea, ritornai 'l viso
29.48 a quella donna più ch' altra piacente.
29.49 Nol so, ma credol che di Paradiso
29.50 ella venisse, come io già dissi,
29.51 tant' ha biltà, valore e dolce riso.
29.52 -- Oh felice colui --, con gli occhi fissi
29.53 a lei allora a dire incominciai,
29.54 -- cui tu del tuo piacer degno coprissi!
29.55 Ringraziato possa esser sempre mai
29.56 il tuo Fattore, sì com' elli è degno,
29.57 veggendo le bellezze che tu hai.
29.58 Se un' altra volta il suo beato ingegno
29.59 ponesse a far sì bella creatura,
29.60 credo che lieto il doloroso regno
29.61 E' metterebbe in gioia fuor di misura,
29.62 che' santi scenderieno alla tua luce
29.63 e que' d' abisso verrieno in altura --.
29.64 -- Con quanta gioia, credo, si conduce
29.65 ciascun di questi ch' è pien della grazia
29.66 di quel --, ricominciai, -- che qui è duce.
29.67 Oh quanto è glorioso chi si spazia
29.68 ne' suoi disii mediante questo,
29.69 se con vile atto tosto non si sazia!
29.70 Non è occulto ciò, poscia che presto
29.71 chi più ha pena più oltre s' invia
29.72 a volerne sentir, ben che molesto,
29.73 dolendo sé, altrui dica che sia:
29.74 dunque se questo martire è soave,
29.75 la pace che ne segue chente fia?
29.76 Oh quanti e quali già il tenner grave
29.77 ch' avrieno il collo a via maggior gravezza
29.78 posto, sappiendo il dolce che 'n sé have!
29.79 Invidiosi alcuni dicon mattezza
29.80 esser seguir con ragion quello stile
29.81 che dà questo signor di gentilezza,
29.82 lo qual discaccia via ogni atto vile:
29.83 piacevole, cortese e valoroso
29.84 fa chi lui segue e più ch' altro gentile.
29.85 Superbia abatte, onde ciascun ritroso
29.86 o di vil condizione esser non puote
29.87 di sua schiera, e quinci invidioso
29.88 va ischernendo que' cui e' percuote --.
CANTO XXX
30.1 Volendo porre fine al recitare,
30.2 ch' a tutto dir troppo lungo saria,
30.3 tanto più ch' io non dico ancor vi pare,
30.4 a quella donna graziosa e pia
30.5 che dentro alla gran porta principale
30.6 col suo dolce parlar mi mise pria,
30.7 lei mirando, volta'mi: -- Oh quanto vale --
30.8 dicendo, -- aver vedute queste cose
30.9 che diciavate ch' eran tanto male!
30.10 Or come si porria più valorose,
30.11 che queste sien, giammai per nullo avere
30.12 o pensare o udir più maravigliose? --.
30.13 Rispose allor colei: -- Parte vedere
30.14 quel ben che tu cercavi qui dipinto,
30.15 ché son cose fallaci e fuor di vere?
30.16 E' mi par pur che tal vista sospinto
30.17 t' abbia in falsa oppinion la mente,
30.18 ed ogni altro dovuto ne sia stinto.
30.19 Adunque torna in te debitamente:
30.20 ricorditi che morte col dubioso
30.21 colpo già vinse tutta questa gente.
30.22 Ver è ch' alcun più ch' altro valoroso
30.23 meritò fama, ma se 'l mondo dura
30.24 e' perirà il suo nome glorioso.
30.25 E questa simigliante alla verdura
30.26 che vi porge Ariete, che vegnendo
30.27 poi Libra appresso seccando l' oscura.
30.28 Nullo altro ben si dee andar caendo
30.29 che quello ove ci mena la via stretta,
30.30 dove entrar non volesti qua correndo.
30.31 Deh, quanto quello a' più savi diletta,
30.32 grazioso ed etterno! ed io il ti dissi
30.33 quando d' entrar pur qui avesti fretta.
30.34 Or dunque fa che più non stieno fissi
30.35 gli occhi a cotal piacer: ché se tu bene
30.36 quel ch' egli è con dritto occhio scoprissi,
30.37 aperto ti saria che 'n gravi pene
30.38 vive e dimora chiunque ha speranza
30.39 non saviamente, e a cotai cose tene.
30.40 Tu t' abagli te stesso in falsa erranza
30.41 con falso immaginar, per le presenti
30.42 cose che son di famosa mostranza.
30.43 Ed io, acciò che' vani avedimenti
30.44 cacci da te, vo' che mi segui alquanto;
30.45 e mosterrotti contro a quel ch' or senti,
30.46 mostrandoti la gioia e 'l lieto canto
30.47 de' tristi, che 'n ta' cose ebber già fede,
30.48 mutarsi in brieve in doloroso pianto.
30.49 Potrai veder colei, in cui si crede
30.50 essere ogni poter ne' ben mondani,
30.51 quanto arrogante a suo mestier provede,
30.52 or dando a questo, or ritornando vani
30.53 ciò che diede a quell' altro, molestando
30.54 in cotal guisa l' intelletti umani.
30.55 Per quel potrai veder vero, pensando
30.56 quanto sia van quel ben che' vostri petti
30.57 va sanza ragion nulla stimolando;
30.58 onde, seguendo que' beni imperfetti
30.59 con cieca mente, morendo perdete
30.60 il potere acquistare poi i perfetti.
30.61 In tal disio mai non si sazia sete:
30.62 dunque a quel ben, che sempre altrui tien sazio
30.63 e per cui acquistar nati ci sete,
30.64 dovrebbe ognuno, mentre ch' egli ha spazio,
30.65 affannarsi ad avere. Omai andiamo,
30.66 ché già il luminoso e gran topazio
30.67 in sulla seconda ora esser veggiamo
30.68 già sopra l' orizonte, ed il cammino
30.69 è lungo al poco spazio che abbiamo.
30.70 Ma io spero che 'l voler divino
30.71 ne farà grazia, ed io così li cheggio,
30.72 ched e' non ci fallisca punto infino
30.73 entrati sarem là, ove quel seggio
30.74 del perfetto riposo è stabilito
30.75 per que' che non disian d' aver peggio --.
30.76 Poi ch' io ebbi sì parlare udito
30.77 a quella donna, io le rispuosi: -- Andate,
30.78 nullo mio passo fia da voi partito.
30.79 In questo sol vi priego che m' atiate,
30.80 che là dove 'l disio mi trasportasse
30.81 contra vostro piacer, mi correggiate --.
30.82 Ella mostrò negli atti ch' accettasse
30.83 la mia domanda, e mossesi e rivolta
30.84 mi disse allora ch' io la seguitasse.
30.85 Tutti e tre insieme, avvegna che con molta
30.86 fatica, la seguimmo, e la cagione
30.87 fu perché quistionammo alcuna volta
30.88 a non voler seguir sua mostrazione.
CANTO XXXI
31.1 Tosto finì il suo cammin costei,
31.2 che di quel loco per una portella
31.3 in altra sala ci menò con lei.
31.4 Ell' era grande, spaziosa e bella,
31.5 ornata tutta di belle pinture,
31.6 sì come l' altra ch' è davanti ad ella.
31.7 Oh quanto quivi in atto le figure
31.8 si mostravan tututte variate
31.9 dall' altre prime e non così sicure!
31.10 Color con festa e con gioconditate
31.11 parevan tutte con be' vestimenti,
31.12 costor con doglia e con avversitate.
31.13 Hai, quanto quivi parevan dolenti
31.14 e spaventati, qualunque vi s' era,
31.15 con vili e poverissimi ornamenti!
31.16 Ivi vid' io dipinta, in forma vera,
31.17 colei che muta ogni mondano stato,
31.18 tal volta lieta e tal con trista cera,
31.19 col viso tutto d' un panno fasciato,
31.20 e leggermente con le man volvea
31.21 una gran rota verso il manco lato.
31.22 Horribile negli atti mi parea,
31.23 e quasi sorda a niun priego fatto
31.24 da nullo lo 'ntelletto vi porgea;
31.25 e legge non avea né fermo patto
31.26 negli atti suoi volubili e incostanti,
31.27 ma come posto talor l' avea fratto:
31.28 volvendo sempre ora 'n dietro ora avanti
31.29 la rota sua sanza alcun riposo,
31.30 con essa dando gioia e talor pianti.
31.31 «Ogni uom che vuol montarci su sia oso
31.32 di farlo, ma quand' io 'l gitto a basso
31.33 inverso me non torni allor cruccioso.
31.34 Io non negai mai ad alcuno il passo
31.35 né per alcun mia maniera mutai,
31.36 né muterò, né 'l mio girar fia lasso,
31.37 venga chi vuol». Così immaginai
31.38 ch' ella dicesse, perché riguardando
31.39 dintorno ad essa vi vid' io assai,
31.40 i qua' su per la rota aderpicando
31.41 s' andavan con le man con tutto ingegno,
31.42 fino alla sommità d' essa montando.
31.43 Saliti su parea dicesser: «Regno»;
31.44 altri cadendo en l' infima cornice
31.45 parea dicessero: «Io son sanza regno».
31.46 In cotal guisa un tristo, altro felice
31.47 facea costei, secondo che la mente,
31.48 la qual non erra, ancora mi ridice.
31.49 Allor rivolto alla donna piacente
31.50 dissi: -- Costei, ch' io veggio qui voltare,
31.51 conosco io per nimica veramente.
31.52 Tra l' altre creature a cui mi pare
31.53 dover portar più odio, questa è dessa,
31.54 però ch' ogni sua forza ed operare
31.55 ell' ha contra di me opposta e messa:
31.56 né prieghi, né saper, né forza alcuna
31.57 pacificar mi può giammai con essa.
31.58 Ognora nella faccia persa e bruna
31.59 mi si mostra crucciata e sempre a fondo
31.60 della sua rota mi trae dalla cuna,
31.61 gravandomi di sì noioso pondo
31.62 che levar non mi posso a risalire,
31.63 onde giammai non posso esser giocondo --.
31.64 Ridendo allor mi cominciò a dire
31.65 la donna: -- Allora e' tu se' di coloro
31.66 ch' alle mondane cose hanno 'l disire?
31.67 ai quali se ella desse tutto l' oro
31.68 che è sotto la luna, pure aversa
31.69 riputerebber lei a' voler loro.
31.70 Torrotti adunque di cotal traversa
31.71 oppinione, e mostrerotti come
31.72 più son beati que' che l' han perversa.
31.73 Il dir Fortuna è un semplice nome,
31.74 il posseder quel ch' ella dà è vano,
31.75 o sanza frutto affanno se ne prome.
31.76 Odirai come: e se 'l mio dire estrano
31.77 è dalla verità, conceder puossi
31.78 che seguir vizio sia al salvar sano.
31.79 Solamente da te vo' che rimossi
31.80 sieno i pensier fallaci, se procede
31.81 il mio parlar con ver, sì che tu possi
31.82 inter vedere come si concede
31.83 che quel che più al vostro intendimento
31.84 agrada, più con gravezza vi lede --.
31.85 Allora rispos' io: -- Io son contento,
31.86 donna, d' udire, acciò che 'l mio errore
31.87 io riconosca, però che io sento
31.88 non aver nulla esser grave dolore --.
CANTO XXXII
32.1 Incominciò allor costei a dire:
32.2 -- Voi, terreni animal, disiderate
32.3 i voler vostri tututti seguire
32.4 mediante costei, cui voi chiamate
32.5 Fortuna buona e rea, secondo ch' essa
32.6 vi dà e to' mondana facultate.
32.7 In prima alcuni domandon ad essa
32.8 molta ricchezza, credendosi stare
32.9 sanza bisogno alcun possedendo essa.
32.10 Vaghi sono altri sol di poter fare
32.11 sì che avuti sieno in reverenza
32.12 da tutti, e 'n ciò s' ingegnan d' avanzare.
32.13 In alcuni altri aver somma potenza
32.14 par sommo bene, e questo van cercando
32.15 tanto gli abaglia la falsa credenza.
32.16 Risplendere altri si vanno ingegnando
32.17 di nobil sangue ed il nome famoso
32.18 o per guerra o per pace van cercando.
32.19 Tai son che credon ch' esser copioso
32.20 di volontà carnal, ch' è van diletto,
32.21 faccia chi ciò possiede glorioso.
32.22 Vogliono alcuni, acciò che il difetto
32.23 del non poter si rivolga in potere,
32.24 ricchezza, e per poter porre in effetto
32.25 ogni libidinoso lor piacere;
32.26 così figliuoli alcuni, altri altre cose,
32.27 e questo interamente hanno in calere.
32.28 Se forse una di queste hanno ritrose
32.29 al lor volere, qualunque s' è quello
32.30 ch' alcuna aver nell' animo propose,
32.31 incontanente con animo fello
32.32 contra questa si turba ed essa dice
32.33 nimica, e forse fu difetto d' ello.
32.34 Intendi adunque e vedi che felice
32.35 costei non puote giammai fare alcuno,
32.36 posto che del mondan sia donatrice.
32.37 Non vedi tu che e' non è nessuno,
32.38 che abondi in ricchezze, che non sia
32.39 d' ogni riposo e diletto digiuno?
32.40 Continovo nell' animo li fia
32.41 pensiero e cura di poter guardarle,
32.42 temendo di nascosa tirannia.
32.43 Vedi dunque che bene ha d' ammassarle,
32.44 poiché insidie tutto tempo teme
32.45 ed in più quantità voler recarle.
32.46 Il povero uom di tal cosa non geme,
32.47 né perde sonno, né lascia sentiero,
32.48 sol di sua vita trar pensiero il preme:
32.49 alla quale, a voler narrare il vero,
32.50 poco li basta, ma il ricco avaro
32.51 di molto aver non ha suo disio intero.
32.52 Me' puote ancora il ricco dar riparo
32.53 alle fami ed a' freddi, ben che puro
32.54 le sente alcuna volta, o spesso o raro.
32.55 Or quinci segue al pover che sicuro
32.56 vive di non cader, né spera mai
32.57 che caso fortunal li paia duro.
32.58 Ricchezza adunque, quand' ella è assai,
32.59 più fa indigente il suo posseditore,
32.60 con più pensier, con più cura e più guai.
32.61 Colui che vuol per dignitate onore,
32.62 veggian, se la Fortuna gliel concede,
32.63 s' egli avrà quel che e' disia nel core.
32.64 Or non agli occhi di qualunque vede
32.65 è manifesto che tornan viziosi
32.66 tantosto che neuna ne possiede?
32.67 Ma se per quelle forse virtuosi
32.68 ne ritornassero, io consentirei
32.69 che tutti voi ne fosti disiosi.
32.70 E d' altra parte dignità i rei
32.71 fa manifesti, ed ogni lor mancanza
32.72 è conosciuta più ch' io non potrei
32.73 né parlar, né mostrar: dunque v' avanza
32.74 questa se vi si mostra allor turbata,
32.75 quando chiedendo state in tale erranza.
32.76 Beati alcun si diceria se data
32.77 fosse lor forse potenza reale,
32.78 non conoscendo il mal di ch' è vallata.
32.79 E questa podestà niente vale,
32.80 ch' ella non può fuggire il duro morso
32.81 della sollecitudine, che male
32.82 a lei non faccia, né può dar soccorso
32.83 a quel noioso e rigido tormento
32.84 che di paura dà l' amaro sorso.
32.85 Togliendo questa cotal reggimento,
32.86 pace vi dona dove guerra avreste,
32.87 e voi nol conoscete; onde, scontento
32.88 ogni uom, pur quel, che dar non vuol, vorreste --.
CANTO XXXIII
33.1 -- La nobiltà del sangue altri a costei
33.2 domanda, come se veracemente
33.3 sì fatto don procedesse da lei.
33.4 Oh quanto a domandare stoltamente
33.5 si muovon questi, se l' operazioni
33.6 non seguono il disio della lor mente!
33.7 Colui che con perpetue ragioni
33.8 governa il mondo, come sol fattore
33.9 d' esse, crea nelle sue regioni
33.10 ogni anima che nasce, con amore
33.11 iguale; e quella si muove da Lui
33.12 vegnendo lieta al generato core.
33.13 Considerando dunque che Costui
33.14 sia solo e falle egual, conosceremo
33.15 così gentil costui come colui,
33.16 e però manifesto vederemo
33.17 che chi seguisse la diritta via
33.18 delle virtù, come da Lui avemo,
33.19 l' un come l' altro così gentil fia;
33.20 e chi da questa torce si può dire
33.21 non che villano ma una bestia sia.
33.22 A questi puo' tu dir che in disire
33.23 vien d' esser forse tenuti gentili,
33.24 e cercan ciò per lor vizii coprire.
33.25 Tieni or ben mente e vedi quanto vili
33.26 sien lor domande, ché, s' ella concede,
33.27 superbi tornan dov' erano umili:
33.28 onde da questo poi spesso procede
33.29 ched elli scoppian niente tornando,
33.30 per che, s' ella nol fa, vie men li lede.
33.31 Tratti ciascun, con virtute operando,
33.32 d' aver ta' lode, ché questa giammai
33.33 non gliel torrà la sua rota voltando.
33.34 E chi la vuole in altro modo guai
33.35 va dimandando, e 'l come gli è coperto;
33.36 e se ben guardi tu te n' avedrai.
33.37 Né ciò è lungamente lor sofferto,
33.38 ché degno guiderdon dalla giustizia
33.39 etterna è lor di ciò in brieve offerto.
33.40 Ed alcuni altri son che gran letizia
33.41 fanno, quando costei concede loro
33.42 lussuriando poter lor malizia
33.43 in operazion porre; e di costoro
33.44 è il numero grande, i qua' beati
33.45 tengonsi quanto più a tal lavoro
33.46 lusingando ne recano i malnati;
33.47 e se questo costei forse lor niega,
33.48 incontanente ver lei son turbati.
33.49 Se ella forse copiosa spiega
33.50 tal grazia a' domandanti, in aspra pena,
33.51 non conoscendolo essi, i tristi lega.
33.52 Vorrieno alcuni aver la borsa piena
33.53 per poter comandare: oh quanto senno
33.54 poco costor per via malvagia mena!
33.55 Or credono e' che minaccevol cenno
33.56 faccian le lor ricchezze: anzi il faranno
33.57 quelli a cui per guardarle subbietti enno.
33.58 Già puoi veder che gli uomin poco sanno,
33.59 ché per aver delle cose mondane
33.60 consumin sé con non utile affanno.
33.61 In brieve adunque queste cose vane
33.62 si consumano e passano, e dovreste
33.63 in ciò tututti aver le menti sane,
33.64 ognor veggendo ciò ch' avien di queste,
33.65 come partendo e tornando tal volta
33.66 le menti vostre fanno liete e meste.
33.67 Costei, di cui parliam, s' a voi rivolta
33.68 con tristo viso vi si mostra spesso,
33.69 (se ben hai tutta mia ragion raccolta,
33.70 ov' io ho quasi tutto quanto messo
33.71 il suo poter) vi dovria rallegrare,
33.72 e non porger dolor negandovi esso.
33.73 Nostro verace ed util ragionare
33.74 troppo si stenderia volendo intero,
33.75 ciò che dir si porria, d' essa parlare.
33.76 Di ciò ch' è detto basti, e con sincero
33.77 parere fa che il prendi, sì che forse
33.78 non tragghi error del mio lucido vero.
33.79 Ogni parer che 'l rimirar ti porse,
33.80 di là vedendo, caccia e quel disio
33.81 massimamente che di lor ti morse:
33.82 fiso mirando quello per che io
33.83 qua entro ti menai, fa che col viso
33.84 segui com' io col mio parlar m' invio.
33.85 Ogni mondan valor vedrai conquiso
33.86 in termine assai brieve: fa ch' ascolti
33.87 e che non sia dal tuo intender diviso
33.88 ciò ch' io dirò qui appresso di molti --.
CANTO XXXIV
34.1 -- Horribilmente percuote costei --,
34.2 cominciò ella a dir, -- chiunque sale
34.3 su la sua rota fidandosi a lei;
34.4 onde ciascun, ch' è qui, per cotal male
34.5 piangendo si ramarca, ed essa vedi
34.6 che di tal pianto niente le cale.
34.7 Il suo officio fa, e vo' che credi
34.8 che rade volte aspetta il suo girare
34.9 che lo stato di uno a' terzi eredi
34.10 venga, ma con mirabile voltare
34.11 dà a costui a quell' altro levando,
34.12 come vedi un salire, altro abassare.
34.13 Intento dunque quivi riguardando
34.14 puo' tu veder quella città caduta
34.15 che Cadmo fece, lo bue seguitando.
34.16 Potente e grande, più ch' altra tenuta
34.17 ch' al mondo fosse, allora fu, ed ora
34.18 di pruni e d' erbe la vedi vestuta,
34.19 ruvinati gli ostier, né vi dimora
34.20 altro che bestie salvatiche e fiere,
34.21 e quanto fosse grande parsi ancora.
34.22 Iocasta trista vi puo' tu vedere
34.23 ch' al figlio moglie misera divenne,
34.24 ben ch' avenisse sanza suo sapere;
34.25 e vedi que' che questa tutta tenne
34.26 contra 'l voler del frate, per cui questo
34.27 distruggimento misero n' avenne.
34.28 Giace con lui in quel fuoco molesto,
34.29 che quivi vedi, il frate, che amendui
34.30 fu l' uno all' altro uccider così presto.
34.31 Oltre un poco poi vedi colui
34.32 che sopra 'l mur da Giove fulminato
34.33 fu, dispregiando ancor negli atti lui.
34.34 Con questi vedi Adastro allato allato,
34.35 con gli altri regi che l' accompagnaro
34.36 a quel distrugimento dispiatato.
34.37 Vedi Tideo, vedi il pianto amaro
34.38 che fer le triste che a compimento,
34.39 in ristoro del duol, la consumaro.
34.40 Non t' è occulto or quanto mutamento
34.41 dal bene al mal fosse quel di costoro,
34.42 e quasi fu in un picciol momento.
34.43 Pon mente poi un poco dietro a loro:
34.44 Troia vedrai e 'l superbo Ilione,
34.45 ch' a pena alcuna parte par di loro.
34.46 Ora non v' ha né tetto né magione,
34.47 ma qual caduto e qual arso si mostra,
34.48 come tu vedi, e sai ben la cagione.
34.49 Così costei con cui le piace giostra,
34.50 sempre abattendo chi s' oppone ad essa;
34.51 ma perseguiamo alla materia nostra.
34.52 Or mira a piè della città depressa,
34.53 e vedi que' che già ne fu signore
34.54 quando da' Greci fu con forza aggressa:
34.55 Priamo dico, il cui sommo valore,
34.56 la sua ricchezza, la fama e l' ardire,
34.57 i molti figli, il potere e l' onore
34.58 raccontar non porriasi mai né dire;
34.59 questa arsa e' figli morti innanzi ad esso
34.60 tututti vide avanti il suo morire.
34.61 Ecuba trista puoi vedere appresso
34.62 per doglia andar latrando come cane,
34.63 morte chiamando, che l' uccida, spesso.
34.64 Similemente ancor delle troiane
34.65 genti vi vedi assai in sanguinoso
34.66 lago star morte e d' ogni possa vane.
34.67 Tra gli altri puoi vedere il valoroso
34.68 Ettor giacer, e non li valse niente
34.69 contra costei il suo esser famoso.
34.70 Ivi Parìs ancora, insiememente
34.71 Troiolo, Polidoro e Pulisena
34.72 veder puoi tu giacere assai vilmente.
34.73 Agamenòn insieme e la sua pena:
34.74 poi ch' ebbe Marte e Nettunno avanzato,
34.75 vedi ch' Egisto a lui l' ultima cena,
34.76 togliendoli la vita, dà, ingannato
34.77 lui col vestir malizioso e fallace,
34.78 nel quale e' tristo s' è raviluppato.
34.79 E vedi ancor Senacherìb che giace
34.80 morto dentro a quel tempio, e vedi Enea
34.81 che Turno, il qual si credea stare in pace,
34.82 lui caccia via --. E appresso parea
34.83 Serse dolente e tristo nello aspetto,
34.84 del passare Ellesponto ancor piangea.
34.85 Oh quanto pien di furia e di sospetto
34.86 Atamante teban, che uccise i figli,
34.87 quivi parea, nel sembiante dispetto,
34.88 nelle lor carni ancor con tristi artigli!
CANTO XXXV
35.1 -- Tu puoi --, rincominciò la donna a dire,
35.2 -- veder qui Alessandro, ch' assalio
35.3 il mondo tutto, per velen morire;
35.4 e non esser però il suo disio
35.5 pien, ma più che giammai esser ardente,
35.6 e 'n tale ardor, come vedi, morio.
35.7 Lo qual fu quanto alcun altro possente,
35.8 né però averia questa lasciato,
35.9 che se fosse vivuto, che vilmente
35.10 lui non avesse in infimo voltato
35.11 della sua rota; ma quel che costei
35.12 non fé, morte adempié nel nominato.
35.13 E poi appresso puoi veder colei
35.14 che pugnò con Pallade come stolta,
35.15 ch' ancor del fallo suo par dica omei.
35.16 Come la vedi ancor quivi ravolta
35.17 ne' suo' istracci, in ragnol trasmutata
35.18 fu dalla dea e dal laccio disciolta.
35.19 Tu puoi appresso vedere effigiata
35.20 la sembianza di Dario, la quale
35.21 di leto aspetto in tristo par mutata.
35.22 Oh come poco al presente li vale
35.23 essere stato grande anzi gli è noia
35.24 or che si vede in disperato male.
35.25 Aver puoi già udito quanta gioia
35.26 avesse Niobè de' suoi figliuoli,
35.27 e agual qui pare di dolor si muoia.
35.28 Guarda un poco innanzi, se tu vuoli:
35.29 superba lei potrai quivi vedere
35.30 ancora incerta de' suoi tristi duoli;
35.31 lor poi appresso ad uno ad un cadere
35.32 morti dintorno a lei ancor vedrai,
35.33 per la superbia e suo poco sapere.
35.34 In trista angoscia ed in amari guai
35.35 la vedi quivi ritornata umile,
35.36 sanza suo pro di sé piangendo assai.
35.37 Appresso vedi que' che con sottile
35.38 maestero del padre uscì volando
35.39 del Laberinto, che tenendo vile
35.40 miseramente ciò ch' amaestrando
35.41 il padre gli avea detto, per volare
35.42 troppo alto, in giù, le sue reni spennando,
35.43 ora si cala, e appresso affogare
35.44 più là il vedi ne' salati liti:
35.45 questo avien de' non savi seguitare.
35.46 Riguarda poi più là: vedi smarriti
35.47 il fiero Ciro e Persio; ne' sembianti,
35.48 l' ardir perduto, paiono inviliti.
35.49 Or vedi ancora a mano a man da quanti
35.50 uccelli il corpo di Nabùch è roso,
35.51 temendo il figlio che per tempo avanti,
35.52 surgendo del sepolcro, poderoso
35.53 non ritornasse e lui cacciasse fore
35.54 del regno, dove vivea glorioso.
35.55 Ivi ve' tu ancora il gran romore
35.56 che fanno le figliuole di Piero
35.57 voltate in piche per greve dolore.
35.58 Veggon sanza lor pro ora quel vero
35.59 ch' a lor superbamente s' ocultava
35.60 nel lor parer fallace e non intero --.
35.61 E quivi appresso costei mi mostrava
35.62 Cartagine in ruvina, tutta accesa
35.63 d' ardente fuoco che la divampava.
35.64 Riguardar quella con sembianza offesa
35.65 mi mostrò quella donna Scipione,
35.66 al cui valor non poté far difesa.
35.67 Seguiva con non poca ammirazione
35.68 Anibale, turbato nello aspetto
35.69 o di quella o di sua distruzione.
35.70 In abito dolente e con sospetto
35.71 quivi Asdrubale ancora si vedea,
35.72 col capo basso mirandosi il petto.
35.73 Là similmente veder mi parea
35.74 la struzione della antica cittate
35.75 di Fiesole, la qual tutta cadea.
35.76 Ivi pareva la gran crudeltate
35.77 che 'l pistolese pian sostenne pieno
35.78 di Catellino, le cui opre spiatate
35.79 quasi narrando non verrian mai meno,
35.80 avvegna ch' a ragion posto li fosse
35.81 nella sfrenata bocca cotal freno.
35.82 Vedevanvisi ancora le percosse
35.83 che Mario da Lucio sostenne,
35.84 quando la briga cittadina mosse.
35.85 A' quei così, come a colui n' avenne,
35.86 possa avenir, che nelle città loro
35.87 a suscitar battaglia metton penne,
35.88 lasciando il comun ben per suo lavoro.
CANTO XXXVI
36.1 -- Intento ora ti volgi a riguardare
36.2 la vendetta di Dio, che non oblia
36.3 mai fallo alcun che si debbia purgare.
36.4 Se 'n parer posto forse ad alcun sia
36.5 ch' ella si muova con un lento passo,
36.6 non è così, ma que' troppo disia;
36.7 o se va forse adagio al tristo lasso
36.8 ch' aspetta quella per la fatta offesa,
36.9 non giova già, ché più grave fracasso
36.10 segue per quello indugio: sì compesa
36.11 al fatto fallo, sì che igualmente
36.12 da ogni parte la bilancia pesa.
36.13 Pon mente là: colui che sì vilmente
36.14 veste e si tien la mano alla mascella,
36.15 mostrando sé nel sembiante dolente --,
36.16 incominciò colei, -- oh quanto fella
36.17 fu l' aspra signoria che 'n Siragusa
36.18 tenne, mentre per lui si guardò quella!
36.19 Nel tempo avanti che li fosse chiusa,
36.20 tiranneggiando fieramente in essa
36.21 sanza ricevere o priego o iscusa,
36.22 tenea la gente sì vilmente oppressa,
36.23 ch' ognun piangeva e dicer non osava
36.24 la doglia sua, per tema d' altra ressa.
36.25 Oh come fiero li tiranneggiava!
36.26 e Dionisio fero fu chiamato
36.27 per la fierezza la quale elli usava.
36.28 Così avenne che ne fu cacciato
36.29 con tanta noia e con tanto furore,
36.30 ch' a lui parve aver vinto esser campato.
36.31 Onde fuggendo ad Atena, il dolore
36.32 mitigato, pensò, per non morire
36.33 di fame, farsi in lettera dottore.
36.34 Nol vedi tu ched e' fa là aprire
36.35 i libri a' garzonetti e mostra loro
36.36 com' una lettera altra dee seguire?
36.37 Poi guarda avanti nel dolente coro,
36.38 e vederai Tesaglia sanguinosa
36.39 del roman sangue mischiato e di ploro.
36.40 Or guarda quivi, e vedi sconcia cosa
36.41 tanti grandi uomin, tanti valorosi
36.42 esser sommessi a rovina angosciosa.
36.43 Simile guarda quanto ponderosi
36.44 son gli alberi del sangue che portati
36.45 v' hanno li piè delli uccellon golosi,
36.46 i qua' prima si son ben satollati
36.47 de' corpi morti, che sanza alcun foco
36.48 o sepoltura stan quivi gelati.
36.49 Fra folti boschi o tane o altro loco
36.50 leon né lupo né can par rimaso
36.51 che non si pasca quivi o molto o poco.
36.52 Ondeggiar vedi del dolente caso
36.53 i tristi fiumi, ed ispumanti, rossi
36.54 del tristo sangue non isparto in vaso.
36.55 Riguarda là Pompeo con volti dossi
36.56 che fuggendo abandona il campo tristo,
36.57 ed ancor ve' come a Lesbòs posossi.
36.58 Se là rimiri, con sembiante misto
36.59 di lagrime Cornelia accoglier lui
36.60 vedrai, poi che sconfitto l' ebbe visto;
36.61 e vedi ancor come quindi con lui
36.62 si parte e vanne per mare in Egitto,
36.63 in sé immaginando che colui
36.64 dovesse lui ricevere, respitto
36.65 avendo al regno che avuto avea
36.66 da lui: ma 'l suo pensier non venne dritto --.
36.67 Avanti mi mostrò, dov' io vedea
36.68 come scendea del suo legno Pompeo,
36.69 perché carico troppo li parea,
36.70 di quello entrando in un che Tolomeo
36.71 per Achillàs insieme con Futino,
36.72 sotto spezie d' onor, menar li feo.
36.73 In quel già assettato lui meschino,
36.74 i traditori, alquanto indi lontani,
36.75 pigliaron lui, quasi al suo mal divino,
36.76 sì com parea: il capo l' aspre mani
36.77 a lui tagliaro, il tronco in mar gittaro,
36.78 e quello al sir portaron di lor cani.
36.79 Ivi pareasi ancora il duolo amaro
36.80 che Codro fece quando vide il busto
36.81 del capo, ch' a' Roman fu tanto caro.
36.82 Onde dolente, povero e vetusto
36.83 prendea di notte quello, al mio parere,
36.84 e poi che 'n picciol fuoco lui combusto
36.85 sotterrato ebbe secondo il potere
36.86 in piccioletta fossa, ricoprendo
36.87 lui del sabbione, con lagrime vere
36.88 il suo infortunio ripetea piangendo.
CANTO XXXVII
37.1 Vedevavisi appresso quanto e quale
37.2 già fosse stato Cesare, tenendo
37.3 in prima in Roma offizio imperiale.
37.4 Oh quanto poco questo possedendo
37.5 il vedea gloriar! ché quivi allato
37.6 tra' sanatori il vedeva morendo,
37.7 lui avendo essi tutto pertugiato
37.8 co' loro stili, e quegli era piggiore
37.9 cui elli aveva già più onorato.
37.10 E simile la rabbia e 'l gran furore
37.11 di Neron si vedeva terminare
37.12 in brieve tempo con molto dolore.
37.13 Risplendevavi ancora, ciò mi pare,
37.14 ciò che fé Giuba mai, ed ivi appresso
37.15 dopo 'l salir il suo tristo calare.
37.16 Tarquin, Porsenna e Lentulo dop' esso,
37.17 Ovidio, Tulio, Amulcar si vedieno
37.18 ed altri molti, i quali io con espresso
37.19 riguardo non mirai, perché già pieno
37.20 di tal materia aveva lo 'ntelletto,
37.21 ed eran tanti che non venien meno.
37.22 -- O beato --, diss' io, -- que' che l' effetto
37.23 ad altre cose tira che a queste,
37.24 le quali istato mostrano imperfetto!
37.25 Più vili ch' altre sono e più moleste,
37.26 piene d' inganno e d' affanno gravoso,
37.27 e la lor fine è sola mortal peste --.
37.28 Poi mi voltai al viso grazioso
37.29 di quella donna che m' avea condotto,
37.30 dicendo: -- Il mio voler, che fu ritroso,
37.31 or è tornato dritto, e già non dotto
37.32 che questi ben terren son veramente
37.33 que' che a' vizi ciascun mettono sotto.
37.34 Nessun porria pensar che tanta gente,
37.35 così famosa e di tanta virtute,
37.36 Fortuna avesse sfatti sì vilmente.
37.37 Fosse chi nol vedesse? o chi salute
37.38 ispererà omai, se non coloro
37.39 che le vere ed etterne han conosciute?
37.40 Il più far qui omai lungo dimoro,
37.41 donna, mi spiace: però giamo omai
37.42 dove volete, e qui lascian costoro --.
37.43 Allor disse la donna: -- Or t' è assai
37.44 aperto che costei esser turbata
37.45 vi dà salute ed iscemavi guai?
37.46 Ma se tu fossi stato altra fiata
37.47 così disposto, come ora ti sento,
37.48 già meco fori in capo alla montata.
37.49 Ma poi che del seguirmi se' contento
37.50 ed hai veduto le mondane cose
37.51 volubili e caduche più che vento,
37.52 appresso viemmi, ché le gloriose
37.53 ed etterne vedrai. Ma non torniamo
37.54 onde venimmo, per le 'mpetuose
37.55 tralciute vie, ma di qua teniamo,
37.56 ché picciola rivolta alla portella
37.57 prima ci menerà, che noi vogliamo --.
37.58 Ora si mosse questa ed io dop' ella,
37.59 di quelle cose molto ragionando
37.60 ch' eran dipinte nella sala bella.
37.61 Ognor seguendo lei, così mirando
37.62 intorno a me per veder ciò che v' era
37.63 e nella mente ogni cosa recando,
37.64 sì vi vidi io, per una porta ch' era
37.65 alla sinistra mano, un bel giardino
37.66 fiorito e bello com di primavera.
37.67 -- Entrian --, diss' io, -- in questo orto vicino,
37.68 donna, se piace a voi, ché poi alquanto
37.69 ricreati terrem nostro cammino --.
37.70 Là entro udiva io festa e gran canto,
37.71 onde mi crebbe d' esservi il disio,
37.72 sì ch' altri mai non disiò cotanto.
37.73 Mirandomi allor dopo, mi vid' io
37.74 i due primier che dicean: -- Che, non passi
37.75 dentro, poiché ardi di volere? -- ed io
37.76 infra me gia dicendo: «Se tu lassi
37.77 costei per colà entro voler gire,
37.78 s' ella non vien, chi guiderà i tuoi passi?».
37.79 -- Oh --, cominciò costei allora a dire,
37.80 -- che credi tu che colà entro sia?
37.81 Troppo ti volge ogni cosa il disire.
37.82 Faccian, mentre avem tempo, nostra via,
37.83 ché, come, tu costà pinto hai veduto,
37.84 così v' è dentro mondana vania.
37.85 Il ver che ora avanti conosciuto,
37.86 secondo il tuo parlar, avevi tutto,
37.87 seguilo, e non voler con non dovuto
37.88 operar seguir danno e perder frutto --.
CANTO XXXVIII
38.1 Comincia' io allora: -- A te che face
38.2 l' entrar là entro ed un poco vedere?
38.3 Io verrò poi là ovunque ti piace --.
38.4 -- Or veggio ben che tu il tuo parere
38.5 vuo' pur seguire in ciascheduna cosa,
38.6 e fai quel che tu vuo' a me volere --.
38.7 Così mi disse, e quasi dispettosa
38.8 soggiunse: -- Andian, ched e' potrà seguire
38.9 che quando tu in più pericolosa
38.10 angoscia ti vedrai, vorrai reddire
38.11 con meco adietro e non esser forse ito,
38.12 ed io ti lascerò in tal martire --.
38.13 Non fu il suo parlar da me udito
38.14 allor per poco, tanto avea la mente
38.15 pure al giardin verdeggiante e fiorito.
38.16 Tutti e quatro v' entrammo insiememente:
38.17 tanta gioia vi vidi, che ciò ch' io
38.18 dinanzi vidi ivi m' uscì di mente.
38.19 Ahi quanto egli era bello il luogo ov' io
38.20 era venuto, e quanto era contento
38.21 dentro da me l' ardente mio disio!
38.22 Rimirando m' andava intorno attento
38.23 per lo gioioso loco, scalpitando
38.24 l' erbette e' fior col passo lento lento.
38.25 Sì con diletto per lo loco andando
38.26 vidi in un verde e piccioletto prato
38.27 una fontana bella e grande; e quando
38.28 io m' appressai a quella, d' intagliato
38.29 e bianco marmo vidi assai figure,
38.30 ognuna in diverso atto ed in istato.
38.31 Mirando quelle, vidi le scolture
38.32 di diversi color, com' io compresi,
38.33 qua' belle e qua' lucenti e quali oscure.
38.34 Vidi lì un bel marmo; e quel sedesi
38.35 sopra la verde erbetta, di colore
38.36 sanguigno tutto, e 'n su quella stendesi
38.37 in piano, e s' io già non presi errore
38.38 nell' avisare, una canna per verso,
38.39 quadro e basso e lucido di fore.
38.40 Sovr' ogni canto di quel marmo terso
38.41 di marmo una figura si sedea,
38.42 ben che ciascuna avea atto diverso,
38.43 ch' umil, bella, soave mi parea
38.44 l' una di queste, e due spiritelli
38.45 con l' una mano a piè di sé tenea.
38.46 Habituati, parlando con quelli,
38.47 gli aveva sì in un voler recati
38.48 che ciascuno contento è di quel ch' elli
38.49 all' altro vedea 'n voglia; e colorati
38.50 eran li suoi vestir di tanti e tali
38.51 color, ch' io non li avrei mai avisati.
38.52 Nell' altro canto, a man destra, ch' iguali
38.53 spazio occupava, una donna vi stava
38.54 ad ogni creatura disiguali.
38.55 Ella nel capo suo quivi mostrava
38.56 tre visi, ed è vestita, ciò mi pare,
38.57 come di neve e così biancheggiava.
38.58 Là vid' io poi nel terzo angulo stare
38.59 una donna robusta tutta armata,
38.60 ad ogni affanno presta di portare.
38.61 Parea di ferro questa ivi formata
38.62 tutta a veder; e dopo lei seguia
38.63 un altra sopra 'l quarto angul fermata.
38.64 Rimirando colei ognun diria
38.65 che di fino smeraldo fatta fosse,
38.66 in abito piacente, umile e pia.
38.67 Or quel che più a mirarle mi mosse
38.68 fu un vaso vermiglio grande e bello,
38.69 che tutte sostenien con le lor posse.
38.70 Fermato sopra loro, il bel vasello
38.71 più che 'l sanguigno marmo si spandeva
38.72 sopra 'l fiorito e verde prato quello.
38.73 Egli era tondo, e 'n mezzo d' esso aveva
38.74 fermata una colonna piccioletta
38.75 che diamante in vista mi pareva,
38.76 ritonda e bella; e sopra quella eretta
38.77 un capitel v' aveva di fino oro,
38.78 fatto con maestria, non miga in fretta;
38.79 e sopra quel tre figure dimoro
38.80 faceano ignude, e le spalle rivolte
38.81 erano l' una all' altra di costoro.
38.82 Rideva l' una in atto, ben che molte
38.83 lagrime fuor per gli occhi ella gittasse,
38.84 che poi nel vaso parevan racolte.
38.85 Bruna era e nera; e poi che somigliasse
38.86 foco pareva l' altra e dalla poppa
38.87 d' acqua gittava; e la terza sopr' a sé
38.88 rampollava ancor, bianca ma non troppa.
CANTO XXXIX
39.1 Oh quanto bella tal fonte pariemi
39.2 e quanto da lodar, tal che giammai
39.3 di mirarla saziato non sariemi!
39.4 Com' io a basso al vaso riguardai,
39.5 dove l' acqua cadea ch' era gittata
39.6 da quelle tre, se bene immaginai
39.7 o vidi il vero, io vidi ch' adunata
39.8 era da parte quanta ne gittava
39.9 la bianca donna e là effigiata.
39.10 Onde uscia quella del vaso vi stava
39.11 un capo d' un leone, e ver levante
39.12 d' un picciol fiume il bel giardin rigava.
39.13 Tolto di quivi e fattomi più avante,
39.14 ciò che la donna vermiglia spandea
39.15 nel vaso vidi fare il simigliante.
39.16 Rimirando esso ancora vi vedea
39.17 una testa d' un toro, al mio parere,
39.18 del qual quell' acqua adunata scendea;
39.19 oltre ver mezzogiorno il suo sentiere
39.20 tenendo, mi parea che se ne andasse
39.21 ancor rigando il piacente verziere.
39.22 Poi mi parve ch' alquanto mi tirasse
39.23 inver la terza donna tutta nera,
39.24 che ridendo parea che lagrimasse.
39.25 Parevami che, poi ch' adunato era
39.26 suo lagrimar nel vaso, che scendesse
39.27 per una testa ancora che quivi era;
39.28 ove mirando, parve ch' io vedesse
39.29 che lupo fosse, e questa se ne gia
39.30 or qua or là, né parea che tenesse
39.31 en l' andar suo nulla diritta via:
39.32 ad aquilon talora e ver ponente
39.33 scendendo, non so dove si finia.
39.34 Ciò che dal leon cade pianamente
39.35 dico che corre, e sopra li suoi liti
39.36 d' erbe e di fior si vede ognor ridente.
39.37 Herba non v' ha, né frutti che smarriti
39.38 teman dell' autunno, ma tuttora
39.39 con frutti e frondi be' verdi e fioriti
39.40 ivi dimoran, né mai si scolora
39.41 prato, ma bel di variati fiori
39.42 la state e 'l verno sempre vi dimora.
39.43 A que' 'l ruscel, che al toro di fori
39.44 cade di bocca, similmente è bello
39.45 d' erbe e di fior di diversi colori;
39.46 rivestito di ciascuno albuscello
39.47 è 'l dolce lito, che porti verdura,
39.48 e similmente d' ogni gaio uccello.
39.49 Odesi alcuna volta en la pianura
39.50 le frondi risonar per dolce vento,
39.51 il qual si move da quell' aere pura.
39.52 Ogni pratel di quel lito è contento
39.53 di mutar condizione a tempo e loco,
39.54 secondo c' ha 'l vigore acceso e spento.
39.55 Rallegrasi ogni animale e gioco
39.56 vi fa, secondo che amor lo strigne
39.57 sotto la forza sua o molto o poco.
39.58 Ovunque la natura più dipigne
39.59 la terra di bellezza, è a rispetto
39.60 nulla di quello che quel fiume tigne.
39.61 Così veduto quel, con lo 'ntelletto
39.62 io corsi a quel che fuor del lupo usciva:
39.63 ov' io non vidi un albero soletto
39.64 o altra pianta, la qual verde o viva
39.65 vi sia, ma secca la pianura trista,
39.66 biancheggiar tutto con l' occhio scopriva.
39.67 Aveva ben del fiumicel la lista
39.68 tinta la terra d' un suo color perso,
39.69 che quasi lo schifava la mia vista.
39.70 Mossimi allora quindi, ed a traverso
39.71 presi il sentiero per lo bel giardino,
39.72 per gire al fiume del bel toro emerso.
39.73 E quella donna con cui il cammino
39.74 impresi prima, disse: -- Se ti piace,
39.75 andian per questa via, ché più vicino
39.76 ne fia 'l sentier che ci merrà a pace.
39.77 Dove tu vai, come tu hai veduto,
39.78 e del bel transitorio e fallace;
39.79 del qual se tu ti se' bene aveduto,
39.80 come dicevi e come il tuo parlare
39.81 mostrava che avessi conosciuto,
39.82 a quel non guarderesti, ma andare
39.83 il lasceresti come cosa vana
39.84 e 'ntenderesti a sol me seguitare.
39.85 Trai dalla mente tua quel che insana
39.86 esser la fa, giovi quel ch' io ti dico,
39.87 e per quel falla che ritorni sana:
39.88 e non esser di te stesso nimico --.
CANTO XL
40.1 La donna mi parlava, ed io mirando
40.2 con l' occhio andava pure ove 'l disio
40.3 mi tenea fitto, non so che ascoltando.
40.4 Avevami davanti, al parer mio,
40.5 su quella riva assai donne vedute,
40.6 di cui veder in tal voglia venn' io,
40.7 ch' io dissi: -- Donna mia, a mia salute
40.8 non pensar più ch' i' voglia, a tempo e loco
40.9 farò d' adoperar la tua virtute;
40.10 ch' ora di novo m' è nel cor un foco
40.11 venuto d' esser là: però o vienci,
40.12 o tu m' aspetta infin ch' i' torni un poco.
40.13 In qual parte vorrai poi insieme andrenci:
40.14 nostra stanza fia poca veramente,
40.15 che noi da veder quelle liberrenci --.
40.16 Oltre n' andai, sanza dir più niente,
40.17 co' due che mi traevano, e costei
40.18 quasi scornata mi teneva mente
40.19 con intentivo sguardo, ed io a lei;
40.20 sanza dir nulla io la vi pur lasciai,
40.21 o bene o mal non so qual io mi fei.
40.22 Hardito con costoro oltre passai,
40.23 e 'n sulla riva del bel fiumicello
40.24 io vidi donne ch' io conobbi assai;
40.25 e riguardando lor con occhio snello,
40.26 qual gia cantando e qual cogliendo fiori,
40.27 chi sedea, chi danzava in un pratello.
40.28 Bello era il loco e di soavi odori
40.29 ripien per molte piante che 'l coprieno
40.30 dal sole e dalli suoi già caldi ardori;
40.31 e suoi cavalli, al mio parer, salieno
40.32 già sopra la quarta ora e mezzo il segno
40.33 del friseo monton co' piè tenieno.
40.34 Non credo ched e' sie sì alto ingegno
40.35 che 'nteramente potesse pensare
40.36 le bellezze di quelle ch' io disegno.
40.37 Rimanga adunque qui questo lodare,
40.38 sol procedendo a' nomi di coloro
40.39 ch' io vi conobbi degne di nomare.
40.40 Infra quel bello e grazioso coro
40.41 di tante donne, vidi una bellezza
40.42 ch' ancora stupefatto ne dimoro.
40.43 Pietoso Appollo, alquanto dell' altezza
40.44 del tuo ingegno presta, o tu ispira
40.45 ora per me con la tua sottigliezza!
40.46 Omero, Maro, Naso, o chi più mira
40.47 discrizione o di donna o di dea
40.48 fé, saria poco a quella che si gira
40.49 sopra quel prato, ov' io vidi sedea
40.50 giovinetta leggiadra e tanto bella,
40.51 ch' io la pensai per fermo Citarea.
40.52 Inginoccha'mi per volere ad ella
40.53 far reverenza, ma poscia m' avidi
40.54 ch' era mondana e somigliava stella.
40.55 Sallosi Amore che i piatosi gridi
40.56 del cor sentì a sì mirabil vista,
40.57 ch' io nol so dir, ché non ho chi mi guidi,
40.58 e s' io pur conforto l' anima trista
40.59 poi che per li occhi senti' 'l dolce raggio
40.60 di tal bellezza, per obliqua lista.
40.61 Istesi adunque inver di lei il visaggio,
40.62 e s' a sua posta l' alma, ch' altra guarda,
40.63 dar si potesse, io muterei coraggio.
40.64 Nel viso che d' amor sempre par ch' arda
40.65 afigurai, mirando con diletto,
40.66 che costei era la bella lombarda.
40.67 Signore etterno, a cui nessuno effetto
40.68 mai si nascose, alla giusta preghiera
40.69 rispondi e dì: fu mai sì bello aspetto?
40.70 Essa sopra la verde primavera
40.71 si riposava con altre dintorno,
40.72 delle quali il bel luogo ripien era,
40.73 faccendo con la luce dell' adorno
40.74 e bellissimo viso, riflettendo
40.75 con lume, troppo più il chiaro giorno;
40.76 rimirando talor, fra sé ridendo
40.77 ver me di me, che arso m' accendeva
40.78 di nova fiamma ancora lei vedendo.
40.79 Udire appresso questa mi pareva
40.80 cantar tanto soave in voce lieta
40.81 che me di me sovente mi toglieva.
40.82 Così al canto libera e quieta
40.83 tutta la mente avea disposta, allora
40.84 che con benigna voce e mansueta:
40.85 -- Troppa qui lunga dispendiam dimora --,
40.86 i due mi dissero; a' qua' rivoltato
40.87 risposi: -- Andiam, sed e' vi pare, ancora --.
40.88 Oltre la via prendemmo per lo prato.
CANTO XLI
41.1 Oltre passando tra' fiori e l' erbette,
41.2 in loco pien di rose e d' albuscelli
41.3 venimmo, ove ciascun di noi ristette;
41.4 fra li qua' canti piacenti d' uccelli
41.5 s' udivan tai, che io mi saria stato
41.6 quasi contento pure ad udir quelli.
41.7 Or mirando più là nel verde prato,
41.8 donne vi vidi una carola fare
41.9 ad uno strano suon, ch' una dallato
41.10 ritta a me mi parve udir sonare.
41.11 Io non conobbi lei, posto ch' assai
41.12 bella paresse a me nel riguardare:
41.13 sì ch' io avanti all' altre riguardai,
41.14 ornata quale a sua somma grandezza
41.15 si conveniva, in atti lieti e gai,
41.16 esser la mira e piacevol bellezza
41.17 di Perigota, nata genitrice
41.18 dell' onor di Durazzo e dell' altezza.
41.19 Ahi quanto allor mi reputai felice,
41.20 non risparmiando gli occhi a mirar quella
41.21 che per bellezza si può dir fenice!
41.22 La qual non donna, ma diana stella,
41.23 con passo rado la menava attenta,
41.24 non altrimenti che si voglia ad ella,
41.25 con gli occhi bassi, del mirar contenta
41.26 che io faceva in lei, che già sentia
41.27 come d' altrui per biltà si diventa.
41.28 Vaga e leggiadra molto la seguia
41.29 la ninfa fiorentina, al cui piacere
41.30 oppongon tai, che non san che si sia,
41.31 nel viso lei parere un cavaliere,
41.32 onesta andando sì umilemente
41.33 ch' oltra dovere me ne fu in calere.
41.34 Dopo essa, attenta al suon similemente,
41.35 veniva quella Lia che trasse Ameto
41.36 dal volgar uso dell' umana gente,
41.37 in abito soave e mansueto,
41.38 inghirlandata di novella fronda,
41.39 con lento passo e con aspetto lieto.
41.40 Lì dopo lei, bianca e rubiconda
41.41 quanto conviensi a donna nel bel viso,
41.42 tutta gentile, graziosa e gioconda,
41.43 era colei di cui nel fiordaliso
41.44 il padre fu dall' astuzia volpina,
41.45 col zio e col fratel di lei, conquiso
41.46 con molta della gente fiorentina:
41.47 li quai libraron lor poscia, per merto,
41.48 troppo più che 'l dover pace vicina.
41.49 Tra tanto ben, quanto a' mie' occhi offerto
41.50 era 'n quel loco, vid' io poi seguire,
41.51 come 'l ramemorar me ne fa certo,
41.52 ognor più belle e più conte nel gire
41.53 donne altre assai, i nomi delle quali
41.54 io non saprei di tutte ben ridire.
41.55 Però, le taccio, ma con disiguali
41.56 passi e maniere si movea catuna,
41.57 sì come il suon ne porgeva segnali,
41.58 oltre, al parer mio; e ciascheduna
41.59 a tal bisogna conta, lieta e presta
41.60 mi pareva che fosse, perch' ognuna,
41.61 ridendo in sé, prendeva gioia e festa,
41.62 sanza mostrar negli atti ch' altra cura
41.63 le fosse forse dentro al cor molesta.
41.64 Givansi adunque su per la verdura
41.65 e sopra i fior che novi produceva
41.66 allato al rivo la bella pianura;
41.67 e talor quella che le conduceva
41.68 fino alla bella fonte se ne giva
41.69 e 'ntorno ad essa in giro si torceva,
41.70 sopra tornando per la cara riva
41.71 del fiumicello e poi nel pian tornando
41.72 che di diversi odor tututto oliva.
41.73 Sempre con l' occhio quelle seguitando
41.74 m' andava io, e dentro lo 'ntelletto
41.75 la lor bellezza giva immaginando;
41.76 e di quella prendea tanto diletto
41.77 in sé, ch' alcuna volta fu che io,
41.78 a tal piacer, credetti far subbietto
41.79 alla mia voglia quiveritta il mio
41.80 libero albitrio: ma pur si ritenne
41.81 con vigorosa forza il mio disio.
41.82 Voltatomi a que' due, allor mi venne,
41.83 ch' eran con meco, verso lor dicendo:
41.84 -- Oh quanto a queste natura sovenne,
41.85 ogni bellezza in esse componendo!
41.86 Beati que' che della grazia d' esse
41.87 son fatti degni, quella mantenendo,
41.88 la qual volesse Iddio che io l' avesse! --.
CANTO XLII
42.1 E mentre ch' io m' andava sì parlando
42.2 con questi due, ed ecco d' altra parte
42.3 molte donne gentili assai danzando.
42.4 Certo non credo che natura od arte
42.5 bellezze tante formasse giammai,
42.6 quanto ne' visi a quelle vidi sparte.
42.7 Tra me medesmo men maravigliai,
42.8 ma volto il viso a lor, come venieno
42.9 così nella memoria le fermai.
42.10 Onde mi par che quella, cui seguieno
42.11 danzando a nota d' una canzonetta
42.12 che due di quelle cantando dicieno,
42.13 raffigurando, era una giovinetta
42.14 dell' alto nome di Calavra ornata,
42.15 di Carlo figlia gaia e leggiadretta:
42.16 reggendo quella alla nota cantata
42.17 con volte degne e passi, a cotal danza,
42.18 come mi parve, appresso seguitata
42.19 ivi dall' alta ed unica intendanza
42.20 del Melanese, che col Can lucchese
42.21 abatté di Cardona l' arroganza.
42.22 Nelle man della qual poi la cortese
42.23 donna di quel cui seguita Ungheria,
42.24 bellissima si fece a me palese:
42.25 graziosa venendo, onesta e pia,
42.26 con lieta fronte, in atto signorile,
42.27 fece maravigliar l' anima mia.
42.28 Riguardando oltre, con sembianza umile
42.29 venia colei che nacque di coloro,
42.30 che tal fiata con materia vile
42.31 aguzzando lo 'ngegno a lor lavoro,
42.32 fer nobile colore ad uopo altrui,
42.33 multiplicando con famiglia in oro.
42.34 Tra l' altre nominat' è da colui
42.35 che con Cefàs abandonò le reti
42.36 per seguitare il Maestro, per cui
42.37 i tristi duoli e gli angosciosi fleti
42.38 fur tolti a' padri antichi, e parimente
42.39 da Lui menati nelli regni leti.
42.40 Appresso questa assai vezzosamente
42.41 se ne veniva la novella Dido,
42.42 di nome, non di fatto veramente,
42.43 tenendo acceso nel viso Cupido,
42.44 di tale sposa ch' assai mal contenta
42.45 credo la faccia nel marital nido.
42.46 Ed il nome di lui di due s' imprenta,
42.47 d' un albero e d' un tino, e 'l poco fatto
42.48 dal suo diminutivo s' argomenta.
42.49 Costei seguiva con piacevol atto
42.50 donna che del sussidio d' Orione
42.51 il nome tien, quando sonò per patto.
42.52 Oh quanto ella vorria, ed a ragione,
42.53 vedova rimaner partenopea
42.54 di tal c' ha nome da quel che menzione
42.55 l' agosto dà ad Ascesi! E poi vedea
42.56 dopo essa molte, le qua' raccontare
42.57 per più brieve parlar meglio è mi stea.
42.58 E com' io dissi, ad un dolce cantare,
42.59 in voce fatto angelica e sovrana,
42.60 era guidata, qual di sotto pare.
42.61 -- In chiunque dimora alma sì vana
42.62 ch' esser non voglia suggetta ad Amore,
42.63 da nostra festa facciasi lontana.
42.64 Lo suo inestimabile valore
42.65 che adduce virtute e gentilezza,
42.66 a ciascuna di noi disposto ha il core
42.67 a sempre seguitar la sua grandezza,
42.68 e lui servendo staremo in disire,
42.69 tanto che sentiren quella dolcezza
42.70 ched e' concede altrui dopo 'l martire:
42.71 null' altra gioia al suo dono è iguale,
42.72 poiché per quel sembra dolce il morire.
42.73 Vita che sanza lui dura non vale
42.74 né più né meno che se ella fosse
42.75 cosa insensata o d' un bruto animale.
42.76 In quel disio adunque in che ci mosse
42.77 quando a noi fé sua signoria sentirsi,
42.78 a sostenere inforzi nostre posse:
42.79 benivol poi essendoci a largirsi,
42.80 sì che, deh, non ci paian le ferute
42.81 di lui noiose né grave il soffrirsi,
42.82 in cui consiste la nostra salute;
42.83 quando parralli, la dobbiamo avere,
42.84 dandola tosto con la sua virtute --.
42.85 L' altre poi tutte appresso, al mio parere,
42.86 rispondendo diceano: -- O signor nostro,
42.87 in te si ferma ogni nostro volere,
42.88 tutte disposte siamo al piacer vostro --.
CANTO XLIII
43.1 Aveami già quel canto e la bellezza
43.2 delle giovani donne l' alma presa
43.3 e riempiuta di nuova allegrezza,
43.4 tanto che ad altro la mente sospesa
43.5 con gli occhi non tenea, che non faceano
43.6 alli raggi di lor nulla difesa;
43.7 e com' io loro alzai, vidi sedeano
43.8 donne più là, quasi sé riposando,
43.9 che forse fatta festa innanzi aveano.
43.10 Queste, mentre io andava riguardando,
43.11 d' erbe e di frondi tutte coronate
43.12 vidi ed insieme d' amor ragionando.
43.13 Ver è ch' ell' eran di maturitate,
43.14 di costumi, di senno e di valore
43.15 e di bellezza molto e molto ornate.
43.16 E volto verso là, il primo ardore
43.17 della bellezza dell' altre fu spento,
43.18 di tutte, fuor che d' una, nel mio core;
43.19 sì ch' io con passo mansueto e lento
43.20 a quelle m' appressai com' io potei,
43.21 ed a mirarle mi disposi attento.
43.22 Tra l' altre che io prima conoscei,
43.23 fu una ninfa sicula per cui
43.24 già si maravigliaron gli occhi miei.
43.25 Oh quanto bella lì negli atti sui,
43.26 biasimando le fiamme di Tifeo,
43.27 si sedea ragionando con altrui!
43.28 mostrando come per quelle perdeo
43.29 l' amato sposo in cieco marte preso,
43.30 allor che tutto vinto si rendeo
43.31 in Lipari lo stuolo, ond' elli offeso
43.32 col bianco monte nel campo vermiglio
43.33 ne fu menato, ove ancora è difeso,
43.34 mudando in chiusa dell' aureo giglio;
43.35 donde doleasi, perch' a lui riavere
43.36 non valean prieghi, danar, né consiglio.
43.37 Ove costei così, al mio parere,
43.38 quivi doleasi, attenta l' ascoltava
43.39 giovane donna di sommo piacere,
43.40 simile a cui nessuna ve ne stava,
43.41 per quel ch' a me paresse, nel suo viso
43.42 che d' ogni biltà pien si dimostrava.
43.43 Sariasi detto che di paradiso
43.44 fosse discesa da chi 'ntentamente
43.45 l' avesse alquanto rimirata fiso.
43.46 E com' io seppi, ell' era della gente
43.47 del Campagnin che lo Spagnuol seguio
43.48 nella cappa, nel dire e con la mente,
43.49 a sé faccendo sì benigno Iddio,
43.50 che d' ampio fiume di scienza degno
43.51 si fece, come poi chiar si sentio,
43.52 faccendo aperte col suo sommo ingegno
43.53 le scritture nascose, e quinci appresso
43.54 da Carlo pinto gì nello dio regno;
43.55 faccendo sé da quella, in cui compresso
43.56 stette Colui che la nostra natura
43.57 nobilitò, nomar, che poi l' eccesso
43.58 absterse della prima creatura
43.59 con la sua pena; e quivi coronata
43.60 della fronda pennea, con somma cura
43.61 raggiugnea fior per farsi più ornata,
43.62 mostrando sé tal fiata piatosa
43.63 della noia dell' altra a lei narrata.
43.64 Con questa era colei ch' essere sposa
43.65 e figliuola perdé quasi in un anno,
43.66 di brun vestita e nel viso amorosa:
43.67 oggi tornando dove i fabbri stanno
43.68 vulcanei e' miropoli e coloro
43.69 ch' ornan di freno e di sella, all' affanno
43.70 me' sostener l' animal, ch' al sonoro
43.71 percuoter di Nettunno apparve fori
43.72 nel bel conspetto del celeste coro.
43.73 Ed il bel nome che' gemmier maggiori
43.74 danno alla perla è suo, il cui cognome
43.75 gli Asini legan, di que' guardatori.
43.76 Splendida, chiara e bella era sì come
43.77 nel ciel si mostra qual più luce stella,
43.78 di vel coperte l' auree chiome.
43.79 Vaga più ch' altra, si sedea con ella
43.80 un' altra fiorentina in atto onesto,
43.81 assai passante di bellezza quella.
43.82 Ben m' accors' io chi era e che dal sesto
43.83 Cesare nominato era il marito,
43.84 qual chi 'l conosce il pensa a lei molesto.
43.85 Guardando adunque nel piacente sito
43.86 costoro ed altre che v' erano assai,
43.87 sentiva ben da me mai non sentito,
43.88 in guisa tal ch' io men maravigliai.
CANTO XLIV
44.1 Era più là, di donne accompagnata,
44.2 la Cipriana, il cui figliuolo attende
44.3 d' aver la fronte di corona ornata,
44.4 con quello onore che ad essa si rende
44.5 dell' isola maggior de' Baleari,
44.6 se caso fortunal non gliel contende.
44.7 Tra le quali era, in atto non dispari
44.8 della gran donna, un' altra tanto bella,
44.9 che mi fur gli atti suoi a mirar cari.
44.10 Ognuna quivi riguardava ad ella
44.11 per la sua gran bellezza, ed io con loro
44.12 che già in me riconosceva quella.
44.13 Ell' è colei di cui il padre nell' oro
44.14 l' azzurro re de' quadrupedi tene
44.15 nel militare scudo, e di coloro
44.16 passata stassi, come si convene
44.17 isposa d' un che la fronzuta pera
44.18 d' oro nel ciel per arma ancor ritene.
44.19 E con queste a seder bellissim' era,
44.20 simile a riguardare ad una dea
44.21 la sposa di colui che la rivera
44.22 rosseggiar fé di Lipari, eolea
44.23 isola, poi togliendo in guidardone
44.24 l' amiraglia da chi dar la potea.
44.25 Con essa questa ancora ad un sermone
44.26 conobb' io quella che fu tratta al mondo,
44.27 onde fuggita s' era in religione,
44.28 honesta e gaia nel viso giocondo,
44.29 moglie di tal che me' saria non fosse:
44.30 ma chi più sia non mosterrò del fondo.
44.31 E l' altre oltre mirando, mi percosse
44.32 ma non so che, e tutto quasi smorto
44.33 subito altrove gli occhi e me rimosse.
44.34 Venend' io così men sanza conforto,
44.35 tremando tutto, mi ritorna' a mente
44.36 ch' io vidi in una parte di quell' orto,
44.37 onesta e graziosa umilemente,
44.38 una donna sedere il cui aspetto
44.39 tutto dintorno a sé facea lucente.
44.40 In questo alquanto nel tremante petto
44.41 con forza ritornò l' alma smarruta,
44.42 rendendo forza al debile intelletto.
44.43 Così mi ricordò che io veduta
44.44 avea costei tra quelle donne prima,
44.45 e 'n altra parte ancora conosciuta.
44.46 Onde se sua bellezza la mia rima
44.47 qui al presente perfetta non dice,
44.48 maraviglia non è; ma tanto estima
44.49 sentendo l' alma mia, che om felice
44.50 mirando quella dovria divenire,
44.51 se la memoria mia ver mi ridice.
44.52 Tenendo mente lei, sommo disire
44.53 d' entrar mi venne dentro allo splendore
44.54 che delli suoi belli occhi vedea uscire;
44.55 e 'n ciò pensando subito nel core
44.56 punger sentimmi, e quasi in un momento
44.57 mi ritrovai nel piacevol lustrore.
44.58 Ivi mirabile il dimoramento
44.59 pareami, e quasi in me di me facea
44.60 beffe di sì notabile ardimento.
44.61 Ma lì essere stato mi parea
44.62 tanto che quattro via sei volte il sole
44.63 con l' orizonte il ciel congiunto avea.
44.64 E come nell' orecchia talor sole
44.65 subito dolce suon percuoter tale
44.66 che quello udendo poi le piace e vole,
44.67 così orribil mi venne cotale
44.68 e spaventommi per lungo soggiorno,
44.69 né mi fé già, ben ch' io temessi, male:
44.70 -- O tu --, dicendo, -- ch' e' nel chiaro giorno
44.71 del dolce lume della luce mia,
44.72 che a te vago si raggia dintorno,
44.73 non ischernir con gabbo mia balia,
44.74 né dubitar però per mia grandezza,
44.75 la quale umil, quanto vorrai, ti fia.
44.76 Onora con amor la mia bellezza,
44.77 né d' alcun' altra più non ti curare,
44.78 se tu non vuo' provar mia rigidezza --.
44.79 Sentimmi poi il cor dentro legare
44.80 co' cari crini del suo capo, e adesso
44.81 più volte intorno avolgere e girare.
44.82 Così mi parve, se bene in me stesso
44.83 ricordo, che costei dicesse: ond' io
44.84 risposi: -- Donna, a te tutto sommesso
44.85 io sono e sarò sempre, e ciò disio --.
CANTO XLV
45.1 A tal partito nel beato loco
45.2 istandomi, io mi senti' nel core
45.3 raccender più ardente questo foco,
45.4 tal ch' io pensai che 'l novello ardore
45.5 oltre al dovuto modo mi tirasse,
45.6 tal nel principio suo mostrò furore.
45.7 E 'l cor, che ciò pareva che pigliasse
45.8 a sé, lo 'ncendio, quantunque potesse,
45.9 oltre a dovuta parte a sé ne trasse.
45.10 E così stando parve ch' io vedesse
45.11 questa donna gentile a me venire
45.12 ed aprirmi nel petto, e poi scrivesse
45.13 là entro nel mio cor posto a soffrire,
45.14 il suo bel nome di lettere d' oro
45.15 in modo che non ne potesse uscire.
45.16 La qual, non dopo molto gran dimoro,
45.17 nel mio dito minore uno anelletto
45.18 metteva tratto di suo gran tesoro;
45.19 al qual pareami, se 'l mio intelletto
45.20 bene stimò, che una catenella
45.21 fosse legata, che infino al petto
45.22 si distendeva della donna bella,
45.23 passando dentro, e con artigli presa,
45.24 come ancora scoglio, tenea quella.
45.25 Oh quanto da quell' ora in qua accesa
45.26 fu la mia mente del piacer di lei,
45.27 che mai non era più stata offesa!
45.28 Moveami questa ove pareva a lei
45.29 co' suoi belli occhi, e sol pensando andava
45.30 com' io potessi piacere a costei.
45.31 Infra quel circuito che ocupava
45.32 la luce sua, quasi come 'nretito,
45.33 a forza a rimirarla mi girava.
45.34 Gravoso mi parea l' esser fedito
45.35 e più fiate lagrime ne sparsi,
45.36 non potend' io durar l' esser partito
45.37 là onde quella soleva mostrarsi
45.38 agli occhi miei gentile e graziosa,
45.39 e più nel cor sentia 'l foco allumarsi.
45.40 Io non trovava nella mente posa,
45.41 sì mi stringea pur di lei vedere
45.42 la mente ardente di sì bella cosa.
45.43 Adunque seguitando il mio volere,
45.44 dovunque era costei, così tirato
45.45 parea ch' io fossi dal suo bel piacere;
45.46 ma certo in ciò Amor m' era assai grato,
45.47 sol che 'l disio non fosse oltra misura
45.48 nell' amoroso cor troppo avanzato.
45.49 Ognora che la sua bella figura
45.50 disiava vedere, Amor faceva
45.51 di ciò contenta la mia mente scura,
45.52 rendendo lei umil quand' io voleva.
45.53 E questo più m' accendeva, vedendo
45.54 che 'l mio disio adempier si poteva,
45.55 né per lei rimaneva ma, sentendo
45.56 forse maggior periglio, consentia
45.57 che io avanti mi stessi piangendo,
45.58 e graziosa mostrandosi e pia
45.59 verso di me, con sua benignitate
45.60 in conforto tenea la mente mia.
45.61 Lungamente seguendo sua pietate,
45.62 ora in avversi ed ora in graziosi
45.63 casi reggendo la mia volontate,
45.64 sollecito del tutto mi proposi
45.65 di pur sentire l' ultima possanza
45.66 che in loro hanno i termini amorosi.
45.67 Ver è che molto prolissa speranza
45.68 mi tenne in questa via, non però tanto
45.69 che 'l mio proposto gisse in oblianza.
45.70 Alla seconda con sospiri e pianto,
45.71 quando con festa, sempre seguitai
45.72 il mio proponimento, infino a tanto
45.73 sottilmente guardando, m' avisai
45.74 che la donna pensava terminare
45.75 con savio stile i disiosi guai.
45.76 Però alquanto lasciai 'l pensare,
45.77 dicendo: «Tosto credo proveduto
45.78 fia da costei il mio grave penare.
45.79 Ell' ha ben ora tanto conosciuto
45.80 del mal ch' io sento e del mio disio,
45.81 ch' io credo che di me le sia incresciuto».
45.82 Così fra me gia ragionando io,
45.83 pure aspettando che la sua grandezza
45.84 si dichinasse alquanto al dolor mio
45.85 torre potere con la sua bellezza:
45.86 la qual l' anima mia più ch' altra brama
45.87 e più che altra alcuna in sé l' apprezza,
45.88 onorandola sempre quanto l' ama.
CANTO XLVI
46.1 Tenendo me il valor di colei
46.2 dentro a sua luce in tal modo costretto,
46.3 sempre con lo 'ntelletto volto a lei,
46.4 avendo spesso dolore e diletto,
46.5 riposo e noia con isperanza assai,
46.6 com' io qui poco di sopra ho detto,
46.7 non sappiendo a che termine mai
46.8 si dovesse finire, un poco appresso
46.9 inver di lei alquanto mi voltai,
46.10 traendomi più là, e con sommesso
46.11 parlar le chiesi che al mio dolore
46.12 fine ponesse, qual doveva, adesso,
46.13 ognor servando quel debito onore
46.14 che si convene a suoi costumi adorni,
46.15 di gentilezza pieni e di valore.
46.16 Cinque fiate tre via nove giorni
46.17 sotto la dolce signoria di questa
46.18 trovato m' era in diversi soggiorni,
46.19 allora ch' io senti' che la molesta
46.20 pena, che m' era nello cor durata,
46.21 convertir si doveva in lieta festa.
46.22 Lasciando adunque la mia vesta usata
46.23 in parte più profonda del verziere,
46.24 mi parea ritrovar quella fiata
46.25 con gioia smisurata, al mio parere,
46.26 e nelle braccia la donna piatosa
46.27 stupefatto mi parea tenere.
46.28 Vinceva tanto l' anima amorosa
46.29 la gioia, che la lingua stando muta
46.30 di venuta pareva dubitosa,
46.31 né diceva niente, ma l' aguta
46.32 voglia di star dov' esser mi parea
46.33 facea parermi falsa tal paruta.
46.34 Dond' io fra me spesse volte dicea:
46.35 «Sogni tu? o se' qui come ti pare?»
46.36 «Anzi ci son», poi fra me rispondea.
46.37 In cotal guisa spesso a disgannare
46.38 me quella donna gentile abracciava
46.39 e con disio la mi parea basciare,
46.40 fra me dicendo ch' io pur non sognava,
46.41 posto che mi pareva grande tanto
46.42 la cosa, ch' io pur di sognar dubbiava.
46.43 E se per comprazion volessi quanto
46.44 fu la mia gioia porre, essemplo degno
46.45 nol crederia trovar; ma dopo alquanto,
46.46 con quella gioia che io qui disegno,
46.47 la quale immaginar non si porria
46.48 da alcuno mai per altezza d' ingegno,
46.49 tratto un sospiro, graziosa e pia
46.50 la donna inver di me disse: -- Ora dimmi,
46.51 come venisti qui, anima mia? --.
46.52 Ond' io a lei: -- Poi ch' Amore aprimmi
46.53 gli occhi a conoscer la vostra biltate,
46.54 a cui io per mia voglia consentimmi,
46.55 nel cerchio della vostra potestate
46.56 entrato con affanno e con sospiri,
46.57 sempre sperando en la vostra pietate,
46.58 ò lui pregato che a' miei martiri
46.59 dia fine grazioso, ed e' menato
46.60 m' ha qui per fine porre a' miei disiri.
46.61 Nel giardin là ver è ch' i' ho lasciato
46.62 stare una donna, la qual lungamente
46.63 prima m' avea benigna accompagnato
46.64 venendo qui --; e non lasciai niente
46.65 a dire a lei e di que' due ancora
46.66 con cui io venni qui similemente.
46.67 Alquanto stette quella donna allora
46.68 in abito sospesa, in sé pensando:
46.69 e poi, non dopo molto gran dimora:
46.70 -- Andrai --, mi disse, -- la donna cercando,
46.71 e lei seguisci però ch' ella è quella
46.72 che 'n dritta via ripon chi va errando.
46.73 Ciò ch' ella vuol, vo' facci, fuor che s' ella
46.74 me ti volesse far di mente uscire:
46.75 in ciò non vo' che ubidischi ad ella.
46.76 Humiliati sempre al suo disire
46.77 e me porta nel cuor, né ti sia grave,
46.78 ché ben te ne vedrai, credo, seguire.
46.79 Il portar te in me tanto soave
46.80 m' è, che per pace corro a tua figura
46.81 quando gravezza alcuna il mio cor have.
46.82 Giammai non fu neuna creatura
46.83 che tanto mi piacesse: fatti lieto,
46.84 e di ciò tien l' anima tua sicura.
46.85 Io volli ora, al presente far quieto
46.86 il tuo disio con amorosa pace,
46.87 dandoti l' arra che finirà 'l fleto:
46.88 adunque va omai quando ti piace --.
CANTO XLVII
47.1 La donna tacque allora, ed io congedo
47.2 presi in un atto in me molto contento
47.3 e 'n altro più dolente che mai, credo,
47.4 ver quella parte ritornando lento
47.5 dov' io aveva la donna lasciata
47.6 che fu mia guida nel cominciamento.
47.7 Io mi giva pensando con bassata
47.8 testa a quel ben che io avuto avea,
47.9 e doleami di sì corta durata.
47.10 Di più disio ancora mi parea
47.11 tutto arder dentro nel trafitto core
47.12 vie più che nel principio non facea;
47.13 e diceva fra me: «Deh, se l' ardore
47.14 ora non manca, non credo che mai
47.15 egli esca omai della mente di fore.
47.16 Avuto ho quel che io più disiai:
47.17 deh, che cercherò io per mia salute?
47.18 chi stuterà cotal fuoco oramai?
47.19 La volontà che d' Amor le ferute
47.20 mi porsero, non è in me finita
47.21 ma è cresciuta in me la sua virtute».
47.22 Tra' fiori e l' erba con vista smarrita
47.23 m' andava in me in tal guisa pensando,
47.24 dispregiando e lodando la mia vita.
47.25 Riguardandomi a' piedi, così andando,
47.26 mi trovai alla fonte non avendo
47.27 vedute quelle donne festeggiando;
47.28 e 'l viso alzai, me stesso riprendendo
47.29 del perduto diletto, e ver me vidi
47.30 quella donna venir cui io caendo
47.31 fra quel giardino andava, -- Ove ti fidi? --
47.32 ver me dicendo, e con le braccia aperte
47.33 mi prese, e: -- Non cre' tu che io ti guidi
47.34 in qual parte vorrai? perché perverte
47.35 tua volontà il mio consiglio vero,
47.36 per vanità lasciando cose certe? --
47.37 Allor risposi: -- Madonna, sincero
47.38 m' è il tuo mostrar tornato di colei
47.39 grazia che m' ha disposto a tal sentiero.
47.40 Tu verrai, se ti piace, infino a lei,
47.41 e quivi insieme ci dimoreremo
47.42 quanto piacer sarà tuo e di lei;
47.43 e poi insieme tutti e tre andremo
47.44 dove vorrai, ché io credo segnare
47.45 sotto 'l piacer di lei il dì estremo --.
47.46 Ed allora: -- Il tuo adimandare
47.47 è d' ordine di fuor, ché io so bene
47.48 quel che tu vo' che io vi venga a fare.
47.49 La donna meco assai più si convene,
47.50 che tu non fai: dove menar mi vuoi
47.51 e ben conosco qual disio ti tene.
47.52 Vieni con meco ed a lei andrem poi --.
47.53 -- Ma andian là --, risposi, -- prima ed essa
47.54 insieme meneren con esso noi.
47.55 Non c' è bisogno d' aver sì gran pressa:
47.56 ancora il sole al cerchio di merigge
47.57 non è, e 'l nostro andar però non cessa --.
47.58 Diss' ella allora: -- Io so che ti trafigge
47.59 di lei il piacer e non ti puoi partire,
47.60 però pur qui tua volontà si figge.
47.61 E però se in questo il tuo disire
47.62 io seguirò, tu giurerai di fare
47.63 quel ch' io vorrò ed altro non seguire --.
47.64 La mia risposta fu: -- Non comandare
47.65 ch' io non ami costei, ogni altra cosa
47.66 al tuo piacer mi fia lieve osservare.
47.67 La qual se io sol per libidinosa
47.68 voglia fornire amassi, in veritate
47.69 con dover ne saresti crucciosa;
47.70 anzi con quella intera caritate
47.71 che prossima persona amar si dee,
47.72 amo, servo ed onoro sua bontate;
47.73 la qual, sì come manifesto v' ee,
47.74 non trova pari in atti né 'n bellezza,
47.75 né in saper nel mondo simil ee --.
47.76 -- Tu hai --, mi disse quella con dolcezza,
47.77 -- sì presa me pur di voler vedere
47.78 costei, cui donna fai di gentilezza
47.79 real posseditrice, che potere
47.80 non ho sanza vederla d' ire altrove
47.81 né di negare a te il tuo piacere.
47.82 Or dunque insieme ce n' andiam là dove
47.83 tu l' hai lasciata, e veggian manifesto
47.84 se quello è vero a che il tuo dir mi move --.
47.85 Subitamente ragionato questo
47.86 insieme ci movemmo e nel conspetto
47.87 venimmo di colei, che 'n atto onesto
47.88 incontro venne a noi con lieto aspetto.
CANTO XLVIII
48.1 Graziosamente si feciono onore
48.2 quivi insieme le donne, ed in brieve
48.3 l' una dell' altra conobbe il valore.
48.4 -- Ora mi fia --, la prima donna, -- lieve --,
48.5 ver me rivolta disse, -- farti quella
48.6 grazia che per adietro m' era grieve.
48.7 Dolce, cara e benigna mia sorella
48.8 tengo costei, e s' tu m' avessi detto
48.9 di lei il nome, già saremmo ad ella,
48.10 è gran pezza, venuti nel conspetto.
48.11 Costei sanza 'l fedel consiglio mio
48.12 non ferma fatto né compon suo detto:
48.13 dunque per tale essemplo il tuo disio
48.14 rafrena e serva il verace piacere,
48.15 il qual più volte t' ho già mostrat' io.
48.16 Intero fa che servi il suo parere:
48.17 altro che ben non ten potrà seguire,
48.18 però ch' ell' ha ver te il mio volere --.
48.19 Lei prese poi per mano e così a dire
48.20 incominciò: -- Figliuola di virtute,
48.21 cui questi qui del tutto vuol servire
48.22 ognor con più disio, per sua salute
48.23 pensa, sì ch' egli, ch' ogn' altra ha lasciata
48.24 per servir te, con laude dovute
48.25 ringrazi te, cui elli ha essaltata
48.26 nel mio conspetto tanto che giammai
48.27 nulla ne fu per tal modo lodata.
48.28 Ond' io udendo ciò immaginai
48.29 che fuor che tu altr' esser non potea,
48.30 e però a venir qui m' inviai --.
48.31 Ove poi per la destra mi prendea
48.32 e davami a costei, così dicendo
48.33 ancora inver di lei, ciò mi parea:
48.34 -- Non ebbe questi mai fren che tenendo
48.35 andasse in modo buon sua giovanezza,
48.36 se non, ch' io ora di porgliele intendo,
48.37 dirizzando esso verso quella altezza
48.38 onde tu discendesti a dimostrare
48.39 alli mondan quaggiù la tua bellezza.
48.40 Imperciò ch' io il sento ancora a fare
48.41 a te ogni servigio molto presto,
48.42 per la fé che mi dei ti vo' pregare,
48.43 ogni cagion rimossa, che in questo
48.44 e' sia in quanto può racomandato,
48.45 drizzando lui col tuo parlare onesto
48.46 là ove sia onorevole stato
48.47 di lui e tuo e suo contentamento,
48.48 in modo che a me non sia disgrato.
48.49 Io il ti dono tutto, i' 'l ti presento:
48.50 sempre sia tuo, né giammai sia ardito
48.51 di sé partir dal tuo comandamento --.
48.52 E poi rivolta a me mi disse: -- Udito
48.53 hai ch' io t' ho dato a questa: fa che 'n guisa
48.54 la servi che 'l mio don sia gradito.
48.55 Tiella per donna tua, né mai divisa
48.56 sia da lei l' alma tua fin che la vita
48.57 dal mortal colpo in te non è conquisa.
48.58 Or qui alquanto per questa fiorita
48.59 campagna dolcemente ti riposa,
48.60 sì che poi sie più forte alla salita
48.61 dove menarti intendo, e la gioiosa
48.62 donna con noi, acciò che la via
48.63 del tutto paia a ciascun dilettosa --.
48.64 Io dissi allor: -- Madonna, così sia!
48.65 se tal grazia mi fai, quando ti piace
48.66 a tal camin con noi dietro t' invia.
48.67 Manifesto conosco altro che pace
48.68 io non potrei aver, poi questa vene
48.69 che per conforto sola nel cor giace,
48.70 ond' io sento alleggiare le mie pene.
48.71 Dio voglia ch' ella ci stia lungamente,
48.72 con allegrezza aggiugnendoci bene! --.
48.73 Ridendo e festeggiando insiememente
48.74 su per l' erbette insieme n' andavamo
48.75 e d' amor ragionando lietamente.
48.76 Ora innanzi ora 'ndietro tornavamo,
48.77 e talora cogliendo erbette e fiori
48.78 sopra li verdi prati abassavamo,
48.79 rinnovando con gli occhi più gli ardori
48.80 degli animi, e andando per la via
48.81 soave al naso per diversi odori.
48.82 E con colei ch' a me più agradia
48.83 cercando ogni boschetto, noi soletti,
48.84 sanza la donna ch' adietro venia,
48.85 n' andavan tutti prendendo diletti;
48.86 tanto che quella, entrati in chiuso loco,
48.87 più non vedemmo, onde: -- Ciascun s' assetti --,
48.88 dicendo, -- qui or aspettianla un poco --.
CANTO XLIX
49.1 Era quel loco, dove ci trovamo,
49.2 soletto tutto, né persona appresso
49.3 di nulla parte a noi non sentavamo.
49.4 Tutto dintorno ed ancora sopra esso
49.5 era di frondi verdi il loco pieno,
49.6 e di quelle era ben follato e spesso.
49.7 Entrar non vi potea sol né sereno,
49.8 e di vermiglie rose in circuito
49.9 gran quantità ancor vi si vedieno.
49.10 Allor vedendo il dilettevol sito
49.11 e me con quella dimorar soletti
49.12 e d' ogni altra compagna esser partito,
49.13 là fra me dissi: «Io non so ch' io m' aspetti:
49.14 perché, poi che qui sono, ora non prendo
49.15 di questa i tanti affannati diletti?
49.16 Lo loco ov' ora dimorian sedendo
49.17 to' ogni sospetto, né qui mai trovarci
49.18 quella potria che ci venia seguendo,
49.19 ed altro non cred' io che impacciarci
49.20 potesse: costei vuole ed io 'l disio,
49.21 dunque perché cercar più d' indugiarci?».
49.22 In cotal ragionar m' acosta' io
49.23 a quella, e presa lei che 'n sull' erbetta
49.24 sonniferava già, al parer mio,
49.25 lei nelle braccia mi reca' istretta:
49.26 mille fiate credo la basciai
49.27 pria si svegliasse la bella angioletta.
49.28 Ma subito stordita a dir: -- Che fai? --
49.29 cominciò isvegliata, -- deh, non fare!
49.30 se quella donna vien, come farai? --.
49.31 Ed io allora cominciai a parlare:
49.32 -- Donna, io non so quando mi riavesse
49.33 quel che tu ora mi vuoi far lasciare.
49.34 Ragion sarebbe ch' io sempre piangesse,
49.35 se per preghiera che non dee valere
49.36 quel ch' io ho mattamente perdesse --.
49.37 In cotal guisa stando, al mio parere,
49.38 già questa bella donna stava cheta,
49.39 consentendo umilmente, al mio piacere
49.40 tutta disposta, quando l' alma lieta
49.41 di cotal bene tanta gioia prese
49.42 in sé, che ritener dentro a sua meta
49.43 allora non poté, ma 'l sonno offese
49.44 là dov' io dolce allor facea dimora,
49.45 per che si ruppe e più non si difese.
49.46 Tutto stordito mi riscossi allora
49.47 e strinsi a me le braccia, e mi credea
49.48 intra esse madama avervi ancora.
49.49 Omè, quanto angosciosa e quanto rea
49.50 tal partita mi fu, e quanto caro
49.51 mi fu il dormir mentre 'n braccio v' avea!
49.52 Ahi come ritornò in duolo amaro
49.53 quel diletto che 'l sonno m' avea porto,
49.54 ch' a ogni affanno avea posto riparo!
49.55 Lasso, angoscioso e sanza alcun conforto,
49.56 levato pur dintorno mi mirava
49.57 immaginando ancora star nell' orto.
49.58 La fantasia non so come m' errava,
49.59 e, mentre avea sognato, mi credeva
49.60 non sogno avesse e così estimava.
49.61 Ora stordito sognar mi pareva,
49.62 e lungo spazio non seppi ov' io m' era
49.63 né vero sentimento in me aveva.
49.64 Ritornato ch' io fui poi nella vera
49.65 conoscenza di prima e lagrimato
49.66 ebbi per certo spazio quivi ov' era:
49.67 «Omè», dicendo, «dove son io stato
49.68 con tanta gioia? Ora fosse piaciuto
49.69 a Dio ch' i' non mi fossi mai destato,
49.70 e 'n cotal gioia sempre sare' suto!
49.71 Ancor mi fora leggiero il dormire
49.72 se più tal don mi fosse conceduto.
49.73 Pianto ed angoscia e noioso martire
49.74 di ciò mi crebbe, e multiplicò 'l foco
49.75 in me vie più d' amoroso disire,
49.76 il quale io sento che a poco a poco
49.77 tutto mi sface; e già saria finita
49.78 la vita mia, se non che a quel loco
49.79 veracemente spero che reddita
49.80 ancor farò con essenza perfetta,
49.81 allor prendendo quella gioia compita,
49.82 nella quale ora dormendo imperfetta
49.83 stetti. E questo l' amorosa mente
49.84 solo disia e fermamente aspetta,
49.85 ove Colui, che di tutto è potente,
49.86 mi rechi e servi nella vostra grazia
49.87 quanto vi piace, madonna piacente,
49.88 nella qual sempre fia la mente sazia».
CANTO L
50.1 Dico che poi che 'l sonno fu partito
50.2 tutto di me, che stava lagrimando
50.3 ancora in me di tal bene smarrito,
50.4 in piè drizzato, intorno a me guardando
50.5 vidi la bella donna, la qual voi
50.6 per lo giardin mi feste andar cercando.
50.7 -- Che pensi? -- disse a me, e poco poi
50.8 soggiunse: -- Andiam, ch' egli è voler di quella
50.9 che nel tuo sonno mi ti diè ancoi --.
50.10 Ond' io risposi stupefatto ad ella:
50.11 -- E dove andremo? e torneren noi forse
50.12 dov' io era or con quella donna bella? --.
50.13 -- Mai sì --, disse allora, -- e ciò che porse
50.14 il tuo dormire alla tua fantasia
50.15 tututto avrai, se da me non ti smorse.
50.16 Ancora più per me dato ti fia
50.17 di grazia, di veder ciò che perdesti
50.18 quando lasciasti la mia compagnia.
50.19 In quella parte là, dove or dicesti,
50.20 sanza consiglio molto esaminato
50.21 ir non si vuol, ché tu ten penteresti.
50.22 Primieramente là dove m' è grato
50.23 seguita, ché sanza dubbio intenta
50.24 farò di farti a tempo consolato:
50.25 e quel disio, che or più ti tormenta,
50.26 porrò in pace con quella bellezza
50.27 che l' alma al cor tuttora ti presenta --.
50.28 Ristette allora, ed io tanta dolcezza
50.29 presi della promessa, che nel viso
50.30 tututto sfavillava d' allegrezza.
50.31 Con voce piana e tutto pien di riso
50.32 risposi a lei: -- Donna gentile, io vegno,
50.33 né più da te voglio esser mai diviso.
50.34 Humile e pian, quant' io posso, m' assegno
50.35 a te: fa sì ch' al piacer di colei,
50.36 di cui io sono, io non trapassi il segno --.
50.37 -- Ell' ha del mio voler --, disse costei,
50.38 -- in mano il fren, sì ch' io non posso fare
50.39 se non sol quel ch' è in piacere a lei.
50.40 Di tanto sempre mi veggo onorare
50.41 da essa, ch' io lel lascio, che giammai
50.42 oltre alla voglia mia non vuol mutare --.
50.43 E questo detto disse: -- Andiamo omai,
50.44 ché 'l tempo è brieve a quel che voi fornire --;
50.45 per ch' io sanza più dir la seguitai.
50.46 Così adunque vo per pervenire,
50.47 donna gentile, al loco dove sendo
50.48 voi ebbi tanta gioia nel mio dormire,
50.49 tuttor notando quel ch' andrò vedendo
50.50 dietro a costei per la portella stretta,
50.51 e di scriverlo oltre ancora attendo.
50.52 Or vi voglio pregar, donna diletta,
50.53 che poi che la passata visione
50.54 tututta con diletto avrete letta,
50.55 mirando dove cade riprensione
50.56 mi correggiate, e cara la teniate
50.57 pensando alla mia buona affezione.
50.58 Io non mi curo poi se dispregiate
50.59 fien forse le sue rime e sua sentenza,
50.60 sol che a voi sien dilettose e grate.
50.61 Per vostro onore e somma reverenza
50.62 della fé ch' io vi deggio, come a donna
50.63 di virtuosa e somma intelligenza,
50.64 atando me la possa che s' indonna
50.65 in ciascun cuor gentil che da virtute
50.66 per accidente alcun mai non si sdonna,
50.67 rispetto avendo ancora alla salute
50.68 che da vo' isperanza mi promette
50.69 a mitigar l' amorose ferute,
50.70 aggio composte queste parolette
50.71 in rima, e fine faccio col piacere
50.72 di voi, in cui l' alma tutta si rimette,
50.73 vaga e contenta solo di potere
50.74 far cosa che v' agrada, e questo vole,
50.75 questo disia e questo l' è 'n calere,
50.76 ed il contrario più ch' altro le dole.
50.77 Dunque, donna gentile e valorosa,
50.78 di biltà fonte, com di luce sole,
50.79 rimirate alla fiamma che nascosa
50.80 dimora nel mio petto, ed ispegnete
50.81 quella con l' esser verso me piatosa.
50.82 Amor mi diede a voi, voi sola sete
50.83 il ben che mi promette la speranza,
50.84 sola mia vita in gioia tener potete.
50.85 Solo mio ben, sola mia disianza,
50.86 solo conforto della vaga mente,
50.87 sola colei che mia virtute avanza
50.88 sete e sarete sempre al mio vivente;
50.89 né più disio né disiar più voglio
50.90 fuor che d' esser a tal biltà servente.
50.91 Adunque quello ardor in cui m' invoglio
50.92 terminerete omai quando vi piace,
50.93 ch' io vi sono entro ognor più ch' i' non soglio:
50.94 io v' acomando al Sir di tutta pace.